Malattie della milza

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CAPITOLO 55
Giovanna Graziadei
Giovanni Gromo
Nei capitoli precedenti si sono osservate numerose malattie che comportano la presenza di splenomegalia.
Scopo di questo capitolo invece è di riassumere, classificandole, le cause di splenomegalia e di trattare nel
dettaglio le “malattie della milza” che ancora non sono
state affrontate. A questo proposito si è creduto opportuno dedicare la parte introduttiva alla fisiologia della
milza, per passare poi al concetto di ipersplenismo e alla
splenomegalia in quanto tale.
Fisiologia e fisiopatologia
La milza, delimitata da una capsula connettivale grigiastra,
sottile e lucente, attraverso la quale traspare il parenchima rosso scuro, normalmente nell’adulto pesa 120-200 g
e misura 8-12 cm di lunghezza, 4,5-7 cm in larghezza e
3 cm in spessore.
Una milza di lunghezza superiore ai 14 cm è sicuramente palpabile. Il 10% dei soggetti presenta una milza
accessoria.
La milza è costituita dalla polpa rossa, che svolge la
funzione di filtro, e dalla polpa bianca, cui si attribuisce funzione immunitaria nei confronti degli antigeni
corpuscolati o solubili, che la raggiungono attraverso il
flusso ematico.
Numerose e assai complesse sono le funzioni della
milza.
Funzioni di filtrazione
Il fitto reticoli di cordoni splenici della polpa rossa, l’elevata concentrazione di macrofagi e la barriera virtuale costituita dalla pareti dei seni concorrono al rallentamento del
flusso ematico, agevolando un prolungato contatto degli
elementi cellulari con il parenchima splenico. Le arterie
della polpa bianca contengono solo plasma e antigeni
solubili, che sono trasportati nella zona di prevalente
densità linfocitaria.
Funzioni di sequestro,
fagocitosi e riserva (pooling)
Il sequestro è un processo nel corso del quale le cellule
circolanti nel sangue vengono trattenute momentaneamente nella milza prima di fare ritorno in circolo.
La fagocitosi costituisce la captazione di inclusi cellulari
e di cellule denaturate, invecchiate o deformate (per
esempio, da un sequestro prolungato a causa dell’adesione di anticorpi sulla loro membrana, per opsonizzazione), di batteri, di agenti estranei da parte dei macrofagi, e la rimozione di immunocomplessi. La riserva
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Malattie
della milza
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(pooling) è la presenza nella milza normale di una quota di elementi del sangue in continuo scambio con il
circolo. Negli animali rappresenta una valida riserva di
globuli rossi (GR), ma nell’uomo questa attività è trascurabile, poiché l’organo non contiene più di 20-60 mL di
GR. Tuttavia, milze aumentate di volume sono in grado
di sviluppare grosse riserve, con ematocrito elevato e
una riduzione nella percentuale di scambio di GR con
il sangue circolante.
Nelle persone sane esiste una buona correlazione tra quantità di sangue nella milza e sue dimensioni. Nei disordini
mieloproliferativi circa il 20% del volume ematico totale
può trovarsi nella milza.
Una riserva aumentata la si può avere anche in alcune patologie linfoproliferative (per esempio, leucemia a cellule capellute – hairy cell leukemia – e leucemia prolinfocitica). Nella maggior parte dei linfomi,
viceversa, la “riserva” non è aumentata in proporzione
alle abnormi dimensioni della milza, dato che esiste
anche un’espansione della componente linfoide con
sostituzione dei sinusoidi da parte del tessuto neoplastico.
Le piastrine hanno una riserva assai importante nella
milza anche in condizioni normali (20-35% del pool
circolante).
Per quanto riguarda, invece, i granulociti, non è dimostrabile la presenza di una loro riserva nella milza in
condizioni fisiologiche. È stato invece trovato un pool
marginale abnorme in alcuni casi di splenomegalia associata a neutropenia.
Funzioni di deposito
Il sistema splenico reticolo-istiocitario è in grado di sequestrare numerose sostanze, prodotti di degradazione
cellulare, macromolecole (gangliosidi, sfingomieline ecc.),
pigmenti emosiderinici. In caso di eccessivo accumulo di
queste sostanze in concomitanza di patologie congenite
(malattie di Gaucher, di Fabry, di Niemann-Pick, di Cooley), si assiste al fenomeno della tesaurizzazione, che
porterà a splenomegalia.
Funzioni immunologiche
La milza è sicuramente interessata nell’anticorpopoiesi e
nella generazione di “linfociti memoria”, nella maturazione delle cellule T suppressor e nel controllo dell’autoimmunità, ma il suo livello di coinvolgimento sembra essere
diverso a seconda del tipo di antigene, della sede di inoculo e della quantità somministrata. La milza, d’altra parte,
non sembra fondamentale nella produzione anticorpale,
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dal momento che questa è presente anche nell’individuo
splenectomizzato. Tuttavia, in queste circostanze, si nota
un ritardo nella comparsa degli anticorpi e una riduzione
del loro titolo.
I microrganismi o altri antigeni che trovano la strada per
giungere alla milza vi vengono degradati ed elaborati
dai macrofagi e presentati in forma adatta alle cellule
immunocompetenti nel tessuto linfatico. Questo stimola
la produzione di anticorpi e l’incremento dei centri germinativi della milza.
Una seconda stimolazione antigenica evoca poi una
risposta anticorpale, soprattutto di tipo IgG. Oltre che
nell’induzione della risposta immunitaria, la milza ha
un ruolo molto importante come organo effettore per
l’eliminazione di microrganismi o cellule circolanti
(anche autologhe) che sono stati il bersaglio di una
reazione immunitaria. Infatti, le cellule fagocitiche
della milza sono dotate di una struttura di superficie
(cosiddetto recettore), che è geometricamente complementare della regione Fc delle IgG. Quando giungono
nella milza microrganismi o cellule circolanti ricoperti
da anticorpi della classe IgG (ossia “sensibilizzati”), la
regione Fc di queste molecole (che resta esposta alla
superficie cellulare) interagisce con il recettore dei
macrofagi splenici e ne facilita la fagocitosi. Questo
processo è particolarmente importante nel caso esista
autoimmunità nei riguardi di GR, globuli bianchi o
piastrine. Per fare un esempio, nell’anemia emolitica
autoimmune da anticorpi incompleti caldi, i GR sensibilizzati con IgG in circolo, di regola, non agglutinano,
ma una volta giunti nella milza trovano un microambiente sfavorevole, che provoca il loro sequestro e la
loro distruzione (si veda il paragrafo Anemie immunoemolitiche, Capitolo 48).
In realtà, le cellule coperte di anticorpi perdono parti
della loro membrana non appena entrano in contatto
con i macrofagi. Ciò determina, a ogni passaggio per
i sinusoidi, una progressiva riduzione dell’elasticità e
della fl essibilità, fi no a quando le cellule diventano
troppo rigide per attraversare i pori endoteliali e rimangono intrappolate nella milza. Questo fenomeno
è influenzato da due fattori; da un lato la prolungata
sollecitazione della fagocitosi determina un incremento
del numero dei fagociti nelle travate spleniche (e perciò
un aumento dell’attività litica), dall’altro le emazie
danneggiate tendono a ingorgare le cellule del sistema
reticolo-endoteliale (e quindi a ridurre la lisi, almeno
temporaneamente).
Funzioni ematopoietiche
Nel feto (2-6 mesi, talvolta a termine) vi è un’emopoiesi
attiva epatica ma anche, se pur di grado inferiore, nella polpa rossa splenica. Tuttavia, le potenzialità in tal
senso permangono anche nella vita extrauterina e in
particolari situazioni (per esempio, talassemia, anemia
emolitica cronica) si può verificare un’emopoiesi extramidollare compensatoria. Questa deve essere distinta
dalla metaplasia mieloide, che si verifica nella milza in
caso di mielofibrosi e occasionalmente in pazienti con
leucemia o mieloftisi. Si tratta infatti, in questi ultimi
casi, di una proliferazione patologica di tessuto emopoietico e non solo di eritropoiesi compensatoria. Non
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è chiaro però se si tratti della medesima stem cell o di
linee cellulari differenti.
È noto dalla letteratura, però, che l’irradiazione della milza provoca leucopenia molto più rapidamente che dosi
equivalenti di raggi su altri organi, fenomeno dovuto, si
pensa, alla distruzione di precursori mieloidi splenici. Da
ciò deriva il razionale della radioterapia in sede splenica
in corso di patologia mieloproliferativa.
La milza contiene una grande quantità di tessuto linfoide, ma non costituisce un sito primario di linfopoiesi;
infatti, gran parte dei linfociti della polpa bianca splenica
è di provenienza midollare e timica. Tuttavia, i centri
germinativi della milza possono rispondere agli stimoli
antigenici, come si è visto, con una proliferazione linfocitaria.
Studi sperimentali hanno dimostrato l’esistenza di unità
formanti colonie spleniche (CFU-S, Colony Forming Unit
Spleen) nella milza, così come nel midollo.
Funzioni di controllo
del volume plasmatico
In genere, una dilatazione del distretto vascolare splenico comporta un’espansione del volume
plasmatico tale da mantenere invariata la quantità di
sangue contenuta nella milza. Questo incremento del
volume plasmatico non è accompagnato di norma da
un parallelo incremento della massa degli eritrociti,
che finiscono per essere sottratti dalla circolazione
extrasplenica per concentrarsi nella milza (si ricordi
che nella milza il rapporto GR/plasma tende sempre a
essere elevato). La conseguenza è un’anemia apparente,
da “diluizione”.
I meccanismi che determinano l’incremento del volume
plasmatico in corso di splenomegalia non sono ben noti.
In condizioni fisiologiche la massa eritrocitaria si mantiene costante, ma il volume plasmatico tende a presentare
piccole variazioni che, di fatto, sono continuamente corrette allo scopo di mantenere invariato il volume ematico
circolante.
È verosimile che questi stessi meccanismi siano operativi, ma su scala maggiore, quando una splenomegalia sottrae plasma ai distretti circolatori extrasplenici,
e quindi fa in modo che venga percepito un segnale di
volume plasmatico diminuito. Il fattore primitivo, in
molti casi, è l’espansione del letto vascolare splenico per
una condizione patologica insita nella milza (disordini
mieloproliferativi) o per una congestione passiva in corso
di ipertensione portale.
Un altro fattore può essere rappresentato dall’ipoalbuminemia con iper-␥-globulinemia e diminuzione della
pressione oncotica delle proteine del plasma, come si
verifica nella cirrosi epatica . In questo caso il volume plasmatico tenderebbe a diminuire per fuoriuscita
di acqua ed elettroliti verso lo spazio extravascolare;
questo fatto innesca un meccanismo di compenso e
la quantità di plasma supplementare prodotta a tal
fine si distribuisce nella milza più che altrove. Pertanto, nelle sindromi mieloproliferative le variazioni del
volume plasmatico sono direttamente proporzionali
all’entità della splenomegalia, mentre così non è nella
cirrosi (nella quale ha importanza anche il grado della
disprotidemia).
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Capitolo 55 - MALATTIE DELLA MILZA
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Ipersplenismo
Per ipersplenismo si intende una condizione clinica ed
ematologica caratterizzata da:
• anemia, neutropenia, piastrinopenia (isolate
o variamente combinate tra loro);
• midollo osseo normale o iperplastico per quanto
riguarda i precursori della linea deficitaria;
• splenomegalia;
• presenza di incrementato turnover della linea
cellulare interessata, con comparsa di precursori
ematici in fase di maturazione nel sangue periferico;
• miglioramento della crasi ematica dopo
splenectomia.
L’ipersplenismo viene comunemente classificato come
primario, secondario o occulto.
Nella maggior parte dei casi è secondario a splenomegalia congestizia cronica con ipertensione portale, ma può
anche comparire in corso di processi infiammatori acuti
e cronici, tesaurismosi, neoplasie, in particolare linfomi,
ipertiroidismo, orticaria pigmentosa e durante trattamento dialitico (Tab. 55.1). Solo di rado non è possibile risalire
alla causa responsabile dell’ipersplenismo e queste forme
si definiscono primarie o idiopatiche.
L’ipersplenismo cosiddetto occulto costituisce una variante clinica in cui il deficit periferico è transitoriamente
mascherato dall’attività compensatoria midollare; si rende
evidente quando eventi concomitanti inducono depressione della funzione midollare.
Eziopatogenesi
Il termine ipersplenismo fu introdotto nel 1907 da Chauffard, ma già nel 1880 questo concetto era stato sviluppato
da Banti. Per molti anni si è dibattuto circa il meccanismo
responsabile dell’ipersplenismo. Alcuni autori sostenevano che la milza provocasse pancitopenia distruggendo le
cellule con un ritmo tale da non consentire al midollo,
se pur funzionante in modo regolare, di compensarla.
Altri ritenevano che l’ipersplenismo fosse il risultato di
un’inibizione della funzionalità midollare a opera di fattori liberati in circolo dalla milza.
Nonostante ancora molto resti da capire sulla milza e il
suo funzionamento, oggi si è potuto accertare con ragionevole sicurezza che: (1) una milza di volume aumentato
può sequestrare un gran numero di GR, globuli bianchi
e piastrine; (2) questi possono essere danneggiati o distrutti; (3) il volume totale plasmatico può aumentare
in concomitanza di splenomegalia e perciò si ha una
pseudoanemia.
Sembra viceversa ormai abbandonata l’ipotesi che la milza
produca fattori ormonali o umorali capaci di inibire la
dismissione o la maturazione delle cellule emopoietiche
midollari.
Tuttavia, se la splenomegalia è il punto caratterizzante
l’ipersplenismo, è necessario ricordare che non tutte le
milze aumentate di volume causano ipersplenismo e che,
al contrario, è possibile riscontrare segni di ipersplenismo
con milza nei limiti.
Si può avere ipersplenismo quando si verifica un rallentamento del flusso ematico attraverso i cordi splenici mediante: (1) aumento della pressione venosa e stasi ematica
nella polpa rossa splenica; (2) infiltrazione della polpa
rossa con proliferazione di istiociti e macrofagi; (3) infiltrazione reattiva, infiammatoria e neoplastica.
Dunque è possibile assistere a due meccanismi patogenetici; da una parte, incrementate captazione e distruzione di
elementi ematici anomali in presenza di normale tessuto
splenico (per esempio, sferocitosi, anemie emolitiche
autoimmuni, porpora trombocitopenia idiopatica, sindrome di Felty, oppure splenomegalia fibrocongestizia,
secondaria a ipertensione portale); dall’altra, alterazione
della polpa rossa splenica con cellule ematiche normali.
L’anemia è dunque principalmente dovuta a sequestro e/o
distruzione degli eritrociti nella milza. La sopravvivenza
eritrocitaria è sempre ridotta. Quando la splenomegalia
è molto cospicua, l’anemia di fatto è solo apparente, dal
momento che la massa eritrocitaria è normale anche se
un’elevata percentuale di eritrociti (si arriva al 40%) è
intrappolata nella milza.
Come ricordato poco sopra, l’anemia può essere accentuata dall’aumento della massa plasmatica (si arriva a
100 mL/kg).
La leucopenia che si associa di frequente a splenomegalia
sembra attribuibile soprattutto ad aumentata distruzione
e solo di rado a sequestro splenico.
Al contrario, la trombocitopenia è dovuta soprattutto a
incremento del sequestro splenico. Infatti, in corso di
ipersplenismo il pool splenico può costituire il 50-90%
della massa piastrinica totale.
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Esami di laboratorio
Tabella 55.1 Cause principali di ipersplenismo
secondario
Splenomegalie congestizie
Infiammatorie (soprattutto croniche): tubercolosi, brucellosi,
malaria, istoplasmosi, leishmaniosi, sindrome di Felty
Neoplastiche: linfomi, leucemie, mielofibrosi, mastocitosi
Tesaurismosi: malattia di Gaucher, malattia di Niemann-Pick
Altre: amiloidosi, talassemia, ipertiroidismo
Dialisi
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L’anemia è normocromica normocitica, talora accompagnata da aniso-poichilocitosi, più raramente da
reticolocitosi, ittero e iperbilirubinemia indiretta. Il
numero dei leucociti è ridotto generalmente meno di
quanto lo sia il numero di GR e di piastrine; i neutrofili
sono di solito diminuiti in modo particolare. Valori
comuni per la conta dei leucociti totali sono intorno a
3-4 × 109/L e per i neutrofili intorno a 1-2 × 109/L. Il midollo osseo è normocellulare o ipercellulare e presenta
un discreto aumento numerico dei precursori di quegli
elementi che vengono distrutti in circolo, soprattutto
di megacariociti.
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Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Splenomegalia
Si può tranquillamente affermare che le cause di splenomegalia interessano tutti i tipi di malattie dalle quali l’uomo è affetto (infettive, metaboliche, circolatorie, endocrine e neoplastiche, come pure una patologia puramente
meccanica) (Tab. 55.2).
È comunque difficile stabilire con che frequenza queste
affezioni provochino splenomegalia, dal momento che ci
sono enormi variazioni in funzione delle diverse condizioni
socioeconomiche e geografiche. In alcune nazioni la patologia che più facilmente si associa a splenomegalia è rappresentata dalle emoglobinopatie. Si può tuttavia constatare
come, globalmente, l’incidenza delle cause ematologiche sia
di gran lunga inferiore rispetto a quelle di origine infettiva
(in particolare malaria, schistosomiasi e leishmaniosi).
Tabella 55.2 Cause di splenomegalia
Splenomegalia infiammatoria
Acute e subacute: ascessi splenici, sepsi generalizzate,
mononucleosi infettiva, endocardite batterica subacuta
Croniche: tubercolosi, sifilide, sindrome di Felty, artrite
reumatoide, malaria, leishmaniosi, tripanosomiasi, istoplasmosi,
schistosomiasi, echinococcosi, sarcoidosi, berilliosi
Splenomegalia fibrocongestizia da ipertensione portale
Cirrosi epatica
Trombosi, stenosi, trasformazione cavernosa della vena porta
Trombosi o altre forme di ostruzione della vena splenica
Scompenso cardiaco (del cuore destro)
Splenomegalia iperplastica
Anemie emolitiche di vario tipo
Anemie croniche: anemia perniciosa e altre anemie
macrocitiche, talassemia, emoglobina C, varie combinazioni
di HbC, D, E, Lepore o HbS e talassemia, mielofibrosi, lupus
eritematoso sistemico
Porpore trombocitopeniche
Malattia di Graves-Basedow
Policitemia vera
Splenomegalia idiopatica non tropicale
Sindrome della grande milza
Splenomegalia infiltrativa
Malattia di Gaucher
Malattia di Niemann-Pick
Amiloidosi
Cisti e neoplasie
Cisti vere: epiteliali, endoteliali, da parassiti
Cisti false: emorragiche, sierose, degenerative, infiammatorie
Linfangiomi, emangiomi
Leucemie
Malattie mieloproliferative
Malattia di Hodgkin
Linfomi non Hodgkin
Istiocitosi X
Neoplasie metastatiche
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Si calcola che il volume della milza debba aumentare di circa
2-3 volte prima che il suo polo inferiore divenga palpabile.
Per questo motivo una radiografia dell’addome senza mezzo
di contrasto, una scintigrafia splenica o un’ecografia addominale si rivela spesso un metodo più attendibile della semplice semeiotica fisica (si veda oltre, Metodi di indagine).
L’entità della splenomegalia comunemente si esprime
in centimetri dal margine inferiore sinistro dell’arcata
costale.
SPLENOMEGALIE INFIAMMATORIE
Una splenomegalia infiammatoria acuta o subacuta si può
verificare in associazione con numerosi processi infettivi
e infiammatori come espressione di un incremento delle
“capacità di difesa” di questo organo.
La necessità di eliminare batteri, protozoi, cellule danneggiate può portare a un incremento del numero delle cellule reticolo-endoteliali spleniche e/o all’iperproduzione
di anticorpi con iperplasia linfoide.
Dal punto di vista anatomopatologico, la milza si presenta
macroscopicamente di volume aumentato, pesa 0,2-0,4 kg
ed è di consistenza molle. Al taglio la polpa rossa è mal
trattenuta e i corpuscoli malpighiani sono poco visibili. La
microscopia ottica dimostra una congestione acuta della
polpa rossa e follicoli linfatici iperplastici, con notevole
ingrandimento dei centri germinativi.
Di rado si riscontra la formazione di ascessi; infarti splenici settici si possono associare a un’endocardite infettiva. Una splenomegalia infiammatoria cronica si può
verificare in situazioni flogistiche croniche, in malattie
immunitarie e nelle parassitosi. La milza arriva talvolta
a pesare oltre 1 kg e aumenta di consistenza. Al taglio, la
polpa rossa è congesta e i corpuscoli malpighiani appaiono ben visibili.
La microscopica ottica dimostra l’iperplasia dei follicoli
linfatici con grossi centri reattivi e sinusoidi ripieni di macrofagi; la polpa bianca e quella rossa contengono inoltre
numerosi macrofagi, plasmacellule ed eosinofili.
Alcune cause più comuni di splenomegalia infiammatoria
sono qui di seguito discusse.
Sindrome di Felty
L’associazione di splenomegalia, leucopenia e artrite reumatoide costituisce nell’adulto la sindrome di Felty. L’artrite
reumatoide può essere in fase attiva già in precedenza, ovvero manifestarsi in concomitanza alla neutropenia e alla
splenomegalia. Ci sono poi altri reperti concomitanti, quali
pigmentazione cutanea abnorme, linfoadenopatia, noduli
sottocutanei, ulcerazioni della cute, episcleriti, vasculiti, sierositi. La leucopenia è di grado variabile come pure la trombocitopenia. In particolare si registra una diminuzione della
quota neutrofila e linfatica e un aumento di eosinofili e
monociti. Il midollo è ipercellulare con numerosi elementi
mieloidi; alcuni pazienti presentano un quadro di “arresto
maturativo” con assenza di neutrofili segmentati. Il grado
di attività della artrite reumatoide non sembra correlarsi
direttamente con la gravità del quadro ematologico.
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Capitolo 55 - MALATTIE DELLA MILZA
Nei pazienti affetti da artrite reumatoide, la splenomegalia è
presente in percentuali assai varie, dall’1 al 21%. Si avranno
altri titoli di fattore reumatoide, di autoanticorpi contro antigeni nucleari e ipocomplementemia (frazione C3 ridotta).
Rimane di difficile valutazione la causa della neutropenia. Le
opinioni prevalenti sono che i granulociti vengono ridotti
di numero per effetto di meccanismi immunologici. Inizialmente si pensava che i responsabili fossero autoanticorpi
diretti contro antigeni nucleari propri dei granulociti. Più
recentemente si è attribuita importanza all’azione di linfociti
T soppressori. Queste cellule sono fisiologicamente deputate
alla regolazione delle risposte immunitarie, ma hanno la
capacità di inibire la maturazione e la differenziazione anche
di stipiti cellulari non appartenenti al sistema immunocompetente, come nel caso dei precursori ematologici.
Nella sindrome di Felty, l’azione dei linfociti T soppressori,
non si sa da che cosa indotta, si eserciterebbe sui precursori dei granulociti.
Sifilide
La splenomegalia talvolta si verifica in associazione alla
sifilide, in particolare se congenita, come reazione infiammatoria interstiziale alla spirochetemia generalizzata.
Anche la sifilide terziaria comporta un incremento della
milza sia per formazione di lesioni tipiche (gomma luetica), sia per amiloidosi secondaria.
mediterranea, come pure quella infantile di Kala-azar. La
diagnosi si basa sulla dimostrazione del protozoo Leishmania donovani nel midollo e nella milza, in cui le cellule
fagocitarie appaiono ripiene di leishmanie.
Ci sono poi altre infezioni, quali la tripanosomiasi, l’istoplasmosi e la schistosomiasi, che possono provocare splenomegalia. In particolare la schistosomiasi può presentare,
per certi aspetti, alcune difficoltà di diagnosi differenziale
con altre forme di splenomegalia, quali, per esempio, la
sindrome bantiana (si veda oltre, Splenomegalia congestizia).
Infatti, Schistosoma mansoni può interessare direttamente
il fegato e provocare una reazione cronica granulomatosa,
seguita con il tempo da cicatrizzazione, fibrosi epatica e
quindi ipertensione portale.
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Sarcoidosi
La sarcoidosi colpisce la milza in circa il 75% dei casi. Un
interessamento diffuso e marcato può dare una splenomegalia superiore a 1 kg di peso. Istologicamente tutta la
polpa splenica appare disseminata da granulomi, che si
trovano nei vari stadi di proliferazione cellulare, fibrosi e
ialinizzazione. Pochi, tuttavia, sono i pazienti che manifestano trombocitopenia, anemia emolitica, neutropenia,
pancitopenia. La rottura della milza è un evento raro.
SPLENOMEGALIA CONGESTIZIA
Tubercolosi
Esiste una rara forma (un centinaio circa i casi segnalati al
mondo) di tubercolosi primaria alla milza, senza interessamento di altri distretti dell’organismo. Il quadro clinico
è variamente caratterizzato da splenomegalia, ematemesi,
ascite, ittero, porpora, anemia (raramente poliglobulia),
leucopenia e trombocitopenia. La tubercolosi può essere
diagnosticata solo dopo splenectomia; si può rilevare una
semplice iperplasia reattiva aspecifica della polpa bianca,
oppure si possono evidenziare noduli miliari o nodi caseosi a seguito della diffusione ematogena della malattia. Di
una qualche utilità, al fine di prendere in considerazione
l’eventualità di questa patologia, è il riscontro di calcificazioni intraspleniche.
Malaria
La malaria, nelle zone tropicali, è sicuramente una delle
cause più comuni di splenomegalia. Nella malattia in fase
acuta la polpa è fluente, ricca di GR parassitati e di istiociti
carichi di emazie distrutte, parassiti e pigmento emozoario.
Nella fase di remissione i segni dell’iperattività fagica tendono a scomparire e cessano completamente con la guarigione
della malattia. Se la malaria volge alla cronicità, la milza si
ingrandisce progressivamente e può arrivare a pesare oltre
5 kg; la polpa bianca subisce processi di atrofia.
Frequente è l’anemia riferibile a sequestro splenico e a
incremento del volume plasmatico; normale, invece, è la
massa eritrocitaria anche quando si osserva una ridotta
emivita delle emazie. Leucopenia e trombocitopenia non
sono sempre presenti.
Leishmaniosi (Kala-azar)
Linfoadenomegalia (la milza pesa fino a 3 kg o più e aumenta di consistenza), splenomegalia, febbre, anemia,
leucopenia caratterizzano sia la forma asiatica sia quella
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L’ingrandimento splenico dovuto ad aumento della
pressione venosa splenica è frequente e può essere secondario a qualunque causa che provochi un’ostruzione
venosa. Spesso è secondario a ipertensione portale dovuta
a cause intra- o extraepatiche, o a una trombosi della vena
splenica.
Alla fine del XIX secolo Banti descrisse una forma di splenomegalia che non era associata a leucemia, linfoma di
Hodgkin, anemia emolitica, malaria, sifilide o altre malattie note. Banti stabilì tre criteri diagnostici a definizione
di questa sindrome: (1) una prima fase caratterizzata da
pancitopenia, splenomegalia, episodi emorragici; (2) una
fase intermedia con epatomegalia, urobilinuria e modificazioni del colore della cute; (3) una fase terminale di
atrofia epatica e ascite.
La milza si presentava aumentata di volume con notevole
ispessimento della componente fibrosa. A differenza di
Banti, che pensava alla milza come sede primitiva del
quadro, numerosi autori, in tempi più recenti, hanno
dimostrato l’associazione di questa sindrome con l’ipertensione portale. Ciò ha condotto a negare l’esistenza
della malattia di Banti come entità nosologica autonoma
e a considerarla piuttosto come un particolare modo
di presentazione di una varietà di condizioni morbose
caratterizzate da ipertensione portale. Tra queste la più
frequente è indubbiamente la cirrosi epatica e si può sospettare che, se Banti descriveva la compromissione epatica solamente nella fase finale della malattia che porta il
suo nome, questo dipendesse solamente dal fatto che, a
quei tempi, fossero difettosi i metodi diagnostici sensibili
per accertare un’epatopatia cronica in fase precoce.
Perciò la splenomegalia congestizia deve essere considerata
una sindrome (quadro clinico provocato da cause varie)
piuttosto che una malattia.
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Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
Eziopatogenesi
Decorso e prognosi
Un ostacolo al deflusso venoso nel circolo della vena cava
inferiore o in quello portale si ripercuote a livello splenico,
determinando un ristagno che può essere acuto e transitorio oppure di lunga durata.
Una persistente congestione venosa della milza può quindi essere causata da un’ostruzione intraepatica al drenaggio venoso portale (cirrosi epatica), da processi ostruttivi
a carico della vena porta o della vena splenica o avere
un’origine sistemica.
La splenomegalia congestizia determina fondamentalmente un ipersplenismo e, essendo associata a ipertensione portale, si accompagna frequentemente a episodi
di emorragia da rottura di varici esofagee (pancitopenia
ed emorragie descritte nella prima fase della malattia di
Banti). Il fatto che sia causata spesso da cirrosi epatica
spiega le alterazioni a carico del fegato descritte da Banti
nella seconda e terza fase.
Il decorso è quello della malattia fondamentale. Nelle
splenomegalie congestizie da occlusione vasale e in assenza di epatopatia primitiva, il decorso può essere sostanzialmente benigno e la situazione può restare stazionaria
per molti anni.
Nel caso in cui la malattia primitiva sia la cirrosi epatica,
è il decorso di quest’ultima che influenza in definitiva la
prognosi.
Manifestazioni cliniche ed esami di laboratorio
Se da un lato la sindrome di Banti come entità clinica a sé
stante è stata largamente messa in dubbio, dall’altro il concetto di splenomegalia congestizia rimane tuttora valido.
Colpisce soprattutto soggetti sotto i 35 anni di età (le donne
due volte più spesso degli uomini), ma talvolta si verifica
anche in età infantile. L’esordio, il più delle volte insidioso,
può anche essere acuto, caratterizzato da ematemesi, feci
picee, emorragie intestinali. Altre volte la sintomatologia è più sfumata: astenia, crampi addominali, flatulenza,
diarrea, subittero, febbricola, talvolta epistassi. La milza si
presenza notevolmente ingrandita, non così il fegato che
si mantiene invariato o lievemente aumentato (il 33% dei
casi). L’anemia, dapprima modesta e normocromica normocitica, con la comparsa di ripetute emorragie diviene
microcitica e ipocromica. È sempre presente leucopenia,
che interessa soprattutto i granulociti. Anche le piastrine si
presentano diminuite di numero, sebbene (per lo più) non
tanto da influenzare il tempo di sanguinamento.
Anatomia patologica*
La congestione cronica causa un aumento di consistenza
della milza, che presenta perisplenio ispessito e fibroso e
può pesare 1 kg o più, specie nella stasi portale. Istologicamente si rilevano la congestione e la dilatazione dei seni
venosi, che hanno pareti ispessite per la fibrosi, e la ricca
cellularità dei cordoni splenici rappresentata fondamentalmente da fibroblasti e cellule reticolo-endoteliali proliferate. In risposta a uno stato di ipossia locale di lunga
data si possono sviluppare anche focolai di emopoiesi.
Diagnosi
La diagnosi di splenomegalia congestizia presuppone
l’esclusione di tutte le numerose condizioni responsabili
di anemia, leucopenia e splenomegalia: anemie emolitiche, leucemie aleucemiche, talassemie e molte altre (si
veda Tab. 55.2).
* M.R. Terreni
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Terapia
Da un punto di vista terapeutico, il problema principale è rappresentato dalle varici esofagee. Nel tentativo di ridurre l’ipertensione portale, una volta veniva
praticata la splenectomia. Oggi, constatata l’inutilità
e le possibili conseguenze dannose di un simile intervento, si preferisce ricorrere alla derivazione portacava o a procedure analoghe.
SPLENOMEGALIA IPERPLASTICA
La locuzione splenomegalia iperplastica riflette una situazione
di ipertrofia della milza secondaria a eccessiva rimozione di
cellule ematiche dal circolo e a emopoiesi extramidollare.
È il caso di numerose forme di anemia (si veda Tab. 55.2), di
alcuni casi di porpora trombocitopenica, come pure di alcuni soggetti che fanno largo uso di fenacetina. In quest’ultimo caso la splenomegalia, verosimilmente, è secondaria a
emolisi marcata. Anche la splenomegalia che si accompagna a mielofibrosi, policitemia o anemia mieloftisica può
venir classificata in questo gruppo. In genere si tratta di
una splenomegalia variabile (la milza pesa tra 0,5-1 kg) che,
specialmente nella mielofibrosi, può assumere dimensioni
notevoli e oltrepassare facilmente i 3-5 kg di peso.
Restano infine da considerare due entità nosologiche di
incerta determinazione, la splenomegalia idiopatica non
tropicale e la sindrome splenomegalica tropicale (o sindrome
della grande milza).
I pazienti affetti da splenomegalia idiopatica non tropicale
presentano un notevole aumento delle dimensioni spleniche, ipersplenismo e anamnesi negativa per esposizione
alla malaria o ad altri parassiti. Il quadro clinico è variabile
(astenia, febbricola, palpitazioni ecc.), talvolta sono presenti ulcere al cavo orale e agli arti inferiori. Alcuni pazienti presentano un linfoma maligno, ma il più delle volte il
quadro è quello di un’iperplasia linfoide non neoplastica.
Si è pensato a un processo di tipo autoimmune, ma i dati
sono ancora incerti. La splenectomia sembra migliorare
notevolmente le condizioni dei pazienti. Tuttavia, spesso,
con intervallo di mesi o anni, nei soggetti splenectomizzati
compare un linfoma. La diagnosi si fonda sul riscontro di
splenomegalia massiva in assenza di altre cause possibili.
La sindrome splenomegalica tropicale si evidenzia nelle
aree in cui la malattia è endemica, colpisce soprattutto
gli adulti ed è caratterizzata da splenomegalia di dimensioni variabili, assenza di malaria in fase attiva, saltuaria
febbricola, pancitopenia.
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Capitolo 55 - MALATTIE DELLA MILZA
La malaria sembra comunque rivestire un ruolo di particolare importanza nella patogenesi di questa sindrome.
Si pensa infatti ad un’abnorme risposta immunologica
ad antigeni circolanti, espressione di ripetute esposizioni
al plasmodio malarico. Le IgM sieriche sono elevate e il
loro livello decresce consensualmente alle dimensioni
della milza e alla pancitopenia, qualora venga intrapresa
terapia antimalarica a lungo termine. La splenectomia si
è rivelata utile solo in alcuni pazienti.
SPLENOMEGALIA INFILTRATIVA
Le tesaurismosi comprendono un gruppo di affezioni caratterizzate da un “ingorgo” dei lisosomi delle cellule del
sistema reticoloendoteliale, con metaboliti non degradati
a causa delle carenze geneticamente determinate di uno
o più enzimi lisosomiali. Esistono circa 30 enzimi attivi
rispettivamente su carboidrati, proteine e lipidi. La milza,
al pari del midollo e del fegato, presenta un alto contenuto
di cellule reticoloendoteliali che sono coinvolte nel processo di “smaltimento”. Di qui la possibilità di una cospicua
splenomegalia in corso di tesaurismosi.
A seconda del materiale che si accumula, le tesaurismosi
vengono classificate come lipidosi, mucopolisaccaridosi ecc.
Due sono le forme di particolare interesse per quanto riguarda questo capitolo, la malattia di Niemann-Pick e la malattia
di Gaucher, descritte in dettaglio nel Capitolo 68.
L’amiloidosi causa in genere una splenomegalia moderata; l’amiloide si deposita soprattutto nella polpa bianca
e le zone interessate assumono un aspetto opaco, vitreo
(milza sagù).
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8
Cisti e neoplasie
Un aumento di volume della milza può essere dovuto allo
sviluppo di cisti epiteliali, endoteliali o da echinococco,
pseudocisti emorragiche, sierose, infiammatorie o secondarie a colliquazione di aree infartuate.
Le cisti di origine non parassitaria interessanti la milza
sono più frequenti nelle donne in età fertile; una delle
possibili spiegazioni sarebbe l’origine post-traumatica. I
tumori primitivi benigni e maligni della milza sono rari
ed entrambi possono provocare cospicue splenomegalie.
I tumori benigni più frequenti sono i linfangiomi e gli
emangiomi, spesso di tipo cavernoso.
Talvolta si hanno localizzazioni primitive di linfomi
Hodgkin o non Hodgkin, istiocitosi X o sarcomi molli
della milza. Infine, sono possibili, raramente, metastatizzazioni da carcinomi.
Metodi di indagine
Una massa palpabile in ipocondrio sinistro, sebbene
sia nella gran parte dei casi un riscontro di pertinenza
splenica (una milza ingrandita di volume, appunto),
può tuttavia venire attribuita a patologie interessanti
lo stomaco, il pancreas, le ovaie, il rene o altri processi
tumorali (per esempio, retroperitoneali o della flessura
splenica del colon). Al fine di meglio dirimere l’esatta
natura della massa, possono essere intrapresi alcuni passi
diagnostici, quali un’ecografia addominale, un’urografia,
una radiografia del tubo gastroenterico con mezzo di
contrasto, una splenoportoradiografia, un’angiografia,
una scintigrafia epatosplenica, una tomografia computerizzata addominale. Utili, poi, sono le indagini eritro- e
trombocinetica con 51Cr al fine di documentare l’entità
della distruzione e/o sequestro di questi stipiti cellulari.
Si tratta comunque di studi che raramente forniscono un
indice accurato e predittivo dei risultati di un’eventuale
splenectomia. Infine, si ricorda la biopsia splenica, che
comporta la possibilità di numerosi inconvenienti (primo fra tutti un’emorragia) e d’altra parte si è rivelata di
qualche utilità solo in alcune splenomegalie da parassiti
(malaria e leishmaniosi) e in corso di tesaurismosi; va comunque eseguita in condizioni tali da poter intervenire
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con la splenectomia in caso di comparsa di emorragia
inarrestabile.
Splenectomia
Sebbene le attuali conoscenze circa le funzioni della milza
siano largamente incomplete (si veda in precedenza, Fisiologia e fisiopatologia), il quadro clinico e l’esperienza medica costituiscono pur sempre un fondamento sul quale
appoggiare una decisione pro o contro la splenectomia.
In linea generale si può affermare che la splenectomia è
indicata in tutti quei casi in cui: (1) è rilevante il ruolo
emocateretico da parte della milza sulle cellule ematiche
con conseguenti complicanze cliniche evidenti; (2) vi è
la possibilità di una malattia a decorso limitato con scarsi
rischi inerenti l’attesa di eventuale splenectomia; (3) vi è
progressione dell’ipersplenismo e quindi peggioramento
delle condizioni del paziente; (4) non esistono valide e percorribili alternative terapeutiche. La splenectomia, invece, è
inutile, se non controindicata, quando riveste un ruolo positivo nell’emopoiesi o nella risposta anticorpale, per esempio
in rapporto all’età del paziente, bambino o anziano.
Soprattutto, la decisione dovrebbe fare riferimento alla
gravità dell’anemia, alla presenza o meno di neutropenia
e/o piastrinopenia e, in alcuni casi, alla valutazione della
sopravvivenza eritrocitaria, del volume ematico e della
massa eritrocitaria.
La splenectomia comporta solitamente l’instaurarsi di:
• complicanze cliniche immediate;
• complicanze cliniche a lungo termine;
• modificazioni più o meno permanenti del sangue
periferico.
Tra le complicanze immediate si devono ricordare fenomeni emorragici (soprattutto se il paziente giunge al
momento dell’intervento gravemente piastrinopenico) e
fenomeni tromboembolici, secondari soprattutto a trombocitosi postoperatoria e aggravati dalle possibili sepsi
intercorrenti. Tra le complicanze a lungo termine si deve
soprattutto segnalare la particolare suscettibilità di questi
pazienti a contrarre gravi sepsi, evenienza strettamente
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Parte 8 - MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOLINFOPOIETICI
correlata all’età in cui si effettua la splenectomia; i bambini sotto i 5 anni di età manifestano in tal senso un rischio
assai elevato. Per questo l’intervento andrebbe, quando
possibile, differito all’adolescenza.
L’aumentato rischio durante la prima infanzia è verosimilmente correlato alla generale immaturità del sistema
linforeticolare, alla mancanza di esposizione a numerosi
microrganismi e al fatto che la madre non trasmette al
feto, attraverso la placenta, la frazione immunoglobulinica IgM. Verosimilmente, agenti quali lo pneumococco
(responsabile del 50% delle infezioni in questi casi), in
mancanza della milza e di un sistema reticoloendoteliale
efficiente, raggiungono in breve una concentrazione così
elevata da resistere a una possibile risposta immunitaria.
L’incidenza delle infezioni postsplenectomia varia poi in
ragione dell’indicazione che ha reso necessario l’intervento. Per esempio, è meno comune nei pazienti splenectomizzati per trauma o per sferocitosi ereditaria che non in
quelli per malattie croniche come la talassemia.
A questo proposito è stato suggerito che, a seguito di un
trauma alla milza, piccoli frammenti di tessuto splenico potrebbero “sedimentare” nel peritoneo e la loro secondaria ipertrofia potrebbe essere uno dei motivi della
mancanza di sepsi nei pazienti che hanno dovuto subire
una splenectomia per rottura. I pazienti splenectomizzati
sono a rischio anche per infezioni da parassiti (soprattutto
per la malaria).
Le modificazioni ematologiche sono molteplici. Infatti, dopo l’intervento compaiono in circolo cellule a
bersaglio, acantociti (ossia GR deformati, caratterizzati
da estroflessioni protoplasmatiche di diverse dimensioni e forme, spaziate irregolarmente, che conferiscono
alla cellula un aspetto “spinoso”), siderociti (si veda il
Capitolo 48), rari eritroblasti. I GR diventano più sottili e presentano residui nucleari in forma di corpi di
Howell-Jolly.
Queste alterazioni possono essere molto rare o ben evidenti. In genere compare anche una modesta reticolocitosi.
Dopo splenectomia i globuli bianchi raggiungono un
massimo di 20-30 × 109/L nella prima settimana. Sono soprattutto i neutrofili a crescere di numero, più raramente
e in misura minore aumentano anche gli eosinofili e i
basofili. In un secondo tempo si assiste a una graduale
riduzione, anche se una certa neutrofilia può persistere
per mesi o per anni; in questo caso si osserveranno anche
una lieve linfocitosi e/o una monocitosi. Di particolare
interesse è la trombocitosi, che già a poche ore dall’intervento può raggiungere valori molto elevati (talvolta
superiori a 1000 × 109/L). Il quadro si normalizza poi gradualmente, anche se il 33% dei casi presenta piastrinosi
permanente.
La piastrinosi è particolarmente intensa e frequente quando, prima dell’intervento, è presente anemia con midollo
iperplastico.
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