Verso un sistema informativo orizzontale: il contributo offerto dagli ERP di Attilio Mucelli1 1. Considerazioni introduttive Le modalità di governo e le forme organizzative delle aziende tendono, nel tempo, ad evolversi a causa della crescente complessità che caratterizza l’ambiente con il quale si deve interagire. Essere competitivi significa riuscire a rispondere adeguatamente alle attese del cliente, essere flessibili in termini organizzativi e produttivi nonché, e forse è questo l’aspetto più critico, essere capaci di apprendere e adattarsi rapidamente al cambiamento imposto. L’affermarsi di questi nuovi fattori critici di successo richiede che le organizzazioni riescano a raggiungere elevati gradi di coordinamento tra le diverse attività aziendali. Tale necessità ha messo in luce una realtà già da tempo nota e che è stata, per molto tempo, trascurata: l’articolazione in funzioni verticali è solo uno strumento, una modalità organizzativa, mentre ciò che in azienda crea valore per il cliente e genera i profitti sono i processi, quei flussi di lavoro che attraversano trasversalmente l’organizzazione2. Risulta quindi che la prospettiva unitaria con la quale, in un approccio per processi, vengono percepite le operazioni aziendali facilita il raggiungimento dell’efficienza e dell’efficacia ed un reale orientamento dell’organizzazione al cliente, in quanto consente, più di altre, “di apprezzare i flussi di lavoro, di azioni, di operazioni in una prospettiva «orizzontale», di sequenzialità dettata dagli scopi per cui quelle determinate operazioni vengono poste in essere e combinate”3. In termini squisitamente informativi, la piena realizzazione della gestione orizzontale presuppone la definizione di nuovi ed ulteriori oggetti di misurazione: i processi aziendali, in modo da ottenere informazioni circa il loro consumo di risorse, il tempo impiegato per lo svolgimento, il livello qualitativo raggiunto, …(cioè quel patrimonio informativo indispensabile per il miglioramento dei processi stessi). Ricercatore di Economia aziendale – Università degli Studi di Ancona. A questo riguardo Gino Zappa ricordava, già nel 1956, come l’azienda fosse un sistema unitario, costituito da sub-sistemi rigorosamente interattivi e configurantisi come “unità economiche relative” nelle quali si sviluppano “processi e combinazioni di processi”: “i fatti economici dapprima si ordinano distintamente nei diversi processi d’azienda; a loro volta i processi, sempre concatenati da congiunzioni e connessioni varie, si integrano reciprocamente nelle combinazioni economiche dalle quali traggono evidenza non mai smentita lo svolgimento solidale e il fine ultimo dell’attività economica di ogni azienda”. Cfr. G. Zappa, Le produzioni nell’economia delle imprese, tomo I, Giuffrè Editore, Milano, 1956, pag.142. Sull’argomento cfr. anche: E. Giannessi, Appunti di Economia Aziendale, Pacini Editore, Pisa, 1979, pag. 15-21, il quale si sofferma sul concetto di azienda come sistema di operazioni inscindibilmente connesse tra loro. 3 Cfr. L. Marchi, S. Marasca, Il sistema delle operazioni e la dinamica dei processi in L. Marchi (a cura di), Introduzione all’economia aziendale, seconda edizione, Giappichelli, Torino, 1998, pag. 13. 1 2 1 La sola disponibilità di informazioni, comunque, non è di per sé sufficiente a garantire il successo di un’organizzazione process driven: ciò che veramente dà valore alle informazioni è la loro disponibilità a tutti i livelli aziendali, nel modo e nei tempi in cui le stesse sono richieste. E’ necessario realizzare un “sistema informativo orizzontale”, la vera spina dorsale della gestione per processi. La realizzazione di un sistema caratterizzato da queste peculiarità favorisce inoltre il coinvolgimento della struttura, in quanto la stessa si trova direttamente chiamata, sia nella fase di implementazione del sistema di misurazione che in tutti i momenti di modifica di alcune attività, ad individuare e selezionare le variabili ritenute rilevanti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati e a strutturare i rapporti del controllo di gestione nei modi ritenuti più utili. La possibilità concreta di realizzare quanto riportato è oggi molto più semplice in quanto l’information technology (I.T.), sotto-sistema del più vasto sistema informativo, ha compiuto degli enormi progressi in termini di capacità di calcolo, di riduzione dei costi necessari per l’acquisto di attrezzature hardware e software, di flessibilità ed adattabilità a contesti differenti e, cosa forse più importante, di facilità ed immediatezza d’uso. In riferimento a quanto detto, l’obiettivo del presente contributo è quello di approfondire questi aspetti, ponendo l’attenzione sull’evoluzione dei sistemi informativi, in particolare sul ruolo da essi svolto nel permettere e facilitare i processi di apprendimento interni all’azienda, utili per far evolvere, con successo, l’organizzazione. Dopo aver trattato degli aspetti generali che hanno indotto le aziende a ripensare il controllo direzionale, in modo da garantire la necessaria coerenza tra i fabbisogni di coordinamento dei diversi attori aziendali e le informazioni generate dal sistema, l’attenzione verrà spostata sul ruolo svolto dall’IT all’interno del sistema informativo pensato per le aziende organizzate per processi e su quelle che sono state le risposte fornite dall’IT alle nuove esigenze di business. 2. L’ottica di processo facilita il coinvolgimento della struttura La dottrina ha da tempo evidenziato come le organizzazioni possono seguire, per sviluppare il cambiamento, due modi: attraverso un percorso del tipo top-down, in base al quale è il vertice aziendale che cala dall’alto la strategia da seguire per il cambiamento, oppure tramite un percorso del tipo bottom-up, con il quale sono i livelli più bassi della struttura che, con dei processi di miglioramento, propongono e sviluppano il cambiamento necessario. Entrambi i percorsi descritti rischiano l’insuccesso se l’azienda non riesce a sviluppare, al proprio interno, un elevato grado di coinvolgimento e di coordinamento tra i diversi attori. Per l’approccio top-down il rischio consiste nella possibile carenza di consenso da parte della struttura, per quello bottom-up il cambiamento avviato potrebbe rivelarsi non in linea con il percorso strategico disegnato dal top management. Per cui sia l’uno che l’altro approccio, per avere successo, necessitano di un vertice aziendale capace di: 2 - assicurare il costante collegamento tra le decisioni strategiche di medio-lungo termine e la dimensione operativa dell’organizzazione; - realizzare un pieno coinvolgimento e coordinamento delle risorse presenti in azienda. Le ricerche più recenti4 hanno dimostrato come il collegamento tra le decisioni strategiche di medio-lungo termine e le azioni di breve periodo, può essere agevolato attraverso la definizione di una matrice di misure “bilanciate”, capace di illustrare le performance dell’organizzazione in riferimento agli obiettivi e alle priorità che l’azienda ha individuato per realizzare la propria strategia5. In questo modo la strategia aziendale viene tradotta in termini operativi, in quanto le relazioni causali che legano le diverse prospettive, a cui le misure appartengono, vengono rese esplicite e condivise dall’intera struttura. Si realizza in pieno il coinvolgimento delle persone in quanto “i gruppi di lavoro hanno potuto comprendere a pieno la rotta decisa dall’azienda, hanno focalizzato meglio le interdipendenze e gli intrecci tra i diversi attori, hanno saputo attribuire un significato compiuto alla propria missione e al proprio ruolo all’interno di un’organizzazione articolata e in continuo cambiamento”6. Inoltre Kaplan e Norton affermano che “la combinazione di queste quattro prospettive (economico-finanziaria, del cliente, della performance interna e dell’innovazioneapprendimento, che danno corpo alla balanced scarecard, Ndr) consente di cogliere le interrelazioni presenti all’interno dell’azienda e di abbattere le barriere funzionali”7, favorendo l’applicazione di quei principi tipici della gestione per processi, i cui capisaldi possono essere individuati nello sforzo di orientarsi il più possibile al cliente, nel considerare l’azienda come un sistema (insieme di processi interrelati tra loro da un punto di vista logico-razionale)8, nella ricerca del miglioramento continuo, nello sforzo di coinvolgere, a tutti i livelli, le risorse umane presenti in azienda9. La differenziazione e la specializzazione, elementi che caratterizzano le strutture funzionali, devono coniugarsi con il coordinamento e l’integrazione a livello globale d’azienda; si rende necessario presidiare con forza sia i processi intra-funzionali sia quelli interfunzionali, cioè quelle sequenze di attività, tra loro strettamente interrelate, utili per gestire le risorse in modo efficace ed efficiente e al tempo stesso per soddisfare pienamente le attese del cliente10. 4 Il riferimento specifico è alla relazione di R. S. Kaplan, The balanced scorecard. Creating the strategy focused organization, tenuta al convegno “Oltre gli ERP: business intelligence, controllo strategico e balanced scorecard”, svoltosi a Milano il 10/11/1999. 5 Cfr. R. S. Kaplan, D. P. Norton, The balanced scorecard. Measures that drive performance, in Harvard Business Review, gen.-feb. 1992. 6 Cfr. E. Sassoon, M. Di Braccio, Dalla strategia all’obiettivo finale: quattro “segreti” per il successo, in Il Sole 24 Ore dell’8/11/1999, pag. 34. 7 Cfr. R. S. Kaplan, D. P. Norton, The balanced scorecard, op. cit., pag. 79. 8 Sul concetto di azienda come sistema cfr. U. Bertini, Il sistema d’azienda, Giappichelli, Torino, 1993. 9 Per ulteriori approfondimenti su questi aspetti cfr. L. Marchi, S. Marasca, Il sistema delle operazioni e la dinamica dei processi, op. cit., pagg. 1-20. 10 Hammer e Champy definiscono un processo come “un insieme di attività che, assumendo input di varia natura, produce un output che sia di valore per il cliente”; cfr. M. Hammer, J. Champy, Ripensare l’azienda, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1994, pag. 4. 3 In sintesi l’obiettivo del management diventa allora riuscire ad evidenziare e governare queste interdipendenze, facendo comprendere all’intera struttura che la fonte del vantaggio competitivo risiede non solo nel perseguimento dell’efficienza funzionale (coinvolgimento verticale) ma anche, e specialmente, nel perseguimento di prestabiliti obiettivi di efficacia a livello di processi intra ed inter funzionali ottenibili solo tramite la cooperazione tra le diverse unità organizzative aziendali (coinvolgimento orizzontale). Si ritiene però che per conseguire i vantaggi ricordati non si deve dare all’azienda, necessariamente, una struttura organizzativa propriamente orizzontale (perdita di significato, o quasi, delle funzioni e quindi della specializzazione), quanto piuttosto è fondamentale ripensare il sistema di controllo direzionale, in modo da garantire la necessaria coerenza tra i fabbisogni di coordinamento dei diversi attori aziendali e le informazioni generate dal sistema, indispensabili per alimentare corretti processi decisionali. 3. L’evoluzione del controllo direzionale per la gestione dei processi I giapponesi sono soliti affermare, in merito alla contabilità direzionale, che “la contabilità può valutare quanto fatto in precedenza, ma non contribuisce ad aiutare i dirigenti a dirigere”11. L’affermazione è collegata al fatto, implicito, che solitamente la contabilità fornisce delle grandezze e degli indicatori la cui genesi è di natura economico-finanziaria, non rilevando affatto altri aspetti della gestione che, parimenti, contribuiscono al raggiungimento del successo. Tra i primi autori che segnalarono i problemi derivanti dall’attribuzione dei costi secondo i metodi tradizionali vi è Drucker: “l’unico modo in cui i direttori amministrativi oggi sanno allocare i costi è in proporzione alle quantità e non al numero di transazioni. Un milione di pezzi prodotti in un unico ordine (o con un solo articolo) sono pertanto gravati degli stessi costi di un milione di pezzi prodotti da un milione di ordini singoli o con cinquanta cicli di produzione. Il contabile è preoccupato dal costo per unità di prodotto, non dai costi di un articolo”12. Successivamente anche Johnson e Kaplan hanno denunciato il grave “scollamento” tra i dati di cui hanno bisogno i manager e quelli che invece forniscono gli apparati amministrativi: “i sistemi di contabilità analitica aziendali sono inadeguati all’ambiente d’oggi. In quest’epoca di rapido cambiamento tecnologico, di forte concorrenza globale e di capacità di elaborazione delle informazioni enormemente crescente, i sistemi di contabilità gestionale esistenti non forniscono informazioni utili e tempestive per il controllo di gestione, per la valutazione dei costi di prodotto e per la valutazione dei risultati da parte dei responsabili aziendali”13. La contabilità cui si riferiscono Drucker, Johnson e Kaplan è quella definita “tradizionale”, la cui scarsa significatività è stata ormai ampiamente discussa e 11 R. Heller, The Leadership Imperative, Truman Tally Books/Dutton, New York, 1995, pag. 27. P. Drucker, Managing for Business Effectiveness, Harvard Business Review, mag.-giu. 1963, pag. 60. 13 H. T. Johnson, R. S. Kaplan, Relevance Lost: The Rise and Fall of Management Accounting, Harvard Business School Press, Boston, Massachusetts, 1987, pag. XIX. 12 4 documentata dalla letteratura e dall’esperienza pratica delle imprese, per cui non è il caso di approfondire, in questa sede, tali problematiche. E’ utile soffermarsi, invece, sull’evoluzione dei sistemi di controllo direzionale e in particolare su come contribuiscono ad appagare i fabbisogni informativi collegati alla decisione dell’azienda di governare la dimensione intra-funzianale ed interfunzionale. Tra le diverse soluzioni che gli studiosi hanno proposto per superare l’obsolescenza dei sistemi di contabilità analitica (ad esempio il “life-cycle costing”14, la “throughput accounting”15, il “target costing”16, ecc.) quella che ha riscosso il maggior interesse è, probabilmente, l’Activity Based Costing (l’ABC), o calcolo dei costi per attività, sul quale è stata prodotta una copiosa letteratura, a partire dalla metà degli anni ottanta, prima negli Stati Uniti17, poi in Inghilterra18 e infine anche in Italia19. In realtà l’idea di rilevare quantità economiche relative alle singole attività e, per questa via, calcolare un costo pieno di prodotto, non è recente (anche se è cambiata e maturata nel corso del tempo) 20. Infatti fin dall’inizio di questo secolo è stata teorizzata l’activity accounting (contabilità per attività), basata sui tre assunti seguenti: - ogni azienda è costituita da un insieme di attività; - tutte le attività dell’azienda hanno, o dovrebbero avere, come finalità diretta o indiretta la realizzazione dei prodotti dell’azienda; - le risorse non sono consumate direttamente dai prodotti, ma dalle attività, le quali a loro volta sono “consumate” dai prodotti. 14 Criterio contabile impiegato per confrontare soluzioni progettuali alternative, basato sulla stima dei costi che un prodotto dovrà sostenere nell’ambito del suo ciclo di vita. Per approfondimenti, si veda ad esempio: R. J. Brown, R. R. Yanuck, Introduction to Life Cycle Costing, The Fairmont Press/PrenticeHall, Englewood Cliff (NJ), 1985, L. Cinquini, La gestione del costo del ciclo di vita del prodotto, in P. Miolo Vitali (a cura di), Strumenti per l’analisi dei costi, Giappichelli, Torino, 1997, pag. 118. 15 Criterio di full costing che, nell’imputare i costi indiretti tra i prodotti, utilizza come base di ripartizione il tempo di attraversamento, partendo dall’assunto che il prodotto che impiega più tempo a causa di colli di bottiglia, rilavorazioni, inefficienze, è anche quello che determina una parte maggiore dei costi indiretti. Per approfondimenti, si veda ad esempio: D. Galloway, D. Waldron, Throughput Accounting: the need for a new language for manufacturing, Management Accounting, novembre 1988. 16 Strumento di programmazione, diffusosi nelle imprese giapponesi, che promuove la riduzione dei costi fin dalle fasi preliminari di ideazione e progettazione dei prodotti. Definendo, in fase di progettazione, il prezzo ammissibile che il prodotto potrà avere sul mercato e le quantità vendibili annualmente, in base alla quota di mercato posseduta, si arriva a determinare il “target cost”, cioè quel costo-obiettivo che garantisce all’impresa una remunerazione adeguata. Su questo tema cfr. ad esempio: M. Sakurai, Target Costing and how to use it, The Journal of Cost Management for the Manufacturing Industry, num. 2, 1989; A. Quagli, Il target costing come strumento di cost management, Budget, num. 5, 1996. 17 Cfr. ad esempio: R. Cooper, The Rise of Activity-Based Costing, The Journal of Cost Management for the Manufacturing Industry, num. 3, 1988; J. A. Brimson, Activity Accounting: An Activity-Based Approach, John Wiley & Sons Inc., New York, 1991. 18 Cfr. ad esempio: J. Innes, F. Mitchell, Activity-Based Costing Research, Management Accounting, settembre 1989. 19 Cfr. ad esempio: E. Santesso, Activity-Based Costing, Contabilità e Bilancio, num. 66, 1990; P. Collini, Sistemi di rilevazione contabile per gli ambienti produttivi avanzati, Cedam, Padova, 1993. 20 Cfr. R. B. Troxel, M. G. Weber, The Evolution of Activity-Based Costing, The Journal of Cost Management for the Manufacturing Industry, num. 2, 1990. 5 L’aspetto più importante di questo approccio non è però la possibilità di calcolare il full costing di un determinato oggetto attraverso l’utilizzo di parametri di allocazione dei costi comuni che meglio rispondono al principio funzionale21, quanto piuttosto il fatto di richiedere, per la sua realizzazione, l’analisi delle attività lungo la catena del valore che si svolge a monte del calcolo del costo del prodotto. La contabilità basata sulle attività, a differenza di quella tradizionale, si domanda innanzi tutto: “questa operazione deve essere davvero fatta? E se sì, dove conviene farla?”22. Questa analisi pone dunque in risalto quali sono le attività strategicamente rilevanti all’interno dell’impresa, al fine di fornire una base chiara e precisa per l’identificazione delle operazioni del business e la successiva determinazione sia dei loro costi, sia delle loro performances. E’ chiaro quindi come questa metodologia si ispiri al concetto di “catena del valore” introdotto da Porter23, secondo il quale il vantaggio competitivo di un’impresa deriva dalla creazione di valore per i clienti in misura superiore ai costi che si sostengono per crearlo. E questo risultato dipende dalla performance raggiunta nello svolgimento di attività fisicamente e strategicamente distinte che rappresentano le componenti della catena del valore. Ma se, come abbiamo già detto, il costo non è più la principale fonte della redditività, la contabilità direzionale, per aiutare la struttura aziendale e stimolarla al raggiungimento delle performance desiderate, deve disporre di misure ed informazioni ulteriori. In particolare la spina dorsale di una contabilità direzionale efficace dovrebbe essere costituita, come sostiene Johnson24, oltre che dalle informazioni fornite dall’ABC (costi delle attività e dei prodotti), da informazioni di natura qualitativa e quantitativa (non economico-finanziarie) relative alle fonti di valore competitivo (flessibilità, qualità, soddisfazione del cliente, ecc.) connesse alle attività dell’impresa. Attraverso il monitoraggio dei cost-drivers e l’individuazione degli indicatori di performance (i cosiddetti “Non Financial Indicators” o NFI) si possono così ottenere indicazioni sul grado di efficacia delle attività nel perseguimento degli obiettivi aziendali25. Questi due sotto-sistemi informativi vanno a formare quello che Johnson ha definito “Activity-Based Information System” (ABIS)26, cioè quel sistema informativo che rende disponibili tutte le informazioni, monetarie e non, che sono necessarie per la gestione delle attività. 21 Sulla definizione di principio funzionale cfr. V. Coda, I costi di produzione, Giuffrè, Milano, 1968. P. Drucker, Il grande cambiamento, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1996, pag. 120. 23 M. E. Porter, Competitive Advantage, The Free Press, New York, 1985. 24 H. T. Johnson, Activity-Based Information: A Blueprint for World-Class Management Accounting, Management Accounting, giugno 1988, pag. 23. 25 In merito alle problematiche di progettazione ed implementazione di un sistema di misurazione delle performance cfr. R. Silvi, La progettazione del sistema di misurazione della performance aziendale, Giappichelli, Torino, 1995. 26 H. T. Johnson, op. cit., 1988, pag. 23. 22 6 Figura 1: La raccolta di informazioni per attività lungo la catena del valore (L’ABIS) 27 Mediante gli indicatori di inefficienza e di capacità competitiva (quali ad esempio: tempi di riattrezzaggio, time to market, distanze coperte nella movimentazione interna, numero di tipi di parti componenti per prodotto, ecc.) si riesce ad individuare i generatori delle attività che non aggiungono valore e quindi a eliminarli28. “Utilizzando in modo coordinato le informazioni non monetarie e quelle economicofinanziarie rilevate per attività lungo la catena del valore, è possibile fornire alla direzione quelle informazioni di cui essa ha bisogno per muoversi nell’attuale ambiente competitivo. Le informazioni di contabilità direzionale rilevate ed elaborate secondo l’approccio activity-based information sono la chiave per ottenere un continuo miglioramento della redditività, per iniziare un viaggio senza fine”29. Il pensiero di Johnson è stato successivamente sviluppato, generando quel filone di studi conosciuto come Activity Based Management (ABM) che, in estrema sintesi si differenzia dall’ABC in quanto non si propone come sistema avanzato di gestione dei costi, ma piuttosto come sistema per gestire le attività. L’ABC rappresenta quindi un punto di partenza per l’introduzione di un nuovo stile manageriale. L’analisi delle attività, svolgendosi a monte del calcolo dei costi di 27 Nostro adattamento da: H. T. Johnson, op. cit., 1988, pag. 24. Molti sono gli studiosi che hanno messo in evidenza l’importanza di individuare, in un’azienda, il lavoro “inutile”, che non aggiunge valore per il cliente. Cfr. ad esempio: J. G. Miller, T. E. Vollmann, The Hidden Factory, Harvard Business Review, sett.-ott. 1985, pag. 142-151, i quali ritengono che ci sia un’intera “fabbrica nascosta”, all’interno del più evidente stabilimento produttivo fisico, priva di valore aggiunto. 29 H. T. Johnson, op. cit., 1988, pag. 30. 28 7 prodotto, costituisce infatti per il management un’eccezionale fonte di informazioni sulle attività che si svolgono in azienda, fornendo così un enorme potenziale per il loro controllo e per la loro gestione attiva. L’ABC e l’ABM sono quindi due facce della stessa medaglia: l’ABC reperisce le informazioni e l’ABM le utilizza per effettuare una serie di analisi volte a rendere possibile il miglioramento continuo. La figura 2 raffigura il legame esistente tra l’ABC e l’ABM. Figura 2: Come l’ABM utilizza le informazioni dell’ABC30 Il modello ABC-ABM riportato si articola in due sezioni. La prima (quella verticale) risponde all’esigenza di attribuire i costi delle risorse aziendali alle singole attività e i costi delle attività agli oggetti di costo (tipicamente i prodotti), per poi prendere correttamente decisioni cruciali (ad esempio in materia di determinazione dei prezzi, selezione dei fornitori, progettazione del prodotto, ecc.). La seconda sezione (quella orizzontale) risponde invece all’esigenza di disporre di informazioni di tipo nuovo sull’andamento delle attività, ovvero sulle loro cause (cost-drivers) e sui loro livelli qualitativi (misure di performance). In definitiva l’ABM amplia i concetti e la portata dell’ABC. Se si considera, per esempio, l’attività di gestione degli ordini, l’obiettivo dell’ABC è capire quanto costa tale attività, quello dell’ABM è individuarne le fasi eliminabili (che non creano valore) e i miglioramenti apportabili alle altre. Non limitandosi alla sola analisi dei costi, quindi, l’ABM rappresenta una nuova filosofia di gestione che considera le attività come l’elemento principale del controllo di gestione, e in questo senso costituisce uno 30 Nostro adattamento da: P. B. B. Turney, Activity Based Management. ABM Puts Information to Work, Management Accounting, gennaio 1992, pag. 21. 8 strumento di supporto alla risoluzione dei problemi e allo sviluppo delle strategie aziendali, comportando riflessi su tutta l’organizzazione. A ben vedere, lo stesso Johnson qualche anno più tardi ha criticato l’efficacia degli strumenti activity-based: “queste tecniche di gestione dei costi a livello di attività non generano mappe dei processi, non sono mirate alle esigenze dei clienti e non producono un flusso di idee dal basso verso l’alto atte a creare un miglioramento continuo dei processi”31; insomma continuano ad essere in linea con la visione verticale del controllo, di tipo top-down. In letteratura viene evidenziata una differenza insopprimibile e profonda tra “visione per attività” e “visione per processi”: le informazioni relative ai processi individuano un cliente, un fornitore e un meccanismo per trasformare le risorse in prodotti adatti per il cliente; le informazioni sulle attività indicano invece il tempo (o il costo) che un’azienda dedica, e dove lo dedica, ma non indicano le modalità di esecuzione del lavoro, né contribuiscono a migliorare il grado di soddisfazione dei clienti; inoltre non sono raccolte e controllate da chi svolge effettivamente il lavoro. Quindi, nonostante il suo orientamento apparentemente “orizzontale”, il sistema di gestione dei costi basato sulle attività, è stato accusato di essere semplicemente un altro tipo di strumento di comando dall’alto, usato per controllare i dipendenti. Questo spiega perché i giapponesi hanno dimostrato poco interesse nelle tecniche activity-based, i quali “sembrano preferire un tipo di controllo che fa meno affidamento sul sistema e più sulla capacità degli individui di imparare a conoscere i processi e a prendere decisioni in merito al miglioramento dei processi basandosi sull’osservazione diretta”32. Recentemente, poi, l’efficacia dell’ABM, come strumento di controllo direzionale, è stato oggetto di analisi mediante indagini empiriche33. Tali indagini hanno evidenziato numerosi motivi sottostanti al fallimento dei progetti di ABM: si va dalla mancanza di impegno da parte del top management alla mancata definizione di obiettivi chiari, dalla mancanza del collegamento con altre iniziative strategiche aziendali (quali il JIT, il TQM e il BPR) all’assenza del coinvolgimento dei lavoratori. Ma soprattutto è mancato un “salto di qualità” nel tipo di informazioni raccolte e un nuovo approccio al sistema informativo. In sintesi: ci si è accontentati di avere “Old Wine in New Bottles”, mentre ciò che occorreva era “New Wine in New Bottles”34. Diversi sono oggi i tentativi di “correggere” l’impostazione activity-based, alla ricerca di questo “New Wine”. C’è ad esempio chi accusa la contabilità direzionale di guardare solo a ciò che accade internamente all’impresa, continuando a considerare la singola organizzazione (la fabbrica, la banca, l’ospedale, ecc.) come “il” centro di costo, senza accorgersi che, 31 H. T. Johnson, op. cit., pag. 165. Così si esprime A. Nanni, Automation and Management Accounting in Japan, John Wiley, New York, 1991, pag. 5. 33 Cfr. in particolare: R. S. Player, D. E. Keys, Lessons from the ABM battlefield: Getting off to the right start, Journal of Cost Management, spring 1995, pag. 26-33. 34 Si fa qui riferimento alla metafora usata da J. K. Shank, V. Govindarajan, Strategic Cost Management, The Free Press, New York, 1993, pag. 2. 32 9 invece, i costi che contano sono quelli dell’intera catena economica, di cui la singola fabbrica, banca, ospedale, ecc. rappresenta solo un anello. Questa critica, che ha evidenziato la mancanza di attenzione alle informazioni relative all’ambiente esterno, ha portato allo sviluppo dello Strategic Cost Management (gestione strategica dei costi)35. Secondo questo approccio conoscere il costo della propria attività non è sufficiente per competere con successo in un mercato globale; le aziende devono invece comprendere l’intera catena economica e collaborare con gli altri anelli di questa, per governare i costi e massimizzare i rendimenti. I primi a capire ciò furono i giapponesi, i quali iniziarono a spostare l’attenzione dalla propria azienda alla keiretsu (cioè l’insieme dei fornitori e distributori organizzati attorno a un produttore, considerato come un’unica grande “famiglia”). Una volta chiarita l’importanza di ampliare l’ottica di analisi, resta però ancora un interrogativo: cosa misurare esattamente? Ecco a questo punto che la “visione orizzontale” si ripercuote sul controllo direzionale: essa fa emergere con forza nuovi oggetti rispetto ai quali il vertice di un’impresa necessita di informazioni. Innanzi tutto le critiche mosse all’ABC hanno portato al cosiddetto Process Based Costing (PBC)36, un sistema di controllo dei costi che ha come fondamentale oggetto di calcolo i processi aziendali. In particolare questo approccio consente di superare alcuni dei limiti connessi al collegamento tra attività e processi. L’obiettivo del PBC (oltre al perfezionamento del calcolo del costo pieno di prodotto) è il monitoraggio costante dei processi aziendali, al fine di ottenere una serie di informazioni circa la economicità dei processi in termini di consumo di risorse, di tempi impiegati, di livello qualitativo conseguito, di generazione di valore (cioè quella base informativa necessaria per poter realizzare successivamente interventi per migliorare la performance dei processi stessi). Secondo l’impostazione più condivisa, la fase centrale che contraddistingue il PBC dall’ABC, è la determinazione del costo dei processi, cioè quell’insieme di “attività interdipendenti, svolte utilizzando input di varia natura (dalle idee ai materiali, dalle informazioni agli impianti, dai documenti ai prodotti finiti) che vengono «trattati» per ottenere un determinato output”37 Si sceglie cioè di rinunciare alla definizione dei costi delle singole attività, determinando direttamente i centri di costo sulla base dei processi: a fronte della perdita di alcuni gradi di dettaglio, si ottiene il vantaggio di avere immediatamente informazioni sintetiche e si evita di dover svolgere complesse operazioni di ripartizione dei costi comuni. Infatti le attività aziendali possono essere numerosissime ed il ribaltamento delle attività, ad una ad una, sui prodotti, con la scelta di altrettanti cost-drivers, può essere un 35 Cfr. ad esempio: J. K. Shank, V. Govindarajan, op. cit.; M. Bromwich, A. Bhimani, Management Accounting: Pathways to Progress, CIMA, London, 1994. 36 Per approfondimenti si vedano ad esempio: T. G. Greenwood, J. M. Reeve, Process Cost Management, The Journal of Cost Management for the Manufacturing Industry, num. 1, 1994; R. A. Lawson, op. cit. 37 cfr. L. Marchi, S. Marasca, Il sistema delle operazioni e la dinamica dei processi, op. cit. pag. 11. 10 procedimento estremamente lungo ed oneroso. La difficoltà può essere superata quindi partendo da una semplice considerazione: le attività all’interno dello stesso processo, data la omogeneità funzionale e la medesima finalità, possono essere ripartite tramite lo stesso cost-driver. Dunque, conviene eseguire i ribaltamenti direttamente a livello di processo, senza distinguere le singole attività. Questa è l’impostazione del cosiddetto “PBC puro”. Ma il “New Wine” di cui si è parlato non consiste tanto in nuovi metodi di calcolo dei costi, quanto in veri e propri nuovi oggetti di misurazione. Così come dall’ABC si è passati al PBC, l’evoluzione naturale dell’ABM non poteva che essere il Process Based Management (PBM). Anche nell’impostazione processbased, cioè, si è ripreso l’assunto di base dell’ABM, secondo cui la dimensione costo non può essere l’unica variabile su cui fondare la gestione aziendale: “la contabilità finanziaria, i bilanci, le stime dei profitti e delle perdite, l’allocazione dei costi e così via, rappresentano una sorta di radiografia dello scheletro dell’impresa. E così come le malattie più frequentemente causa di morte non sono evidenziate da una radiografia dello scheletro, un arretramento nella posizione di mercato o un insuccesso nell’innovazione, non compaiono nelle cifre contabili finché il danno non è fatto”38. Il PBM si basa in particolare sul Process Based Performance Measurement: i parametri che misurano le performance di processo, più di qualunque altra cosa, determinano le modalità di comportamento e influenzano le decisioni. Gli attori aziendali al fine di perseguire gli obiettivi dell’organizzazione orizzontale hanno bisogno di indicatori chiari e significativi da tenere costantemente sotto controllo. Ecco allora che la disponibilità di strumenti in grado di illustrare la performance dell’organizzazione, a seconda del punto di vista di ciascun utilizzatore, agevola il processo decisionale e permette il pieno coinvolgimento della struttura. In un’organizzazione orizzontale, basata sui gruppi di lavoro, i parametri devono essere decisi dai gruppi stessi, non dai massimi dirigenti in quanto lo scopo di tali parametri è quello di guidare i gruppi verso il raggiungimento dei loro obiettivi di processo e non quello di favorire il controllo da parte dell’alta direzione. Infine l’approccio orizzontale ha portato allo sviluppo, oltre che del PBM, del cosiddetto Customer Driven Management (CDM)39 - che pone al centro delle misurazioni i clienti e la loro soddisfazione. Infatti le imprese si sono rese conto che “oggi ciò che conta non è la quota di mercato, ma la quota di spazio conquistata nella testa dei clienti”40. In particolare, un progetto supportato dall’Unione Europea ha dato il via, a fine marzo di quest’anno, alla realizzazione di un indice europeo di customer satisfaction, l’Ecsi (European Customer Satisfaction Index), confrontabile con l’analogo indice già operante dal 1994 negli Stati Uniti (l’Acsi). La metodologia dell’Acsi, alla quale l’Ecsi si è ispirato, si basa su un assioma fondamentale: un cliente veramente soddisfatto deve mostrare almeno tre caratteristiche. 38 P. Drucker, op. cit., pag. 115. Cfr. A. Bubbio, Contabilità dei costi, in J. K. Shank, V. Govindarajan, op. cit., pag. 307. 40 M. Canepa, Vince chi ha più sprint, Il Sole 24 Ore, 16-11-1998. 39 11 Innanzi tutto deve essere fedele; in secondo luogo deve, nel tempo, aumentare il proprio volume di affari; infine deve essere relativamente insensibile a variazioni di prezzo. Ognuna di queste caratteristiche può e deve essere misurata quantitativamente: occorre capire come e in quale misura i diversi fattori da cui dipende la customer satisfaction influiscono sulle scelte successive del cliente. Il punto fondamentale del CDM è quindi quello di legare la customer satisfaction con i risultati economici che essa produce. Solo così si può suscitare l’attenzione dell’alta direzione sul tema. In definitiva l’assioma sul quale è necessario riflettere è che “la priorità non è più quella di fare autopsie a posteriori sull’operato del management, ma quella di utilizzare strumenti che diano la possibilità di una gestione veramente pro-attiva dell’impresa, capaci cioè di indicare la rotta giusta anche durante la creazione dei risultati e non solo dopo”41. La sola disponibilità di informazioni, come detto, non è di per sé sufficiente a garantire il successo di un’organizzazione process driven: ciò che dà all’informazione il reale valore è la sua disponibilità a tutti i livelli in cui è richiesta, quando è richiesta. “Disporre di autostrade efficienti che trasportino i nuovi tipi di informazioni”42 è l’emergente necessità dell’azienda del XXI secolo. Questo aspetto è il tema centrale di un altro argomento attorno al quale in ambito tecnologico e organizzativo si sta sviluppando un ampio dibattito, il sistema informativo orizzontale rappresenta infatti ovvero il tassello mancante nel mosaico del nuovo contesto competitivo, la “colla” in grado di tenere unita l’organizzazione per processi. 4. L’evoluzione dei sistemi informativi aziendali I fabbisogni informativi collegati alla gestione per processi impongono alle aziende di concepire il proprio sistema informativo (S.I.) in modo del tutto nuovo. Con il termine “sistema informativo” si vuol intendere “l’insieme di vari elementi: dati, informazioni, risorse tecniche, umane e metodologiche, e delle loro relazioni, finalizzato a soddisfare, con efficacia ed efficienza, le esigenze conoscitive interne ed esterne d’azienda”43. La figura che segue schematizza questo concetto. Al di là, comunque, di questa struttura di base, negli anni il sistema informativo ha acquisito via via maggiori dimensioni e livelli di complessità. Si è passati da una pura e semplice razionalizzazione dei flussi informativi disponibili e necessari per il funzionamento dell’impresa, alla costruzione di sistemi integrati di gestione delle informazioni, che consentono al management di porre in essere i propri processi decisionali nella maniera più rapida ed efficace possibile. Questa evoluzione è il risultato dell’azione concomitante di almeno tre ordini di fenomeni, i quali si sono influenzati reciprocamente: F. Grattagliano, Dai nuovi indicatori un faro per l’impresa, Il Sole 24 Ore, 15-3-1999. G. Busellu, P. Costantin, M. Merlino, L’organizzazione process driven, Sviluppo & Organizzazione, mar.-apr. 1996, pag. 115. 43 Cfr. L. Marchi, I sistemi informativi aziendali, Giuffrè, Milano, 1993, pag. 7. 41 42 12 la necessità di disporre di informazioni in quantità e qualità crescenti nel tempo, al fine di soddisfare le mutevoli e sempre più esigenti richieste provenienti dai vari organi aziendali; l’affinamento delle conoscenze realizzatosi nell’ambito delle problematiche economiche e delle tecniche di gestione; l’evoluzione tecnologica che ha interessato il mondo dell’informatica, la quale ha permesso di ottenere elaboratori elettronici con potenzialità sempre maggiori, a costi decrescenti. Figura 3: Gli elementi costituenti il sistema informativo aziendale La prima fase di utilizzo e sviluppo degli elaboratori trova la propria giustificazione nella necessità di risolvere problemi amministrativi, cercando di ottenere vantaggi in termini soprattutto di velocità, rispetto ai precedenti metodi di trattamento manuale dell’informazione; in letteratura viene indicata, normalmente, con il termine Electronic Data Processing System (EDP System), o Sistema di Elaborazione Dati, cioè quel sistema caratterizzato dall’uso di procedure standard e dall’enfasi rivolta alla precisione e all’accuratezza dei risultati, con specifico orientamento all’efficienza. Successivamente, verso la fine degli anni cinquanta, si sentì la necessità di costruire una “base di dati” sull’andamento delle attività operative aziendali (in parte già automatizzate nella fase precedente), per supportare il controllo direzionale. Così lo scopo dei sistemi informativi divenne quello di aggiornare con frequenza e continuità i “quadri di controllo” aziendali. Si è quindi provveduto a realizzare applicazioni di contabilità generale, di controllo di gestione e sistemi di reporting sulle attività più significative. L’insieme di queste procedure automatizzate, che fornivano informazioni di carattere standardizzato e in modo routinario alla direzione, venne indicato con il termine Management Information System (MIS), o Sistema Informativo Direzionale, il 13 quale poneva l’enfasi sulla tempestività e affidabilità delle informazioni, consentendo un orientamento non più solamente verso l’efficienza, ma anche verso l’efficacia. Mentre con la funzione EDP i vantaggi della tecnologia informatica si erano manifestati principalmente nei tempi di elaborazione, con il MIS si ebbe una notevole evoluzione nelle operazioni di raccolta dati e distribuzione dei risultati e un miglioramento nella comunicazione fra le diverse aree. Tuttavia col tempo nelle imprese emersero prepotentemente nuove esigenze informative: quelle destinate al top management e riguardanti la pianificazione strategica. La risposta a queste esigenze è stato il Decision Support System (DSS), o Sistema di Supporto alle Decisioni, definito come “un sistema coerente che sfrutta la tecnologia dei computer (hardware e software) per applicare i principi di management science in modo da aiutare i manager nell’ambito dei processi decisionali non predefiniti e non strutturati”44. Possiamo sinteticamente affermare che dopo la fase centrata sui dati (EDP System) e quella centrata sulle informazioni (MIS), si è passati ad uno stadio evolutivo caratterizzato dal focus sulle decisioni (DSS), in cui la tecnologia è orientata all’accrescimento delle capacità decisionali dell’alta direzione. I DSS si pongono quindi come strumenti a disposizione dei manager per fornire informazioni atte a facilitare il processo decisionale, senza nessuna presunzione di sostituire il processo stesso. L’enfasi è posta sull’interazione uomo-macchina, lasciando al primo la responsabilità di giudizio e di scelta: il computer non decide, è solo uno strumento utile alla direzione per valutare più alternative prima che la decisione venga effettivamente presa45. I tre tipi di sistemi fin qui analizzati, storicamente veri e propri stadi evolutivi, oggi non sono altro che tre differenti aspetti contemporaneamente presenti in un sistema informativo automatizzato. Infine negli anni ottanta sono apparsi i primi Expert Support Systems (ESS)46, sistemi che sovrappongono alle caratteristiche dei DSS la tecnologia dei cosiddetti Sistemi Esperti, sviluppati dagli studiosi di intelligenza artificiale. Con l’ESS si cerca di simulare il comportamento di un soggetto umano portatore di una “expertise” specifica: esso si applica a quei problemi di diagnosi, di spiegazione, o di scelta in cui il grado di complessità del problema impone per la sua soluzione il ricorso all’esperienza umana. 44 J. Bennet, Building DSS, Addison Wesley, Reading Mass, 1983, pag. 28. Le simulazioni rese possibili dai modelli quantitativi incorporati nei DSS sono principalmente: what if: permette, mettendo in input il valore della variabile indipendente, di ottenere come output il valore della variabile dipendente; goal seeking: mettendo in input il valore della variabile obiettivo, si ottiene come output il nuovo valore della variabile da cambiare; impact: permette la ricerca delle cause che influenzano maggiormente la variabile oggetto di interesse; analyse: consente la ricostruzione delle determinanti di una variabile complessa. 46 Cfr. L. F. Luconi, W. T. Malone, S. M. Scott Morton, Expert Systems: the next challenge for managers, Sloan Management Review, estate 1986. 45 14 Mentre i DSS rispondono a domande what if e a richieste analyse, l’ESS si focalizza su problemi del tipo: now what, why e tell me what to do, fornendo un supporto più consistente al decisore. In sostanza, ciò che la nuova tecnologia “esperta” aggiunge a quelle precedenti è la possibilità di formalizzare per via logica le linee di ragionamento che guidano un soggetto a definire, specificare, modellare e risolvere un problema. In definitiva, il supporto che ne deriva al processo decisionale è, contemporaneamente: più ampio, per la possibilità di comprendere anche quanto non illustrabile in modo quantitativo; più profondo, per la possibilità di integrare i dati con la rappresentazione dei ragionamenti usati per tradurli in orientamenti e opinioni; più completo, per la esplicitazione dei criteri valutativi che invece normalmente restano a livello individuale, e magari anche inconscio. Quando si parla, però, di “evoluzione dei sistemi informativi” non si vuole indicare solo il cambiamento concettuale e l’ampliamento delle funzioni attribuite a questa area, ma si sottintende anche l’evoluzione dell’architettura del S.I. 47, l’evoluzione del ruolo dell’utente e l’evoluzione delle basi di dati, tutti aspetti strettamente correlati tra loro e che hanno avuto un grande impatto, condizionando il percorso di sviluppo dei S.I. 5. Information technology: “enabler” del cambiamento organizzativo Nonostante il processo evolutivo e le profonde trasformazioni che hanno riguardato il sistema informativo aziendale, questo oggi, in molte aziende, continua a rappresentare un vincolo all’azione manageriale: non riesce a fornire i dati e le informazioni effettivamente utili; blocca la realizzazione rapida di decisioni che il manager vorrebbe prendere, per esempio, riguardo a ristrutturazioni, progetti di reengineering, apertura verso nuovi mercati. Sempre più spesso si discute sulla rigidità dei sistemi informativi aziendali: “quello che c’è di mezzo tra il dire e il fare è sempre più spesso il S.I.. Quest’ultimo sembra essere la colla che impedisce alle imprese di camminare più svelte”48. Numerose sono state le cause di tale situazione: i criteri di progettazione delle architetture hardware e software utilizzate in passato, che hanno portato alla realizzazione di ambienti complessi e poco malleabili; la rapidità dell’innovazione tecnologica che, pur creando potenzialmente interessanti opportunità applicative, si scontra con una contestuale lentezza nell’introduzione delle novità; una continua evoluzione delle esigenze informative dell’impresa congiunta all’incapacità dei manager di esprimere ciò di cui hanno effettivamente bisogno e ad una scarsa conoscenza dei medesimi sulle reali possibilità offerte dalla tecnologia. Per “architettura” del S.I. si intende la distribuzione fisico-spaziale degli impianti per l’acquisizione, l’elaborazione e la trasmissione dei dati. 48 Così si è espresso C. Demattè al workshop Il sistema informativo, vincolo moderno all’azione manageriale organizzato da Economia & Management e svoltosi presso la SDA di Milano il 20.07.1999, cfr. A. Biffi, G. Barile, Il sistema informativo, vincolo moderno all’azione manageriale?, Economia & Management, num. 1, 1999, pag. 40. 47 15 Soprattutto però, ciò che è più deleterio è la convinzione (errata ma presente in molti manager) che l’information technology sia un fatto prevalentemente specialistico, sul quale decisioni e scelte di altro genere (ad esempio quelle organizzative) hanno un peso irrilevante. Mentre “una volta bastava iniettare nuove tecnologie perché le aziende ne traessero beneficio, ora la tecnologia costa poco ed è disponibile a tutti. Ciò che fa la differenza, il vantaggio competitivo, sta nel come viene integrata nel sistema aziendale, nel business. Finora il sistema informativo è stato pensato come contributo alla bottom-line, alla riduzione dei costi e all’efficienza, mentre oggi deve essere concepito come contributo alla top-line e alla strategia d’impresa”49. Spesso infatti ci si dimentica che un S.I., per essere veramente efficace, deve essere coerente con gli altri sottosistemi aziendali, in particolare con l’organizzazione. Tra questi esiste una stretta interrelazione: da un lato il sistema informativo influenza la qualità, la tempestività e l’accuratezza delle decisioni, dall’altro esso deve essere progettato in funzione delle caratteristiche delle decisioni da prendere in ciascuna unità organizzativa e per ogni tipo di attività. E’ dunque necessario ribaltare l’impostazione tradizionale della progettazione dei sistemi informativi, secondo cui il principio base era la produzione di una massa di informazioni la più ampia possibile. Seguendo questa logica: prima si effettuavano le scelte tecniche (hardware e software), poi si strutturava il S.I. in modo da produrre il maggior numero di informazioni (spesso ridondanti) e infine si andava alla ricerca dell’utente che potesse farne uso. Oggi invece si è capito che occorre partire dalla struttura organizzativa, definire quindi i fabbisogni dei vari soggetti aziendali e passare infine all’architettura del S.I., il cui compito fondamentale non è tanto quello di procurare la massima quantità di informazioni, bensì quello di fornirle qualitativamente adeguate, in termini di selettività, significatività e gestibilità da parte dei responsabili delle decisioni. In particolare, poi, negli ultimi anni l’attenzione di molti autori si è concentrata sul rapporto tra l’organizzazione e la componente strettamente tecnica del S.I., l’information technology (I.T.). Con quest’ultima espressione si vuole indicare l’insieme dei mezzi tecnici impiegati per combinare dati e informazioni, memorizzarli elettronicamente e trasmetterli nello spazio, cioè l’insieme di strumenti e meccanismi che riescono ad estendere le capacità umane, fornendo le informazioni necessarie in un momento specifico, in un luogo definito e in una forma opportuna. Più precisamente possiamo definire le tecnologie dell’informazione - per usare le parole di Child - come “gli strumenti e le applicazioni logiche che combinano i poteri di calcolo e memorizzazione di dati, propri dei computer, con le capacità di trasmissione, a distanza, dei mezzi telematici”50. Da più parti oggi viene sottolineato il ruolo dell’I.T. di “abilitatore”, “facilitatore” del cambiamento organizzativo: si ritiene cioè che le tecnologie dell’informazione possano 49 A. Biffi, G. Barile, op. cit., pag. 41. J. Child, Tecnologie dell’informazione e reti organizzative, Sviluppo & Organizzazione, mag./giu. 1988, pag. 78. 50 16 rendere possibile la realizzazione di nuovi assetti organizzativi e quindi costituire una condizione necessaria per migliorare l’efficienza operativa, decisionale e di controllo. Sempre più spesso si parla di “informatica aziendale”, per intendere “quell’area disciplinare avente come compito specifico lo studio dell’impatto delle tecnologie informatiche sulle condizioni di esistenza e manifestazioni di vita delle aziende” 51 e sottolineare quindi l’importanza che le tecnologie informatiche ricoprono nell’organizzazione aziendale. Figura 4: Evoluzione della logica di progettazione dei sistemi informativi Pur se in letteratura gli autori sono concordi nel ritenere che non è possibile adottare un approccio deterministico all’analisi degli effetti prodotti dalle tecnologie dell’informazione (non è cioè possibile affermare relazioni di causalità diretta tra specifiche applicazioni informatiche e altrettanto precise conseguenze organizzative), possiamo comunque evidenziare delle costanti, risultate da alcune ricerche empiriche. Già Leavitt e Whisler52 individuavano alcune conseguenze che le aziende degli anni ottanta dovevano attendersi a seguito della prevedibile espansione delle tecnologie dell’informazione. In particolare, avevano previsto l’inevitabile tendenza alla riduzione dei livelli gerarchici intermedi impegnati in ruoli di coordinamento e supervisione e la centralizzazione di molte funzioni operative, all’epoca necessariamente decentrate a causa dell’incapacità di governare con prontezza i processi di adattamento a fattori esogeni dell’impresa. Oltre alle intuitive conseguenze sulla progettazione delle mansioni e sulle modalità di lavoro delle persone (sostituendole nelle attività più routinarie e arricchendo così il 51 52 P. Camussone, Informatica Aziendale, Egea, Milano, 1990, pag. IX. H. J. Leavitt, T. L. Whisler, Management in the 1980s, Harvard Business Review, nov.-dic. 1988. 17 contenuto dei compiti assegnati) - aspetto che sinteticamente viene indicato con il termine “job-design” - il principale ruolo svolto dalle tecnologie dell’informazione nelle organizzazioni aziendali è quello di meccanismo di integrazione e coordinamento. In particolare, l’influsso dell’I.T. - in qualità di “gestore delle interdipendenze”53 - si manifesta attraverso: l’integrazione tra le fasi della catena del valore interna all’azienda; l’integrazione inter-aziendale (tra le diverse catene del valore dei soggetti economici); o, per usare la terminologia di Venkatraman54: “l’integrazione interna”; “il ridisegno del business network”. Figura 5: Impatto dell’I.T. sull’organizzazione Per quanto riguarda il primo aspetto, è noto infatti come oggi le strette interdipendenze tra le attività aziendali (ad esempio tra progettazione, produzione e vendita) vengono gestite mediante l’uso di reti elettroniche, elaboratori e basi di dati. Come conseguenza dell’integrazione informativa tra le diverse fasi si ha quello che è stato chiamato “value chain collapse”55 (letteralmente: collasso della catena del valore), cioè un accorciamento dei processi produttivi. E la diminuzione dei tempi di attraversamento - sia dei materiali che delle informazioni - lungo la struttura aziendale si traduce operativamente in termini di miglioramento delle capacità di risposta, innalzamento del grado di soddisfazione dei clienti e riduzione dei costi operativi. J. F. Rockart, J. E. Short, La tecnologia dell’informazione come meccanismo di integrazione organizzativa, Sviluppo & Organizzazione, sett.-ott. 1989, pag. 86. 54 N. Venkatraman, IT-Enabled Business Transformation: From Automatic to Business Scope Redefinition, Sloan Management Review, inverno 1994. 55 E. Invernizzi, Tecnologie informatiche e management negli anni novanta, Sviluppo & Organizzazione, mag.-giu. 1990, pag. 28. 53 18 L’I.T. fornisce inoltre un supporto determinante al lavoro di squadra. Basta pensare ai sistemi di posta elettronica, di videoconferenza o addirittura al telelavoro. In particolare, grazie ai supporti informatici: è possibile combinare competenze distinte in gruppi di lavoro inter-funzionali; si facilita l’accesso a fonti informative disperse; i singoli gruppi di lavoro, dotati dei supporti operativi e informativi necessari, diventano maggiormente autonomi dal resto dell’organizzazione; aumentano le possibilità di scambio di informazioni tra unità anche fisicamente distanti; si favorisce la rotazione dei compiti e la visibilità sui processi aziendali. Tutto ciò ha portato ad un forte sviluppo dei cosiddetti “groupware”, software specializzati volti a supportare il lavoro in team, con cui si passa “dalla condivisione delle informazioni alla creazione condivisa”56. Tale è la portata di queste soluzioni informatiche che il modello organizzativo emergente poggia le sue basi sui “virtual teams” (gruppi virtuali), definiti come “gruppi di lavoro che operano attraverso lo spazio, il tempo e i confini organizzativi, tenuti insieme da reti di tecnologie di comunicazione”57. Il secondo tipo di integrazione consentita dall’I.T. (quella inter-organizzativa) si riferisce alla possibilità di allacciare e mettere in comunicazione l’impresa con gli altri operatori economici, sia a monte sia a valle (fornitori, distributori, clienti). Si parla al riguardo di disintegrazione delle organizzazioni, per indicare come i confini di queste vengono erosi “dall’azione combinata della comunicazione elettronica (maggiori flussi di informazioni), della intermediazione elettronica (la capacità della tecnologia di collegare istantaneamente clienti e fornitori) e della integrazione elettronica (una più stretta connessione tra i processi inter-aziendali)”58. Ricordiamo a questo proposito l’importante contributo di Malone, Yates e Benjamin, i quali affermano che le nuove tecnologie consentono una maggiore correlazione fra le attività dell’intera catena economica, mediante lo sviluppo di “mercati elettronici”59. Oggi i sistemi Pos-Scanner (che consentono la lettura dei codici a barre) unitamente alla trasmissione elettronica dei dati (Electronic Data Interchange, o EDI) tra i diversi attori economici, permettono un notevole aumento della flessibilità ed una consistente compressione dei tempi logistici60. Quanto finora detto costituisce l’humus per la forma organizzativa del nuovo millennio, “inquietante e radicale”61: l’impresa virtuale, cioè quella “rete temporanea di M. R. Zincone, La tecnologia aiuta l’impresa, Il Sole 24 Ore, 16-4-1999. J. Lipnack, J. Stamps, Virtual Teams, J. Wiley, New York, 1997, pag. VII. 58 J. F. Rockart, J. E. Short, op. cit., pag. 86. 59 T. W. Malone, J. Yates, R. I. Benjamin, Electronic Markets and Electronic Hierarchies, Communications of the ACM, vol. 30, num. 6, 1987. 60 Su questi strumenti si basa il nuovo approccio manageriale della “quick response”, secondo il quale il vantaggio competitivo delle aziende moderne dipende dalla condivisione tempestiva delle informazioni tra tutti i membri della catena economica. Per approfondimenti cfr. ad esempio: C. Forza, A. Vinelli, La Quick Response nel tessile-abbigliamento e l’apporto delle tecnologie informatiche, Sviluppo & Organizzazione, num. 144, 1994. 61 E. Rullani, La rivoluzione post-fordista e il virtuale made in Italy, Ingenium, novembre 1997. 56 57 19 organizzazioni indipendenti connesse dall’I.T. per condividere competenze, costi e accessi ai rispettivi mercati”62. E’ evidente, in conclusione, che l’information technology può essere attualmente considerata come “uno dei più potenti fattori di unfreezing culturale, nonché il punto di partenza per un processo di cambiamento verso capacità innovative più solide”63, senza per questo sopravvalutarne le capacità di generare automatismi di cambiamento negli assetti organizzativi delle moderne imprese. Occorre infatti sempre avere una visione sistemica del cambiamento aziendale, il quale non può avvenire senza il coordinamento e l’azione coerente e simultanea, oltre che sulla tecnologia, anche sui processi e sulle persone: “la tecnologia da sola non può cambiare i processi ed i nuovi modelli organizzativi, così come i nuovi sistemi informativi falliscono se le risorse umane non hanno la conoscenza e le motivazioni adeguate”64. 6. Il superamento dei vincoli dei sistemi “legacy”: l’avvento delle soluzioni ERP Come abbiamo visto, le aziende si rivolgono sempre di più all’information technology per rispondere ai loro “bisogni strategici”: per governare la complessità, per ottimizzare la gestione aziendale, per integrare i processi interni con quelli dei clienti e dei fornitori, per migliorare la presenza sul mercato, per aumentare la flessibilità, ecc. L’andamento crescente del tasso annuo di crescita degli investimenti in strumenti-I.T. è una chiara dimostrazione dell’importanza assunta da questo settore negli ultimi anni. In particolare, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, una parte sempre più consistente di tali investimenti è stata rivolta ad una innovativa soluzione informatica e gestionale, ovvero ai cosiddetti sistemi ERP, acronimo inglese che sta per Enterprise Resource Planning, dizione da più parti contestata in quanto considerata troppo restrittiva e scarsamente indicativa delle caratteristiche di questi nuovi prodotti. La dimensione acquisita in poco tempo dal mercato ERP ha fatto di questo strumento uno degli “eventi” più rilevanti del mondo dell’information technology di fine millennio, paragonabile - secondo gli analisti - solo ad un altro fenomeno informatico di questo decennio: la rapida diffusione dei personal computer. Come si può vedere in figura 6, nel 1998 il mercato ERP ha avuto una crescita intorno al 20% (e la crescita della consulenza indotta è delle stesse dimensioni di quella relativa alla vendita e alla manutenzione del software). E questa “esplosione” sembra inarrestabile: in base ad uno studio condotto dalla Gartner Consulting, su un campione di 500 aziende europee, si è previsto per i prossimi due anni un incremento medio degli investimenti in soluzioni ERP del 55% (con l’Italia al secondo posto, solo dopo la Gran Bretagna, con una previsione di crescita del 68%)65. 62 L. Välikangas, M. Hoffman, Organizzazioni virtuali. Come gestire relazioni altamente instabili, Ingenium, novembre 1997. 63 T. J. Allen, M. S. Scott Morton (a cura di), Information Technology and the Corporation of the 1990s, Oxford University Press, Oxford, 1994, pag. 142. 64 C. Ampollini, M. Samaja, Come innovare il sistema di controllo di gestione, Franco Angeli, Milano, 1996, pag. 198. 65 Cfr. G. Capitani, Il ruolo degli strumenti ERP nelle strategie di cambiamento aziendale, relazione presentata alla manifestazione: “SAPforum 1999”, svoltasi a Milano il 29-3-1999. 20 Figura 6: PC ed ERP: i due grandi “eventi” del mercato dell’I.T.66 La lettura di questi dati porta inevitabilmente ad interrogarsi sulle cause di un tale successo. Diversi sono stati i fattori di questo sviluppo così eclatante. Innanzi tutto le aziende hanno visto nelle soluzioni ERP un mezzo per risolvere due grandi problemi imminenti: l’introduzione dell’Euro; la “datazione dell’anno 2000” (il cosiddetto “millenium bug”), virtualmente in grado di far precipitare nel soffio di un secondo - dalla mezzanotte del 31/12/1999 alle 00 dell’anno 2000 - l’ “era dell’informazione” nell’ “epoca della grande disfunzione digitale”, ovvero in una catastrofe tecnologica che potrebbe travolgere con “effetto domino” l’intera gamma delle attività umane, per un banale difetto (per la verità, inizialmente dettato dalla necessità di risparmiare byte di memoria) nella programmazione dei computer, in grado di leggere ed interpretare solo le ultime due cifre di ogni anno. Inoltre, come già visto, il mutato contesto competitivo e la globalizzazione dell’intera “value chain” hanno determinato pressanti esigenze per le imprese: razionalizzazione dei processi interni, riduzione del cycle time, aumento della flessibilità, presidio delle relazioni con i clienti e con i partner, ecc. Tutte questioni ancora non soddisfatte adeguatamente dagli attuali sistemi informativi. Cfr. A. Beretta, Le strategie di sviluppo dell’azienda e i sistemi ERP, relazione presentata al convegno Il sistema integrato ERP, svoltosi a Milano il 31-5-1999. 66 21 Ancora, le soluzioni Internet, Intranet ed Extranet, caratterizzanti la “Web Economy”, hanno portato ad un aumento esponenziale della disponibilità di dati, e quindi alla necessità di dotarsi di migliori strumenti di analisi e di mezzi idonei a sfruttare questa grande quantità di informazioni. Infine, punto di cui abbiamo già trattato, la gestione per processi, vera chiave di successo per le aziende del XXI secolo, richiede una profonda integrazione sia tra dati sia tra risorse (a tutti i livelli aziendali), che con i sistemi informativi tradizionali non può essere pienamente raggiunta. E’ stato giustamente osservato, in proposito, che: “il quoziente intellettivo di un’impresa è determinato dal grado di connessione, condivisione e organizzazione delle informazioni che la sua struttura I.T. riesce ad assicurare. Se isolati, applicazioni e dati, per quanto efficaci, possono produrre abili quanto inconsapevoli esecutori di operazioni, ma non un comportamento aziendale altamente funzionante”67. Le nuove esigenze di business si scontrano dunque con i sistemi informativi tradizionali, diventati un vero e proprio vincolo all’evoluzione aziendale. Questi ultimi sono nati per aggregazioni successive di componenti68 (andando a costituire i cosiddetti “sistemi legacy”) che, di volta in volta, si è cercato di collegare tra loro attraverso delle interfacce che consentissero alle diverse parti di comunicare. In primo luogo, questa genesi disordinata ha fatto sì che informazioni aventi la stessa natura o destinazione fossero disperse fra le diverse componenti: ad esempio dati anagrafici relativi ai clienti hanno finito col risiedere in parte presso l’amministrazione vendite, in parte presso l’unità di progettazione (per ordini speciali), in parte presso l’ufficio di fatturazione, in parte presso il recupero crediti e così via. Questo tipo di architettura ha costretto a inserimenti multipli di uno stesso dato, che oltre ad inutili costi, ha determinato il disallineamento e l’incoerenza delle informazioni. In secondo luogo, trattandosi di sistemi informativi settoriali, tutte le attività che attraversano orizzontalmente i confini funzionali - ossia i più importanti processi aziendali - uscivano dal loro ambito. In terzo luogo, l’integrazione tra i diversi sottosistemi, oltre a richiedere interventi da parte degli specialisti informatici, complessi e costosi, ha incontrato dei limiti fisici qualora il numero degli stessi è continuato ad aumentare (senza contare poi la necessità di ridefinire le connessioni ad ogni sostituzione di uno dei sottosistemi). Da ultimo, ma non per questo meno importante, un sistema così strutturato ha comportato tempi di aggiornamento non sempre adeguati alle esigenze di reattività che elevati livelli di coordinamento richiedono. E comunque i modelli decisionali che governano le singole applicazioni raramente possono essere integrati automaticamente: occorre l’intervento di esperti, che svolgano il ruolo di “ connettori Cfr. S. Uberti Foppa, Lo stato dell’arte nell’utilizzo dei sistemi ERP, relazione tenuta al convegno Il sistema integrato ERP, svoltosi a Milano il 31/05/1999. 68 Nel tempo si sono infatti stratificati diversi applicativi, quali: la contabilità generale e analitica, le procedure di ricevimento degli ordini, le procedure di acquisto, i sistemi di programmazione della produzione, i sistemi di gestione del magazzino, e così via, ognuno dei quali basato su tecnologie, linguaggi e strutture differenti. 67 22 intelligenti”. E ciò ha rallentato ulteriormente i tempi di risposta complessivi del sistema. Per cercare di ovviare alle manchevolezze sopra viste, sono stati sviluppati, fin dagli anni settanta, quelli che potremo definire “sistemi ad integrazione di ciclo”, con cui si intendono: i sistemi CRP (Capacity Requirements Planning), MRP (Material Requirement Planning) e MRP II (Manufacturing Resouce Planning) nell’area logisticoproduttiva, e i sistemi amministrativi evoluti, nell’area dell’amministrazione e controllo. Nel caso dei sistemi CRP, l’integrazione è stata ricercata all’interno del ciclo della produzione: attraverso una opportuna codifica dei componenti presenti nelle distintebasi dei prodotti, il sistema è in grado di pianificare la quantità di fattori produttivi necessari per realizzare un certo prodotto finito. Con la metodologia MRP l’ambito di integrazione si è ampliato alla determinazione dei fabbisogni di risorse necessari per alimentare i piani di produzione, ottenendo uno strumento capace di tenere sotto controllo contemporaneamente la produzione, i fornitori e i terzisti, in modo da consentire una lineare gestione dei materiali e in modo da ottenere contemporaneamente due importanti risultati: la massimizzazione del livello di servizio al mercato; la minimizzazione degli immobilizzi in scorte. I sistemi MPR II hanno perseguito invece l’integrazione non solo nell’area della gestione dei materiali, ma di tutti i cicli operativi principali (acquisto, trasformazione e vendita), basandosi su una logica pull: partendo dagli obiettivi di evasione degli ordini da parte dei clienti, tali sistemi dapprima verificano la fattibilità produttiva, poi procedono a lanciare i programmi di acquisto dei fornitori e, quindi, gli ordini interni di produzione69. Infine l’integrazione sul versante amministrativo è stata ricercata, per un verso, tra i diversi sottosistemi della contabilità (collegando ai sistemi di contabilità generale le contabilità sezionali, dei clienti e dei fornitori), per un altro verso, si è tentato di correlare i sistemi di contabilità analitica con quelli di contabilità generale, attraverso la definizione di un unico piano dei conti70. Tutto ciò però ha solamente contribuito a rendere ancora più complessa la gestione aziendale, senza superare i problemi sopra analizzati. La strada per la loro risoluzione si è aperta solo con la comparsa dei sistemi ERP, con cui l’integrazione del sistema informativo aziendale diviene nativa, nel senso che il sistema nasce già integrato sia sotto il profilo dell’architettura informatica, sia sotto quello della progettazione logica: gli archivi sono unici, le procedure sono strettamente collegate tra loro e l’aggiornamento dei database all’interno del sistema è gestito in modo unitario e centralizzato. 69 Per approfondimenti su queste metodologie cfr. ad esempio: J. Orlicky, Material Requirements Planning, McGraw-Hill, New York, 1975; G. Levy, MRP II: logica e implementazione, Franco Angeli, Milano, 1994. 70 Cfr. ad esempio: M. Saita, Il sistema amministrativo evoluto, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1988. 23 Per apprezzare appieno il percorso che l’informatica aziendale ha dovuto compiere per giungere ai sistemi ERP, può essere utile rifarsi alla schematizzazione del processo di sviluppo, in azienda, delle applicazioni informatiche, proposta da Nolan e Gibson71: Figura 7: Il ciclo di vita dei sistemi informatici Secondo tale modello, rigidamente sequenziale, nel corso della sua esistenza, ogni azienda si trova a dover percorrere, più o meno velocemente, con maggiori o minori problemi, un percorso evolutivo di sviluppo informatico sintetizzabile in quattro fasi: la fase di introduzione, solitamente avviata con l’automazione di procedure locali, vede nell’informatica la possibilità di ridurre i costi connessi alla gestione di attività ripetitive e routinarie (si pensi ad esempio alle procedure di contabilità generale); nella fase di espansione si assiste all’avvio di nuovi progetti, sia in virtù della presenza di eccesso di capacità ereditata dallo stadio precedente, sia grazie alla maggior familiarizzazione con le tecnologie informatiche raggiunta da un numero crescente di operatori. L’impiego dell’informatica si estende così anche ad attività meno strutturate come quella del controllo di gestione; la fase di controllo e razionalizzazione si caratterizza per i primi sforzi di integrazione delle diverse applicazioni appartenenti alla stessa area funzionale e, soprattutto, per la crescente attenzione rivolta alla gestione del patrimonio aziendale dei dati. Sono tipici di questa fase, ad esempio, gli interventi di centralizzazione delle attività di progettazione del sistema informativo amministrativo, volti a mettere ordine nella varietà dei sistemi locali diffusisi nelle fasi precedenti; 71 R. Nolan, C. Gibson, Managing the Four Stages of Edp Growth, Harvard Business Review, gen.-feb. 1974. 24 la fase di maturità, infine, è caratterizzata dall’enfasi posta sull’integrazione tra procedure e sistemi appartenenti ad aree funzionali diverse: l’attenzione si sposta dal patrimonio dei dati ai sistemi di comunicazione e condivisione delle informazioni a livello globale d’impresa. Alla luce di questo schema è chiaro come l’introduzione in azienda dei sistemi ERP si propone come fase evoluta del processo di informatizzazione: richiede dunque di essere adeguatamente preparata e guidata, giacché rappresenta un vero e proprio salto di qualità, ma anche di complessità, rispetto ai sistemi precedenti. Infine, per avere un’idea dell’impatto di queste nuove soluzioni sull’organizzazione, ricorriamo alla matrice di Gerstein e Reisman, i quali hanno classificato le tecnologie dell’informazione in base a due dimensioni: la criticità operativa, con cui si intende il grado di dipendenza dei processi di gestione operativa dagli interventi di informatizzazione. Sono cioè “cruciali” tutte quelle applicazioni che supportano le attività di gestione operativa e senza l’ausilio delle quali la funzionalità del sistema aziendale o la qualità del servizio fornito ai clienti risulterebbero pregiudicati; la rilevanza strategica, ovvero la rilevanza dell’introduzione di strumenti I.T. per la competitività aziendale. Sono quindi “rilevanti strategicamente” quelle applicazioni da cui dipende in misura decisiva il vantaggio competitivo - di costo o di differenziazione - dell’impresa. Figura 9: L’impatto in azienda dei sistemi ERP secondo la matrice di Gerstein e Reisman 72 La elevata pervasività dei sistemi ERP nella gestione aziendale ne fa sicuramente un tassello fondamentale per il buon svolgimento della gestione. Si può anzi affermare che, mentre in un sistema informativo tradizionale composto da diversi sottosistemi più o meno autonomi, il mal funzionamento di uno di questi non pregiudica lo svolgimento delle attività aziendali, nel caso dei sistemi integrati ogni disfunzione ha profonde e dirette ripercussioni sulla gestione complessiva. 72 Nostro adattamento da: M. Gerstein, H. Reisman, Creating competitive advantage with computer technology, Journal of Business Strategy, vol. 3, num. 1, 1982. 25 Per converso, sulle aspettative di elevata integrazione rivolte a queste nuove soluzioni, il management costruisce strategie di efficienza e flessibilità da cui dovrebbero derivare un vantaggio competitivo significativo. I sistemi ERP si collocano dunque fra le applicazioni di maggior portata strategica ma anche a più elevata criticità operativa. Ciò spiega i legittimi timori di coloro che si stanno avvicinando a questo nuovo strumento. 7. Punti di forza ed aspetti critici nell’implementazione degli ERP In relazione a quanto riportato, un sistema informativo integrato può essere definito come “un insieme di moduli software che operano su un’unica base di dati, opportunamente concepita. Ed ognuno di questi moduli serve in genere uno specifico segmento del portafoglio applicativo”73. Spesso il package ERP viene venduto come la sostituzione dell’intero sistema informativo esistente, ma così non è. Esso, per quanto completo e complesso, è solo uno degli strumenti necessari per il supporto al governo d’impresa. Nello stesso tempo però occorre essere consapevoli che quando si avvia un progetto ERP non si sta semplicemente per installare un software, bensì si sta impostando un percorso di innovazione aziendale che metterà in discussione l’intera organizzazione e le sue regole di business. Infatti “l’utilizzazione di questi pacchetti gestionali non è un semplice esercizio tecnologico. E’ piuttosto una rivoluzione organizzativa, che richiede l’intervento di specialisti, al momento rari e costosi, con profonde esperienze aziendali oltre che conoscenze di informatica”74. Pur non costituendo la soluzione di tutti i problemi, bensì solo l’input iniziale di un profondo ripensamento dell’impresa, resta comunque il fatto che i sistemi ERP supportano la gestione aziendale su diversi piani: quello della integrazione delle attività, quello della comunicazione fra le unità aziendali, quello della tempestività e qualità delle decisioni. Sul piano della integrazione delle attività, in un sistema ERP le procedure operative riferite ai diversi eventi gestionali vengono sistematicamente correlate in modo da creare catene di processi, e qualsiasi transazione avviata in un modulo applicativo comporta automaticamente il relativo aggiornamento dei dati inerenti quella transazione in tutte le aree correlate. Sul versante della comunicazione, un sistema informativo unico integrato offre a ciascun operatore una analoga visibilità sui principali processi aziendali. In un sistema tradizionale i dati possono essere disallineati (e quindi diversi), poiché diversi sono i sistemi informativi in dotazione in ciascuna area e poiché diversi sono i linguaggi aziendali sviluppati localmente per interfacciare i vari ambienti di riferimento. Così la mancanza di standard comuni rallenta e rende difficoltoso il 73 G. Bracchi, G. Motta, Processi aziendali e sistemi informativi, Franco Angeli, Milano, 1997, pag. 228. Così di esprime Michael Hammer; cfr. P. G. Perotto, Metti l’intera azienda nel computer, Media Duemila, num. 2, 1999, pag. 40. 74 26 flusso delle informazioni fra le unità; la diversa organizzazione dei dati porta ogni area ad approcciare lo stesso problema in modo differente; la mancanza di un linguaggio comune rende difficili le decisioni di gruppo e può portare a soluzioni locali inadeguate a livello aziendale. I sistemi ERP hanno invece saputo cogliere i frutti dell’evoluzione dell’information technology, ed hanno reso accessibili database comuni, in grado di rendere disponibili le informazioni in tempo reale e consentendo risposte tempestive ai bisogni del cliente. La disponibilità immediata delle informazioni aggiornate fornisce la trasparenza ad ogni livello dell’organizzazione favorendo i processi di comunicazione: parlare lo stesso linguaggio aiuta a creare una visione condivisa dell’azienda e favorisce il gioco di squadra. Infine, per quanto riguarda i processi decisionali, poter lavorare su dati aggiornati in tempo reale, affidabili e comuni a tutta l’impresa, oltre a migliorare la qualità del lavoro (spostando le energie dall’aggiornamento dei dati al loro utilizzo), consente di prendere decisioni in un contesto di maggior certezza. Come già anticipato, la decisione di utilizzare uno strumento ERP comporta anche alcuni rischi. Occorre quindi soffermarsi sui principali punti critici della loro introduzione in azienda, senza la cui considerazione è altamente probabile incorrere in un insuccesso. Innanzi tutto nell’introduzione di un sistema informativo integrato è particolarmente delicata la fase iniziale, la cosiddetta software selection: un’adeguata valutazione dei diversi pacchetti applicativi offerti dal mercato, funzionale alla scelta della soluzione “migliore” rispetto alle esigenze aziendali, è una delle attività più importanti e complesse dell’intero processo di adozione di un sistema ERP. Secondo una ricerca della Gartner Consulting75 gli aspetti principali su cui le aziende focalizzano l’attenzione nella scelta dell’ “ERP-vendor” sono i seguenti: la solidità della società fornitrice e la garanzia di un’adeguata assistenza (sia per l’implementazione del pacchetto, sia per la manutenzione dello stesso); la capacità di personalizzazione da parte del “vendor”; il tempo di implementazione (che di solito varia tra i 18 e i 26 mesi); il “Total cost of Ownership” (TCO), cioè il costo totale del progetto76. Oltre ai fattori direttamente connessi alle società fornitrici, le aziende richiedono anche particolari caratteristiche al prodotto stesso: modularità e “granularità” (la possibilità cioè di inserire un “tassello” per volta, senza stravolgere di colpo tutta l’organizzazione); flessibilità (cioè la capacità di adattarsi alle specifiche esigenze di ogni realtà aziendale); affidabilità (in modo da garantire un downtime nullo); accessibilità (è infatti necessario che tutte le persone all’interno dell’azienda, siano esse specialiste o meno, diventino utenti del sistema); 75 Cfr. B. Hecht, Choose the right ERP software, Datamation, marzo 1997. Il TCO viene definito come la sommatoria tra: il costo dell’hardware, il costo del software, il costo per i servizi consulenziali, il costo delle risorse umane interne dedicate al progetto e il costo di postimplementazione, per la manutenzione e l’evoluzione del sistema. 76 27 scalabilità (cioè la capacità di seguire la crescita dell’organizzazione); capacità di evoluzione (si tratta infatti di uno strumento estremamente dinamico, la cui implementazione iniziale è solo un primo passo di un lungo percorso di cambiamento aziendale). Un altro momento critico nel processo di adozione di un ERP è la formazione di tutta la collettività degli utenti finali, cioè di coloro che utilizzeranno direttamente il sistema. Gli analisti della Gartner Group sostengono che, per garantire il successo del progetto, almeno il 20% del “Total cost of Ownership” dovrebbe essere allocato nel training. Attività, quest’ultima, che non si deve arrestare al “go live” (cioè al momento in cui viene attivato il nuovo sistema): ci saranno sempre nuovi utenti, nuove versioni di software, nuove esigenze da soddisfare, nuovi eventi di business (acquisizioni, fusioni, entrata in nuovi mercati). In particolare, in base ad un’indagine della Nolan Norton 77 i principali problemi che le aziende campionate hanno incontrato nella fase di implementazione del sistama, non sono state di natura tecnologica, bensì di cultura aziendale. La ricerca evidenzia che occorre un impegno profondo e continuo da parte del top management, occorre il coinvolgimento di tutte le risorse umane interne e, soprattutto, occorre un allineamento tra ciò che la tecnologia è in grado di offrire e la strategia, il modo di fare business dell’azienda. L’intera organizzazione deve infatti comprendere la grande occasione fornita da questi strumenti: la possibilità di “evolvere”, di rivedere i processi e il modo di ragionare. In altri termini “occorre passare da una concezione di Total Cost of Ownership ad una di Total Cost of Opportunity”78: nonostante l’elevata complessità e gli elevati costi del progetto, esso costituisce un importante strumento strategico, una grande opportunità di aumentare il vantaggio competitivo e di migliorare le logiche e le modalità di gestione aziendale. E a chi accusa gli ERP attuali di introdurre un fattore di rigidità, di essere dei pericolosi “pareggiatori”, di annullare i caratteri distintivi delle aziende dimentica, probabilmente, che tali strumenti di information technology sono solo una “infrastruttura paritetica” a partire dalla quale sviluppare il proprio vantaggio competitivo: sarà più “forte” chi saprà sfruttare in modo più efficace la base informativa offerta dalla nuova tecnologia. Il modo migliore di approcciare un progetto ERP è cioè quello di vederlo non tanto come un semplice investimento o una immobilizzazione di risorse, quanto come una nuova “business venture”, un’iniziativa d’affari, una partnership, un qualcosa - in altre parole di estremamente dinamico ed evolutivo, che ha continuamente bisogno di essere rivisto, corretto e riallineato alle nuove esigenze79. 77 Dati tratti da A. Beretta, op. cit. Così si esprime G. Capitani (vice presidente della Gartner Group): cfr. G. Capitani, op. cit. 79 A. Caruso, op. cit. 78 28 E a proposito di questa natura dinamica, non si può, infine, non ricordare che si è già aperta la seconda era degli ERP, si sta cioè passando “dall’era del back-office a quella del front-end”80. Termini che stanno a significare che chi è riuscito, anche con fatica, sforamenti di costi e parziali insuccessi, a far funzionare il proprio ERP, nei prossimi anni comincerà ad integrarlo con gli strumenti software che hanno maggiore propensione verso l’esterno dell’azienda. Cioè gli strumenti utilizzati per migliorare il marketing, per gestire i fornitori, per contattare i clienti, per vendere in modo personalizzato, per assistere l’acquirente nel dopo-vendita, ecc. Una sorta insomma di “gioco del domino” (guidato da due imperativi: competitività e integrazione) che sta portando i sistemi ERP verso nuove aree di attenzione, e precisamente verso la Supply Chain e il Customer Relationship Management (CRM), cioè quella “faccia” dell’impresa che interagisce con il mercato, nei suoi vari aspetti. D’altronde, ad esempio, non avrebbe senso accelerare la velocità di acquisto dei clienti (mediante l’e-commerce) se la logistica aziendale fosse ancora impostata sui vecchi tempi. In un tale contesto il sistema informativo integrato diventerà la vera “spina dorsale” che terrà unita “l’extended enterprise”. E ci sarà sempre più bisogno di nuove competenze, di nuove skill interne, di una maggiore capacità di mantenere i rapporti di partnership e di alleanze strategiche, di un miglior coordinamento tra risorse interne ed esterne,.... “Sarebbe meglio abbandonare la definizione di responsabile dei sistemi informativi a favore di quella di business integrator. L’interrelazione fra il modello di business, i processi che lo generano e le tecnologie che li supportano è così forte che non solo non possono essere più separati, ma anzi si influenzano a vicenda”81. Quanto sino ad ora riportato pone in evidenza come il business integrator dovrebbe possedere, contemporaneamente, competenze su problematiche di implementazione dei prodotti ERP e su aspetti economici e manageriali; solamente in questo modo sarà in grado di rispondere completamente alle esigenze del mercato. 8. Considerazioni di sintesi e conclusioni Al termine delle considerazioni svolte in merito ai principali problemi che le imprese devono affrontare per agevolare il cambiamento, e ricercare il coinvolgimento nella gestione dell’azienda di tutta la struttura tentiamo delle brevi conclusioni, consapevoli di fornire solamente un piccolo contributo al lungo dibattito che continuerà ad interessare il mondo accademico e aziendale nei prossimi anni. In un contesto caratterizzato dalla complessità si sono affermati nuovi fattori critici di successo (quali la flessibilità, la qualità e la capacità d’innovazione) che richiedono un elevatissimo grado di coordinamento tra le attività aziendali. Tale necessità ha messo in luce che sono i processi che creano valore per il cliente e generano i profitti. Si impone pertanto il superamento del modello gerarchico-tradizionale, in cui le singole funzioni 80 Affermazione di P. Magrassi (research director della Gartner Group) cfr. G. Caravita, Mesi contati per i maxi-ERP, Il Sole 24 Ore, 21-5-1999. 81 S. Uberti Foppa, op. cit. 29 sono spesso delle unità organizzative con scarsa capacità di comunicazione ed interazione reciproca, senza visibilità sul mercato finale, incapaci di rispondere tempestivamente al cambiamento. Si impone quindi una organizzazione e una gestione per processi che non significa solo appiattire la gerarchia, fare una mappatura delle proprie attività, individuare le responsabilità di processo ed attribuirle a dei team. E’ bensì qualcosa di più profondo. Affinché, infatti, un’impresa arrivi a ragionare in termini “orizzontali” occorrono interventi sistematici e coerenti: bisogna ripensare da zero il funzionamento dell’azienda, i rapporti con i soggetti economici esterni (fornitori, clienti, partner,....), il ruolo dei capi e dei dipendenti, la cultura complessiva dell’organizzazione,.... In altre parole occorre una revisione del modo stesso di concepire il business. E’ chiaro quindi come tutto ciò richieda il contestuale allineamento dei sistemi operativi aziendali e, in primis, dei meccanismi di controllo direzionale, in modo da porre rimedio al grave “scollamento” tra i dati di cui hanno bisogno gli attori aziendali e quelli che invece forniscono gli apparati amministrativi. Una prima risposta alla necessità di governare la dimensione interfunzionale e di superare la contabilità tradizionale (la cui mancanza di significatività è stata ormai ampiamente documentata dalla letteratura e dall’esperienza pratica delle imprese, come hanno illustrato bene Johnson e Kaplan), è stata fornita dall’Activity Based Costing che, nonostante l’utilità della sua applicazione in azienda, non ha però determinato un vero e proprio salto di qualità nel tipo di informazioni raccolte, non ha cioè portato a quel “New Wine in New Bottles”, di cui parlano Shank e Govindarajan. Per realizzare pienamente la visione orizzontale infatti non sono sufficienti nuovi metodi di calcolo dei costi, occorrono bensì nuovi oggetti di misurazione. In particolare, tra gli approcci più recenti, è utile ricordare: il Process Based Costing (PBC), il Process Based Management (PBM) e il Customer Driven Management (CDM). Come detto però la sola disponibilità di informazioni non è, di per sé, sufficiente a garantire il successo di un’organizzazione “process driven”: ciò che dà il reale valore alle informazioni è la loro disponibilità, a tutti i livelli aziendali, nel momento e nella forma in cui sono richieste. A dover cambiare, pertanto, non sono solo i contenuti dei flussi informativi, ma anche i loro destinatari e la loro modalità di circolazione all’interno dell’impresa, in modo che questi possano arrivare direttamente a coloro che implementano le azioni, in base alle necessità determinate dagli obiettivi di processo. Un grande passo avanti, in tal senso, si è avuto negli ultimi anni grazie all’evoluzione dell’information technology (I.T.), sotto-sistema, divenuto oggi essenziale, del più vasto sistema informativo, termine con cui si intende quel complesso di metodi, risorse e processi che supporta il governo d’impresa: raccogliendo informazioni elementari da “punti di misura” interni ed esterni; costituendo la “memoria storica” dei dati relativi alle decisioni ed azioni effettuate; fornendo a ciascun operatore aziendale le informazioni a lui necessarie nella selezione ed aggregazione più utile ai suoi target di lavoro. 30 In pratica possiamo affermare che l’evoluzione dei sistemi informativi è andata di pari passo con quella della tecnologia e dell’informatica, affidando a queste ultime un ruolo sempre più importante. Oggi, infine, siamo in uno stadio evolutivo in cui l’I.T. è vista dalle imprese come una leva strategica e competitiva, come un “abilitatore” e “facilitatore” del ripensamento aziendale. E’ infatti l’epoca: delle architetture client-server, in cui i componenti comunicano tra loro sullo stesso piano, i carichi di lavoro sono bilanciati tra desktop e server, e i servizi di elaborazione sono localizzati (fornendo così informazioni più efficienti e tempestive); dei database relazionali, che garantiscono unicità e coerenza dei dati, elevata flessibilità, facilità d’uso e di comprensione da parte degli utenti; dei groupware, software specializzati, volti a supportare il lavoro in team; di Internet ed i suoi indotti Intranet ed Extranet, ovvero della “Web Economy”, in cui la quantità e la velocità di trasmissione delle informazioni sono aumentate in modo esponenziale; ecc. Per sfruttare appieno, però, le possibilità offerte dai nuovi strumenti-I.T., occorre superare i vincoli posti dai cosiddetti “sistemi legacy”, ossia quell’insieme di sistemi informativi separati e settoriali (diversi per linguaggi, programmi, strutture dei dati, ecc.) che nel tempo si sono stratificati in azienda. La risposta più recente alla necessità di gestire le interdipendenze imposte dal Process Management, di superare la frammentazione e dispersione delle informazioni all’interno delle organizzazioni e di integrare le varie applicazioni esistenti in azienda (divenute “isole” di automazione, sviluppate secondo logiche gestionali e tecnologie differenti), è costituita dai sistemi Enterprise Resource Planning (ERP), diffusisi così rapidamente sul mercato da diventare uno dei più grandi “eventi” del mondo dell’information technology di fine millennio. Le principali caratteristiche di questi package (in italiano indicati, più giustamente, con l’espressione: sistemi informativi integrati) sono: l’integrazione nativa, cioè il sistema nasce già integrato sia sotto il profilo dell’architettura informatica, sia sotto quello della progettazione logica: gli archivi sono unici, le procedure sono strettamente collegate tra loro, e l’aggiornamento dei database è gestito in modo unitario e centralizzato; la modularità, cioè l’articolazione in più moduli, ognuno dei quali copre uno specifico segmento del portafoglio applicativo. In tal modo l’azienda può inserire i vari moduli separatamente (senza stravolgere dall’oggi al domani la propria organizzazione), combinarli tra loro (a seconda delle aree di proprio interesse) e sostituirli in seguito con versioni più aggiornate, in modo da garantire al sistema informativo un’elevata capacità di evoluzione; Un’azienda che si accinge ad introdurre un sistema ERP deve comunque tener presente una serie di aspetti critici: 31 la notevole entità dell’investimento; i lunghi tempi di implementazione; la necessita di consistenti servizi di consulenza; la formazione dell’intera collettività di utenti; ecc. Tali sistemi, pur essendo dei progetti molto complessi e costosi, che rimettono in discussione l’intera organizzazione, offrono alle aziende un’opportunità da non perdere. Nello scenario ERP, infatti, il sistema informativo diventa veicolo attivo per la generazione del valore d’impresa, può cessare di essere considerato un costo fisso aziendale, un “male necessario”, per essere misurato, viceversa, in termini di quota di cooperazione al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Affinché il sistema informativo integrato abbia successo è comunque necessario comprendere bene la sua natura: non si tratta semplicemente di un software, né sostituisce l’intero sistema informativo: è uno strumento che consente di aumentare la flessibilità, di rivedere i processi aziendali, di intraprendere un percorso d’innovazione aziendale e di apprendimento organizzativo, e deve essere quindi accompagnato da un profondo cambiamento della cultura aziendale. In conclusione, i moderni sistemi ERP consentono la realizzazione di un “sistema informativo di tutti”, in cui le informazioni rispondono perfettamente alle esigenze degli utilizzatori, un sistema cioè in cui ognuno ha l’informazione giusta al momento giusto. Occorre sottolineare però che un tale risultato non sarebbe possibile senza una parallela evoluzione del ruolo delle risorse umane: queste infatti oggi, dotate di competenze quantitativamente più elevate e, soprattutto, interfunzionali, sono in grado di strutturarsi da sé le informazioni di cui hanno bisogno per perseguire gli obiettivi prefissati. Non bisogna infatti dimenticare che il vantaggio competitivo delle imprese del XXI secolo si baserà innanzi tutto sui nuovi ruoli professionali: dinamici, senza più confini e trasversali rispetto all’azienda. 32