Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Ottica e Optometria Tesi di Laurea Triennale Progetto e sviluppo di un prototipo per applicazioni della Spettroscopia Raman all’oftalmologia: Sistema ottico di puntamento. Candidato: Relatore: Pio Alfonso Russo Prof.ssa Maria Antonietta Ricci Matricola 257182 Correlatore: Dott.ssa Armida Sodo Anno Accademico 2008-2009 Abstract La degenerazione maculare senile (AMD da Age-related Macular Degeneration) è nel mondo occidentale la prima causa di cecità tra la popolazione con età superiore ai 60 anni. La AMD viene spesso diagnosticata in modo casuale nel corso di comuni visite di controllo. La zona retinica colpita è quella centrale, chiamata macula lutea dal colore giallo arancio dovuto alla presenza di pigmenti appartenenti alla famiglia dei carotenoidi, quali ad esempio, la luteina e la zeaxantina. La mancanza di cure efficaci che possano far regredire o rallentare la patologia AMD, ha focalizzato l’interesse sulla possibilità di intervenire preventivamente. Infatti è stato verificato che nelle persone affette da questa patologia, la concentrazione di carotenoidi nella macula è più bassa della media. A tale scopo si ritiene necessario stimare la concentrazione dei due carotenoidi di interesse. Riuscire a quantificare e conoscere la distribuzione spaziale dei livelli di luteina e zeaxantina, in maniera accurata e riproducibile, è fondamentale per capire il ruolo che svolgono i due carotenoidi nel diminuire il fattore di rischio verso la patologia. L’interesse si è quindi spostato verso tecniche ottiche specialistiche, che fornissero con un esame oggettivo dati riproducibili. Una di queste è la spettroscopia Raman, che presenta indiscutibili vantaggi essendo non distruttiva e ad alta risoluzione spaziale. Questa tesi ha come obiettivo il progetto e la realizzazione di un nuovo sistema di puntamento con scansione ottica della zona maculare da accoppiare a uno spettrometro Raman di nuova generazione. Lo scopo è di ricostruire una mappa della distribuzione e delle concentrazioni dei pigmenti e rendere le misure riproducibili con un’adeguata tecnica di imaging. Nel corso di questo lavoro sono stati sviluppati e realizzati i seguenti obiettivi: la rilevazione e l’acquisizione dell’immagine retinica con buon contrasto; l’implementazione di un software che gestisca il gruppo ottico di scansione per effettuare la misura della distribuzione dei pigmenti maculari; lo sviluppo di un software grafico che interfacci lo strumento e l’operatore; un software di simulazione che verifichi l’idea della mappatura ripetuta n volte, come soluzione per migliorare il rapporto S/N durante la misura per il calcolo della distribuzione dei pigmenti. 1 La teoria è quando si sa tutto e niente funziona. La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa il perché. Noi abbiamo messo insieme la teoria e la pratica: non c’è niente che funzioni... e nessuno sa il perché! Albert Einstein Indice Introduzione 1 1 Maculopatie Degenerative 3 1.1 Forme degenerative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1.2 Ruolo dei Carotenoidi nell’AMD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 2 Metodologie di misura 10 2.1 Fotometria Flicker Eterocromatica (HFP) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 2.2 Autofluorescenza (AF) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 2.3 Spettroscopia Raman . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 3 Progetto DODRAS 18 3.1 Descrizione generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 3.2 Sistema ottico di ingrandimento e illuminazione. . . . . . . . . . . . . . . . 21 3.3 Sistema ottico di puntamento e raccolta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 3.4 Graphical User Interface (GUI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 3.5 Energia massima somministrata, tempo di stabilità e stabilità dell’immagine 30 3.6 Strategia software per migliorare il rapporto S/N. . . . . . . . . . . . . . . . 32 4 Appendice 37 4.1 Richiami di Anatomia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 4.2 Patogenesi AMD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 4.3 Sintomatologia e diagnosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 4.4 Trattamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 Bibliografia 46 i Introduzione La Degenerazione Maculare Senile (AMD) La degenerazione maculare senile ( o AMD da Age-related Macular Degeneration) è nel mondo occidentale la prima causa di cecità tra la popolazione con età superiore ai 60 anni. La AMD viene diagnosticata spesso in modo casuale nel corso di comuni visite di controllo in pazienti adulti, che accusano diminuzione visiva generica. La zona retinica colpita è quella centrale, chiamata macula lutea dal colore giallo arancio dovuto alla presenza di pigmenti appartenenti alla famiglia dei carotenoidi, quali ad esempio, la luteina e la zeaxantina. Alcuni di questi, presenti in natura nelle verdure a foglia larga di colore verde scuro e nella frutta di colore principalmente giallo e arancione, sono stati messi in correlazione con la patologia AMD. Infatti è stato verificato che nelle persone affette da questa patologia, la concentrazione di questi carotenoidi nella macula è più bassa della media. Inoltre è stata riscontrata una correlazione tra una dieta povera di alimenti ricchi di luteina e zeaxantina e la concentrazione di questi pigmenti a livello maculare. La mancanza di cure efficaci, che possano far regredire o rallentare la patologia AMD, ha focalizzato l’interesse sulla possibilità di intervenire preventivamente agendo su modelli di rischio. A tale scopo si ritiene necessario poter effettuare la misura della concentrazione dei due carotenoidi nella macula. Riuscire a quantificare e conoscere la distribuzione spaziale dei livelli di luteina e zeaxantina, in maniera accurata e riproducibile, è fondamentale per capire il ruolo che svolgono i due carotenoidi nel diminuire il fattore di rischio verso la patologia. Uno dei più comuni metodi per la quantificazione dei pigmenti maculari è l’HFP (Heterochromatic Fliker Photometry). Questo è un test psicofisico soggettivo che richiede una buona acutezza visiva del soggetto e che è quindi poco utilizzabile per pazienti con avanzata patologia. L’HFP non considera errori dovuti alla presenza di aberrazioni cromatiche 1 2 oculari e alla risposta soggettiva del paziente nell’interpretazione degli stimoli luminosi. Tutto ciò rende i risultati poco riproducibili. L’interesse si è quindi spostato verso tecniche ottiche più specialistiche che fornissero con un esame oggettivo dati riproducibili. Queste sono state individuate nella spettroscopia Raman[1] e nell’autofluorescenza[2]. Verso la fine degli anni ’90 Bernstein e Gellerman [1] [3] [4], hanno iniziato ad effettuare i primi studi sulla possibilità di impiegare la spettroscopia Raman per l’identificazione e la quantificazione di questi carotenoidi. La spettroscopia Raman presenta indiscutibili vantaggi essendo una tecnica non distruttiva e con alta risoluzione spaziale. Un prototipo nato da questi studi è utilizzato in fase sperimentale presso un ospedale del nord Italia, ma le misure che si ottengono presentano problemi di riproducibilità. Dopo contatti tra l’Exall, una PMI del Lazio attiva nel campo dei prodotti medicofarmaceutici e il Gruppo Liquidi del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di RomaTre è nata l’idea di sviluppare un progetto di innovazione tecnologica per sopperire a questi inconvenienti. Questa tesi ha come obiettivo il progetto di un nuovo sistema di puntamento con scansione ottica della zona maculare con lo scopo di ricostruire una mappa della distribuzione e delle concentrazioni dei pigmenti e rendere le misure riproducibili con un’adeguata tecnica di imaging. Capitolo 1 Maculopatie Degenerative 1.1 Forme degenerative Le degenerazioni maculari sono un gruppo eterogeneo di malattie, caratterizzate da una progressiva degenerazione delle cellule della regione maculare retinica, zona che permette la visione centrale distinta. Le patologie che colpiscono la macula portano inevitabilmente alla progressiva ed irreversibile perdita della visione. La causa più frequente della degenerazione è dovuta alla Degenerazione Maculare Senile (più conosciuta come AMD dall’inglese: Age-related Macular Degeneration), patologia che interessa principalmente persone con età superiore ai 50 anni ed è la principale causa di cecità ‘legale’ (ovvero visus inferiore a 1/10). Altre patologie non meno importanti della macula sono la degenerazione maculare miopica, la maculopatia diabetica e le maculopatie eredofamiliari. La degenerazione maculare senile può assumere due forme: ∙ Forma atrofica o secca ∙ Forma essudativa o umida FORMA ATROFICA I quadri clinici dell’AMD nella forma atrofica possono presentarsi sotto varie forme: drusen, atrofia a carta geografica o areolare. Le drusen o corpi colloidi sono formazioni degenerative di forma rotondeggiante, giallastre, presenti soprattutto al polo posteriore. Istologicamente si distinguono in drusen dure, piccole, a margini netti e drusen soffici a margini non ben definiti, che tendono a confluire e a diventare più grandi (fig.1.1). 3 1.1 Forme degenerative 4 Nel corso dell’indagine fluorangiografica le drusen presentano aspetti differenti: quelle dure diventano iperfluorescenti nei primi angiogrammi mentre quelle soffici sono ipofluorescenti. Nelle fasi tardive, le drusen dure perdono la loro iperfluorescenza mentre le drusen soffici diventano iperfluorescenti in quanto si impregnano di colorante. Le drusen possono rimanere invariate per anni senza alcun segno clinico, oppure evolvere verso la forma atrofica o essudativa. La vista diminuisce soprattutto nella forma evoluta, ma generalmente l’evoluzione è molto lenta. Figura 1.1: AMD Atrofica. Fluorangiografia di un occhio destro: si notino la testa del nervo ottico con i principali vasi (lato destro) e le evidenti drusen nella zona maculare, segno di patologia in atto. FORMA ESSUDATIVA Tale forma è caratterizzata da una neovascolarizzazione sottoretinica a partenza coroideale associata o meno ad un distacco sieroso dell’epitelio pigmentato. Queste lesioni tendono normalmente ad evolvere, compaiono essudati duri disposti a corona attorno alla lesione e spesso sono presenti delle emorragie. Il processo di neovascolarizzazione forma una membrana costituita da piccoli vasi provenienti dalla coroide i quali normalmente non dovrebbero essere presenti e sono caratterizzati da conformazioni anomale. Con il passare del tempo la lesione tende a estendersi, i margini diventano frastagliati, indistinti, si forma una cicatrice fibrosa e inizia una distruzione in profondità dei tessuti retinici (fig.1.2). 1.1 Forme degenerative 5 Figura 1.2: AMD Essudativa. Evoluzione di una neovascolarizzazione sottoretinica con formazione di essudati duri disposti a corona intorno alla zona maculare. Formazione di una cicatrice fibrosa con distruzione dei tessuti retinici in profondità. Nelle fasi iniziali la sintomatologia è rappresentata da metamorfopsie (visione distorta), ben evidenziate con il test della griglia di Amsler (fig.1.3) e/o da scotomi, comparsa di macchie scure fisse (fig.1.4). Figura 1.3: Visione della griglia di Amsler in condizione di normalità e di patologia. Lo scopo del test è individuare la possibile metamorfopsia ovvero la deformazione, l’ondulazione, o distorsione di tutto ciò che è dritto. E’ il sintomo più tipico e precoce della degenerazione maculare. L’acuità visiva può essere in un primo tempo ancora buona. In seguito il visus tende a diminuire progressivamente fino ad arrivare, nelle fasi cicatriziali, a circa 1/10. Per un approfondimento sull’anatomia dell’occhio e maggiori dettagli sulla AMD si rimanda al capitolo in appendice. 1.2 Ruolo dei Carotenoidi nell’AMD 6 Figura 1.4: Metamorfopsie. 1.2 Ruolo dei Carotenoidi nell’AMD La macula è una piccola zona circolare della retina del diametro di 5-6 mm, leggermente decentra in zona nasale e spostata di pochi millimetri dall’asse ottico . Figura 1.5: Sezione di occhio dx. Il termine ormai in disuso, macula lutea, dal latino macchia gialla dovuto al suo colore giallastro, indica la presenza di vari pigmenti (luteina, zeoxantina ed al.). E’ la zona 1.2 Ruolo dei Carotenoidi nell’AMD 7 della visione ad alta risoluzione e a colori il cui centro, formato solo da coni, è chiamato foveola. A circa 2mm da esso, i bastoncelli cominciano ad intercalarsi ai coni ed aumentano progressivamente il loro numero verso la periferia. A solo 5-6 mm dal centro, essi sono divenuti venti volte più numerosi dei coni. Per avere un’idea della distribuzione dei fotorecettori, basta pensare che in un occhio abbiamo circa 3 milioni di coni rispetto i 75 milioni dei bastoncelli. A causa dell’invecchiamento, si ipotizza che le strutture dell’epitelio pigmentato retinico, della membrana di Bruch e della coriocapillare (superficie più esterna della coroide con alta vascolarizzazione costituita principalmente da capillari), perdano la loro efficienza metabolica, fig.1.6. Figura 1.6: Alcuni strati del fondo oculare. Ciò è associato ad un aumento dei radicali liberi, fonte di danno ossidativo a livello delle membrane e dei sistemi enzimatici. Sappiamo che una delle più importanti funzioni dell’EPR (epitelio retinico pigmentato) è la fagocitosi dei dischi esterni, invecchiati, dei fotorecettori con un ritmo di 5 segmenti al giorno. Questa operazione avviene nei lisosomi citoplasmatici dell’EPR ed i prodotti di scarto sono eliminati attraverso il sistema di vasi della coroide. Con l’invecchiamento o in particolari situazioni di danni ossidativi, la fagocitosi perde la sua funzionalità portando alla formazione di depositi intra-lisosomiali 1.2 Ruolo dei Carotenoidi nell’AMD 8 e di un prodotto chiamato lipofuscina. L’effetto della lipofuscina su queste strutture è quello di inibire ulteriormente, con una specie di effetto valanga, la degradazione proteica lisosomiale [13], di aggiungere con la sua formazione elementi fotoreattivi [14], produrre una varietà di specie reattive dell’ossigeno ed altri radicali [15] ed indurre apoptosi (morte programmata cellulare) dell’EPR [16]. I carotenoidi sono alcuni dei principali costituenti del pigmento maculare. Grazie alla loro particolare struttura molecolare, sono in grado di legare ed eliminare i radicali liberi a livello delle membrane e dei sistemi enzimatici e di assorbire la luce blu dannosa per l’occhio. Ricoprono quindi un ruolo importante nella protezione e ciò ne ha determinato il grande interesse. Sono molecole costituite da una lunga catena di doppi (C=C) legami coniugati di atomi di carbonio (generalmente costituita da 35-40 atomi e definita catena polienica), spesso terminante con un anello. I carotenoidi possono essere divisi in due classi: i caroteni costituiti da molecole formate solo da idrogeno e carbonio e le xantofille in cui sono presenti atomi di ossigeno. Appartengono a questa seconda classe pigmenti come la luteina e la zeaxantina. Figura 1.7: Formula di struttura della luteina e zeaxantina Da analisi istologiche di sezioni retiniche, li troviamo distribuiti nell’EPR (epitelio retinico pigmentato), ma la loro localizzazione principale è negli assoni dei fotorecettori, e per un 25% nei segmenti esterni di questi[18] [19]. Inoltre la zeaxantina è prevalente nella struttura dei coni mentre la luteina in quella dei bastoncelli con conseguente predominanza di quest’ultima dalla zona perifoveale alla periferia oculare[19] [20] [21]. Il colore tipico di questi composti è una diretta conseguenza della struttura molecolare 1.2 Ruolo dei Carotenoidi nell’AMD 9 e spazia dal giallo pallido all’arancione fino al rosso acceso. Le catene polimeriche che li compongono sono infatti caratterizzate dalla presenza di doppi e singoli legami che permette maggiore mobilità agli elettroni degli atomi interessati al legame. Il colore della luce diffusa dipende dall’ampiezza delle vibrazioni dei legami intramolecolari e quindi dalla particolare catena di legami carbonio. Diversi studi suggeriscono che l’assunzione di luteina e zeaxantina, ed il supplemento di vitamina E, svolgono un ruolo determinante nella prevenzione a protezione dalla patologia. Sono state trovate molte correlazioni tra un regime dietetico carico di carotenoidi ed il basso rischio di progressione dell’AMD. In particolare lo studio epidemiologico JAMA di J.Seddon et al. [8], ha evidenziato una riduzione del 57% del rischio nelle persone che hanno assunto almeno 6 mg di luteina al giorno rispetto a quelle che ne hanno assunto meno di 1 mg al giorno. Capitolo 2 Metodologie di misura della concentrazione di carotenoidi nella macula. Data l’importanza di conoscere la quantità di carotenoidi presenti nella macula per la prevenzione dell’AMD, è importante essere in grado di misurare con accuratezza e ripetibilità la loro concentrazione. Nel corso degli anni, sono stati sviluppati vari metodi tra cui quelli psicofisici e quelli spettroscopici. Tra i metodi psicofisici il più usato per la semplicità operativa è la fotometria flicker eterocromatica [22], mentre tra quelli spettroscopici, l’autofluorescenza per immagini[6] e la spettroscopia Raman [4] sono considerati i più promettenti. 2.1 Fotometria Flicker Eterocromatica (HFP) E’ un metodo semplice e pratico che viene utilizzato per la misura della densità ottica del pigmento maculare senza richiedere sofisticati sistemi ottici ed elettronici e può essere utilizzato da operatori con diversa e modesta esperienza tecnica. Le misure possono essere generalmente effettuate su un solo occhio in quanto la densità del pigmento maculare è molto simile in entrambi[28]. L’apparato utilizza un sistema a due lunghezze d’onda, una di stimolo a 460nm (blu) maggiormente assorbita dai pigmenti maculari ed una di riferimento a 560nm (verde) non assorbita. 10 2.1 Fotometria Flicker Eterocromatica (HFP) 11 Figura 2.1: Schematizzazione di occhio dx con asse visivo e ottico. Il soggetto osservando uno spot di luce che rapidamente cambia alternando il colore blu al colore verde, deve variare, dopo aver regolato il valore di background del verde, l’intensità relativa al colore blu di test, fino a far diminuire e/o eliminare la sensazione di sfarfallamento tra i due colori. Queste misure sono effettuate stimolando, in tempi differenti, due zone retiniche. La prima dove i pigmenti sono molto addensati, zona centrale foveale, con tipicamente 1∘ - 2∘ di fissazione eccentrica (0,3-0,6 mm superfice retinica), e la seconda dove l’addensamento è minore, zona bordo macula, con fissazione eccentrica da 4∘ a 9∘ (1,2- 2,7 mm). Il soggetto fissa, per la zona foveale, una mira centrale che coincide con lo stimolo, mentre per la zona perifoveale, fissando sempre la mira centrale, lo stimolo è stato spostato utilizzando anelli di luce di varie grandezze. Lo stimolo è ottenuto nei sistemi più moderni con gruppi di led e con frequenza di alternanza di 12-15 Hz per la zona foveale e 6-7 Hz per la zona parafoveale; questo perché, quantitativamente, il pigmento maculare diminuisce verso la periferia della retina. Dalle misure cosı̀ ottenute, viene calcolata la densità ottica di pigmento maculare con buona approssimazione. La formula per il calcolo della densità ottica è data dal rapporto su scala logaritmica della radianza della luce blu necessaria per minimizzare lo sfarfallamento nella zona centrale(𝐵𝑓 𝑜𝑣 ) e quella necessaria nella zona perifoveale(𝐵𝑟𝑒𝑓 )[22]. 2.2 Autofluorescenza (AF) 12 𝑂𝑃 𝑇𝑑𝑒𝑛𝑠 = log 𝐵𝑓 𝑜𝑣 𝐵𝑟𝑒𝑓 Queste misurazioni sono affette da gravi indeterminazioni dovute alla reazione soggettiva del paziente, allo stato di avanzamento della patologia maculopatica ed alle aberrazioni cromatiche dell’occhio. 2.2 Autofluorescenza (AF) Questo metodo di indagine si basa sulle proprietà di fluorescenza della lipofuscina, molecola polimerica normalmente presente nell’epitelio pigmentato retinico (RPE) risultato della fagocitosi dei fotorecettori di scarto. La lipofuscina è originata dall’ossidazione di componenti cellulari che rendono le molecole non più degradabili dalle idrolasi lisosomiali e/o dalle esocitosi ed è generalmente quasi del tutto espulsa attraverso il sistema venoso della coroide. I residui, che nel corso degli anni si accumulano nell’RPE, si raggruppano in piccoli granuli che assumono solitamente una colorazione marrone e contribuiscono all’insorgenza della patologia. Nella fovea il pigmento maculare presenta un assorbimento delle radiazioni luminose, dovuto parzialmente ai carotenoidi, compreso tra 400-500 nm, con un massimo a 488 nm, fig.2.2. Figura 2.2: Spettri di assorbimento e fluorescenza di luteina e zeaxantina. Si noti il massimo di fluorescenza a 530 nm. 2.2 Autofluorescenza (AF) 13 La lipofuscina presenta invece un assorbimento con massimi a 490 nm e 510 nm, quello a 490 nm si sovrappone al picco di assorbimento dei pigmenti della macula. Stimolata con queste due lunghezze d’onda la lipofuscina fluoresce con due massimi a 590 nm e 630 nm. Quindi utilizzando le proprietà dell’assorbimento e conseguente fluorescenza di queste molecole è possibile ottenere delle misure di densità ottica del pigmento maculare, calcolando il rapporto delle intensità tra i due valori dei picchi massimi di fluorescenza della lipofuscina. Il sistema di misura è composto da un angiografo retinico modificato per supportare un laser a ioni di argon le cui righe di emissione forniscono le due lunghezze d’onda di eccitazione, 488 nm e 514 nm. Un filtro ottico, interposto sull’asse ottico della CCD di raccolta, taglia le radiazioni inferiori a 560 nm (fluorescenza dei carotenoidi a 530 nm) [25] [26], lasciando solo i due picchi di fluorescenza della lipofuscina. Le immagini cosı̀ raccolte per le due lunghezze d’onda di eccitazione, sono poi eleborate da un software che converte la scala di grigi in valori di densità, dopo aver opportunamente corretto la risposta di efficienza della fluorescenza, dovuta alla disomogeneità di distribuzione della lipofuscina nella RPE. Figura 2.3: Immagini fluorangiografiche. Nella fig.A la fluorescenza è ottenuta eccitando con la riga laser a 488 nm la lipofuscina. La zona scura in corrispondenza della macula è il contributo dell’assorbimento dei carotenoidi. Nella fig.B la riga di eccitazione è la 514 nm, il contributo di assorbimento dei pigmenti è nullo e la fluorescenza della lipofuscina è maggiore (zona maculare più chiara). La fig.C è ottenuta dal rapporto tra le due immagini ed indica la densità ottica del pigmento maculare. Nella fig.2.3A, notiamo, dopo aver eccitato con la riga laser a 488 nm, una fluorescenza minore nella zona maculare (macchia molto scura), dovuto al contributo di assorbimento 2.3 Spettroscopia Raman 14 del pigmento maculare, mentre per l’eccitazione con la riga 514 nm, dove l’assorbimento del pigmento è nullo (fig.2.3B), la fluorescenza della lipofuscina è maggiore per cui la zona maculare è più chiara[24] [27]. Utilizzando opportuni software, le due immagini vengono poi confrontate applicando il rapporto fra singoli pixel al fine di ottenere un’immagine e il profilo della densità ottica del pigmento maculare, fig.2.4. Figura 2.4: Elaborazione del profilo della densità ottica dei pigmenti maculari calcolato sull’immagine risultante dal rapporto tra l’immagine A e l’immagine B. 2.3 Spettroscopia Raman Alla fine degli anni venti (1928), il fisico indiano C. V. Raman, osservando la diffusione della luce (in particolare, un raggio di sole opportunamente focalizzato e filtrato) da parte di un volume d’acqua, notò accanto alla componente dovuta alla diffusione elastica la presenza di un debole segnale a frequenza diversa da quella incidente. Il fenomeno può essere cosı̀ riassunto: quando la materia viene irraggiata con luce monocromatica di frequenza 𝜈0 , scelta in modo da non essere assorbita dal campione stesso, essa passa attraverso l’intero sistema e una sua parte viene diffusa dalle molecole in direzioni diverse da quella del raggio incidente. Da un’analisi spettroscopica risulta che la maggior parte della radiazione diffusa mantiene la stessa frequenza della sorgente. Tale fenomeno dà origine alla diffusione Rayleigh o elastica, la cui intensità è proporzionale 2.3 Spettroscopia Raman 15 alla quarta potenza della pulsazione 𝜔0 (𝜔0 = 2𝜋𝜔). Se si impiegasse della luce bianca si avrebbe quindi diffusa più fortemente la parte blu dello spettro rispetto a quella rossa. Questo spiega, ad esempio, il colore blu del cielo. Raman scoprı̀ nell’osservare lo spettro della luce diffusa, che questo conteneva, oltre alla luce elastica, anche una serie di righe aventi frequenze non contenute nel fascio incidente. Lo spostamento in frequenza di queste righe è indipendente dalla frequenza di eccitazione 𝜔0 ed è caratteristico del campione in esame. L’importanza di studiare tale effetto, noto da allora come spettro Raman, concretizzata solo grazie all’avvento di sorgenti ad elevata brillanza (principalmente laser), risiede essenzialmente nel fatto che ogni specie chimica ha un suo caratteristico spettro Raman, che può essere usato per la sua identificazione. Tale tipo di spettroscopia infatti è in grado di rivelare la presenza di specie molecolari senza perturbarne l’equilibrio chimico. Inoltre poiché l’intensità della riga è legata alla concentrazione della specie chimica, è possibile svolgere un’analisi quantitativa oltre che qualitativa. Dall’analisi delle forme di riga è possibile risalire anche ai moti molecolari che avvengono all’interno di un campione, permettendo cosı̀ una comprensione più approfondita di tali fenomeni. Durante l’interazione con una molecola, il fotone può essere diffuso elasticamente, cioè senza cambiare la propria energia, dando origine alla riga Rayleigh. Tuttavia, esiste anche una probabilità non nulla che la collisione sia anelastica. In quest’ultimo caso la molecola è soggetta ad una transizione ad un livello rotovibrazionale di energia maggiore di quello iniziale, con il risultato che il fotone perde energia ed è diffuso con frequenza minore (righe Raman Stokes Δ𝜔 < 0). Se la molecola si trova già in uno stato rotovibrazionale eccitato, l’interazione con il fotone può causare una transizione ad un livello energetico minore, in questo caso il fotone è diffuso con una frequenza maggiore (righe Raman anti-Stokes Δ𝜔 > 0). (fig 2.5). Queste righe sono disposte simmetricamente rispetto alla linea Rayleigh, e la differenza in energia rispetto a quest’ultima corrisponde all’energia acquistata o ceduta dalla molecola nel variare il livello vibrazionale iniziale. In più, poiché all’equilibrio la popolazione dei livelli più alti è minore di quella dei livelli più bassi (diminuisce infatti esponenzialmente Δ𝐸 con l’energia secondo il fattore di Boltzmann 𝑒− 𝐾𝑇 ) le righe Stokes risultano molto più intense delle anti-Stokes e sono pertanto quelle generalmente utilizzate a fini analitici. In caso di composti fluorescenti si può avere elevata interferenza nell’osservazione degli spostamenti Stokes, quindi si usano le righe anti-stokes, sebbene meno intense. Applicando questa spettroscopia ai pigmenti maculari, è possibile identificarne in modo 2.3 Spettroscopia Raman 16 Figura 2.5: Differenza di intensità tra la diffusione Rayleigh e le righe Raman Stokes e Anti-Stokes. univoco i vari tipi e le loro concentrazioni relative. Utilizzando una geometria a backscattering ed una lunghezza d’onda nell’intervallo di assorbimento della molecola, è possibile misurare un segnale Raman più intenso, generato dai moti vibrazionali dei singoli e doppi legami del carbonio che compongono la catena coniugata di struttura della molecola: si parla in tal caso di effetto Raman risonante. L’effetto Raman risonante è particolarmente utile per indagini su composti a bassa concentrazione. Dalla letteratura ricaviamo gli spettri Raman dei carotenoidi di nostro interesse. I grafici presentano coordinate in Raman-shift, ovvero spostamento in 𝑐𝑚−1 dalla riga dell’elastico, con dei picchi nei valori di 1159 𝑐𝑚−1 per il singolo legame C-C e 1524 𝑐𝑚−1 per il doppio legame C=C. Le figure di seguito (fig.2.6) illustrano gli spettri Raman della luteina e zeaxantina. La figura B, mostra lo spettro corretto dal fondo di fluorescenza, calcolata con un fitting polinomiale del 5∘ ordine [1], dovuta principalmente alla presenza di lipofuscina. 2.3 Spettroscopia Raman 17 CC C=C Figura 2.6: Spettri Raman. La figura A, mostra lo spettro Raman della luteina immerso in un fondo di fluorescenza. La figura B, mostra lo stesso spettro corretto dal fondo di fluorescenza. Sono messi in evidenza i picchi nei valori di 1159 𝑐𝑚−1 per il singolo legame C-C e 1524 𝑐𝑚−1 per il doppio legame C=C. In ascisse abbiamo la coordinata espressa in Raman-shift, ovvero spostamento in 𝑐𝑚−1 dalla riga dell’elastico. Capitolo 3 Progetto DODRAS 3.1 Descrizione generale Verso la fine degli anni ’90 Bernstein, Gellerman et al, hanno iniziato ad effettuare i primi studi sulla possibilità di impiegare la spettroscopia Raman per l’identificazione e della luteina e zeaxantina e la stima della loro distribuzione nel fondo retinico. Nei loro più recenti lavori hanno messo a confronto alcune tecniche di indagine, [1] [3] [4], e hanno notato come la spettroscopia Raman rispondesse a criteri di non distruttività ed alta risoluzione spaziale. Le misure sono state effettuate in geometria di backscattering con una sorgente laser 𝐴𝑟+ (riga a 488nm), che ha permesso di lavorare in condizione Raman Risonante. Tutte le misure sono state realizzate focalizzando il laser su di uno spot di 1-2𝑚𝑚2 , inizialmente su campioni di pigmenti in vitro, pigmenti in occhi schematici, in vivo su scimmie sedate e solo da poco su volontari umani. La zona maculare è individuata attraverso una Fundus Camera, apparecchio utilizzato per ottenere immagini del fondo retinico, mentre varie ottiche e beam splitter sono utilizzati per indirizzare il fascio laser di eccitazione e rilevare il segnale Raman da analizzare. Un accoppiatore con fibra ottica invia le radiazioni diffuse a un monocromatore che disperderà lo spettro di frequenze raccolto, inviando poi la zona di interesse a una CCD per la conversione da fotoni a segnale elettrico. Quest’ultimo inviato ad un personal computer sarà analizzato e presentato all’operatore (fig.3.1). La diagnostica dell’AMD attraverso la spettroscopia Raman richiede di conoscere oltre la stima puntuale della quantità di carotenoidi, la loro distribuzione nella zona maculare. La zona della macula indagata è attualmente di qualche 𝑚𝑚2 e le informazioni ottenute riguardano la sola densità dei pigmenti per singolo spot. Per conoscere la distribuzio18 3.1 Descrizione generale 19 Figura 3.1: Presentazione di una misura Raman di carotenoidi sull’apparato utilizzato da Bernstein e Gellermann. ne spaziale, occorre compiere ulteriori puntamenti e misure su altre zone maculari con inevitabili errori e sovrapposizioni di zone, dovuti al movimento oculare involontario. Un prototipo progettato con queste caratteristiche di misura a singolo spot, è attualmente utilizzato in fase sperimentale presso una struttura ospedaliera del nord Italia. I principali problemi riscontrati durante le misure sono stati il puntamento e la riproducibilità delle stesse. Per la soluzione di queste problematiche e lo sviluppo di alcune sostanziali innovazioni è nato un progetto di collaborazione tra l’Exall, una PMI del Lazio attiva nel campo dei prodotti medico-farmaceutici e il Gruppo Liquidi del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Roma Tre, con l’obiettivo di realizzare un nuovo prototipo che ovviasse a questi inconvenienti con delle misure stabili e riproducibili. Tra le soluzioni ipotizzate, con l’obiettivo di effettuare la misura come una serie di più misure organizzate in una matrice di punti sull’area retinica e quindi rilevare la concentrazione e la distribuzione dei pigmenti, quella più idonea risponde ai seguenti requisiti: ∙ focalizzazione del segnale laser eccitante su una superficie di 100-300 𝜇𝑚2 ; 3.1 Descrizione generale 20 ∙ direzionalità del segnale laser con un sistema di puntamento che guidi l’esplorazione e la raccolta del segnale Raman attraverso una matrice di punti; ∙ ricostruzione della distribuzione spaziale del segnale con un software proprietario; ∙ costruzione di un particolare monocromatore che aumenti l’efficenza del sistema. Il progetto, denominato DODRAS (Double Ortogonal Dispersion Raman Acquisition System), per la sua complessità, è stato suddiviso in tre sezioni: 1. Sistema di movimento e raccolta del segnale Raman (Testa di Misura): dispositivo che interfaccia il paziente, la sorgente laser ed il monocromatore. Le funzioni principali sono di focalizzare il sistema di illuminazione sulla zona retinica, di acquisire l’immagine del fondo oculare per la rilevazione e puntamento nella zona di interesse, di focalizzare e puntare il fascio laser di eccitazione e di raccogliere il segnale Raman da inviare al monocromatore. 2. Monocromatore a doppia dispersione ortogonale: il sistema consiste in un doppio monocromatore progettato con una configurazione innovativa, tale da ottenere un rigetto della luce diffusa elasticamente dal campione, e di acquisire su una CCD una finestra spettrale adeguata alla misura, senza bisogno di effettuare una scansione in frequenza. 3. Accoppiamento della Testa di misura e monocromatore: Unione delle due sezioni del progetto e matching delle parti ottiche per ottenere l’efficienza massima. Nel corso di questa tesi, ci siamo occupati di sviluppare e realizzare un prototipo della Testa di Misura completo del software per la gestione dell’acquisizione dell’immagine retinica e del puntamento del fascio laser. Durante la fase di pianificazione, per il corretto sviluppo del progetto, abbiamo classificato in funzione delle priorità progettuali, una serie di obiettivi. Qui di seguito, elencheremo tale percorso evidenziando le problematiche ed i risultati che ci siamo prefissati: 1. Sistema ottico che permetta la visualizzazione con forte ingrandimento del fondo retinico, per individuare la zona maculare di interesse per la misura. 3.2 Sistema ottico di ingrandimento e illuminazione. 21 2. Sistema di illuminazione del fondo retinico con sorgente esterna di luce. 3. Sistema ottico di focalizzazione e gruppo di specchi ortogonali motorizzati per il movimento X-Y del fascio laser di eccitazione. 4. Sistema ottico e beam splitter per focalizzare il fascio di ritorno del segnale da inviare al monocromatore. 5. Sistema di visualizzazione su CCD dell’immagine maculare per il puntamento da parte dell’operatore. 6. Sviluppo di software per la gestione del gruppo specchi X-Y utilizzando piattaforme Labview e MatLab. 7. Sviluppo di una GUI (Graphical User Interface) per la visualizzazione delle immagini retiniche, inserimento delle coordinate di scansione del fascio laser e dati del paziente trattato. 3.2 Sistema ottico di ingrandimento e illuminazione. (sviluppo punti 1-2-5) Il progetto ottico visibile in fig.3.2 si basa sullo schema di principio di una Fundus Camera, apparecchio nato per la fotografia del fondo retinico. Lo scopo è di ottenere con opportune ottiche, una visualizzazione del fondo retinico, con sufficiente ingrandimento da risolvere la zona maculare. Abbiamo quindi definito un schema ottico principale e calcolato il valore delle lenti per ottenere i risultati richiesti. Il sistema di illuminazione retinico, segue una configurazione classica in cui troviamo: una lampada a incandescenza E, una lente condensatore 𝐿2 e un diaframma 𝐷1 , per la produzione di un fascio di luce collimato. Lo specchio SP direziona il fascio cosı̀ ottenuto, sull’asse principale A verso l’uscita paziente. Come si nota dallo schema ottico, lo specchio si interpone tra la telecamera che deve acquisire l’immagine retinica e l’occhio bloccando il percorso visivo. E’ stato quindi necessario creare un passaggio ottico tramite un foro angolato del diamentro 2,5mm. Continuando nella descrizione, in direzione dell’uscita paziente, troviamo la lente 𝐿1 , che definiremo principale. E’ attraverso di essa che passano e vengono focalizzati tutti i fasci di luce da e verso il fondo retinico: dall’illuminazione alla visualizzazione sulla telecamera dell’immagine, al fascio laser di eccitazione e raccolta del segnale Raman dei 3.2 Sistema ottico di ingrandimento e illuminazione. 22 Figura 3.2: Schema ottico della Testa di Misura. Nella parte superiore dello schema è visibile il laser di eccitazione che tramite la fibra ottica e l’accoppiatore ottico AC2 invia il fascio al sistema di puntamento motorizzato. Scorrendo verso il basso, troviamo il monocromatore per l’analisi spettrale del segnale di raccolta con la fibra ottica. Il segnale arriva dal percorso: occhio, lente 𝐿1 , beam splitters BS1 , BS2 , accoppiatore AC1 . Infine troviamo sull’asse principale A, la telecamera per la visualizzazione dell’immagine retinica, la lente di focalizzazione 𝐿3 , il diaframma 𝐷2 e lo specchio forato SP che invia il fascio d’illuminazione verso l’occhio. La sezione di illuminazione proveniente dall’asse ottico secondario B, è formata dalla sorgente E, la lente condensatore 𝐿2 ed il particolare diaframma 𝐷1 . 3.2 Sistema ottico di ingrandimento e illuminazione. 23 pigmenti. La scelta delle sue caratteristiche è stata cruciale in quanto, avendo bisogno di una focale corta dovuta all’accoppiamento con il sistema ottico dell’occhio, la lente deve assicurare poche aberrazioni ed un buon f-number, definito come il rapporto tra focale e diametro della lente: 𝑓𝑛 = 𝑓 𝑑𝑖𝑎𝑚 Dai calcoli effettuati la lente ottimale è risultata un doppietto acromatico del diametro di 50 mm e focale di 30 mm con trattamento antiriflesso. Dal lato opposto dello specchio SP, troviamo il diaframma 𝐷2 e la lente 𝐿3 per la focalizzazione dell’immagine retinica sulla telecamera a CCD. Dopo le prime acquisizioni, è stato applicato un tubicino forato nello specchio SP, con trattamento antiriflesso nel suo interno, per diaframmare ulteriormente il fascio di raccolta e ridurre alcune riflessioni provenienti dall’illuminatore. Il corretto illuminamento della retina è uno dei punti fondamentali per la realizzazione di questa sezione e come ci aspettavamo ha presentato vari problemi dovuti principalmente alle riflessioni corneali e al diametro pupillare estremamente ridotto (dimensione massima circa 8 mm). Figura 3.3: Immagine Occhio Test. Sono visibili, oltre alla testa del nervo ottico, zona circolare chiara con i vasi principali che fuoriescono, due riflessioni dovute alle superfici corneali interna ed esterna (nel nostro caso lo spessore del vetro). Le immagini sono state ottenute utilizzando un occhio schematico da laboratorio della HEINE, e fin dalle prime acquisizioni, abbiamo riscontrato un grave disturbo dovuto alle riflessioni delle superfici. Come è visibile dalla figura (fig. 3.3) queste riducono la 3.2 Sistema ottico di ingrandimento e illuminazione. 24 qualità dell’immagine e creano un abbagliamento alla telecamera di puntamento. Siamo intervenuti allora, con nuovi coating sulle lenti, variato i diametri dei diaframmi lungo il percorso ottico, ma i risultati sono stati poco soddisfacenti. Il problema ha trovato una buona soluzione solo quando abbiamo utilizzato una illuminazione a campo oscuro tipica dei microscopi. Per ottenere tale illuminazione, si pone la lente condensatore della sorgente, il più vicino possibile al campione e si inserisce un ostacolo circolare al centro di essa. Ciò permette di proiettare un toro di luce con raggi molto divergenti che illumina il campione lateralmente rendendolo luminoso rispetto al fondo che resta oscuro. Utilizzando quest’idea, costruiamo il diaframma 𝐷1 , con uno foro del diametro di 15mm ed un disco oscuro centrale di 8mm, in modo da proiettare sulla cornea un toro di luce del diametro esterno di 5mm, zona di luce 1mm, zona oscura di 3mm, ciò ha permesso di eliminare la riflessione della superficie corneale. Nell’ottica di eliminare le riflessioni spurie, anche lo specchio SP è stato modificato riducendo la sua zona di riflessione ad un’ellisse minima di 12mm per 15mm. L’immagine di fig. 3.4 è un esempio dei risultati ottenuti sul nostro occhio di prova, che dimostra l’efficacia delle modifiche effettuate. Figura 3.4: Diminuzione delle riflessioni su Occhio Test. L’eliminazione delle riflessioni ha permesso di vedere la zona maculare prima completamente abbagliata e migliorare il contrasto dell’immagine a vantaggio di un efficace puntamento. In ultima analisi, abbiamo considerato la possibilità futura, di inserire un illuminatore ad infrarossi che porterebbe a sostanziali benefici: la possibilità di eliminare le riflessioni con un semplice filtro ottico, la possibilità di lavorare con pupilla in miosi naturale, senza dilatazione indotta da farmaci, in quanto il paziente non sarebbe abbagliato dall’illuminazione e la riduzione degli elementi ottici. 3.3 Sistema ottico di puntamento e raccolta. 25 Queste migliorie che sono in fase di realizzazione, aumenteranno l’efficienza del sistema, con la sola controindicazione di una visione delle immagini retiniche in scala di grigi dovuta alla lunghezza d’onda dell’infrarosso. 3.3 Sistema ottico di puntamento e raccolta. (sviluppo punti 3-4-6) Il sistema nasce dall’esigenza di dirigere il fascio laser in punti specifici della retina per effettuare una scansione programmata. Il fascio di eccitazione giunge alla testa di misura attraverso una fibra ottica da 300 𝜇𝑚. L’accoppiatore ottico AC2 adatta la fibra in modo da ottenere un fascio in uscita parallelo e del diametro di 300 𝜇𝑚 da inviare agli specchi del sistema X-Y. Questi ultimi lo direzionano, attraverso i beam splitters BS2 , BS1 e la lente L1 all’uscita paziente. Il gruppo di scansione composto dal supporto per il montaggio ortogonale dei motori e specchi è realizzato della Cambridge Technology (fig.3.5). Figura 3.5: Gruppo di scansione X-Y, sono visibili le motorizzazioni e gli specchi montati ortogonalmente. Il modello del progetto, MicroMax Dual Axis Servo Driver, usa come motorizzazione due galvanometri (CT6215-HB) con specchi da 3mm montati ortogonalmente, questi assicurano un tempo di risposta di 175 𝜇sec su 40∘ di spostamento, un drift in temperatura di 3.3 Sistema ottico di puntamento e raccolta. 26 15 𝜇rad/∘ C. ed una linearità del 99,9%. Sono pilotati da una scheda elettronica di potenza che permette con 1 mV di segnale in ingresso, di ottenere uno spostamento angolare di 2 ⋅ 10−3 gradi. L’accoppiamento tra l’elettronica (analogica) e il PC (digitale) è realizzato da due convertitori digitali/analogici (D/A) a 16 bits, uno per l’asse X e l’altro per quello Y, organizzati su scheda PCI. L’elettronica di pilotaggio dei galvanometri ha un fondo scala in ingresso di ±10𝑉 , per cui con i 16 bits (65.536 step) del convertitore otteniamo una risoluzione di 300 𝜇V, che permette un ipotetico spostamento angolare minimo di 0, 6⋅10−3 gradi. Il valore è superiore alle specifiche richieste dal sistema di puntamento, in modo da tornare utile in caso di cambiamento delle specifiche progettuali. La scheda utilizzata per questa conversione, la PCI-6221 della National Instruments, offre oltre ai convertitori, delle linee di input/output programmabili, utili per la gestione di alcuni controlli dell’elettronica generale. Per la programmazione, ci siamo avvalsi di due piattaforme software: LabView e MatLab. Sono stati sviluppati dei Virtual Instruments (VI), che interfacciati tra loro hanno permesso una semplice gestione di blocchi funzionali. La raccolta del segnale Raman avviene attraverso la lente principale L1 con un percorso inverso a quello del segnale di eccitazione. Due beam splitters BS2 , BS1 deviano il fascio di raccolta dall’asse principale traslandolo verso l’accoppiatore ottico AC1 . La funzione di quest’ultimo è di adattare il fascio alla fibra ottica per avere il massimo trasferimento di segnale e poi attraverso la stessa di trasportarlo al monocromatore. Il beam splitter BS1 è stato calcolato con un rapporto di trasmissione /riflessione uguale a 30%/ 70% per riflettere maggiormente il segnale Raman, questa scelta penalizza inevitabilmente l’intensità del segnale dell’immagine retinica in telecamera. La stessa considerazione di privilegiare il segnale Raman, è stata utilizzata per il beam splitter BS2 . Poiché la sua posizione è opposta al BS1 è stato invertito il rapporto trasmissione/riflessione ( 70%/30%). La figura 3.6 illustra l’assemblaggio effettuato in laboratorio di alcune delle sezioni del progetto. 3.3 Sistema ottico di puntamento e raccolta. 27 Figura 3.6: Testa di Misura parzialmente assemblata sul banco ottico. Sono visibili, nella parte alta, il sistema di puntamento X-Y illuminato da un laser HeNe rosso e il gruppo di illuminazione del fondo retinico. Più in basso da sx, l’occhio di test, la lente L1 , uno dei beam splitter, lo specchio SP e a seguire il diaframma, la lente di focalizzazione L3 e la telecamera di acquisizione immagini. 3.4 Graphical User Interface (GUI). 28 Figura 3.7: giovasnni 3.4 Graphical User Interface (GUI). (sviluppo punto 7) Dopo aver ottenuto le immagini del fondo oculare e realizzato un sistema innovativo di scansione, abbiamo sviluppato una Graphical User Interface (GUI) che visualizzando le immagini del fondo oculare, potesse sovrapporre una matricie di puntamento su cui dirigere il fascio laser per la scansione, [29]. La GUI denominata DODRAS, dal nome del progetto, sviluppata su piattaforma MatLab, gestisce la calibrazione dello strumento e l’anagrafica del paziente includendo i dati personali, l’anamnesi, la memorizzazione delle immagini retiniche con i parametri di scansione e gli spettri Raman relativi. 3.4 Graphical User Interface (GUI). 29 Figura 3.8: Funzionalità di acquisizione della GUI. Nell’immagine del fondo retinico ottenuta dall’occhio di misura, osserviamo la testa del nervo ottico con il disegno dei vasi principali. La griglia in rosso è la matrice di puntamento che è stata programmata e su cui avverrà la scansione. Notiamo la sua sovrapposizione ad una zona scura, che simula la macula. 3.5 Energia massima somministrata, tempo di stabilità e stabilità dell’immagine 30 Nella schermata relativa all’impostazione dei parametri di misura, la GUI sovrappone sull’immagine retinica in run-time, una visualizzazione della matrice di puntamento programmata. Il centro della sua posizione è scelto attraverso un cursore azionato dal mouse del computer di gestione. Le coordinate di posizionamento sono evidenziate nei campi posX e posY. Le dimensioni del’area di scansione (in millimetri) e gli elementi della griglia, sono impostati dall’operatore nei relativi campi. Per semplicità è stata scelta una matrice quadrata, per cui è sufficiente un solo valore per ogni campo. Le coordinate X,Y di ciascun punto, generate in automatico, sono a loro volta inviate ai convertitori D/A del sistema di puntamento che sequenzialmente azionano il movimento degli specchi per dirigere il fascio laser. Nella figura riportata (fig.3.8) è rappresentato uno screenshoot dell’applicativo sviluppato. Nell’immagine del fondo retinico, ottenuta dall’occhio di misura, osserviamo la testa del nervo ottico con il disegno dei vasi principali. La griglia in rosso è la matrice di puntamento programmata su cui avverrà la scansione. Notiamo la sua sovrapposizione ad una zona scura ben evidenziata che simula la macula. 3.5 Energia massima somministrata, tempo di stabilità e stabilità dell’immagine Alla base delle soluzioni proposte per risolvere le problematiche in esame, oltre ad aver utilizzato tecnologie ed idee sul software che offrissero delle risposte innovative ed efficienti, vi sono delle considerazione di massima importanza scaturite dai seguenti parametri: ∙ Energia totale somministrata(𝐸𝑡𝑜𝑡 ): che indica l’energia totale che l’occhio sopporta nell’arco temporale 𝑇𝑡𝑜𝑡 dell’intera seduta. ∙ Energia totale dei singoli raster (𝐸𝑚𝑖𝑠 ): che indica il quantitativo totale di energia che l’occhio assorbe in una sola delle n ripetizioni del singolo raster, vale quindi la relazione : 𝐸𝑡𝑜𝑡 = 𝑛 ∗ 𝐸𝑚𝑖𝑠 3.5 Energia massima somministrata, tempo di stabilità e stabilità dell’immagine 31 𝑇𝑡𝑜𝑡 = 𝑛 ∗ 𝑇𝑚𝑖𝑠 dove 𝑇𝑚𝑖𝑠 è il tempo di esecuzione del singolo raster. ∙ Il puntamento e la stabilità dell’immagine: ovvero la capacità di stimolare con il fascio laser la zona di retina importante ai fini diagnostici della AMD ed il mantenimento di tale posizione per la durata della misura sono aspetti vincolanti. Sia il puntamento che la stabilità sono fortemente legati alla rapidità della misura rispetto la capacità del paziente di trovare e mantenere il punto di fissazione. Dalla letteratura sappiamo che il tempo minimo di stabilità 𝑇𝑠𝑡𝑎𝑏 , oscilla tra 300 e 400 ms (tempo minimo per la trasmissione del segnale saccadico) per cui vale il vincolo : 𝑇𝑚𝑖𝑠 ≤ 𝑇𝑠𝑡𝑎𝑏 = 400 msec ∙ Energia e Tempo del singolo raster: il tempo 𝑇𝑚𝑖𝑠 è dato dal tempo di acquisizione 𝑇𝑎𝑐𝑞 per il numero dei punti N*M della matrice considerata 𝑇𝑚𝑖𝑠 = 𝑇𝑎𝑐𝑞 ∗ 𝑁 ∗ 𝑀 e quindi l’energia associata a ciascun elemento della matrice 𝐸𝑎𝑐𝑞 è : 𝐸𝑎𝑐𝑞 = 𝐸𝑚𝑖𝑠 𝑁 ∗𝑀 Il quantitativo massimo di energia che l’occhio può sopportare nell’arco di tempo totale della misura è definito da enti come l’American National Standard Institute (ANSI), che indicano un valore massimo prima del danneggiamento pari a 15,5 J/𝑐𝑚2 . Nella procedura che vogliamo implementare per effettuare la misura del segnale Raman su una matrice di punti, consideriamo fissa la superficie di irraggiamento al valore di 300 𝜇𝑚2 , per cui l’energia massima di acquisizione 𝐸𝑎𝑐𝑞 è circa 50𝜇𝐽. Risulta evidente che, più punti inseriamo nella matrice, minore dovrà essere 𝑇𝑎𝑐𝑞 per rispettare il valore di 𝑇𝑠𝑡𝑎𝑏 . 3.6 Strategia software per migliorare il rapporto S/N. 32 La riduzione del tempo di acquisizione 𝑇𝑎𝑐𝑞 ha come conseguenza un peggioramento del rapporto segnale/rumore (S/N) sullo spettro Raman associato a ciascuna matrice e non può esser spinto oltre il valore minimo 𝑇𝑚𝑖𝑛 al di sotto del quale il sistema non risponde. 𝑇𝑚𝑖𝑛 < 𝑇𝑎𝑐𝑞 < 𝑇𝑠𝑡𝑎𝑏 𝑇𝑎𝑐𝑞 è quindi un parametro molto delicato, perché da una parte è strettamente legato all’efficenza di tutto il sistema di misura e dall’altra definisce, attraverso il vincolo imposto da 𝐸𝑑𝑎𝑛 , la potenza del laser. Attualmente non siamo in grado di definire il parametro minimo di 𝑇𝑚𝑖𝑠 , non essendo il nostro progetto ultimato in tutte le sue parti, con conseguente impossibilità di fare test quantitativi. 3.6 Strategia software per migliorare il rapporto S/N. Un contributo al miglioramento del rapporto S/N, può essere ottenuto con una strategia software [29], che calcoli una nuova matrice virtuale come media delle n misure raster effettuate. Ciascun elemento della matrice N x M, può essere pensato come il valore di una misura Raman riferita al picco massimo di 1524 𝑐𝑚−1 della luteina (vedi fig.2.6). L’insieme di questi valori opportunamente convertiti in gradazioni di grigio, simulano la distribuzione dei carotenoidi nella fovea. Poiché l’occhio ha dei movimenti involontari la distribuzione può trovarsi posizionata in punti diversi all’interno del nostro raster. L’identificazione di punti caratteristici e delle loro correlazioni, permette al software di ottenere dei riferimenti univoci per la sovrapposizione delle n immagini della zona esaminata. La scansione della matrice N x M sarà ripetuta un numero n di volte sufficiente per avere, una volta mediate, un buon rapporto S/N. Al fine di testare l’efficacia della strategia in esame, abbiamo implementato un codice per una simulazione al computer di una misura virtuale. La strategia è quella di pensare la zona in esame come divisa in una matrice di 25 x 25 elementi che il dispositivo di scansione X-Y illumina sequenzialmente. Vengono assegnate in modo random ad un sottoinsieme di elementi, delle gradazioni di grigio che simulano una piccola distribuzione del segnale Raman di una misura ottimale all’interno della matrice, (fig.3.9). La rimanente zona più scura indica la mancanza di 3.6 Strategia software per migliorare il rapporto S/N. 33 Figura 3.9: Esempio di misura raster di una matrice 25x25 con una zona virtuale di segnale ottimale. La zona scura rappresenta la mancanza di carotenoidi, mentre i pixel in toni di grigio (matrice 3x3), rappresentano la distribuzione di carotenoidi ottenuta da un misura Raman virtuale. carotenoidi. L’obiettivo della procedura è la ricostruzione dell’immagine vera attraverso una serie di n determinazioni (raster) che hanno un rapporto S/N di bassa qualità. La figura 3.10 rappresenta la collezione delle n=10 determinazioni (raster) con un rapporto S/N di bassa qualità. Lo spostamento della distribuzione del segnale nella 3.10 simula lo spostamento dell’occhio del paziente. Si noti come la distribuzione dei toni di grigio risulti cambiata, infatti i toni di grigio riflettono le fluttuazioni casuali dell’intensità. Il contorno rosso, individuato automaticamente dalla routine di analisi dati, indica il perimetro della zona di interesse dove sono contenuti i carotenoidi. Questa è identificata dal programma di analisi in base a una routine di riconoscimento di immagine. Le zone di interesse sono poi sovrapposte l’una sull’altra con algoritmi che cercano la massima corrispondenza tra i vari elementi dell’immagine. La figura 3.11 mostra sulla sinistra l’immagine della misura ottimale iniziale mentre sulla destra compare una sua ricostruzione ottenuta come media delle n zone di interesse evidenziate in fig 3.10, come si nota, la procedura ha individuato in modo univoco la distribuzione spaziale dei picchi raman virtuali. L’effettiva raggiungibilità di tale optimum di condizioni è da verificare una volta che l’assemblaggio del monocromatore sia in uno stato avanzato. 3.6 Strategia software per migliorare il rapporto S/N. 34 Figura 3.10: Mappe virtuali con n=10. Insieme di 10 determinazioni (raster) con un rapporto S/N di bassa qualità. Il contorno rosso, individuato automaticamente dalla routine di analisi dati, indica il perimetro della zona di interesse dove sono contenuti i carotenoidi 3.6 Strategia software per migliorare il rapporto S/N. 35 Figura 3.11: Immagini a confronto. L’immagine di sinistra mostra la misura ottimale di partenza, mentre quella di destra è la sua ricostruzione ottenuta come media delle n zone di interesse con basso rapporto S/N. Conclusioni Nel corso di questa tesi sono stati sviluppati e realizzati tutti gli obiettivi prefissasti: ∙ rilevazione e acquisizione dell’immagine retinica con buon contrasto, ∙ implementazione di un software che gestisca il gruppo ottico di scansione per effettuare la misura della distribuzione dei pigmenti maculari, ∙ sviluppo di una GUI che interfacci lo strumento all’operatore per una gestione semplice, ∙ sviluppo di un software di simulazione che verifichi l’idea della mappatura ripetuta n volte, come soluzione per migliorare il rapporto S/N durante la misura per il calcolo della distribuzione dei pigmenti. Durante lo svolgimento di questo lavoro sono emerse delle considerazioni che portano a definire dei vincoli progettuali di notevole importanza per il completamento del lavoro e sono: ∙ Determinazione dell’energia massima per singolo punto della matrice 𝐸𝑎𝑐𝑞 , per determinare il valore massimo di potenza laser applicabile per singolo punto. ∙ Calcolo del tempo minimo di misura 𝑇𝑚𝑖𝑠 , limite oltre il quale lo strumento non è più in grado di misurare. Il successivo passo del progetto sarà di validare le parti realizzate con campioni in vivo ed accoppiare il sistema di puntamento, realizzato nel corso della tesi, con il monocromatore per calcolare complessivamente, attraverso test quantitativi, l’efficienza del sistema. Come implementazione futura, si può realizzare l’illuminazione del fondo oculare con una sorgente ad infrarosso per ottenere vantaggi, quali: midriasi spontanea, riflessioni eliminate con filtri ottici e riduzioni di parti ottiche per un abbattimento dei costi. 36 Capitolo 4 Appendice 4.1 Richiami di Anatomia Questa piccola sezione di anatomia permetterà di conoscere quelle parti dell’occhio e della retina interessati alla degenerazione maculare. L’occhio è un organo molto complesso, composto di molte parti ed una buona visione dipende dal modo in cui queste funzionano nel loro insieme (Fig.4.1). Figura 4.1: Occhio in sezione. Per la nostra patologia, ci soffermeremo ad una descrizione della zona maculare della retina e della coroide. 37 4.1 Richiami di Anatomia 38 STRUTTURA DELLA RETINA La retina è un tessuto sottile, luce-sensibile disposto nella zona posteriore dell’occhio. Il suo funzionamento si può, in modo semplicistico, paragonare al sensore di una moderna macchina fotografica. La luce che compone l’immagine (fotoni) è focalizzata attraverso un sistema di lenti (cornea e cristallino) su di essa, in modo da essere convertita attraverso i fotorecettori (coni e bastoncelli) in un segnale elettrico da inviare attraverso il nervo ottico ai centri del cervello deputati alla formazione e riconoscimento dell’immagine. Nel suo percorso la luce attraversa i vari strati della retina in modo particolare, interessando per prima la fibre nervose, le cellule multipolari e gangliari e poi i fotorecettori coni e bastoncelli, per poi fermarsi sull’epitelio pigmentato fig.4.2. Figura 4.2: Sezione Retina. Gli strati sono elencati a partire dalla superficie più esterna, epitelio pigmentato retinico a quella più interna a contatto con il vitreo (sostanza gelatinosa, trasparente, indice di rifrazione dell’acqua), che riempie la camera posteriore: 1. strato: epitelio pigmentato 2. strato: dei coni e dei bastoncelli 3. strato: membrana limitante esterna 4. strato: dei granuli esterni 4.1 Richiami di Anatomia 39 5. strato: plessiforme esterno 6. strato: dei granuli interni 7. strato: plessiforme interno 8. strato: delle cellule multipolari 9. strato: delle fibre nervose 10. strato: membrana limitante interna EPITELIO PIGMENTATO RETINICO. Epitelio pigmentato della retina (EPR) è una struttura di origine neuroectodermica formata da un singolo strato di cellule pigmentate. Formano, insieme alla membrana di Bruch, la barriera ematoretinica esterna localizzata tra la coriocapillare ed i fotorecettori (fig.4.2). L’EPR svolge numerosi compiti, dalla protezione del danno ossidativo dei processi della visione, al funzionamento della pompa epiteliale necessaria agli scambi metabolici tra retina e coriocapillare, alla sintesi dell’11 cis-retinale per il ciclo visivo, alla fagocitosi e rigenerazione dei segmenti esterni dei fotorecettori ed alla secrezione di fattori di crescita necessari all’integrità della coriocapillare e dei fotorecettori. STRATO CONI E BASTONCELLI. E’ lo strato dei fotorecettori, cellule altamente specializzate che prendono il nome dalla forma del loro segmento esterno. Sono gli elementi recettoriali del sistema visivo deputati alla trasduzione dell’energia luminosa in potenziali elettrici. I coni, utilizzati per la visione a colori e poco intensa, sono di tre tipi e ognuno specializzato nel rilevare le lunghezze d’onda di base di un colore. I bastoncelli invece, sono adatti alla visione nottura per la loro alta sensibilità ed essendo di un unico tipo rilevano in bianco e nero. La disposizione dei fotorecettori è a palizzata, perpendicolari alla membrana limitante esterna, sulla quale sembrano come impiantati (fig.4.2). La distribuzione dei fotorecettori sulla retina non è omogenea, si notano nella zona para-mediana gruppi di bastoncelli rigorosamente paralleli ed accostati gli uni agli altri separati da un solo cono. Questa geometria e distribuzione si inverte verso il centro dell’occhio. 4.1 Richiami di Anatomia 40 L’addensamento centrale è in prevalenza composto di coni e forma la zona maculare. Il termine antico, macula lutea (dal latino macchia gialla) dovuto al suo colore giallastro indica la presenza di vari pigmenti (luteina, zeoxantina ed al.). E’ la zona della visione distinta il cui centro, formato da solo coni, è chiamato foveola. A circa 0,25 mm da esso, i bastoncelli cominciano ad intercalarsi ai coni ed aumentano progressivamente il loro numero nell’avanzare verso la periferia. A 5-6 mm, limite esterno della macula, essi sono divenuti venti volte più numerosi dei coni. Figura 4.3: Localizzazione macula e zone periferiche. Nella zona più periferica della retina i fotorecettori sono solo bastoncelli, sono spaziati e diminuiti come quantità, quasi zero verso l’ora serrata. Complessivamente i coni sono in numero di 3 milioni mentre i bastoncelli circa 75 milioni. STRATO CELLULE BIPOLARI E GANGLIARI. Figura 4.4: Struttura degli strati cellulari 4.1 Richiami di Anatomia 41 Disposte in fila e vicine l’una all’altra, le cellule gangliari (o multipolari) con i loro prolungamenti formano questo strato. In questo spessore si trovano il corpo e le espansioni di parte degli astrociti ed i prolungamenti delle cellule di Muller.(fig.4.4) STRATO FIBRE NERVOSE Inizia sottilissimo al limite anteriore della parte ottica della retina e, per aggiunta delle fibre nervose nate dalle cellule gangliari, si ingrossa gradualmente nella direzione della papilla (testa del nervo ottico). Il suo spessore tipico arriva ad un massimo di 20 micron. La direzione delle fibre, in genere meridiana, si complica dal lato temporale. La presenza della macula, le costringe a compiere archi concentrici intorno ad essa. I fasci di fibre che provengono dalle parti più periferiche della retina entrano dalla parte centrale della papilla, mentre quelle delle zone più vicine entrano nella parte periferica. L’insieme di queste fibre forma il nervo ottico. COROIDE La coroide è lo strato formato da vasi sanguigni a contatto con l’epitelio pigmentato della retina e la sclera. Il suo compito è di provvedere all’apporto di ossigeno, di nutrienti e smaltimento delle sostanze di scarto (fig.4.5). Parleremo più volte in questo lavoro della ‘coriocapillare’ riferendoci allo strato più interno della coroide. In essa sono contenuti addensamenti di capillari ematici a contatto con lo strato esterno della membrana di Bruch. Figura 4.5: Sezione Coroide. 4.2 Patogenesi AMD 4.2 42 Patogenesi AMD La patogenesi dell’AMD è multifattoriale, vi concorrono numerosi fattori: genetici, ambientali e demografici che conferiscono al soggetto un aumentato rischio di sviluppare la patologia. Le più recenti teorie eziologiche sostengono come cause dell’AMD: lo stress ossidativo dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) e della coriocapillare; uno stato infiammatorio della membrana di Bruch generato da un’alterata diffusione di nutrienti con deposizione di matrice extracellulare in eccesso; un’accumulo di lipidi e infiltrati cellulari [11], [12]. A causa dell’invecchiamento sistemico, si ipotizza che l’epitelio pigmentato retinico, la membrana di Bruch, la coriocapillare perdano la loro efficienza metabolica. Ciò è associato ad un aumentato stress ossidativo in quanto le specie reattive dell’ossigeno liberate nel normale metabolismo, possono danneggiare le molecole costituenti delle cellule. Sappiamo che una delle più importanti funzioni dell’EPR è la fagocitosi dei dischi esterni dei fotorecettori secondo un ritmo circadiano di 5 segmenti al giorno. Tale degradazione avviene nei lisosomi citoplasmatici dell’EPR ed i prodotti terminali sono eliminati nella coroide. Con l’invecchiamento o in particolari situazioni patologiche, si verifica un deposito intra-lisosomiale di lipofuscina come prodotto incompleto di degradazione. I componenti della lipofuscina depositata possono: inibire la degradazione proteica lisosomiale [13], essere fotoreattivi [14], produrre una varietà di specie reattive dell’ossigeno ed altri radicali [15], agire come detergenti ed indurre apoptosi (morte programmata cellulare) dell’EPR [16]. Questo è uno dei motivi per cui le cellule dell’EPR contengono numerosi antiossidanti enzimatici, tra cui la superossidodismutasi e la catalasi ed antiossidanti non enzimatici, come luteina e zaexantina e beta-carotene. Primo segno della patologia AMD sono le drusen, escrescenze focali subretiniche composte da un core di glicolipidi e glicoconiugati, da apolipoproteina E, vitronectina e proteine legate all’infiammazione. Sopra di queste, l’EPR è atrofico e depigmentato. Con l’invecchiamento i lipidi che sono colesterolo, esteri del colesterolo e acidi grassi polinsaturi si accumulano nella membrana di Bruch e contribuiscono ad un ispessimento della stessa. Essi sono soggetti ad un notevole stress ossidativo [17], in quanto a livello della membrana di Bruch manca un adeguato sistema antiossidante intrinseco. Questi composti possono legarsi al sistema di recettori scavenger, determinando un legame con i macrofagi che porta a uno squilibrio della secrezione del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF). Il VEGF induce sia un incremento della permeabilità vasco- 4.3 Sintomatologia e diagnosi 43 lare (è 50.000 volte più potente dell’istamina) che uno stimolo alla neovascolarizzazione, quindi stress ossidativi e flogosi sono meccanismi chiave nella AMD. L’esposizione all’ambiente esterno, alla luce e a fattori tossici, ma anche i processi fisiologici, come il metabolismo e l’invecchiamento, innescano numerose reazioni ossidative a livello della retina, con conseguente sintesi di radicali liberi. La lesività di questi composti è correlata alla loro capacità di indurre un tipo di danno ossidativo a livello delle membrane e dei sistemi enzimatici cellulari. Per la formazione di radicali liberi occorrono due principali elementi: una fonte di energia e l’ossigeno. Per quanto riguarda l’occhio, la via più comune di danno ossidativo è quella fotochimica. 4.3 Sintomatologia e diagnosi I sintomi principali dell’AMD sono la riduzione dell’acuità visiva centrale con permanenza di quella periferica, la distorsione delle immagini (metamorfopsie), l’alterazione della percezione dei colori, la diminuita sensibilità al contrasto. La diminuzione della capacità visiva può non essere marcata nelle fasi iniziali della patologia, soprattutto nella forma non vascolare. La diagnosi avviene attraverso due indagini fondamentali: l’esame biomicroscopico del fondo oculare e lo studio per immagini della regione maculare. L’esame biomicroscopico utilizza come strumento la lampada a fessura, un microscopio orizzontale con max 60 ingrandimenti e focale lunga. Si interpongono lenti diagnostiche ad elevato potere diottrico per permette di identificare le lesioni dell’AMD: drusen e alterazioni pigmentarie dell’RPE, sollevamenti ed atrofie dello stesso, edema maculare e i segni legati alla presenza di neovasi (tessuto fibrovascolare, emorragie, essudati lipidici) [7]. Lo studio per immagini della regione maculare avviene sostanzialmente attraverso tre esami: la fluorangiografia retinica [9], l’angiografia con verde d’indocianina [10] e la tomografia ottica a luce coerente [5]. Le prime due sono indagini angiografiche che usano il principio della fluorescenza per rappresentare lo stato vascolare della retina e della coriocapillare. L’esame chiamato fluorangiografia utilizza la fluoresceina, una sostanza fluorescente alla luce blu, come mezzo di contrasto. La fluoresceina viene assorbita dalla membrana neovascolare e rende più visibile. Sul reperto fluorangiografico la neovascolarizzazione può apparire ben delineata e chiaramente localizzabile per cui siamo in presenza di una neovascolarizzazione classica, oppure apparire mal definita e solo sospettabile da cui neo- 4.3 Sintomatologia e diagnosi 44 Figura 4.6: Immagine angiografica, si noti la patologia dell’AMD in atto. vascolarizzazione occulta. In caso di neovascolarizzazione occulta può essere utile eseguire un secondo esame angiografico che utilizza un colorante fluorescente allinfrarosso, il verde d’indocianina, in grado di dare un’immagine più definita di questi neovasi. L’OCT apparato di imaging di ultima generazione, utilizza il fenomeno dell’interferenza con luce a bassa coerenza ottica. Questo strumento consente di ottenere immagini delle strutture retiniche a sezione trasversale e alta risoluzione, solo alcuni micron. E’ una metodica particolarmente utile per valutare lo spessore retinico, la presenza di edema e le sue caratteristiche, distacchi dell’RPE e della neuroretina, ed alterazioni dell’interfaccia vitreoretinica. Figura 4.7: Immagine trasversale di una retina ottenuta con OCT. Si noti il distacco con formazione di una camera di essudati sottoretinici in zona maculare. 4.4 Trattamenti 4.4 45 Trattamenti TERAPIA FOTODINAMICA La terapia fotodinamica è una tecnica minimamente invasiva che viene eseguita in ambito ambulatoriale. Impiega una sostanza fotosensibile, la Verteporfina, la cui caratteristica importante è la selettività per i neovasi della coroide che le consente di agire sulla lesione neovascolare senza danneggiare la neuroretina sovrastante. La terapia fotodinamica prevede una procedura in due fasi. Nella prima avviene l’infusione del farmaco per via endovenosa tramite una pompa a cilclo lento, affinché il farmaco si accumuli selettivamente a livello della lesione sottoretinica. La seconda fase prevede l’applicazione sull’area della lesione di una luce laser di lunghezza d’onda di 690 nm per attivare il farmaco. L’attivazione induce la formazione per ossidazione di radicali liberi che danneggiano l’endotelio dei neovasi producendo aggregazione piastrinica e formazione di trombi. Questi ultimi a loro volta occludono i vasi patologici della membrana neovascolare portandoli alla necrosi. TERAPIE con INIEZIONE INTRAOCULARE Negli ultimi anni sono state sviluppate nuove terapie basate sul principio di prevenire la causa della lesione vascolare. Si interviene tentando di bloccare lo squilibrio del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), una proteina che aumenta la permeabilità dei vasi con fuoriuscita di liquido dagli stessi. La procedura è usualmente indolore e prevede l’iniezione di un farmaco nel vitreo, la sostanza gelatinosa che riempie la camera posteriore dell’occhio. L’iniezione viene praticata in regime di day hospital, con una anestesia di tipo locale, cioè si instillano alcune gocce di collirio anestetico. L’iniezione può essere ripetuta a seconda delle necessità ogni quattro-sei settimane e frequentemente viene ripetuta nel tempo. Bibliografia [1] Hata TR, Scholz TA, Ermakov IV, McClane RW, Khachik F, Gellermann W, Pershing LK. Non-invasive raman spectroscopic detection of carotenoids in human skin,J. I. D. (2000)115(3): 441-8. [2] Fancois Delori. Autoflorescene method to mesure macular pigment optical densities fluorometry and autofluorescence imaging,, Arch. Bio. Bioph 430 (2004): 156-162. [3] Bernstein PS, Gellermann W, Ermakov IV,McClane RW. Resonant Raman detection of macular pigment level in the living human retina,Opt Lett. (2001)26(4):202-4. [4] W. Gellermann, Bernstein PS,Igor V. Ermakov, Maia R. Ermakova, and Robert W. 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