A PROPOSITO DELL’HOMO VIATOR Tanti viaggiano nel MedioEvo. Anche se il punto di riferimento è la STABILITA’ (la regola di S. Benedetto ad es. la raccomanda fortemente ai monaci collocandosi in un ambito di pensiero che viene dai Padri della Chiesa), nonostante il paesaggio sia ostile (l’Europa infatti è boscosa e paludosa, la foresta domina occupando uno spazio molto più vasto di oggi), malgrado la paura, il brigantaggio e la possibilità di essere derubati, le difficoltà di ogni genere, per terra o per mare, coi cavalli, coi carri, coi battelli o semplicemente a piedi, parecchia gente cammina senza posa per monti e per valli. La sedentarietà è normale per molti contadini ma viaggiano chierici e viaggiano laici di ogni genere. I papi e le loro corti, che si dividono tra Roma e altre città italiane, per non parlare della Francia; vescovi o decani che visitano le circoscrizioni di loro competenza; i membri dei concili provinciali che riuniscono gli alti dignitari della regione; gli ecclesiastici che a volte i sovrani inviano come ambasciatori; gli abati che controllano i priorati dipendenti dalla loro sede; i religiosi che di convento in convento recano l’annuncio della morte di qualche eminente personaggio; senza contare i monaci vaganti… Poi, tra i laici, i mercanti che viaggiano per fiere; i funzionari reali sempre in strada per condurre inchieste e riscuotere tributi ; i girovaghi che vanno di castello in castello per rallegrare i signori; i contadini che durante le guerre o le carestie si rifugiano in città; ed inoltre turisti, esploratori, studenti, artigiani, soldati, crociati per la liberazione dei luoghi santi; ed infine PELLEGRINI che si mettono in cammino per espiare le loro colpe o adempiere un voto, verso Gerusalemme o Roma o Santiago di Compostela, o qualche altro santuario cui affidare tutta la propria domanda di perdono e di cambiamento. Il viaggio è raffigurato anche da certa letteratura realistica come qualcosa di faticoso, logorante, pericoloso; eppure è sorprendente quanto si sia disposti a correre il rischio per una meta agognata, desiderata, avvertita come indispensabile alla propria vita. E’ la figura che ci ha maggiormente coinvolto, affascinato, quella del pellegrino, e su di essa abbiamo appuntato l’attenzione. IL SENSO DELLO SCOPO Perché il pellegrino si muove? Perché ha una meta, uno scopo da raggiungere. La parola nasce da “per-agros- agere”, andare per campi, e nel latino classico l’appellativo viene applicato allo straniero, all’uomo o al forestiero in viaggio, e che non ha diritto di cittadinanza. Non si sa in quale periodo il significato religioso abbia sostituito quello primitivo, sappiamo che dopo la prima crociata è diventato un termine usuale. E’ a partire dall’XI sec che si esprime con intensità il desiderio di porre i propri passi su quelli di Cristo: la sua potenza, si pensa, si manifesta maggiormente là dove è vissuto. Così la città di Gerusalemme diventa la principale destinazione dei pellegrini. Il monaco borgognone Rodolfo il Glabro1, nelle Cronache dell’Anno Mille, racconta: “Nello stesso periodo (verso il 1033) da tutto il mondo cominciò a dirigersi verso il Sepolcro del Salvatore, a Gerusalemme, una folla immensa come mai nessuno prima aveva osato sperare. Vi andarono rappresentanti della bassa plebe, poi delle classi medie, in seguito tutti i grandi, re, conti, marchesi e vescovi, e infine, come non mai era accaduto, molte donne della nobiltà insieme con altre più povere” Un altro motivo: i fedeli ritengono che il posto migliore per attendere la resurrezione dai morti sia Roma, dove riposa San Pietro, o ancora meglio Gerusalemme. Rodolfo il Glabro, dopo aver segnalato la grande affluenza popolare alla tomba del Signore, scrive2 che “in molti di quei cuori v’era la speranza di morire prima di far ritorno in patria”. E racconta la storia di un borgognone chiamato Letbaldo che, passando per il Monte degli Olivi, si prosterna, in lacrime e preso da una indicibile gioia interiore.”Signore Gesù, supplico la tua bontà onnipotente di far sì che, se la mia 1 2 Citato in IL VIAGGIO NEL MEDIO EVO, di Jean Verdon, ed. Baldini e Castoldi 2001 op.cit. anima deve quest’anno separarsi dal corpo, io non mi allontani di qui, e il trapasso avvenga in vista del luogo della tua ascensione. Come ti ho seguito col corpo fino a giungere in questo luogo, così penso che la mia anima, seguendoti, stia per entrare sana e salva e beata nella gioia del Paradiso”. Il suo desiderio è esaudito perché quella sera stessa egli rende l’anima. Un altro aspetto è l’importanza attribuita alle reliquie, il culto tributato alle quali spiega in buona parte lo sviluppo dei pellegrinaggi nel ME. Malati e invalidi sperano di ottenere la guarigione grazie alla mediazione del santo di cui vanno a venerare i resti. Un esempio3 è raccontato da Gregorio vescovo di Tours dal 573 al 594, persona giusta per descrivere il fatto perché il guarito è lui : “ Nel 562 caddi malato. Colpito da pustole maligne e da febbre e non potendo né più bere né mangiare, soffrii tanto che, avendo perduto ogni speranza di vivere in questo mondo, volgevo il pensiero solo alle cure della mia sepoltura. La morte mi assaliva furiosamente senza requie e si sforzava di cacciare la mia anima dal corpo. Fu a questo punto che, benché molto abbattuto, avendo invocato il nome del beato pontefice Martino, io mi rimisi alquanto e con lento sforzo cominciai preparare il mio viaggio, perché avevo pensato che era necessario visitare il luogo della venerabile tomba. Il mio desiderio era così grande che non volevo più vivere, se dovevo tardare ancora a recarmi là; sicchè io, che reo appena uscito dai febbrili ardori della malattia, fui di nuovo infiammato dalla febbre del mio desiderio. Senza più attendere e benché ancora debolissimo, mi misi in cammino insieme con i miei”. A Tours vanno potenti signori, membri del clero, persone di ceto sociale modesto; uomini adulti e anche donne purchè in fidata compagnia (lo si sa dai registri degli Xenodochia, cioè degli ostelli, che prendevano nota degli arrivi), e anche bambini. Il pellegrinaggio può essere una penitenza, una punizione per un delitto commesso, condizione per avere l’assoluzione (i parricidi erano i più ospitati). Esistono anche pellegrini “professionali” che compiono per altri, a pagamento, questo atto di devozione, defunti o vivi che siano. E’ il caso, ad esempio, di Dino Rapondi, grande mercante lucchese, che nel suo testamento stilato nel 1413 lascia 40 lire parigine affinché un uomo a cavallo compia un pellegrinaggio da Parigi a Santiago di Compostela, la stessa somma per un altro pellegrinaggio da Parigi a Roma e ottanta lire parigine per un terzo pellegrinaggio, alla stessa maniera, da Parigi al Santo Sepolcro di Gerusalemme.4 In ogni caso quella del pellegrinaggio è una avventura, la cui unica certezza è la presenza della meta, ed unico sostegno la fede. Prima di partire il pellegrino fa testamento, paga tutti i debiti,la moglie e i figli vengono da subito dichiarati vedova e orfani perché così possono essere tutelati immediatamente dal Vescovo; è un pauper, il pellegrino, non può e non sa usare l’arma, ha bisogno di essere difeso. Egli gode di extraterritorialità, come i diplomatici; non si può percuotere, offendere, molestare in ogni modo. La realtà era ovviamente ben diversa: veniva assalito dai briganti, doveva pagare pedaggi che signorotti locali o semplicemente traghettatori esigevano da lui (era un momento delicato quello del guado di un fiume perché non si sa mai in quali mani si capiti…e poi a quel tempo non sapevano nuotare neanche i marinai!!!) La novellistica europea parla male dei traghettatori e degli osti: infatti il pellegrino ha necessità di essere ospitato, anche in osterie e così ci se ne approfitta; la Chiesa costruisce degli ospizi (xenodochia) per garantire l’ospitalità, perché bisognava partire con nulla. D’altra parte l’ospitalità al pellegrino era garantita al massimo grado trattandosi di “alter Christus”; si costituiscono a questo scopo persino delle confraternite. LA META I luoghi di pellegrinaggio erano numerosi e differenti. 3 erano più importanti degli altri: Gerusalemme, Roma, Santiago di Compostela. 1) Gerusalemme: è l’avanzata musulmana che pone gravi problemi e annuncia persecuzioni ai pellegrini fin dall’XI sec, fino a che poi con la caduta di S.Giovanni d’Acri i pellegrinaggi 3 4 op.cit. raccontato nell’op. cit. vengono addirittura proibiti dai papi ed interrotti. (per poi riprendere verso la fine del Medio Evo). 2) Roma: le tombe dei santi Pietro e Paolo attirano pellegrini fin dai primi secoli: è il desiderio di vedere, di toccare perché il Cristianesimo è un avvenimento carnale. I romei si interessano anche di tutti i martiri, a volte poco noti, che giacciono nelle chiese e nei cimiteri romani, nelle catacombe; i giubilei, poi, in particolare quello del Trecento indetto da Bonifacio VIII attirano vere folle poiché è accordata la remissione completa dei peccati a condizione di 15 o 30 giorni di visite alle chiese degli apostoli P e P essendosi prima confessati. Secondo Giovanni Villani Roma accolse nel ‘300 200 mila pellegrini. Tornati in patria essi possono indossare le insegneraffiguranti in genere i 2 principi degli Apostoli o le chiavi di San Pietro- che attestano il loro soggiorno a Roma. (mentre chi torna da Gerusalemme può esibire il ramo di palma) 3) il pellegrinaggio a Santiago di Compostella non può rivendicare la stessa antichità, comincia a delinearsi nel IX sec, mentre l’apogeo si colloca tra la fine dell’XI sec e quella del XII. Sono tanti però che continuano ad inalberare la conchiglia simbolo di Santiago nei secoli seguenti, quella conchiglia che si trova solo nell’Atlantico e che attesta la veridicità dell’impresa. I SANTI PROTETTORI “Santiago” è San Giacomo maggiore, patrono dei pellegrini, loro avvocato difensore nel giudizio universale Altri santi protettori sono: San Martino di Tours che veniva pregato per trovare riparo San Cristoforo, che traghettò Gesù con tutti i peccati del mondo, e che veniva pregato nell’atto dell’attraversare un fiume San Rocco, pregato quando si era ammalati Oltre ovviamente alla Vergine Maria, in particolare Addolorata LA STRADA I numerosi tracciati che solcavano l’Europa ed erano percorsi dai pellegrini, oggi sono autostrade. Hanno calcolato che tra il 1050 e il 1300 siano transitati in Europa su queste strade 25 milioni di persone. Il pellegrino viaggia di giorno, si orienta col sole; la notte si ferma e riposa. A volte trova compagnia in altri pellegrini, magari di altra nazionalità, e allora ci si aiuta a fare le tappe, ci si raccontano le proprie usanze, ci si scambia informazioni su tutto, anche perché di tempo ce n’è tanto (da Bologna a Santiago ci mettevi 7 mesi o anche di più se deviavi). E’ così che nasce una cultura “europea” dall’Atlantico agli Urali,, è così che si forma una nuova identità (prova ne è il Romanico, presente ovunque). Per non perdere la …bussola, si usano le croci sul cammino, prima vera segnaletica europea, che garantiva al pellegrino di essere strada giusta per andare al santuario (le braccia di Cristo indicavano la direzione privilegiata). Tutta l’Europa è costellata a poco a poco di questi segni che si arricchiscono di nuovi elementi. Quella presente nella Camargue è la croce più complessa, indica Sainte Marie De la Mer: la croce indica la fede, l’ancora la speranza, il cuore la carità. Sul cammino ci sono delle cappelline in cui si trova riparo anche dal sole e si può pure passare la notte. Il pellegrino durante il viaggio si può scoraggiare e sarebbe tentato di abbandonare l’impresa: ecco che allora spesso sui portali della chiesa si trova un’iconografia “apposita”: il tema privilegiato è il Giudizio Universale, che mi ricorda il giorno in cui verrò giudicato. E’ un impulso a continuare, perché in vista del premio eterno tutto vale la pena. Oppure il tema dei Magi, pellegrini per eccellenza, che hanno saputo cogliere dei segni e giungere alla meta; dopo il Mille vengono raffigurati uno bianco, uno giallo, uno nero. Poi infine l’immagine della Vergine. Anche l’abito deve essere adeguato: d’inverno la veste è lunga sino ai piedi, d’estate corta, con una mantella anch’essa lunga fino ai piedi detta “sanrocchina”, un cappello infeltrito a falde larghe antenato dell’ombrello (oppure il cappuccio), il bordone,che era un bastone cui si appendeva una zucca per borraccia (attributo più tradizionale del pellegrino), ed infine la bisaccia, atta a contenere il bagaglio minimo. L’abito identificava il pellegrino e ne favoriva l’ospitalità. In ogni caso, “ il pellegrino medioevale non ha niente del devoto lacrimoso e pedante: è un gagliardo, che non frena le sonore imprecazioni né i crassi scherzi, o che si immerge negli stagni e nei ruscelli, in bagni che non sono solo gesti rituali. (…) Solo chi è a contatto continuo con i campi o è consueto a lunghi giri, può realmente concepire il peso e il disgusto di una sporcizia unta che impiastriccia le mani e resiste come una ganga ad ogni pulizia, del sudore che appiccica i vestiti alla pelle, come dell’odore fetido e acre che emana dalle povere vesti logore, sozze e lerce dal lungo uso. Il pellegrino, nell’abito di sacco sbiadito, disgustoso, giorno dopo giorno si sente sempre più fuori da questo mondo in cui deve calarsi. L’accezione medioevale del termine peregrinus si ricongiunge allora qui al senso primitivo di straniero: questo vagabondo non sarà mai più in nessun luogo a casa sua. Il suo mantello, senza dubbio, e i suoi attributi, gli risparmieranno un disprezzo troppo evidente. Troverà ospiti schietti e generosi che, con un sorriso d’accoglienza, cureranno, venuta la sera, i suoi piedi gonfi e doloranti, sull’esempio del Maestro, e riconforteranno il suo inebetimento con queste piccole e discrete attenzioni il cui ricordo, a lungo, stazionerà nella memoria. Ma niente però potrà impedire, potrà diminuire l’indicibile angoscia di questo uomo debole e spaesato, liberato dall’ignoto. Passato un certo margine di fatica, la preghiera stessa non è più che un balbettamento informe, al di là del quale non esiste che il moto di una spossatezza totale senza pensieri e senza scampo; il vagabondo non sa più perché cammina, giunge fino a maledire il mondo, a lasciarsi cadere come un uomo ebbro sulla dura pietra della via. Ed è al livello ultimo di questa debolezza che Dio, alfine parlerà. Dal vuoto della voragine fino alla memoria annebbiata sale la sublime orazione della strada, ricorso e provvidenza agli erranti, così come si recitava e, ogni domenica d’estate, si recita ancora nella cappella romanica dell’ospizio d’Aubrac: ”O Dio, che avete fatto partire Abramo dal suo paese e l’avete conservato sano e salvo attraverso i suoi viaggi, accordate ai vostri figli la stessa protezione. Sosteneteci nei pericoli e alleggerite il cammino. Siate per noi ombra contro il sole, mantello contro la poggia e il freddo. Sorreggeteci nella fatica e difendeteci contro tutti i pericoli. Siate il bastone che evita le cadute e il porto che accoglie i naufraghi: cosicché da voi guidati possiamo raggiungere, certi, la nostra meta e ritornare sani e salvi a casa”5. CONCLUSIONE… Cristo e gli apostoli hanno continuamente peregrinato; secondo Matteo, Gesù “ andava intorno per tutte le città e i villaggi insegnando”, e quando invia i discepoli in missione costoro, secondo san Luca, partono e “ giravano di villaggio in villaggio, annunziando ovunque la buona novella e operando guarigioni”. Allo stesso modo si vedono tanti santi per la strada fin dai primi secoli del Cristianesimo: san Martino nel IV sec, san Colombano all’inizio del VII o san Agostino di Canterbury con i suoi monaci. “L’Europa è nata pellegrinando”: questa frase di Goethe, ripresa dal Papa nel 1989 a Santiago di Compostela ci indica una profonda verità perché ci ricorda la radice della nostra identità, che i politici di oggi in nome di ideali più effimeri sembrano voler obliterare. “Dopo 20 secoli di storia si deve ancora affermare che l’identità europea è incomprensibile senza il Cristianesimo e che proprio in esso si ritrovano quelle radici comuni dalle quali è maturata la civiltà del vecchio continente, la sua cultura … in una parola tutto ciò che costituisce la sua gloria”. (GPII) 5 Raymond Oursel, PELLEGRINI NEL MEDIO EVO, ed. Jaca Book, 1988