IPSE DIXIT: FILOSOFIA E DOGMATISMO (2011) Esistono due approcci fondamentali al sapere: uno autentico, l'altro inautentico. L'approccio autentico mira alla conoscenza fine a se stessa della verità, l'approccio inautentico subordina la conoscenza della verità a una molteplicità di bisogni inconfessabili. L'approccio autentico obbedisce solo al tribunale dei fatti, l'approccio inautentico è fondamentalmente refrattario ai fatti. L'approccio autentico è quello razionale, quello inautentico è il dogmatismo. Nonostante le differenze tra l'approccio razionale e quello dogmatico appaiano chiare sulla carta, in realtà è molto facile confondere le due cose. Spesso accade, infatti, che una stessa produzione nata in seno al pensiero razionale, possa successivamente transitare sotto l'ala del dogmatismo. Questo è il caso, ad esempio, della concezione aristotelico-tolemaica del cosmo, che può essere esaminata come caso di studio. L'idea che la Terra fosse al centro dell'universo non era un articolo di fede presso coloro che per primi la concepirono. Aristotele aveva le sue buone ragioni per difendere il geocentrismo. Per esempio, è ragionevole pensare che la Terra stia ferma, dal momento che non ne percepiamo il movimento. Inoltre, se la Terra si muovesse, allora un sasso lasciato cadere dalla cima di una torre non dovrebbe cadere a perpendicolo, ma spostato in ragione dell'intercorso movimento della Terra nell'intervallo di caduta. Se la Terra si muovesse, poi, dovremmo percepire un vento costante che spira in direzione contraria al suo moto. Infine, due palle di cannone sparate rispettivamente a Oriente e a Occidente dovrebbero percorrere distanze diverse, e ciò sempre in virtù del moto della Terra durante l'intervallo di caduta. Dal momento che nulla di tutto ciò accade, apparve del tutto ragionevole ad Aristotele pensare che la Terra stesse immobile. Anche l'idea aristotelica del motore immobile, progenitore greco del Dio dei cristiani, veniva dedotta a partire da una serie di argomentazioni basate sui fatti. Dal momento che la Terra è immobile, ne consegue che il movimento del Sole, della Luna e degli altri corpi celesti non è solo apparente, ma è reale. Questo pone il problema di spiegare la causa del loro moto. Ora, siccome il movimento degli oggetti terrestri presuppone l'esistenza di una forza motrice e perdura fintantoché perdura tale forza (il carro si muove finché i cavalli lo tirano), è ragionevole pensare che lo stesso principio valga per il moto degli astri. Se gli astri si muovono, allora devono esistere delle forze motrici che li muovono lungo le loro orbite. A queste forze motrici, Aristotele diede il nome di motori immobili. Tutto ciò, come si può vedere, non era un dogma, ma il risultato di una speculazione razionale fondata sull'osservazione dei fatti. Con l'avvento del cristianesimo, tale concezione diventa, come noto, parte integrante della cosmologia cristiana. I motori immobili di Aristotele diventano ora il motore immobile, cioè quel Dio che Dante definiva come colui che mòve il Sole e l'altre stelle. Col passaggio alla cosmologia cristiana, la concezione aristotelicotolemaica non rinuncia al proprio arsenale argomentativo ma – e questo è l'aspetto interessante – si converte in un dogma: ciò sta a significare che quell'antico sistema di idee, che originariamente era stato concepito per spiegare i fatti, viene messo al servizio di bisogni che nulla hanno a che fare con la conoscenza della realtà. In questo modo, il pensiero si chiude in se stesso e diventa refrattario all'evidenza empirica. Il primo è più caratteristico tratto dell'avvenuta conversione in senso dogmatico di un sistema filosofico è proprio la sua refrattarietà alla critica fattuale. A questo proposito, vorrei riportare il celeberrimo aneddoto dell'autopsia raccontato da Galileo nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. In questo dialogo Salviati, che impersona le posizioni di Galileo, racconta di aver assistito a un'autopsia eseguita nello studio di un noto medico veneziano. Lo scopo dell'autopsia era quello di dirimere la questione sull'origine dei nervi. Si trattava di un'antica querelle che aveva visto contrapporsi gli aristotelici ai galenisti. Secondo gli aristotelici, i nervi hanno origine dal cuore, mentre per i galenisti i nervi si dipartono dal cervello. Quando il medico anatomista apre la spina dorsale del cadavere scoprendo il ceppo di nervi che dal cervello si propaga lungo la spina dorsale, il filosofo aristotelico presente alla dimostrazione esclama: “Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo di Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera.” In altre parole, la riprova empirica prodotta dal medico è così convincente che, se Aristotele non avesse detto altrimenti, bisognerebbe dire che ha ragione Galeno. Come si spiega questo rifiuto dell'evidenza fattuale da parte del tardo aristotelismo? La risposta va cercata al di fuori della filosofia. Il dogmatismo non è, come la filosofia, interessato a conoscere la verità. Se lo fosse, si rimetterebbe volentieri al tribunale dell'esperienza. Ma al dogmatismo ecclesiastico interessa il potere. La filosofia tardo aristotelica doveva servire come strumento di legittimazione del potere temporale della Chiesa. Dimostrare, come fece Galileo, che la Terra non è al centro dell'universo significava dimostrare che l'uomo non è al centro dell'universo, e quindi che le Sacre Scritture erano errate. Ma se le Scritture sono errate, allora il potere della Chiesa si fonda sulla menzogna. Quindi Aristotele deve aver ragione contro ogni evidenza. Il dogmatismo che nasce per fini politici e di controllo sociale è la forma più evidente e, quindi, più facile da smascherare di dogmatismo, anche perché coloro che detengono le fila del potere sono solitamente ben consapevoli dell'utilità rappresentata dall'ideologia dominante. È probabile che il cardinal Bellarmino, il principale accusatore nel processo istituito dalla Chiesa contro Galileo, sapesse benissimo che Galileo aveva ragione. E tuttavia non poteva ammetterlo, perché gli interessi politici implicati nella vicenda avevano la priorità sulle questioni teoretiche. In questo senso potremmo dire che il dogmatismo è il cadavere della razionalità. Ma il dogmatismo non è solo l'espressione di un sistema sociale di potere. È anche e innanzitutto espressione di un atteggiamento psicologico. Questa seconda e più intima forma di dogmatismo è più diffusa e più difficile da smascherare del dogmatismo politico, perché, a differenza di quest'ultimo, non è consaputo. Anche in questo caso, il dogmatismo opera la subordinazione del sapere a una serie di bisogni inconfessabili; con la differenza, però, che questi bisogni sono inconfessabili non solo a gli altri, ma anche e innanzitutto a se stessi. Ma quali sono questi bisogni? E perché non possono essere confessati? Vorrei provare a rispondere a queste domande prendendo in esame il sistema di credenze sotteso a un disturbo alimentare che solo recentemente è stato individuato dalla psicologia. Il disturbo in questione si chiama orto- ressia nervosa, a scoprirlo è stato il medico naturopata americano Steven Bratman, che lo descrive nel saggio del intitolato Health Food Junkies (2000). A differenza che nell'anoressia e nella bulimia, dove l'accento viene posto sulla quantità di cibo ingerito, nell'ortoressia nervosa l'enfasi ricade sulla qualità del cibo, che deve essere quanto più possibile sano per l'organismo. Ora, ciò che rende l'ortoressia nervosa particolarmente interessante per l'argomento che stiamo trattando è l'armatura argomentativa che la sostiene. Mentre è relativamente semplice smantellare le convinzioni dell'anoressico e metterlo di fronte alla natura fondamentalmente autodistruttiva del proprio regime alimentare (non che questo, si intende, lo dissuada minimamente dal perseverare), è praticamente impossibile aggirare le barriere razionali che l'ortoressico erige a difesa della propria dieta. L'ortoressia è, infatti, radicata su di un sistema di convinzioni assolutamente ragionevoli. Chi potrebbe, infatti, contestare uno qualunque di questi assunti? 1. Mangiare cibo sano è meglio che ingozzarsi di porcherie. 2. Il modo migliore di prevenire le malattie è quello di adottare una dieta sana. 3. Nella scelta dei cibi è più importante nutrire il corpo che compiacere il palato. 4. Avere una dieta sana in una società che ci avvelena in nome del profitto è molto faticoso. Queste affermazioni appaiono talmente ragionevoli che ci si potrebbe chiedere che cosa renda l'ortoressia un disturbo alimentare, dopotutto. La risposta è: lo stesso processo invisibile che ha convertito la cosmologia aristotelica in un dogma. Anche la concezione geocentrica si era sviluppata intorno a un nucleo razionale. Ma quando venne assorbita dalla teologia cristiana, questo nucleo si spense e ciò che rimase non fu che un involucro vuoto. Il vecchio armamentario argomentativo rimaneva in piedi, ma solo per lavorare al servizio di bisogni che nulla avevano a che vedere con il desiderio di conoscere la verità. In questo modo, la teoria geocentrica divenne cieca di fronte ai fatti che Galileo andava presentando. Allo stesso modo, le convinzioni che puntellano l'ortoressia nervosa sono, in quanto tali, ragionevoli. Il problema è che queste convinzioni lavorano al servizio di bisogni che nulla hanno a che fare col cibo. Uno di questi bisogni è, ad esempio, quello di controllare la morte. Questo è il caso di Audrey, una donna di settantacinque anni la cui esistenza ruota interamente intorno alla dieta. Audrey consumava dodici pasti al giorno, ciascuno dei quali consisteva nell'assunzione di un solo alimento. Ogni giorno assumeva un ottantina di pillole, fra integratori dietetici e prodotti a base di erbe. La sua pelle aveva assunto un colorito arancione pallido per via della gran quantità di succo di carota che beveva. In aggiunta a ciò si sottoponeva regolarmente a saune, sedute di agopuntura e sessioni di idro colon terapia per disintossicarsi dalle tossine. Nonostante avesse un paio di nipotini che abitavano vicino a casa sua, non passava molto tempo con loro perché, diceva: “Divento orribilmente impaziente mentre preparo i miei pasti, inoltre i bambini mi fanno perdere il conto delle pillole che devo prendere.” Non usciva mai di casa, se non per fare esercizio fisico, comprare cibo, fare una sauna, una seduta di agopuntura o di idro colon terapia. L'eserci- zio fisico, che peraltro detestava, consisteva nel compiere otto giri lungo un perimetro prestabilito, sotto qualunque condizione atmosferica. Un giorno Audrey fu colpita da un ictus che paralizzò metà del suo corpo. Questo evento ebbe l'effetto immediato di frantumare lo schermo difensivo rappresentato dal cibo. La paura della morte, che fin dall'inizio era stata la vera causa delle ossessioni alimentari di Audrey, emergeva ora in superficie, dissipando ogni illusione di controllo: era il terrore di morire il vero problema, non la salute fisica. L'ossessione per la propria salute fisica non era che un tentativo disperato di illudersi di poter vincere la morte. Quando Audrey si rese conto che la morte non si poteva sconfiggere, decise di ristabilire la scala gerarchica delle sue priorità. Si liberò delle pillole, del succo di carota, del jogging, dell'agopuntura, delle saune, dell'idro colon terapia, tornò a mangiare due volte al giorno e iniziò a frequentare un gruppo religioso che affrontava seriamente il problema della morte. Iniziò a chiamare le persone a cui teneva di più e, quando si rese conto che le sarebbe rimasto poco tempo per vedere i suoi nipotini, fece di tutto per conoscerli meglio. Questa storia non vuol dimostrare che ci si debba disinteressare della propria salute fisica, ma che la preoccupazione per la propria salute fisica può nascondere una paura ben più profonda e ancestrale, la paura del nulla eterno. Spostare l'attenzione dal problema della morte a quello della salute fisica significa tramutare un problema completamente fuori dal nostro controllo in una questione di natura pratica. Sembra quasi che Audrey pensasse: “Se prendi un po' di pillole, fai jogging regolarmente e, di tanto in tanto, ti fai irrigare le pareti del colon, Madama Morte si dimenticherà di bussare alla tua porta.” Che cosa possiamo imparare da queste considerazioni? In primo luogo, che è molto difficile distinguere tra razionalità e dogmatismo, perché il dogmatismo indossa sempre la maschera della razionalità. In secondo luogo, che non si può smuovere l'atteggiamento dogmatico sulla base di argomentazioni logico-fattuali. Abbiamo visto, infatti, che la mentalità dogmatica è governata da istanze extra-fattuali, ed è quindi disinteres- sata alla conoscenza. La persistenza dell'atteggiamento dogmatico non è dovuta, pertanto, alla forza dell'apparato argomentativo che la supporta, se non in misura molto secondaria. Il dogmatismo trova la propria energia, piuttosto, dai bisogni profondi per i quali lavora. Finché non si interviene su quei bisogni, non c'è modo di smuovere l'atteggiamento dogmatico. Questa è la ragione per cui le confutazioni razionali dell'esistenza di Dio non hanno mai fatto presa sui credenti. Pretendere di convertire all'ateismo un credente dimostrando razionalmente che Dio non esiste è tanto assurdo quanto pretendere di uccidere un uomo scagliando una pietra sullo specchio d'acqua che ne riflette l'immagine. La sua fede in Dio non è che il riflesso di qualcosa di più profondo. Ciononostante, sarebbe un errore pensare che la critica razionale non produca alcun risultato. La critica ha l'effetto di demolire la facciata di razionalità dietro alla quale l'atteggiamento dogmatico si cela. Dal momento, però, che il dogmatismo non può esistere se non si ammanta di una qualche parvenza razionale, la critica farà sorgere il bisogno di sostituire il vecchio involucro con uno nuovo, come quando l'insetto muta il suo esoscheletro. Forse Zarathustra ha peccato di entusiasmo quando ha annunciato al mondo la morte di Dio. Forse il cadavere di Dio non era che l'esoscheletro di qualcosa che continua a vivere ed è tutt'ora tra noi.