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SIF – Informa
Newsletter n°79-2008
SIF INFORMA
News Letter n°79 del 18 Dicembre 2008
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“Disease morgering”: un forum con l’opinione dei Soci SIF
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Marco Scatigna eletto nel Direttivo di ASSOBIOTEC
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12° Meeting of the International Society for Tryptophan Research (ISTRY 2009) – Firenze, 9-11
Luglio 2009
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Workshop “Il placebo nelle sperimentazioni cliniche. Aspetti farmacologici ed etici” – Ferrara, 17
Gennaio 2009
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“Disease morgering”: un forum con l’opinione dei Soci SIF
A partire da questa newsletter, la SIF apre un forum su tale problematica, iniziato nello scorso marzo
con un intervento del Prof. Sisto Luciani.
(SIF informa n°20 del 20.03.2008: http://www.sifweb.org/infos/newsletters/sif_informa_nl_20_2008.php#6).
A seguito di tale intervento ho chiesto al prof. Luciani di coordinare la raccolta delle opinioni dei soci e di
seguito vengono riportati i seguenti interventi:
- Un forum su “disease morgering” o “marketing delle malattie”: Prof. Sisto Luciani.
- “Il farmaco contro l’apatia”: Prof. Giovanni Umberto Corsini.
- “Contro un’inappropriata richiesta di salute” Prof. Stefano Covoni.
- “Fobia Sociale: farmacoterapia di un disturbo d’ansia o delle timidezza” dei Proff. Chiamulera, Leone e
Fumagalli.
Nella prossima newsletter verranno riportati gli interventi del prof. Giuseppe Cirino sulla disfunzione
endoteliale e della prof.ssa Paola Patrignani sul colesterolo.
Mi auguro che questo forum possa incontrare l’interesse dei lettori e spero che altri soci vogliano esprimere
opinioni su tale argomento di strategica importanza sociale.
Il prof. Luciani (e-mail: [email protected] ), che ringrazio per l’iniziativa, si è reso disponibile per
coordinare tale iniziativa ed a lui vanno inviati commenti ed opinioni. Ringrazio anche i soci Corsini,
Govoni, Chiamulera, Leone e Fumagalli per aver aperto questo forum.
Buona lettura
Achille Caputi
Presidente SIF
Un forum su “disease mongering” o “marketing della malattia”
Sisto Luciani, Professore di Farmacologia, Università di Padova
In un precedente intervento su SIF-Informa (20.03.2008) ho richiamato l’attenzione sui problemi che
riguardano l’espansione del mercato dei farmaci mediante l’ampliamento del numero dei possibili
utilizzatori dei farmaci stessi. Questo fenomeno noto nella letteratura anglosassone come “disease
mongering” e che in italiano potrebbe definirsi “marketing della malattia”*, ha ricevuto negli ultimi anni
crescente attenzione. Al tema è stata dedicata nel 2006 una Conferenza Internazionale a Newcastle
(Australia) e una serie di articoli su PLOS medicine. Sebbene la precisa definizione di disease mongering e
i limiti tra l’informazione corretta sulla prevenzione e terapia di malattie croniche (disease management)
non siano del tutto chiari, esiste un ampio consenso nel considerare il disease mongering come la tecnica di
trasformare il malessere in malattia, allargando cosi i confini del mercato a vantaggio di coloro che vendono
o somministrano un trattamento farmacologico. Gli argomenti oggetto di discussione sono stati: farmaci
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antidepressivi, ipocolesterolemizzanti, disfunzione erettile, ipertensione, deficit di attenzione e iperattività,
disfunzione sessuale femminile, sindrome premesrtruale, osteoporosi, colon irritabile.
Analogamente allo sviluppo del marketing di prodotti industriali il disease mongering rappresenta una sfida
globale per tutti coloro che sono interessati alla salute pubblica. E’ noto che le principali industrie
farmaceutiche negli Stati uniti spendono più nel marketing che nella ricerca e sviluppo di nuovi farmaci:
secondo una recente indagine la spesa per il mercato è il doppio rispetto a quella per la ricerca mentre in
Italia secondo Farmindustria** è addirittura il triplo. La trasformazione di fattori di rischio in malattia,
induce la percezione da parte del paziente della necessità del trattamento. Questa pratica aggressiva di
marketing della malattia forza individui sani a considerarsi malati ed espone gli stessi agli effetti
indesiderati dei farmaci. La SIF, consapevole che “l’unico modo per difendersi dal disease mongering è
conoscerlo”, intende attivare un Forum sui problemi relativi al trattamento farmacologico di malattie
croniche (disease management) confrontandoli con le problematiche dell’ampiamento del mercato mediante
l’estensione del numero dei pazienti sottoposti a terapia (disease mongering). Gli interventi dei Colleghi
Giovanni Umberto Corsini, Stefano Govoni, Cristiano Chiamulera, Roberto Leone e Guido Fumagalli
affrontano il tema del disease mongering da diverse angolature e rappresentano un primo contributo al
Forum.
*Ringrazio Carol Taylor Torsello, Professore di Linguistica Inglese all’Università di Padova per aver suggerito questa
definizione.
**Informazione fornita dal Presidente di Farmindustria, dott. Sergio Dompè, al Convegno su “Attualità e criticità della
Sperimentazione Clinica in Italia. Comitati Etici e Imprese del farmaco a confronto” Roma, Farmindustria,10 luglio
2008.
Letture
Moynihan R., Cassels A. Selling Sickness: how drug companies are turning us all into patients. Sidney: Allen und
Unwin 2005.
PLOS Medicine : May 2006, Vol 5, Issue 5, e106-e213.
Shankar P.R., Subish P. Disease mongering. Singapore Med J 2007, 48: 275.
Brezis M. Big pharma and health care: unsolvable conflict of interests between private enterprise and public health.
Isr J Psychiatry Relat Sci.2008;45: 8390.
Il farmaco contro l’apatia
Giovanni Umberto Corsini, Professore di Farmacologia, Università di Pisa
Aspettavo Tom seduto su una comoda poltrona di pelle al quarto piano di un elegante stabile situato sulla
Pennsylvania Avenue in pieno centro a Washington. Pensavo a come dagli uffici di questo palazzone,
adibiti a piccole ditte farmaceutiche, partissero idee e proposte che avrebbero condizionato la vita e la salute
di milioni di persone in tutto il mondo. Un vero centro di lancio di nuovi farmaci, come “missili” su di noi,
aventi come target ora il cervello, ora il cuore ora altri organi e tessuti.
“Hi Giambi” disse Tom in tono come sempre gentile, introducendomi nel suo studio. Dopo lunghi
convenevoli, Tom incominciò a parlarmi del “suo lancio”: una nuova molecola, di cui la sua ditta teneva il
brevetto e della quale non poteva per ora rivelarmi la struttura. Una nuova molecola per colpire un sintomo,
non una malattia: un sintomo presente a volte in ognuno di noi, a volte più marcato in alcune patologie
psichiatriche e non, l’APATIA. “What? Did I understand correctly? Apathy?” chiesi a Tom incuriosito.
“Vorresti curare l’apatia?” L’idea mi sembrò assai futile, anche perché esistono tanti farmaci che possono
migliorare l’apatia, basti pensare agli psicostimolanti; ma, dopo un primo momento di sbigottimento, capii
che quanto proponeva era serio e che forse avrebbe trovato acquirenti e conquistato i mercati, pardon….le
farmacie di tutto il mondo. Tom è stato un grande nello studio della malattia di Parkinson e mi sembrò
strano che ora, andato in pensione, si dedicasse a produrre farmaci dichiarando guerra non a una patologia
“altolocata” come era abituato a fare, ma a un disturbo che, a prima vista, potesse sembrare insignificante.
Tom continuò a spiegarmi che l’apatia è un disturbo invalidante e che molte persone ne sono affette senza
averne coscienza. Un farmaco utile in questo senso migliorerebbe la qualità della vita di queste persone e
creerebbe cultura su un sintomo e sulle patologie ad esso correlate. “Sì! Un farmaco che si aggiunge ai tanti
che la gente, già farmacomàniaca, assume giornalmente”, pensai, “un altro farmaco per una patologia
inesistente”. Mentre uscivo dall’ascensore e mi rimettevo nel traffico caotico della Pennsylvania Avenue,
ripensavo a quanto accaduto e consideravo come ormai fossero tanti gli esempi in cui, in passato si sono
costruite nuove patologie o nuovi aspetti di vecchie patologie per collocare e riposizionare nuovi e vecchi
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farmaci. I neurolettici, per esempio, nati come “tranquillanti maggiori”, uscirono ben presto
dall’eccezionale ed esclusivo ruolo nelle psicosi per approdare, con molteplici derivati, ora come
antiemetici, ora come antichinetosici, ora come procinetici, o nei rivoli delle varie sindromi psichiatriche
che di volta in volta venivano riconsiderate. Rimasi colpito, per esempio, quando venne rivalutata una
patologia psichiatrica stranota e ridenominata come “distimia”, target farmacologico per la amisulpride,
ultima nata di una famiglia fortunata di farmaci: le benzamidi sostituite. Anch’esse ebbero grandi
posizionamenti sul mercato nei confronti delle più disparate pseudopatologie o sintomi annessi. Così le
benzodiazepine, che hanno avuto il grande vantaggio/svantaggio di un’eccezionale maneggevolezza che ha
consentito al paziente/soggetto di autogestirle a piacimento combattendo ora i disturbi più fastidiosi, ora
quelli più… immaginari. Per non parlare degli antidepressivi dell’ultima generazione, che hanno permesso
di scoprirci sempre più spesso… depressi, ma … contenti di poterci curare con una pillola. Pensavo, mentre
tornavo a Bethesda in metropolitana, che forse Tom non facesse altro che perpetuare una vecchia storia e
non capivo, in fin dei conti, perché mi fossi tanto stupito. E’ ormai chiaro che è più facile produrre farmaci
per le persone sane che per quelle veramente malate.
Creare un’inappropriata richiesta di salute
Stefano Govoni, Professore di Farmacologia, Università di Pavia
Quando sono stato invitato a scrivere sul problema del disease mongering, ovvero creare un’inappropriata
richiesta di salute, in relazione al deficit di attenzione ed iperattività (ADHD) ho subito ribattuto che avrei
preferito scrivere del caso dell’anziano e delle demenze. Poi mi sono convinto di aderire all’invito, ma non
del tutto, e utilizzerò in questa mia breve nota entrambi gli esempi che ritengo emblematici dei problemi sul
tappeto. Il caso dell’ADHD e il relativo dibattito datano almeno una decade. La prevalenza della malattia
(3-5% di tutti i bambini negli USA) ha dimensioni che preoccupano, ed il fatto che tale prevalenza sia
inferiore in altre parti del mondo ha rafforzato l’idea di una diagnosi eccessivamente disinvolta forse
sostenuta da interessi commerciali. D’altra parte, vi è un’intersezione di fattori culturali e sociali che
giustifica differenze anche importanti della prevalenza in regioni diverse del mondo. A metà del 2000 fu
lanciata un’azione legale contro associazioni scientifiche e produttori per aver pianificato, cospirato e
collaborato per creare, sviluppare e promuovere il mercato del prodotto Ritalin. Le “class actions”
intraprese (tutte ritirate tra il 2001 e il 2002) sono state uno degli epigoni di una aspra discussione pro e
contro l’uso di stimolanti nell’ADHD e sul ruolo di medici, insegnanti e genitori nel diagnosticare la
malattia, nel prescrivere i farmaci e nel sostenerne l’uso. La letteratura (si veda ad esempio Plessen et al
2006, Volkow et al. 2007) sostiene la posizione di chi definisce l’ADHD come malattia organica anche se
rimane aperto il problema dell’individuazione di marcatori biologici, del tipo di trattamento da adottare e
del rapporto costo e rischio/beneficio dei trattamenti con gli stimolanti.
Il problema dei marcatori di malattia è condiviso da diverse patologie neuropsichiatriche, tra cui la malattia
di Alzheimer, anche se per quest’ultima nessuno mette in dubbio la base organica e la diagnosi viene posta
secondo criteri internazionali largamente condivisi. Il dubbio riguarda il trattamento farmacologico.
L’accusa è quella che i farmaci disponibili, gli inibitori dell’acetilcolinesterasi e memantina, abbiano
un’azione terapeutica marginale, non in tutti i pazienti, e non sia quindi giustificato il loro impiego diffuso.
La diatriba internazionale (Maggini et al, 2006) ha visto la partecipazione di attori diversi: i servizi sanitari
che, nell’ottica della salute pubblica, cercano di indirizzare e controllare la spesa farmaceutica; le
associazioni dei parenti che difendono l’interesse di limitare il decadimento cognitivo dei propri cari; i
produttori interessati ad un mercato importante. In Italia qualche anno fa fu avviato un programma di
monitoraggio dell’azione dei farmaci per il trattamento della malattia di Alzheimer, il progetto CRONOS, i
cui risultati sono stati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità (Raschetti et al, 2005). I dati riportati negli
articoli citati dimostrano che solo una proporzione dei pazienti (circa il 16%) risponde al trattamento, ma si
possono dare letture diverse. Da una parte si può affermare che la percentuale di responders è troppo
piccola per giustificare la spesa della terapia, dall’altra si può controbattere che i criteri che definiscono i
responder sono troppo stretti e che comunque i risultati documentano che sul totale dei trattati una
proporzione significativa trae giovamento dal trattamento, un beneficio, a mio modo di vedere, non
rinunciabile. Il dibattito sulla efficacia del trattamento continua, e chi scrive è convinto che occorra
spendere energie e denari per sviluppare test predittivi della risposta e, nell’attesa, proseguire, come sta
avvenendo, il programma di monitoraggio della risposta per stabilire i pazienti candidati al trattamento. I
due casi sopra riassunti bene illustrano la complessità dei problemi che ruotano attorno al fenomeno del
disease mongering. L’interesse relativo a una richiesta impropria di salute non è solo quello dell’industria
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farmaceutica, ma anche quello di medici, di avvocati e di certi settori dell’associazionismo. Ognuno di
questi stake holders è portatore di interessi legittimi, ma anche di potenziali interessi per vantaggi personali
o corporativi. Come si superano questi conflitti? Ad esempio, con una migliore definizione della malattia e
con l’individuazione di marcatori biologici o con la definizione delle risposte attese al trattamento. Un altro
punto importante è richiedere maggiore trasparenza nelle comunicazioni da parte di tutti gli stake holder,
obiettivo che può essere realizzato sia con leggi appropriate sulla comunicazione in ambito medico, peraltro
già esistenti, sia tramite la maggior formazione del pubblico. Occorre infatti una maggiore formazione della
società civile tutta perché impari a selezionare e valutare le informazioni mediche, e capire, sapendo anche
le regole del marketing e della comunicazione diretta ai consumatori, quando e come un’informazione possa
essere forzata a favore di tesi o interessi precostituiti. Una formazione di questo tipo viene oggi offerta a
alcuni gruppi di operatori sanitari, soprattutto nel mondo anglosassone, ma andrebbe estesa e inserita nei
corsi formali universitari. Anche il pubblico laico dovrebbe essere formato tramite campagne pubbliche.
Questo modo di operare dovrebbe permettere di esprimere tutti i legittimi interessi dei vari attori e di porli a
confronto limitando il rischio del fenomeno del disease mongering.
Bibliografia
Maggini M, et al. Cholinesterase inhibitors: drugs looking for a disease? PLoS Med. 2006 Apr;3(4):e140.
Plessen KJ, et al., Hippocampus and Amygdala Morphology in Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, Arch Gen
Psychiatry. 2006;63:795-807.
Raschetti R, Maggini M, Sorrentino GC, Martini N, Caffari B, Vanacore N. A cohort study of effectiveness of
acetylcholinesterase inhibitors in Alzheimer's disease. Eur J Clin Pharmacol. 2005;61:361-8.
Volkow N.D., et al., Depressed Dopamine Activity in Caudate and Preliminary Evidence of Limbic Involvement in
Adults With Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, Arch Gen Psychiatry. 2007;64(8):932-940.
Fobia Sociale: farmacoterapia di un disturbo d’ansia o della timidezza?
Cristiano Chiamulera, Roberto Leone e Guido Fumagalli, Professori di Farmacologia, Università di Verona
In un originale articolo comparso su BMJ nell’aprile del 2002, un giornalista finanziario, un medico di base
ed un farmacologo clinico australiani discutono di disease mongering e sistema farmaceutico [1].
Nell’articolo si riportano diversi casi emblematici di questa pratica di ampliamento dei confini diagnostici
di una malattia mirata all’espansione del mercato farmaceutico; tra questi spicca il caso della “Fobia
Sociale” che fu oggetto di “particolare” attenzione in occasione dell’introduzione nel mercato australiano di
un nuovo antidepressivo da parte della Roche. La Fobia Sociale è uno stato patologico caratterizzato da
sintomi d’ansia che limitano il normale svolgimento della vita di un soggetto. Questo disordine è descritto
sia nella ICD-10 che nel DSM-IV dove viene compresa nel più vasto capitolo dei Disturbi d’Ansia.
I sintomi che caratterizzano la Fobia Sociale sono rappresentati da:
• Paura marcata e persistente in una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta
al giudizio di altri. L’esposizione alla situazione temuta provoca invariabilmente ansia, che può assumere le
caratteristiche di Attacco di Panico.
• L’ansia si può manifestare anche con pianto, scoppi d’ira, irrigidimento ed esitamento, in particolare nei
bambini.
• I sintomi d’ansia interferiscono significativamente con la vita della persona adulta nel funzionamento
lavorativo.
Il decorso della malattia è spesso continuativo. La sua insorgenza è tipica dell’età infantile ed
adolescenziale, e talvolta emerge da una storia di inibizione o timidezza. Il problema nasce proprio dalla
caratterizzazione della “timidezza”. Quando questa è un reale problema medico? Quanto della diffusione di
questo quadro sintomatico riflette un reale disturbo psichiatrico, diagnosticabile ed eventualmente trattabile,
e quanto invece riflette una semplice manifestazione comportamentale della timidezza infantile tipica dei
primi anni di scolarizzazione?
I dati epidemiologici sono confondenti per l’estrema variabilità tra valori minimi di prevalenza lifetime del
2-5% (che comunque è un valore “grave” e della stessa dimensione di quello rilevato per la schizofrenia) e
altri valori più recenti che riportano un tasso di prevalenza del 13-16% [2] . Sorge il dubbio che questa
elevata variabilità sottintenda un “gonfiare” la reale dimensione del problema. La sovrastima trova in parte
spiegazione nell’obiettiva difficoltà di una accurata diagnosi di patologia in età pediatrica, e nelle
preoccupazioni legate alle conseguenze a cui può portare l’eventuale condizione patologica non
riconosciuta (e perciò non correttamente trattata). Infatti, circa il 70-80% dei casi di Fobia Sociale
presentano comorbilità con depressione maggiore, alcolismo, abuso di sostanze ed altre condizioni ansiose .
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La Qualita’ della Vita è’ gravemente compromessa, dato che si presenta costante con una vasta gamma di
questionari utilizzati [3,4]. Nei casi “da manuale”, lo scopo della terapia è sia di ridurre i sintomi psicofisici,
che di migliorare la qualità di vita tramite il controllo del sintomo comportamentale tipico (la fuga dalle
situazioni sociali temute). I primi farmaci utilizzati nella fobia sociale sono stati gli inibitori delle monoammino-ossidasi, seguiti da beta-bloccanti, benzodiazepine, buspirone, alcuni anticonvulsivanti, e più di
recente dagli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI).
Problema Mongering:
La timidezza rappresenta una situazione comune, che si manifesta soprattutto nell’infanzia e
nell’adolescenza, e che viene superata fisiologicamente. Tale situazione non presenta alcun risvolto
patologico e, in quanto tale, non necessiterebbe di alcun trattamento. Tuttavia il confine tra timidezza
“pura” e timidezza “patologica” non è clear-cut né nella popolazione e neppure all’interno della vita di uno
stesso individuo. In un’ottica di diagnosi di spettro, analogamente il trattamento farmacologico può non
essere necessario oppure può essere alla bisogna o infine cronico. Questa situazione si presta ad un
mongering a diversi livelli e spesso genuinamente “inconsapevole”.
Come uscirne?
L'
aiuto non può che venire dalla ricerca sia in ambito farmacologico che delle neuroscienze di base. Mai
come in questo caso è necessario ampliare le conoscenze sul ruolo della farmacoterapia nella fobia sociale
nell’età critica, cioè nei bambini e negli adolescenti. Si tratta di un problema non indifferente date le grandi
difficoltà che emergono a livello di Comitati Etici quando si vogliono condurre studi su campioni di
minorenni. Sono inoltre necessari studi di comparazione tra i diversi farmaci, e studi per una migliore
valutazione dei criteri che permettono di definire il concetto di remissione dalla Fobia Sociale [5].
Concludiamo con alcune considerazioni legate anche al nostro background di farmacologi legati alla
quotidianità della ricerca scientifica e ai continui avanzamenti registrati nel campo delle neuroscienze. Il
grande proliferare di studi di imaging funzionale, oltre a rivoluzionare le nostre concezioni sul modo di
lavorare del cervello, ha fornito le basi per la messa a punto di nuovi approcci diagnostici alle malattie
psichiatriche e per la verifica dell’efficacia di farmaci e trattamenti terapeutico cognitivo-comportamentali
anche nella stessa Fobia Sociale [6]. Questi progressi tecnologici e culturali consentiranno di compendiare
la classica diagnosi categoriale con la più attuale analisi di spettro del disturbo che porti ad un trattamento
individualizzato. Non più trattamenti a “ricetta di cucina” sulla base di schemi diagnostici adattati e spesso
generati dalla prassi e non dalle evidenze, ma adozione piena di concetti e metodi che nascono dalle ricerca
scientifica. Solo così potranno essere superati i dubbi di incertezza diagnostico-terapeutica che spesso
portano a trattare con gli strumenti più svariati ciò che è invece una normale e fisiologica “timidezza
infantile”.
Bibliografia
1- R Moynihan, I Heath, D Henry, Selling sickness: the pharmaceutical industry and disease mongering BMJ
2002;324:886-891
2 - Antony MM. Assessment and treatment of social phobia. Can. J. Psychiatry 1997; 42: 826-834
3 - Wittchen HU, Beloch E. The impact of social phobia on quality of life. Int Clin Psycopharmacol 1996; 11: 15-23.
4 - Safren FR et al. Quality of life in Social Phobia. Depress Anxiety 1996-97: 4:126-133.
5 - Fahlén T. Personality traits in social phobia, II: changes during drug treatment. J Clin Psychiatry 1995; 56: 569573
6 - Furmark T et al. Common changes in cerebral blood flow in patients with social phobia. Arch Gen
Psychiatry 2002,59:425-33.
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Marco Scatigna eletto nel Direttivo di ASSOBIOTEC
Si informano i soci che il Dott. Marco Scatigna, componente del Consiglio Direttivo della nostra Società è
stato eletto nel Consiglio Direttivo di ASSOBIOTEC. Al neo eletto le più vive congratulazioni per il
successo ottenuto ed i più sinceri auguri di buon lavoro a parte della Società. L’elezione del dott. Scatigna
può diventare un momento importante per anocr più operare come “sistema” nell’interesse della ricerca
farmacologia del nostro paese.
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12° Meeting of the International Society for Tryptophan Research (ISTRY 2009)
Firenze, 9-11 Luglio 2009
Il Prof. Flavio Moroni (Dipartimento di Farmacologia, Università di Firenze) informa che il 12° Meeting
of the International Society for Tryptophan Research (ISTRY 2009) avrà luogo a Firenze dal 9 all’11
Luglio 2009. Link web: www.newtours.it/istry2009.
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Workshop “Il placebo nelle sperimentazioni cliniche. Aspetti farmacologici ed etici”
Ferrara, 17 Gennaio 2009
I Proff. Pier Andrea Borea (Coordinatore SIF Emilia Romagna) e Pierangelo Geppetti (Coordinatore SIF
Toscana) informano che il Workshop “Il placebo nelle sperimentazioni cliniche. Aspetti farmacologici ed
etici” si terrà a Ferrara nell'
Aula Magna delle Nuove Cliniche, il 17 gennaio 2009. Il Workshop, sotto
l’Egida SIF, vede tra gli organizzatori anche le sezioni SIF dell’Emilia Romagna e della Toscana.
Programma e Scheda di iscrizione sono disponibili su SIFWEB alla pagina:
http://www.sifweb.org/eventi/sif_ws_placebo_sperim_clin_fe_170109.pdf.
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Buona Lettura
Società Italiana di Farmacologia
Segreteria organizzativa
Viale Abruzzi 32
20131 Milano
Tel 02 29520311 - fax 02 29520179
Sito Web: http://www.sifweb.org
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I numeri precedenti sono disponibili, in formato PDF, nella Sezione "SIF-Informa" del nostro Web
(http://www.sifweb.org/news/comunicati.php).
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