SETTIMANA 19-2013 v8:Layout 1 07/05/2013 14.56 Pagina 7 società 1° MAGGIO: “FONDATA SUL LAVORO? FONDATA SUL LAVORO!” I giovani non vogliono un posto ma che la società gli faccia posto fia dell’occupazione in Italia ha queste tinte. «Ho mandato decine di curriculum vitae e nessuno mi ha risposto; dopo un colloquio, il responsabile del personale si nega per mesi e nessuno mi dice chiaramente i motivi della mia esclusione». «In parrocchia ci siamo accorti che sempre più giovani affrontano il problema della disoccupazione in solitudine; è aumentato il numero delle persone che entrano in terapia o che diventano dipendenti dall’alcol». Da quando è scoppiata la crisi, la politica non solo ha perso tempo, ma si è dimostrata inadeguata ad affrontare l’urgenza legata al bene primario di milioni di persone: un’occupazione, una “retribuzione proporzionata”, la “parità” di trattamento tra uomini e donne. Quei diritti impressi a chiare lettere nella Costituzione. Don Giuseppe Dossetti nel 1993 era stato chiaro: «Siamo dinanzi all’esaurimento delle culture (…) Siamo tutti immobili, fissi su un presente, che si cerca di rabberciare in qualche maniera, ma non con il senso della profondità dei mutamenti». Il suo può essere letto come un avvertimento: «Aspettatevi delle sorprese ancora più grosse e più globali e dei rimescolii più totali. Convocate delle giovani menti che siano predisposte per questo e che abbiano, oltre che l’intelligenza, il cuore».1 Tra i proclami, gli annunci e le promesse non mantenute, oltre un centinaio di giovani si sono incontrati a Modena il 1° maggio per “Fondata sul lavoro? Fondata sul lavoro!”, una giornata di studio e di elaborazione di nuove proposte promossa dal Centro culturale Francesco Luigi Ferrari e dal gruppo di studio Dossetti pensiero giovane.2 Durante la mattinata i partecipanti, provenienti in particolare dall’Emilia-Romagna, si sono divisi in cinque gruppi (In attesa di la- Una nuova grammatica In Italia si vive un momento di grande fatica e smarrimento e ogni giorno la cronaca registra la disperazione di chi ha perso il lavoro. Il dibattito nei gruppi della mattinata ha messo in luce, semmai ce ne fosse bisogno, la fragilità del sistema formativo e imprenditoriale del nostro paese e il fallimento del modello occupazionale. «Al momento dell’iscrizione – racconta un giovane studente – avevo un’idea completamente differente del mio corso universitario. Nella mia facoltà, da trent’anni, ci sono sempre gli stessi docenti che non sanno darti alcuna indicazione di quello che troveremo fuori, dopo la laurea». Questo status quo rischia di screditare il lavoro intellettuale. «Senza lo studio si resta in balìa del pensiero degli altri – ha ricordato Daniela Leoni, insegnante, della Piccola Famiglia dell’Annunziata –; imparare a usare la testa in modo individuale è assolutamente necessario per affrontare le sfide in un periodo di crisi non solo economica ma anche sociale come quello in cui viviamo». Anche in famiglia ci si trova spiazzati davanti al perdurare della crisi e impreparati ad accompagnare le giovani generazioni nel mondo del lavoro. «Quando il mio fidanzato mi ha lasciato, in famiglia hanno fatto ricadere la responsabilità su di me, per via dei miei troppi impegni extrauniversitari. Io amo il lavoro da educatrice per cui ho studiato, ho tantissima energia, non riesco a stare ferma e non vorrei perdere la speranza per trovare un’occupazione». Per lavorare, i giovani sono disposti anche ad adattarsi, ma oc- corre cambiare i modelli di impresa, altrimenti si è destinati a tornare allo stesso punto della precrisi. «Nel mio gruppo parrocchiale abbiamo avviato laboratori a partire dall’esperienza della strada. Bisogna inventarsi una nuova “grammatica”, occorre un nuovo modo di pensare il futuro» ha ricordato una giovane educatrice di Reggio Emilia. La competizione fine a se stessa, che ha accompagnato per anni imprenditori e imprese, ha quindi le ore contate. «Bisogna avere il coraggio di cambiare, di abbandonare modelli imprenditoriali tradizionali – ha spiegato Caterina Pozzi, della cooperativa La Rupe di Bologna –. È fondamentale che in questo momento l’imprenditore continui a metterci la faccia, ma deve anche essere disposto a condividere la propria esperienza e la propria responsabilità con gli operai che devono sentirsi compartecipi dell’azienda». Cambiano gli equilibri Terminati gli studi, per i giovani comincia il tempo dell’attesa, che può essere vissuto con impazienza o in modo passivo, con passione per il futuro o con rassegnazione e apatia. Dal convegno di Modena è emersa la necessità di non vivere in “solitaria” questa esperienza: tra colloqui e piccoli lavoretti, questo tempo può diventare un’occasione preziosa di apprendimento e di professionalizzazione, come ha ricordato Massimiliano Colombi, docente alla Facoltà teologica di Fermo. Quando il lavoro manca o è precario, come è possibile costruire le altre dimensioni dell’esistenza: una famiglia, mettere al mondo i figli, impegnarsi culturalmente o politicamente? Un equilibrio, visti i tempi, è sempre più difficile, per questo serve una «continua riflessione, possibilmente non individuale, ma assieme al proprio coniuge o all’interno di una “rete” di persone» come ha proposto Riccardo Prandini, docente all’università di Bologna. Il lavoro – che deve essere garantito perché un diritto sancito dalla Costituzione – non può però essere inteso solo nella logica del guadagno. Va riscoperta la dimensione “politica” e “comunitaria”, quella di “obbedienza agli altri” e di “servizio alla comunità”. Per il presidente del Centro culturale F.L. Ferrari, Gianpietro Cavazza, «il no- stro compito è quello di occupare lo “spazio politico”, quello della comunicazione, mettendo in circolazione informazioni, dati, esperienze e domande. In questo modo si libera il lavoro della pura logica del mercato: tanto più si moltiplicano questi “spazi”, in famiglia, a scuola, tra gli amici, tanto più si “occupa la politica” e si fa politica sui temi dei giovani e del lavoro». Inventarsi un lavoro In Italia, secondo i dati più recenti, ormai il 38% dei giovani è senza una prospettiva di lavoro. «I giovani non chiedono un posto, ma che la società gli faccia posto» ha detto al convegno don Ciotti. Mentre il governo discute come rifinanziare le ore di cassintegrazione, la politica – se non vuole rendere ancora più evidente la frattura con la gente – deve veramente ripartire dalla strada, dalla disperazione dei disoccupati, dalle esigenze delle persone ormai disperate. Ognuno, però, deve sentirsi responsabile e adoperarsi per uscire da questa situazione, non delegando alla politica o alle istituzioni, ma inventando nuove opportunità. Come nel caso dei progetti imprenditoriali nati, soprattutto nel Sud Italia, a partire dal 1996, dopo la raccolta di firme promossa da Libera per richiedere la modifica della legge Torre-Rognoni del 1982. «Il lavoro ce lo siamo inventati – ha spiegato il presidente – dando vita alle cooperative sui terreni confiscati. La lotta alla mafia si fa con segni concreti, con bandi pubblici, dando precedenza ai giovani del territorio. E questo per il mafioso è il più grande schiaffo, perché così perde potere sul territorio». Oggi le cooperative, che producono olio, vino, mozzarelle… direttamente e indirettamente, dalla Calabria alla Sicilia, dà lavoro a mille persone. «Questo disorienta molto i mafiosi – ha aggiunto don Ciotti –. L’anno scorso, con la solita strategia mafiosa, tutte le cooperative hanno subito un attentato. Ma i ragazzi che lavorano lì non hanno mollato. Le idee devono essere incarnate in luoghi credibili». Paolo Tomassone 1 Testimonianza su spiritualità e politica (1993) in G. Dossetti, Scritti politici, Marietti 1995, pp. 78-79. 2 Approfondimenti e materiali utilizzati nei gruppi di lavoro su www.centroferrari.it settimana 12 maggio 2013 | n° 19 Agli occhi dei giovani la fotogra- voro; Inventarsi lavoro; Vivere di solo lavoro?; Studio e lavoro intellettuale; Rigenerare lavoro) per condividere le proprie esperienze. Nel pomeriggio alcuni docenti, imprenditori e sociologi hanno riportato in assemblea la sintesi delle discussioni dei gruppi, mentre la conclusione è stata affidata a don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele, che ha portato l’esperienza delle cooperative nate sui terreni confiscati alle mafie. 7