opponibilita` dei vincoli non trascritti e obbligo di denuncia degli atti

OPPONIBILITA’ DEI VINCOLI NON TRASCRITTI
E OBBLIGO DI DENUNCIA DEGLI ATTI DI TRASFERIMENTO
EFFICACIA DEI VINCOLI IMPOSTI ANTE 1939 E NON TRASCRITTI
La formalità della trascrizione non era contemplata dalla legge n. 364 del 1909, ma è stata
prevista soltanto dalle leggi successive (in primo luogo, dalla L. n. 1089 del 1939, poi dal
D.Lgs. n. 490 del 1999 e, infine, dal D.Lgs. n. 42 del 2004).
Un consolidato orientamento giurisprudenziale afferma, conseguentemente, che la
notificazione del vincolo di importante interesse storico – artistico, effettuata al
proprietario (ma anche al possessore o al mero detentore del bene) ai sensi dell’art. 5 della
L. n. 364/1909, è da sola sufficiente a determinare l’insorgenza del vincolo sulla cosa e
dell’obbligo di denuncia degli eventuali atti che ne trasferiscono la proprietà (così: Cons.
Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6067; sez. VI, 20 novembre 1995, n. 1321; sez. VI, 8
gennaio 1991, n. 1; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 4 settembre 1995, n. 419; Cass. civ.,
sez. un., 9 dicembre 1985, n. 6180; T.A.R. Lazio, sez. II, 17 ottobre 1983, n. 900).
E’ pacifico, infatti, sia in dottrina che in giurisprudenza, che la trascrizione del decreto di
vincolo abbia, per i vincoli apposti anteriormente al 1939, valore di mera “pubblicità
notizia”, con la conseguenza che l’omissione della trascrizione non pregiudica in alcun
modo l’efficacia del vincolo sulla cosa, né esclude la sua opponibilità ai terzi e,
segnatamente, agli aventi causa dall’originario proprietario del bene.
Quanto sopra è stato ribadito dalla giurisprudenza anche in tempi recenti (cfr.: Cons. Stato,
sez. IV, n. 6067/2002 cit.), muovendo dalla considerazione che tutte le leggi successive al
1939, pur avendo previsto come doverosa la ricognizione e la trascrizione dei vincoli
imposti sulla base delle leggi previgenti e, segnatamente, della L. n. 364/1909, hanno pur
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sempre fatti salvi gli effetti di detti vincoli, a prescindere dall’assolvimento dell’onere della
loro trascrizione (così l’art. 71 della L. n. 1089/1939, l’art. 13 del D.Lgs. n. 490/1999, l’art.
128 del D.Lgs. n. 42/2004).
L’OBBLIGO DI DENUNCIA DEGLI ATTI DI ALIENAZIONE E LE
CONSEGUENZE DELLA SUA VIOLAZIONE
Tutti gli atti di alienazione (non solo gli atti di compravendita, ma anche le successioni
mortis causa e gli atti di cessione del bene, quale parte di un ramo d’azienda, posto che la
legge parla genericamente di atti con cui vengono trasferite la proprietà o la detenzione del
bene) devono essere denunciati alla competente Sovrintendenza (cfr.: art. 5 L. n.
364/1909; art. 30 L. n. 1089/1939; art. 58 D.Lgs. n. 490/1999; art. 59 D.Lgs. n. 42/2004).
La denuncia è da sempre prevista in funzione dell’esercizio del diritto di prelazione
spettante allo Stato (ma oggi anche alle regioni e agli enti locali) sui beni vincolati che sono
oggetto di trasferimento.
In proposito, l’art. 61 del D.Lgs. n. 42/2004, oggi vigente, stabilisce che il Ministero possa
esercitare il diritto di prelazione entro 60 giorni dalla ricezione della denuncia con cui
l’alienante comunica ad esso i dati identificativi del bene, i nominativi e il domicilio delle
parti, nonché gli elementi essenziali del contratto (si noti che il termine di 60 giorni
previsto dal primo comma dell’art. 61 del D.Lgs. n. 42/2004 diventa di 180 giorni quando
la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente).
Onde garantire l’effettivo rispetto dell’obbligo di denuncia ed evitare che l’esercizio del
diritto di prelazione possa restare inibito dalla mancata tempestiva denuncia dell’atto di
trasferimento, il legislatore ha disposto, da un lato, che la mancata denuncia, nel termine
perentorio di trenta giorni dalla stipulazione dell’atto di alienazione, costituisce (ove il fatto
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sia consapevole ed intenzionale) reato punibile con la reclusione sino ad un anno e con la
multa da 1.549,50 a 77.469,00 euro (cfr. art. 173 D. Lgs 22 gennaio 2004 n. 42), dall’altro,
che la omessa denuncia comporta in ogni caso (sia essa dolosa o colposa) la nullità
dell’atto di trasferimento (così l’art. 164 del citato D.Lgs.).
Al riguardo, è bene precisare che l’omissione della denuncia dell’atto di trasferimento non
impedisce in assoluto l’effetto traslativo in favore dell’acquirente. La nullità disposta dal
primo comma del citato articolo 164 è, infatti, da considerarsi relativa, in quanto è stabilita
nel solo interesse dello Stato e non può essere fatta valere nei rapporti tra privati (cfr.:
Cass. civ, sez. II, 24 maggio 2005, n. 10920; sez. III, 12 ottobre 1998 n. 10083; sez. un., 9
dicembre 1985, n. 6180).
La nullità disposta dall’art. 164 non opera, pertanto, alla stregua dell’omonimo istituto
civilistico, costituendo, al contrario, espressione di un potere di acquisizione coattiva delle
cose di interesse storico ed artistico di proprietà dei privati, da esercitarsi in occasione di
negozi di trasferimento della proprietà medesima (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 30
gennaio 1991, n. 58).
D’altro canto, la violazione dell’obbligo di denuncia lascia intatto il potere dello Stato sul
bene sottoposto a vincolo, giacché la mancata presentazione della denuncia non fa
decorrere il termine di sessanta giorni accordato dall’art. 61 del D.Lgs. n. 42 del 2004,
per l’esercizio del diritto di prelazione.
LA PARTICOLARE SANATORIA PREVISTA NEL 1997
Nel 1997 il legislatore introdusse una speciale forma di sanatoria per tutti gli atti di
alienazione di immobili vincolati ai sensi della L. n. 364/1909, che fossero stati stipulati
prima dell’1.1.1998 senza effettuare alcuna comunicazione al Ministero.
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Stabiliva, infatti, l’art. 12, comma 3, della legge n. 127/1997, che gli aventi diritto
potessero sanare la nullità degli atti di acquisto ed inibire l’esercizio del diritto di prelazione
da parte dello Stato semplicemente chiedendo, entro un anno dall’entrata in vigore della
legge, che il vincolo fosse oggetto di ricognizione, di nuova notificazione e di successiva
trascrizione nei registri immobiliari.
La disposizione in commento fu poi abrogata dalla L. n. 191/1998 e reintrodotta, con
effetti limitati al 1999, dall’art. 33 della L. n. 448 del 23.12.1998.
La ratio della norma era, comunque, proprio quella di consentire a quanti avessero
acquisito la proprietà dei beni vincolati ai sensi della l. n. 364/1909, ignorando l’esistenza
del vincolo per la mancanza della relativa trascrizione, di porre al riparo il loro acquisto
dalla sanzione della nullità e dal rischio che lo Stato potesse esercitare su tale acquisto il
diritto di prelazione.
L’esistenza di detta norma conferma, pertanto, sia pure indirettamente, la piena operatività
ed opponibilità dei vincoli apposti prima del 1939, ancorché non trascritti nei registri
immobiliari.
TEMPO CONCESSO PER L’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI PRELAZIONE
In considerazione degli effetti largamente pregiudizievoli che possono derivare
dall’omissione della denuncia, soprattutto nei casi in cui l’atto di trasferimento non
denunciato sia particolarmente risalente, ci si è chiesti se il diritto di prelazione spettante al
Ministero possa essere esercitato anche in pregiudizio di quegli acquirenti, che avessero nel
frattempo maturato i presupposti per invocare a loro favore l’usucapione, avendo
goduto, successivamente all’acquisto, del possesso continuato e pacifico del bene soggetto
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a vincolo per almeno dieci o vent’anni (periodi rispettivamente richiesti dalla legge per
l’usucapione abbreviata e per quella ordinaria).
Ancora una volta la giurisprudenza si è pronunciata a favore dell’Amministrazione,
ammettendo che il diritto di prelazione possa essere esercitato anche molti anni dopo
l’avvenuto trasferimento del bene; in particolare, è stato affermato che l’istituto
dell’usucapione non è idoneo ad evitare l’esercizio, nei confronti dell’acquirente di un bene
vincolato, del diritto di prelazione spettante allo Stato, anche se tale diritto viene esercitato
in un momento di gran lunga posteriore alla vendita non regolarmente denunciata (così:
Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 1982, n. 129; Id., 30 gennaio 1991, n. 58; T.A.R. Lazio,
sez. II, 26 gennaio 1990, n. 224).
IL PREZZO CHE L’AMMINISTRAZIONE DEVE CORRISPONDERE PER
ESERCITARE IL DIRITTO DI PRELAZIONE
Come si è già intuito, assume fondamentale importanza stabilire quale prezzo
l’Amministrazione sia tenuta a corrispondere all’alienante qualora intenda esercitare il
diritto di prelazione e, segnatamente, quale prezzo debba essere corrisposto se il diritto di
prelazione venga esercitato con riguardo ad atti risalenti nel tempo.
L’art. 60 del D.Lgs. n. 42/2004 stabilisce in proposito che il prezzo che l’Amministrazione
è tenuta a corrispondere al venditore, quando intenda esercitare il diritto di prelazione, è
quello indicato nell’atto di alienazione o di conferimento, precisando che, quando il
bene è alienato con altri per un unico corrispettivo o è ceduto senza previsione di prezzo,
il valore economico sia determinato d’ufficio dal soggetto che esercita la prelazione.
L’applicazione della norma non presenta particolari problemi quando il diritto di
prelazione venga esercitato in conseguenza della tempestiva denuncia dell’atto di
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alienazione, giacché in tale ipotesi il venditore del bene vincolato riceve dallo Stato lo
stesso prezzo dichiarato nell’atto di vendita.
Ben più gravi possono essere, invece, le conseguenze per il venditore allorché il Ministero
eserciti il diritto di prelazione a distanza di molti anni dall’avvenuto trasferimento, per non
avere ricevuto la prescritta denuncia dell’atto di alienazione del bene. In tal caso, infatti, la
giurisprudenza ha ritenuto che la prelazione possa essere esercitata allo stesso prezzo
dichiarato nell’atto di trasferimento non denunciato e, dunque, in ipotesi, ad un prezzo
assolutamente irrisorio e di gran lunga inferiore all’attuale valore del bene.
Si è osservato, al riguardo, che il venditore non può neppure reclamare la rivalutazione
dell’importo dichiarato illo tempore ed il conseguente adeguamento del prezzo secondo gli
indici di svalutazione monetaria. Ed invero, poiché le alienazioni non denunciate non le
sono in alcun modo opponibili, l’Amministrazione conserva intatto il potere di esercitare il
diritto di prelazione in correlazione al primo trasferimento ed al prezzo in esso indicato.
Tale assunto trova conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, il quale ha avuto
modo di affermare che, “in caso di mancata denuncia del negozio traslativo della proprietà di un bene
sottoposto a vincolo storico – artistico, l’amministrazione ha la possibilità di esercitare in ogni tempo il
diritto di prelazione per il permanere dell’obiettiva condizione di assoluta inefficacia del negozio,
conseguente alla sua mancata notifica, anche a distanza di molti anni ed a condizioni di mercato assai
mutate.” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 gennaio 1991 n. 58).
Nella stessa sentenza il Consiglio di Stato aggiunge che “non è illegittima per tardività la
prelazione esercitata dall’amministrazione nei confronti di un bene assoggettato a vincolo artistico, dopo più
di dieci anni dalla sua alienazione originaria, seguita da altri successivi passaggi di proprietà, per il prezzo
allora pattuito, se i suddetti atti di trasferimento non le siano mai stati denunciati in modo completo, con
l’indicazione dei dati e con gli elementi dal regolamento tuttora vigente”.
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Con riferimento alla medesima vicenda giudicata dal Consiglio di Stato (la vicenda, nota
come caso Beyeler, riguardava la vendita del famoso quadro di Van Gogh “Il giardiniere”,
per la quale era stata inviata al Ministero una denuncia incompleta, di talché il Ministero
aveva esercitato il diritto di prelazione solo alcuni anni più tardi, quando il dipinto aveva
notevolmente incrementato il suo valore) si sono espressi, del resto, anche il T.A.R. Lazio
(Sez. II, 26 gennaio 1990 n. 224) e la Corte Costituzionale (20 giugno 1995, n. 269),
giungendo entrambi alle stesse conclusioni.
La Corte Costituzionale, in particolare, ha rilevato come il prezzo da erogare non può
essere altro che quello pattuito all’atto del trasferimento (e non quello corrispondente al
valore venale del bene all’atto della prelazione), giacché il danno economico che i
contraenti vengono a subire in conseguenza del ritardato esercizio della prelazione
da parte dell’Amministrazione non è che la conseguenza diretta della mancata
presentazione di una regolare denuncia.
In termini analoghi è anche la citata sentenza del T.A.R. Lazio, secondo cui, il fatto che sia
sempre fatto salvo il potere dell’Amministrazione di esercitare la prelazione, allorché l’atto
di alienazione compiuto non rispetti gli adempimenti prescritti, non può che ritenersi la
logica conseguenza sanzionatoria nei confronti degli interessati, nell’ambito di un
procedimento che esige assoluta trasparenza e totale osservanza delle prescrizioni di legge.
CONSIDERAZIONI CRITICHE
Personalmente, ritengo tale orientamento giurisprudenziale criticabile, poiché finisce con
l’attribuire al potere di cui l’Amministrazione dispone una funzione sanzionatoria, che è
totalmente estranea alla finalità per cui il diritto di prelazione è stato per legge previsto.
Pacifica, infatti, è la riconduzione di tale diritto ad un potere di natura ablativa, vale a
dire di un potere espropriativo, eppertanto non è concepibile che esso venga esercitato
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senza che il proprietario riceva dall’Amministrazione quel serio ristoro imposto dall’art. 42
della Costituzione.
La mancata denuncia dell’atto di trasferimento è, a mio giudizio, adeguatamente sanzionata
con la nullità dell’atto stesso e con la sua esposizione, in ogni tempo, all’esercizio del diritto
di prelazione. Ciò che la legge intende garantire all’Amministrazione è che essa possa
esercitare il diritto di prelazione nel momento in cui venga a conoscenza del trasferimento
del bene, non che essa possa arricchirsi a danno dei privati. Non vedo, dunque, perché
l’Amministrazione non dovrebbe corrispondere il prezzo dichiarato nell’atto di
trasferimento opportunamente rivalutato.
Tale conclusione deve valere, a maggior ragione, per gli atti di trasferimento riguardanti
beni immobili vincolati ai sensi della L. n. 364 del 1909, per i quali non sia stata curata la
trascrizione del vincolo nei registri immobiliari.
La ricognizione e la trascrizione dei vincoli antecedenti alla legge del 1939 costituisce,
infatti, attività doverosa per la Pubblica Amministrazione (tale dovere, infatti, era già
contemplato nell’art. 71 della L. n. 1089 del 1939). Non si giustifica, quindi, che la stessa
Amministrazione possa ricevere un vantaggio da tale omissione, esercitando il diritto di
prelazione a condizioni economiche inique e a sostanziale danno di soggetti che non
meritano l’applicazione di alcuna sanzione perché, ignorando senza colpa l’esistenza del
vincolo (non trascritto), hanno acquistato in buona fede la proprietà del bene.
Che la tesi sostenuta dai giudici nazionali e dalla stessa Corte Costituzionale non appaia del
tutto persuasiva è comprovato dal fatto che il protagonista della vicenda più sopra
ricordata (il cittadino svizzero Beyeler) si rivolse successivamente alla Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, ottenendo dalla stessa non già la restituzione del dipinto, ormai
definitivamente acquisito allo Stato italiano, ma comunque la condanna del nostro Paese al
pagamento di un cospicuo risarcimento.
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RIMEDI
Sarebbe del tutto inutile, per il proprietario del bene che intendesse opporsi all’esercizio
del diritto di prelazione per un prezzo irrisorio, stipulare dei contratti di locazione o
costituire sull’immobile dei diritti reali di godimento a favore di soggetti terzi, giacché
tutti questi atti verrebbero travolti e privati di ogni effetto qualora il Ministero dovesse
esercitare il temuto diritto di prelazione.
E’ stato chiarito, infatti, che l’esercizio di tale diritto, che ricordo essere espressione di un
potere ablatorio, determina l’automatica cessazione del rapporto di locazione stipulato dal
precedente proprietario (così: Cons. Stato, sez. VI, 30 aprile 1997, n. 679; Cass. civ., sez.
III, 21 giugno 1995, n. 7020). In nessun modo, quindi, la presenza di contratti di locazione
o di diritti reali di godimento potrebbe rappresentare un serio ostacolo all’esercizio del
diritto di prelazione da parte dello Stato o di altro Ente interessato.
Vengo da ultimo ad affrontare il tema, altrettanto delicato, della tutela spettante
all’acquirente del bene vincolato nei confronti del venditore, che abbia omesso di
effettuare la denuncia prescritta per legge.
La sola forma di tutela accordata a colui che in buona fede abbia acquistato un immobile
vincolato e se ne trovi privato per effetto dell’esercizio del diritto di prelazione da parte
dello Stato è rappresentata, secondo la giurisprudenza, dalla possibilità di agire nei
confronti del proprio dante causa, per chiedere la restituzione del prezzo versato, il
rimborso delle spese sostenute ed il risarcimento dei danni subiti.
La Corte di Cassazione ha precisato, in proposito, che il compratore può agire nei
confronti del venditore ai sensi dell’art. 1483 del codice civile (si tratta dell’azione di
evizione) entro il termine decennale di prescrizione, decorrente non già dalla data
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dell’atto di acquisto in relazione al quale è stata esercitata la prelazione, bensì dal passaggio
in giudicato della sentenza che accerta in via definitiva l’acquisizione del bene da parte
dell’Amministrazione (cfr. Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2001, n. 9642).
Altre sentenze, invece, hanno ipotizzato la responsabilità del venditore in base all’art. 1338
cod. civ. (così: Cass. civ., sez. un., 9 dicembre 1985, n. 6180; Cons. Stato, sez. IV, 7
novembre 2002, n. 6067).
Questa seconda tesi lascia maggiormente perplessi, non solo perché i contratti non
denunciati sono affetti – come detto – da nullità relativa (che non opera tra le parti, ma
può essere fatta valere soltanto dall’Amministrazione), ma anche perché la responsabilità
prevista dall’art. 1338 c.c. grava, come noto, soltanto su colui che, conoscendo o dovendo
conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non l’abbia resa nota alla
controparte (situazione, questa, che potrebbe non ricorrere affatto, in specie tutte le volte
in cui sia il venditore che l’acquirente fossero all’oscuro dell’esistenza del vincolo).
Comunque stiano le cose, è peraltro evidente che, una volta esercitato il diritto di
prelazione con specifico riguardo ad un singolo atto di alienazione, restano
necessariamente travolti anche tutti gli atti di trasferimento successivi, che da quello
dipendono, con la conseguenza che ciascun acquirente potrà pretendere dal suo dante
causa (quanto meno) la restituzione del prezzo di acquisto del bene.
Ed invero, il prezzo corrisposto dallo Stato, nel momento in cui esercita il diritto di
prelazione, non può certo spettare all’ultimo proprietario, ovverosia all’ultimo acquirente
del bene vincolato, ma soltanto a quel venditore (od ai suoi eredi), nei confronti del quale
la prelazione viene effettivamente esercitata.
(Alessandro Calegari)