Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo - Società Tarquiniese Arte e Storia

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Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
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ALBERTO PALMUCCI
TARQUINIA E I TIRRENI DEL MAR EGEO
(Mito e archeologia)
PARTE PRIMA
1) I POPOLI DEL MARE. Negli antichi testi geroglifici del tempio di Karnac, in
Egitto, è scritto che il faraone Merneptah, durante il quinto anno del suo regno,
cioè nel 1232 a.C., condusse una guerra vittoriosa contro una coalizione
composta da Libici e “Popoli del Mare”, fra cui i Tursh. Costoro erano venuti,
via mare, dal nord, ed avevano tentato di invadere l’Egitto dai confini
occidentali. Respinti dagli Egiziani, alcuni di questi popoli ed altri nuovi
tentarono una seconda invasione, dal quinto e all’undicesimo anno del regno di
Ramses III, cioè dal 1193 al 1187 a.C., ma furono ancora battuti. Nei geroglifici
del tempio di Medinet Habu si racconta che alcuni contingenti “giunsero per
mare e per terra”, mentre altri vennero “dalle isole centrali del mare”. Fra questi
ultimi sono elencati i Tursh (o Teresh). Questi, si dice, con ulteriore
specificazione, “venivano dal mezzo del mare”1.
Alcuni studiosi, in via ipotetica, hanno accostato il nome dei Tursh a quello dei
Tirseni o Tirreni (gr. Tyrse-noi o Tyrrhe-noi). Questi Tirreni sono stati a loro
volta variamente identificati. Alcuni pensano a quei Lidi che dalle rive del
continente asiatico, secondo Erodoto (1, 57), avrebbero emigrato in Italia guidati
da Tirreno. Altri pensano ai Tirreni che risiedevano nelle isole del Mar Egeo a
nord dell’Egitto2. Gli storici greci conoscevano, infatti, popoli Tirreni che
avevano abitato varie isole dell’Egeo fra cui Lemno, Imbro, Lesbo e Samotracia.
Questi popoli Tirreni, si diceva, erano venuti dall’Etruria, un paio di generazioni
prima della guerra di Troia. Essi, da Regisvilla, un porto sulla costa fra Tarquinia
e Vulci, avrebbero emigrato ad Atene, e da qui nelle Isole Egee e sulle coste
dell’Asia Minore. È anche interessante che Virgilio, nell’Eneide, sosteneva che i
Tirreni, dalla città etrusca di Corito (oggi Tarquinia) si erano recati nell’isola di
G. Farina, I popoli del mare, “Aegyptus”, I, 1920.
G. Bartoloni sostiene che alcuni gruppi provenienti dall’Italia, come i Tirreni, potrebbero aver fatto parte dei Popoli
del Mare che attaccarono l’Egitto; e a sostegno della sua tesi adduce 1) l’affinità dei prodotti bronzei dell’epoca che “si
ritrovano dal Mar Egeo al Mare del Nord, e dalla Sicilia alla Scandinavia”; 2) il rinvenimento a Micene “di una forma
di fusione di un’ascia ad alette, tipo estraneo all’area egea, che sembra indicare una produzione legata ad artigiani giunti
da Occidente” (La cultura villanov., Roma, 1989, p. 83).
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Samotracia, nel Mar Egeo, e da qui sulle coste dell’Asia dove avrebbero fondato
Troia.
Dal ritrovamento, poi, nell’isola di Lemno, di una epigrafe del VII sec. a.C.,
sappiamo che nell’isola, almeno a quel tempo, si parlava una lingua simile
all’Etrusco (vedi par. 7).
2) I TIRRENI, TARQUINIA E IL VINO. Ma la prima sicura menzione della
presenza di Tirreni nel mondo greco si ha nell’inno omerico A Dioniso. In questo
si parlava di marinai tirreni che, navigando “sul mare color del vino”, rapirono
Dioniso, dio del vino, per andarlo a vendere nelle terre degli Iperborei.
Il dio, allora, prese l’aspetto di un leone, inondò di vino la nave che lo portava,
avviluppò le vele con piante di vite, e mutò in delfini i pirati che atterriti si
buttavano in mare. Il dio salvò solo il nocchiero perché era stato l’unico ad
opporsi al suo rapimento.
Evidentemente, a quel tempo, i mercanti greci, commerciavano il vino nel bacino
del Mediterraneo; e i “pirati” tirreni glielo rapinavano dalle navi per andarlo a
vendere nelle più lontane regioni del nord dove si favoleggiava che abitassero gli
Iperborei. La metamorfosi in Delfini dei rapitori sembra poi ripetere gli affetti
che aveva il vino su chi lo bevevo senza controllo.
Il mito dei marinai Tirreni metamorfizzati da Dioniso ebbe vari sviluppi, e fu
riportano nelle pitture vascolari greche a partire dalla seconda metà del VI sec.
a.C. Una delle più antiche testimonianze greche (540 a.C.) è stato trovata proprio
a Vulci, in Etruria. Pare che gli stessi Etruschi conoscessero il mito, come si può
evincere dalla presenza di un delfino dionisiaco dipinto nella Tomba dell’Orco
(IV sec. a.C.) a Tarquinia3, e da un piattello (fine IV sec. a.C.) trovato a Roma, nel
quale si vede raffigurata, sotto tralci di pampini ed edera, la prora di una nave
con cinque figure (la più alta delle quali è forse Dioniso) e un delfino che salta in
mare dalla nave4.
Analisi effettuate su crateri ceramici per bere il vino, e su falcetti pennati, atti a
lavorare la vigna, hanno fatto supporre che la cultura della vite sia stata
introdotta dalla Grecia a Tarquinia, e da questa nella rimanente Etruria5.
A. L. Philippe, Un delfino dionisiaco nella tomba dell’Orco ?, in Atti del 23° conv. di Studi Etr. Tarquinia, 1/6-102001, in corso di stampa.
4
M. Cristofani, Gli Etruschi del mare, Milano, 1983, pp. 58; 60; 108; fig. 68.
5
F. Delpino, L’ellenizzazione dell’Etruria villanoviana; sui rapporti tra Grecia e Etruria fra il IX e VIII sec. a.C., in
Atti del 2° Conv. Inter. Etr., Firenze, 1985; G. Bartoloni, op. cit., Roma, 1989, p. 51.
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Recentemente, in uno dei pozzetti votivi del Pian di Civita, sono stati trovati i
resti di un vinacciolo coltivato databile all’ultimo quarto del X sec. a.C.. La
scoperta dà adito, come dice Maria Bonghi Jovino, “a supporre che la
coltivazione della vite sia stata praticata a Tarquinia prima che altrove in area
etrusca e che gli Etruschi abbiano avuto un ruolo importante nell’introduzione
della viticoltura in occidente”6.
Il traffico marittimo del vino di Tarquinia è poi testimoniato dal vocabolo
etrusco vinum (= vino) che si legge sulla spalla di un grande dolio del V sec. a.C.
rinvenuto a Gravisca, ch’era il porto della città. Nei secoli futuri la produzione
dell’uva e l’esportazione del vino continuò tanto che, nelle strutture portuali di
Maltano, altro scalo di Tarquinia, è stata individuata una fornace del II-I sec.
a.C., specializzata nella fabbricazione di anfore vinarie; e ancora in epoca
romana, l’enciclopedista Plinio (I sec. d.C.) affermava che “nessuna terra più
dell’Etruria gode della vite”; e citava esplicitamente la produzione di Gravisca,
Statonia e Luni (H.N., 14,8).
Ma chi erano, e dove abitavano quei pirati Tirreni che correvano i mari della
Grecia?
3) PELASGI E TIRRENI. La più antica identificazione, a noi conosciuta, è quella
fornita da Sofocle (497-406 a.C.). Questi, in un suo dramma, chiamato Inaco,
disse: “Fluttuante fiume Inaco, figlio del padre delle fonti dell’Oceano,
grandemente signoreggi sulle terre di Argo, sui colli di Hera e sui Tirreni
Pelasgi”7.
Dunque, Sofocle identificava con i Pelasgi8 almeno quella parte dei Tirreni che
abitavano l’Argolide. Chi erano i Pelasgi?
6
M. Bonghi Jovino, Tarquinia, i luoghi della città etrusca, Tarquinia 2001, p. 30.
In Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 25.
8
Si parlava della presenza di Pelasgi nell’isola di Samo e nella città di Larissa in Grecia. Omero (Il, II, 840-1; XVII,
301) e Strabone (V, 2, 4; XIII, 3, 3-4) menzionavano una omonima città, nella Troade, abitata da una popolazione di
stirpe pelasgica, che aveva combattuto contro i Greci in difesa di Troia. Una omonima città pelasgica di Larissa esisteva
in Grecia. Dionigi di Alicarnasso (op. cit. I, 27) ne citava una terza fondata in Italia, vicino a Formum Popilii, in
territorio aurunco-campano, dai Pelasgi provenienti dalla Tessaglia. Erodoto (I, 57) sosteneva poi che i Pelasgi di Placia
e Scillace sullo Stretto dei Dardanelli appartenevano a quegli stessi che avevano abitato ad Atene da dove erano stati
cacciati. Stradone diceva che la razza pelasgica, sempre pronta ad emigrare e vagare senza meta, crebbe grandemente e
poi rapidamente scomparve, soprattutto al tempo delle migrazioni degli Eoli e degli Ioni in Asia. Egli riferiva che
Menecrate di Elea aveva detto che tutta la costa Ionica dell’Asia minore, a cominciare dal promontorio di Micale,
dinanzi all’isola di Samo, era stata abitata dai Pelasgi, e che pelagiche erano state pure tutte le vicine isole. Riferiva poi
che gli abitanti dell’isola di Chio dicevano di essere di origine pelasgica, e che quelli dell’Isola di Lesbo si vantavano di
discendere da Pileo, l’uomo che, secondo Omero, aveva portato da Larissa un contingente di Pelasgi in soccorso di
Troia (Strabone, Geografia, XIII, 3). Pelasgi, secondo Conone (I sec. a.C. – I sec. d.C.) erano gli abitanti dell’isola di
Antandro, davanti alla Triade (Conone, op. cit. 61).
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Erodoto (484-425 a.C.) diceva che gli Ateniesi erano un popolo autoctono di
stirpe pelasgica, “lentamente e faticosamente ellenizzatosi” (1,56). Quando, poi,
essi, dice lo storico, “si erano già ellenizzati, (altri) Pelasgi vennero a convivere
con loro, nel paese” (2,51).
Già Ecateo (VI sec. a.C.), secondo quanto aggiunge Erodoto, aveva raccontato
che i Pelasgi immigrati ad Atene avevano costruito un poderoso muro di cinta
attorno all’acropoli della città, e che per questa ragione gli Ateniesi, invidiosi
delle capacità che costoro avevano dimostrato anche in altri campi, li cacciarono
via. Secondo gli Ateniesi, invece, i Pelasgi furono espulsi perché importunavano
le donne della città.
Comunque sia, Erodoto, che riferiva le due versioni, aggiungeva che i Pelasgi, dai
piedi del monte Imetto, presso Atene, dove si erano stabiliti, andarono ad
occupare altre terre fra cui a) le città di Placia e Scillace nello Stretto dei
Dardanelli (1, 57), b) l’isola di Samotracia dove introdussero la religione dei
Misteri e il culto dei Grandi Dei (2, 51), c) le isole di Lemno e di Imbro dalla
quale espulsero i discendenti degli Argonauti (4, 145). Coloro che avevano
emigrato a Lemno, dice lo storico, rapirono poi per vendetta molte donne
ateniesi durante la festa di Artemide a Braurone, e le portarono oltre il mare
trattenendole come concubine (6, 137).
Stranamente, Erodoto non si pose nemmeno il problema di capire chi fossero
stati e donde fossero venuti quei nuovi Pelasgi ch’egli diceva esser trasmigrati ad
Atene, ch’era la più importante città della Grecia. Noi sappiamo però che Sofocle,
ch’era di tredici anni più vecchio di lui, aveva identificato i Pelasgi con i Tirreni.
Ellanico di Lesbo (V. sec. a.C.), che fu contemporaneo di Erodoto, anche se
più giovane d’una ventina d’anni, diceva che i Pelasgi avevano assunto il nome di
Tirreni perché avevano abitato, in Italia, nella Tirrenia (con questo nome i Greci
chiamavano l’Etruria). Egli raccontava pure che Metimna, sua città natale,
nell’isola di Lesbo, era stata fondata da un tirreno di nome Metaon9.
Tucidide (460-396 a.C.), poi, che per esplicita menzione aveva letto Ellenico
diceva che, nella Penisola Calcidica, vi erano molte città abitate da vari popoli
bilingui, “in maggioranza Pelasgi discendenti da quei Tirreni (Etruschi) che un
tempo avevano abitato a Lemno e ad Atene” (1, 97,2; 4, 109).
Nell’opera di Tucidide, il termine Tirreni è sempre usato per indicare gli
Etruschi; e non a torto Dionigi di Alicarnasso (fine I sec. a.C.) sosteneva che sia
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Sofocle che Tucidide avevano fatto esplicito riferimento all’origine etrusca dei
Tirreni di Atene, della Tracia e delle due isole di Lemno ed Imbro (1, 25).
A rigore, l’identificazione dei Pelasgi, con i Tirreni provenienti dall’Etruria
dovrebbe essere anteriore ad Erodoto, e potrebbe esser stata parte integrante
della tradizione fin dalla sua origine.
Platone (428-348 a.C.), che era Ateniese, ne Le leggi (130 C) sosteneva di
conoscere riti e sacrifici importati dall’Etruria e praticati in Grecia presso
l’oracolo di Dodona (che si diceva di origine pelasgica).
Particolare menzione meritano le note apposte da un certo Simmaco (II sec.
sec.a.C.?) alla commedia Gli uccelli di Aristofane (450-385 a.C.). In nota al verso
832 egli riferiva che il poeta Callimaco (320-240 a.C.) aveva ricordato che la
muraglia pelargica di Atene era stata costruita dai Tirreni; poi, nella nota al verso
1139, spiegava che coloro che erano venuti dall’Etruria (ek Tyrrhenia)
costruirono il muro Pelagico”10
Il frammento di Callimaco acquista particolare valore se si considera che il
medesimo poeta aveva pure evidenziato che il dio greco Ermes possedeva
caratteristiche tirreniche, e che, presso gli Etruschi, il dio chiamava Cadmilos11,
che era poi il nome mistico che assumeva anche nella Religione dei Misteri,
importata a Samotracia, secondo Erodoto, dai Pelasgi di Atene. Non so se si
possa dire che Callimaco alludesse ad una possibile derivazione etrusca del nome
e del carattere del dio cabirico adorato in Grecia.
Filocoro, poi, che visse tra la fine del IV e la prima metà del III secolo a.C.,
raccontava: “Molti Tirreni che avevano abitato per breve tempo ad Atene furono
uccisi dagli Ateniesi. Altri fuggirono ed andarono ad abitare a Lemno e ad Imbro.
Dopo un po’ di tempo, essi, che per questa ragione si sentivano disposti
ostilmente verso gli Ateniesi, partirono dalle loro isole con le navi e, giunti a
Braurone nell’Attica, rapirono le fanciulle che celebravano la Festa dell’Oro in
onore di Artemide, e con queste si accoppiarono” (Schol. Lucan. Catapl., 1).
Secondo quanto racconta il bizantino Eustazio, una volta, i Tirreni, dopo aver
riunito grande bande di pirati, vinsero gli Ateniesi, li presero prigionieri e ne
saccheggiarono la città12.
9
In Dion. di Alic., op. cit., I, 25; Stefano Bizantino, De urbibus, s.v. Metaon.
Scholia greca in Aristoph., Parigi, 1842.
11
Callimaco, Dieg., 8, 33-40; Marrone, De lingua lat., 7, 34; Servio Dan., All’En., 11, 543; Macrobio, Sat., 3, 8, 6.
12
Eustazio, Commento, 591; Scolio a Dionisio, v. 592.
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Conone (fine I sec. a.C. – Inizi I sec. d.C.) narrava che i Pelasgi esuli della
Tessaglia abitarono a Cizico, ma poi furono scacciati da una colonia di Tirreni
(cioè Etruschi), provenienti da Milo, che occupò tutto il Chersoneso (Narraz.
61). Cizico e il Chersoneso si trovavano al di là dello stretto dei Dardanelli,
sull’Ellesponto, vicino alla Troade.
La presenza di popolazioni tirreniche in Asia nella regione dell’Ascania è
attestata anche da documenti epigrafici13.
Pure una parte del popolo Lidio, in Asia, dovette essere stata ritenuta tirrenica.
Si evince dal nome mitico di Tirreno, figlio di Ati re della Lidia.
Morsilo di Lesbo (III sec. a.C.) affermava: “I Tirreni, lasciata l’Etruria,
assunsero nel corso del loro continuo vagare, il nome di Pelargi a somiglianza
degli uccelli chiamati Pelargi (cicogne) perché come questi migrano a stormo per
la Grecia e nelle regioni dei barbari. Essi innalzarono pure il muro di cinta che
circonda l’acropoli di Atene, il cosiddetto Muro Pelagico”14. È significativo che le
cicogne, in autunno, dall’Etruria e dalle regioni dell’Europa centro-meridionale,
emigravano effettivamente in Asia attraverso la Grecia15.
Io stesso ho visto ancora le cicogne soggiornare nella campagna attorno a
Tarquinia. È anche interessante che sull’Asklepion di Atene, fiancheggiante il
Muro Pelagico, era raffigurata una cicogna, come ha scoperto L. Beschi
dall’esame di un rilievo16.
L’epoca, poi, in cui sarebbero cominciate le migrazioni, sarebbe stata, secondo
Dionigi di Alicarnasso, “all’incirca quella della seconda generazione anteriore
alla guerra di Troia, e continuò anche dopo di essa”17. Saremmo, dunque, nella
seconda metà del XIII sec. a.C. quando i Tursh (Tirreni?), dalle Isole Egee,
tentarono d’invadere l’Egitto. Nella stessa epoca, Erodoto poneva, viceversa, la
migrazione dei Lidi che, guidati da Tirreno, avrebbe raggiunto e colonizzato
l’Italia dove avrebbero assunto il nome di Tirreni. Ma i Lidi della leggenda di
Erodoto venivano dalle coste dell’Asia, mentre i Tursh (Tirseni?), storicamente
documentati dai geroglifici egiziani, venivano dalle Isole Egee.
L’originaria e genuina italicità dei Pelasgi di Atene è rivendicata anche da una
tradizione raccolta personalmente da Pausania (I sec. d.C.) nella stessa Atene
E. Sittig., Atti, 252, in G. Quispel, Gli Etruschi nel Vecchio Testamento, “StEtr”, 14, 1940, p. 411; A. Palmucci,
Virgilio e Cori(n)to Tarquinia, Tarquinia, STAS-Regione Lazio, 1998, p. 178.
14
Dion. di Alic., op. cit., I, 23-24;
15
E. Whitney Martin, The birds of the latin poets, Stanford, 1914.
16
L. Beschi, Il rilievo di Telemaco, “AAA”, XV, 1982, p. 31.
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dove si diceva che la cerchia muraria dell’acropoli della città era opera dei
Pelasgi che avevano abitato la stessa acropoli, e che i costruttori erano stati
Agrola ed Iperbio i quali erano Pelasgi di origine sicula emigrati in Acarnania
(28,3). Una collina nei pressi di Atene si chiamava Sikelia. Filisto di Siracusa
(430-356 a.C.) raccontava che i Siculi erano un popolo di stirpe ligure, autoctono
dell’Italia centrale, emigrato poi in Sicilia18. I Siculi vennero spesso assimilati o
confusi con i Sicani, anche questi sovente ritenuti autoctoni d’Italia al punto che
Giovanni Lido (V sec. d.C.) poteva sostenere che gli Etruschi erano un popolo di
Sicani colonizzati dai Lidi di Tirreno19. Le città etrusche ritenute di origine sicula,
espressamente menzionate da Dionigi di Alicarnasso, sono tutte nell’Etruria
costiera ed in quella meridionale: Fescennio, Faleri, Cere, Alsio, Saturnia e Pisa
(I, 20-21). Sia che si voglia ritenere che i Siculi dell’Acarnania provenissero
direttamente dalla costa tirrena dell’Italia centrale, della quale erano originari,
sia che si voglia intendere che la migrazione avesse avuto la Sicilia (gli Elimi?)
come sede intermedia, la loro origine italica è indiscutibile. Giustamente Jean
Bérard ha messo in relazione i Siculi di Pausania con gli Etruschi di Mirsilo di
Lesbo, e con quei “Pelasgi” che, come vedremo, erano partiti da Regisvilla o da
Maltano (due porti fra Tarquinia e Vulci), sotto il comando del re Maleoto per
andare a stanziarsi in Atene20.
Stefano Bizantino diceva che “Elimia, città della Macedonia, fu fondata
dall’eroe Elymo o da Eleno o da Elima re dei Tirreni”. Aggiungeva, inoltre, che
“Aiane, città della Macedonia, fu fondata da Aiano, figlio di Elymo, re dei Tirreni
emigrato in Macedonia”21. Eleno era un Troiano, figlio di Priamo.
Gli Elimi, poi, erano un popolo di stirpe ligure che dall’Italia emigrò in Sicilia
prima ancora che vi giungessero i Siculi22. Si riteneva infine che gli Elimi
fossero imparentati con gli abitanti della città di Dardano, nella Troade, e con
quelli della stessa Troia sia in linea ascendente che discendente. La tradizione fu
conosciuta e seguita anche da Virgilio. È significativo che il fondatore di Elimia
sia il troiano Eleno o, in alternativa un elimo o, ancora, un etrusco che porta il
nome degli Elimi, a sua volta somigliante a quello di Eleno. Il fatto può essere
indicativo delle connessioni esistenti fra i Tirreni, gli Elimi e i Troiani; e
17
Dion. di Alic., op. cit., 1, 26.
In Dion. Alic., op. cit., I, 22.
19
Giovanni Lido, De magistratibus populi romani (pref.).
20
J. Bèrard, La Magna Grecia, Torino, 1965, p. 450.
21
Stefano Bizantino, op. cit., s.v. Elimia; Aiane.
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potrebbe non essere estraneo alla tradizione secondo cui i Pelasgi-Tirreni di
Atene erano siculi emigrati in Acarnania.
Che i costruttori del muro di Atene fossero Etruschi nella loro origine è riportato
anche dai tardi compendi enciclopedici bizantini come la Biblioteca di Fozio e
l’Etymologicum Magnum, secondo i quali l’appellativo di Pelargi sarebbe
stato dato ai Tirreni costruttori del muro di Atene a motivo del loro modo di
vestire in bianco e nero come le ali delle cicogne23.
La stessa etruschicità attribuita ai Pelasgi di Atene e di Lemno doveva
conseguentemente esser riconosciuta a quelli che da Atene erano emigrati a
Samotracia e sulle coste attorno allo stretto dei Dardanelli dove era Troia.
I Pelasgi, a detta di Erodoto, avevano introdotto nell’isola di Samotracia il culto
dei Grandi Dei (vedi sopra). Ma, secondo altre versioni, quel culto era stato
istituito o introdotto a Samotracia da Dardano24. Come si vede, la funzione di
introdurre a Samotracia il culto dei Grandi Dei era affidata una volta a Dardano
ed un’altra ai Pelasgi o Tirreni di Atene. Si tratta di quegli stessi Grandi Dei o
Cabiri o Penati che Dardano poi da Samotracia introdurrà nella Frigia dove i suoi
discendenti fonderanno Troia. Sono quegli stessi Dei Penati che Enea da Troia
ricondurrà in Italia.
Non doveva essere un caso il fatto che, nella tradizione virgiliana, Dardano, dalla
etrusca città di Corito (Tarquinia)25 si era recato nell’isola di Samotracia e nella
Troade.
22
Dion. Alic., op. cit., I, 22, 3, 4.
Fozio, Biblioteca; Etymologicum magnum, s.v. Pelargicon.
24
Diodoro Sic., Bibl. Storica, 5, 47-49; Servio, op. cit., 3,167; Dion. Alic., op. cit., 1,61;68.
25
Per l’identificazione della città di Corneto (Tarquinia), o comunque di Tarquinii, con la virgiliana città di Corythus o
Corinthus, vedi A. Palmucci, Tarquinia e la virgiliana città di Corito, Genova, 1987; La virgiliana città di Corito, “Atti
e Memorie della Acc. Naz. Virgiliana di Mantova” (56), 1988; Il ruolo della città di Corito-Tarquinia nell’Eneide, “Atti
e Mem., cit” (58), 1990; Analisi della mitologia propedeutica alla figura di Dardano e alla città di Corito-Tarquinia
nell’Eneide, “Atti e Mem., cit. (59), 1991; Ancora sugli antecedenti mitologici della figura di Dardano e della città di
Corito-Tarquinia nell’Eneide, “Atti e Mem”, cit.” (60), 1992; La figura di Dardano e la città di Corito-Tarquinia
nell’Eneide, in Latina Didaxis, atti del congresso, Bogliasco 28-29 Marzo 1992, Università degli Studi di Genova
(Compagnia dei librai), Genova, 1992; Corito-Tarquinia e il porto dei “Ceretani”, “Atti e Mem., cit” (61), 1993; Gli
Etruschi e Corito-Tarquinia nell’Eneide (Risvolti scolastici), “BollInformaz IRRSAE Liguria” (26) Maggio-Agosto
1994; Virgilio e gli Etruschi, “Aufidus” (24), 1994; Tarconte e Mantova, Virgilio e Corinto-Tarquinia, “Atti e Mem.,
cit” (62), 1994; Mantua, Corito-Tarquinia and Rome, in Il Messaggero Italiano, 4, 25, Manchester, Genn. 1997;
Corito-Tarquinia, “Archeologia” (5), 1997; I Troiani a Corito-Tarquinia (13 Agosto), “BollSTAS” (25), 1996;
Cori(n)to-Tarquinia e la leggenda di Dardano, “Aufidus” (31), 1997; Ulisse in Etruria, “BollSTAS”, (26), 1997;
Virgilio e Cori(n)to-Tarquinia. La leggenda troiana in Etruria, Tarquinia, 1988; Enea, Tarquinia e Roma,
“Archeologia” (7/8/9), 1998; La figura Tarconte: un ponte mitostorico fra Tarquinia e Troia, in Atti del Colloquio della
Indogermanische Gesellschaft “Anatolico ed Indoeuropeo”, Pavia 22-25 Settembre 1998, Università degli Studi di
Pavia, dip. Scienze dell’Antichità (in corso di stampa); I re Tarquiniesi: Demarato Corinto e suo figlio Lucumone,
“BollSTAS” (28), 1999; Gli Elogi degli Spurinna, “Archeologia”, Nov-Dic. 2000; Corneto (oggi Tarquinia) Etrusca?
“BollSTAS”, 2001; Corneto-Etrusca? “Archeologia”, Genn-Febbr. 2001; Odisseo in Etruria, “Aufidus”, in corso di
stampa.
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Callimaco non solo aveva testimoniato l’esistenza in Etruria del culto di
Cadmilos, ma aveva pure evidenziato le componenti etrusco-tirreniche di
Cadmilos-Hermes greco, uno dei Cabiri o Grandi Dei della Religione Misterica di
Samotracia, quegli stessi Dei il cui culto Morsilo attribuiva anche a quegli
Etruschi che avevano emigrato ad Atene e fino alle regioni greche e barbare del
bacino orientale del Mediterraneo.
È significativo che i Greci, secondo quanto testimoniava Proco il Diadoco
identificavano Ermes ctonio con Tagete26, il fanciullo divino emerso dalla terra
di Tarquinia, figlio di Genio o Genio Gioviale o Gioviale, uno dei Penati o Grandi
Dei etruschi. L’esistenza in Etruria del culto di Cadmilos era testimoniata anche
da Dionigi di Alicarnasso quando riferiva che “coloro che presso gli Etruschi
celebravano i Misteri in onore dei Curati e dei Grandi Dei erano chiamati
Cadmiloi, e che allo stesso modo presso i Romani quelli che aiutano in questi riti
sono chiamati Camilli” (1, 22).
4) CORITO-TARQUINIA. Il geografo greco Strabone (I sec. d.C.), nella
descrizione dell’Etruria meridionale costiera, diceva: “In mezzo fra Cosa e
Gravisca (il porto di Tarquinia), c’è un luogo chiamato Regisvilla. Si racconta
che qui un tempo si trovava la reggia del Pelasgio Maleoto del quale ancora oggi
si dice che, dopo aver regnato in quei luoghi sui coloni Pelasgi, andò ad Atene.
Egli dovette appartenere alla stessa gente che si impossessò della città di Agilla
(cioè Cere, oggi Cerveteri)” (5, 2,8). Secondo lo stesso Stradone, sia Agilla che
Pirgi, ch’era il suo porto, erano state fondate dai Pelasgi venuti dalla Tessaglia (5,
2,3; 8).
Anche Tarquinia, secondo alcune delle leggende sulla sua fondazione, era stata
edificata dai Pelasgi della Tessaglia27. Pertanto, si dovette ritenere che il regno di
Maleoto o Malteo, come è chiamato in altre fonti, avesse abbracciato almeno
l’arco di territorio compreso fra Regisvilla e Cere, cioè, nell’ordine, i porti
tarquiniesi di Maltano28 e Gravisca, la valle del fiume Marta, Tarquinia, la bassa
valle del Mignone, i monti di Tolfa e Pirgi. Si noti, che il nome di “Malta-no” e
forse anche quello del Marta (*Malta?), richiama proprio quello di Maleoto o
Malteo.
26
Giovanni Lido, De ostentis, 2-3.
Trogo Pompeo, Epitome, 20, 1, 11.
28
La località è riportata nell’Itinerario di Antonino.
27
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
10
Si tratta dello stesso contesto geografico da dove Virgilio trasse i trecento
guerrieri, che al comando di Astur, erano andati in soccorso del troiano Enea
nella guerra contro i Latini: “Quelli che abitano Caerete, che sono nei campi del
Mignone, e Pirgi antica e la intempestae Gravisca” (En. 10, 183).
Nel medesimo contesto, nella regione attorno alla foce del Mignone, lo stesso
Virgilio aveva indicato il centro della Lega Etrusca, cioè la città di Corito (oggi
Tarquinia) e il luco dedicato dai Pelasgi al dio Silvano. Qui, Tarconte, secondo
Virgilio, aveva riunito i capi delle singole lucumonie etrusche, con i loro vari
contingenti di guerra, ne aveva formato un unico esercito federale, e ne aveva
affidato il comando ad Enea, profugo da Troia (En. 8, 597; 9, 10; 10, 187). Nello
stesso contesto, sia Elio Donato che Servio confermarono l’esistenza del monte e
della città di Corito, patria di Corito capostipite dei Troiani (All.En., 9, 10). In
quel medesimo contesto, in mezzo fra Cere e Gravisca, Silio Italico pose “la
patria di Corito e del superbo Tarconte”29.
Strabone non dice dove avesse fatto sosta Mileo prima di stabilirsi ad Atene; ma,
in una diversa occasione, egli ci fa sapere che, secondo Eforo (III sec. a.C.), i
Pelasgi invasero la Macedonia scacciandone i Fenici, e che a loro volta furono
scacciati dai Mini e dagli Orcomeni che li sospinsero verso Atene (9, 2,2).
Si ricordi che si diceva pure che, in Macedonia, i tirreni Aiane ed Elimo avevano
fondato rispettivamente le città di Aiane e di Elimia (vedi par. 3).
Pausania, poi, riferì che ad Atene si narrava che i Pelasgi della città erano stati un
popolo di stirpe sicula sbarcato dall’occidente in Acarnania (vedi par. 3).
A grandi linee, le tappe della migrazione etrusca/pelasgica possono essere così
ricostruite: Regisvilla/Maltano> Sicilia?> Acarnania> Macedonia (Aiane,
Elimia)> Beozia> Atene> Isole Egee (Lemno, Imbro, Lesbo, Samotracia, ecc.)>
Asia minore (Triade, Cizico, Chersoneso, Ascania).
5) PITAGORA. Si diceva che il filosofo greco Pitagora (571-497 a.C.) fosse un
tirreno, e che fosse iniziato ai misteri di Samotracia. Neante di Cizico (III sec.
a.C.) riferiva: “C’è chi dimostra che suo padre Mnesarco fu un tirreno di quelli
che colonizzarono Lemno. Da lì venuto a Samo per affari, vi rimase e vi divenne
29
Silio Italico, Le Puniche, VIII, 472-473. <<Lectos Caere viros, lectos Corichi atque (cod. Corona) superbi / Tarconis
domus et veteres misere Graviscae / necnon argolico dilectum litus Haleso / Alsium et obsessae campo squalente
Fregenae>>. È gratuita la correzione in Cortona della forma Corona esibita dai codici. Per i problemi relativi a questo
passo di Silio, vedi A. Palmucci, Virgilio e Cori(n)to-Tarquinia: la leggenda troiana in Etruria, Tarquinia, STASRegione Lazio, 1998, pp. 275-283.
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
11
cittadino. Quando poi Mnesarco navigò per l’Italia, il giovane Pitagora lo
accompagnò in quella terra che era molto fortunata, e poi di nuovo navigò in
essa”. Neante elencava infine i due fratelli maggiori: Eunosto e Tirreno30.
Pitagora, secondo Aristosseno, Aristarco e Teopompo, era tirreno31. Lo stesso
Aristarco specificava che “proveniva da una di quelle isole (cioè Lemno ed
Imbro) che erano state occupate dagli Ateniesi quando avevano cacciato via i
Tirreni”32.
È interessante rilevare che sia l’isola di Lemno, nell’Egeo, sia l’isola d’Elba, in
Etruria, furono chiamate anche Etalia, e che i Pitagorici ritenevano che nel loro
maestro si fosse reincarnata l’anima di Etalide. Questi, secondo Apollonio Rodio,
era figlio di Ermes, ed era stato un argonauta di quelli che erano andati ad
abitare a Lemno prima che vi giungessero i Tirreni scacciati da Atene33. Etalide o
Etalio, però, era anche il nome di uno dei marinai etruschi che avevano rapito il
dio Dioniso, e che questi aveva trasformato in delfini34.
Pitagora, per Tito Livio (1, 18,2), era un contemporaneo di Servio Tullio; e
secondo quanto specificano Cicerone (Tusc., 1,38) ed Aulo Gellio (17, 21,6), egli
venne in Italia durante il regno di Tarquinio il Superbo.
Giamblico sosteneva che egli ebbe molti etruschi fra i suoi primi discepoli. Con
evidente anacronismo, si credé pure che Numa Pompilio, re di Roma, avesse
frequentato la scuola di Pitagora a Crotone in Calabria35.
Plutarco riferiva che un etrusco di nome Lucio, discepolo di Moderato Pitagoreo
(I sec. d.C.), sosteneva che “Pitagora fu un tirreno; non per parte di padre, come
taluni intendono, ma per essere egli nato, cresciuto ed educato nella Tirrenia”36.
Aristotele e Giamblico menzionavano un episodio che sarebbe avvenuto durante
il soggiorno di Pitagora in Etruria: il filosofo, con un morso, avrebbe ucciso un
serpente velenoso37.
6) I TIRRENI SCACCIATI DA LEMNO. Noi sappiamo da Erodoto e da Diodoro
Siculo che 501 o nel 502 a.C., gli Ateniesi scacciarono i Pelasgi anche da Lemno.
30
Neante di Cizico, in Porfido, Vita di Pitagora, 2.
Clemente Alessandrino, Strom., I, 62.
32
In Diogene Laerzio, VIII, 1.
33
Apollonio Rodio, Argonautiche, I, 640 sgg.; III, 1715.
34
Ovidio, Metamorfosi, III, 647; Igino, Leggende, 134.
35
Gianblico, Vita di Pitagora, 142; Dion. Alic. op cit. II, 59; Tito Livio, op.cit., I, 18 2-4
36
Plutarco, Questioni conviviali, VIII, 727 B.
37
Aristotele, frag. 19, Rose.
31
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
12
Dice Erodoto (6,140) che quando l’Ateniese Milziade, figlio di Cimone, “impose
ai Pelasgi di sgombrare dall’isola […], gli abitanti di Ephestia si rassegnarono;
invece, quelli di Marina […] furono assediati finché anch’essi dovettero cedere”.
Da Diodoro Siculo (9, 19,6) apprendiamo, inoltre, che “i Tirreni, che avevano
abbandonato Lemno per paura dei Persiani, dicevano di averlo fatto a motivo di
certi oracoli. Questo fu fatto da Ermone capo dei Tirreni”. Nessuno dei due
storici dice dove questi Pelasgi/Tirreni si trasferirono. In altra occasione,
tuttavia, Erodoto (1,57), accennò a certi Tirreni che, ai suoi tempi, abitavano
nella Penisola Calcidica; e Tucidide (4, 109) specificò che, nella seconda metà del
quinto secolo avanti Cristo, quando egli scriveva, la penisola Calcidica era abitata
da varie genti fra cui i Crestonesi e da gente barbara bilingue, “soprattutto
Pelasgi discendenti di quei Tirreni che abitarono Lemno ed Atene”.
Evidentemente, Milziade, dopo aver espulso i Tirreni da Lemno, li trasferì nella
Penisola Calcidica dove era governatore.
7) LA LINGUA PARLATA DAI TIRRENI DELL’EGEO. Come abbiamo
riferito nei precedenti paragrafi, molti storici greci sostenevano che i Pelasgi di
Atene, Lemno ed Imbro erano Tirreni originari dell’Etruria.
È interessante che l’alfabeto e la lingua che si parlava a Lemno erano molto
simili a quelli degli Etruschi, come hanno rilevato le iscrizioni del VI sec. a.C.,
trovate nell’isola, a Kaminia. Ulteriori ricerche archeologiche hanno, poi,
evidenziato le somiglianze fra alcuni vasi e fibule etruschi con quelli di Lemno38.
L’iscrizione, di quindici parole, si trova sviluppata attorno alla testa del profilo di
un uomo armato di lancia e scudo, incisa su una lastra funeraria in pietra. Il
testo è perfettamente leggibile perché redatto in un alfabeto simile a quello
etrusco, con un sistema di scrittura delle sibilanti identico a quello dell’Etruria
meridionale donde la tradizione li faceva venire.
Su questi e altri dati desunti dalla tradizione letteraria, Michel Gras ha ipotizzato
che, “durante il corso dell’VIII sec. a.C., alcuni occidentali dell’Italia centrale,
cioè dei Tirreni, si spinsero a navigare oltre le loro coste […] ed arrivarono fino in
Attica. Qui gli Ateniesi affibbiarono loro il soprannome di “cicogne” (Pelargoi);
J. Heurgon, A propos de l’inscription tyrrhenienne de Lemnos, « La parola del passato », 1982, p. 189 ; D. Mustilli,
La necropoli tirrenia di Efestia, “ASAA”, 1932-1933; “BPI”, 43, 1933, pp. 1329; L’occupazione ateniese di Lemno e
gli scavi di Hephaistia, in Studi E. Ciacieri, 1940, p. 149; EAA, s.v. Efestia; K. Kilian, Zum italischen und griechischen
Fibelhandwerk des 8 und 7 Jahrunderts, in Hamburger Beitrage zur Archeologie, 3, 1, 1973, p. 29; M. Gras, Melanges
offerts a J. Heurgon, Roma, 1976, p. 341 sgg.; Traffics tyrrheniens archaiques, Roma, 1985, pp. 615-651.
38
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
13
e, per ricompensarli d’aver collaborato a delle costruzioni presso l’Acropoli,
offrirono loro una terra vicina all’Imetto […]. Ma questi occidentali erano
instabili e, di chiunque sia stata la colpa, entrarono in conflitto con gli Ateniesi.
Essi sciamarono nell’Egeo e andarono in particolare, a Lemno. Siamo in pieno
VIII sec. a.C., al tempo della fondazione di Tera39.
I contatti con gli Ateniesi proseguirono: a volte cattivi (ratto di Braurone), a volte
corretti (il banchetto al Pritaneo) […]. In queste condizioni è insensato ipotizzare
l’arrivo a Lemno, tra la fine dell’VIII secolo ed il VII secolo, di un alfabeto che i
Villanoviani (che erano in fase di diventare Etruschi) avevano a loro volta
ricevuto dai Greci di Pitecausa? Tirreni portatori di un alfabeto in via di
costituzione, il quale, una volta impiantato a Lemno, si evolverà nei due secoli
futuri prima di apparire sulla stele di Kaminia. Due secoli di influenze locali e
soprattutto asiatiche se si considera la prossimità geografica dell’Asia Minore”
(nostra trad.)40.
La teoria del Gras sull’origine dell’alfabeto lemnio è ragionevole. Ma la presenza
dei Tirreni d’Italia nel Mediterraneo orientale potrebbe risalire ai tempi indicati
dalle varie tradizioni di alternanti migrazioni dall’Etruria verso oriente, e da
oriente verso l’Etruria (Tirreni, Troiani, Pelasgi). Dall’Etrusco e dal Lemnio è
possibile rimontare ad una comune fase linguistica, molto antica, dalla quale si
sarebbero poi differenziati la lingua parlata dai cosiddetti Pelasgi e Tirreni del
mondo preellenico e quella parlata dai Tirreni d’Italia. L’identicità del nome
Tirreni data dai Greci ad entrambe le stirpi, potrebbe essere indicativa della
unicità linguistica e, forse, della unità di stirpe. È verosimile che i Greci, già dai
loro primi contatti con gli Etruschi abbiano notato la somiglianza della lingua e
di alcune divinità e costumi etruschi con quelli dei popoli preellenici dell’Egeo,
ed abbiano ritenuto, a torto o a ragione, ma probabilmente a ragione, che gli uni
e gli altri appartenessero ad un’unica stirpe e fossero stati protagonisti di
scambievoli migrazioni.
Sul piano storico, il vagare inquieto dei Tirreni nel Mediterraneo orientale
potrebbe essere documentato, come abbiamo già detto, nei geroglifici egizi dove
si parla dei Tursh. (Tirseni?) che nel XIII e nel XII sec. a.C. tentarono
d’invadere l’Egitto.
39
M. Gras si riferisce alla effettiva fondazione di Tera (VIII sec. a.C.), perché quella leggendaria, attribuita ai
discendenti degli Argonauti, veniva fatta risalire all’XI sec. a.C. (vedi par. 10).
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
14
8) ERODOTO E I PELASGI DI CRESTONA. Esaminiamo ora cosa le antiche
fonti storiche greche dicevano della lingua parlata dai Pelasgi del Mediterraneo.
Secondo Erodoto, come abbiamo visto (vedi par.3), gli abitanti di Atene erano
gente pelasgica ellenizzata. Quando, poi, costoro si erano già ellenizzati, altri
Pelasgi vennero a convivere con loro. Questi nuovi Pelasgi furono poi scacciati;
così, dai piedi del Monte Imetto, presso la città, dove si erano stabiliti, andarono
ad occupare altre terre fra cui le isole di Imbro e di Lemno, nel Mar Egeo, e
le città di Placia e Scilace sull’Ellesponto. Lo stesso Erodoto ci informa poi
che nel 501 a.C., gli Ateniesi scacciarono i Pelasgi anche da Lemno. Diceva poi lo
storico:
Non potrei dire con esattezza quale lingua parlassero i Pelasgi, ma se
consideriamo sia il linguaggio di coloro che ancora rimangano di quei Pelasgi
che, sopra i Tirreni, abitano nella città di Crestona, ed un tempo
abitavano nel paese che ora è chiamato Tessagliotide, accanto agli
attuali Dori (cioè venivano dalla Tessaglia), sia il linguaggio di quei Pelasgi
che, dopo aver abitato con gli Ateniesi, andarono a colonizzare le città di Placia
e Scilace sull’Ellesponto, sia il linguaggio di tutte quelle altre città che furono
pelagiche e che poi cambiarono nome, dobbiamo dedurre che i Pelasgi parlavano
una lingua barbara […]. Infatti, gli abitanti di Crestona parlano come quelli di
Placia, ma entrambi parlano una lingua diversa da quella dei loro circonvicini.
In tal modo, essi dimostrano di mantenere gelosamente il particolare linguaggio
che portarono seco quando trasmigrarono nelle loro attuali sedi (I,57).
Come si vede, Erodoto menzionava certi Pelasgi, provenienti dalla
Tessagliotide, che abitavano nella città di Crestona, e che, ai suoi tempi,
parlavano una lingua diversa da quella dei vicini Tirreni. Che in Grecia
esistesse una città chiamata Crestona lo aveva detto già Ecateo prima Erodoto, e
dopo lo dissero Tucidide, Pindaro, Licofrone, Riano, Stefano di Bisanzio e
Tzetze41. Ma dov’era esattamente Crestona e chi erano i suoi vicini Tirreni?
Questo lo spiegò Tucidide quando, parlando delle città della Penisola Calcidica,
disse:
40
41
M. Gras., op. u. cit., Roma, 1985, pp. 630-631.
Stefano Bizantino, op. cit., s.v. Creston; Tzetze, Ad Alex., 499; 937.
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
15
Esse sono abitate da vari popoli barbari bilingui e da una piccola minoranza
calcidese, ma la maggioranza della popolazione è composta di Pelasgi
discendenti da quei Tirreni che abitarono Lemno ed Atene. Vi sono
inoltre Bisalti, Crestonesi ed Edoni sparpagliati in piccole cittadine.
Con ciò, Tucidide non solo ci spiega che Crestona era una città della Penisola
Calcidica, ma ci specifica anche che i Tirreni che gli erano vicini appartenevano
alla stirpe di quei Pelasgi che gli Ateniesi avevano scacciato prima dalla loro città
e poi anche da Lemno.
Storicamente, i Pelasgi di Lemno furono cacciati dalla loro isola verso la fine del
VI sec. a.C., come ci informa lo stesso Erodoto42. A quel tempo essi parlavano
ancora una simile all’Etrusco. Si trasferirono nella Penisola Calcidice, come
afferma Tucidide; e, al tempo in cui Erodoto e Tucidide scrivevano, avevano
evidentemente imparato a parlare Greco. Dunque, quando Erodoto diceva che, ai
suoi tempi, la lingua dei Pelasgi di Crestona, che abitavano a nord dei
Tirreni del suo tempo, era diversa da quella parlata dai loro circonvicini,
intendeva contrapporre la lingua pelasgica parlata dai Crestonesi a quella
greca parlata dai loro vicini Tirreni ellenizzati del suo tempo.
Dobbiamo rendere omaggio ad Erodoto per aver saputo cogliere l’unicità della
lingua parlata da tutti i Pelasgi del mediterraneo orientale. Oggi, dopo il
ritrovamento della Stele di Lemno, noi sappiamo che quella lingua era simile
all’Etrusco. Del resto, sappiamo anche che già almeno dal tempo di Ellenico si
diceva che quei Pelasgi o Tirreni erano venuti dall’Etruria. Evidentemente, i
Greci fin dai loro primi contatti con i Tirreni d’Italia (Etruschi), notarono la
comunanza di linguaggio e di certi costumi e culti religiosi fra quelli e i Pelasgi
del Mar Egeo, e ritennero a torto o a ragione, ma probabilmente a ragione, che
gli uni e gli altri appartenessero ad un’unica stirpe, la tirrenica, e fossero stati
protagonisti di scambievoli migrazioni fin dai tempi della preistoria.
9) LA MIGRAZIONE PELASGICA DALLA GRECIA IN ITALIA. Secondo
Androne di Alicarnasso (IV sec. a.C.), alcuni Pelasgi, in epoca mitica, si
recarono in Etruria dalla Tessaglia43. Per Diodoro Siculo (II sec. a.C.), “i
Pelasgi, prima dei fatti di Troia, per sfuggire al diluvio avvenuto ai tempi di
42
43
Erodoto, op. cit., 6, 140; Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, 9, 19,6.
In Stefano Bizantino, op. cit., s.v. Doron.
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
16
Deucalione, erano venuti dalla Tessaglia ad abitare nella Pianura Padana”44.
Strabone (I sec. a.C. – I d.C.), poi, dirà che i Tessali fondarono Ravenna, ma
che, disturbati dagli Etruschi cedettero la città agli Umbri e tornarono in
Tessaglia. Per Trogo Pompeo (I sec. a.C. – I d.C.), “Tarquinia, fra i Tusci ebbe
origine dai Tessali, e Spina fra gli Umbri” (Epit. 1, 11).
Da un frammento di Varrone (II-I sec. a.C.) apprendiamo:
I Pelasgi, scacciati dalle loro sedi, cercarono altre terre. I più si riunirono a
Donna; e poiché erano incerti sul luogo dove fissare la dimora, ricevettero
dall’oracolo questo responso:
Nella terra saturnia dei Siculi e degli Aborigeni, cercate Cotila,
dove galleggia un’isola. Quando sarete giunti, offrite la decima a
Febo, e sacrificate teste ad Ade, ed un uomo a suo padre.
Avuto questo responso e, dopo molte peregrinazioni, sbarcati nel Lazio, scoprirono
un’isola nata nel lago di Cutilia. Si trattava di una vastissima zolla fatta di fango rappreso o
di terreno paludoso prosciugato. Era fitta di boscaglia e di alberi
cresciuti
disordinatamente, e si spostava continuamente spinta dai flutti […]. Visto, dunque, questo
prodigio, compresero che quella era la sede predetta; e, scacciati i Siculi che la abitavano,
occuparono la regione45.
Da altri frammenti apprendiamo che Marrone sosteneva che i Pelasgi erano gli
stessi Etruschi, e che, passati in Etruria, avevano fondato Cere46.
Alla fine del I sec. a.C., quando ormai nel mondo Egeo non c’era più chi parlasse la
lingua pelasgica testimoniata da Erodoto quattro secoli prima, ci fu Dionigi di
Alicarnasso che paradossalmente invocò proprio Erodoto per pretendere che il
linguaggio dei Pelasgi o Tirreni dell’Egeo fosse stato radicalmente diverso da quella parlato
dagli Etruschi. Egli fece questo discorso:
“I Pelasgi abitarono dapprima nella regione presso Argo achea, ed erano autoctoni
di quella regione”. In seguito, si spostarono nella Tessaglia dove rimasero per più di un
secolo, finché, scacciati dai Cureti e dai Leligi, “si dispersero nella fuga. Alcuni
raggiunsero Creta, mentre altri si impadronirono di alcune isole Cicladi. Altri
44
45
Diodoro Siculo, op. cit., 14, 116.
Macrobio, Saturnalia, I, 7, 219.
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
17
si stabilirono nel territorio chiamato Estieotide, presso l’Olimpo e la città di Ossa, altri poi
si recarono nella Beozia, nella Focile e nell’Eubea. Quelli che si erano diretti verso l’Asia si
stabilirono in molte zone lungo le coste dell’Ellesponto, così pure in molte isole
prospicienti la costa, fra cui Lesbo”. Ma la maggior parte di costoro andò a rifugiarsi
nell’interno della Grecia, presso gli abitanti di Dodona loro consanguinei. In seguito,
accortosi che la terra non dava frutti bastanti per tutti, interrogarono l’oracolo il quale
rispose: “Affrettatevi a raggiungere la Saturnia terra dei Siculi, Cotila, città degli Aborigeni,
là dove ondeggia un’isola; fondetevi con quei popoli, ed inviate Febo la decima e le teste al
Cronide, ed al padre inviate un uomo”.
I Pelasgi accolto l’ordine di navigare alla volta dell’Italia, e di raggiungere Cotila nel
Lazio antico, allestirono numerose navi e si diressero come prima tappa verso le coste
meridionali dell’Italia, che erano le più prossime (Fin qui lo schema narrativo seguito da
Dionigi è identico a quello che Marrone aveva presentato prima di lui, per cui ci si
aspetterebbe che i Pelasgi, obbedendo all’oracolo che ingiungeva loro di recarsi a Cotila,
ch’era nel Lazio, andassero a sbarcare sulla costa laziale dove lo stesso Marrone li aveva
fatti approdare).
“Ma”, dice Dionigi, “per il vento di Mezzogiorno, e per la imperizia dei luoghi,
andarono a finire in una delle bocche del fiume Po, chiamata Spina”.
Qui lasciarono le navi, fondarono la città di Spina, si diressero verso l’interno e,
superati gli Appennini, vennero a trovarsi sul versante occidentale della penisola italica
(cioè sul versante tirrenico) nella regione dove a quel tempo abitavano gli Umbri. Da qui,
continua Dionigi, si spinsero nel territorio degli Aborigeni (nel Lazio antico); e da alcuni
segni capirono di trovarsi nella promessa città di Cotila. Fatta amicizia con gli Aborigeni
del luogo, li coadiuvarono nella guerra contro gli Umbri e i Siculi. (Si ricordi che per
Varrone, che scrisse prima di Dionigi, i Pelasgi non erano giunti a Cotila provenienti dal
lontano Adriatico, ma erano sbarcati direttamente sulla vicina spiaggia latina). Agli
Umbri, continua Dionigi, i Pelasgi, “con un attacco improvviso, presero Crotone, grande e
prospera città umbra, e se ne servirono come fortezza e guarnigione contro gli Umbri”.
Ai Siculi, dice poi l’autore, i Pelasgi tolsero Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennino
ed altre città che in proseguo di tempo furono occupate dagli Etruschi autoctoni che
coabitavano la regione.
Dionigi continua poi narrando la storia del ritorno dei Pelasgi dall’Etruria verso
oriente, attribuendo loro, per esplicita ammissione, le stesse vicende che Mirsilo, nella sua
Storia di Lesbo, aveva raccontato parlando dell’emigrazione degli Etruschi dalla loro terra
46
Servio, op. cit., 8, 603; Isidoro di Siviglia, Etim. 9, 2, 74; Scholia Ver. ad Virg. Aen., 10, 184.
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
18
ad Atene e nel bacino orientale del Mediterraneo (vedi par. 3; evidentemente, Dionigi non
disponeva di fonti che avvalorassero la sua posizione, e si vedeva costretto ad ammettere
di aver attribuito ai suoi antietruschi Pelasgi gli stessi eventi che Mirsilo, tre secoli prima,
aveva attribuito agli Etruschi).
“Costoro dunque”, conclude Dionigi, “furono i primi che emigrarono dall’Italia e
vagarono per la Grecia e in molte regioni dei barbari” (1, 17-24).
Dionigi aggiunge poi che “Il tempo in cui i Pelasgi cominciarono a decadere fu
intorno alla seconda generazione prima della guerra di Troia e si protrasse oltre, finché
questo popolo si ridusse al minimo, ed eccetto Crotone,l’importante città degli Umbri, e
qualche altro centro fondato nella terra degli Aborigeni, le altre città pelagiche perirono.
Crotone conservò tuttavia l’antica struttura fin quando, or non è molto, ha mutato nome
e abitanti, è diventata colonia romana e si chiama Cortona. Numerosi popoli confinanti
occuparono poi le città dopo l’abbandono dei Pelasgi, ma furono soprattutto i Tirreni
(Etruschi), altri un popolo immigrato (I, 26) […]. Ellanico di Lesbo dice che i Tirreni
prima si chiamavano Pelasgi e che assunsero il nome che ora hanno dopo essersi
stanziati in Italia […]. Egli dice che i Pelasgi, durante il regno di Nanas, figlio di
Teutanide, furono scacciati dal loro paese dai Greci; e, lasciate le navi presso il fiume
Spines (il Po), nel golfo Ionico, presero Crotone, una città posta al centro del territorio
(gr. mesogenia); e, partiti di lì occuparono quella che noi oggi chiamiamo Tirrenia
(Etruria), lasciata la loro patria, assunsero durante il loro peregrinare il nome di
Pelargi a somiglianza degli uccelli chiamati pelargi (= cicogne) perché come
questi migrano a stormi attraverso la Grecia e i popoli barbari. Però, a mio avviso
sbagliano, tutti coloro che sono convinti che fra Tirreni e Pelasgi ci sia coincidenza ed unità
di stirpe […]. Io penso che la stirpe non fosse la stessa per molti fattori, ma, soprattutto per
la diversità delle loro lingue nelle quali non trovo alcuna persistenza di una base comune.
D’altra parte, come scrive Erodoto, né i Crotoniati (!) né i Placiani, che pure parlano la
stessa lingua, hanno comunanza di linguaggio con i rispettivi popoli circonvicini.
È chiaro che essi conservano i caratteri della lingua che parlavano quando si
trasferirono in queste regioni. È certo che qualcuno potrebbe meravigliarsi che mentre i
Crotoniati (!) parlavano come i Placiani, che abitano vicino all’Ellesponto, dato che erano
entrambi di origine pelasgica, non parlino invece come i vicini Tirreni (Etruschi). Se,
infatti dobbiamo assumere la comunanza delle origini come causa di quella dei linguaggi,
si deve anche assumere che un’origine diversa comporti una diversità di linguaggio […].
Proprio in base a questi indizi, io sono convinto che i Pelasgi differiscano dai Tirreni
(Etruschi); e nemmeno credo che i Tirreni (Etruschi) siano coloni dei Lidi. Non
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
19
parlano, infatti la medesima lingua […]. È forse più vicino al vero chi dice che i Tirreni
(Etruschi) non sono venuti da nessun luogo, ma sono un popolo autoctono. Infatti, è
antico in tutto, e né il suo linguaggio né il suo modo di vivere somiglia a quello degli altri”
(1,30).
Che il nucleo originario della nazione etrusca sia stato autoctono è verosimile; però
Dionigi utilizzava l’argomento per sostenere che non c’era affinità fra gli Etruschi, che
riteneva barbari autoctoni, e i Pelasgi d’Etruria e del bacino orientale del Mediterraneo,
che riteneva di origine greca; e, a tal fine, sosteneva che Erodoto avesse rilevato che la
lingua etrusca appartenesse ad un ceppo linguistico fondamentalmente diverso da quello
pelagico. Noi sappiamo, invece, che proprio nell’isola di Lemno, ch’era abitata da un
popolo che si diceva pelagico, sono state trovate alcune scritture della fine del VII sec. a.C.,
redatte in una lingua simile all’Etrusco (vedi par. 7). Faremmo, dunque torto ad Erodoto se
pensassimo che egli avesse detto quel che Dionigi gli faceva dire. Il fatto è che Dionigi
sosteneva indebitamente che Erodoto avesse parlato della presenza di Pelasgi in Italia, e li
avesse situati a nord dei Tirreni (Etruschi) in una città umbra chiamata prima
Crotone e poi Cortona.
Ma Erodoto, come si può controllare nel testo che abbiamo sopra riportato, non
menziona mai questa presunta Crotone o Cortona che sia, bensì la città di Crestona
situata a nord dei Tirreni del mondo greco; e, Tucidide specifica che i Crestonesi
abitavano in Grecia accanto ai Tirreni della Penisola Calcidica. Dionigi non solo ha
cambiato il nome di Crestona in Crotone o Cortona, ma ha giocato sul fatto che i Greci
chiamavano Tirreni sia alcune popolazioni barbare del bacino orientale del Mediterraneo
sia gli Etruschi d’Italia. Il nessun passo delle sue Storie, Erodoto parla mai di presenze
pelagiche in Italia, né di migrazioni Pelagiche verso l’Italia o dall’Italia. Egli non sostiene
che fra i Tirreni d’Italia e i Pelasgi della Grecia ci sia unità di stirpe, ma nemmeno li
contrappone; e non si pone nemmeno il problema della provenienza di quei Pelasgi ch’egli
stesso presenta come emigrati ad Atene e nelle Isole Egee. Egli ignora semplicemente il
rapporto perché egli è nato in Asia, e propende per la tradizione asiatica secondo cui i
Tirreni d’Italia provenivano dalla Lidia (1, 94).
La contrapposizione fra i Pelasgi o Tirreni della Grecia e i Tirreni d’Italia, proposta
da Dionigi, non era presente nella cultura Greca del tempo di Erodoto (V sec. a.C.). Infatti,
sia Sofocle, ch’era più vecchio di Erodoto, sia Ellenico e Tucidide, ch’erano più giovani,
identificavano i Pelasgi con i Tirreni.
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
20
La diversità fra i due popoli ma non ancora la loro opposizione, apparirà con
Scimno di Chio (IV sec. a.C.)47 e con Dionisio Periegete (II sec. a.C.).
Quest’ultimo diceva: “Intorno all’Appennino ci sono molte genti che elencherò tutte
a cominciare dalla parte nord-occidentale. Per primi ci sono gli Etruschi, e dopo di loro la
gente dei Pelasgi che un tempo da Cillene (monte dell’Arcadia) raggiunsero il mare
occidentale (mar Tirreno), e lì si insediarono insieme agli Etruschi. Dopo di loro c’è il duro
popolo dei superbi latini” (GGM, II, p. 124).
La tradizione si ritrova anche in Rufo Festo Avieno (IV sec. d.C.) che era un
etrusco di Vulsinii. Egli, nel componimento poetico su Le coste marittime, elencando da
nord a sud, disse: “prima v’è la gente degli antichi Etruschi, poi la schiera pelasgia occupa i
campi itali; essa una volta dal paese di Cillene (cioè dall’Arcadia, regione della Grecia) si
recò negli stretti del golfo Esperio (mar Tirreno)” (Or. Mar., 490).
Le parole di alieno, ch’era un etrusco di Vulsinii, sono importanti perché ci
testimoniano che gli stessi Etruschi, a torto o a ragione, ritenevano che i Pelasgi
dell’Arcadia fossero venuti ad abitare nell’Etruria meridionale. Qui, secondo una
tradizione, gli Arcadi (Pelasgi) avrebbero fondato Tegea (cioè Corito)48.
Sarà, invece, proprio Dionigi di Alicarnasso, alla fine del I sec. a.C., il primo a
sostenere la netta diversità di stirpe e di lingua fra gli Etruschi, ch’egli considerava barbari
autoctoni, e i Pelasgi provenienti dalla Grecia. Questi, secondo Dionigi, avrebbero abitato
all’interno della stessa Etruria senza fondersi con gli Etruschi. Avrebbero convissuto anche
con gli Aborigeni del Lazio vetus, con i quali, però, si sarebbero fusi. Questi ultimi, poi, a
loro volta, si sarebbero fusi con i Troiani anch’essi, secondo lui, di origine greca. Tutto ciò
al fine di dimostrare al mondo greco-romano che gli Etruschi erano barbari autoctoni, e
non avevano avuto nessun peso nella formazione dell’etnos primitivo di Roma. I Romani,
concludeva Dionigi, “erano Greci e, per di più, provengono da generazioni di genti che non
erano né infime né trascurabili” (1,5).
Ora, se Dionigi seppe utilizzare in maniera tanto abile le parole di Erodoto fino a
ridurre il rapporto esistente fra i Pelasgi della città greca di Crestona e i Tirreni
ellenizzati della Grecia a quello fra una presunta città umbro-pelasgica di Crotone o
Cortona e i Tirreni d’Italia (Etruschi), non sappiamo davvero quale valore dare alle
altre occasioni in cui egli, come abbiamo visto, presenta questa Crotone o Cortona nel
Scimno di Chio, Orbis Descriptio, 5, 217: “Dopo il paese dei Liguri abitano i Pelasgi; costoro vennero anticamente
dall’Ellade ad abitare qui, ed ora risiedono sul territorio assieme agli Etruschi”.
48
Probo, Alle Georgiche, 1, 16; Corito era uno dei demi di Tegea dove si diceva avesse regnare il re Corito padre
adottivo di Telefo a sua volta padre di Tarconte fondatore di Tarquinia (vedi A. Palmucci, Virgilio e Cori(n)toTarquinia, Tarquinia, 1998, p. 199.
47
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
21
contesto della propria versione della migrazione pelasgica in Italia, e di quella ch’egli
attribuisce alla penna di Ellanico.
Il racconto di Dionigi non è affidabile soprattutto per il nome di Crotone. Così
come egli ha barattato la pelasgia Crestona della Grecia menzionata da Erodoto) con
una presunta città di Crotone o Cortona in Umbria, che si sarebbe trovata a nord
dell’Etruria, potrebbe aver volutamente o meno confuso la migrazione (di cui parla
Erodoto) dei Pelasgi dalla Tessaglia a Crestona in Grecia con quelle che si diceva
che gli stessi Pelasgi avessero compiuto anche in varie regioni d’Italia, fra cui l’Etruria
Padana49 e la stessa Etruria. Secondo il racconto di Varrone, che Dionigi ripeteva senza
citare, i Pelasgi, provenienti dalla Tessaglia, erano sbarcati sulla costa laziale; e Trogo
Pompeo, con un rapporto inverso a quello di Dionigi, diceva “Tarquinia, fra gli Etruschi, fu
fondata dai Tessali, e Spina fra gli Umbri” (Epit., 20, 1,11). Plinio il Vecchio ripeteva:
“Tarquinia fu fondata dai Greci” (H.N., 30).
Il nome della città umbra di Crotone o Cortona (in luogo di Crestona in
Grecia) che abbiamo visto inserito da Dionigi nel contesto del discorso di Erodoto, è
presente anche in quello del racconto che lo stesso Dionigi attribuisce ad Ellanico di Lesbo:
Nanas, figlio di Teutanide avrebbe condotto i Pelasgi dalla Grecia alla foce del fiume
Spines nel golfo Ionico; e, presa Crotone, una città posta al centro del territorio, sarebbe
partito di lì per occupare la Tirrenia (Etruria) Stavolta, purtroppo non abbiamo il testo
originale di Ellenico per confrontarlo con quello che Dionigi gli attribuisce, ma il nome di
questa Crotone rimane comunque sospetto. Dionigi, come aveva fatto con la Crestona
di Erodoto, potrebbe aver cambiato in Crotone il nome della città (forse Corito)
menzionata da Ellenico, o potrebbe averne snaturato il contesto geografico, o potrebbe
aver fatto l’una e l’altra cosa.
Il golfo Ionico, presente nel presunto testo di Ellanico, non corrisponde
necessariamente al mar Adriatico, come vorrebbe Dionigi. Isidoro di Siviglia (560-636
d.C.) che, sia pure in epoca tarda, compendiò nelle sue vaste opere gran parte delle
tradizioni classiche, ricordava: “Il mar Tirreno che tocca l’Italia, i Greci lo chiamano Ionio,
e gli Itali Infero […]. Il mare Adriatico e il mare Tusco vengono chiamati rispettivamente
Superno ed Infero perché, per la posizione del cielo, l’oriente è superiore e l’occidente è
inferiore […]. Il mar Ionio è detto anche Tirreno perché bagna le rive della Tuscia, cioè
della Tirrenia, e anche perché in questo mare si precipitarono i navigatori tirreni” (Etim.,
13, 16,2;7).
49
Diodoro Siculo, op. cit., 14, 113,2; Stradone, 5, 1,7.
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
22
Potrebbe esser dunque significativo il fatto che per Varrone, che visse prima di
Dionigi, i Pelasgi provenienti dalla Tessaglia, come abbiamo già visto, erano sbarcati sulla
costa laziale; e che Trogo Pompeo, con un rapporto inverso a quello di Dionigi, diceva che
“Tarquinia fra gli Etruschi (forse con riferimento a Corito) fu fondata dai Tessali
(Pelasgi), e Spina fra gli Umbri”. Quanto a Nanas, l’errante re pelasgio, figlio di
Teutanide, durante il regno del quale, i Pelasgi sarebbero sbarcati a Spina nel golfo
Ionico, c’è da tener presente che, secondo la tradizione licofroniana, Enea, proveniente da
Troia era venuto a sbarcare alla foce del fiume Linceo (il Mignone presso Tarquinia) in
Etruria dove aveva unito i suoi uomini a quelli dei fratelli Tarconte e Tirreno, si era
stanziato in Etruria, ed aveva concesso ad un errante Nanos50 di stabilirsi lungo una
striscia di terra sulla marina etrusca51. Elio Donato ci ricorda poi che Teutanide (Teutas)
fondò Teuta (la futura Pisa) sul Mar Tirreno, e che gli abitanti della regione erano
Teutani parlanti greco; la città sarebbe poi stata fondata da “Tarconte proveniente
dall’Etruria (oriundus Tirrenia; cod. oriundus Tirreno)”52.
“Le città pelagiche”, dice Dionigi “perirono tutte, eccetto Crotone, l’importante
città degli Umbri, e qualche altro centro fondato nella terra degli Aborigeni. Crotone,
inoltre, conservò l’antica struttura fin quando, or non è molto, ha mutato nome e abitanti,
è diventata colonia romana e si chiama Cortona. Numerosi popoli confinanti occuparono
poi le città dopo l’abbandono dei Pelasgi, ma furono soprattutto i Tirreni (Etruschi) ad
occupare le più grandi ed importanti”.
Ma Cortona, diversamente da quanto sostiene Dionigi, pur confinando con gli
Umbri, era una città etrusca, abitata da gente che parlava e scriveva in Etrusco; e tale
rimase anche quando i Romani la conquistarono. Dionigi, dunque, per poter sostenere che
Erodoto avesse parlato di una città pelasgica di nome Crotone o Cortona (che però era
Crestona) sita a nord dei Tirreni (Etruschi) d’Italia (che però erano i Tirreni della
Grecia) ha dovuto fare della etrusca Cortona una città umbra posta fuori dei confini
dell’Etruria.
Nella realtà, Cortona era una città etrusca del nord; di quella parte cioè dell’Etruria
dove lo stesso Avieno, ch’era un etrusco, diceva che mai i Pelasgi della Grecia avessero
abitato. È poi importante che, nel V sec. a.C., quando Erodoto ed Ellenico, secondo
Dionigi, la avrebbero menzionata, la etrusca Cortona (etr. Curtun) era appena assunta al
50
Identificato dal parafraste e dagli scoliasti con Odisseo (vedi n. 51).
Licofrone, Alex, v. 1240, sgg., con la parafrasi greca, gli Scholia vetera e Tzetze.
52
Servio, op. cit., 10, 179.
51
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
23
ruolo di città. In precedenza, erano esistiti, sul territorio, villaggi sparsi, come è dimostrato
dalla mancanza, fino al V sec. a.C., di una necropoli unitaria.
Sarebbe, dunque, strano che Erodoto ed Ellenico, vissuti entrambi nel V sec. a.C.,
avessero attribuito a una città in formazione, o da poco costituita, avvenimenti mitici che
sarebbero accaduti molte generazioni prima della guerra di Troia53.
A questo punto c’è da portare un chiarimento. Giovanni Colonna ha rilevato che la
diaspora che dall’Italia disperse gli Etruschi per il Mondo a cominciare da Atene dove
assunsero il nome di Pelasgi, delineando un grandioso movimento da occidente verso
oriente, costituisce il necessario precedente concettuale della genesi etrusca dei Troiani
cantata da Virgilio. Come i Pelasgi, così i Troiani dell’Eneide, “in una visione
incontestabilmente italicocentrica, divengono oriundi Italiani”. E conclude che qualcuno
dovette pensare che i futuri Troiani erano partiti “dall’Etruria e precisamente da
Cortona”54.
Ma le fonti mitostoriche non indicano che da Cortona sia mai partita una
migrazione. L’unico punto di partenza, indicato dalle fonti, della mitica migrazione
pelasgica dall’Etruria ad Atene e nel bacino orientale del Mediterraneo è il porto di
Regisvilla che stava sulla spiaggia fra Tarquinia e Vulci, proprio nell’Etruria meridionale
dove gli stessi Etruschi (vedi sopra), a torto o a ragione, sostenevano che i Pelasgi avessero
coabitato con loro. Dubitiamo fortemente che Cortona città dell’Etruria settentrionale,
dove gli stessi Etruschi (vedi Avieno) escludevano la presenza dei Pelasgi, sia la stessa
pelasgica città di Crotone di cui, secondo Dionigi, avrebbe parlato Ellanico. Comunque,
quella presunta Crotone o Cortona sarebbe stata solo oggetto di una immigrazione di
Stefano Bizantino, alla voce Kyrtonios del suo dizionario di nomi di città, diceva: “Kyrtonios città d’Italia, da Polibio
libro III”. In effetti, lo storico greco Polibio (205-120 a.C.), nel 3° libro de Le Storie, in occasione della vittoria di
Annibale sui Romani al Lago Trasimeno, aveva indicato, fra questo lago e Arezzo, una città che egli chiamava
grecamente Kyrtonios. Si tratta, inequivocabilmente, di Cortona di Arezzo. Altrove, Stefano, alla voce Kroton del
dizionario, elenca poi tre città. Una è Crotone in Calabria. “l’altra è la metropoli dell’Etruria, ed una terza è pure in
Italia”. Delle tre città, la prima è in Calabria, e non pone problemi. La seconda è definita “metropoli dell’Etruria”; ma
non è affatto pacifico, come alcuni vorrebbero, che si tratti della stessa città di Cortona che Stefano aveva elencato
altrove con il diverso nome di Kyrtonios. Né è pacifico che si tratti di quella Crotone o Cortona che Dionigi attribuiva
alla penna di Erodoto e a quella di Ellanico. Infatti, secondo Dionigi, quella città era umbra e rimase costantemente
umbro-pelasgica; la Kroton di Stefano, invece, è etrusca. Il nome, di questa seconda Kroton, menzionato da Stefano,
potrebbe corrispondere a quello della città etrusca fondata dai Pelasgi sbarcati a Spina, di cui aveva parlato Ellenico.
Teniamo presente che Trogo Pompeo privilegiava Tarquinia (forse con riferimento a Corito) rispetto alla Crotone di
Dionigi. Cautamente, possiamo ipotizzare che la vera Kroton di cui parlava Ellanico fosse in un contesto geografico
diverso da quello in cui la poneva Dionigi, e corrispondesse alla stessa città che Virgilio chiamava Corythus
(Tarquinia). D’altra parte, la posizione storicamente assunta da Tarquinia alle origini del popolo etrusco ben si
adatterebbe al ruolo che Ellanico affidava alla città da lui posta al centro del territorio dal quale si era irradiata la civiltà
etrusca. Il nome della terza Crotone, quella che Stefano non colloca in Etruria, ma genericamente in Italia, dovrebbe
invece corrispondere a quello della Crotone che nemmeno Dionigi collocava in Etruria, ma in Umbria, e che
identificava con Cortona. L’autentica Cortona (etr. Curtun) è, comunque, quella che lo stesso Stefano chiamava
Kyrtonios.
54
G. Colonna, in “Archeologia classica”, 1980, p. 8.
53
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
24
Pelasgi; e sembra addirittura esclusa da ogni possibile tradizione di emigrazione pelasgica
perché lo stesso Dionigi afferma che i Pelasgi abbandonarono poi tutte le città dell’Etruria,
eccetto proprio Cortona che, a suo dire, rimase pelasgica fino alla conquista Romana.
PARTE SECONDA
10) I TIRRENI, SCACCIATI DA LEMNO, SI RIFUGIANO IN LACONIA. I
Pelasgi, secondo Erodoto, ovvero i Pelasgi di origine etrusca, come specificano
Tucidide e Filocoro, quando furono espulsi da Atene andarono ad occupare altre
terre fra cui l’isola di Lemno dove a loro volta scacciarono i discendenti degli
Argonauti (vedi par.3).
Erodoto (V sec. a.C.) narra, poi, che
“i discendenti degli Argonauti, scacciati da Lemno ad opera di quei Pelasgi” 55 che a
Braurone avevano rapito le donne degli Ateniesi, si misero in mare recandosi a Sparta
(nella Laconia) […]. Dicevano di esser venuti nella terra dei loro padri”. Per
questo furono accolti, e “ben presto contrassero nuove nozze, e cedettero ad altri le donne
che avevano condotto con loro da Lemno […]. Senonché, con il tempo cominciarono a
diventare insolenti, a pretendere di aver parte nelle leggi del governo e a commettere altre
azioni contrarie alle leggi”. Furono, allora, condannati a morte; ma le loro mogli spartane,
avendo ottenuto dalle autorità di potersi recare a colloquio con i propri mariti,
scambiarono con questi i loro vestiti, e li fecero fuggire. Essi dapprima si rifugiarono sul
monte Tagete, poi la maggior parte di loro si diresse sulle regioni montane della Trifilia e
nella Cauconia, mentre una minoranza, sotto la guida di Tera, si recò nelle isole Cicladi a
colonizzare Callista, che assunse il nome di Tera.
Il loro condottiero, Tera, era uno spartano di origine straniera. Discendeva dal
fenicio Cadmo e da Armonia, sorella di Dardano capostipite dei Troiani. Egli nel partire
per le isole Cicladi “dichiarò di imbarcarsi verso un popolo della sua stessa stirpe” 56. A quel
tempo, nell’isola di Callista vivevano ancora altri presunti discendenti di Cadmo.
55
Apollonio Rodio (III sec. a.C.) chiamava, invece, Tirreni coloro che avevano espulso da Lemno i discendenti degli
Argonauti. Questi ultimi sarebbero giunti supplici a Sparta da dove più tardi ripartirono, guidati da Tera, per l’isola di
Callista (Arg. 4, 1759-1764).
56
Erodoto, op. cit., 4, 145-148.
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
25
Molti secoli dopo che Erodoto ebbe prodotto questo racconto, Polieno (II sec. d.C.),
riferì la medesima vicenda, ma la attribuì erroneamente agli stessi Tirreni scacciati da
Lemno. Egli disse:
“Dopo che i Tirreni, abitanti nelle contrade di Lemno e di Imbro, furono cacciati
dagli Ateniesi, presero terra a Tenaro (nella Laconia), ed andarono in aiuto degli Spartani
che facevano guerra agli Iloti. Divenuti dunque cittadini di Sparta, ed ammogliatisi con le
donne del luogo, non vollero tuttavia prendere parte al governo e alle assemblee della città,
perciò divennero sospetti di ribellione e furono imprigionati. Le loro mogli ottennero però
dai guardiani delle prigioni la grazia speciale di aver tutto il tempo di vedere i propri mariti
e di darsi con loro ad onesto piacere. Ma quando furono entrate, subito cambiarono gli
abiti con quelli dei mariti i quali, con il favore della notte, uscirono nascostamente vestiti
da donna […]. Essi, occupato il monte Tagete, istigarono gli Iloti alla rivolta contro gli
Spartani i quali, impauriti, inviarono gli ambasciatori per far la pace; e, dopo essersi
rappacificati, resero loro le mogli, aggiunsero navi e denaro, e li confermarono come propri
coloni” (Stratagemmi, 7).
Noi sappiamo che i Pelasgi o Tirreni abbandonarono Lemno nel 501 a.C.. Dunque,
Polieno, che scriveva 700 anni dopo l’evento storico, lo proiettò indietro fino all’XI-X sec.
a.C., ed attribuì arbitrariamente ai Tirreni di Lemno le stesse avventure che la tradizione
aveva attribuita ai discendenti degli Argonauti.
11) I TIRRENI, SCACCIATI ANCHE DALLA LACONIA, COLONIZZANO CRETA
SOTTO LA GUIDA DI POLIS DETTO DELFO. Omero, nell’Odissea, a proposito degli
abitanti di Creta, diceva: “Ci sono gli Achei, gli Eterocretesi magnanimi, i Cidoni, i Dori e i
gloriosi Pelasgi”57.
Androne di Alicarnasso (IV sec. a.C.) raccontava che “Tectamo figlio di Doro,
figlio di Elleno, partito dal paese della Tessaglia, che allora si chiamava Doride, adesso
Isteotide, venne nell’isola di Creta assieme ai Dori, agli Achei e a quei Pelasgi che non
erano partiti per l’Etruria”58.
Anche Dionigi di Alicarnasso disse che alcuni Pelasgi, in epoca mitica, scacciati dalla
Tessaglia, colonizzarono Creta, mentre altri si impossessarono delle Isole Cicladi, ed altri
ancora vennero in Etruria59.
57
Omero, Od., 19, 175-177.
Stefano Bizantino, op. cit., s. v. Doron.
59
Dion. di Alic., op. cit., 18-21.
58
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
26
Secondo Diodoro Siculo (II sec. a.C.), molto tempo prima che Minasse e Radamante
riunissero i vari popoli di Creta in una unica nazione, “Tectamo, figlio di Doro, figlio
di Elleno, figlio di Deucalione navigò verso Creta con Eoli e Pelasgi, e divenne re
dell’isola […]. Poi, gli Argivi e i Lacedemoni, dopo il ritorno degli Eraclidi (cioè nell’XI-X
sec. a.C.), inviarono colonie che si stabilirono su altre isole e, nello stesso tempo, si
impossessarono di Creta dove fondarono alcune città”60.
Come si vede, una tradizione, risalente ad epoca omerica (VIII sec. a.C.) raccontava
di Pelasgi che dalla Tessaglia avevano emigrato a Creta. Più tardi si dirà pure che in
precedenza una parte dei Tessali era venuta in Etruria.
Ma già dalla prima metà IV sec. a.C., Eforo (400-340 a.C.) testimoniava l’esistenza
di una tradizione secondo cui gli Eraclidi (1047 a.C.)61 consegnarono ad un certo Filonomo
la città di Amicla, nella Laconia, e gli permisero di condurvi gente straniera. Dalla Laconia,
poi, Altemene avrebbe condotto alcuni Dori a colonizzare l’isola di Creta62.
Alcuni secoli dopo, Conone (36 a.C. – 17 d.C.) e Plutarco (I sec. d.C.) attribuiranno,
invece, con molto arbitrio, l’evento ai Tirreni. Dice Conone:
“Il lacedemone Filonomo, per aver consegnato a tradimento Sparta ai Doriesi, ne
ebbe in premio la città di Amicla dove condusse abitatori da Imbro e da Lemno. Poiché
questi, durante la terza generazione, si sollevarono contro i Dori, furono scacciati da
Amicla. Allora, dopo aver aggregato molti Spartani navigarono verso Creta guidati da Polis
e Delfo* […]. Impadronitisi, senza nessuna opposizione, della città di Gortina, si
stabilirono insieme ai vicini Cretesi”.
*(Delfo era il nome portato dai sacerdoti addetti all’oracolo di Apollo Delfico. In delfino (gr.
delphis) si era mutato Apollo per condurre i marinai cretesi da Cnosso a Crisa: 3° Inno
Omerico, Ad Apollo).
“Altemene, durante la terza generazione degli Eraclidi dopo Temene (cioè nell’XI-X
sec. a.C.), era in discordia con i fratelli. Poiché era il più giovane, partì dal Peloponneso con
un esercito di Doriesi ed alcuni dei Pelasgi. Allora, anche gli Ateniesi inviarono una colonia
sotto il comando di Neleo discendente di Codro. Similmente i Lacedemoni spedirono il
60
Diodoro Sic., op. cit., 4, 60; 5, 80.
Per la data del 1047 a.C., vedi F. Lasserre, Strabon, Geographie, t. 7 (libro 10), p. 141.
62
In Strabone, op. cit., 8, 4; 5; 10, 15.
61
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27
popoli di Filonemo ad abitare altrove sotto la guida di Delfo che si chiamava anche Polis”
(Narraz. 36, 47).
Plutarco aggiunge che
quei “Tirreni che, al tempo in cui abitavano a Lemno e ad Imbro, avevano rapito le
figlie e le mogli degli Ateniesi a Braurone, furono cacciati anche da lì ed andarono in
Laconia dove si unirono con le donne del luogo fino alla nascita dei figli. Ma, sospettati ed
odiati, furono costretti ad abbandonare la Laconia da dove andarono a Creta sotto la guida
di Pollis e Delfo” (Actia greca, 21).
Come si vede, i racconti di Conone, Plutarco e Polieno portarono indietro fino al
tempo degli Eraclidi (XI-X sec. a.C.) la reale uscita dei Tirreni dalle isole di Imbro e Lemno
storicamente avvenuta nel 501 a.C..
12) LA DATA STORICA DELLA CACCIATA DEI TIRRENI DA LEMNO. Noi
sappiamo da Erodoto che quando, nel 501 o nel 502 a.C., l’Ateniese Milziade, figlio di
Cimone, “impose ai Pelasgi di sgombrare dall’isola […], gli abitanti di Ephestia si
rassegnarono; invece, quelli di Myrina […] furono assediati finché anch’essi dovettero
cedere” (6, 140).
Da Diodoro Siculo apprendiamo, inoltre, che “i Tirreni, che avevano abbandonato
Lemno per paura dei Persiani, dicevano di averlo fatto a motivo di certi oracoli. Questo fu
fatto da Ermone capo dei Tirreni” (9, 19, 6).
Evidentemente Ermone e i suoi Tirreni, dei quali parla Diodoro, corrispondono ai
rassegnati Pelasgi di Ephestia, di cui narra Erodoto.
Ma nessuno dei due storici dice dove questi Pelasgi o Tirreni furono trasferiti.
In altra occasione, tuttavia, Erodoto, accenna a certi Tirreni che abitavano nella
Penisola Calcidica (1, 57); e Tucidide specifica che, nella seconda metà del quinto secolo
avanti Cristo, quando egli scriveva, la penisola Calcidica era abitata da varie genti fra cui i
Crestonesi e da gente barbara bilingue, “soprattutto Pelasgi discendenti di quei Tirreni che
abitarono Lemno ed Atene” (4, 109).
È verosimile che coloro che si trasferirono nella penisola Calcidica siano quei Tirreni
rassegnati della città di Ephestia, che il loro capo Ermone aveva spontaneamente
consegnato agli Ateniesi, mentre quelli della città i Myrina, che era stata presa dopo un
lungo assedio, e quelli dell’isola di Imbro, siano andati dispersi in cerca di una difficile
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
28
sistemazione. I fantasiosi racconti del loro trasferimento nella Laconia, da dove sarebbero
ripartiti alla volta di Creta dovrebbero essere significativi di quella situazione perigliosa. In
queste narrazioni, però, come abbiamo visto, i fatti dei Tirreni espulsi da Lemno furono
indebitamente proiettati in epoca mitica, e confusi con i seguenti avvenimenti leggendari.
a) Gli eventi di quei Pelasgi che erano andati a colonizzare Creta in epoca anteriore a
Minosse (Androne di Alicarnasso).
b) Le avventure dei discendenti degli Argonauti che prima si erano recati nella
Laconia, e poi erano andati a colonizzare l’isola di Tera (Erodoto). (Il ruolo assunto
dagli Argonauti, in altre leggende, nei riguardi di Lemno e dei Tirreni favoriva la
confusione).
c) La migrazione di “Altemene che, durante la terza generazione degli Eraclidi dopo
Temene […] partì dal Peloponneso con un esercito di Doriesi ed alcuni dei Pelasgi”
(Conone). In quella stessa occasione, secondo il medesimo Conone, gli abitanti di
Imbro e di Lemno si recarono dalla Laconia all’isola di Creta sotto la guida di Polis
detto anche Delfo (o di Polis e Delfo).
Alcuni ritengono che fonte di Conone (36 a.C. – 17 d.C.) sia stata Eforo (400-340
a.C.) perché citato da Strabone (8, 4; 5; 10, 15) sia in merito al popolamento di
Amiclea che alla colonizzazione di Creta da parte degli Spartani. Ma in nessuno dei
due casi, Eforo, che scriveva nella prima metà del IV sec. a.C., parla dei Tirreni di
Lemno.
La loro presenza nella Laconia dell’XI sec. a.C. e nell’isola di Creta del X sec. a.C.
sarà inserita da Conone (36 a.C. – 17 d.C.), Plutarco (I sec. d.C.) e Polieno (II sec.
d.C.) che scrissero quattro secoli dopo di lui.
È ovvio che una tarda elaborazione aveva proiettato indietro fino alle vicende degli
Eraclidi dell’XI e del X sec. a.C. le vicissitudini dei Tirreni scacciati da Lemno, e le
aveva inserite e confuse nelle vicende dei leggendari discendenti degli Argonauti e
dei colonizzatori di Creta; sicché, mentre il trasferimento degli abitanti di Ephestia
dall’isola di Lemno alla penisola Calcidica appare come un fatto storicamente certo,
la storicità delle migrazioni dei Tirreni da Lemno alla Laconia e a Creta è infondata.
Ciò, però, non vuol dire che quegli indebiti racconti di mitiche migrazioni tirrene
non possano riflettere il fatto che, in epoca storica, alcuni profughi da Lemno, come
gli indomiti abitanti della città di Myrina, fossero andati veramente peregrinando in
cerca di una difficile sistemazione.
Polis e Delfo potrebbero essere, allora, i nomi di due personaggi di epoca mitica,
confusi e inseriti nelle vicende dei Tirreni o Pelasgi scacciati da Lemno nel 501 a.C.;
Alberto Palmucci
Tarquinia e i Tirreni del Mar Egeo
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ma potrebbero essere anche i nomi, proiettati in epoca mitica, di due reali
condottieri che durante il V sec. a.C. cercarono una nuova patria per i Tirreni
profughi da Myrina.
13) I PELASGI DI IMBRO E DI LEMNO EMIGRANO IN ETRURIA. La
cacciata degli abitanti di Imbro e di Lemno, storicamente accaduta attorno al 501
a.C., fu dunque mitizzata e proiettata indietro fino al tempo del ritorno nel
Peloponneso degli Eraclidi (XI sec. a.C.) e delle generazioni successive (X sec. a.C.).
In quella stessa epoca mitica, secondo quanto racconta stradone (I sec. d.C.),
<<Ati, uno dei discendenti di Eracle e di Onfale, in seguito a una carestia […], riunì
sotto il figlio Tirreno la maggior parte della popolazione, e la mandò a vivere altrove;
Tirreno, una volta giunto in questi luoghi, chiamò Tirrenia il paese, dal proprio
nome, e fondò dodici città, assegnando loro come ecista Tarconte, dal quale prende
nome la città di Tarquinia […]. Anticlide diceva che i Pelasgi per primi
colonizzarono Lemno ed Imbro, e che alcuni di loro si unirono a Tirreno, figlio di
Ati, e presero parte con lui alla spedizione in Italia>> (5, 2,2; 2,4).
Che pure Anticlide e Strabone, come Conone, Plutarco e Polieno, abbiano
retrodatato in epoca mitica la reale uscita degli abitanti di Imbro e Lemno avvenuta
nel V sec. a.C., e l’abbiano indebitamente accorpata alla leggendaria migrazione in
Etruria dei Tirreni della Lidia? O che, nel V sec. a.C., una migrazione di Lemni in
Etruria sia effettivamente avvenuta? Quando Anticlide scriveva (III sec. a.C.), erano
passati più di due secoli dalla reale uscita degli abitanti di quelle isole: il tempo
sufficiente alla mitizzazione degli avvenimenti.
14) POLIS E I PULENA DI TARQUINIA. Nell’albero genealogico che Laris
Pulenas (III sec. a.C.) srotola fra le mani della statua del proprio sarcofago, è scritto:
Laris Pulenas Larces clan Larthal papacs Velthurus nefts prumts Pules
Larisal Creices.
Laris Pulena, figlio di Larce, fratello di Larth, nipote di Velthur, discendente di
Laris Pule, detto Il Greco.
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An cn zich nethstrac acasce. Creals Tarchnalth spurem lucairce
Egli questo libro di arupiscina scrisse. Nella città di Tarquinia fu cittadino
lucumone63.
Si diceva che in epoca antica imprecisata ci fosse stato un indovino greco di nome
Polles, detto anche Polletes. Durante il tardo impero, ci sarebbe stato un altro Polles
che scrisse un Trattato di mantica etrusca (R.E. 21, 2, col. 1411).
Ora, Heurgon ha voluto attribuire al primo il Trattato scritto dal secondo; e ne ha
conseguito che i Pulena di Tarquinia avessero ritenuto di essere discendenti del
primo e di averne ereditato l’arte64. Il nome di Pule, bisnonno di Laris Pulena,
sarebbe stato la traslitterazione etrusca di quello di Polles/Polletes, Laris Pulena
visse nel IV sec. a.C.; le fonti antiche, invece, attribuiscono il Trattato a Polles
vissuto nel tardo impero.
Noi sappiamo che si diceva che Polis o Pollis era la forma greca del nome del duce
tirreno che, in epoca mitica, guidò la leggendaria migrazione a Creta dei Tirreni di
Lemno. Sappiamo pure che si diceva che i Tirreni di Atene e delle isole di Lemno e
di Imbro provenissero proprio da Regisvilla, il porto sulla spiaggia fra Tarquinia e
Vulci. Potremmo, dunque, a maggior ragione, ipotizzare che i Pulena di Tarquinia
pretendessero che il mitico Polis fosse stato un loro antenato.
15) TARQUINIA E LEMNO. Abbiamo visto in precedenza che coloro che si diceva
che avessero seguito Polis e Delfo erano verosimilmente gli abitanti di Imbro e quelli
di Marina. Il nome di questa città, nella lingua di Lemno, si diceva Morina, come si
evince dal testo della Stele di Kaminia. Ambedue le forme sono simili al gentilizio
etrusco Murina che si ritrova a Tarquinia, nel Tarquiniese e a Chiusi. Nel passaggio
di parole dal Greco all’Etrusco, sia la “o” che la “y” diventano normalmente “u”.
Myrina era anche il nome della moglie di Dardano, capostipite dei Troiani65.
Quest’ultimo a sua volta, nella tradizione virgiliana, era figlio di Corito, re della
omonima città etrusca (oggi Tarquinia).
Anche il nome dell’isola di Lemno (gr. Lemnos, lat. Lemnus) è simile all’onomastico
etrusco Lemni presente soprattutto a Tarquinia e nel Tarquiniese. Nella forma latina
63
C.I.E., 5430; T.L.E., 131; Th L.E., p. 280.
J. Heurgon, “REL”, 35, 1957, p. 118 ; G. M. Facchetti, Lingua Etrusca, Roma, 2000, p. 64.
65
Scolio ad Omeo, Il., 2, 814; Tzetze, Commento a Licofrone, Alex., 243.
64
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Lemnius lo si ritrova, ancora in Etruria, sulla lastra sepolcrale di C. Domitius
Lemnius, a S. Miniato di Pisa66.
L’etrusca Isola d’Elba fu chiamata anche Etalia (gr. Aithalia = nera per il fuoco),
nome con il quale fu chiamata anche Lemno67. I Pitagorici ritenevano che nel loro
maestro si fosse reincarnata l’anima di Etalide (gr. Aithalides = annerito dal
fumo)68. Questi, secondo Apollonio Rodio, era un argonauta di quelli che erano
andati ad abitare a Lemno prima che vi giungessero i Tirreni scacciati da Atene 69.
Ma Etalide o Etalio era anche il nome di uno dei marinai etruschi che Dioniso aveva
trasformato in delfini70.
Che alcuni abitanti di Lemno e di Imbro siano effettivamente emigrati in Etruria
come voleva la tradizione? Il Lopez Pegna lo pensava, e riteneva che i Tirreni di
Lemno, in epoca antichissima, fossero emigrati nel territorio di Tarquinia attratti
dai giacimenti di ferro dei Monti di Tolfa71. Noi non rigettiamo la possibilità di mitici
antichi scambievoli contatti fra i Tirreni d’Italia e quelli di Lemno, ma intendiamo
evidenziare quel che, dietro le mitizzazioni potrebbe essere accaduto in epoca
storica. Abbiamo visto che il trasferimento dei Tirreni di Lemno nella penisola
Calcidica appare come un fatto storicamente probabile, mentre la migrazione dei
Tirreni dalla Laconia a Creta, condotta da Polis, è infondata. I Tirreni o Pelasgi di
Lemno, soprattutto quelli di Myrina, potrebbero, allora, esser venuti in Etruria
(come voleva Anticlide) donde si diceva che un tempo fossero partiti. Alcuni
potrebbero aver preso dimora a Tarquinia e a Chiusi; altri potrebbero aver raggiunto
l’Isola d’Elba ed averla denominata Aitalia, come l’isola di Lemno.
66
Tarquinii, C.I.E. 5447 (vel athies velthurus lemnisa celati cesu = Vel Athies figlio di Velthur e di Lemnia nella
tomba giace); Toscana, C.I.E., 5692 (lemni thana); Ferentium, C.I.E., 5643 (petrus veltur lemnitru = Petru Velthur
originario di Lemno?). Vedi pure Felsina, N.R.I.E. 113> M.A.L. 20, c. 385 (Lemnitis); C.I.L., 11, 1753.
67
Polibio, in Stefano Bizantino, s.v. Aithalé, Tito Livio, Storia di Roma, 32, 13. Anche l’isola di Chio era chiamata
Aithalia.
68
Lo scoliasta di Apollonio Rodio (Arg., v. 646) cita Ferecide (di Siro?) come fonte diretta della notizia; vedi pure
Eraclide Pontico, fr. 89, Wehrli.
69
Apollonio Rodio, Arg., 1, 54; 640 sgg.; Scolio ad loc. (5, 645); Igino, Miti, 14; Porfirio, Vita di Pitagora, 45.
70
Igino, Miti, 134; Ovidio, Met., 3, 647.
71
M. Lopez Pegna, Storia del popolo etrusco, Firenze, 1959, pp. 159-162.
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