Convegno SISP Firenze, 12-14 settembre 2013 Sezione Politica e

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Convegno SISP
Firenze, 12-14 settembre 2013
Sezione Politica e religione
Panel 13.5: «Una democrazia post-secolare? La teoria democratica oltre la secolarizzazione»
Una democrazia (antropologicamente) ‘cristiana’?
La sfida di Reinhold Niebuhr alla teoria democratica
di Luca G. Castellin
Università Cattolica del Sacro Cuore
«La capacità di giustizia dell’uomo rende possibile la democrazia, ma la sua inclinazione
all’ingiustizia rende la democrazia necessaria»1. Così, nella premessa alla prima edizione di The
Children of Light and the Children of Darkness, Reinhold Niebuhr espone in maniera sintetica e
legittima in forma realistica il metodo democratico. Il teologo protestante pubblica il volume – che
rimane certamente la sua opera più importante sull’argomento – nel tardo autunno del 1944. E la
sua attenzione è rivolta principalmente alla critica tanto del liberalismo, quanto del marxismo.
Secondo Niebuhr, la democrazia possiede una validità più profonda e richiede una giustificazione
più forte rispetto alle visioni eccessivamente ottimistiche che troppo spesso sono utilizzate per
difenderla. Essa, infatti, è in grado di prosperare soltanto quando la natura umana è compresa nella
sua ambigua complessità. Dal momento che l’uomo possiede sia impulsi egoistici sia una
propensione alla socialità, ogni interpretazione che tenda a sottolineare esclusivamente gli uni o
l’altra risulta necessariamente parziale e fuorviante. Per il teologo protestante, alla metà del XX
secolo, la sopravvivenza della civiltà democratica non può allora che essere affidata a una riscoperta
della prospettiva cristiana sull’uomo e sulla politica. In particolare, è nella visione antropologica
della fede biblica che Niebuhr ritiene siano contenuti elementi fondamentali per acquisire un
adeguato intendimento della storia e della realtà, in grado di salvaguardare non solo il metodo, ma
anche l’ethos della democrazia.
Questo paper intende offrire un’analisi critica degli elementi centrali contenuti nella
riflessione di Niebuhr sulla democrazia. L’obiettivo principale è quello di evidenziare il contributo
che il pensiero del teologo protestante offre rispetto al rapporto tra politica e religione all’interno
della sfera pubblica. Diversamente da ciò che si potrebbe pensare, infatti, l’autore non fornisce una
giustificazione teologica della democrazia. Non intende fondare il regime democratico su base
religiosa o teologica. Piuttosto, il cristianesimo viene utilizzato da Niebuhr non solo per rivendicare
il ruolo della religione all’interno della comunità2, ma anche per puntellare la laicità del sistema
politico-sociale. Egli attua una ‘de-mitizzazione’ e una ‘de-sacralizzazione’ della democrazia, la
quale sembra ancora oggi attuale, seppur siano passati quasi settant’anni dalla sua formulazione.
1. La democrazia come religione
1
R. NIEBUHR, The Children of Light and the Children of Darkness. A Vindication of Democracy and a Critique of
Its Traditional defense, Scribners, New York 1944; trad. it. Figli della luce e figli delle tenebre. Il riscatto della
democrazia: critica della sua difesa tradizionale, Gangemi, Roma 2002, p. 48.
2
Un’apertura al ruolo della religione nell’ambito pubblico che recentemente è stata ribadita, in maniera differente,
da J. HABERMAS, Zwischen Naturalismus und Religion. Philosophische Aufsätze, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2005;
trad. it. Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2006; e C. TAYLOR, A Secular Age, Harvard University Press,
Cambridge (MA) 2007; trad. it. L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2009.
1
Il 4 agosto 1947, Niebuhr denuncia con forza la cieca devozione di tutti quegli americani che
sembrano ormai possedere una sola religione: la democrazia. Nell’articolo pubblicato sulla rivista
«Christianity and Crisis», egli sottolinea i pericoli nascosti in questo atteggiamento che definisce
idolatrico. Secondo il teologo protestante, infatti, quando l’uomo – e l’autore ritiene che i cittadini
degli Stati Uniti siano grandemente esposti a tale ‘peccato’ – concepisce la democrazia come una
religione, senza avere alle spalle una fede più solida, corre il rischio di identificare un aspetto
particolare di tale regime politico con i più alti valori dell’esistenza. Ma, dal momento che nessuna
istituzione storica (politica, economica o religiosa) può reggersi e sopravvivere a una venerazione
acritica, Niebuhr è convinto che la devozione verso la democrazia rappresenti soltanto una forma
falsa di religione3.
In maniera soltanto all’apparenza paradossale, Niebuhr rintraccia l’origine del culto
idolatrico della democrazia nel secolarismo moderno4. Quest’ultimo, infatti, pur se è frutto di quella
cultura borghese che «ha creato uno spirito di indifferenza verso le forme storiche della fede
religiosa», si rivela esso stesso «una religione» che non solo «crede di possedere le risposte ultime
ai problemi della vita», ma talvolta sostiene anche che il fine esclusivo dell’esistenza sia (e debba
essere) la «creazione della società democratica»5. Il giudizio del teologo protestante sull’effetto
prodotto da tale ‘deriva’ del processo di secolarizzazione è piuttosto netto. Egli rifiuta il
presupposto illuministico secondo cui la religione debba essere esclusa dall’orizzonte delle società
democratiche, perché legata all’ordine politico, economico e sociale, delle comunità tradizionali. E,
nel medesimo tempo, si oppone alla conseguente idea che il secolarismo costituisca l’unica base
necessaria e sufficiente su cui poggiare la democrazia.
Nella rimozione della religione dall’ambito pubblico perseguita dal secolarismo, un processo
che – al di là delle differenze tra Stati Uniti ed Europa – interessa l’intero Occidente, il teologo
protestante coglie non solo e non tanto la negazione del (o la sfiducia nel) cristianesimo, ma anche e
soprattutto l’ascesa di una nuova religione dagli esiti perversi. Il secolarismo, ribadisce Niebuhr in
un saggio incluso nella raccolta Christian Realism and Political Problems del 1953, può essere
origine di «false sacralizzazioni»6. Infatti, «un esplicito rifiuto delle questioni ultime e del divino»,
3
Cfr. R. NIEBUHR, Democracy as a Religion, «Christianity and Crisis», VII (1947), 12, pp. 1-2.
Sulla traiettoria che dal processo di secolarizzazione conduce al secolarismo, si veda H. LÜBBE, Säkularisierung.
Geschichte eines ideenpolitischen Begriffs, Karl Alber GmbH, Freiburg-München 1965; trad. it. La secolarizzazione.
Storia e analisi di un concetto, Il Mulino, Bologna 1970.
5
NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, pp. 125-127.
6
R. NIEBUHR, Democracy, Secularism and Christianity, in ID., Christian Realism and Political Problems, Charles
Scribner’s Sons, New York 1953, pp. 95-103; trad. it. Democrazia, secolarismo e cristianesimo, in G. DESSÌ, Niebuhr.
Antropologia cristiana e democrazia, Studium, Roma 1993, pp. 105-112, p. 108.
4
2
può costituire «la base per una politica religiosa che genera idolatrie»7. La forte denuncia che il
teologo protestante compie nei confronti di quelle che ritiene caricature dell’ideale democratico,
destinate (magari inconsapevolmente) a indebolirne la più intima natura di fronte alle sfide lanciate
dal comunismo, non ha alcun carattere anti-moderno, né alcuna finalità reazionaria. Pur
sottolineando il fondamentale contributo che il cristianesimo – e, in particolare, la sua visione
antropologica – può offrire alla democrazia, Niebuhr si oppone a ogni forma di ‘sacralizzazione’
della politica o di ‘politicizzazione’ del sacro. Egli critica sia i tentativi della religione di attuare un
controllo della sfera pubblica, sia la volontà del potere politico di trasformare in verità di fede
istituzioni, procedure e finalità secolari. In tale prospettiva, l’autore può allora sottolineare che, se,
da un lato, «[l]e idee e le tradizioni religiose non possono essere coinvolte direttamente nella
organizzazione della comunità»8, dall’altro, «l’investitura della politica con la santità della religione
genera sempre illusioni»9.
In The Children of Light and the Children of Darkness, che viene pubblicato quando ormai
gli Alleati hanno liberato la Francia e conquistato il controllo sul Pacifico, Niebuhr giunge persino
ad affiancare in maniera molto ardita e fortemente polemica il culto della democrazia con il
totalitarismo tedesco. Ritenere che la società democratica sia (e debba essere) lo scopo
dell’esistenza dell’uomo non è altro che una forma meno viziosa – e più ingenua, nella sua variante
americana – del Nazismo che alla metà del XX secolo devasta drammaticamente l’Europa. Il
teologo protestante coglie l’origine della religione demoniaca nazista proprio nella volontà del
secolarismo di ‘neutralizzare’ la società moderna. Perseguendo in maniera consapevole lo
scetticismo e sostenendo la relatività di ogni prospettiva, il secolarismo si pone sull’abisso del
nichilismo morale che minaccia la vita di insignificanza e crea un vuoto spirituale sempre pronto a
essere riempito da credenze primitive e pagane come nel caso del regime hitleriano. Nella
prospettiva offerta da Niebuhr, invece, nessun regime politico può essere considerato come un fine
in sé, così come nessuna nazione può ritenersi sacra e unica.
Pertanto, all’interno di una nazione come l’America, che in Occidente è paradossalmente
quella più religiosa e, al tempo stesso, quella più secolarizzata10, Niebuhr si mostra ben più
preoccupato dal rischio che la democrazia venga assolutizzata, trasformandosi in religione laica,
piuttosto che dal pericolo che le diverse componenti religiose presenti nella società possano ingerire
nel dibattito pubblico, minacciando il pluralismo. Di fronte alle pretese della cultura borghese di
7
Anche se, egli ammette, «le idolatrie della democrazia» sono «religiosamente banali», ma «comparativamente
innocue se paragonate con le più nocive idolatrie del totalitarismo secolare moderno» (ibidem).
8
NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, p. 122.
9
R. NIEBUHR, The Irony of American History, Charles Scribner’s Sons, New York 1952; trad. it. L’ironia della
storia americana, Bompiani, Milano 2012, p. 361.
10
Cfr. R. NIEBUHR, Pious and Secular America, Charles Scribner’s Sons, New York 1958, pp. 1-13.
3
fondare la democrazia su se stessa, attraverso il ricorso a principi astratti immanenti allo Stato
democratico-liberale, il teologo protestante attua una ‘demitizzazione’ – che, per molti versi, è
anche una vera e propria ‘desacralizzazione’ – della democrazia. Quest’ultima, egli osserva,
richiede qualcosa di più che una «devozione religiosa» ad alcuni «ideali morali», anche perché
«ogni devozione assoluta a fini politici relativi (e tutti i fini politici sono relativi) è una minaccia
alla pace comune»11. In altri termini, Niebuhr afferma che la democrazia «ha una giustificazione più
forte e stringente, che richiede una rivendicazione più alta e realistica di quella che è stata offerta
dalla cultura liberale con la quale essa è andata associata nella storia moderna»12.
2. «Una rivendicazione più alta e realistica»
Alla metà del Novecento, il teologo protestante ritiene che il «credo democratico» sia stato (e, per
molti versi, venga ancora) associato a «visioni eccessivamente ottimistiche» sia della «natura», sia
della «storia» umane, e che, pertanto, esso corra il concreto «pericolo» di cadere e sgretolarsi di
fronte tanto alle sfide esterne quanto alle scosse interne13. Al fine di evitare – o, quantomeno,
allontanare la possibilità di – un tale rischio, egli afferma che le democrazie moderne abbiano
necessità di una base «filosofica e religiosa più realistica»14. Scartando al tempo stesso sia il
pessimismo che «conduce invariabilmente alla teorie dell’assolutismo politico», sia l’ottimismo che
«oscura i pericoli di caos che incombono perennemente su ogni società», Niebuhr trova questa base
filosofica e religiosa nella «visione cristiana della natura umana»15, che egli considera l’unica
giustificazione in grado di preservare la democrazia16.
Secondo il teologo protestante, «[p]raticamente tutte le scuole di pensiero della cultura
moderna, al di là delle loro differenze, sono unite nel rifiuto della dottrina cristiana del peccato
originale»17. Invece, tale dottrina non solo è «l’unica empiricamente verificabile»18 della fede
11
NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, p. 137.
Ibi, p. 47. L’inadeguatezza dei presupposti su cui si fonda la civiltà democratica è determinata sia dall’eccessivo
individualismo della cultura borghese, sia dall’erronea convinzione di poter facilmente risolvere la tensione e il conflitto
tra l’interesse individuale e quello generale (cfr. R. NIEBUHR, Moral Man and Immoral Society. A Study in Ethics and
Politics, Charles Scribner’s Sons, New York 1932; trad. it. Uomo morale e società immorale, Jaca Book, Milano 1968).
13
NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, p. 47.
14
Ibi, pp. 47-48.
15
Ibidem.
16
Il fatto che uno dei più «profondi» e «utili» contributi alla discussione sulla teoria e la pratica della democrazia
provenga da un eminente teologo americano – osserva John H. Hallowell – possiede «significative implicazioni» per la
Scienza politica. Costituisce, infatti, una «vigorosa sfida» ad aprire maggiormente lo sguardo di una disciplina
«severamente empirica e descrittiva» a orizzonti spesso trascurati o oscurati (cfr. J.H. HALLOWELL, Review of The
Children of Light and the Children of Darkness. A Vindication of Democracy and a Critique of its Traditional Defence
by Reinhold Niebuhr, «The American Political Science Review», 39 (1945), 3, pp. 579-581).
17
NIEBUHR, L’ironia della storia americana, p. 191.
18
R. NIEBUHR, Man’s Nature and His Communities. Essays on the Dynamics and Enigmas of Man’s Personal and
Social Existence, Charles Scribner’s Sons, New York 1965, p. 16.
12
4
cristiana, ma offre anche «un contributo importante ad ogni teoria politica e sociale coerente»19.
Pertanto, il suo rifiuto da parte della civiltà moderna non può che condurre inesorabilmente la
cultura borghese e quella marxista a perdere ogni buon senso e qualsiasi reale saggezza. Per
spiegare le dinamiche politiche, essa utilizza la sterile dicotomia tra idealismo e realismo20, la quale
non tiene conto dell’ambiguità della natura umana. L’uno e l’altro termine, infatti, esprimono
soltanto una visione parziale, che non può reggere né essere utile alla democrazia.
Alla radice di tali teorie tra loro fortemente contraddittorie – a cui l’autore si riferisce
utilizzando una famosa distinzione biblica – c’è una diversa (quando non inconciliabile)
interpretazione degli effetti che la libertà dell’uomo produce sulla sua esistenza personale e su
quella degli aggregati politici. I realisti, o «figli delle tenebre», enfatizzando gli esiti distruttivi della
libertà umana sulla comunità, oscurano il residuo senso morale e sociale che alberga anche nella
persona più meschina o nella nazione più autoreferenziale e aprono così la strada a una forma di
governo assolutistica e autoritaria. Gli idealisti, o «figli della luce», nascondendo la prorompente
forza dell’interesse egoistico individuale o collettivo, valutano invece la razionalità umana
principalmente in termini di capacità creativa di estendere i limiti del tornaconto personale e
collettivo fino a subordinare questi ultimi a una legge morale superiore. Agli occhi di Niebuhr, però,
entrambi falliscono nel considerare l’intricata relazione tra le tendenze creative e quelle distruttive
insite nella natura umana.
Niebuhr cerca di superare la contrapposizione in cui ritiene sia bloccato il pensiero politico
moderno, e in cui rischia di incagliarsi anche la democrazia, attraverso il «realismo cristiano»21.
Quest’ultimo, infatti, sottolinea come nella natura umana siano allo stesso tempo presenti sia
l’«amor proprio», sia gli «impulsi sociali», e come il primo sia generalmente più forte dei secondi22.
La preservazione del regime democratico, secondo il teologo protestante, avviene soltanto con un
adeguato intendimento della natura umana, quello offerto dalla tradizione cristiana. Sia una fiducia
sproporzionata nella bontà dell’uomo, sia una completa affermazione della sua malvagità non
possono infatti che condurre fuori strada. Occorre mantenere un equilibrio tra l’eccessivo ottimismo
sulle intenzioni degli uomini e l’eccessivo pessimismo riguardo alle loro potenzialità. Attraverso il
«realismo cristiano», egli vuole così mostrare il contributo che il cristianesimo è capace di offrire
alla difesa della democrazia. Un contributo che non equivale affatto a introdurre un principio
19
NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, p. 59.
Cfr. R. NIEBUHR, Augustine’s Political Realism, in ID., Christian Realism and Political Problems, Charles
Scribner’s Sons, New York 1953, pp. 119-146; trad. it. Il realismo politico di Agostino, in G. DESSÌ, Niebuhr.
Antropologia cristiana e democrazia, pp. 77-104, pp. 77-78; NIEBUHR, Man’s Nature and His Communities, p. 30-83.
21
La più ampia trattazione di questo concetto è contenuta nel fondamentale R. NIEBUHR, The Nature and Destiny of
Man. A Christian Interpretation, Charles Scribner’s Sons, New York 1941-1943, voll. 2.
22
NIEBUHR, Man’s Nature and His Communities, p. 39.
20
5
fideistico nel processo democratico, né consiste in alcun modo nel prendere precetti religiosi come
fonte della giurisprudenza.
3. Democrazia, secolarismo e cristianesimo
Nata come rifiuto dell’ordine medioevale, la società moderna – secondo Niebuhr – si è fin
dall’inizio caratterizzata per una vena irreligiosa, permettendo la diffusione del secolarismo in tutti
gli ambiti della vita dell’uomo. Pertanto, insieme alle istituzioni politiche, economiche e sociali, che
avevano distinto le comunità premoderne, è stato messo in forte discussione – quando non
apertamente negato – anche il fondamento filosofico e religioso su cui tali comunità poggiavano le
proprie radici e in cui trovavano il loro sostentamento. Il riflesso di questa frattura tra sapere e
credere, tra ragione e fede, si è affermato ben presto anche nel campo del pensiero politico. Infinite
discussioni tra intellettuali religiosi e laici sull’origine della democrazia hanno tentato di dimostrare
che tale regime sia il prodotto delle radici cristiane o della cultura secolare. Ma, per il teologo
protestante, non si tratta altro che di un dibattito senza alcuna soluzione. Storicamente, infatti nello
«stabilire le istituzioni politiche della democrazia» sono ugualmente coinvolte tanto le forze
cristiane quanto quelle secolari, e, dunque, le società libere sono il «prodotto fortunato» della loro
confluenza23.
Di fronte alle pretese avanzate dal secolarismo di eliminare qualsiasi richiamo alla religione
all’interno dello spazio pubblico, Niebuhr ribadisce allora quelle che egli ritiene le tre intuizioni
«indispensabili» che la fede biblica può offrire alla democrazia (anche se, tuttavia, non le pone a
fondamento di questo regime politico). La prima è la possibilità per l’individuo di resistere e
opporsi alle autorità secolari, proprio perché l’origine dell’autorità viene riconosciuta altrove, ossia
in Dio. La seconda è la riaffermazione del valore unico della persona di fronte a qualsiasi
programma politico di manipolazione della dignità umana. La terza, infine, coincide con
l’insistenza della tradizione cristiana sulla libertà radicale dell’uomo che rende quest’ultimo
potenzialmente creativo e, al tempo stesso, distruttivo, identificando una medesima fonte sia della
dignità, sia della miseria di ogni individuo24.
Il teologo protestante considera non giustificabili, oltre che inverificabili, le tesi secondo cui
il secolarismo conduce inesorabilmente alla democrazia e reputa contraddittoria l’idea che esso sia
indispensabile tanto per la genesi quanto per il mantenimento della democrazia. La critica di
Niebuhr si rivolge principalmente contro due obiettivi. Da un lato, la tendenza a ridurre la
23
24
NIEBUHR, Democrazia, secolarismo e cristianesimo, p. 105.
Cfr. ibi, pp. 110-111.
6
complessità dell’uomo. Dopo averne disconosciuto l’ambiguità – constatabile soltanto attraverso la
riscoperta dell’antropologia cristiana – nella contrapposizione tra idealismo/ottimismo e
realismo/pessimismo, la scienza moderna è accusata di limitare l’analisi dell’agire sociale alla sola
dimensione ‘materiale’ e di dimenticare quella ‘spirituale’. «Una cultura scientifica», egli afferma,
«malgrado i suoi grandi risultati, manifesta una curiosa ingenuità nell’indagine della scena umana.
Ciò è probabilmente dovuto al fatto che i misteri del bene e del male nella natura umana sono
nascosti per coloro che insistono nel fare dell’uomo un oggetto di analisi scientifica e tentano di
collocare la sua libertà radicale in qualche tipo di schema»25. Dall’altro lato, il teologo protestante
rivendica la libertà e la dignità dell’uomo, affermandone la capacità di trascendenza rispetto a
qualsiasi forma di perfettismo moderno. Confutando l’idea di una storia redentrice, egli dimostra
che all’interno del saeculum l’uomo è al tempo stesso creatore e creatura della storia 26. Tale
riconoscimento non rimane senza conseguenze anche per la democrazia. Niebuhr critica l’orizzonte
«troppo secolare» della «teoria democratica» moderna, in cui non viene inclusa e misurata la
dimensione trascendente dell’individuo, e, al tempo stesso, auspica una cultura che sia
positivamente aperta verso la religione27. Soltanto in tale prospettiva, infatti, egli giudica che sia
possibile comprendere e proteggere la trascendenza dell’uomo, oltre che sottolineare il ruolo che il
cristianesimo può offrire al rafforzamento del pluralismo culturale e religioso in una società
democratica.
Al di là delle riduzioni diffuse dal secolarismo, Niebuhr coglie fra cristianesimo e
democrazia una forte affinità. Soprattutto, egli ribadisce la complementarietà delle loro prospettive.
E, a tal proposito, osserva: «la tolleranza che la democrazia richiede è difficilmente mantenibile
senza l’umiltà cristiana; e la messa in discussione delle pretese di ogni genere, che sono prodotte nel
dare e nell’avere della vita democratica, è d’altra parte un forte supporto esterno per la grazia
cristiana dell’umiltà che riconosce il carattere parziale e particolare dell’interesse di ognuno e il
carattere frammentario di ogni virtù umana»28. Questa continua volontà dell’autore di Nations and
Empires di rimarcare l’apporto che il cristianesimo può offrire alla democrazia suscita la decisa, ma
fuorviante critica di Hans Kelsen. Avendo esplicitamente affermato che «il relativismo è quella
concezione del mondo che l’idea democratica suppone»29, Kelsen non può riconoscere fin
dall’inizio alcuna validità alla riflessione del teologo protestante. Se facesse ciò, egli vedrebbe
25
Ibi, p. 111.
A tal proposito, si veda R. NIEBUHR, Faith and History. A Comparison of Christian and Modern Views of History,
Charles Scribner’s Sons, New York 1949; trad. it. Fede e storia. Studio comparato della concezione cristiana e della
concezione moderna della storia, Il Mulino, Bologna 1966.
27
Cfr. NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, p. 95.
28
NIEBUHR, Democrazia, secolarismo e cristianesimo, p. 112.
29
H. KELSEN, Vom Wesen und Wert der Demokratie, Mohr, Tübingen 1929; trad. it. Essenza e valore della
democrazia, in La democrazia, Il Mulino, Bologna 1981, pp. 35-144, in particolare p. 141.
26
7
inesorabilmente crollare tutto il suo pensiero. Infatti, «la democrazia», egli precisa ancora più
nettamente, «è relativismo filosofico»30. Il giurista tedesco, denuncia l’incoerenza tra «una
giustificazione del tutto relativistica della democrazia» e una filosofia politica basata su
«convinzioni religiose e teologiche»: nella proposta di Niebuhr, Kelsen intravede esclusivamente
una forma contraddittoria di relativismo tanto politico quanto religioso31. Quelle di Niebuhr e
Kelsen sono ovviamente due opzioni opposte, che esprimono due concezioni differenti del
relativismo. Da un lato, c’è un ‘relativismo domato’, dall’altro, un ‘relativismo assoluto’. Mentre il
teologo protestante, pur affermando la contingenza di ogni realizzazione umana, riconosce
l’esistenza di valori universali, il giurista tedesco, nell’esporre l’idea – di per sé contraddittoria – di
un relativismo che si proclama assoluto, non può che sostenere la validità esclusiva del diritto
positivo. In questa differente concezione del ‘valore’ del relativismo, è altresì contenuta una diversa
percezione della democrazia: per Kelsen la democrazia presuppone – anzi, è – il relativismo, per
Niebuhr invece la democrazia è il diritto alla critica.
Come osserva giustamente Giovanni Dessì, le obiezioni di Kelsen non indicano altro che il
«punto cruciale» della concezione niebuhriana della democrazia: il teologo protestante, infatti, «non
è stato tanto ultimamente determinato dall’esigenza di proporre un modello di democrazia, quanto
dall’istanza “profetica” di denunciare la parzialità delle realizzazioni umane, sia a livello
antropologico che politico, e la conseguente pretesa umana di compiere autonomamente il proprio
destino»32. L’antropologia cristiana è una prospettiva per comprendere meglio le dinamiche sociali
e politiche della comunità, non il suo fondamento teologico. Niebuhr, in altri termini, non costruisce
una teologia politica33, ma si serve della lunga tradizione del pensiero cristiano per sottolineare
alcuni aspetti che nel dibattito sulla democrazia, alla metà del secolo scorso, appaiono – più o meno
inconsapevolmente – dimenticati o rimossi. Egli utilizza, in maniera che potrebbe apparire anche
ironica, la religione per de-sacralizzare la politica. Come un moderno Ezechiele, il teologo
protestante – secondo Martin Wight – pronuncia così una dura condanna di qualsiasi pretesa che le
30
H. KELSEN, Absolutism and Relativism in Philosophy and Politics, «American Political Science Review», XLII
(1948), 5; trad. it. Assolutismo e relativismo nella filosofia e nella politica, in La democrazia, pp. 439-453, in
particolare p. 448.
31
Cfr. H. KELSEN, Foundations of Democracy, «Ethics», LXVI (1955), 1, II, pp. 1-101; trad. it. I fondamenti della
democrazia, in La democrazia, pp. 181-382, in particolare pp. 297-315.
32
DESSÌ, Niebuhr, pp. 135-136.
33
Quella di Niebuhr – per utilizzare una bella espressione di Massimo Borghesi, il quale però non si sofferma sulla
riflessione del teologo protestante – sembra «una teologia della politica, non una teologia politica», proprio perché «non
realizza l’identità con il politico», mentre nella teologia politica «il momento teologico si realizza attraverso il politico
e il politico tramite il teologico» (cfr. M. BORGHESI, Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine
dell’era costantiniana, Marietti 1820, Genova-Milano 2013, p. 13).
8
democrazie avanzano di essere depositarie di qualche speciale virtù, sconosciuta agli altri regimi
politici34.
Piuttosto che «una forma di governo che possa semplicisticamente realizzare le aspirazioni
umane», il teologo protestante vede la democrazia «come la sola forma di potere che, in linea di
principio, non si sottragga a un controllo, a una verifica dei poteri»35. In tal modo, sottolinea
Massimo Borghesi, Niebuhr libera «l’idea di democrazia da ogni connotazione di essenza, da ogni
mitologizzazione», restituendola al suo «significato di metodo, di procedura formale»36.
4. Un «metodo» per problemi altrimenti irrisolvibili
Il percorso che conduce Niebuhr a sottolineare la dimensione strumentale e procedurale della
democrazia si snoda nell’arco di un paio di decenni, durante i quali l’autore attua una revisione
generale della sua riflessione che da un’iniziale vicinanza al pensiero marxista giunge alla
riscoperta della tradizione cristiana (in particolare, della riflessione agostiniana). Al principio degli
anni Trenta, iniziando la sua dura critica ai presupposti liberali della cultura americana, Niebuhr
sostiene l’esistenza di una profonda divaricazione tra il comportamento ‘morale’ degli individui e
quello ‘immorale’ dei gruppi (politici, economici, etnici). In Moral Man and Immoral Society, egli
delinea un conflitto permanente e inconciliabile tra interessi, che viene regolato attraverso il
raggiungimento di un compromesso in grado di garantire la maggiore, seppur imperfetta, forma di
giustizia possibile37. Ancora influenzata dalla teoria marxista, la riflessione proposta nel volume del
1932 tende però a sottolineare con toni foschi gli aspetti più dirompenti e difficilmente
armonizzabili delle dinamiche sociali. Inoltre, l’autore presenta una prima demitizzazione della
democrazia, rivolta soprattutto ad allontanarne una percezione irenica e acritica. Una visione
nettamente più aperta e positiva si sviluppa invece nei decenni successivi. Tra gli anni Quaranta e
Cinquanta, la democrazia viene sempre più considerata dal teologo protestante come la sola e unica
forma di potere politico capace di garantire l’esistenza di una società libera. E anche l’accento con
cui egli analizza i caratteri del regime democratico si fanno via via più distesi.
In The Children of Light and the Children of Darkness, Niebuhr distingue tra democrazia
come istituzione e democrazia come ideale. Sotto il primo profilo, tale forma di governo è
34
M. WIGHT, Review of Discerning the Signs of the Times. Sermons for To-Day and To-Morrow by Reinhold
Niebuhr, «International Affairs», 23 (1947), 4, pp. 558-559.
35
DESSÌ, Introduzione a Niebuhr, pp. 13-71, p. 64.
36
M. BORGHESI, Cristianesimo e democrazia in Reinhold Niebuhr, «Il nuovo areopago», XIII (1994), 1, pp. 31-42,
p. 38.
37
Pur partendo da presupposti differenti, il fatto che la democrazia si caratterizzi per la possibilità di raggiungere e
costruire un «compromesso» tra i diversi gruppi sociali è centrale anche nell’analisi di Kelsen (cfr. KELSEN, Essenza e
valore della democrazia, pp. 98-99).
9
considerata il prodotto della diffusione della classe media nel contesto di una civiltà borghese.
Ritenendo effimero questo aspetto, egli invita (ancora una volta) a non sacralizzare una simile
contingenza storica. Sprona, in altri termini, la società borghese a non celebrare inutilmente le sue
conquiste, dimenticando i rischi a cui la democrazia è ancora esposta. Sotto il secondo profilo,
invece, il regime democratico è visto come una forma di organizzazione sociale e politica con una
validità più permanente che offre la possibilità di valorizzare due dimensioni fondamentali
dell’esistenza umana: la «statura spirituale» dell’uomo e il suo «carattere sociale»38. Nella nozione
proposta da Niebuhr, la democrazia assume allora il valore di un esperimento politico, quindi
naturalmente provvisorio e approssimativo. Dal momento che ogni tentativo umano è ritenuto
opinabile, rivedibile, aperto a nuovi sviluppi, non può esistere un’opzione politica che sia giusta a
priori o in eterno. Nel modello democratico, l’autore vede una forma di equilibrio possibile (seppur
sempre precario) in grado contrastare tanto le spinte assolutistiche quanto quelle anarchiche e di far
convivere l’ordine e la libertà. A tal proposito, il teologo protestante sottolinea alcune caratteristiche
peculiari nell’ideale e nella prassi democratica: la difesa del pluralismo, la valorizzazione della
creatività e il rispetto delle libertà e delle garanzie costituzionali. E, per tale motivo, la democrazia è
ritenuta una «necessità costante»39 per l’ordine politico. Essa, infatti, è in grado non solo di
garantire pesi e contrappesi al potere del governo, ma anche di regolare i conflitti tra diverse fazioni
in modo non violento.
L’approccio realista (e ‘realistico’) dell’antropologia cristiana proposto da Niebuhr esprime
proprio una visione antiperfettistica di qualsiasi costruzione socio-politica che garantisce
efficacemente di evitare tanto una idealizzazione quanto una demonizzazione della democrazia.
Nella sua riflessione, la democrazia possiede un ruolo strumentale, pragmatico e non assoluto. Il
valore di una società liberal-democratica risiede infatti nella sua capacità di accettare correzioni e
cambiamenti, proprio perché non dovrebbe esistere in essa la presunzione di essere una forma di
governo perfetta. La difesa che il teologo protestante compie della società democratica non viene
svolta per il fatto che essa esprima o incarni ideali o valori cristiani. La democrazia è – secondo una
formula di Niebuhr, che John Hallowell ritiene di «grande utilità» per comprenderne l’«essenza»40 –
«un metodo per trovare soluzioni, approssimative e temporanee, per problemi altrimenti
irrisolvibili»41.
Per molti versi, anche se può (forse) apparire quantomeno strano, le conclusioni a cui
giungono, partendo da presupposti in parte differenti, Niebuhr e Schumpeter non sembrano
38
NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, p. 52.
Cfr. NIEBUHR, Christianity and Power Politics, p. 85.
40
J. HALLOWELL, The Moral Foundation of Democracy, University of Chicago Press, Chicago 1954; trad. it. Il
fondamento morale della democrazia, Giuffrè, Milano 1995, p. 146.
41
NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, p. 117.
39
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divergere in maniera così eccessiva. L’economista austriaco, nel fondamentale Capitalism,
Socialism and Democracy, definisce infatti la democrazia «un metodo politico, uno strumento
costituzionale per giungere a decisioni politiche – legislative ed amministrative – che non può
diventare fine in sé a prescindere da ciò che quelle decisioni produrranno in condizioni storiche
date»42. Ma non nega affatto – come, invece, farà il dibattito successivo – l’influenza dei valori
sulle sintesi politiche, sottolineandone la storicità e la contingenza43. Piuttosto, sostiene che
un’indagine sulla democrazia per essere effettivamente realistica non possa spingersi fino a
giudicare i valori di una qualsiasi comunità, bensì limitarsi a registrarne l’esistenza. In modo assai
simile, anche Niebuhr sottolinea la provvisorietà e la determinatezza dei valori che accompagnano
ogni sintesi politica. E, in tale prospettiva, ritiene che sia necessario un loro continuo riesame,
proprio perché i valori della democrazia non si trasformino in un fine in sé.
5. Il costante riesame dei presupposti
Nelle pagine delle sue opere, Niebuhr punta a distinguere nettamente la democrazia intesa come
metodo dalla democrazia considerata come fine in sé. Seppur riconosca il carattere strumentale
della democrazia l’autore è però consapevole che essa non è nata e non si è sviluppata in un vuoto
pneumatico. Così – a differenza sia della vecchia teoria democratica con il suo ingombrante
bagaglio di ideali, sia della nuova teoria democratica con la sua volontà di essere avalutativa – la
proposta del teologo protestante non persegue un insieme di valori da raggiungere, né attua una loro
rimozione. Ai suoi occhi, pertanto, risulta patetica la volontà della cultura liberale borghese di
presentare i valori della democrazia come universali, anche se costituiscono soltanto una particolare
espressione storica. Ma, al tempo stesso, ritiene oltremodo infondata la pretesa di poter fare delle
dinamiche politico-sociali e soprattutto dell’uomo l’oggetto di un’analisi scientifica che oscuri
l’ambiguità della natura umana e la radicalità della libertà individuale. In effetti, la democrazia non
è soltanto un metodo, ma anche un concetto politico. E, in quanto concetto politico, nasce da
differenti dinamiche storiche interne e internazionali. È il prodotto di confronti, oltre che di
conflitti, culturali e politici, che possono determinare (ma non sempre) anche delle mutazioni nelle
istituzioni e nelle norme. Per tale motivo, Niebuhr afferma che una giustificazione ‘realistica’ della
democrazia non possa prescindere dal riconoscimento che alla base di ogni società libera si pone un
42
J.A. SCHUMPETER, Capitalism, Socialism and Democracy, George Allen & Unwin, London 1954 (I ed. 1942);
trad. it. Capitalismo, socialismo e democrazia, Etas, Milano 2001, p. 252.
43
Cfr. ibi, pp. 230-233.
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«ethos», il quale «è anche più problematico» rispetto all’architettura complessiva e al corretto
funzionamento delle sue «istituzioni politiche ed economiche»44.
Nella riflessione del teologo protestante, il riconoscimento di uno specifico ethos della
democrazia è accompagnato dall’altrettanto sostanziale riconoscimento dei suoi caratteri mutevoli,
che sono destinati a essere costantemente ridefiniti nel corso del tempo. L’ethos che Niebuhr
distingue come fondamento di ogni determinato regime democratico non è fisso e immutatile. Anzi,
viene – e deve essere – sottoposto a revisione continua, affinché non finisca per rappresentare un
fattore di cristallizzazione politica, economica e sociale. La democrazia, afferma l’autore, «deve
costantemente riesaminare i presupposti sui quali la sua vita è ordinata perché nessuna epoca può
anticipare o prevedere le vitalità legittime e creative che possono determinarsi nelle epoche
successive»45. Infatti, la necessità per una democrazia di rivedere in maniera costante e periodica il
proprio ethos è legata strettamente alla possibilità di rimanere vitale. In altri termini, per riuscire a
rispondere alle trasformazioni economiche e sociali un regime democratico deve saper modificare i
presupposti su cui in una data epoca e in una determinata fase storica è stato edificato.
Il fatto che Niebuhr riconosca la necessità che ogni società democratica ridefinisca i
presupposti suoi quali è costruita non significa che egli sostenga una forma di totale relativismo.
Seppur si sia sempre dichiarato contrario alla tradizione cattolica del diritto naturale, il teologo
protestante ritiene – anticipando, per molti versi, la formulazione del famoso paradosso di ErnstWolfgang Böckeförde46 – che al di sopra di ciascuna comunità politica esista un’idea di giustizia in
grado di far da punto di riferimento per il diritto positivo47. Ancora una volta, le prospettive sulla
democrazia di Niebuhr e Kelsen vengono a divergere profondamente. Ma, anche se tali principi di
giustizia – la cui origine è religiosa – sono costanti, ogni loro definizione storica è (e deve rimanere)
soggetta al cambiamento48. Nel caso in cui ciò non avvenisse, infatti, sarebbe la stessa dimensione
‘procedurale’ della democrazia – in quanto ‘metodo’ – a esserne colpita. Pur se all’apparenza
potrebbe apparire paradossale o contraddittorio, il tentativo di far coesistere i presupposti morali
universali con le loro definizioni storiche parziali e precarie costituisce un elemento fondamentale e
forse dimenticato dell’analisi di Niebuhr. Una tale proposta, d’altra parte, permette non solo di
NIEBUHR, Democrazia, secolarismo e cristianesimo, p. 108. Sulla necessità che una teoria davvero ‘realistica’
della democrazia affronti il problema dell’ethos, si veda D. PALANO, La democrazia senza qualità. Appunti sulle
«promesse non mantenute» della teoria democratica, Uni Service, Trento 2010; ID., La democrazia e il nemico. Saggi
per una teoria realistica, Mimesis, Milano-Udine 2012.
45
NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, pp. 85-86.
46
E.-W. BÖCKENFÖRDE, Die Entstehung des Staates als Vorgang der Säkularisation, in ID., Säkularisation und
Utopie. Ebracher Studien. Ernst Forsthoff zum 65. Geburstag, Kohlhammer, Stuttgart 1967, pp. 75-94, ora in Recht,
Staat, Freiheit. Studien zur Rechtsphilosophie, Staatstheorie und Verfassungsgeschichte, Suhrkamp, Frankfurt a.M.
1991, pp. 92-114; trad. it. La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, Morcelliana, Brescia 2006, p.
68.
47
NIEBUHR, Figli della luce e figli delle tenebre, p. 89.
48
Cfr. ibi, p. 91.
44
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allontanare l’utopia di un’autosufficienza della democrazia, ma anche di riaffermare la contingenza
di ogni realizzazione politica. Piuttosto che – come aveva erroneamente affermato Kelsen –
sostenere una forma di relativismo totale, Niebuhr propone una sorta di ‘sano’ relativismo
nell’ambito politico, tipico della tradizione cristiana49.
6. Conclusioni
In maniera (forse) paradossale, il teologo protestante propone una rivendicazione laica della
democrazia. All’interno della società democratica egli riconosce legittimità tanto alla dimensione
secolare quanto a quella religiosa, senza escludere pregiudizialmente – come avviene all’interno di
alcuni paradigmi della modernità espressamente laicisti – il ruolo della fede nello spazio pubblico.
Niebuhr, infatti, va al di là di quella ragione ‘secolare’ che sembra ancora dominare il dibattito
accademico anche dopo il ‘ritorno del sacro’ e l’affermazione del ‘post-secolarismo’. Nella
prospettiva dell’autore la religione non costituisce una ricomparsa del passato o del premoderno.
Piuttosto, rappresenta un elemento imprescindibile della realtà umana, un elemento la cui più o
meno cosciente rimozione – come quella operata dalla cultura moderna – non può che generare un
indebolimento dello stesso concetto di democrazia. Niebuhr esprime certamente un’analisi
controcorrente e isolata all’interno del dibattito scientifico sulla teoria democratica. Un’analisi che,
conta ricordarlo, soffre sempre di scarsa sistematicità e poca chiarezza concettuale. Ciononostante,
le osservazioni del teologo protestante rappresenta ancora un contributo utile e attuale.
L’importanza attribuita all’antropologia cristiana nello studio della politica non costituisce
una forma di teologia politica, bensì rappresenta una ‘demitizzazione’ e una ‘desacralizzazione’
della democrazia. Piuttosto che assoggettarla arbitrariamente ai precetti di una qualsiasi religione,
Niebuhr – ponendo attenzione all’ambiguità della natura umana e alla contingenza di ogni
realizzazione politica – cerca di salvaguardare sia il metodo, sia l’ethos della democrazia. In tal
senso, non solo ne giustifica gli aspetti istituzionali e procedurali, ma ne rivendica anche i valori (e
la loro continua rielaborazione nel tempo). All’interno delle società moderne, dove sempre più forte
si avverte il tema della presenza della religione al ‘plurale’, la sfida lanciata da Niebuhr alla
democrazia ormai molti decenni fa incrocia anche il (nuovo) ruolo che assume il sacro, senza
considerarlo un corpo estraneo.
In tal senso, è interessante osservare l’assonanza della riflessione di Niebuhr con quella dell’allora Prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger: J. RATZINGER, Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e
le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2005, p. 122.
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