in allegato il documento - Ordine degli Avvocati Bari

Nota a Ordinanza Cass. civile, sez. III, sent. 17 giugno 2013 n. 15113
Con questa Ordinanza Interlocutoria Corte di Cassazione torna ad esprimersi sulla incerta
relazione tra l’istituto del comodato ed il provvedimento del giudice della separazione relativo alla
assegnazione della casa familiare ponendo, previa puntuale ricostruzione degli orientamenti
giurisprudenziali e dottrinali degli ultimi anni, un argine ai precedenti giurisprudenziali della
medesima Corte con la rimessione della questione alle Sezioni Unite.
Il caso. La fattispecie riguarda il conflitto insorto tra il proprietario di un immobile - concesso in
comodato al figlio perché vi abitasse con la famiglia - e la nuora. A seguito della intervenuta
separazione fra i coniugi, la sentenza disponeva l’assegnazione della casa coniugale alla moglie
affidataria del figlio minorenne.
Il fulcro della questione risiede sulle sorti del contratto di comodato concesso da un terzo ed il
successivo provvedimento del giudice di assegnazione della casa coniugale.
Il comodato (o prestito d’uso) è il contratto essenzialmente a titolo gratuito con cui una parte (c.d.
comodante) consegna all’altra parte (c.d. comodatario) una cosa, mobile o immobile, “affinché se
ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta”
(art. 1803 c.c.).
Quanto alla natura del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, secondo il
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito, questo costituisce a
vantaggio del coniuge assegnatario, un diritto di godimento di natura personale e non reale attesa
sia la tassatività e tipicità dei diritti reali sia l’aticipicità di tale diritto, la cui durata è del tutto
incerta ed il cui contenuto è mutevole visto che dipende dal titolo in base al quale i coniugi
dispongono della casa coniugale 1.
La ordinanza in commento, tuttavia, sul punto esprime alcune perplessità discostandosi
dall’assunto in base al quale il giudice, in sede di separazione e divorzio, possa sostituire il titolo
che sottende all’utilizzo dell’immobile (proprietà, locazione, comodato ecc.), imprimendo
all’assegnazione la natura giuridica di diritto di godimento di natura personale.
Nel caso di specie, il giudice di prime cure aveva rigettato la domanda del suocero comodante
conformandosi all’orientamento delineato da Cass. 10/12/1996 n. 10977 secondo il quale il
provvedimento di assegnazione della casa familiare, in caso di separazione o divorzio, sostituisce
il contratto di comodato. Infatti il titolo di godimento dell’assegnatario è costituito dal
provvedimento del giudice che ne determina anche la durata ( nel caso di contratto di comodato
senza determinazione del termine) avendo riguardo all’esaurimento della destinazione funzionale
dell’immobile a casa familiare.
Tale interpretazione – si ribadisce non condivisa dalla successiva giurisprudenza di legittimità trova sostegno nell’art. 2908 c.c. il quale sancisce che “nei casi previsti dalla legge, l'autorità
giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i
loro eredi o aventi causa” e di conseguenza il provvedimento giudiziale che dispone
l’assegnazione della casa familiare può essere opposto ai terzi ex art. 1599 c.c. entro il novennio se
non trascritto ma avente date certa e, oltre il novennio, se trascritto.
In secondo grado la Corte d’Appello di Lecce, pur rigettando nuovamente il gravame proposto dal
proprietario dell’immobile, si discosta dall’orientamento seguito dal giudice di primo grado
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Cfr. Cass. 3/03/2006 n. 4719; Cass. 19/09/2005 n. 18476.
dichiarando espressamente di volersi uniformare ai principi enunciati successivamente da Cass.,
SS. UU., 21/07/2004 n. 13603.
Le Sezione Unite con questa nota sentenza hanno tracciato un solco all’interno del quale la
pronunce successive sono andate via via inserendosi, stabilendo che “quando un terzo (nella specie:
il genitore di uno dei coniugi) abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia
destinato a casa familiare, il successivo provvedimento - pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio
- di assegnazione in favore del coniuge (nella specie: la nuora del comodante) affidatario di figli minorenni o
convivente con figlio maggiorenne non autosufficiente senza sua colpa, non modifica né la natura né il
contenuto del titolo di godimento sull'immobile, atteso che l'ordinamento non stabilisce una
"funzionalizzazione assoluta" del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella
solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge
assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei
coniugi dalla utilizzazione in atto e a "concentrare" il godimento del bene in favore della persona
dell'assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento
da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale”.
La Cassazione, quindi, preliminarmente afferma che il provvedimento di assegnazione della casa
familiare non sostituisce l’originario contratto di comodato (contraddicendosi lì dove afferma che
il giudice imprime – sostanzialmente modificando il titolo originario – all’assegnazione la natura
giuridica di diritto personale di godimento) ravvisando una successione ex lege del coniuge
assegnatario nell’originario rapporto, tuttavia la stessa Corte distingue le varie fattispecie a
seconda del tipo di comodato.
Nel caso di comodato a termine, il proprietario dell’immobile ha diritto alla restituzione ex art.
1809, I comma, c.c., di converso, qualora il comodato sia convenzionalmente stabilito a tempo
indeterminato “il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso
previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai
sensi dell'art. 1809, comma II, c.c”.
Ciò sta a significare che, nell’ipotesi in cui la stipula del contratto di comodato sia stata fatta senza
indicazione del termine finale ed espressamente finalizzata alla soddisfazione delle esigenze
abitative della famiglia, si imprime allo stesso contratto un vincolo di destinazione “idoneo a
conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto,
anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo
esclusivamente dalla volontà, "ad nutum", del comodante”. Di conseguenza, una volta accertato il
vincolo di destinazione dell’immobile, non si verte più nell’ipotesi di cui all’art 1810 cod.civ. (cd.
comodato precario che prevede la restituzione immediata della cosa qualora il contratto non
preveda un termine né questo possa essere stabilito dall’uso cui la cosa è destinata ), ma in quella
di cui all’art 1809, II comma, cod.civ.
Sul punto, sempre le Sezioni Unite con la su indicata sentenza del 2004 specificano che “in caso di
comodato avente ad oggetto un bene immobile, stipulato senza la determinazione di un termine finale,
l'individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari non può essere
desunta sulla base della mera natura immobiliare del bene, concesso in godimento dal comodante, ma implica
un accertamento in fatto, di competenza del giudice del merito, che postula una specifica verifica della
comune intenzione delle parti, compiuta attraverso una valutazione globale dell'intero contesto nel quale il
contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le medesime, degli interessi perseguiti e di ogni altro
elemento che possa far luce sulla effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua
destinazione a casa familiare”.
Quindi nel caso in cui venga posto in essere un contratto di comodato verbale da parte di un
genitore, senza indicazione del termine finale, sarà compito del giudice di merito accertare se la
destinazione dell’immobile sia stata posta a soddisfacimento dei bisogni familiari o in favore del
solo figlio. Nel primo caso, il comodante proprietario non potrebbe recuperare la disponibilità
dell’immobile fino al raggiungimento dell’indipendenza economica dell’ultimo figlio minorenne
dei coniugi, salvo il sopravvenire di un suo urgente e impreveduto bisogno ex art. 1809, II comma,
cod.civ. . Ciò con l’ovvia conseguenza di costringere il terzo a dimostrare, in sede giudiziaria, la
sopraggiunta autonomia economica del figlio convivente col genitore comodatario.
Questa indicazione fornita dagli ermellini nel 2004, applicata anche alla famiglia di fatto2, desta
non poche perplessità, attesa l’evidente compressione dei diritti del proprietario-comodante. La
valutazione nel merito, caso per caso, potrà dare adito a difformità giurisprudenziali sull’intero
territorio nazionale.
Alcune difficoltà interpretative sorgono anche a causa del quadro normativo lacunoso e relativo
alla assegnazione della casa familiare. Nel nostro ordinamento manca una disciplina organica
volta a disciplinare le possibili incidenze del provvedimento di assegnazione nei riguardi di tutte
le possibili situazioni giuridiche che si possano configurare in relazione alla detenzione
dell’immobile, fatta eccezione per la locazione ex art. 6, l. 392/19783.
Sul punto, la ordinanza in commento richiama altri orientamenti della stessa Corte anche in ordine
a fattispecie differenti4.
La citata sentenza delle SS. UU., 21/07/2004 n. 13603 non spiega, per altro: “a) quando e come
insorga il vincolo di destinazione a casa familiare; b) quale sia il momento di relativa cessazione; c) quale sia
il regime di relativa opponibilità”.
La Corte, al fine di individuare il momento “iniziale” di destinazione dell’immobile a casa
familiare, prende in considerazione l’ipotesi in cui “il solo coniuge stipulante sia parte formale e
sostanziale del contratto (come, ad esempio, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato prima del
matrimonio, e anche prima che i futuri coniugi si conoscessero, e solo successivamente alla celebrazione
l'immobile che ne costituisce oggetto venga dal titolare adibito a residenza del costituito nucleo familiare)”.
In tal caso il coniuge non stipulante e i figli non possono essere considerati quali “titolari in
proprio del diritto reale di godimento”.
Nell’esigenza di dare rilievo al momento in cui sorge il vincolo di destinazione a casa familiare, la
ordinanza in commento cita, quale ulteriore esempio, un’altra pronuncia nella quale si sanciva che
il diritto di assegnazione in uso della casa familiare nasce, nel caso di coniuge superstite, solamente
al momento dell'apertura della successione del de cuius non avendosi riguardo invece alla
destinazione funzionale dell'immobile a casa familiare durante la vita dell’ereditando5.
Cass., 21/6/2011, n. 13592
L’art. 6 l. 392/1978 dispone che: “in caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione
degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella
casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo. In caso di separazione consensuale o di nullità matrimoniale
al conduttore succede l’altro coniuge se tra i due si sia così convenuto”. A tal proposito, la Corte Costituzionale con
sentenza 7 aprile 1988, n. 404, ha dichiarato: l’illegittimità costituzionale del prima comma nella parte in cui non prevede
tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio;
l’illegittimità cost. del terzo comma, nella parte in cui non prevede che il coniuge separato di fatto succeda al conduttore,
se tra i due si sia così convenuto; l’illegittimità dell’art. 6, nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di
locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del già convivente quando vi sia prole naturale.
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Cfr. Cass., 7/7/2010, n. 15986.
V. Cass., 13/1/2009, n. 463 e Cass., 30/7/2004, n. 14594, nelle quali la Corte ha ritenuto applicabile l’art. 756 c.c. anche
nell’ipotesi di un immobile che, in vita dell'ereditando, ha ricevuto la destinazione funzionale a casa familiare con la
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Ciò sta a significare che il vincolo di destinazione a casa familiare impresso dall’ereditando in vita
risulta irrilevante importando, invece, il momento dell’apertura della successione.
Inoltre di recente, la stessa Corte di Cassazione, ha ribadito che “l'assegnazione al coniuge affidatario
dei figli, in sede di separazione, del godimento dell'immobile di proprietà esclusiva dell'altro non impedisce al
creditore di quest'ultimo di pignorarlo e di determinarne la vendita coattiva”6. Risultando per ciò
inopponibile al creditore il vincolo di destinazione impresso all’immobile quale casa familiare.
Il quadro giurisprudenziale delineato riconosce al creditore del coniuge titolare del diritto di
proprietà maggiori garanzie di quanto spetti al terzo comodante proprietario dell’immobile, che
potrebbe attendere moltissimo tempo prima di poter recuperare il pieno possesso del proprio
bene.
Sulla scia di tali pronunce, l’estensore della ordinanza in commento è fortemente critico circa la
soluzione delineata dalle Sezioni Unite del 2004 che, pur affermando come postulato, che il
provvedimento di assegnazione della casa familiare non sostituisce l’originario contratto di
comodato, e che bisogna evitare una "sostanziale espropriazione delle facoltà e dei diritti connessi alla
sua titolarità sull'immobile, con evidenti riflessi sulla sfera costituzionale della tutela del risparmio e della
sua funzione previdenziale", perviene a soluzioni palesemente in contrasto. “In tal modo si finisce,
infatti, per riconoscere sostanzialmente al provvedimento giudiziale proprio quel potere che in via di
principio viceversa si intende(va) negargli” soprattutto nell’ipotesi di contratto di comodato a tempo
indeterminato”.
Peraltro lacunosamente la nota sentenza delle Sezioni Unite del 2004 non distingue la posizione
giuridica del coniuge proprietario, da quella del comodante genitore del beneficiario e da quella
del terzo comodante.
Tale distinzione risulta importantissima proprio in ossequio del rispetto dei principi costituzionali.
Difatti, se la compressione del diritto reale del coniuge proprietario trova infatti il suo fondamento
costituzionale nella tutela della famiglia, dei coniugi e dei figli (artt. 29 - 31 Cost.), e nella
funzionalizzazione della proprietà ex art. 42 Cost., comma 3, a salvaguardia della solidarietà
coniugale e postconiugale, tale copertura costituzionale non può essere invece invocata nel caso di
terzo proprietario dell’immobile. Nel tentativo di individuare una soluzione giuridicamente
apprezzabile, infatti, con riferimento al comodante genitore del beneficiario, la terza sezione
suggerisce l’applicapibilità dell’art. 148 c.c. quale concorso negli oneri per l'assolvimento da parte
dei figli agli obblighi di cui all'art. 147 c.c. nei confronti della rispettiva prole.
Il problema, come egregiamente sostenuto dalla ordinanza del 2013, è il punto di partenza da cui
muove la decisione del 2004, ovvero quello “di considerare l'affidamento e l'interesse del figlio quale
unico presupposto legittimante il provvedimento di assegnazione e di ritenere il diritto del figlio al
mantenimento (e al persistente godimento dell'habitat familiare) fino a quando non raggiunga
l'autosufficienza economica (cfr., da ultimo Cass., 15/2/2012, n. 2171; Cass., 8/2/2012, n. 1773; Cass.,
9/5/2013, n. 11020)”. Come già evidenziato, tale interpretazione giurisprudenziale non tiene conto
del fatto che alcune “assegnazioni” corrono il rischio di protrarsi nel tempo in maniera indefinita,
conseguenza che si è deciso per la preferenza del titolo vantato dal creditore ipotecario sull'immobile destinato a casa
familiare rispetto al coniuge del debitore, attesa la relativa anteriorità rispetto all'acquisto da parte di quest'ultimo del
diritto di abitazione sull'immobile ex art. 540 c.c., comma . Di converso, il diritto di abitazione del coniuge può al
massimo convertirsi nell'equivalente monetario da farsi valere sull'eventuale residuo all'esito del processo esecutivo, in
corrispondenza dei diritti rimasti estinti.
6 v. Cass., 19/7/2012, n. 12466.
anche in ragione dell’attuale fenomeno della disoccupazione giovanile, ciò a scapito del titolare
proprietario dell’immobile che, vede mutilati e non garanti i propri diritti.
A tal proposito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 454 del 1989, aveva chiarito che il giudice
della separazione non crea un titolo di legittimazione ad abitare per uno dei due coniugi ma
«conserva» la destinazione dell'immobile, con il suo arredo, nella funzione di residenza familiare.
La soluzione prospettata dalla Cassazione nel 2004 – come ampiamente sottolineato - riconosce in
capo all’assegnatario un diritto maggiormente garantito rispetto a quello vantato dall’originario
comodante/titolare dell’immobile che è comunque terzo. Ma questo terzo è comunque estraneo al
rapporto di coniugio ed ai conseguenti doveri di solidarietà fra coniugi e, a seguito della crisi
familiare, è sempre terzo rispetto alle esigenze garanzia dell’habitat domestico per i figli
minorenni.
Pertanto, mossa dall’esigenza di bilanciare e contemperare i vari interessi in gioco, la ordinanza in
commento individua, rinviandone la soluzione alle sezioni unite, quale possibile ipotesi
interpretativa, “la concessione al precarista o all'assegnatario della possibilità di rilasciare
l'immobile, all'esito della domanda di restituzione, entro un termine congruo, giudizialmente
determinato in assenza di accordo tra le parti, idoneo a consentirgli di trovare altro alloggio,
valutate le circostanze concrete del caso”.
Tale orientamento, peraltro già precedentemente al 2004, proprio nelle ipotesi di uso precario di
casa familiare ex art 1810 c.c.7, si rifà alla regola generale delle obbligazioni di cui all’art 1183 c.c.
che sancisce che se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il
creditore può esigerla immediatamente; qualora tuttavia, in virtù degli usi o per la natura della
prestazione ovvero per il modo o il luogo dell'esecuzione, sia necessario un termine, questo, in
mancanza di accordo delle parti, è stabilito dal giudice.
Ultimo profilo analizzato dalla sentenza in esame è il regime della trascrizione del provvedimento
di assegnazione della casa familiare.
La trascrizione del provvedimento di assegnazione è stata introdotta dalla l. 74/1987 che ha
novellato l’art 6 l. 898/19708 sancendo che l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo
acquirente ex art.1559 c.c.9. Successivamente le Sezioni Unite, con la sentenza del 26/7/2002, n.
11096, hanno stabilito che “ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 6, comma 6, (nel testo sostituito
dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 11), applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento
giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è
opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data
dell'assegnazione, ovvero - ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto - anche oltre i nove anni".
Ma, il legislatore nel 2006 con l'introduzione dell'art. 155-quater c.c., ha disposto che
il provvedimento di assegnazione e quello di revoca siano trascrivibili ed opponibili ai sensi
dell'art. 2643 c.c., tacendo però circa l'operatività dell’art. 6, comma 6, l. 898/1970.
La novella del 2006, che doveva essere risolutiva in ordine a tale questione, ha comunque creato
altri dubbi interpretativi in seno alla dottrina e alla giurisprudenza.
v. Cass., 17/10/2001, n. 12655; Cass., 10/8/1988, n. 4921. V. anche Cass., 8/10/1997, n. 9775; Cass., 22/3/1994, n. 2750,
Cass., 26/1/1995, n. 929; Cass., 18/6/1993, n. 6804
8 Con sentenza del
27/07/1989 n. 454 la Corte Costituzionale ha esteso la trascrizione anche al provvedimento di
assegnazione della casa coniugale adottato nel corso del procedimento di separazione .
9 L’art . 1599 c.c. sancisce che il contratto di locazione è opponibile al terzo acquirente, se ha data certa anteriore
all'alienazione della cosa a
nche se non trascritto nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione
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Posto che, per stabilire il regime dell’opponibilità ai terzi di un determinato atto o domanda
giudiziale, bisogna avere riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione10, un
primo orientamento maggioritario, a cui aderisce anche la ordinanza in commento, ritiene che l’art.
155 quater avrebbe implicitamente abrogato l'art. 6 comma 6 della legge sul divorzio e, di
conseguenza, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare (sia esso di fonte
contenziosa ovvero consensuale) sarebbe opponibile ai terzi acquirenti solo ove trascritto
anteriormente alla trascrizione dell'atto di acquisto da parte del terzo.
Altro orientamento ritiene, invece, che l'art. 155 quater c.c. non avrebbe abrogato l’art. 6, comma 6,
l. 898/1970 di modo che permarrebbe il richiamo da quest'ultimo operato all'art. 1599 c.c. e quindi
ciò comporterebbe l’opponibilità del provvedimento di assegnazione anche in mancanza di
trascrizione, nei limiti del novennio11.
Evidenziata tale querelle interpretativa, la terza sezione infine richiama l’art. 2645-ter c.c. il quale
dispone che “Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono
destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica
beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche
amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere
trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi
può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti
e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire
oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per
tale scopo”.
In particolare, la corte di legittimità, seguendo un orientamento dottrinario, ritiene tale
disposizione idonea a rendere opponibile ai terzi la destinazione funzionale a casa familiare prima
e anche a prescindere della crisi del rapporto di coniugio atteso che ai sensi dell’art. 2645 ter c.c.
tale vincolo può essere posto non solo dal proprietario dell’immobile ma anche da qualsiasi
interessato, in questo caso anche da parte di chi vanti un diritto personale di godimento ovvero
l’altro coniuge e i figli12.
La terza sezione con l’ordinanza in commento, ricostruita così l’impasse legislativo e
giurisprudenziale e ricercate alcune soluzioni rimanda la questione al primo Presidente per
un’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Ci si auspica che la corte di legittimità ancora una volta a Sezioni Unite, adotti una soluzione
idonea a distinguere le posizioni del comodante-coniuge da quella del comodante-terzo al fine di
riequilibrare le esigenze, entrambe tutelabili, dei diritti dei componenti della famiglia e quelli
altrettanto meritevoli di tutela della proprietà.
Avv. Michela Labriola
Avv. Arianna Abbruzzese
10
v. Cass., 18/9/2009, n. 20144.
11
Cfr. Cass. 18 settembre 2009, n. 20144)
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Così come emerge dal combinato disposto dell’art. 80 l. 392/1978, in tema di locazione di immobili, e dall'art. 246 c.n.,
comma 2, per la locazione di nave ordine al potere di creazione del vincolo di destinazione del locatario della nave ex art.
246 c.n., comma 2.