Dream Factories
Le Sedi Aziendali, da luogo di lavoro a strumento di comunicazione
Special Edition
Dream Factories
Le Sedi Aziendali, da luogo di lavoro a strumento di comunicazione
Aziende da sogno!
Nella nostra attività di consulenti per le aziende della moda e del lusso, è per noi indispensabile visitare
le aziende stesse, perché è in quegli edifici che tutto nasce: idee, progetti, prodotti..... E sempre più
spesso, che si trovino in centro città, o nei distretti industriali, o sperdute nelle campagne, o in piccoli
paesi, ci troviamo di fronte a strutture bellissime, che lasciano letteralmente a bocca aperta.
Da qui ci è venuta l’idea di realizzare una monografia che presenti queste sedi aziendali, ideate e realizzate dall’imprenditore con un intento preciso: comunicare la capacità di ricerca e di innovazione, il design
del prodotto, l’eccellenza qualitativa ... in sintesi tutti i valori fondanti dell’azienda e che rappresentano il
suo DNA più autentico. Da qui anche il nostro titolo “DREAM FACTORIES”, ovvero AZIENDE DA SOGNO,
perché frutto della visione che l’imprenditore, al di la’ del presente, ha per la sua azienda.
Sono costruzioni che segnano anche un legame forte col territorio e gli abitanti, i quali molto spesso ne
vanno fieri, a volte le contestano, ma comunque ne parlano, ne discutono anche solo al bar del paese....
Per questa prima edizione abbiamo selezionato 8 aziende appartenenti ad alcuni dei più tipici settori
della moda e del lusso: calzature, pelletteria, abbigliamento donna, abbigliamento uomo, sportswear,
mobili, mosaici ed in ultimo, addirittura il design.
Parliamo infatti di B&B Italia, storica azienda del design italiano, la cui sede, in momenti diversi, è stata
sviluppata da 3 grandissimi architetti italiani; di Replay, una delle più famose sedi aziendali che, con la sua
inconfondibile facciata in mattoncini rossi anni ‘30, si ispira al mitico Molino Stucky di Venezia (recentemente
diventato un lussuosissimo Hilton). Ma anche di Trend, un incredibile start-up ad opera di Pino Bisazza che,
in pochi anni, grazie alla lunga esperienza nei mosaici di lusso, ha saputo costruire un’importante azienda nel
settore. E poi ci sono, tra i leader dell’abbigliamento donna, Patrizia Pepe, la cui sede esprime al meglio la
freschezza e la raffinatezza del suo prodotto; Vicini, che per la sede in cui produce scarpe ultra-femminili, si
è ispirato anche alla bellissima colonia Agip di Cesenatico; Kiton di Ciro Paone, il massimo rappresentante
dell’abito sartoriale partenopeo; Piquadro, la super tecnologica azienda di pelletteria immersa nel verde dell’Appennino, quotatasi recentemente alla borsa di Milano e, infine, Alberto Del Biondi, una realtà unica, nata
attorno ad un designer che ha reinventato questo mestiere, facendone, grazie a meticolosità e controllo,
una vera e propria impresa con più di 100 dipendenti.
Sono tutte sedi aziendali accomunate dalla passione dell’imprenditore e sono il frutto della sua visione in un
futuro lontano e ancora non immaginabile e, allo stesso tempo, della concretezza del duro lavoro quotidiano
che ha portato ai brillanti risultati del presente.
DREAM FACTORIES
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B&B Italia
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Presidente: Giorgio Busnelli
Anno fondazione: 1966
Progettisti: Afra e Tobia Scarpa,
Renzo Piano e Rogers,
Antonio Citterio & Partners
Località: Novedrate (CO)
Superficie coperta: 27.000 mq
Prodotto: Arredamento
contemporaneo
Superficie terreno: 68.000 mq
Factories
Anno progetto sede:
1967, 1973, 2002
Sito: www.bebitalia.com
Fatturato 2006 (mln €): 162
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Presidente: Alberto Del Biondi
Anno fondazione: 1983
Località: Noventa Padovana (PD)
Attività: Design accessori moda,
architettura, industrial design
Anno progetto sede: 2004
31
Presidente: Attilio Biancardi
Anno fondazione: 1978
Località: Caselle D’ Asolo (TV)
Superficie terreno: 6.000 mq
Prodotto:
Abbigliamento sportswear
Sito: www.albertodelbiondi.com
Anno progetto sede: 1995
Fatturato 2006 (mln €): 9
Kiton
79
Località: Arzano (NA)
Prodotto: Abbigliamento
sartoriale uomo
Anno progetto sede:
1989,1999
Dream
Anno fondazione: 1987
Superficie coperta: 8.000 mq
Località: Gaggio Montano (BO)
Superficie terreno: 22.000 mq
Prodotto: Pelletteria
Sito: www.piquadro.com
Anno progetto sede: 2004
Fatturato 2006 (mln €): 36
Progettista: Rudy Dacomo,
Stefania Leonardi
Superficie coperta: 25.000 mq
Superficie terreno: 87.000 mq
Sito: www.replay.it
Fatturato 2006 (mln €): 347
Presidente: Pino Bisazza
Superficie coperta: 2.500 mq
Località: Vicenza
Superficie terreno: 30.000 mq
Superficie terreno: 13.500 mq
Prodotto: Mosaici
Sito: www.kiton.it
Sito: www.trend-vi.com
Anno progetto sede:
2000
Fatturato 2006 (mln €): 64
Fatturato 2006 (mln €): 63
91
Patrizia Pepe
Progettista: Ronaldo Fiesoli
Presidente: Giuseppe Zanotti
Progettista: Miriam Benini
Anno fondazione: 1993
Superficie coperta: 11.000 mq
Anno fondazione: 1996
Superficie coperta: 2.300 mq
Località: Capalle (FI)
Superficie terreno: 27.000 mq
Località: San Mauro Pascoli (FC) Superficie terreno: 4.500 mq
Prodotto: Abbigliamento donna,
uomo, bambina, accessori
Sito: www.patriziapepe.com
Prodotto: Calzature donna
Sito: www.vicinishoes.com
Fatturato 2006 (mln €): 101
Anno progetto sede: 2000
Fatturato 2006 (mln €): 63
DREAM FACTORIES
Progettisti: Vittorio Veller,
Atelier Mendini (interni)
Anno fondazione: 2000
Superficie coperta: 20.000 mq
Presidente: Claudio Orrea
Anno progetto sede: 1998
Replay
Trend
Progettista:
Hadi Teherani
43
Progettista: Karim Azzabi
67
Superficie coperta: 9.000 mq
Anno fondazione: 1960
Presidente: Marco Palmieri
Alberto Del Biondi
Progettisti: Alberto Del Biondi
(concept), Roberto Tognon
Presidente: Ciro Paone
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Piquadro
schede aziende
2007
7
Vicini
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B&B Italia
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B&B Italia
DUE PAROLE CON...
Giorgio Busnelli
PRESIDENTE E AMMINISTRATORE DELEGATO DI B&B ITALIA SPA
B&B Italia è una delle aziende storiche del design italiano. Non a caso la sua sede è frutto di tre
progetti successivi di architetti molto famosi come Tobia Scarpa, Renzo Piano e Antonio Citterio. Ci
racconta come sono nate queste collaborazioni?
Sono collaborazioni nate in circostanze e momenti diversi della nostra storia. Tobia Scarpa e la moglie Afra,
che hanno realizzato l’edificio che oggi ospita la produzione, erano già architetti famosi. Collaboravano con
Cassina e successivamente hanno lavorato con C&B (così si chiamava B&B Italia prima del 1973). Renzo
Piano, che nel 1973 ha progettato con Rogers l’edificio che ospita gli uffici, all’epoca era ancora sconosciuto. Mio papà, Piero Ambrogio Busnelli, fondatore dell’azienda, ebbe la segnalazione da un amico che gli
consigliò di rivolgersi al giovane architetto. Il progetto dell’edificio, sebbene molto costoso, fu talmente innovativo – una sorta di manifesto dell’architettura high-tech dell’epoca – che non ci furono dubbi sulla scelta.
Si tratta infatti di un parallelepipedo sospeso, sostenuto da una struttura tubolare in acciaio e da pareti in
vetro con i tubi di ventilazione e riscaldamento in colori differenti collocati all’esterno della facciata.
Renzo Piano in parallelo al progetto per gli uffici B&B Italia progettava il Beaubourg: sapevate di esserne stato il banco di prova?
Chiaramente non potevamo sapere che il progetto della nostra sede sarebbe stato il banco di prova del
famosissimo Centre Pompidou, che avrebbe rappresentato il trampolino di lancio per Renzo Piano. Lo abbiamo appreso solo successivamente e ne siamo estremamente orgogliosi.
E il rapporto con Citterio, che è anche uno dei designer più importanti dei prodotti B&B Italia?
Antonio Citterio ha firmato prodotti di successo che hanno caratterizzato la storia del design. Negli anni
settanta era un giovane designer, la cui abilità è stata quella di ritagliarsi un proprio spazio, proponendosi di risolvere i “problemi” con prospettive e approcci diversi. Ma è alla fine del decennio che arriva il
successo, quando, prima con Paolo Nava e poi da solo, Antonio Citterio ha progettato prodotti innovativi
dal punto di vista formale, tecnologico, materico. Negli anni a seguire la collaborazione ha evidenziato
una marcata profonda sintonia con l’azienda, un rapporto di stima reciproca, poi sfociata anche in una
profonda amicizia.
Nel 1989 B&B ha ricevuto il Compasso d’Oro, per la prima volta assegnato ad un’azienda e non ad un
designer...
Il Compasso d’Oro ha rappresentato per noi innanzitutto una gratificazione per il lavoro svolto fino ad allora,
ma anche una conferma degli obiettivi che l’azienda aveva deciso di perseguire: coniugare i valori della ricerca con quelli necessari alla funzionalità e all’espressività dei prodotti. Non è stato vissuto come traguardo,
ma piuttosto come stimolo per continuare a rinnovarsi proponendo nuovi prodotti in grado di anticipare le
tendenze e rispondere alle esigenze del mercato.
B&B Italia si è distinta, sin dagli anni ‘70, per le campagne pubblicitarie innovative e ad alto impatto. Quale
slogan secondo lei vi rappresenta di più?
Una delle campagne pubblicitarie che più ci ha rappresentato è quella che ritrae la collezione “Le Bambole”
del 1972, interpretata da Oliviero Toscani: immagini decisamente audaci per l’epoca che, accompagnate
dallo slogan pubblicitario “Bambole che passano su Bambole che restano”, confermavano la positività del
prodotto di fronte alla transitorietà della donna. A conferma del successo della campagna degli anni ’70, a
distanza di 35 anni, abbiamo deciso di rilanciare la collezione sul mercato, invitando nuovamente Oliviero
Toscani ad immortalarla attraverso una figura femminile che rappresentasse le nuove “Bambole”.
Lei è un imprenditore che si occupa di design: qual è stata la sua educazione al bello?
Ho innanzitutto la fortuna di avere un padre che sin da giovane mi ha trasmesso la curiosità, l’intraprendenza, la caparbietà e la voglia di viaggiare e di approfondire. Poi sono circondato da preziosi collaboratori,
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B&B Italia
interni ed esterni all’azienda, che mi affiancano nella visita ai
luoghi più rappresentativi dell’architettura internazionale, dalle
gallerie d’arte, agli store progettati dai più grandi architetti del
mondo, agli alberghi disegnati e arredati da designer di fama
mondiale. Dialogare, discutere e, perché no, a volte anche “litigare” con persone competenti, ha contribuito ad arricchire la
mia cultura personale e professionale.
Nei 27.000 mq della sede di Novedrate trova spazio anche
un’ampia showroom: quanto è importante per i clienti visionare
i vostri mobili proprio nel luogo dove hanno origine?
È sicuramente importante. Lo spazio, che si estende su una
superficie di 1.000 mq ed espone tutta la gamma delle collezioni B&B Italia e Maxalto, è una sorta di “laboratorio di sperimentazione” in cui vengono ambientati i prodotti ricreando una
sorta di universo domestico e dove i nostri clienti si confrontano con noi e traggono ispirazione per i loro corner espositivi.
Sempre a Novedrate c’è il vostro Centro Ricerca & Sviluppo, che occupa 8000 mq. Ci racconti come si svolgono le
attività del Centro e su che cosa sono focalizzate?
Si tratta di una struttura esistente in azienda sin dalla sua
nascita, con un team di specialisti, circa una trentina di
addetti, che interpreta ed indirizza le energie creative dei
designer italiani e stranieri con cui collaboriamo, alimentando un continuo processo innovativo sotto il profilo estetico,
formale e tecnologico. Mentre una volta veniva richiesto
all’architetto di fornire idee all’azienda da tradurre in progetti, oggi la condivisione del progetto, nella sua totalità,
avviene sin dal momento di presentazione dell’idea da parte
del designer. Il ruolo di “filtro attivo” del Centro Ricerche
e Sviluppo nasce da una consolidata capacità critica nella
selezione delle idee e dei progetti, ponendosi dal punto di
vista del consumatore e delle sue diverse esigenze.
Qual è il posto in azienda in cui le piace di più stare?
Senza dubbio al Centro Ricerche e Sviluppo, cui spetta il merito di aver prodotto alcuni pezzi iconici universalmente riconosciuti…non per nulla sono responsabile dell’anima creativa
di B&B Italia.
Ci descriva il suo ufficio. Ha solo pezzi di B&B Italia?
In realtà non ho prodotti di B&B Italia, se non la scrivania
della nostra collezione Maxalto; la sedia è di Antonio Citterio
per Vitra e le due poltrone sono di Mies van der Rohe per
Knoll. Ci sono inoltre un dipinto di Daniele Fissore che ritrae
un campo da golf e la mia collezione di palline che ho raccolto nei campi internazionali in cui sono stato… il mio ufficio
non nasconde certamente la mia passione per il golf.
L’EDIFICIO A UFFICI DI NOVEDRATE, SU PROGETTO DI RENZO PIANO E RICHARD ROGERS (1973)
A VISTA LA STRUTTURA RETICOLARE E GLI IMPIANTI CON COLORI DIVERSI A SECONDA DELLA FUNZIONE
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B&B Italia
“Era il
13 aprile
1966...”
PARTICOLARE DI
INGRESSO AL CENTRO
RICERCHE E SVILUPPO,
REALIZZATO SU
DISEGNO DI A.
CITTERIO & PARTNERS.
SULLO SFONDO IL
PONTE CHE COLLEGA
IL BLOCCO UFFICI DI
PIANO & ROGERS CON
GLI ALTRI EDIFICI
Dietro la storia di un edificio, e qui gli edifici importanti “firmati” sono tre,
c’è sempre la storia di un’azienda e, intrecciata indissolubilmente, la storia
di un uomo.
Nella Brianza del “mobile in stile” anni ’60, Piero Amborgio Busnelli è uno dei
tanti produttori di poltrone con un’azienda di famiglia, 100 operai e un buon
fatturato. Ma lui non si accontenta, perché vede più in là. Vuole industrializzare la produzione, investire nella ricerca e provare nuove tecniche. E la sera,
finito il lavoro della giornata, sperimenta, prova materiali, forme e soluzioni.
La ricerca richiede tempo, mezzi e investimenti, ma in famiglia tutto questo
non interessa, non ci sentono a investire. E’ così che nel 1966 decide di andarsene, di iniziare tutto di nuovo, lasciando l’azienda, la casa dove è nato e
anche il nome.
“Era la mattina di lunedì 13 aprile 1966” – ricorda Busnelli - il giorno del suo
quarantesimo compleanno. Busnelli rischia il certo per l’incerto con la forza
della sua idea. La sua intuizione è che sia il momento giusto per superare lo
stadio dell’organizzazione artigianale, familiare e per industrializzare la produzione del mobile: grandi tirature, costi più bassi, ricerca di nuove tecniche
e materiali. Delle sue idee convince Cesare Cassina, che allora era già un
“nome” nella Brianza del mobile.
Nasce così la C&B Italia di Piero Amborgio Busnelli e Cesare Cassina.
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B&B Italia
Kiton
Sempre nel 1966, a Novedrate, su un terreno di
90.000 mq, la nuova società costruisce lo stabilimento progettato dall’architetto Tobia Scarpa e
dall’ingegner Maschietto di Venezia.
Per lo studio del lay-out degli impianti, si ispirano
all’organizzazione di alcune fabbriche inglesi, con
l’obiettivo però di spingere ancora di più la meccanizzazione.
Anche nel progetto di organizzazione generale
della lavorazione, Tobia Scarpa gioca un ruolo
molto importante. Disegna la poltrona e poi disegna come produrla smontata, come immagazzinarla e ancora, come arrivare all’assemblaggio.
D’altronde l’architetto Scarpa è, fin dall’inizio, più
di un collaboratore. Non si limita a disegnare per
l’azienda, ma propone idee e soluzioni. Tanto che
non viene presa nessuna decisione se lui non è
d’accordo. Del processo di industrializzazione
dell’imbottito, Scarpa è il padre putativo.
Con Busnelli sviluppa non solo il disegno dell’oggetto, ma anche il processo col quale produrlo.
Quest’esperienza, unica per entrambi, rappresenta una tappa nella storia del design italiano.
La costruzione è un edificio industriale in elementi prefabbricati dal disegno pulito.
Tobia Scarpa, con la moglie Afra, é uno dei protagonisti della storia dell’industrial design e per
la sua attività riceve anche il “Compasso d’Oro”
nel 1969. Severità e rigore sono tratti del loro
progetto, insieme alla dimensione culturale e al
senso etico del loro fare.
Scarpa si interroga sul rapporto designer/azienda e si sente investito della responsabilità verso i
problemi produttivi, di mercato e di politica aziendale per ottenere il prodotto “giusto”.
GLI INTERNI DELL’EDIFICIO DI A. CITTERIO & PARTNERS: UFFICI
A PIANTA LIBERA, TRASPARENTI E ATTRAVERSATI DALLA LUCE
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B&B Italia
VISTA DALLO SHOW
ROOM INTERNO VERSO
LA TERRAZZA.
PIANO E CITTERIO, DUE
MANI DIVERSE MA DI
SEGNO UGUALMENTE
PULITO ED ESSENZIALE
Del successo commerciale se ne avvantaggia l’investimento nel Centro Ricerche, con
importanti ricerche di design avanzato, condotte in collaborazione con diversi designer: da
Castiglioni a Joe Colombo, da Giugiaro ad Archizoom, da Ponti a Marenco, dalla tecnica di
compressione sottovuoto del poliuretano per i progetti di Gaetano Pesce, alla schiumatura differenziata per la serie di Mario Bellini.
Dal 1971 al 1973 prende forma il nuovo edificio per gli uffici, commissionato al giovane
Renzo Piano, per la nuova B&B Italia. Busnelli aveva visto il progetto del Beaubourg parigino, ne era rimasto affascinato e aveva voluto Piano.
Piano aveva già sperimentato strutture leggere, aveva affrontato cantieri industriali e
studiato prototipi di giunti e sistemi strutturali. Il progetto viene disegnato tra Parigi e
Genova, dove Piano ha lo studio, risente del Beaubourg e lo influenza per l’uso vivace del
colore, le superfici libere e flessibili.
Specifico per B&B Italia è invece l’obiettivo di realizzare la struttura principale usando elementi molto piccoli. Una struttura che ha la leggerezza di una filigrana: 40 metri di campata
fatti con elementi autoportanti leggerissimi. E’ stata una scommessa: non ci doveva essere
un elemento più grande di 8 cm di diametro!
I giunti della struttura vengono studiati per questa specifica funzione, come un oggetto di
design. Busnelli e Piano hanno la stessa curiosità e audacia nella ricerca tecnologica.
Il reticolo della struttura porta un involucro arretrato rispetto al tetto, vetrato, trasparente alla natura intorno, rialzato da terra. La pianta all’interno resta libera e flessibile
all’uso.
Una passerella leggera lo unisce allo stabilimento di Scarpa.
Sulla facciata est sono visibili le canalizzazioni degli impianti, colorate in giallo e rosso.
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Nel 2001 Antonio Citterio ha l’incarico di progettare un
nuovo edificio che ospiti il Centro Ricerche e Sviluppo dell’azienda. “Compasso d’Oro” nel 1987 con il divano Sity,
Citterio è il designer di riferimento di B&B Italia.
L’intervento di Citterio ricompone l’angolo con un blocco
monolitico, a completamento della fabbrica di Scarpa.
Crea due quinte, le pareti in cemento a vista, a disegnare
nuovi allineamenti, tra la fabbrica produttiva di Scarpa e
l’edificio a uffici di Piano. É un difficile esercizio di stile
dialogare con le due preesistenze di Scarpa e Piano.
La sua è una scelta calibrata, superfici lisce e colori neutri,
per lasciare visibilità tranquilla ed esclusiva dell’edificio di
Piano a chi transita sulla Novedratese.
E così nell’arco di questi 40 anni i tre edifici, realizzati per
mano di architetti diversi, si sono integrati perfettamente
tra loro nelle loro diverse funzioni: la produzione, gli uffici e
la comunicazione.
Un pezzo di storia del design italiano
Nasce nel 1966 Coronado, il divano B&B Italia progettato da Afra e Tobia Scarpa e considerato un vero
caposaldo della storia del design italiano. Un successo
di mercato tale da dare una svolta all’azienda, che con le
nuove risorse può finanziare le ricerche sui nuovi prodotti che la renderanno celebre del mondo.
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Alberto Del Biondi
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Alberto Del Biondi
DUE PAROLE CON...
Alberto Del Biondi
PRESIDENTE DI ALBERTO DEL BIONDI SPA
Lei è imprenditore e designer: come vive questi due aspetti della sua attività?
Secondo me le attività di imprenditore e designer richiedono alcune qualità comuni ad entrambe: attenzione ai dettagli senza mai perdere di vista l’insieme; una visione ampia che consenta di rimettersi costantemente in discussione, ma nello stesso tempo una forte determinazione per portare avanti con coerenza
le proprie scelte; concretezza per valutare in maniera pragmatica le situazioni e contemporaneamente
capacità di immaginare, osando nei propri progetti. Io ho cominciato il percorso imprenditoriale nella
progettazione fin da giovanissimo ed il mio sforzo costante è proprio orientato al tenere vivo in me e nel
mio lavoro il dialogo tra imprenditorialità e design.
Il progetto architettonico e di interni esprime grande attenzione sia alla funzionalità che all’estetica: qual
è il giusto rapporto secondo lei tra questi due aspetti?
La separazione tra funzionalità ed estetica a me pare non più attuale: è necessario andare oltre. Quando
pensiamo alla funzionalità, l’idea che abbiamo è quella di un oggetto che fa bene le cose per cui è pensato. Nel caso ad esempio di un edificio pensiamo che la sua funzionalità sia legata all’articolazione degli
spazi, all’illuminazione e così via, quasi che fosse l’oggetto a svolgere le funzioni. In realtà un edificio, uno
spazio industriale come qualsiasi oggetto, non fa cose, non produce nulla, poiché sono le persone che lo
utilizzano. Perché allora non consideriamo le caratteristiche estetiche come funzionali alle ragioni per cui
la struttura è stata creata? Perché non considerare funzionale al lavoro il fatto di vivere in un ambiente
piacevole? Passiamo tante ore al lavoro e la qualità della nostra vita dipende molto dalla qualità dei luoghi
dove lavoriamo. Quindi è evidente che funzionalità ed estetica sono due concetti relativi l’uno all’altro.
Il concetto di edificio chiuso in se stesso, sembra opposto al concetto di design aperto al mondo globale....
La nostra sede non è chiusa in sé, anzi, è ricca di aperture. Gli spazi sono completamente permeabili
alla luce, che provenga dai cortili interni o dall’esterno degli edifici. E’ grazie alla luce, metafora della
conoscenza, della possibilità di vedere e di apprendere, che la sede è assolutamente aperta all’esterno.
All’interno l’articolazione degli spazi e l’utilizzo delle strutture in U Glass garantiscono il contatto tra le
persone che lavorano in azienda, pur preservando la possibilità per ognuno di isolarsi con il proprio gruppo
di lavoro. I cortili interni e le passerelle che collegano i blocchi che ospitano gli uffici sono spazi pensati
proprio per consentire alle persone di incontrarsi, prendersi una pausa, conversare, scambiarsi idee.
Io credo che nel design, specie per chi lavora in una azienda come la Alberto Del Biondi, sia necessario
essere aperti agli stimoli esterni, ma nello stesso tempo avere la capacità di proteggere il proprio punto
di vista, quella componente di originalità che evita la omologazione.
Qual è il suo concetto di creatività?
La creatività è una qualità delle persone, consiste nel mettere assieme elementi che già esistono per dare
vita a qualcosa di nuovo, che sia utile. Novità e utilità sono quindi gli elementi che ci consentono di parlare
di atto creativo. È una qualità trasversale che si applica a tutte le attività umane, insomma secondo me
non corrisponde al nome di una professione: un architetto, un pittore, un designer, uno scienziato utilizzano la creatività. Io sono un imprenditore ed un designer, non sono un “creativo”, ma utilizzo questa qualità
per fare il mio lavoro. Io credo che la capacità di fare in modo creativo il proprio lavoro discenda da una
miscela di curiosità, capacità di mettersi in discussione e conoscenza delle regole.
Ordine, rigore e controllo: sono anche sue caratteristiche personali, sua disciplina di vita?
Certamente mi riconosco in queste caratteristiche: non credo che genio e sregolatezza convivano con
successo, è una visione romantica, artistica, se si vuole, che non corrisponde certo al profilo di chi per
professione deve gestire ed organizzare risorse per realizzare progetti innovativi commissionati da imprese. L’ordine, il rigore ed il controllo sono tra i presupposti per la qualità.
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Alberto Del Biondi
In quale stanza di questa azienda le piace più stare, dove si
sente bene?
Certamente il mio ufficio è uno spazio che a me piace, l’ho pensato proprio per il mio lavoro: vi è un grande tavolo, da me disegnato, che non si può certo considerare una scrivania secondo
il modello tradizionale, ma piuttosto un luogo che mi consente
di interagire con le persone, stimolare, lanciare progetti. In
realtà però io vivo tutta l’azienda, forse è più esatto dire che
tutta la Alberto Del Biondi è il mio vero ufficio.
Qual è la sensazione predominante da dentro questa architettura, che lei definisce una città? Come si svolge la vita aziendale?
La nostra è una piccola città, una struttura autosufficiente dal
punto di vista del lavoro, integrata verticalmente, nella quale convivono professionalità ed esperienze diverse, si parlano
tante lingue perché le persone provengono da nazioni diverse.
La vita aziendale, scandita da una pianificazione attenta delle
attività e da un modello organizzativo moderno ed efficiente,
grazie alle caratteristiche della struttura è operosa, attiva, stimolante, ma nello stesso tempo serena. Qui da noi si lavora
bene, ognuno ha la possibilità di esprimere le proprie qualità
umane e professionali e questo a me piace molto.
Dove sta andando il design, quali nuovi panorami intravede?
Il design oggi non può certamente essere soltanto estetica, ergonomia, funzionalità e capacità di industrializzare il prodotto.
Questa fase dovrebbe essere ormai superata. Tutti i prodotti, in
qualche misura, dovrebbero riuscire ad integrare questi contenuti, anche se purtroppo non è sempre vero. Io credo che oggi
il design debba sempre più tenere conto dei valori e delle preoccupazioni della società. Il nostro modello di consumo affronterà
presto cambiamenti radicali: l’ambiente, le risorse energetiche,
i trasporti, le tensioni sociali sono qualcosa con cui il designer
non può non voler fare i conti. Per quanto mi riguarda sono
particolarmente interessato ai temi della eco-compatibilità. Non
credo ad atteggiamenti estremistici, a volte pure provocazioni
portate avanti per darsi visibilità, ma credo fermamente che nel
mio lavoro vi siano degli elementi di responsabilità sociale con i
quali è giusto fare i conti.
ALBERTO DEL BIONDI RIPETE LA CITAZIONE DEL MAESTRO ARCHITETTO RAZIONALISTA MIES VAN DER ROHE “LESS IS MORE”
E NE FA LA SUA FILOSOFIA PROGETTUALE, ALL’INSEGNA DEL MINIMO NECESSARIO, DEL TOGLIERE ANZICHÉ AGGIUNGERE
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Alberto Del Biondi
Alberto Del Biondi ha profondamente influenzato il progetto, nella ricerca della purezza e
nella grande attenzione ai materiali, come erano semplici ed essenziali i volumi di Mies e
perfetti i suoi dettagli.
Del Biondi aveva già una sede molto rappresentativa a Noventa Padovana nel distretto
calzaturiero del Brenta ma, ci racconta, “quella struttura, pur molto interessante dal punto di vista architettonico, rappresentava l’azienda, così come io l’avevo immaginata nella
seconda metà degli anni ’80”.
“Less
is
more”
VEDUTA DI
UNA DELLE
CORTI INTERNE,
CARATTERIZZATA
DAL GRIGLIATO
DELLA
PAVIMENTAZIONE,
PENSATA PER DARE
CONTINUITÀ ALLE
GEOMETRIE DELLE
STRUTTURE
ADIACENTI
L’azienda da quegli anni ha però avuto un percorso di crescita importante
e cominciavano ad emergere problemi di spazio. Parallelamente, il raggio
di attività si stava ampliando dal design per il sistema moda, che rimane
tuttora il core business, all’architettura, all’interior e industrial design:
vera frontiera di una struttura di primo piano nel design.
E così è nato il progetto di questa nuova sede, 9.000 metri quadri per
rispondere alle esigenze logistiche e strutturali delle oltre 100 persone che
vi lavorano.
Padova ha rappresentato il passaggio da un’azienda focalizzata su un settore, ad un’impresa che si proponeva di affrontare altri ambiti progettuali, una
vera e propria Industria del Design.
Come città inoltre ha una collocazione logistica più funzionale ed è uno dei
centri principali della cultura veneta, che è un ingrediente importante del
business model dell’azienda. Le radici locali erano rispettate, ma vi era la
possibilità di affacciarsi meglio al contesto globale.
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PARTICOLARE DI FACCIATA;
LA RECEPTION;
INTERNO DI UFFICI
Alberto Del Biondi
La collocazione nell’area industriale ha costituito un
ulteriore specifico messaggio del designer.
In Italia i centri che si occupano di design sono per lo
più pensati come studi di un professionista che progetta con pochi collaboratori, accentrando tutte le
scelte e ricorrendo costantemente all’outsourcing. La
visione di Del Biondi è diversa: gruppi di progettazione,
strutture professionali di supporto, controllo dei processi, internalizzazione di tutte le attività, anche per
garantire ai clienti qualità e massima riservatezza. La
visione, insomma, di una vera e propria industria del
design, capace di garantire standard elevati nei tempi
e nella qualità dei progetti.
Nella zona industriale di Padova quindi, il design si fa
industria, industria tra le industrie. E nella monotonia del panorama suburbano di capannoni industriali
pressoché indifferenziati, questa presenza è un segno
volutamente diverso.
Dall’esterno appare una scatola liscia, chiusa, una presenza estranea, un oggetto come sospeso.
Completamente nero. Neri gli esterni e gli interni.
Narcisisticamente nero.
Il nero, non colore, è estremamente difficile da usare in
architettura. Essenziale. “Less is more”.
A Del Biondi il nero piace, perché è essenziale, sobrio
ed elegante. Mette in evidenza la forma, non distrae dalla lettura dei volumi architettonici e delle proporzioni.
Rende l’emozione di un’architettura sospesa nel tempo,
quale segno forte che si contrappone in maniera decisa
al contesto nel quale è immersa. Per rompere questo
tessuto sostanzialmente indifferenziato con un volume
puro dalla forma monolitica, il nero è perfetto.
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DREAM FACTORIES
L’INTERNO È .......
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Alberto Del Biondi
Se il colore è assente, la luce è protagonista assoluta.
Del Biondi ce ne sottolinea il ruolo determinante: “La
luce è trattata come un materiale, un materiale naturale. I materiali prendono vita proprio attraverso la
luce: è solo così che ne possiamo percepire la struttura, la trama, il colore e la forma.
L’intento del progetto è far vivere gli spazi attraverso
la luce: tutti gli ambienti di lavoro sono definiti in pareti di U Glass, che permettono all’involucro di essere
autoportante e attraversato dalla luce.”
Il sistema architettonico si articola in tre edifici, rigidamente rettangolari, uniti tra loro da una corte coperta e collegati da passerelle.
Nell’interno, si rivela una complessità nell’articolazione
degli spazi di lavoro davvero innovativa.
Dimensioni controllate, spazi calibrati. “Less is more”.
Le funzioni sono accentrate all’interno del rettangolo,
lasciando liberi alla circolazione i corridoi perimetrali,
come strade che collegano piazze. Un edificio nell’edificio.
Gli spazi vengono ridefiniti, i mobili eliminati, ottimizzati i movimenti di ogni attività.
Per una più duttile funzionalità Del Biondi ha scelto di
creare una nuova struttura, piuttosto che abitare una
villa, un palazzo storico del territorio veneto.
Qui ha immaginato e progettato come voleva il più piccolo dettaglio.
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DALLA PROGETTAZIONE
ALLA PROTOTIPAZIONE
Il design al servizio dell’industria
La tecnologia oggi dà nuovi strumenti per appagare la ricerca di un
migliore rapporto con gli oggetti, per ottimizzare il benessere dell’individuo nell’ambiente. Poichè l‘uomo è sempre al centro del progetto.
Tecnologia ed ecologia, oggi sono la nuova sfida.
Dalla progettazione di calzature e accessori moda, Del
Biondi si apre all’industrial design, con il disegno di lampade
e tavoli. L’Industria Del Design è un servizio, nuovo a livello
europeo, di progettazione integrata dalla calzatura all’interior
design, all’architettura residenziale, industriale e nautica.
Del Biondi ha una specializzazione in design: è allenato a scelte progettuali di grande razionalità e praticità.
Si è poi perfezionato nella progettazione di calzature. Come afferma:
“Generalmente si pensa che disegnare una calzatura sia più semplice rispetto a disegnare una barca o una macchina per palestra. In
realtà questi mondi sono molto più vicini. Disegnare scarpe è tremendamente difficile. Una calzatura è quasi un progetto di industrial
design, un microcosmo complesso e miniaturizzato soprattutto a
livello progettuale”.
Il metodo progettuale è il denominatore comune, quello che cambia
è la scala dell’oggetto.
Ecco perché il salto dalla calzatura all’Industria Del Design è solo - o
quasi - un cambio di scala.
E questa architettura è uno di questi oggetti.
“Machine à habiter” diceva Le Corbusier, altro grande maestro dell’architettura razionalista del ‘900.
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Kiton
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Kiton
DUE PAROLE CON...
Ciro Paone
PRESIDENTE DI CIRO PAONE SPA
Da ogni comunicazione all’esterno traspare un messaggio di eleganza e sobrietà senza
tempo uniti ad una classicità e una cura del dettaglio unici. Sono questi i valori del brand
Kiton?
Il nostro motto è “il meglio del meglio + 1” ed è nella ricerca della qualità e dei dettagli
che sta quel + 1. Quando parliamo di qualità intendiamo anche qualità della vita, del
lavoro, dei rapporti umani. Per me la moda maschile è solo un’invenzione degli stilisti;
le cose belle non tramontano mai, e resistono al frivolo succedersi delle mode. Noi
vogliamo conservare i valori della tradizione, senza trascurare le innovazioni che il contemporaneo richiede.
Questi valori come sono stati trasferiti nella sede di Arzano? Ce ne racconta la storia?
Nella vecchia struttura di Arzano, esistente dal 1968, stavamo strettissimi, occorreva
una nuova sede che assicurasse piena coerenza tra la qualità del contenuto, gli abiti
Kiton, ed il contenitore in cui i sarti lavorassero con serenità ed in condizioni ambientali
ideali. Nel 1991 la nuova struttura era pronta. All’inizio alcuni mi dettero del pazzo, per
averla creata così grande e costosa, anche se neanche dieci anni dopo abbiamo dovuto
raddoppiarla. Un nuovo ulteriore ampliamento è ora in corso e terminerà nel 2009,
quando avremo ad Arzano un’area di 30.000 mq ed un organico di circa 500 unità, di
cui oltre 400 sarti.
Il grande atrio di ingresso è molto luminoso, mediterraneo, come un’agorà. Parla di
socialità, di lavorare insieme in una grande famiglia: anche questa è una precisa impronta
aziendale?
L’aspetto che più ci interessa è l’atmosfera che si “respira” della nostra azienda, che
deve essere estremamente gradevole, ricca di profumi e di dettagli, gli stessi racchiusi nei nostri abiti. Bisogna vedere sorridere le persone: chi sorride sta bene, non ha
bisogno di sindacati, non fa cassa integrazione. La mia felicità sta nel vedere che tutti
quelli che lavorano nel mondo Kiton sono soddisfatti e si sentono parte di una grande
famiglia.
Ci sono mobili di antiquariato, quadri, documenti antichi…una passione? Chi li ha scelti?
Sono io che ho sempre avuto questa passione e dedico parte del mio tempo libero a visitare mostre, musei, antiquari ...e a rincorrere le cose belle. Io ho arredato così l’azienda
perché qui sono a casa mia. Anzi, per questo capitolo di spesa ho fissato una sorta di
destinazione dell’utile aziendale, come se fosse una riserva legale.
Da ormai quasi 10 anni collaborate con l’architetto tedesco Hadi Teherani, cosa c’è alla
base di questa collaborazione?
Con Hadi Teherani abbiamo in comune l’amore per il bello e le linee essenziali, la capacità
di accostare il moderno e l’antico e la ricerca dell’innovazione. Con lui abbiamo realizzato
lo showroom di Milano, la sede di New York, i negozi di Tokio, Dusseldorf, Londra, Amburgo, Venezia e il ponte Kiton.
Nel 2002 l’architetto ha disegnato anche il ponte, che è il segno forte della sede. Cosa
avete voluto rappresentare?
Il ponte è certamente il progetto in cui Hadi Teherani ha saputo meglio esprimere ciò
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Kiton
che io avevo in testa, ma che non sapevo descrivere. Il mio obiettivo era di
unire il passato e il futuro, con un’unica struttura che collegasse gli edifici
esistenti ai nuovi da costruire, come una sorta di cordone ombelicale che
unisse la madre al figlio.
Oltre allo stabilimento di Arzano, il mondo Kiton è sicuramente rappresentato al meglio anche dalla filiale di New York, la ex-sede (guarda
caso…) del Banco di Napoli. Ci racconta la storia di questa acquisizione?
Ogni volta che ero a New York mi soffermavo ad ammirare quell’edificio di fine ottocento e il suo acquisto ha rappresentato per me la
realizzazione di un grande sogno. La trattativa con il Banco di Napoli
non è stata semplice, ma il 12 settembre 2002, quando la città era
nuovamente listata a lutto per il primo anniversario dell’attacco alle
torri, noi siglammo l’atto di acquisto del building destinato a diventare
il quartier generale Kiton oltreoceano. Certo, non per immodestia, ma
investire a NewYork in quei giorni richiedeva un lungimirante coraggio…
Ci parli del vostro laboratorio sartoriale...
Siamo orgogliosi del nostro laboratorio sartoriale di capospalla perché è il più grande del mondo: nei suoi 2.300 mq ospita 230 sarti
che, lavorando a forbici ed aghi sui più bei tessuti esistenti, danno
origine a vere opere d’arte.
E la scuola interna...
Negli ultimi anni era diventato sempre più difficile trovare giovani disposti a seguire questa strada. Per questo motivo l’ing. Maresca,
nostro direttore generale dal 1999, ha sviluppato il progetto della
scuola interna di sartoria. Oggi siamo al IV corso biennale e, dei 60
giovani che vi hanno sinora partecipato, 45 già operano in azienda e
costituiscono la nostra forza per affrontare la sfida del futuro.
In quale stanza dell’azienda le piace più stare?
A mensa! Sì perché è il posto dove, oltre a mangiare, facciamo ogni
giorno il consiglio di amministrazione, mettiamo a proprio agio i nostri
ospiti, facendo loro assaggiare le nostre mozzarelle, i paccheri con
i pomodori del nostro orto, le fritturine di Pasquale, il nostro cuoco.
Insomma è un luogo sacro dove tutti devono stare bene e mangiare
altrettanto bene.
Com’è il suo ufficio?
All’inizio condividevo l’ufficio con il mio socio, Antonio Carola, che
svolgeva i compiti di ministro degli interni, mentre io facevo il ministro degli esteri: due dicasteri e due scrivanie. La mia sempre nuova
perché io non sono mai stato un uomo di scrivania, quella di Carola
con qualche segno di usura in più. Poi il mio compagno di stanza è
diventato Maurizio Maresca; oggi il mio posto l’ha preso mia figlia
Maria Giovanna, ora vicepresidente, e io mi sono trasferito in un’altra stanza al piano terra con i miei nipoti Antonio De Matteis, AD e
Antonio Paone.
IL PONTE DI COLLEGAMENTO TRA LA FABBRICA DEL 1990 E LA NUOVA COSTRUZIONE DEL 2000
ELEMENTO FORTE, TECNOLOGICO, IMPORTANTE. LUNGO 70 METRI IN ALLUMINIO E FERRO CON LE PARETI CURVE DI VETRO E LEGNO DI CILIEGIO.
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Kiton
“Il meglio
del meglio
uno”
+
L’ATRIO DI
INGRESSO
DELLA KITON,
COME LA HALL
DI UN HOTEL DI
LUSSO
“Il meglio del meglio più uno” è la filosofia dell’azienda,
ed è quello che Ciro Paone ha voluto anche per l’abito
delle sue sedi.
Abito intessuto di trame mediterranee, tinto con i colori delle case sul mare, per la sede storica di Napoli.
Ciro Paone è un napoletano verace, parla di qualità
della vita, del lavoro e dei rapporti umani, di semplicità
e di profumi “...perché qui sono a casa mia” dice.
I valori della tradizione - che sono l’anima di questo
imprenditore appassionato - si respirano nello stare
bene in un luogo, in un luogo di lavoro, dove i rapporti
siano amichevoli e dove ci si ritrovi in mensa insieme,
operai e dirigenti, ospiti e familiari, a mangiare i paccheri!
D’altronde le prime fabbriche, nell’800, riflettevano
l’immagine della casa.
La nuova costruzione della sede storica di Napoli è nell’area industriale di Arzano, dove certo non è comune
vedere la mano di un grande architetto.
Avvicinandoci lungo il Viale delle Industrie, già ci sorprende un rigoglioso palmeto all’ingresso.
La costruzione è di disegno classico, come una grande
villa, su due piani, tinteggiata di un colore rosa nitido.
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Kiton
Paone ha voluto creare un’atmosfera di lavoro
estremamente gradevole. E col calore dell’ospitalità napoletana.
Si entra e l’atrio è maestosamente accogliente. Un
volume a doppia altezza, illuminato da una cupola
ottagonale vetrata. Una scenografia di marmi chiari e lucidi, tutt’intorno un giro di dodici colonne.
L’atrio diventa piazza, luogo di convivialità.
Di fronte all’ingresso una scala doppia imponente
in marmo giallo di Siena porta al primo piano, alla
galleria di accesso agli uffici direzionali.
La scenografia dell’atrio con la scalinata si adatta
bene a presentazioni di ispirazione teatrale, dove
i manichini appaiono a mo’ di comparse.
Come in una ricca casa signorile, gli arredi si pregiano di pezzi d’antiquariato, tavoli e cassettoni
del ‘600, vasi del ‘700 napoletano, sculture di
Mirò e angoliere Luigi XVI, quadri di epoca antica
e moderna. Le pareti sono impreziosite dalla boiserie di ciliegio.
Un ambiente di altissima classe, una hall di un
hotel di gran lusso, più elegante di un atelier di
alta moda.
Al piano terra direttamente il laboratorio e i magazzini tessuti. E il cuore dell’azienda: la sartoria.
Nel terzo millennio, quando il processo produttivo
si smembra, dove la produzione e la commercializzazione si allontanano, qui permane il modello
dell’azienda tradizionale.
I pavimenti di marmo sono ovunque, persino nella
sala di lavorazione. “..bisognava far star bene i sarti, offrir loro uno spazio dove lavorare con serenità
e con condizioni ambientali ideali, aria condizionata, ampio spazio per posto di lavoro, ambienti luminosi, pavimenti di marmo, mensa per la pausa
pranzo, asilo nido per i figli..” sottolinea Paone.
Una mensa con cuochi superlativi, dove si mangia
meglio che al ristorante.
Il corridoio della mensa è una galleria di storia
dell’azienda, raccolta di foto e oggetti di famiglia,
strumenti della sartoria napoletana.
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NEI LABORATORI REGNA UN’OPEROSITÀ PAZIENTE E ACCURATA
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Kiton
SEDE DI
NEW YORK
La Scuola di Alta Sartoria è un vanto e la promessa di
assicurare al mondo la continuità di questa tradizione.
Vengono alla mente le parole di Elias Canetti “la gloria
della mano umana”.
L’anima di Napoli vive in queste mani laboriose.
Imbastire, cucire, stirare: tutte le operazioni sono rigorosamente eseguite a mano, tutto con la stessa cura,
piano piano, ora dopo ora, mani esperte tagliano, cuciono, impunturano.
Canetti, Premio Nobel per la letteratura 1981, celebra il
lavoro dell’artigiano, “la vera grandezza delle mani consiste
nella loro pazienza. La quiete, rallentatissime attività della
mano hanno formato il mondo in cui vorremmo vivere”.
Nessuna immagine qui è più appropriata.
Teherani ha una lunga collaborazione con l’azienda per allestimenti di show room e negozi. È architetto e designer,
progettista di livello internazionale, di grande sensibilità
estetica e molto popolare per la stampa e la TV tedesca.
Nel 2002 Teherani, in collaborazione con l’architetto Alessandro Gubitosi, cura anche la sede di New York.
Questo è un fiore all’occhiello: un palazzetto fine ‘800, elegante e misurato nelle sue proporzioni. Era sede del Banco
di Napoli e Paone lo aveva a lungo ammirato e adocchiato
dalle finestre dei suoi uffici, che aveva proprio di fronte. La
ristrutturazione del palazzetto ne esalta le linee eleganti.
La sobrietà di questo salotto di alta classe è ravvivata da
un segno italiano, da una leggiadria di arredi e particolari.
Saranno forse le colonne, la scala elicoidale, i marmi e i
grandi lampadari, le decorazioni e gli intarsi, a rendere
ancora una volta il calore dell’accoglienza e l’eleganza le
sensazioni che catturano l’ospite.
Abiti esclusivamente sartoriali
Abiti dal gusto squisitamente artigianale che racchiudono
il piacere del bel vestire.
Uno stile preciso per durare nel tempo, senza cedere alle
lusinghe delle mode effimere.
La più prestigiosa delle collezioni è sicuramente la
collezione privata del Duca di Windsor.
Nel giro di 10 anni il fatturato dell’azienda si è triplicato e
occorre collegare la struttura vecchia con la nuova: ecco
il ponte sospeso di collegamento tra l’edificio del 1990 e
la nuova costruzione del 2000.
Qui la mano dell’architetto Hady Teherani traccia una linea marcata.
Elemento forte, tecnologico, importante: un ponte lungo
70 metri, alluminio e ferro, con le pareti curve di vetro e
legno di ciliegio.
Un tubo illuminato a giorno che diventa una galleria di
manichini.
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Patrizia Pepe
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Patrizia Pepe
DUE PAROLE CON...
Claudio Orrea
PRESIDENTE DI TESSILFORM SPA
Come siete arrivati alla decisione di fare questa nuova sede?
Già la nostra precedente azienda, dalle dimensioni pari a circa un ventesimo di questa,
aveva più o meno le stesse caratteristiche, i colori e la luminosità. Poi, dovendo ampliarci,
abbiamo cercato di replicare queste caratteristiche in grande, cioè una sede con spazi in
cui fosse estremamente gradevole vivere, la vicinanza ad una strada a forte comunicazione
come l’autostrada, il colore e la nitidezza.
Siete partiti da un capannone industriale (già esistente) monotono e funzionale: quali
input avete dato al progettista?
L’obiettivo era di trasformare quel grande oggetto in modo che riflettesse una miglior
filosofia lavorativa. Ci piaceva inoltre l’idea di creare qualcosa che attirasse l’attenzione,
un’architettura piacevole, vivace ma essenziale. L’architetto Ronaldo Fiesoli ci propose il
progetto che io e mia moglie Patrizia accogliemmo con entusiasmo.
Com’è stato il “rapporto a tre”, Claudio, Patrizia e Fiesoli, nelle decisioni chiave?
Da anni ci lega un rapporto di amicizia, da quando progettò la nostra casa, bella,
solare e funzionale. Ci vivevamo talmente bene dentro che abbiamo voluto ricreare
questa gradevolezza anche in azienda. Certo ci siamo scontrati più volte, soprattutto
io con Ronaldo e Patrizia, la creativa dei due, quindi più ricettiva alle soluzioni creative
dell’architetto, che non di rado richiedevano però compromessi a chi le avrebbe dovute
utilizzare. Questi “scontri” hanno comunque avuto su di me una conseguenza benefica,
perché hanno modificato il mio approccio con l’architettura.
In che modo?
All’inizio l’architettura doveva essere in qualche modo calda e rassicurante (ho sempre
amato gli chalet di montagna!), in seguito, lavorando a fianco di Ronaldo, ho iniziato ad
apprezzare la linearità degli spazi, grandi e vuoti, con la conseguenza di ridurre le cose
e gli oggetti che mi circondavano, che spesso affollano inutilmente gli spazi e la mente.
Pensiamo a quanti cassetti pieni di roba, che più o meno tutti abbiamo e che non vengono aperti da anni… E inoltre ora sono molto attratto da tutto ciò che è in qualche modo
innovativo.
Perché i colori alla Mondrian…una scelta casuale o piuttosto la volontà di un’espressione particolare?
Non è una particolare predilezione per l’artista che ci ha spinto a sceglierli, piuttosto il
fatto che si tratta di colori primari, che trasmettono solarità. Il colore è una componente
fondamentale della creatività, e anche la campagna toscana che ci circonda ad ogni stagione si tinge di colori diversi e sorprendenti. In fase di realizzazione dell’azienda poi, abbiamo
lasciato scegliere ai componenti dei vari staff i colori interni che preferivano e con i quali
avrebbero convissuto meglio.
Ci sono angoli dall’atmosfera casalinga, il giardino d’inverno, la zona relax, la cucina,
luoghi d’affetto quindi. C’è una stanza di questo grosso contenitore in cui le piace di più
stare?
Beh, nel mio ufficio, dove trascorro buona parte del mio tempo in azienda. Ma mi trovo
a mio agio in ogni ambiente, mi piace molto la hall con la scalinata rossa che sembra un
nastro, come anche il giardino, di circa 4.000 mq...
PATRIZIA BAMBI E CLAUDIO ORREA
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Patrizia Pepe
Come è il suo ufficio? e quello di Patrizia?
I due uffici hanno un’inequivocabile connotazione maschile e femminile. Il mio è più razionale, anche se,
inutile a dirsi, con una buona componente di colore,
circondato da pareti in vetro da cui vedo le colline, un
grande quadro di Moretti nei toni dell’indaco, sportelli e scaffali con ricordi di vita vissuta, ma in giusta
misura. Quello di Patrizia ha un tratto più morbido, è
molto spazioso, con una zona relax separata da tende
trasparenti, una piccola serra e un quadro di Andy
Warhol.
E la grande cucina che sembra quella di una vecchia
trattoria toscana arredata con mobili vecchi e pezzi di
modernariato…
Volevamo evitare la classica mensa aziendale; ci sono
tanti tavoli, diversi tra loro e chi lavora in azienda qui
può cucinare e vivere la pausa in un ambiente caldo e
rilassante.
Oggi la sede Patrizia Pepe è anche un interessante
“luogo per l’arte” con opere di artisti moderni e contemporanei. Ci parli di questa passione...
Anche questa è una passione che ci ha trasmesso Ronaldo Fiesoli, presentandoci alcuni suoi amici artisti.
Da alcuni anni la grande hall di ingresso in azienda
ospita mostre di giovani artisti che cambiano ogni 2
o 3 mesi e sono visitabili da chiunque. Devo dire che
questa iniziativa è assai apprezzata.
I vostri negozi monomarca sono sempre più un’estensione della sede e della filosofia aziendale. È stato
semplice traslare lo stile Patrizia Pepe dall’azienda ai
negozi?
No e non era cosi prioritario per noi ricalcare nei negozi lo stile dell’azienda, semplicemente quello è lo stile
che più ci piace e che meglio di ogni altro ci rispecchia.
Il grande ulivo presente in tutti i negozi rappresenta la
toscanità, di cui siamo orgogliosi.
Oggi tutto ciò che riguarda lo stile e il design è in
continua evoluzione: in che direzione si sta evolvendo lo
stile Patrizia Pepe?
Verso una maggiore nitidezza, nei tagli e nella confezione ed un’alta qualità dei materiali.
Nitidezza nei vestiti, nell’azienda, come auspicabilmente nella vita.
ENERGIA, ENERGIA PURA. L’ENERGIA POSITIVA CHE SI VIVE NELL’EDIFICIO...
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Patrizia Pepe
Il motto citato da Claudio Orrea parla dell’antica abitudine al lavoro, perseverata nella
ricerca dell’innovazione quotidiana.
Energia, energia pura. L’energia di Claudio e Patrizia nel portare avanti il progetto aziendale. L’energia positiva che si vive nell’edificio, come luogo di lavoro ad alto grado di
comfort psico-fisico.
Il progettista, architetto Ronaldo Fiesoli, racconta:
“Nella primavera del 1998 ho visitato per la prima volta con Patrizia e Claudio Orrea la
fabbrica che sarebbe diventata la nuova sede di Patrizia Pepe.
Un edificio banale, grigio, un volume con caratteristiche elementari, tipico prefabbricato
industriale anni ’80, composto da circa 5000 mq al piano terra, circa 1000 mq al primo
piano, più un’area circostante a giardino. L’interno era chiuso e pesante, l’ingresso con
un grande scalone soffocato da troppe sovrastrutture e cattiva illuminazione, con piccole finestre nella zona uffici, “.... e senza colore”. Tutto lo spazio era contro-soffittato con
pannelli standard.…copertura con sheds a vista su pilastri…
La prima esigenza che ho sentito è stata quella di scegliere, tra gli elementi architettonici esistenti, quelli “necessari”, di maggior forza, come lo scalone d’ingresso,
gli sheds e una parte di giardino frontale, con l’idea di ottenere, unendo le parti del
vecchio fabbricato a quelle del nuovo progetto, un’armonia, un equilibrio, capaci di
abbattere lo stereotipo del “monotono” luogo concepito solo per lavorare.
Dovevo, insomma, trasformare questo difficile oggetto in modo che riflettesse una
filosofia lavorativa ottimale, che tenesse in considerazione soprattutto il benessere
del personale…”
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“Nulla
dies
sine
linea”
FACCIATA LATO AUTOSTRADA
INTERNI:
SPAZI POLIVALENTI 1 E 2,
HALL CON PONTE PASSERELLA
“L’obbiettivo principale - continua
Fiesoli - era che un nuovo equilibrio tra le parti e una migliore armonia dessero origine ad
energia positiva fruibile da tutti,
sia da chi lavorava ogni giorno
all’interno dell’azienda, sia da
chi passava anche per una breve
visita e fare in modo che alcuni
segni importanti potessero uscire all’esterno, accoglienti, attraverso nuove pareti in vetro.
Il progetto è stato concepito
pensando sempre alla fluidità,
alla trasparenza, filtrate solo in
alcune parti da teli in lamiera
forata per abbattere un’eccessiva esposizione e garantire una
maggior privacy.”
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Patrizia Pepe
UFFICI DI CLAUDIO E PATRIZIA;
PARTICOLARE DELLA PALESTRA E DELLA MENSA
Fiesoli ha una lunga amicizia e collaborazione con
Claudio e Patrizia, è Art Director della Tessilform,
per la quale ha allestito anche i negozi monomarca e alcune esposizioni.
Hanno in comune l’amore per le cose semplici, lo
sguardo riconoscente alla natura: ecco la citazione dell’albero - l’ulivo - segno di Toscanità presente come immagine simbolo dall’atrio di ingresso
ai negozi Patrizia Pepe nel mondo, fino al design
dello stendino gruccia per gli abiti.
Fedele all’imperativo del fiorentino Pietro Porcinai,
il più grande paesaggista italiano del ‘900 “Nessuna pianta, nessun albero più deve essere distrutto, per qualsiasi ragione, e il patrimonio vegetale
che ancora sopravvive nelle città deve essere
dichiarato patrimonio nazionale...”, l’architetto ne
convince e affascina i suoi giovani committenti.
Nella strutturazione dell’ambiente interno, il
comfort riveste un’attenzione costante e assume quasi “valore terapeutico” in modo evidente
nella sala fitness, aperta ai dipendenti e nella
cucina mensa attrezzata, con arredi dal sapore
casalingo.
Aria di casa anche negli uffici di Claudio e Patrizia. L’ufficio del primo è ampio, sobrio, rivolto
al paesaggio esterno. Lo studio di Patrizia più
raccolto e femminile, schermato da un delicato
ondeggio di tende e impreziosito da un delizioso
giardino d’inverno.
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Patrizia Pepe
DETTAGLIO
DELLA HALL
CON PONTE
PASSERELLA
L’architetto qui esprime la sua formazione anche di artista,
poeta, uomo di lettere. Il grigliato in lamiera ha la leggerezza e
il fruscio della garza mossa dal vento.
“Questi tessuti in lamiera – spiega Fiesoli - sono appesi ad una
tettoia in griglia metallica, sostenuta da nove “tronchi-colonne”
sublimati con colore blu e riecheggianti molti annessi agricoli
della campagna toscana. L’altra funzione di questa struttura è
di conferire movimento e alleggerire la facciata stessa.”
Progettista e committente condividono l’inclinazione minimalista e con i colori che hanno scelto dedicano questo edificio al
maestro dell’astrattismo Piet Mondrian.
Fiesoli ci accompagna con fare semplice: ‘Sul lato dell’edificio
verso l’autostrada A11, situato tra Firenze nord e Prato est,
doveva essere collocato il logo, da me ideato per la vecchia
sede dell’azienda, circa dodici anni fa, usando i tre colori primari, giallo, rosso e blu, perché semplici, di facile lettura, omaggio
a Piet Mondrian. Ho pensato così di riutilizzarli, con diverse
varianti di tono, come nei gialli per le paillettes metalliche dei
grandi paraventi, nei blu e nei rossi lungo lo stesso lato, nel blu
per i “tronchi-colonna”, nel rosso per le strutture portanti delle
vetrate e ancora nel giallo dei timpani a chiudere le tettoie sulla
facciata d’ingresso.”
E ancora “la sede Patrizia Pepe un luogo per l’arte”
dove si tengono esposizioni di arte contemporanea
di giovani autori ospitati nella grande hall di ingresso. L’arte seriale di Warhol nello studio di Patrizia,
una grande tela azzurra evocativa di Alberto Moretti da Claudio…
Diversi autori contemporanei ospitati negli spazi
dell’azienda.
Arte a profusione, arte nell’arte, arte nella moda.
“Come per l’esterno anche all’interno – continua Fiesoli era opportuno riutilizzare i suddetti tre colori, con ulteriori
possibilità. Così lo scalone rosso è il cuore della hall e della
fabbrica e sale alla parte alta, “piazza-villaggio” direzionale, con
“cielo” a sheds e un ponte-passerella giallo dorato, che unisce
e salda i due lati portanti dell’azienda: l’area commerciale e
l’area creativa, caratterizzata dal blu.”
Un taglio inconfondibile
Lo stile Patrizia Pepe ha un tratto incisivo che ben identifica il marchio.
Grintosamente glamour nella giovane donna.
Virilmente cool nella linea uomo.
Maliziosamente tenero nella collezione bambina.
FACCIATA PRINCIPALE E DETTAGLIO DELL’ENTRATA
INSTALLAZIONE PERMANENTE DI PAOLO MASI
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Piquadro
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Piquadro
DUE PAROLE CON...
Marco Palmieri
PRESIDENTE E A.D. di PIQUADRO Spa
Come siete arrivati alla decisione di fare questa nuova sede?
C’era la necessità di creare un nuovo spazio più ampio, che racchiudesse il know how e la logistica
dell’azienda e la location non poteva che essere il luogo in cui l’azienda è nata e dove i dipendenti
vivono. Quando si costruisce uno stabilimento ex novo, si ha la fortuna di poterselo inventare, con
ampi margini di creatività.
Che cosa rappresenta l’immagine del “grande cingolo”, che da solo fa “luogo Piquadro”?
L’azienda è più incline al design e alla tecnologia che al glamour, che è legato più al momento
temporale. I cingoli evocano pertanto un’idea di solidità e una sensazione di espandibilità. Non
a caso, così concepito, lo stabilimento si può ampliare con altri corpi, conservandone intatto
l’equilibrio.
Perché ha voluto che la sua azienda apparisse come un “macro oggetto” appoggiato, decontestualizzato nel paesaggio pur così marcato dell’Appennino?
Quando si costruisce in un bel paesaggio come quello dell’Appennino emiliano, o ci si mimetizza
nella natura o, per contro, si ricorre ad un’identità avulsa, che marchi in maniera incisiva un distacco dall’ambiente naturale. Noi abbiamo scelto questa seconda strada.
Come è nato il rapporto con l’architetto Karim Azzabi?
Siamo anzitutto amici da vent’anni, e insieme abbiamo condiviso attitudini e progetti, quindi l’elaborazione del progetto è stata una mescolanza di idee, di considerazioni, di sogni suoi e nostri.
Sappiamo che il rapporto con gli amministratori locali in fase di costruzione dell’azienda a Gaggio
Montano è stato ottimo...
Si, meritano un grande plauso, anche in considerazione del fatto che il progetto richiedeva l’autorizzazione dei tre comuni limitrofi oltre che della provincia di Bologna ed occorreva ottenere
una variante d’uso del terreno, che era agricolo. Devo dire che si sono dimostrati entusiasti, sia
l’amministrazione di Gaggio Montano che degli altri comuni, anche politicamente opposti, nonché
la provincia che ha emesso le delibere in tempi sorprendentemente brevi. Evidentemente quando
la Pubblica Amministrazione vuole funzionare è in grado di farlo.
Che rapporto ha l’azienda con il paese di Gaggio Montano? Quali sono i commenti della gente?
Ovviamente le architetture dalla forte personalità destano pareri discordanti e non nego che
quella grande struttura in acciaio e vetro in mezzo alle colline verdi, all’inizio abbia creato
scompiglio. Abbiamo pure subìto un attacco mediatico da parte dei verdi poi conclusosi in
nulla.
Per quali aspetti crede che questa architettura rappresenti il prodotto, la storia, l’identità di
Piquadro?
Ogni aspetto di quest’architettura si identifica con la filosofia dell’azienda, che è poi racchiusa nel
nostro prodotto: design, tecnologia, funzionalità e ed essenzialità. E la nostra azienda è davvero
essenziale, basti pensare che vede l’impiego di soli quattro materiali, l’acciaio, la pietra, il legno,
il vetro. Le pareti vetrate poi, occupano una superficie totale di 1300 mq, consentendo un’illuminazione naturale ed un riscaldamento ottimizzato.
Perché un involucro trasparente?
La trasparenza è un grande valore che appartiene al brand.
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Piquadro
Quali sono le aree maggiormente all’avanguardia?
Sono estremamente evolute le infrastrutture informatiche, che consentono di essere sempre
connessi, oltre che con i punti vendita, anche
con il nostro stabilimento in Cina, a Zongshang.
Uno stabilimento con 400 dipendenti realizzato,
ci tengo a precisarlo sopratutto in questi tempi,
con elevati standard qualitativi ed etici.
Qual è il cuore di quest’edificio?
Sono più d’uno. L’ufficio stile, l’ufficio prodotto e
il magazzino automatizzato, che è avanzatissimo:
nel momento esatto in cui arriva una richiesta di
prodotto da ogni parte del mondo, il processo di
consegna parte automaticamente.
Dentro questa grande opera si legge il “fattore
Italia”?
L’azienda è italiana al 100%! Anche se alcune fasi
della produzione avvengono nella nostra fabbrica
in Cina, questa assorbe meno del 20% dei nostri
costi totali, per il restante si tratta dunque di
investimenti fatti in Italia.
E per il benessere dei dipendenti?
C’è una palestra ben attrezzata, ampiamente
utilizzata dai dipendenti, soprattutto durante la
pausa pranzo e alla sera.
In quale stanza di questo grosso contenitore le
piace stare di più? Dove si sente bene?
Nell’ufficio stile e nel laboratorio dei test sulle materie prime e sul prodotto finito. Qui viene certificata la non tossicità dei materiali, c’è perfino una
macchina che fa cadere in continuazione le borse, per simulare le discese dalle stive e un tapis
roulant sempre in moto per testare la robustezza
delle ruote dei trolley.
Racconti com’è il suo ufficio...
Mi sento un privilegiato: quando sono seduto alla
mia scrivania ho il muro alle spalle, per il resto
vetrate da cui vedo solo prati, in cui spesso pascolano i caprioli. L’oggetto che preferisco è la
mia sfera di cristallo: è un oggetto decorativo,
ma talvolta mi piace pensare che possa funzionare davvero.
UN SEGNO FORTE, MASCHILE, PREPOTENTE, TRACCIATO SU UN VERDE DECLIVIO COLLINARE: APPOGGIATO SULL’ERBA, LUOGO ISOLATO
CHE ESPRIME LA FILOSOFIA PIQUADRO, ESPRESSIONE DI RICERCA TECNOLOGICA, MACRO OGGETTO DI DESIGN, PURO VOLUME
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Piquadro
Arrivando da Bologna, lungo la strada porrettana, l’edificio si coglie d’impatto, quasi
come una protesi metallica che conclude il pendio, raccordando in forma plastica il
terreno a fondo valle e sospendendo la costruzione sopra la strada.
Abbarbicato sull’Appennino bolognese, la stazione climatica di Gaggio Montano sorge a
1.118 m.s.l.m., a poca distanza dalla riserva naturalistica del Parco del Corno alle Scale, rinomato complesso sciistico nella stagione invernale. Il piccolo centro di montagna
vanta numerose aziende industriali, tra cui la Piquadro, che garantiscono occupazione
e benessere in un’area geograficamente montagnosa.
Merito anche della lungimiranza delle amministrazioni comunali e di quella regionale,
che da sempre hanno favorito l’impianto di attività produttive nella zona.
Marco Palmieri afferma: “Questa disponibilità e apertura, al di là dei colori politici,
è la prova che, se si vuole fare del bene all’Italia delle piccole-medie imprese, vera
ricchezza del sistema Paese, si può”.
PARTICOLARE
DI FACCIATA:
ACCIAIO E VETRO
che
guscio
di borsa!
I numeri: 8.000 metri quadri, 13 metri di altezza per un volume complessivo di 82.500
mc, risolti in un contenitore di metallo tagliato da 1.300 metri quadri di superficie
vetrata.
Il progettista, architetto e designer Karim
Azzabi si occupa dell’immagine integrata di
Piquadro dal 2000 e, in stretta collaborazione con Marco Palmieri, ha realizzato tutti
i format dei negozi Piquadro, della creatività
pubblicitaria e del below the line, fino al progetto della nuova sede Piquadro nel 2004.
Il progetto architettonico della sede è una
delle componenti fondamentali della filosofia di comunicazione dell’azienda, che va
dalla definizione del prodotto, agli strumenti di diffusione, alla coerenza del marchio e
alla sua “riproducibilità” come immagine e
spazi nel mondo.
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Piquadro
Come appare decontestualizzato lo studio dei
punti vendita, definito per moduli accostabili,
ripetibili e flessibili per rispondere alle diverse
situazioni architettoniche, così anche l’edificio
della sede è pensato in chiave modulare come
un macro oggetto componibile e addizionabile,
non strettamente pensato per un luogo specifico, facendo così incontrare in modo sinergico
la dimensione architettonica con quella dell’industrial design.
Un sistema modulare, un’aggregazione di componenti uguali e ruotati di 180°, ripetibili, come
seriale è il prodotto industriale.
Il modulo è un contenitore chiuso e compatto
come un guscio, una borsa, uno zaino. L’involucro è levigato, l’acciaio trattato come una
pelle.
Il prodotto si fa oggetto, macro-oggetto, architettura che parla col linguaggio del terzo millennio.
Un’architettura emergente, affrancata dall’immagine del capannone industriale: segno nel
paesaggio, landmark. Al confine tra architettura e land art, oggetto fuori scala, intervento
nel-sul paesaggio.
Fuori contesto dal paesaggio, oggetto qui come
ovunque nel mondo, su qualsiasi paesaggio e
territorio del mondo globale.
Eppure fortemente integrato nel paesaggio: le
vetrate rispecchiano e specchiano il panorama
intorno, lo portano dentro e da dentro lo guardi
fuori.
“Fabbrica che non c’è” dice l’architetto.
Il concetto di fabbrica come luogo di produzione
è cambiato. La produzione è in Cina, secondo i
dettami della moderna economia occidentale.
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L’INTERNO È COERENTE CON L’ESTERNO, NEL RIGORE DEGLI
SPAZI E NELL’USO DI MATERIALI NATURALI
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Piquadro
Il concetto “tech inside” si esprime dal design
del prodotto di fabbrica all’architettura, dalla
modellazione del progetto architettonico, alla
logistica di cantiere (costruito in meno di due
anni), all’utilizzo di materiali innovativi lavorati
con tecnologie evolute, secondo i principi dell’eco sostenibile.
Di giorno, la lastra vetrata riflette come su una
pellicola cinematografica i cambiamenti della
luce, dei colori, delle stagioni dell’ambiente circostante.
La notte, l’oggetto si illumina dall’interno, trasparente, attraversato dalla luce come un ufo
atterrato, astratto, teatrale, altamente iconografico.
L’edificio presenta e ‘rappresenta’ in senso letterale
l’azienda: l’involucro ha forma morbida dagli spigoli arrotondati, la sua lettura bidimensionale richiama il lettering del logo Piquadro.
La parete vetrata rientra dalla cornice in lamiera grecata lasciando a vista la dentatura del cingolo. Cingolo,
elemento continuo, catena di montaggio. Cingolo, nastro
dentato per aggredire il terreno.
E anche cintura, cinta, fascia: richiama l’immagine della tracolla della borsa che ha poggiato sulla spalla di ciascuno.
Qui nell’era della “terza rivoluzione industriale”
si produce design e logistica, 6.000 mq. di magazzini di stoccaggio automatizzato. Un sistema
informatizzato capace di evadere gli ordini da tutto il mondo con consegna della merce in 24/48
ore.
Su un investimento complessivo di 8 milioni di
euro ben 1,3 milioni sono stati spesi per le nuove
tecnologie e un’informatizzazione avanzata di tutte le funzioni.
Un’area test con macchine che provano il prodotto per verificarne forza, resistenza, integrità
strutturale, idrorepellenza.
“Tech inside” Alta tecnologia. Una filosofia prima
che un metodo di lavoro.
Concetto formante, ma non ostentato nel prodotto Piquadro.
Design, comfort, tecnologia sono invece i tre elementi fondanti la ricerca Piquadro.
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Tech inside!
Cartelle trasformabili con parti amovibili che possono
assumere funzioni indipendenti, trolley con porta-computer o
portadocumenti staccabili, alloggiamenti particolari per tutta
la tecnologia di chi spostandosi deve avere i propri strumenti
di lavoro con sé, cellulari, palmari, notebook, ma anche
documenti, ombrelli, disegni tecnici.
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Replay
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Replay
DUE PAROLE CON...
Attilio Biancardi
PRESIDENTE DI FASHION BOX SPA
Lei è stato un collaboratore di Claudio Buziol dalla primissima ora fino alla sua prematura scomparsa nel
2005 e costituisce quindi anche la memoria storica dell’azienda. Come è nata l’idea di quest’architettura?
Quali erano gli obiettivi di Claudio?
L’edificio sede della Fashion Box è il risultato di un confronto durato due anni tra Claudio Buziol e gli
architetti Rodolfo Dacomo e Stefania Leonardi. L’idea di Claudio era chiara: distaccarsi dalla modernità
dell’industria per riproporre materiali e spazi vicini alla tradizione, quindi porsi, anche rispetto al sito
storico in cui l’edificio è costruito, come un elemento non avulso dal proprio contesto. Molte furono le
immagini e i libri che gli architetti riportarono dai loro viaggi di “ricerca”, non solo dagli Stati Uniti, ma
da tutta Europa.
In questo senso lo stabilimento non rappresenta solo uno stile “old america” ma tutta la cultura industriale europea a cavallo del secolo. Si pensi ai docks di Londra, Amsterdam, Amburgo fino alle manifatture
della Senna a Parigi e non ultimo al Molino Stucky a Venezia. In effetti gli architetti, laureatisi a Venezia,
guardavano al Molino Stucky come ad un modello di architettura internazionale che ben identificava la
serietà e la solidità dell’industria stessa.
Per quali aspetti questa architettura rappresenta il prodotto, la storia e l’identità Replay?
Claudio era da sempre interessato alle arti, non solo alla pittura, ma a tutto ciò che ruotava intorno alla
materia. Questo edificio, lo stile country dei primi negozi così come lo stile attuale, tutti caratterizzati
dall’uso dei materiali trasformati dall’invenzione e dall’umana sapienza, ben riflettono la sua idea di ricerca: questa fu la ragione principale del successo di Claudio Buziol.
Perché proprio la riproposta della fabbrica Old America? Quale messaggio rappresenta quest’architettura?
La volontà di Buziol fu di offrire un panorama rurale rilassante per tutti, unito all’idea di una sorta di college dove
andare ad elaborare le proprie idee. Tutto questo coincideva con l’idea di “fabbrica” che lui aveva in testa.
Che legame c’è tra la terra veneta e il sogno d’America?
Il Veneto è storicamente terra di emigrazione: centinaia di migliaia di persone lasciarono le nostre terre
tra il 1880 e il 1915 e poi successivamente, negli anni ‘50, alla volta dell’America che rappresentava il
sogno del futuro. E il mito americano si consolidò, Marlon Brando e James Dean erano icone che influenzavano i comportamenti e il vestire dei giovani dell’epoca. Anche Claudio ne fu fortemente influenzato e
ad essi si ispirò nella sua prima creatività.
La nostra terra è stata anche amata da grandi americani che qui hanno vissuto, chi per gran parte della
vita chi per qualche anno, per la cultura, per l’arte e non solo, da Ernest Hemingway a Peggy Guggenheim,
da Andy Warhol a Walt Disney e molti altri.
Parliamo degli interni, in cui prevale la tradizione con colori caldi, materiali naturali.... Come è stato
pensato “il dentro”?
Lo spirito dell’edificio imponeva l’uso di grandi open space per il lavoro di gruppo. I materiali strutturali,
il mattone dei muri perimetrali, il legno dei pavimenti, le colonne in ghisa, furono coniugati con pareti
divisorie in legno e vetro, scrivanie in teak, scale in ghisa e legno e molti altri dettagli al fine di rendere
l’ambiente di lavoro accogliente e gratificante, poiché questo era l’obiettivo.
Qual’ è la sensazione predominante per chi vi lavora?
Il grande uso di materiali di legno rende caldo e accogliente l’ambiente. La frenesia, i ritmi sempre più sostenuti, il debordare dell’elettronica, dei beep e delle spie luminose che lampeggiano, si disperdono nel silenzio
ovattato dei lunghi corridoi, dei grandi saloni degli showroom. Tutto ciò immerso nel verde delle colline che
lo circondano. Si potrebbe dire che qui si lavora in una frenetica tranquillità.
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Replay
Qual è il cuore di quest’edificio?
Senza dubbio l’ufficio stile dove vengono pensate e create le nostre
collezioni. Si trova all’ultimo piano, il più bello, in un ambiente mansardato con travi a vista e ampie finestrature, dove oggi lavorano
una trentina di persone.
Lo stabilimento Replay, con i suoi 25.000 metri quadrati fra i colli
asolani, non passa certo inosservato. Qual è stato l’impatto che ha
avuto sulla gente del luogo?
Effettivamente, ancora oggi, vedere questa ”vecchia” fabbrica fra le
colline asolane, dopo oltre dieci anni dalla costruzione, desta molta
curiosità, ammirazione e stupore. La gente locale la chiama “il castello” e molti turisti si fermano incuriositi per scattare foto ricordo.
Buziol era anche pittore, e così il giovane americano Thomas Garner che Claudio aveva assunto come Art Director. Che rapporto vede
tra moda e arte?
Già dal tempo dei negozi Replay Country Store, Claudio aveva in
mente di fondare una scuola di arti applicate, in cui giovani artisti
potessero sperimentare e realizzare invenzioni ed idee legate sia
al prodotto che alla rappresentazione degli spazi. Da qui nasce il
rapporto con Thomas Garner e molti altri artisti che collaborarono
alla creazione dell’immagine Replay. Per questo credo che fosse
nel suo DNA l’idea di salvaguardare il patrimonio del mondo del
lavoro e dell’arte per i giovani di domani.
Che legame c’è oggi tra i negozi Replay e la sede di Asolo?
Il legame è stretto. Il concept architettonico dei nostri store è lo
stesso che ispirò e caratterizzò la costruzione della nostra sede,
con l’utilizzo di materiali puri e solidi (legno, pietre, ferro) che
esprimono la solidità e l’immutabilità, quasi a sfidare la regola del
tempo e degli agenti atmosferici.
Nel 2006 è stata creata la fondazione Claudio Buziol, in collaborazione con la SDA Bocconi: quali sono le sue finalità ed i progetti
futuri?
L’idea della Fondazione Claudio Buziol nacque inizialmente da un
progetto congiunto con la SDA Bocconi, poi abbandonato. La Fondazione opera nei settori dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’istruzione e dell’educazione; in particolare sostiene iniziative e progetti
volti a sviluppare le capacità creative e artistiche dei giovani, perché realizzino il loro sogno professionale ed il loro progetto di vita.
Mi piace ricordare il concorso internazionale per giovani creativi
“A BOX OF DREAMS” rivolto a giovani designer di moda, l’istituzione di una cattedra triennale, intitolata a Claudio Buziol, presso
l’Università IUAV di Venezia, al fine di promuovere la sperimentazione delle ricerche sulla moda e sulle nuove tendenze, il contributo
all’ammodernamento e all’aggiornamento tecnologico del Reparto
di Cardiologia e Riabilitazione dell’Ospedale di Montebelluna (TV),
già oggetto, in passato, di generosi contributi da parte di Claudio
Buziol, il sostegno di progetti formativi per gli alunni di due scuole
nel sud dell’India, anche questo già iniziato da Buziol molti anni fa.
Ma diverse altre iniziative sono allo studio del comitato scientifico
per i prossimi anni.
L’ARCHITETTO RUDY DACOMO DISEGNA AD ASOLO UNA GROSSA FABBRICA CHE RICORDA LE COSTRUZIONI
INDUSTRIALI DELL’OTTOCENTO: NEGLI OCCHI LA MEMORIA DEL MOLINO STUCKY DI VENEZIA
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Replay
VISTA INTERNA
DELLA HALL
DI INGRESSO
“Per andare
dove, amico?”
“Non lo so,
ma dobbiamo
andare”
Il senso dell’edificio di Asolo è intimamente intessuto della vita
del suo fondatore.
Claudio, classe ’57, era un ragazzo in jeans, camicia all’americana e blouson di pelle.
Era un sognatore con un grande progetto.
Come Kerouac, che si avventura con il suo amico alla volta
della grande Chicago, Claudio si lascia alle spalle la merceria
dei genitori di Ciano del Montello e apre “Bambù” boutique di
jeans a Montebelluna. E poi fa il salto: Asolo, Milano e quindi
l’America.
E con il mito dell’America nel cuore, Claudio fa riprodurre ad
Asolo una costruzione industriale del primo ‘900, fedele a quel
modello nei minimi particolari.
Asolo, Treviso, Vicenza: un triangolo di terra veneta che è un
laboratorio unico di creatività nel settore della moda italiana e
internazionale.
Arrivando ad Asolo da Montebelluna, la statale è un lungo viale
alberato di platani. Sullo sfondo i colli del Montello, da un lato la
catena del Monte Grappa. Qui inizia la pianura, fino a Venezia e il
cemento e i capannoni del laborioso Veneto. In questo scenario
piatto si impone, come un set cinematografico appena allestito,
un fondale pitturato d’America.
Dal cinema Claudio assorbe l’idea di un paesaggio architettonico
che sia come un set cinematografico.
Addirittura resta affascinato a tal punto da una parola ripetuta a
margine dello schermo televisivo - replay - che ne fa il suo logo.
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1895, VENEZIA - MOLINO STUCKY DI ERNST WULLEKOPF
Claudio aveva conosciuto il giovane architetto Rudy Dacomo
in occasione dell’allestimento di uno stand per il gruppo di cui
faceva parte a “Milanovendemoda”: 1.200 mq in 15 giorni.
Un tipo come lui. La sintonia tra loro era perfetta.
Dacomo,assieme all’architetto Stefania Leonardi, aveva disegnato i primi negozi Replay.
Insieme avevano viaggiato molto negli Stati Uniti.
Nel Maine e nel Massachusetts, Claudio era rimasto folgorato dalle costruzioni industriali: voleva la sua fabbrica
proprio così, ne avevano discusso a lungo. Gli piaceva quello
che Dacomo gli aveva spiegato, che una costruzione industriale e una casa dell’Ottocento avevano delle affinità, che
poi si sono perse nella tipizzazione delle tipologie.
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Kiton
Replay
VISTE DI INTERNI CON ARREDI OLD AMERICA:
UFFICI PRODOTTO E COMMERCIALI, LA HALL DI INGRESSO
Dacomo e Leonardi abitavano a Venezia, alla Giudecca, vicino al Molino Stucky, un edificio del 1895 dell’architetto
Ernst Wullekopf. In origine, nel diciannovesimo secolo, era
adibito a granaio.
La facciata neogotica dello Stucky si inserisce nel pur
difficile scenario veneziano. E gli architetti Dacomo e
Leonardi decidono per un’operazione analoga per Replay:
un edificio a semicorte, in mattoni a vista.
Buziol ne è entusiasta e vuole anche la ciminiera, simbolo
della manifattura, come l’aveva il mattonificio di Ciano,
ma non ne otterrà il permesso.
L’edificio di Asolo è un blocco a U di tre piani, massiccio e
compatto. Il corpo centrale d’ingresso ha sul frontespizio il
logo dell’azienda con sopra lo stemma araldico, una pensilina su pilastri in ghisa e grandi finestroni verticali.
I due bracci laterali terminano con due torrette: un orologio a sinistra e le fasi lunari a destra.
Le facciate in mattoni a vista, impostate secondo una precisa simmetria, riquadrate e scandite da lesene. Le finestre
a bifora, con l’arco ribassato e conci d’imposta in evidenza.
Tutto è meticolosamente perfetto, ricostruito come una
scenografia appoggiata sul prato: la finzione deve essere
manifesta, per non scivolare nel kitsch.
Gli interni sono progettati secondo la filosofia dell’high
tech: pilastri in fusione di ghisa, soffitti a cassettoni e
travature in legno, lampade industriali, impianti a vista
convogliati in grossi tubi d’alluminio a soffitto.
La grande hall con un vecchio bancone, una cassettiera
americana da negozio di tessuti, la scala in legno e balaustra in ghisa nera, porte con vetri opalescenti, pavimenti
in legno.
Ad arredare, imponenti scrivanie e mobili in legno, vecchi
sedili in pelle.
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Replay
INTERNI HIGH TECH:
PILASTRI IN
GHISA, SOFFITTI
A TRAVATURE IN
LEGNO, IMPIANTI
CANALIZZATI A VISTA
Gli stabilimenti di Asolo, Treviso,
Altivole e Riese Pio X costituiscono le basi produttivo-logistiche dell’azienda.
La sede di Asolo, in particolare, è il
cuore nevralgico del sistema, dove
principalmente si concentrano la ricerca sul prodotto e l’elaborazione
creativa, dai primi sketches al prototipo, e dove il processo produttivo
viene pianificato e monitorato fino
alla realizzazione del capo finito.
Lo stabilimento è anche base logistica, dove la merce viene sottoposta al controllo qualità, stoccata e
infine spedita. Tutte le operazioni
sono monitorate da un innovativo
sistema informatico integrato.
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Un denim cult
Originalità e autenticità.
Jeans di alta qualità, attenzione ai dettagli e alla creatività
dello stile.
Oltre a calzature, intimo, accessori, occhiali.
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Trend
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Trend
DUE PAROLE CON...
Pino Bisazza
PRESIDENTE DI TREND GROUP SPA
Come mai una villa palladiana come sede di un’azienda che deve essere giocoforza
moderna e funzionale?
Ho sempre pensato che una struttura di prestigio, come un’antica villa, potesse far
risaltare al meglio un prodotto ricco come i mosaici. Si tratta di una visione ben in
sintonia con il loro posizionamento in alta gamma e poi i nostri prodotti hanno un
aspetto contemporaneo ma un’anima antica. Basta pensare ai tasselli con la foglia
d’oro racchiusa nel vetro, alla pietra avventurina, fino ai preziosi vetri colorati che
venivano usati per le vetrate delle cattedrali antiche, ora prodotti solo da pochissimi
artigiani nel mondo.
Parliamo dei progettisti. Come è nato il rapporto con Alessandro Mendini?
La difficoltà più grande consisteva nel trovare il modo per mostrare in maniera efficace i
mosaici, con le loro ponderose cartelle, con oltre 50 varianti di colore per ognuno. Così
telefonai ad Alessandro Mendini chiedendogli di trasformare la villa in modo che una tale
massa di proposte potesse avere un contenitore adeguato e funzionale, lui rispose così:
“questa è una bella sfida e le sfide mi piacciono”.
Al progetto di trasformazione della villa oltre a Mendini ha collaborato l’architetto
Vittorio Veller. Come è stata questa collaborazione a tre?
Già, non è stato facile mettere insieme due architetti di fama e non più giovani…e non
si conoscevano neppure personalmente! Con Mendini, che si è occupato perlopiù degli
interni, mi legava un rapporto di amicizia e di stima reciproca. Io e Veller, che ha seguito
gli esterni, eravamo invece compagni di liceo.
In che misura lei è intervenuto nei lavori di ristrutturazione di Villa alle Scalette condotti dai due architetti?
All’inizio il mio ruolo era simile a quello di una diaframma tra i due, poi si è sviluppato un
rapporto proficuo e di totale fiducia. La ristrutturazione mi ha visto molto coinvolto e,
nei due anni in cui si è svolta, quando ero in Italia passavo in cantiere ogni giorno.
E il rapporto con le varie amministrazioni pubbliche per il restauro?
È stato normale, direi corretto. Un intralcio è derivato soltanto dalla Provincia di Vicenza che a un certo punto, e mi domando ancora il perché, ha disconosciuto le delibere
edificatorie rilasciate dall’amministrazione comunale. Siamo ricorsi al TAR ed ora aspettiamo il ripristino di queste licenze.
Pensa che il successo nel recupero e nella riconversione di Villa alle Scalette possa
costituire un modello per altri imprenditori della zona?
In Veneto ci sono molte ville palladiane, alcune di queste sono utilizzate bene, altre
sono in decadenza. Un’azienda che sceglie una villa antica come sede svolge una doppia funzione: il restauro ben fatto di una testimonianza architettonica e il conferire
prestigio al proprio marchio. Una sede del genere costituisce veramente un lussuoso
veicolo di comunicazione che unisce visibilità e arte, un’elegante presenza sul territorio e sul mercato. Certo si tratta di operazioni costose, ma il ritorno di immagine
è grande.
IL BELVEDERE INTERNO, IL “POGGIO DEI CRISTALLI”
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Qual è il cuore di quest’edificio?
La villa è il cuore dell’azienda, che ha
stabilimenti in Europa, Nord America
e India.Quindi tutto è un centro nevralgico.
C’è una parte dell’azienda che le
piace in modo particolare?
Si, è il mio ufficio, che ben rispecchia la
mia personalità. Ci sono diverse opere
di pittura contemporanea, che è il mio
secondo amore. Ho quadri di Corpora,
Sironi, Music. Poi, il poggio, come uno
scrigno prezioso che c’è nella hall di
accoglienza, tutto rivestito in mosaico
d’oro con cristalli Swarovski e grandi
finestre.
Qual è l’oggetto, o l’elemento, nel
suo ufficio che le sta più a cuore?
Il grande tavolo di Carlo Scarpa che
usiamo per le riunioni. È essenziale
e racchiude una forte idea di convivialità.
All’interno della villa trovano spazio un centro fitness, un hammam e
un parco bellissimo. Sono i dipendenti
i fortunati fruitori?
La SPA all’interno dell’azienda offre
una possibilità di aggregazione fra le
persone che vi lavorano. E gli orari
di frequentazione sono vari; chi opera
con l’Estremo Oriente, ad esempio,
finisce di lavorare presto la sera, chi
segue l’America è più libero al mattino. Ci piace pensare che sia un piacere lavorare qui, quasi un privilegio,
come fosse un’oasi felice in città, in
cui si sentono gli uccelli cantare e
si vede il sole alzarsi attraverso gli
alberi. Non si può essere arrabbiati
quando si arriva qui.
UNA VILLA VENETA TARDO SEICENTESCA, IN STATO DI ABBANDONO NEL CENTRO DI VICENZA, RESTAURATA E RESTITUITA AL PATRIMONIO ARTISTICO
NAZIONALE, FA DA SCENARIO ALLA COLLEZIONE DI MOSAICI, SMALTI, PALLADIANE DI VETRO…UNA BELLEZZA DA PERDERSI DENTRO
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Da “villa di
villeggiatura”
a luogo
di lavoro
Inserita in un ricco contesto monumentale, di grande valore architettonico e paesaggistico, Villa alle Scalette prende il nome
dall’arco trionfale delle Scalette, oggi protetto dall’Unesco, fatto
erigere su disegno dell’architetto Palladio nel 1595, in onore della Serenissima Repubblica di Venezia.
La villa si sviluppa sulle dolci colline del Monte Berico. Vi si accede passando sotto l’Arco, da cui si sviluppano le “Scalette” che
costituiscono la via più antica, del XII secolo, per salire al Santuario di Monte Berico, attraverso un parco di tigli, ortensie, roseti
e prati. Sopra si trova il belvedere, che domina la città e si apre verso le Prealpi vicentine.
È una villa di villeggiatura degli ultimi anni del Seicento, costruita dall’antica e nobile famiglia veronese dei Dalla Tavola.
Andrea Palladio, massimo architetto veneto del ‘500 nel suo trattato “I quattro libri dell’architettura” scriveva: “Gli antichi Savi
solevano spesse volte usare di ritirarsi in simili luoghi, ove visitati da virtuosi amici e parenti loro, avendo case, giardini, fontane, e
simili luoghi sollazzevoli, e sopra tutto la loro virtù; potevano facilmente conseguir quella beata vita che qua giù si può ottenere”.
La villa di villeggiatura, nel suo rigore di volumi semplici, severi e chiusi, era altresì base per il governo delle campagne coltivate,
quindi anche luogo di lavoro.
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IN DETTAGLIO
LA FACCIATA
RESTAURATA
DALL’ARCHITETTO
VELLER
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L’EDIFICIO DI INGRESSO
ALLE “SCALETTE”DI MONTE
BERICO È IMPREZIOSITO
DALLA VOLTA DECORATA
A CIELO ANNUVOLATO
IN TESSERE DI SMALTO
VENEZIANO
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Pino Bisazza sceglie sapientemente due architetti di formazione diversa: Vittorio Veller,
allievo del grande architetto veneziano Carlo
Scarpa, per il restauro della villa e Alessandro
Mendini, Compasso d’oro per il design, un intellettuale del design attento ad un recupero colto
dell’artigianato, per gli interni.
Oltre al risanamento strutturale, lo Studio Veller ha condotto un restauro conservativo, recuperando gli elementi architettonici originari
della villa, con la ripresa dei materiali distintivi
delle ville venete, reinterpretati.
Sotto al piazzale del belvedere tenuto a prato,
ha ricavato un nuovo spazio di 1.300 mq, “una
piazza coperta”, con sale di rappresentanza, un
percorso per mostre di arte contemporanea, un
teatro da 85 posti e un centro fitness aperto ai
dipendenti; ha inserito nel parco un padiglione
dedicato ai designer e agli artisti ospiti.
Ha recuperato la piccola costruzione di ingresso alle “scalette” con un cielino “affrescato” a
mosaico.
Sono state aperte al pubblico alcune zone del
parco, con una scenografia per la musica e gli
spettacoli all’aperto.
PARETI, CORRIDOI... UN UNICO MOSAICO
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FOTOGRAFIA
OTTOCENTESCA
CHE RITRAE IL
COMPLESSO
ARCHITETTONICO
Pino Bisazza acquisisce la villa come sede per il
Gruppo Trend nel 2000.
Bisazza è un veneto legato alla sua terra, amante
dell’arte e dell’architettura, prima di essere un imprenditore.
Cerca per il Gruppo una sede storica. È una ricerca
lunga e non casuale, di un luogo affine all’alto grado
di artisticità e artigianalità del suo prodotto.
Quando poi la ricerca si imbatte nel degrado e
nell’abbandono in cui versa spesso il patrimonio
architettonico e artistico, diventa urgente per lui
la “necessità morale” di assumersi l’onere di riportare la villa all’antico splendore.
Per Pino Bisazza l’immagine della nuova sede doveva dichiarare
la sensibilità dell’azienda per l’arte e, nel gioco tra nuovo e antico, farsi comunicazione della ricchezza e versatilità dei materiali
e la loro applicazione, ai propri clienti, ma anche ai cultori del
design e dell’architettura.
L’Atelier Mendini ha accettato la sfida e ha rivisitato gli spazi interni con interventi decorativi a pavimento e a rivestimento, realizzati
con gli smalti, i mosaici d’oro e di vetro, la pietra e gli agglomerati, secondo un’applicazione metodica dei materiali a catalogo,
mescolati e integrati ai materiali storici, pietra e legno.
SCHIZZO DI PROGETTO DI ALESSANDRO MENDINI:
LA CASISTICA DEI MATERIALI E I PAVIMENTI AI PIANI
Mosaici che sono opere d’arte
Mosaici artistici in vetro ed agglomerati in graniglia di vetro o
quarzo e granito, formati speciali e misure inedite,
Una ricerca in progress di nuovi materiali, ma anche di accostamenti materici e cromatici: suggestive trasparenze multicolori, sorprendenti iridescenze per decorare spazi privati e
pubblici, terme, hotel e negozi.
Il restauro e il riutilizzo di questo complesso è
l’esempio di come l’imprenditoria privata possa
intervenire dove l’Amministrazione pubblica non
riesce a sostenere il patrimonio architettonico e
artistico, con un’operazione ad alta visibilità artistico-culturale. Scelta di un imprenditore illuminato
attento al sociale, ma anche scelta strategica di un
luogo antico che stimola la creatività degli allestimenti interni, ne risalta la varietà cromatica, lascia
la scena aperta alle sperimentazioni sui materiali.
LO STUDIO DI PINO BISAZZA
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Vicini
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DUE PAROLE CON...
Giuseppe Zanotti
PRESIDENTE DI VICINI SPA
Come siete arrivati alla costruzione della vostra nuova azienda?
Abbiamo costruito quest’azienda nel 2000 per creare un contenitore intorno al nostro ufficio
stile, la sola struttura che prima ci apparteneva, ampliandolo e completandolo.
Con le frequenti richieste di collaborare anche per altre collezioni, io e mia moglie Cinzia
abbiamo avvertito la necessità di creare un vero centro di progettazione di tutto ciò che sta
intorno alla scarpa, bello da vivere e da vedere, che racchiudesse tutta la cultura e il nostro
know-how di prodotto.
In che modo interagisce con le altre due unità, la vostra precedente sede e l’altra, da voi
acquisita, di Riccione?
Tutte le nostre unità sono legate tra loro dalle proprie marcate specificità: c’è la struttura
specializzata nella produzione di stivali e quella per i sandali da sera. Poi abbiamo addirittura
acquistato un’azienda che fa solo ricami e, di recente, anche un tacchificio. Tutte parti indispensabili per realizzare calzature che facciano sognare!
Sappiamo che lei è intervenuto nella progettazione dello stabilimento. Ce ne vuole parlare?
Il mio principale assillo era quello della luce: volevo un ambiente in cui la luce naturale e artificiale interagissero armoniosamente. È la luce che ci fa percepire le atmosfere, i colori nelle
loro fiammature e ombreggiature. Addirittura ci sono in azienda angoli di luce ottenuti da lampade che sposto a seconda del momento, per meglio captare le suggestioni dei materiali.
Quali input ha dato all’architetto Miriam Benini? Com’è stato il rapporto con lei?
Da me sono arrivati input funzionali e a volte estetici, che poi lei ha tradotto tecnicamente.
Devo dire che ci accomuna un “gusto simile”, che ha portato a soluzioni condivise, in nome di
una moderna essenzialità, come le porte a scomparsa sulle pareti esterne, la razionalità delle
ampie vetrate e la scala triangolare in cemento armato, che poi prosegue sino a diventare un
ballatoio che unisce i vari ambienti e il pavimento in graniglia di cemento grigio perla per non
falsare i colori.
Esiste una struttura a cui si è ispirato per la sede di Vicini?
Sin da ragazzo ero incredibilmente affascinato dalla Colonia Agip costruita a Cesenatico nei
1938, in stile razionalista e ancora modernissima. Negli edifici mi piacciono molto, in generale, le architetture che evocano un’idea di compattezza e di rigore, l’acciaio e il cemento, la
purezza delle linee.
L’architettura è una sua passione, vero?
Mi piace l’architettura perché io la applico costantemente alla scarpa, nella fusione quasi
alchemica delle componenti e delle proporzioni, affinché unisca solidità e leggerezza.
Anche la fotografia e l’arte contemporanea rientrano nei suoi interessi: ci sono opere artistiche all’interno dell’azienda?
Non in azienda, quelle le tengo a casa mia; per quello che è il mio spirito, mi sembrerebbe
un’ostentazione nei confronti delle persone che vi lavorano.
Ci sono all’interno dello stabilimento aree pensate per il benessere di vostri dipendenti?
Mi piace pensare all’azienda come a un luogo operante nel massimo rispetto delle leggi (in
questo sono quasi maniacale…), la climatizzazione, gli impianti sempre a norma, le giuste
luci ma… una fabbrica è sempre una fabbrica, lo svago e l’edonismo credo siano da vivere
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al di fuori. Non c’è neppure una vera e propria mensa, piuttosto una stanza in cui mangia
chi si ferma durante la pausa. Qui siamo nella
provincia romagnola e c’è tuttora il culto del
pranzo in famiglia; gli operai abitano quasi tutti nelle vicinanze e riescono ad andare a casa.
La proposta di fare orario continuato, nei mesi
estivi, non è stata accolta con entusiasmo, a
parte il favore di alcuni fra i più giovani.
C’è un’area della fabbrica particolarmente
avanzata da un punto di vista tecnologico?
È l’ufficio modelleria, l’area in cui il design diventa tecnica, attraverso simulazioni in che anticipano il lancio in produzione.
E la stanza in cui le piace di più stare?
Oltre al mio ufficio, nel magazzino delle pelli,
il regno del caos creativo, un posto carico di
colori, materie e suggestioni, dove si respira
appieno la pelle. Un irrinunciabile stimolo per
le mie percezioni.
Come è il suo ufficio?
Non è certo un ufficio “di lusso”. È un luogo, ovviamente disordinatissimo, che parla di creatività e di vita vissuta; io non riesco a buttar
via niente di ciò che ho fatto in passato (e mia
moglie Cinzia è legata al passato ancor più di
me), quindi ci sono disegni, prototipi, campioni
di pelle e accessori che risalgono agli ultimi
10 anni. Dietro la mia scrivania c’è una foto
di Padre Pio e molte foto di celebrities con i
complimenti e messaggi di ringraziamento per
le mie scarpe...
Lei percepisce la sua azienda più come uno
stabilimento tecnologicamente avanzato o come
un grande laboratorio artigianale?
Entrambe le cose. È piuttosto un luogo in cui la
tradizione si fonde con la modernità: un piede
nel ‘900, dunque, e un occhio al terzo millennio.
L’IMPATTO VISIVO DALL’AUTOSTRADA: BIANCO E AZZURRO. CEMENTO BIANCO LE PARETI DI FACCIATA E AZZURRO IL BLOCCO VETRATO
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PARTICOLARE DI
FACCIATA DEL
BLOCCO VETRATO
A UFFICI
“Sempre
un
villaggio...”
“Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l’azzurra visione di San Marino”
(da “Romagna” di Giovanni Pascoli)
Terra di Romagna. Siamo a S.Mauro Pascoli.
Dal secolo scorso è un paese di forte e antica tradizione calzaturiera, quando alcuni
ciabattini usavano allestire bancarelle nelle
fiere. Dopo la seconda guerra mondiale le
botteghe artigiane si moltiplicarono; durante
l’estate, per il caldo, i calzolai uscivano sulla
strada per lavorare all’aperto con deschetti
e arnesi.
Durante il “miracolo economico” hanno il coraggio di rischiare, si ampliano e si trasformano in vere e proprie industrie.
Giuseppe Zanotti aveva due passioni: la musica e il disegno, con la matita che scorre
sulla carta e libera forme di fantasia.
E’ cosi che decide di fare davvero lo stilista e
comincia a disegnare per calzaturifici di fama.
Sono gli anni ’80, ha poco più di vent’anni, ma
in provincia a volte si cresce in fretta.
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Dieci anni dopo decide di mettersi in proprio, rileva un’azienda che lui definisce
“un ufficio stile allargato” perché dello stile, della ricerca, della creatività doveva fare il proprio cuore pulsante.
Qui Giuseppe Zanotti realizza un sogno, il sogno di ragiungere ogni giorno
Londra, Parigi, New York e il mondo, creando uno degli oggetti più amati
dalle donne.
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Kiton
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Scendendo sulla A14, all’altezza della zona artigianale
di San Mauro, l’edificio ci sorprende nel paesaggio
piano.
La costruzione è del 2000, su progetto di Miriam Benini, giovane architetto di Cesena.
Ci fa pensare che la “Bella Italia” non è fatta solo di
patrimonio storico, ma è densa di episodi contemporanei di buona architettura.
La Benini disegna per Zanotti uno stand per il MICAM
del ’97: si riconoscono in un “gusto comune” e da allora Zanotti le farà disegnare altri stand, negozi, poi la
sede di San Mauro e la sua villa.
“Una fabbrica è sempre una fabbrica” dice Zanotti.
La funzionalità è basilare, il rispetto di leggi e regolamentazioni doveroso, lo star bene è nello spirito dei
romagnoli.
Il percorso mentale del progetto, che sia di un edifico
o di una scarpa, alla fine non è così diverso: si tratta di volumi che dialogano e contengono, piani che si
rincorrono ma stanno in piedi, materiali e colori che
rivestono la pelle, luci che suggeriscono effetti.
Gli oggetti di questo stilista spesso sono vere architetture, costruzioni coraggiose e azzardate, quasi
provocatorie.
L’edificio, col fronte principale, si allinea sulla visuale
che si ha dall’Autostrada.
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L’occhio impatta sulle superfici in cemento imbiancato del muro d’accompagnamento e del fronte continuo di ingresso, che subito gioca di contrasto
con il blocco in vetro bianco e azzurro.
L’uso della superficie compatta, liscia e non forata è stato un elemento
compositivo dell’architettura razionalista.
La grana dura del cemento è ripresa nel portale a U che “tiene” il blocco
vetrato degli uffici.
La Benini si era laureata con una tesi sull’architettura fascista, della quale
questa terra conserva ancora gli esempi.
Zanotti cita, dai ricordi del suo girovagare di ragazzo, la Colonia marina
AGIP di Cesenatico, capolavoro dell’architettura razionalista, del 1938, di
Giuseppe Vaccaro.
Sulla riviera adriatica sono usuali all’occhio le linde costruzioni delle colonie,
esempi del Movimento Moderno italiano tra le due guerre.
VISTE IN INTERNI: LA HALL DI INGRESSO, LA SCALA
A PIANTA TRIANGOLARE, LA SALA RIUNIONI
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Dal perimetro trapezoidale del terreno, è derivata la
forma dell’edificio e utilizzando l’angolo acuto, sono disegnate le scale.
Una scala triangolare, aerea, svelta, in cemento unito
all’alluminio satinato, ci lascia su un corridoio ballatoio
di accesso agli uffici direzionali e alla sala riunioni.
La luce esterna cade zenitale dalla vetrata sul vano scala e rischiara gli uffici, che sono definiti da diaframmi
vetrati, realizzati su disegno.
Mentre l’illuminazione artificiale è risolta da righe di
neon bianco.
E’ tutto così semplice ed essenziale, che parrebbero segni alla Dan Flavin.
“Differentemente dalla Colonia, però, che è trasparente,
attraversata dalla luce - sottolinea l’architetto Benini – il
parallelepipedo degli uffici qui è un blocco vetrato che rifrange la luce.”
Da fuori non si vede il dentro: la luce è solo una promessa,
che è però mantenuta quando si entra e si guarda fuori.
L’architettura assembla i due grossi volumi - quello pieno,
orizzontale, più propriamente produttivo e quello vetrato,
verticale degli uffici - assecondando così l’immagine alla
funzione.
La percezione dei volumi è alleggerita dallo sfalsamento
dei piani sull’angolo della visuale principale.
Il rigore anticipa la funzionalità interna, che poi è assicurata.
Di notte, l’illuminazione radente esalta il bianco delle superfici.
Il volume vetrato mostra la sua pelle riflettente liscia, appena segnato dai moduli, con il solo foro dell’ingresso.
Le vetrate sono scandite da profili orizzontali in sporgenza. Alla luce della notte danno l’effetto di rigature bianche
e il vetro si annulla nella sua pelle liscia.
“Cinque notti di prove, per ottenere quest’effetto!” ci racconta l’architetto.
Negli interni, ci accoglie la stessa elegante chiarezza.
L’atrio della zona produttiva è in graniglia di marmo grigio
a pavimento, le pareti interne in vetro opalino, gli arredi
su disegno dai colori nitidi.
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Luce naturale e artificiale si integrano negli spazi di lavoro, dai laboratori all’ufficio stile, per rendere visibile
al massimo la qualità dei materiali, la suggestione degli
accostamenti, la posizione dei piani, l’effetto emozionale
di un oggetto che qui è un oggetto di culto.
La “mente” dell’azienda è l’ufficio stile, regno di Zanotti.
Ma il luogo più pregnante è esattamente sotto all’ufficio del
capo: il magazzino pelli, denso dell’odore del cuoio, ricco
dei colori delle pezze tinte, pieno di sorprese e segreti.
Qui il mestiere è ancora antico.
Scarpe che sono un’architettura
Star del red carpet,
dive di Hollywood,
esponenti del jet set internazionale e socialites
di ogni tipo hanno fatto
delle calzature disegnate da Giuseppe Zanotti
un irrinunciabile
amuleto.
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Bibliografia
UN’INDUSTRIA PER IL DESIGN; Mario Mastropietro e Rolando Gorla;
Edizioni Lybra Immagine; 1999
ALBERTO DEL BIONDI, INDUSTRIA DEL DESIGN; Edizioni Skira; 2006
TESSILFORM, PATRIZIA PEPE FIRENZE; 2000
TECH INSIDE, Edizioni Electa; 2006
LA FORZA DEL SOGNO: CLAUDIO BUZIOL E LA REPLAY; Beppe Donazzan;
Marsilio Editori; 2006
TREND IN VILLA: UN LUOGO DI LAVORO E DI CULTURA; Federica Bisazza,
Margherita Cocco e Matteo Vercelloni; Edizioni Electa; 2006
GIUSEPPE VACCARO E LA COLONIA AGIP DI CESENATICO; Giauluca Riguzzi;
Bollettino mensile n. 322 – 04/2000 del Rotary International di Cesenatico
COORDINAMENTO EDITORIALE: DAVID PAMBIANCO
PROGETTO GRAFICO: MAI ESTEVE
INTERVISTE: GLORIA MAGNI
TESTI DESCRITTIVI: FABRIZIA IACCI
STAMPA: GRAFICHE ERREDUE
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