Commemorazione Prima Guerra mondiale, 28 luglio 2014, Bellinzona

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Commemorazione Prima Guerra mondiale, 28 luglio 2014, Bellinzona
Discorso ten col Stefano Giedemann/Vice Presidente Società Ticinese Ufficiali
“Capire l’Europa del ‘14 è indispensabile per intendere quella del 2014. Non è possibile
capire se cammini eretto là dove loro sono andati strisciando come vermi. Non puoi, se
porti scarpe asciutte e vestiti puliti”.
Stimate autorità, gentili ospiti.
Con questa forte iconografica citazione dello scrittore e giornalista triestino Paolo Rumiz, è
con piacere che prendo la parola in occasione della presente commemorazione - per
l’inizio degli eventi bellici che hanno toccato anche la Svizzera e il Ticino - in nome della
Società Ticinese degli Ufficiali, scusando in particolare l’assenza per motivi diversi
nell’ordine il cdt regione territoriale 3 div Marco Cantieni, il cdt brigata fanteria montagna 9
br Maurizio Dattrino e il Presidente della Società Ticinese degli Ufficiali col Marco Lucchini.
Una citazione in entrata che mi invoglia a riassumere con rispetto alcuni tratti che hanno
contraddistinto la fase preliminare e l’inizio della Grande Guerra, con dei passaggi relativi
anche alla nostra regione, il tutto in termini storico-militari.
Iniziamo con alcune considerazioni riguardo le caratteristiche che lo rendono diverso dai
precedenti.
Si tratta della prima guerra di massa con un forte coinvolgimento di civili - moltissimi civili, i
quali perirono a causa dei crimini di guerra, rappresaglie e persecuzioni razziali all'interno
dei diversi paesi entrati in conflitto.
La stessa figura del soldato è nuova: i fanti sono contadini e operai, protagonisti della
società di massa novecentesca, e non solo professionisti della guerra.
E’ la prima guerra combattuta con sistemi ed armi tecnologicamente avanzati e di nuova
concezione: citerei ad esempio aerei, sommergibili, carri armati, mitragliatrici, gas tossici e
nocivi, sistemi complessi di telecomunicazione via filo.
Non si tratta in realtà del primo conflitto a carattere mondiale - lo è infatti la Guerra dei
Sette Anni come ritenuto correttamente da Winston Churchill -, ma sicuramente il
coinvolgimento di tutte le maggiori potenze mondiali incluso le colonie è senza precedenti.
Abbiamo pure il primo affacciarsi sulla scena mondiale come potenza internazionale gli
Stati Uniti d’America, cosa che risulterà irreversibile per tutto il ventesimo secolo e non
solo. Sull’altro fronte, durante il conflitto nasce la Russia bolscevica con relativa
fondazione di Partiti Comunisti nella maggior parte dei paesi europei, i quali a loro volta
porteranno a condizionare la scena fino al crollo del muro di Berlino.
Si rileva poi, un primo periodo di massiccio intervento degli Stati nell’economia per
sostenere lo sforzo bellico e l’introduzione del concetto di razionamento. Nel contempo si
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ha un rafforzamento degli esecutivi a discapito dei Parlamenti, determinato anche dalla
necessità di prendere rapide - e spesso - segrete decisioni. Ciò in proporzione all’aumento
dell’invadenza dei militari nella vita politica, veri protagonisti degli eventi.
Si accompagna a tutto questo scenario un utilizzo massiccio della propaganda per creare
compattezza nello Stato e nelle relative decisioni come pure alla nascita di un nuovo
concetto detto “fronte interno”, ovvero il coinvolgimento dell’intera nazione nella causa,
con l’introduzione di leggi in pieno stile militare. Cambiamenti che risultarono irreversibili
nella società d’allora e contribuiranno di conseguenza a provocare l’emergere di regimi
totalitari negli anni successivi.
Rileviamo pure la fine del grande protagonista della storia europea contemporanea,
l’Impero Austro-Ungarico, e il completamento dell’Unità d’Italia con Trento e Trieste, fatto
questo di rilevanza anche per il nostro Ticino durante tutto il periodo fino alla fine della
Seconda Guerra Mondiale come vedremo più avanti.
Il conflitto ebbe inizio esattamente 100 anni fa con la dichiarazione di guerra dell'Impero
austro-ungarico al Regno di Serbia in seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco
Ferdinando d'Asburgo-Este, avvenuto il 28 giugno a Sarajevo, dopo una miriade di
convulse manovre politiche e diplomatiche.
Gli schieramenti in campo possono essere suddivisi in due grandi alleanze: quella della
Triplice Alleanza a cui prendono parte l’Impero austro-ungarico, quello germanico e
italiano - in una posizione non perfettamente definita -, contrapposta a quella dell’Intesa
con tra gli altri la Gran Bretagna, la Francia e la Russia (fino al ‘17), a cui si aggiunge dal
maggio del ‘15 - l’Italia. In altri termini la vecchia visione del mondo confrontata con quella
moderna.
L’azione prese avvio lungo tre fronti strategici principali: a Ovest verso Francia, a Est
verso la Polonia e la Galizia. Oltre a quello balcanico, ulteriori teatri di rilievo furono inoltre
la Turchia e il mare del Nord.
Concentrandoci brevemente sul fronte occidentale con l’attuazione del Piano Schlieffen,
ridimensionato nell’estensione a Nord poi da Moltke, in parte poi ipotizzato e analizzato dai
francesi come lo dimostra il Piano XVII. Si prevedeva una manovra di aggiramento del
fronte principale francese con l’invasione del Belgio e del Lussemburgo. Successivamente
- sfondando il di lì confine francese - raggiungere Parigi. Il 6 settembre ‘14 il Generale
Joseph Joffre, dopo aver preso amaramente atto del fallimento del suo Piano XVII, ordina
la controffensiva francese e respinge i tedeschi, bloccandone l’avanzata sulla Marna e nel
contempo decretando il fallimento del piano strategico tedesco.
Complice di questo stato delle cose fu però l’incapacità di elaborare ulteriori varianti
operative tedesche, la sottostima della successiva reazione francese, l’inattesa resistenza
belga e i primi aiuti giunti dal Corpo di spedizione britannico. Ma anche l’incalzare
anticipato della Russia - a cui non si poteva demandare lo sforzo all’Impero AustroUngarico - che di conseguenza costrinse a dirottare parte delle truppe tedesche già nelle
prime azioni.
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Il fronte occidentale si assesta così su una linea lunga 750 km dal Mare del Nord alla
Svizzera. Il concetto di guerra lampo svanì e iniziò una lunga ed estenuante guerra di
posizione e di logoramento senza apparente uscita attorno alle fortificazioni erette in
funzione degli ostacoli naturali presenti.
Vale a questo proposito la pena citare alcuni tratti di questa tipologia di conflitto, condotta
sia in pianura che inseguito anche in alta montagna, e che ritrova infinite immagini nel
collettivo comune. Le trincee erano delle fortificazioni campali ramificate, scavate nel
terreno sulla linea del fronte, da cui partivano gli assalti con baionette e colpi di granate al
nemico preceduti da pesanti tiri di artiglieria. Come è facile intuire le perdite furono enormi,
gli avanzamenti limitati perché la sorpresa era annullata dal fuoco d’artiglieria, la
penetrazione a fondo limitata data l’articolata struttura.
E’ in questo contesto che furono impiegati per la prima volta contro i francesi il 22 aprile
‘15 i gas tossici, composti soprattutto da fosgene e iprite. Dopo i primi devastanti effetti, la
loro efficacia venne ridotta dall’utilizzo di maschere antigas le quali ebbero un rapidissimo
sviluppo proprio in questo periodo.
La vita dei soldati è caratterizzata dalla sensazione di precarietà, dalla snervante attesa
dell’assalto, dalla continua e quotidiana convivenza con la morte, dallo shock provocato
dallo scoppio nelle vicinanze delle granate e dagli imprevedibili colpi di artiglieria sparati
dalla lunga distanza, dalle terribili condizioni igienico-sanitarie determinate dall’angusta
vita di comunità e dal mutare delle condizioni climatiche. Non stupisce quindi lo svilupparsi
di un’avversione al conflitto tramite ribellioni, renitenza, diserzione e anche autolesionismo.
Più avanti anche dall’apparizione delle prime situazioni di traumi post bellici tra i reduci.
Ma entriamo nel merito della situazione nella Confederazione, dove si arrivò al conflitto
senza una vera visione di come sarebbe stato combattere con masse importanti di soldati
e contro forze dirompenti delle grandi potenze. La visione infatti era ancora troppo legata
alle guerre napoleoniche e al conflitto franco-prussiano del 1870/71. Per certi versi alle
esperienze relative ai precedenti conflitti extra-europei nelle colonie. Come in altri Stati, si
delegò la preparazione bellica ai militari, trascurando - a torto - gli aspetti economici,
infrastrutturali, d’approvvigionamento, sociali e alle relative conseguenze politiche come si
rilevò poi necessario affrontare.
Con molteplici difficoltà si approvò nel 1907 la nuova legge militare. Mentre
l’organizzazione delle truppe del 1911 ne ristrutturò diversi aspetti tra cui la riduzione a 3
corpi d’armata a cui erano subordinate 6 divisioni. Quest’ultime grazie alle loro truppe
“speciali”, in particolare l’artiglieria, avevano la possibilità d’essere strutturate in 3 brigate
combinate ed autonome sul piano operativo. Un’altra importante innovazione - rilevante
per le truppe italofone - fu la creazione di truppe di montagna: nella fattispecie 4 brigate
subordinate a 4 divisioni.
Anche per gli armamenti e l’equipaggiamento iniziò un progressivo processo di
ammodernamento, con l’introduzione dei nuovi fucili ‘11 e la prima molto lenta
introduzione della mitragliatrice per la fanteria. La granata a mano seguirà più avanti. Non
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differente la situazione per l’artiglieria, dove era assente il lanciamine e si dipendeva da
pochissimi pezzi d’artiglieria. Lacune soprattutto nell’abbigliamento, dove troviamo fino a
metà del ‘15 le vecchie e molto appariscenti divise del secondo ‘800, sulle quali in un
primo tempo e d’urgenza furono distribuite delle coperture specifiche. Assente inoltre il
casco protettivo.
Nelle fortificazioni - seppur i mezzi finanziari anche in questo contesto erano limitati - la
situazione era leggermente più avanzata, determinato in particolare agli studi del Capo di
Stato Maggiore Generale Theophil Sprecher von Bernegg. Di rilevanza la regione del San
Gottardo grazie anche al periodo da lui ivi passato al comando della brigata di fortezza.
A nord si fortificò parti dell’Altopiano, con sforzo principale la costituzione di una linea
difensiva lungo il fiume Aere, nelle regioni di Morat e Hauenstein oltre che nei passaggi
obbligati nel Jura.
Con la dichiarazione della mobilitazione e conseguente entrata in guerra della Russia in
risposta all’aggressione della Serbia - la quale fece precipitare la situazione in quasi tutti
gli Stati in un meccanismo a catena senza freni - provocò il 31 luglio una prima reazione
nel Consiglio Federale con la messa a picchetto dell’Esercito. Nello stesso giorno si
comprese meglio la portata degli eventi, così che in una successiva seduta sempre nello
stesso giorno, si decise per la pubblicazione al giorno seguente della mobilitazione
generale per il 3 agosto.
Perché si giunse a tanto? In termini operativi, da una parte era necessario un dispositivo
completo per contrastare il passaggio di truppe francesi e/o tedesche nel vuoto neutrale
operativo dell’altopiano svizzero, mentre dall’altra non era chiara l’intenzione dell’Italia per
cui era necessario pure occupare con una guarnigione rafforzata il Sud della Svizzera, il
Ticino e l’Engadina in particolare. Diversamente detto mostrare la volontà di neutralità
verso le potenze in gioco. In termini di condotta, il comando riconobbe l’urgenza - e
l’occasione, come si dimostrerà ai fatti - di poter disporre di tutte le formazioni per
procedere ad un recupero a ritmi forzati dell’istruzione, in particolare per le formazioni di
Landwehr, rispettivamente della tattica per i comandanti.
Dalle intenzioni ai fatti il lunedì 3 agosto ‘14. Prima di tutto tramite un decreto si ribadì la
sicurezza, l’integrità e la neutralità della Svizzera legittimando il Consiglio Federale a
prendere tutti i provvedimenti atti a garantirne l’applicazione, inclusi quelli economici.
Questo decreto - si ricorda - è in linea con la tendenza europea e comporterà nel tempo
una forte burocratizzazione dello Stato rimasto fino a quel momento liberale.
Successivamente - nella serata si nominò il Generale nella persona di Conrad Ulrich Wille,
ufficiale vicino al modello e alla corrente prussiana, e proprio per questo ritenuto da diversi
garanzia di maggiore sicurezza di non belligeranza con la vicina Triplice.
Diversi fattori lo attestano: prima di tutto è convinto promotore del modello della “Neue
Richtung” che segue il modello prussiano, in cui il coscritto è prima di tutto un soldato e
non un “cittadino in divisa” a cui vengono chiesti lo sviluppo della disciplina e del riflesso,
in sostanza una più lontana visione dall’esercito di milizia perché orientata ad addestrare
alla perfezione un ristretto numero di giovani, che consacrino la loro esistenza all’esercito.
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Altro fattore la concreta vicinanza con i casati prussiani, convalidata anche dalle relative
frequentazioni. Citiamo nel ‘12 il ricevimento personale nella proprietà di Wesenstock da
Guglielmo II di Prussia e Germania come pure, pochi anni prima, il matrimonio con Clara
Gräfin von Bismarck, parente dell’ex Cancelliere tedesco Otto von Bismarck.
Wille, in linea con quanto descritto prima, dispiegò all’inizio delle ostilità un Corpo
d’Armata a Nord-Ovest (con sforzo principale nel Giura, al confine con la Francia), uno a
Sud-Est (verso il confine con l'Italia), mentre il terzo Corpo d’Armata rimase in stato
d’allerta sull’Altopiano pronto ad intervenire in caso di sconfinamento da parte di uno dei
belligeranti. Il tutto si svolse in un clima di ulteriore sospetto, poiché Wille si rifiutò di
prendere seriamente in considerazione l’eventualità di un attacco tedesco alla Svizzera.
Interessante notare che lo sconfinamento da parte tedesca era di principio pure scartata
dallo stesso Alfred von Schlieffen – Capo di Stato Maggiore tedesco fino al 1905 – e dal
suo successore Helmuth von Moltke, in quanto consideravano la difficoltà di combattere
un esercito preparato in un terreno di principio difficile come quello del Jura prima e
fortificato a Belfort poi. Senza contare la gestione politica della neutralità strategica
violata. Le operazioni attraverso la zona - de facto - demilitarizzata del Lussemburgo o
scarsamente come il Belgio, oltre ad essere una via più diretta verso Parigi, costituivano
scenari più percorribili.
Da un punto di vista francese, la situazione risulterebbe ad una prima analisi differente:
con un’operazione a Sud, più facilmente ci si porterebbe sulle linee tedesche evitando il
settore della Foresta Nera. Gli studi condotti sul tema dal generale Jean Victor Moreau
risalgono addirittura all’epoca napoleonica (1800), ripresi nella guerra del 1870/71 e
ancora oltre nel 1912 dal Ministro della Difesa francese Charles de Freycinet, il quale
decretò la non opportunità di scenari in tal senso, in particolare anche perché - così
facendo - si sarebbe rischiato di “tramutare uno stato neutrale come la Svizzera in nemico
consegnandolo nelle mani dell’avversario”.
Solo nel piano XVII francese dell’aprile ‘14 si apprende a margine di un’istruzione
particolare per il Generale della 1. Armata: qual’ora ci fosse stata l’evidenza di un attacco
tedesco nella regione dell’Alsazia, allora andavano prese preventivamente le regioni
attorno e di Basilea oltre che l’enclave di Porrentruy (con le relative infrastrutture
ferroviarie e manufatti) per evitarne la caduta in mani avversarie o altrimenti detto per non
darne così un vantaggio operativo nel teatro di conflitto regionale.
Cosa rimase nei piani dopo l’ultimo sopralluogo francese eseguito dal comandante Pageot
il 28 luglio, durante il quale i rappresentanti svizzeri portarono tutte le rassicurazioni che
nulla sarebbe caduto in mani germaniche, non lo sappiamo. Sta di fatto che la regione non
fu mai teatro di operazioni di rilevanza.
Non possiamo infine non citare per completezza il fronte determinato dagli Stati austriaco
e italiano, in quanto ci concerne più da vicino. Se sappiamo che il primo non avrebbe
violato la neutralità svizzera, il secondo dopo la fondazione della Triplice nel 1882 segnalò
anche apertamente l’intenzione di accorrere sul fianco Ovest della Germania,
attraversando la Svizzera e attaccando la Francia da Sud-Est in caso di conflitto. Queste
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poco realistiche pianificazioni d’allora - realizzate dal Generale Enrico Cosenz tra 1884 e
‘89 - non influenzarono le parti direttamente in causa. Successivamente si apprese pure
che con un accordo segreto stilato nel 1902 l’Italia s’impegnò a non attaccare la Francia.
Questi piani tornarono di breve attualità con un’ulteriore revisione più a Ovest realizzata il
30 luglio ’14 dal Generale Luigi Cadorna in un contesto di totale incertezza.
Possiamo quindi desumere che all’inizio del conflitto, grazie all’immagine veicolata di
volontà di reazione ad eventuali aggressioni, nessun partito riteneva potesse essere senza
conseguenze un’aggressione indiretta portata attraverso un terreno neutrale - come quello
della Svizzera - per raggiungere un obiettivo al di fuori di essa.
Unica minaccia più concreta e portata avanti a partire da metà del ‘15 - risultante in ottica
di una rivendicazione territoriale delle regioni di Trento, Trieste e Ticino - fu l’irredentismo
italiano, che proseguì notoriamente ben oltre il conflitto della Prima Guerra Mondiale. Essa
ebbe come conseguenza di riposizionare il baricentro difensivo, rafforzandolo
ulteriormente. Così facendo si smussarono con maggiore concretezza i sentimenti di
abbandono mostrati dalle autorità d’allora dopo la sola fortificazione della galleria del San
Gottardo.
Ma nelle prime sequenze l’Esercito poté veramente sostenere quell’immagine di effettiva
Selbstbehauptung militare tale da garantire per la prima volta una reale neutralità senza il
supporto indiretto di una delle potente dominanti?
Abbiamo già parlato delle lacune sul materiale, che andranno poi colmate nel corso del
conflitto bellico, analogamente a quanto successe per la Seconda Guerra Mondiale.
Leggendo i rapporti del colonnello Emil Sonderegger, cdt brigata fanteria montagna 3,
sebbene la tecnica e la tattica di dettaglio erano buone e la truppa risponde bene al
comando e alla marcia, lacune importanti si riscontrano per contro nella condotta del
combattimento a partire dal livello di comandante di compagnia, nella comprensione del
combattimento interarma e delle riserve, tutti fattori decisivi nell’azione. La fortunata
assenza di un ingaggio effettivo per il periodo e la disponibilità completa della truppa
compensarono questo stato delle cose. Egli conclude annotando che la colpa andava
ricercata nella tardiva introduzione della nuova organizzazione delle truppe e nelle
difficoltà di operare con la legge militare in vigore, auspicando che l’errore sia riconosciuto
nel futuro (!). Ad un’analoga conclusione giunge anche il Generale Wille, il quale ammette
che in caso dello scoppio delle ostilità nel mese di agosto, non troppo tardivamente ci
sarebbe stata una inevitabile capitolazione.
Nell’autunno del ’14 si capì rapidamente anche da noi, che la guerra lampo era stata una
chimera. Dallo stallo sul fronte Ovest, l’Impero prussiano spostò il baricentro delle
operazioni ad Est, allontanando de facto dai confini svizzeri le ostilità e con esse il
pericolo. Ecco quindi porsi il dilemma delle forze lavoro sottratte all’economia in funzione
alle necessità belliche: ritenuto il gap d’istruzione quasi colmato e le principali fortificazioni
campali completate, in un primo periodo di settembre e ottobre vennero concessi larghi
congedi, successivamente si smobilitarono molte formazioni, mantenendo il dispositivo nei
suoi elementi essenziali.
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Per quelle rimaste in servizio si dovette provvedere con programmi di lavoro adattati che
mantenessero il livello d’istruzione, all’emanazione di nuove disposizioni riguardo la
conduzione della truppa, nell’introdurre delle presentazioni che favorissero l’educazione e
con esso lo spirito nazionale al fine di rendere la truppa moralmente più motivata, al
coinvolgimento in lavori di pubblica utilità. E in questo periodo ci fu anche la nascita della
Soldatenstube, ad opera di Else Züblin-Spiller, luogo per ristorare in maniera sana e a
costo ragionevole i soldati, favorendo una vicinanza emotiva al focolare domestico.
Nel corso dei primi mesi del ‘15, mentre i tedeschi conducevano una quasi esclusiva
strategia difensiva sul fronte Ovest perché impegnati con successo sul fronte Est, gli
anglo-francesi progettarono una serie di offensive per tentare di rompere il fronte e tornare
alla guerra di movimento. La grande offensiva francese nella regione della ChampagneArdenne, proseguita fino al 20 marzo ‘15 procurò in realtà ingenti perdite con scarsissimi
guadagni territoriali.
Fu proprio in questo periodo che il Comando Svizzero decise per la sostituzione delle 3
divisioni rimaste in servizio con 2 nuove. La critica situazione economica combinata con la
sempre più delicata stanchezza del servizio in relazione all’evoluzione del conflitto ne
giustificarono la ragionevole decisione.
In conclusione alcune brevi note riguardo le truppe ticinesi in relazione a questo primo
periodo bellico di rilevanza per la presente Cerimonia.
Il recentemente costituito reggimento fanteria di montagna 30 - forte dei battaglioni 94, 95
e 96 - fu chiamato in servizio il 3 agosto ‘14 alle ore 4 pomeridiane. Più di 2'000 militi
provenienti non solo dal Ticino ma anche d’oltr’Alpe, vennero riuniti per il giuramento alla
presenza dell’avv. Achille Borella, allora Presidente del Governo. La Gazzetta ticinese
riprendeva l’indomani che “Le milizie ticinesi hanno risposto all’appello con slancio
lodevolissimo. I battaglioni sono al completo. I loro effettivi sono doppi di quelli dei corsi di
ripetizione. Giungono pure militi da tutti gli Stati d’Europa…”.
Già perché uno dei problemi maggiori nel primissimo periodo in un contesto di mezzi di
trasporto d’allora - fu il gestire l’importante spostamento di soldati richiamati sotto le armi
unitamente alle genti espulse dagli Stati confinanti. Per dare un’entità alla problematica,
dei 200'000 italiani rimpatriati dalla Germania, la metà transitò da Chiasso nel solo mese di
agosto.
Non c’è quindi da stupirsi che - nelle settimane successive alla mobilitazione - rientrarono
scaglionati nei ranghi del reggimento 30 anche gli uomini spediti dal Deposito di Zurigo:
una specie di legione straniera come la si chiamava non troppo generosamente per il fatto
che era composta da bravi ticinesi rientrati dopo lunghi anni di ininterrotta emigrazione,
dove alcuni di loro non parlavano neppure il dialetto ticinese.
Il reggimento 30 restò in Ticino fino in autunno del ‘14, in particolare come formazione di
fanteria associata al dispositivo difensivo fortificato lungo l’asse Gesero-Monte CeneriMagadino-Gordola, da poco realizzato attorno alla piazza di Bellinzona e quale linea
avanzata delle fortificazioni del San Gottardo.
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Coerentemente all’evoluzione strategica e al grado d’istruzione raggiunto della truppa, fu
poi ordinato il 18 novembre ’14 lo spostamento a piedi dell’intero reggimento verso Liestal
(BL). Una marcia con pacchettaggio completo per allenare e migliorare la capacità di
movimento. Provvidenziale la sosta di tre giorni a Seewen (SZ), il tempo necessario per
effettuare il cambio dei fucili e un poco d’olio alla macchina: eufemismo – come espresse il
ten col Antonio Bolzani nelle sue memorie – per quattro provvidenziali pennellate di
formalina alle piante dei piedi.
Il Natale della Patria si festeggiò poi in quei luoghi, con la visita il 17 dicembre del
Generale Wille. Mentre il giorno della vigilia i militi ricevettero un pacchetto contente dei
Leckerli, un paio di prussiani, dolci e cartoline illustrate.
In primavera, dopo ben oltre 200 giorni di servizio ininterrotto - ovvero ca. 1/3 dell’insieme
dei giorni che mediamente saranno prestati durante la Prima Guerra Mondiale dai nostri
militi, il Reggimento 30 riceve l’ordine di smobilitazione e si appresta a rientrare. Dopo
un’ultima sfilata nella campagna basilese non troppo ben riuscita a causa dell’alta palta, l’8
marzo ‘15 ritrova le terre natie, questa volta per la quasi totalità del percorso grazie al
treno.
Il 12 marzo, davanti ad una folla straordinaria e multicolore, al seguito delle fanfare riunite,
il reggimento 30 sfila davanti alla Caserma di Bellinzona alla presenza del Generale Wille
e del Capo di Stato Maggiore von Sprecher, oltre alle altre più alte cariche militari e
politiche cantonali.
Come annota il Dovere, “Lo spettacolo è bello, impressionante, entusiasmante. Il popolo è
fiero dei suoi militi, dei suoi figli che compiono quasi in una apoteosi di severa disciplina
militare, il tributo dato alla Patria con tanti mesi di vigile e faticosa guardia al Confine,
agguerriti e pronti di corpo e d’animo a fare ancora e sempre tutto il proprio dovere.
Spettacolo di educazione civica più che militare, spettacolo di virtù repubblicane.”
Grazie per l’attenzione.
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