Capitolo Primo L`ordinamento giuridico amministrativo

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Parte Prima
L’ordinamento amministrativo
tra diritto interno e diritto europeo
Capitolo Primo: L’ordinamento giuridico amministrativo . ................ Pag.
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Capitolo Secondo: La funzione amministrativa ............................... »
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Capitolo Terzo: Il diritto amministrativo: nozione e fonti . ................ »
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Capitolo Primo
L’ordinamento giuridico amministrativo
Sommario: 1. L’ordinamento giuridico ed il concetto di «norma». - 2. Il diritto
pubblico ed il diritto privato. - 3. Una particolare branca del diritto pubblico: il
diritto amministrativo. - 4. Diritto amministrativo e pubblica amministrazione.
- 5. Origine ed evoluzione del diritto amministrativo italiano. - 6. Il diritto amministrativo e l’incidenza dell’ordinamento europeo.
1.L’ordinamento giuridico ed il concetto di «norma»
La dottrina definisce l’ordinamento giuridico come «l’assetto giuridico e l’insieme delle norme giuridiche che si riferiscono ad un particolare gruppo sociale» (CASETTA).
La norma giuridica è una regola precostituita che disciplina in astratto
la condotta dei consociati e presenta i seguenti caratteri:
— generalità: deve avere come destinatari non singole persone, ma una
serie indeterminata di soggetti, ovvero tutti coloro che si trovano nella
situazione contemplata dalla norma;
— astrattezza: deve disciplinare fattispecie astratte e non singoli casi
concreti.
La ratio della generalità e dell’astrattezza sono state individuate, rispettivamente, nella garanzia dell’uniformità di trattamento dei consociati (certezza del diritto)
e della stabilità della norma nel tempo (CROSETTI-GIUFFRIDA).
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Parte Prima: L’ordinamento amministrativo tra diritto interno e diritto europeo
Molte volte, una norma giuridica prevede una sanzione, da applicarsi
in ipotesi di violazione dei precetti (ordini o divieti) in essa contenuti.
Le sanzioni possono essere:
— penali;
— civili;
— amministrative.
2.Il diritto pubblico ed il diritto privato
Varie sono le norme che vanno a costituire l’ordinamento giuridico. Una
distinzione molto importante è fondata sulla diversa natura degli interessi protetti (MARTINES):
— al diritto pubblico appartengono le norme che tutelano direttamente e
prioritariamente gli interessi generali della collettività (cd. interesse pubblico primario) e solo indirettamente gli interessi dei singoli individui. Tali
norme sono sempre obbligatorie;
— al diritto privato appartengono le norme che garantiscono direttamente gli interessi individuali o particolari. Dette norme sono in genere derogabili dall’autonomia privata.
L’evoluzione dell’ordinamento giuridico e le dinamiche nei rapporti tra soggetti
pubblici e privati hanno portato, soprattutto in determinati settori (si pensi al diritto
dell’economia o alla contrattualistica) ad un affievolimento della detta distinzione e
a continue reciproche ingerenze nella disciplina di specifiche materie (es: diritto di
famiglia). Se, da una parte, il riconoscimento della piena e generale capacità di diritto privato della pubblica amministrazione, che le consente di perseguire i propri
fini pubblici utilizzando, in alternativa al provvedimento, moduli contrattual-privatistici ha portato ad una progressiva «privatizzazione dell’azione amministrativa»,
dall’altra, per converso, norme e principi tipici del diritto pubblico hanno condizionato, in misura crescente, settori tipicamente disciplinati dal diritto privato (si pensi al principio dell’inderogabilità delle disposizioni di ordine pubblico) affermando
così una progressiva «pubblicizzazione del diritto privato».
3.Una particolare branca del diritto pubblico: il diritto
amministrativo
Il diritto amministrativo può essere inteso come la disciplina giuridica
della pubblica amministrazione. Esso, secondo la dottrina tradizionale, è definito come «quel corpo autonomo di norme che regolano l’organizzazione della pubblica amministrazione nonché l’azione da essa svolta con
l’efficacia e il valore formale degli atti amministrativi e i rapporti nei
quali essa interviene nella veste di autorità amministrativa» (SANDULLI).
Capitolo Primo: L’ordinamento giuridico amministrativo
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Da tale definizione è facile evincere che il diritto amministrativo è quel ramo
del diritto pubblico che si occupa della pubblica amministrazione nella sua organizzazione, nei beni e nell’attività ad essa peculiari e nei rapporti che, esercitando tale attività, si instaurano con gli altri soggetti dell’ordinamento (CASETTA).
Quali sono i caratteri del diritto amministrativo?
Il diritto amministrativo presenta i seguenti caratteri:
a) è diritto pubblico interno: in quanto deriva dalla volontà dello Stato e regola rapporti in cui uno
dei soggetti è necessariamente lo Stato stesso o un ente pubblico (la P.A.), nell’esercizio di potestà amministrative;
b) è un diritto autonomo: in quanto si giova di propri principi e proprie regole, diversi da quelli
delle altre branche del diritto;
c) è un diritto comune: in quanto si rivolge genericamente a tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento;
d) è un diritto ad oggetto variabile: in quanto la P.A. in ogni epoca storica persegue fini differenti, inglobando o escludendo alcuni settori della propria gestione.
4.Diritto amministrativo e pubblica amministrazione
A)Profili generali
Il diritto amministrativo è, dunque, quella branca del diritto pubblico che
disciplina i rapporti in cui uno dei soggetti è necessariamente un soggetto
pubblico: la pubblica amministrazione.
Il concetto giuridico di pubblica amministrazione accolto nel nostro ordinamento si presenta come un concetto dinamico, quale risultante delle evoluzioni, storico-giuridiche, proprie dell’ordinamento nazionale e condizionato dalle influenze
derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
B)La nozione italiana di P.A.
Stante la mancanza — sia a livello costituzionale che legislativo — di
una generica definizione di P.A., le due principali teorie sulla nozione di
pubblica amministrazione, quella soggettiva e quella oggettiva, non possono essere intese in termini di mera contrapposizione, dovendosi, invece,
evidenziare la complementarietà:
— per amministrazione in senso oggettivo si intende l’amministrazione-attività,ossia l’attività amministrativa regolata da norme giuridiche
e svolta per soddisfare interessi pubblici (CASETTA);
— per amministrazione in senso soggettivo si intende l’organizzazione
amministrativa, ossia le persone giuridiche pubbliche e gli organi competenti per la cura degli interessi propri dei soggetti pubblici.
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Parte Prima: L’ordinamento amministrativo tra diritto interno e diritto europeo
C)La nozione europea di P.A.
L’amministrazione europea è l’insieme degli organismi e delle
istituzioni dell’Unione europea cui è affidato il compito di svolgere
attività sostanzialmente amministrativa e di emanare atti amministrativi (CASETTA).
Con lo sviluppo del processo di integrazione europea, infatti, il tradizionale sistema dualistico di amministrazioni è venuto attenuandosi, lasciando sempre più spazio
alla formazione di un’amministrazione europea integrata, intesa come un sistema
complesso di amministrazioni che concorrono a costituire quella che è stata definita come «amministrazione comune dell’ordinamento europeo» (CHITI).
5.Origine ed evoluzione del diritto amministrativo italiano
L’evoluzione del diritto amministrativo, nei limiti in cui detta la disciplina giuridica della pubblica amministrazione, è legata all’evoluzione del sistema amministrativo italiano, secondo i seguenti periodi:
a) nell’epoca pre-unitaria, l’attività amministrativa dello Stato è intesa come
parte integrante del potere esecutivo e il potere è accentrato nella persona del
sovrano; è quest’ultimo che assume le decisioni e ne delega l’esecuzione (funzione amministrativa) ai ministri che compongono il governo da lui nominato;
b) con la nascita dello stato nazionale italiano si affermano i principi della responsabilità ministeriale di fronte al Parlamento per l’azione amministrativa
svolta e dell’uniformità amministrativa; si rafforza il modello cd. di Amministrazione per ministeri e, con la prima legge amministrativa italiana dopo l’unificazione, la L. 20-3-1865, n. 2248, si realizza il sistema di doppia giurisdizione (ordinaria ed amministrativa) per garantire tutela ai privati nei confronti della P.A.;
c) nell’età giolittiana e sotto il regime fascista l’Amministrazione assume nuove funzioni e servizi d’interesse sociale e comincia a prendere forma un ordinamento complesso, che poi giungerà fino ai giorni nostri. Con l’avvento del regime totalitario fascista si modifica l’organizzazione della P.A. che diviene accentrata e gerarchizzata. Il sistema normativo rispecchia le ideologie dell’epoca e
emblematica è la L. 290/1908 sul pubblico impiego che da una parte afferma la
soggezione del dipendente pubblico alla supremazia della P.A e dall’altra introduce primi elementi di garanzia per il lavoratore;
d) nell’Italia Repubblicana, l’entrata in vigore della Costituzione, si abbandona
l’organizzazione accentrata e si afferma il pluralismo istituzionale. Viene dato
ampio risalto alle autonomie locali e si opera una ridistribuzione delle competenze fra amministrazione centrale e locale. Principali provvedimenti normativi:
evoluzione normativa del pubblico impiego, dal T.U. 3/1957 alla L. 93/1983, che
ha dettato una disciplina uniforme applicabile a tutte le P.A; introduzione del
Capitolo Primo: L’ordinamento giuridico amministrativo
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doppio grado di giurisdizione per il processo amministrativo, mediante l’istituzione dei T.A.R. con L. 1034/1971;
e) la svolta degli anni ’90 e il nuovo volto della pubblica amministrazione: nel
mutato contesto sociale e politico sono profondamente mutati i rapporti tra Amministrazione e cittadino con alcune importanti riforme orientate a soddisfare le
esigenze degli utenti e le richieste di trasparenza nell’attività amministrativa. Principali provvedimenti normativi in questo contesto sono stati: la L. 142/1990, sugli
enti locali (oggi D.Lgs. 267/2000, recante il T.U.E.L.) e la L. 241/1990, sul procedimento amministrativo; le riforme del pubblico impiego — partite dal D.Lgs. 29/1993
(ora confluito nel D.Lgs. 165/2001), passando per la cd. riforma Brunetta (D.Lgs.
150/2009) ed ancora in itinere; la L. cost. 3/2001 di riforma del Titolo V Cost.
In una prospettiva di semplificazione degli istituti e delle procedure nonché
di trasparenza nei rapporti tra P.A. e privati, si collocano le più recenti manovre
legislative, accomunate dall’esigenza di «semplificare», «sburocratizzare» apparati amministrativi e relative attività (tra questi interventi normativi, citiamo il D.L.
90/2014, conv. in L. 114/2014, recante appunto misure in tema di semplificazione ed efficienza).
6.Il diritto amministrativo e l’incidenza dell’ordinamento
europeo
Il diritto amministrativo è costituito da un complesso sistema di norme,
di cui una rilevante parte è contenuta nella Costituzione (es: artt. 97 e 5, in
tema di buon andamento ed imparzialità dell’attività amministrativa, e di
principio del decentramento amministrativo); altre norme discendono, invece, dai principi del diritto europeo, che sempre più influenza anche il
diritto interno, e da fonti di rango ordinario (CERULLI IRELLI).
Il diritto dell’Unione europea ha profondamente influenzato il diritto
amministrativo italiano sotto due punti di vista: da un lato, è stato modificato il concetto stesso di pubblica amministrazione, fino a ricomprendervi soggetti estranei al nostro ordinamento (come gli organismi di diritto
pubblico), e dall’altro lato è lo stesso diritto amministrativo, nella sua totalità, che è stato investito di tali e tante innovazioni, che hanno dato luogo
alla emblematica espressione di diritto amministrativo dell’UE.
Con tale locuzione si vuole intendere quel fenomeno per cui, partendo dal processo di integrazione giuridica fra i due ordinamenti, viene a determinarsi il distacco del diritto amministrativo dalla referenza statuale acclarando, in tal modo, la innegabile tendenza verso la europeizzazione del diritto amministrativo.
Sulle fonti del diritto dell’UE si rinvia amplius al capitolo successivo.
Capitolo Secondo
La funzione amministrativa
Sommario: 1. Lo Stato: caratteri e fini. - 2. Funzione politica e funzione amministrativa. - 3. Gli atti politici. - 4. Gli atti di alta amministrazione.
1.Lo Stato: caratteri e fini
Tradizionalmente lo Stato viene definito come una comunità di individui stabilmente insediata su un territorio e retta da autonome regole costituenti un ordinamento giuridico.
Tale definizione individua lo Stato inteso come «istituzione» o anche
«Stato-ordinamento giuridico», i cui caratteri peculiari sono:
a) la territorialità: il territorio si configura elemento costitutivo, cioè strutturalmente indefettibile dello Stato e non solo come ambito spaziale che
delimita la sua potestà d’imperio;
b) la sovranità: lo Stato è indipendente da qualsiasi altro soggetto e, come
tale, non è limitato o controllato nell’esercizio dei suoi poteri ed in tutte
le altre manifestazioni che attengono alla sua esistenza ed organizzazione.
L’ordinamento giuridico statale è qualificabile anche come «politico» in quanto
«portatore di un fine generale, onnicomprensivo» (BARILE) e, pertanto, idoneo al
perseguimento di una pluralità di fini, storicamente mutevoli, senza per questo perdere la sua identità.
Altre accezioni del termine Stato sono:
— Stato-comunità: è inteso come la comunità di persone costituente lo Stato, e
cioè il popolo. Esso partecipa alla funzione politica, mediante gli istituti di democrazia diretta (referendum, petizioni alle Camere, iniziative popolari etc.) e
mediante l’esercizio del diritto di voto. È titolare di ampie sfere inderogabili di
autonomia sia a livello personale (es.: diritti di libertà del singolo) che di comunità locale (v. art. 5 Cost.);
— Stato-governo (o Stato-apparato): è inteso come il complesso degli organi
costituzionali, i quali, in quanto espressione dello Stato-comunità, agiscono in
veste di organi super partes, nell’interesse della comunità, e non di singoli sog-
Parte Seconda
I soggetti
Capitolo Primo: Le situazioni giuridiche soggettive di diritto ammini strativo ................................................................................. Pag. 31
Capitolo Secondo: I soggetti del diritto amministrativo.................... »
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Capitolo Terzo: La competenza in diritto amministrativo.................. »
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Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica
amministrazione..................................................................... »
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Capitolo Primo
Le situazioni giuridiche soggettive
di diritto amministrativo
Sommario: 1. I soggetti del diritto. - 2. Le situazioni giuridiche soggettive. - 3.
Il diritto soggettivo. - 4. L’interesse legittimo. - 5. Gli interessi amministrativamente protetti (o semplici) e gli interessi di fatto. - 6. Gli interessi collettivi e
diffusi. - 7. La class action.
1.I soggetti del diritto
A)Generalità
«Soggetto di diritto» è la persona fisica o il soggetto collettivo a cui lo
Stato riconosce la titolarità di diritti e di doveri in base al proprio ordinamento.
Il termine situazioni giuridiche comprende:
— qualità giuridiche soggettive: es. capacità giuridica, capacità di agire, legittimazione;
— «status», ossia l’insieme di diritti e di doveri che derivano ad una persona per il
fatto di appartenere ad un gruppo (es. status di cittadino);
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Parte Seconda: I soggetti
— posizioni giuridiche soggettive pubbliche e private:
— favorevoli (potestà, diritti soggettivi, interessi legittimi etc.);
— sfavorevoli (doveri, obblighi, aspettative etc.).
I soggetti del diritto si distinguono in due categorie: le persone fisiche
e le persone giuridiche:
— le persone fisiche sono i singoli considerati nella loro individualità:
tutte le persone fisiche hanno la capacità giuridica (art. 22 Cost.) che si
acquista al momento della nascita ed è attribuita indistintamente a tutti i soggetti senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni sociali e personali;
— le persone giuridiche sono complessi organizzati di persone e di beni,
rivolti ad uno scopo, cui l’ordinamento giuridico attribuisce la personalità giuridica, qualora presentino determinati requisiti. Sono tali, ad
esempio, le società e gli enti pubblici.
Esistono, specie nel diritto privato, determinati enti che non hanno personalità
giuridica (cd. enti di fatto): essi costituiscono un fenomeno anomalo, in quanto pur
non essendo giuridicamente soggetti di diritto, sono indirettamente (o talvolta direttamente) considerati soggetti dall’ordinamento, il quale prevede alcune regole per
il loro funzionamento; sono cioè, comunque, centri di imputazione di situazioni
soggettive (es.: partiti e sindacati).
Gli «enti di fatto» hanno rilevanza anche per il diritto amministrativo in quanto
anche ad essi, ricorrendo determinati presupposti, è riconosciuta la legittimazione
ad agire per la tutela dei cd. «interessi collettivi».
B)In particolare, le persone giuridiche
Le persone giuridiche presentano i seguenti elementi essenziali:
a) una organizzazione di persone e di mezzi:
— nelle associazioni prevale l’elemento personale;
— nelle fondazioni prevale il capitale;
b) uno scopo a cui tale organizzazione è diretta. Occorre che lo scopo sia:
— lecito: cioè conforme ai principi dell’ordinamento sociale e giuridico;
— collettivo: ovvero riguardante una pluralità di individui (questo requisito, peraltro, non è pacificamente accolto in dottrina);
— permanente: nel senso che, finché dura lo scopo, persiste la funzione della persona giuridica e quindi la sua esistenza;
— determinato e dichiarato;
Capitolo Primo: Le situazioni giuridiche soggettive di diritto amministrativo
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c) il riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico. Esso può essere concesso con provvedimento dell’autorità, su richiesta degli interessati, o per legge.
Le persone giuridiche, inoltre, possono essere classificate in base a vari criteri:
a) associazioni e fondazioni;
b) persone giuridiche pubbliche e private.
2.Le situazioni giuridiche soggettive
L’espressione «situazioni giuridiche soggettive» indica quelle situazioni sostanziali di interesse che fanno capo ad un soggetto o ad un ente e che
sono tutelate dall’ordinamento giuridico. Tali situazioni sono infatti attribuite
da norme giuridiche e costituiscono il contenuto dei rapporti giuridici. In tali
rapporti i soggetti sono portatori di posizioni che possono essere attive (o di
vantaggio) e passive (o di svantaggio).
Le situazioni di vantaggio costituiscono esercizio di libertà o di discrezionalità, mentre le situazioni di svantaggio danno luogo a posizioni di assoggettamento, limitative della libertà dell’individuo (MORTATI).
Le posizioni (o situazioni) soggettive attive sono: il diritto soggettivo;
il diritto potestativo; il potere e la potestà; l’interesse legittimo; l’interesse
semplice.
Le posizioni soggettive passive sono: l’obbligo; ­­il dovere; l’onere; la
soggezione.
3.Il diritto soggettivo
A)Definizione
Il diritto soggettivo è quella posizione giuridica soggettiva di vantaggio che l’ordinamento giuridico conferisce ad un soggetto, riconoscendogli determinate utilità in ordine ad un bene, nonché la tutela degli interessi afferenti al bene stesso in modo pieno ed immediato.
Quest’ultima è rimessa al giudice ordinario e solo in casi tassativamente previsti (cd. giurisdizione esclusiva) al giudice amministrativo.
B)Diritti soggettivi perfetti e condizionati
Il diritto soggettivo si dice perfetto ogniqualvolta una norma cd. di
relazione, in quanto diretta a disciplinare comportamenti intersoggettivi,
attribuisca ad un soggetto un potere diretto ed immediato per la rea-
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Parte Seconda: I soggetti
lizzazione di un proprio interesse cui corrisponde necessariamente un
obbligo facente capo a soggetti determinati ovvero alla collettività.
Si hanno diritti condizionati, invece, qualora l’esercizio di essi è sottoposto a condizione che può essere risolutiva o sospensiva.
Si tratta di ipotesi in cui l’ordinamento consente, a determinate condizioni, il sacrificio o la limitazione di un diritto del singolo a vantaggio della
collettività (si pensi all’esproprio di un terreno per costruirvi un’autostrada).
I diritti condizionati, a loro volta, si distinguono in due categorie:
a) diritti sospensivamente condizionati (detti anche «diritti in attesa di espansione»: SANDULLI) sono quei diritti il cui esercizio è inizialmente limitato da un
ostacolo giuridico, per la cui rimozione è necessario un provvedimento amministrativo permissivo (cd. autorizzazione) che, rimuovendo tale ostacolo, consenta al diritto di espandersi ed acquistare la sua pienezza (es.: il diritto all’esercizio della professione, per il cui espletamento occorre l’iscrizione nel relativo
albo);
b) diritti risolutivamente condizionati (cd. fenomeno dell’affievolimento dei diritti); si ha diritto risolutivamente condizionato tutte le volte in cui il diritto, scontrandosi con l’esercizio autoritativo di una potestà amministrativa, affievolisce
ad interesse legittimo.
La P.A., infatti, nel perseguimento dei suoi fini pubblici può essere ostacolata dai
diritti di privati; in questi casi la legge può attribuire alla P.A. il potere di sacrificare tali diritti individuali a vantaggio dell’interesse collettivo, per cui i diritti
stessi, davanti a tale potere, «affievoliscono» ad interessi legittimi (es.: il diritto
del proprietario espropriato affievolisce ad interesse legittimo qualora la P.A.
eserciti legittimamente il potere di esproprio riconosciutole dall’art. 42 della
Costituzione e dalla legge).
4.L’interesse legittimo
A)Nozione
L’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva individuale
che ha trovato riconoscimento nel nostro ordinamento con la L. 5992/1889,
istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, quale giudice di quegli interessi sostanziali, diversi dai diritti soggettivi, che fino ad allora erano rimasti del tutto sforniti di tutela.
Di interesse legittimo si occupa espressamente anche la Costituzione,
agli artt. 24, 103 e 113, riconoscendogli piena dignità e tutela, senza però
fornirne una definizione.
Capitolo Primo: Le situazioni giuridiche soggettive di diritto amministrativo
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Secondo la dottrina l’interesse legittimo si «definisce come la situazione soggettiva di vantaggio, costituita dalla protezione giuridica di interessi finali che si attua non
direttamente ed autonomamente, ma attraverso la protezione indissolubile ed immediata di un altro interesse del soggetto, meramente strumentale, alla legittimità
dell’atto amministrativo e soltanto nei limiti della realizzazione di tale interesse strumentale» (CASETTA).
L’interesse legittimo è necessariamente correlato all’esercizio del potere amministrativo, come disciplinato dalla cd. norma di azione: il
provvedimento amministrativo subentra comunque, o come oggetto
di un’aspirazione (ad es. domanda di concessione di suolo pubblico per
installarvi un’edicola) o come oggetto di una ripulsa (impugnazione del
decreto di espropriazione).
I parametri che caratterizzano la figura dell’interesse legittimo sono:
— la differenziazione, cioè è titolare di un interesse legittimo colui che, rispetto
all’esercizio di un potere pubblico, si trovi in una posizione differenziata rispetto
a quella della generalità degli altri soggetti;
— la qualificazione, nel senso che la norma preordinata a disciplinare l’esercizio
del potere della P.A. per il perseguimento dell’interesse pubblico primario ha
indirettamente preso in considerazione, e quindi protetto, un interesse sostanziale individuale connesso o coincidente con l’interesse pubblico.
B)Diritto soggettivo e interesse legittimo: differenze
Da quanto detto deriva che l’interesse legittimo, diversamente da quanto sostenuto dai fautori della teoria processualistica, assume, al pari del
diritto soggettivo, una valenza sostanziale.
Posto quindi che sia il diritto soggettivo che l’interesse legittimo
hanno, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (SS.UU. 22-7-1999, n. 500), alla base un interesse materiale
protetto dall’ordinamento, essi vanno differenziati in funzione:
— del grado di protezione: il diritto soggettivo consta di poteri atti a soddisfare sempre e pienamente, con o senza la mediazione di un’altrui
condotta, l’interesse materiale, mentre l’interesse legittimo è tutelato non
immediatamente e pienamente, bensì in funzione della realizzazione
dell’interesse pubblico generale attraverso l’esercizio del potere pubblico;
— delle forme di protezione: la titolarità del diritto soggettivo legittima il
privato ad ottenere, in sede amministrativa o giurisdizionale, soltanto
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Parte Seconda: I soggetti
pronunce di natura reintegratoria o risarcitoria, mentre l’interesse legittimo offre possibilità di tutela più ampie e differenziate, quali ad esempio:
a) potere di richiedere l’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo
al giudice amministrativo; b) potere di provocare l’eliminazione dell’atto
attraverso il ricorso amministrativo; c) potere di partecipare al procedimento amministrativo anteriormente alla formazione dell’atto; d) potere
di dare inizio al procedimento amministrativo quando ciò sia consentito;
e) potere di attivare la tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. in caso di illegittima lesione dell’interesse legittimo.
Dottrina e giurisprudenza hanno proposto vari criteri distintivi fra diritti soggettivi ed interessi legittimi. In particolare, quello maggiormente accreditato si fonda
sulla distinzione tra carenza assoluta e cattivo esercizio del potere:
— nel caso di cattivo uso, da parte della P.A., del proprio potere discrezionale,
sussistendo una norma di legge che attribuisce alla P.A. il potere di emanare
l’atto, si avrà solo la lesione di un interesse legittimo, rappresentato dall’interesse del privato a che la P.A., nell’emanare l’atto, osservi i limiti, le forme ed il
procedimento stabiliti dalla norma attributiva del potere (interesse che può essere tutelato solo in sede di giurisdizione amministrativa);
— nell’ipotesi di carenza assoluta di potere, quando cioè manchi in radice il potere discrezionale della P.A. di interferire nella sfera giuridica del privato, ovvero non sussistano i presupposti di fatto che consentano l’esercizio di tale
potere, l’atto amministrativo è considerato inidoneo ad incidere legittimamente
sul diritto soggettivo del privato, che quindi sussiste nella sua integrità e può
essere fatto valere davanti al giudice ordinario.
Pertanto, tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere dell’amministrazione, si fa valere un interesse legittimo e la giurisdizione è del G.A., mentre si ha questione di diritto soggettivo e la giurisdizione è del G.O. quando si contesta la stessa
esistenza del potere. In tal modo si è posto il collegamento seguente: carenza di
potere-diritto soggettivo, cattivo uso del potere-interesse legittimo.
Come si definiscono gli interessi legittimi pretensivi e quelli oppositivi?
Nell’ambito della categoria degli interessi legittimi è possibile distinguere tra interessi legittimi
pretensivi ed interessi legittimi oppositivi, in base al tipo di interesse materiale protetto (NIGRO).
Gli interessi legittimi pretensivi si sostanziano in una pretesa del privato a che l’amministrazione
adotti un determinato provvedimento o ponga in essere un dato comportamento; gli interessi oppositivi, invece, legittimano il privato ad opporsi all’adozione di atti e comportamenti da parte della
pubblica amministrazione, che sarebbero pregiudizievoli per la propria sfera giuridica.
Capitolo Primo: Le situazioni giuridiche soggettive di diritto amministrativo
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5.Gli interessi amministrativamente protetti (o semplici)
e gli interessi di fatto
L’interesse semplice è la pretesa a che la P.A., nell’esercizio del suo
potere discrezionale, si attenga a quei criteri di opportunità e di convenienza riguardanti il cd. merito amministrativo, e che sono tutelati dalle
norme non giuridiche di azione (cd. norme di buona amministrazione).
Tali interessi, a differenza di quelli legittimi, non ricevono alcuna tutela (neppure
occasionale, indiretta), se non a livello amministrativo; essi, infatti, possono esser
fatti valere solo con i ricorsi gerarchici: per questo motivo si chiamano anche interessi amministrativamente protetti.
Gli interessi di fatto sono quegli interessi, non qualificati né differenziati, a che la P.A. osservi i doveri giuridici posti a suo carico ed a vantaggio
della collettività non soggettivizzata.
Tali interessi sono del tutto irrilevanti per il diritto e non ricevono alcuna tutela;
essi, in pratica, non sono interessi giuridici. Esempi di interessi di fatto possono
essere l’interesse a che le strade siano ben mantenute, ben illuminate etc.: l’unica
garanzia posta a tutela di tali interessi è data all’obbligo di «buona amministrazione»
che grava sulla P.A. I privati possono con reclami far rilevare queste mancanze;
trattasi, però, di mere denunce di cui la P.A. può non tenere conto alcuno.
Solo in casi eccezionali (es.: azioni popolari) i cittadini, uti singuli, possono esperire azioni a tutela di interessi di fatto.
6.Gli interessi collettivi e diffusi
A)Concetto e caratteri
Le posizioni giuridiche soggettive possono anche assumere una dimensione superindividuale. A tal fine si distingue tra:
a) interessi diffusi, che sono quelli comuni a individui di una formazione
sociale non organizzata e non individuabile autonomamente;
b) interessi collettivi, che sono, invece, quelli che fanno capo ad un ente
esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (es.: ordini professionali, associazioni private riconosciute, associazioni di fatto), ma autonomamente individuabile.
L’interesse collettivo, a sua volta, è:
— differenziato, in quanto fa capo ad un soggetto individuato e cioè una «organizzazione di tipo associativo», che si distingue tanto dalla collettività che dai
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Parte Seconda: I soggetti
singoli partecipanti; da ciò consegue che la lesione dell’interesse collettivo legittima al ricorso solo l’organizzazione e non i singoli che di essa fanno parte;
— qualificato: nel senso che è previsto e considerato sia pure indirettamente, dal
diritto oggettivo.
In particolare, il titolo qualificante può essere il più vario:
— il diritto dell’organizzazione di partecipare al procedimento amministrativo
previsto per l’emanazione di quel dato provvedimento;
— la militanza pregressa a protezione di un certo bene;
— lo stabile collegamento territoriale;
— l’interesse alla salubrità ambientale.
B)Tutela degli interessi collettivi
Il più recente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, in tema di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, ha elaborato il criterio procedimentale. Trattasi di un
criterio in forza del quale la legittimazione processuale va ricollegata alla partecipazione
procedimentale: quando, per legge, l’organizzazione è ammessa a partecipare alla fase
della formazione del provvedimento amministrativo, si deve ritenere configurabile in
capo alla medesima un interesse differenziato e qualificato, con conseguente sua legittimazione ad impugnare il provvedimento, ove questo si riveli lesivo di un suo interesse.
Il suddetto criterio assume un particolare rilievo pratico alla luce dell’intervento
della L. 241/1990, la quale, all’art. 9, ha sancito la legittimazione procedimentale dei
portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati. Si può, quindi,
ritenere che tale norma costituisca una fonte normativa generale della legittimazione processuale dei portatori di interessi diffusi, con la conseguenza che la legittimazione processuale stessa va ascritta a tutte quelle organizzazioni che siano
abilitate a partecipare al procedimento amministrativo successivamente sfociato
nell’atto da impugnare.
7.La class action
A)La disciplina di cui al Codice del consumo
Il Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005) fornisce un nuovo modello di
tutela degli interessi collettivi dinanzi al G.O.
L’art. 140bis, come sostituito dall’art. 49 L. 99/2009 e modificato dal
D.L. 24-1-2012, n. 1, conv. in L. 24-3-2012, n. 27 (cd. decreto cresci Italia),
ha introdotto nel nostro ordinamento l’azione di classe (cd. class action). Si
tratta di un’azione collettiva promossa, a tutela dei diritti individuali
omogenei dei consumatori e degli interessi collettivi, da uno o più
soggetti che richiedono il risarcimento del danno non solo a loro nome,
Capitolo Primo: Le situazioni giuridiche soggettive di diritto amministrativo
39
ma per tutta la «classe», ossia per tutti coloro che hanno subìto il
medesimo illecito.
In particolare, il legislatore del 2012 ha precisato che l’azione di classe ha per
oggetto l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno
e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori.
L’attuale disciplina (in vigore dal 1° gennaio 2010), dispone che attraverso la class action sono tutelabili:
a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano
nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i
diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del
codice civile;
b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti
anticoncorrenziali.
Nelle ipotesi sopra delineate, ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
In caso di accoglimento, il tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui
liquida, ai sensi dell’art. 1226 c.c., le somme definitive dovute a coloro che hanno
aderito all’azione o stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione.
B)La class action contro la P.A.
In materia occorre anche ricordare quanto previsto dal D.Lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, che ha disciplinato la class action nei confronti
della P.A.
Il decreto citato prevede che gli utenti dei servizi pubblici possano agire nei confronti della P.A. e dei concessionari, per la violazione degli
standard qualitativi ed economici degli obblighi contenuti nelle carte dei
servizi, ovvero per l’omesso esercizio dei poteri di vigilanza, di controllo o
sanzionatori, ovvero ancora per la mancata emanazione degli atti amministrativi nei termini previsti (art. 1).
Lo scopo di tale azione è quello di garantire il corretto svolgimento della funzione amministrativa o la corretta erogazione dei servizi, affidando la
supervisione ed il controllo dei parametri di efficienza, efficacia ed econo-
40
Parte Seconda: I soggetti
micità ai singoli utenti, ovvero alle associazioni rappresentative dei loro
interessi.
Non è previsto alcun risarcimento del danno eventualmente subìto dagli
utenti, avendo l’azione mera funzione sollecitatoria e ripristinatoria del
«corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio»:
è questa la più importante differenza tra l’azione contro la P.A. e quella
civilistica ex art. 140bis del Codice del consumo. In ordine al risarcimento
del danno, dunque, restano fermi i rimedi ordinari (art. 1, comma 6, D.Lgs.
198/2009).
Lo scopo deterrente proprio dell’azione di classe è rimesso unicamente alla
previsione della trasmissione della sentenza di accoglimento alla Corte dei
conti e agli organismi di valutazione e misurazione delle performances dei pubblici
dipendenti, con l’obbligo, per l’amministrazione coinvolta, di accertare i soggetti
che hanno concorso a cagionare l’omissione o il ritardo sanzionati dal giudice e di
adottare i conseguenti provvedimenti di competenza (art. 4, comma 3, D.Lgs.
198/2009).
Glossario
Diritto potestativo: è la situazione giuridica soggettiva che ha per contenuto il potere di un soggetto di produrre determinati effetti giuridici mediante una dichiarazione unilaterale di volontà, al quale corrisponde una situazione di soggezione del destinatario tenuto a subire tali effetti nella propria sfera giuridica.
Uti singuli: si usa questo termine quando ci si intende riferire alle persone singole, considerate individualmente. Al contrario, con l’espressione uti cives ci si riferisce a tutti i componenti la collettività.
Capitolo Quarto
Il rapporto di lavoro alle dipendenze
della pubblica amministrazione
Sommario: 1. Il lavoro pubblico: definizione e caratteri. - 2. Evoluzione storiconormativa della disciplina del lavoro pubblico. In particolare, la privatizzazione.
- 3. La riforma Brunetta. - 4. Il nuovo iter di riforma del lavoro pubblico. - 5. Il
sistema delle fonti del pubblico impiego e la contrattazione collettiva. - 6. Accesso al pubblico impiego ed organizzazione degli uffici. - 7. La dirigenza
pubblica. - 8. Doveri e diritti del pubblico dipendente. - 9. Il ciclo di gestione
della performance e la valorizzazione del merito: le novità della riforma Brunetta. - 10. La responsabilità dell’impiegato. In particolare, la responsabilità disciplinare. - 11. La disciplina della mobilità nel lavoro pubblico e le novità alla luce
della riforma della P.A. - 12. Lo svolgimento del rapporto di impiego. - 13. L’estinzione del rapporto di impiego.
1.Il lavoro pubblico: definizione e caratteri
Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. — tradizionalmente definito impiego pubblico — è quello che si instaura tra un privato e lo Stato
o un ente pubblico non economico, in virtù del quale il primo pone la
propria attività, in modo continuativo e volontario, al servizio dell’ente
stesso, dietro corresponsione di una retribuzione.
Per effetto della instaurazione di tale rapporto, il dipendente assume uno specifico status con particolari diritti e doveri e risulta stabilmente inserito nell’organizzazione della P.A. datrice di lavoro, rispetto alla quale, pertanto, è gerarchicamente subordinato. La sua prestazione, inoltre, concorre alla realizzazione dei fini
istituzionali dell’ente.
Il rapporto di pubblico impiego si configura come:
— volontario: sia per la costituzione che per la continuazione del rapporto, è richiesta non solo la volontà della P.A., ma quella del dipendente;
— strettamente personale: la specifica capacità intellettuale e tecnica necessaria per ogni singolo ufficio e la fiducia che l’ente deve avere nella persona cui
affida la cura dei propri interessi comportano che il rapporto sia costituito intuitu personae;
— bilaterale: da esso, infatti, derivano diritti ed obblighi reciproci per ciascuna
delle parti;
62
Parte Seconda: I soggetti
— di subordinazione: in quanto la prestazione lavorativa è svolta alle dipendenze
della pubblica amministrazione da un soggetto in rapporto di istituzionale subordinazione con la stessa.
Quali sono i più rilevanti principi costituzionali riguardo al pubblico impiego?
La materia del pubblico impiego non trova una disciplina organica e completa tra le norme costituzionali, sebbene vi siano varie prescrizioni che assumono particolare rilevanza in tale ambito.
Tra queste ricordiamo:
— il principio dell’accesso ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza (art. 51);
— il dovere per il funzionario pubblico di adempiere con onore alle pubbliche funzioni e di porsi
al servizio esclusivo della Nazione (artt. 54 e 98);
— la riserva di legge inerente all’organizzazione dei pubblici uffici e il principio di buon andamento dell’amministrazione (art. 97);
— la formazione professionale dei lavoratori; il profilo retributivo e la tutela dei minori e delle donne nel rapporto di lavoro (artt. 35, 36 e 37);
— la responsabilità diretta dei dipendenti pubblici, il diritto di sciopero e gli altri diritti sindacali (artt. 28, 29 e 40).
2.Evoluzione storico-normativa della disciplina del lavoro pubblico. In particolare, la privatizzazione
In una prima fase, il rapporto di pubblico impiego era oggetto di una
disciplina rigorosamente unilaterale, scandita da atti di natura legislativa o
regolamentare, in seno alla quale non era riconosciuto rilievo alcuno alla
fonte contrattuale.
In particolare, la disciplina del rapporto di impiego era contenuta nel R.D. 11
novembre 1923, n. 2395 (ordinamento gerarchico) e nel R.D. 30 ottobre 1923,
n. 2960 (stato giuridico).
Un primo passo verso la parificazione tra lavoro privato e pubblico è
stato compiuto con il D.P.R. 10-1-1957, n. 3, contenente il Testo unico
degli impiegati civili dello Stato.
Nonostante l’enunciazione della volontà di colmare le distanze tra lavoro pubblico e privato, la normativa relativa all’impiego pubblico restava, però, profondamente differenziata rispetto a quella dell’impiego privato, in quanto il rapporto di
lavoro sorgeva da un atto unilaterale della P.A. (cd. atto di nomina) quale espressione dell’esercizio di un potere pubblico, la disciplina del rapporto era affidata a
leggi e regolamenti e le relative controversie erano affidate al Giudice Amministrativo.
Il D.Lgs. 13-2-1993, n. 29 ha suggellato il (faticoso) processo di privatizzazione dell’impiego pubblico, assoggettando, fatte salve eccezioni soggettive ed oggettive, la disciplina dei pubblici impiegati alla disciplina
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 63
del lavoro privato, alla contrattazione collettiva e, per conseguenza, alla
giurisdizione del giudice ordinario.
Sulla base delle direttrici enunciate dalla legge Bassanini n. 59 del 1997, il D.Lgs.
31 marzo 1998, n. 80 (cd. seconda privatizzazione) ha modificato le disposizioni
fondamentali del D.Lgs. 29/1993, rafforzando la valenza del contratto, sia individuale che collettivo e ampliando gli spazi di delegificazione e autonomia nell’organizzazione degli uffici.
In un secondo momento, al fine di riordinare la molteplicità di fonti normative esistenti in materia, vi è stata l’emanazione del D.Lgs. 30-3-2001,
n. 165, contenente norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, cd. Testo unico sul pubblico impiego.
Nel D.Lgs. 165/2001 è confluito il previgente D.Lgs. 29/1993; esso ha realizzato
un primo consolidamento del processo di privatizzazione, le cui finalità riguardano:
— la crescita dell’efficienza delle amministrazioni, in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell’Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo dei sistemi informativi pubblici;
— la razionalizzazione del costo del lavoro pubblico, mediante il contenimento della spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;
— la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni,
assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato e garantendo pari
opportunità alle lavoratrici e ai lavoratori nonché l’assenza di qualunque altra
forma di discriminazione e di violenza morale o psichica.
Tra le ulteriori innovazioni intervenute negli anni successivi, ricordiamo,
inoltre, il definitivo passaggio della giurisdizione sulle controversie di
lavoro al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro a partire dal 1°
luglio 1998.
Qual è l’ambito di applicazione della normativa di privatizzazione?
Il legislatore, per evitare dubbi ermeneutici, ha elencato sia i soggetti coinvolti dalla citata privatizzazione sia quelli che, al contrario, ne rimangono esclusi.
In particolare, è stato precisato (art. 1, comma 2, D.Lgs. 165/2001) che per «amministrazioni pubbliche» si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni
ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, gli enti locali e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie,
gli istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato, ed agricoltura e
loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, e le amministra-
64
Parte Seconda: I soggetti
zioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. 300/1999.
Ricordiamo che la normativa del D.Lgs. 165/2001 si applica anche al CONI (Comitato Olimpico
Nazionale Italiano), fino alla revisione organica della disciplina di settore.
L’art. 3 D.Lgs. 165/2001 esclude alcune categorie di pubblici dipendenti (tassativamente indicate) dalla cd. privatizzazione. Per tali categorie non opera neppure il trasferimento della giurisdizione del G.O. La ratio di tale esclusione risiede nella peculiarità di determinate funzioni pubbliche.
Si tratta dei rapporti concernenti:
— magistrati ordinari, amministrativi e contabili;
— avvocati e procuratori dello Stato;
— personale militare e delle Forze di Polizia;
— personale delle carriere diplomatica e prefettizia, quest’ultima a partire dalla qualifica di vice
consigliere di prefettura;
— dipendenti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dal D.Lgs.C.p.S. 691/1947
(risparmio, funzioni creditizia e valutaria), e dalle leggi 281/1985 (tutela del risparmio, valori
mobiliari) e 287/1990 (tutela della concorrenza e del mercato);
— professori e ricercatori universitari, la cui mancata contrattualizzazione è seguita al congelamento della previgente situazione, in attesa di riforma, avutasi solo con la L. 30-12-2010, n.
240 (cd. riforma Gelmini dell’Università);
— dirigenti e personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, esclusi dalla privatizzazione della
L. 252/2004);
— personale della carriera dirigenziale penitenziaria (L. 154/2005).
Si ricordi, inoltre, che le disposizioni del D.Lgs. 165/2001 costituiscono principi fondamentali ai
sensi dell’art. 117 Cost., cui le Regioni a statuto ordinario devono attenersi tenendo conto delle
peculiarità dei rispettivi ordinamenti (art. 1, comma 3, D.Lgs. 165/2001).
3.La riforma Brunetta
Più di recente, in risposta all’esigenza di sviluppare meccanismi meritocratici nella P.A. e reagire alla scarsa qualità dei servizi offerti (cd. campagna
antifannulloni), la L. 4-3-2009, n. 15, ha attribuito un’ampia delega al Governo per riformare la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, nel segno della convergenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato.
Tale delega ha trovato attuazione con il D.Lgs. 27-10-2009, n. 150, cd.
riforma Brunetta. Si tratta della terza riforma del pubblico impiego, che
muove dall’esigenza di sviluppare, nelle strutture pubbliche — al pari di
quanto accade nelle imprese private — meccanismi meritocratici legati ai
risultati raggiunti e alla valutazione della performance lavorativa.
I punti salienti della del citato decreto attuativo riguardano:
— la trasparenza e la valutazione della performance.
Principi ispiratori della riforma del pubblico impiego sono il criterio di trasparenza e la valorizzazione del merito. La trasparenza è intesa quale accessibilità totale delle informazioni sull’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni. L’altro profilo portante della riforma riguarda l’attribuzione seletti-
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 65
va degli incentivi economici e di carriera, al fine di premiare i dipendenti
capaci e meritevoli;
— la valorizzazione del merito e gli strumenti di premialità.
Il D.Lgs. 150/2009 reca innovativi strumenti di valutazione del merito e metodi di
incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa, sulla
base dei principi di selettività e di concorsualità nelle progressioni di carriera
nonché nel riconoscimento degli incentivi;
— le innovazioni in materia di dirigenza, della quale vengono rafforzati
i poteri, e di contrattazione collettiva;
— le sanzioni disciplinari e le responsabilità dei pubblici dipendenti.
4.Il nuovo iter di riforma del lavoro pubblico
A)Le manovre economico-finanziarie del biennio 2010/2012
Il pubblico impiego, dopo la grande riorganizzazione avutasi con la riforma Brunetta, sta vivendo una nuova fase di rinnovamento; tali cambiamenti operano sulla base di svariate direttrici, la prima delle quali è sicuramente l’esigenaza del contenimento delle spese dell’apparato pubblico. In questo contesto vanno inquadrate le numerose manovre economicofinanziarie dirette, tra l’altro, alla razionalizzazione dei costi.
In primo luogo, occorre citare il D.L. 78/2010, conv. in L. 122/2010,
recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, finalizzato, tra l’altro, alla riduzione delle spese e dei costi
delle amministrazioni pubbliche nel loro complesso.
In particolare:
— viene predisposto un tetto al trattamento economico spettante sia ai dipendenti che ai dirigenti;
— viene introdotto il blocco per le progressioni automatiche previste per i dipendenti nonché sancito che le progressioni di carriera potranno produrre effetti
solo da un punto di vista giuridico e non economico;
— infine, per il triennio 2010-2012 le procedure negoziali e contrattuali vengono
messe in stand-by: si tratta del blocco della contrattazione, concernente tutto il
pubblico impiego privatizzato.
Il blocco della contrattazione è stato, poi, ulteriormente prorogato, fino al 31
dicembre 2014: è quanto disposto dal D.P.R. 4-9-2013, n. 122, che allunga
i tempi previsti dal D.L. 78/2010 citato. Alle procedure contrattuali e negoziali
ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente si dà luogo solo per la
parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica (profilo
66
Parte Seconda: I soggetti
confermato anche dalla legge di stabilità 2014, L. 27-12-2013, n. 147).
Successivamente, il D.L. 6-7-2011, n. 98, «Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria», conv. in L. 15-7-2011, n. 111, tra le disposizioni dedicate al controllo e alla riduzione della spesa pubblica, ha predisposto
importanti tagli alle spese nel pubblico impiego.
A tale decreto hanno fatto seguito, a fronte dell’eccezionale crisi economica, ulteriori manovre normative, tra cui: il D.L. 13-8-2011, n. 138, conv.
in L. 14-9-2011, n. 148, in tema di stabilizzazione finanziaria e sviluppo, al
quale è legata una incisiva riduzione degli organici delle pubbliche amministrazioni; la L. 12-11-2011, n. 183, cd. legge di stabilità 2012; il D.L. 6-122011, n. 201, conv. in L. 22-12-2011, n. 214, cd. decreto salva Italia.
Quest’ultimo, tra l’altro, ha disposto interventi diretti alla riduzione dei costi di
funzionamento delle amministrazioni pubbliche.
Su di un piano diverso, occorre fare un cenno anche al cd. «Collegato
lavoro», L. 4-11-2010, n. 183.
Tra le maggiori novità da questo introdotte, si ricordano: le modifiche introdotte nel T.U. pubblico impiego in relazione al tema delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori; le modifiche alla disciplina del trattamento dei dati personali effettuate da soggetti pubblici; la previsione della possibilità, per i dipendenti pubblici,
di essere collocati in aspettativa per massimo 12 mesi al fine di avviare attività professionali e imprenditoriali.
La cd. riforma Fornero trova applicazione anche per i pubblici dipendenti?
Le disposizioni della L. 92/2012, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono
principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni soggetti alla privatizzazione (infatti, per le categorie di personale non privatizzato restano
ferme le previsioni di cui all’art. 3 D.Lgs. 165/2001).
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, è tenuto ad individuare e definire, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
B)Il nuovo volto della pubblica amministrazione tra spending review e recupero di integrità
Il percorso normativo fin qui delineato sembra essersi, infine, assestato
su due importanti direttrici: da un lato, infatti, la disciplina dell’attività e
dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni (e dei pubblici uffici) è
sempre più orientata verso obiettivi di razionalizzazione e risparmio;
dall’altro lato, tale processo di riduzione delle spese si accompagna all’esi-
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 67
genza, estremamente sentita, di riportare le amministrazioni medesime
entro i binari della legalità e dell’integrità.
Per quanto concerne il primo profilo, occorre ricordare le manovre cd.
di spending review, ossia di revisione della spesa; nella seconda direttrice,
invece, si pongono le iniziative del legislatore per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e dei fenomeni di malaffare in genere.
Il principale intervento di revisione della spesa è stato il D.L. 95 del 6
luglio 2012, conv. in L. 7-8-2012, n. 135: si tratta di un provvedimento
diretto a migliorare l’efficienza e la competitività del Paese mediante misure di restringimento dei costi, in linea con le best practices europee. Il settore maggiormente inciso, non a caso, è quello della pubblica amministrazione.
In particolare, tra le riduzioni programmate, occorre ricordare:
— il taglio delle dotazioni organiche delle amministrazioni pubbliche (20% del
personale dirigenziale e 10% di quello non dirigenziale);
— la riduzione delle spese in genere nelle amministrazioni (tetti alle cd. auto blu
e limitazioni alle consulenze esterne nelle amministrazioni);
— i tagli alle spese dei Ministeri, degli enti territoriali, nel settore della sanità.
Si rammenti, inoltre, per quanto in tal sede di interesse, l’abrogazione della norma sulla vicedirigenza (art. 17bis D.Lgs. 165/2001), mai attuata.
Sulla scorta del D.L. 95 cit. ha in seguito visto la luce il D.P.R. 16-4-2013, n.
70, di riordino del sistema di reclutamento e formazione dei dirigenti e dei funzionari pubblici: questo istituisce un sistema unico di reclutamento e formazione e stabilisce nuove regole per la relativa programmazione, ispirate ad una maggiore efficienza e concentrazione di funzioni e risorse.
La decretazione d’urgenza è poi andata avanti con il D.L. 31-8-2013,
n. 101, conv. in L. 30-10-2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per
il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», cd. decreto P.A.
Tale provvedimento, ponendosi nella scia tracciata dalle manovre precedenti, opera tra l’altro ulteriori riduzioni delle spese delle pubbliche amministrazioni e delle società partecipate (specialmente per auto di servizio
e consulenze) e predispone una serie di misure per l’efficientamento e la
razionalizzazione nelle PP.AA. medesime.
Si tratta del provvedimento conosciuto anche come decreto salva-precari, in
quanto principalmente pensato come lo strumento per ridurre il precariato nelle
amministrazioni e stabilizzare il relativo personale: viene infatti ribadito che per en-
68
Parte Seconda: I soggetti
trare al servizio delle amministrazioni la regola è rappresentata dal contratto a tempo indeterminato ed il lavoro flessibile è consentito solo per fare fronte ad esigenze
di carattere esclusivamente temporaneo ed eccezionale, opportunamente motivate.
I contratti in scadenza, a loro volta, verranno trasformati in assunzioni a tempo
indeterminato, attraverso un duplice canale: quello delle graduatorie a esaurimento e, in parallelo, dei nuovi bandi per i concorsi pubblici.
Le amministrazioni, infatti, fino al 31 dicembre 2016, non potranno indire nuovi
concorsi se prima non immettono in servizio tutti i vincitori collocati in graduatoria
(o se prima non ne hanno verificato l’assenza); entro lo stesso termine le PP.AA.
potranno avviare concorsi riservati, nei limiti del 50% delle risorse per le assunzioni, per coloro che hanno già lavorato con le amministrazioni a tempo determinato e aventi almeno 3 anni di servizio negli ultimi 5.
Inoltre, non vi saranno più concorsi diversi per le medesime competenze: arrivano i concorsi unici, organizzati dalla Funzione pubblica, alle cui procedure
possono partecipare anche Regioni ed enti locali.
Il secondo profilo che, come accennato, ha caratterizzato l’azione legislativa dell’ultimo biennio è quello del recupero della legalità e dell’integrità nell’azione e nell’organizzazione amministrativa.
In tale contesto, il legislatore ha approntato un articolato «pacchetto» di
misure anticorruzione: ha visto così la luce la L. 6-11-2012, n. 190.
Tale normativa, infatti, ha inciso sia sul codice penale, relativamente ai delitti
contro la pubblica amministrazione, sia sulle norme che disciplinano direttamente
il rapporto di lavoro pubblico, prevedendo una serie di deleghe all’esecutivo, in
materia, tra l’altro, di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive, di trasparenza, di incarichi dirigenziali e di attività amministrativa.
In particolare, alla legge anticorruzione hanno fatto seguito:
— il D.Lgs. 31-12-2012, n. 235, Testo Unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive e di governo, conseguenti a sentenza definitive di condanna per delitti non colposi;
— il D.Lgs. 14-3-2013, n. 33, recante il riordino degli obblighi di pubblicità e trasparenza (e delle correlate responsabilità) posti in capo alle amministrazioni: in
pratica, ogni aspetto dell’attività e dell’organizzazione delle PP.AA. diviene pubblico;
— il D.Lgs. 8-4-2013, n. 39, recante disposizioni in tema di inconferibilità e incompatibilità di incarichi dirigenziali e di vertice nelle amministrazioni e negli enti
privati in controllo pubblico.
Nella prospettiva della legalità e della trasparenza si pone, poi, anche il nuovo
Codice di comportamento dei pubblici dipendenti, approvato con il D.P.R. 16-
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 69
4-2013, n. 62, con il quale si procede al riordino dei relativi obblighi di diligenza,
imparzialità e buona condotta.
C)Segue: La riforma della P.A. varata dal governo Renzi
Esattamente a metà strada tra le esigenze di semplificazione e risparmio
e quelle di contrasto alla corruzione si pone, infine, la nuova riforma della
pubblica amministrazione di cui al cd. decreto P.A. – riforma RenziMadia, D.L. 24-6-2014, n. 90 («Misure urgenti per la semplificazione e la
trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari»), conv. in
L. 11-8-2014, n. 114.
Per quanto in tal sede di interesse, e riservandoci di esaminare nel prosieguo della trattazione i punti salienti, la nuova riforma della pubblica
amministrazione contiene, tra l’altro:
— nuove norme su turn over e ricambio generazionale nei pubblici
uffici. In particolare, viene revocato l’istituto del trattenimento in servizio
(che consentiva di lavorare oltre l’età pensionabile) per i dipendenti
pubblici che hanno superato i limiti di età per il collocamento a riposo e
i prolungamenti in corso la chiusura è programmata entro il 31 ottobre
2014, con l’obiettivo di permettere alle nuove generazioni l’ingresso al
lavoro alle dipendenze della P.A.;
— una nuova disciplina della mobilità volontaria e obbligatoria (v. infra);
— una nuova disciplina sull’assegnazione di mansioni nell’ambito della
gestione del personale in disponibilità (mediante la novella dell’art. 34
D.Lgs. 165/2001);
— il divieto di incarichi dirigenziali a personale in quiescenza e una
significativa stretta sulle prerogative sindacali del personale pubblico;
— nuove disposizioni sul personale di Regioni ed enti locali;
— il passaggio all’A.N.AC. (Autorità Nazionale Anticorruzione, istituita,
con la denominazione di CIVIT, dalla riforma Brunetta) delle funzioni
dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi
e forniture, che viene soppressa;
— la stretta sulle strutture formative dei dipendenti pubblici: resta
infatti una scuola unica, la Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
70
Parte Seconda: I soggetti
5.Il sistema delle fonti del pubblico impiego e la contrattazione collettiva
A)Legge e contratto dopo la riforma Brunetta
I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e
dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D.Lgs. 165/2001: in ciò consiste, essenzialmente, la contrattualizzazione del lavoro pubblico (art. 2, comma 2, D.Lgs. 165/2001).
Il D.Lgs. 150/2009 ha aggiunto che:
— le speciali disposizioni del D.Lgs. 165/2001, che modellano i tratti specifici del rapporto dei pubblici dipendenti, rappresentano «disposizioni a carattere imperativo»;
— nell’ipotesi di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli artt. 1339
e 1419, comma 2, c.c. (meccanismo della sostituzione automatica delle clausole difformi e della conservazione del contratto affetto da nullità parziale).
B)La contrattazione nazionale ed integrativa
Nel quadro complessivo delle relazioni sindacali, la contrattazione nel
pubblico impiego ha, ormai, acquisito una importanza pari a quella del lavoro privato.
La contrattazione collettiva nazionale, infatti, determina i diritti e gli
obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie
relative alle relazioni sindacali (art. 40 D.Lgs. 165/2001).
In particolare, sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti
all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale, quelle
afferenti alle prerogative dirigenziali, nonché quelle ex art. 2, L. 421/1992. Nelle
materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini
della corresponsione del trattamento economico accessorio, della mobilità e delle
progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi
limiti previsti dalla legge.
La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato,
la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti
collettivi nazionali ed integrativi.
Le pubbliche amministrazioni attivano poi autonomi livelli di contrattazione
collettiva integrativa. Questa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività
dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance dei
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 71
pubblici dipendenti. A tal fine destina al trattamento economico accessorio
collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato. Essa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere àmbito territoriale e riguardare più amministrazioni.
I contratti collettivi nazionali definiscono il termine delle sessioni negoziali in
sede decentrata e alla scadenza del termine le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione.
C)I soggetti della contrattazione
L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) ha la rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni, esercita a livello nazionale ogni attività relativa alle relazioni
sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e all’assistenza delle
pubbliche amministrazioni ai fini dell’uniforme applicazione dei contratti
collettivi.
I rappresentanti dei lavoratori, invece, relativamente alla stipula dei contratti collettivi nazionali, sono le organizzazioni sindacali che abbiano nel
comparto una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando, a tal fine,
la media tra il dato associativo ed il dato elettorale.
Alla contrattazione collettiva nazionale partecipano, inoltre, le confederazioni
alle quali siano affiliate le organizzazioni sindacali come sopra individuate.
Formazione del
contratto collettivo (art. 47 D.Lgs.
165/2001)
➤➤ I comitati di settore emanano gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale prima di ogni rinnovo contrattuale
➤➤ L’ipotesi di accordo è trasmessa all’ARAN ai comitati di
settore ed al Governo e entro 10 giorni dalla sottoscrizione
➤➤ Acquisto il parere favorevole sull’ipotesi di accordo (nonché
la verifica da parte delle PP.AA. interessate sulla copertura
degli oneri contrattuali) il giorno successivo l’ARAN trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei
conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio
➤➤ La Corte dei conti certifica l’attendibilità dei costi quantificati
e la compatibilità con gli strumenti di programmazione e di
bilancio entro 15 giorni dalla trasmissione della stessa, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata positivamente
➤➤ Se la certificazione è positiva, il Presidente dell’ARAN sottoscrive definitivamente il contratto collettivo
72
Formazione del
contratto collettivo (art. 47 D.Lgs.
165/2001)
Parte Seconda: I soggetti
➤➤ In caso di certificazione non positiva, il Presidente dell’ARAN
provvede alla riapertura delle trattative e alla sottoscrizione
di una nuova ipotesi di accordo, adeguando i costi contrattuali ai fini della certificazione
➤➤ Nel caso in cui la certificazione non positiva sia limitata a
singole clausole contrattuali, l’ipotesi può comunque essere
sottoscritta definitivamente, ferma restando l’inefficacia
delle clausole contrattuali non positivamente certificate
➤➤ I contratti e accordi collettivi nazionali nonché le eventuali
interpretazioni autentiche sono pubblicati nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana oltre che sul sito dell’ARAN
e delle amministrazioni interessate
➤➤ Una volta sottoscritto, il contratto collettivo acquista efficacia erga omnes, cioè sia per le amministrazioni che per tutti
i lavoratori
6.Accesso al pubblico impiego ed organizzazione degli
uffici
A)Le modalità di accesso ai pubblici uffici
È la Carta costituzionale a prevedere espressamente, all’art. 97, che
agli impieghi pubblici si accede mediante concorso, salvi i casi stabiliti
dalla legge.
Tale norma è diretta ad assicurare imparzialità ed efficienza all’azione
amministrativa, in quanto il meccanismo concorsuale dovrebbe tendenzialmente garantire la selezione di personale qualificato.
L’assunzione nelle pubbliche amministrazioni avviene (art. 35 D.Lgs.
165/2001):
— tramite procedure selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta;
— mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento, per
le qualifiche e i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola
dell’obbligo.
Sono, poi, fatte salve le assunzioni obbligatorie dei soggetti appartenenti alle categorie protette (ai sensi della L. 68/1999): queste avvengono
attraverso chiamata numerica degli iscritti nelle liste di collocamento.
Circa il reclutamento del personale, occorre però coordinare la normativa di cui al T.U. pubblico impiego con il D.P.R. 16-4-2013, n. 70,
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 73
«Regolamento recante riordino del sistema di reclutamento e formazione dei
dipendenti pubblici e delle Scuole pubbliche di formazione».
Infatti:
— la programmazione del reclutamento (di dirigenti e funzionari) avviene mediante un Piano triennale previsionale di reclutamento,
redatto dalla Funzione pubblica entro il 30 aprile di ciascun anno. Tale
piano viene elaborato attraverso un modello di previsione quantitativa
e qualitativa del fabbisogno di reclutamento, tenendo conto del numero di posti vacanti e in funzione degli obiettivi generali di dimensionamento degli organici, nonchè sulla base della valutazione strategica delle missioni e dei programmi assegnati alle pubbliche amministrazioni;
— entro il 31 ottobre di ogni anno, poi, sulla base del piano, sono stabiliti
il numero dei posti e i profili professionali da destinare al reclutamento di dirigenti e funzionari tramite corso-concorso selettivo bandito
dalla Scuola nazionale dell’amministrazione per quanto concerne il reclutamento dei funzionari e il numero dei posti e i relativi profili professionali destinati al reclutamento da parte delle singole amministrazioni;
— l’accesso alle aree funzionali per le quali è richiesto il possesso della
laurea avviene, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti,
tramite corso-concorso selettivo bandito dalla Scuola nazionale
dell’amministrazione.
Le norme di cui al citato D.P.R. 70 restano ferme anche dopo l’emanazione del D.L. 101/2013, conv. in L. 125/2013 (cd. decreto P.A. o
salva-precari), il quale, nel contesto delle misure di razionalizzazione
delle spese pubbliche, da un lato statuisce che le amministrazioni potranno sì indire nuovi concorsi, ma solo se prima tutti i soggetti utilmente
collocati nelle relative graduatorie siano stati immessi in servizio e, dall’altro lato, prevede l’indizione di concorsi unici per il reclutamento di funzionari e di dirigenti.
Una volta assunto, il dipendente è soggetto ad un periodo di prova; se
questo termina senza che nessuna delle due parti receda, il dipendente si
intende confermato in servizio con il riconoscimento dell’anzianità dal giorno dell’assunzione a tutti gli effetti.
74
Parte Seconda: I soggetti
Quali sono i requisiti per l’ammissione all’impiego?
I requisiti generali di accesso e le modalità concorsuali sono fissati dal D.P.R. 487/1994. Tale regolamento trova ancora applicazione per le parti non incompatibili con quanto previsto dall’art. 35
D.Lgs.165/2001, salva la facoltà delle singole amministrazioni di regolare diversamente la materia nell’ambito dei rispettivi ordinamenti.
I requisiti generali, ex art. 2 D.P.R. 487/1994, sono:
a) cittadinanza italiana o di uno degli Stati appartenenti all’Unione europea;
b) età non inferiore a 18 anni: non vi sono limiti massimi di età, salvo le deroghe dettate dai regolamenti delle singole amministrazioni;
c) idoneità fisica all’impiego: l’amministrazione ha facoltà di sottoporre a visita medica di controllo i vincitori di concorsi;
d) godimento dei diritti politici: non possono accedere agli impieghi coloro che sono esclusi
dall’elettorato politico attivo o coloro che siano stati destituiti dall’impiego presso una P.A.;
e) titolo di studio: ad esempio per l’accesso ai profili professionali di ottava qualifica funzionale
è richiesto il diploma di laurea.
A partire dal 1° gennaio 2000 i bandi di concorso devono, inoltre, prevedere l’accertamento della
conoscenza dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e di almeno una lingua straniera (art. 37 D.Lgs. 165/2001).
B)L’organizzazione degli uffici tra macro e micro-organizzazione
Il D.Lgs. 165/2001 precisa, in ossequio alla riserva di legge di cui
all’art. 97 Cost., che le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo
principi generali fissati da disposizioni di legge e, mediante atti organizzativi, ed in base ai rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di
organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità degli stessi; determinano le
dotazioni organiche complessive (art. 2, comma 1; cd. macro-organizzazione).
La consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in
funzione delle finalità della privatizzazione medesima, previa verifica degli effettivi
fabbisogni e previa consultazione delle organizzazioni sindacali rappresentative.
L’obiettivo dell’aggiornamento delle dotazioni organiche all’effettiva realtà organizzativa dell’ente è garantito dal vincolo di revisione periodica e comunque triennale delle dotazioni organiche.
Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi, le determinazioni per
l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di
lavoro (cd. micro-organizzazione) sono assunte in via esclusiva dagli
organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici ovvero l’esame congiunto
— limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro — ove previste
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 75
nei contratti di cui all’art. 9 D.Lgs. 165/2001, concernenti la partecipazione
sindacale. Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali
le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità nonché la direzione, l’organizzazione del lavoro
nell’ambito degli uffici (art. 5, comma 2, D.Lgs. 165/2001).
C)Piante organiche, dotazioni e ruoli
Il personale che dipende da una pubblica amministrazione è inserito nel
relativo ruolo organico, che indica il numero complessivo dei posti caratterizzati da stabilità di cui essa dispone.
L’insieme dei posti assegnati a ciascun ruolo è definito come dotazione
organica, mentre si parla di pianta organica per indicare il numero dei
dipendenti che, visti nella loro articolata suddivisione gerarchica, effettivamente ricoprono, stabilmente e a tempo indeterminato, i posti previsti in
dotazione.
Il personale che non è titolare di un posto nella pianta organica è definito non di
ruolo, ed è in genere assunto per esigenze temporanee o per compiti contingenti.
È possibile avere forme di lavoro flessibile nel pubblico impiego?
La regola è che le pubbliche amministrazioni assumano esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, mediante i meccanismi di reclutamento concorsuale.
Tuttavia, per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali, le stesse possono avvalersi delle
medesime forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice
civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa (art. 36 D.Lgs. 165/2001, come
novellato dal D.L. 101/2013, conv. in L. 125/2013).
Le tipologie utilizzabili riguardano:
— i contratti di lavoro a tempo determinato;
— i contratti di formazione e lavoro;
— gli altri rapporti formativi;
— la somministrazione di lavoro;
— il lavoro accessorio.
Specifiche discipline per i pubblici dipendenti riguardano, poi, anche part-time e telelavoro, ammissibili nei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni.
Anche l’apprendistato, infine, è entrato a far parte dei contratti estensibili al pubblico impiego, con
il D.Lgs. 14-9-2011, n. 167 (nelle forme dell’apprendistato professionalizzante nonché di alta formazione e ricerca).
Accanto alle citate tipologie di lavoro flessibile, il legislatore contempla la possibilità, per le amministrazioni, di conferire incarichi individuali esterni a soggetti non facenti parte del personale in servizio
ma dotati di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria, per fronteggiare esigenze
per le quali non è possibile fare ricorso al personale interno (art. 7, comma 6, D.Lgs. 165/2001).
76
Parte Seconda: I soggetti
7.La dirigenza pubblica
A)Evoluzione normativa della figura
La disciplina della dirigenza pubblica ha, nel corso degli anni, subìto
notevoli mutamenti.
Essa, nell’ambito del pubblico impiego, è stata istituita con un’organica regolamentazione mediante il D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, con
cui la carriera dirigenziale è stata scorporata da quella direttiva, in cui era
fino a quel momento inglobata. Sebbene lo scopo del citato D.P.R. fosse
stato il riconoscimento di attribuzioni specifiche in capo ai dirigenti pubblici, l’affrancamento di questi ultimi rispetto ai vertici politici era ancora
lontano. Fu proprio questo a portare ai successivi interventi normativi.
Le riforme dagli anni Novanta in poi, infatti, hanno progressivamente
delineato il ruolo della figura dirigenziale come soggetto dotato di una
propria autonomia decisionale e, di conseguenza, di precise forme di
responsabilità.
Il decreto di riforma 29/1993 ha introdotto, anche sulla scorta della L.
142/1990 con riferimento all’ordinamento degli enti locali, il principio della
netta separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione,
per accrescere l’autonomia ed i poteri gestionali di pertinenza del ceto dirigenziale.
Punti qualificanti di detto riassetto sono stati, anzitutto, la sostituzione della
precedente tripartizione (dirigente generale, dirigente superiore, primo dirigente)
con una bipartizione: dirigente generale-dirigente; l’affermazione dell’autonomia
gestionale e operativa dei dirigenti, attraverso il passaggio da un rapporto di gerarchia ad uno di direzione con gli organi di direzione politica; la piena responsabilizzazione del ceto dirigente; infine, la modifica dei criteri di reclutamento e formazione.
La L. 15-3-1997, n. 59 ha, poi, inteso superare un’incongruenza presente nella
riforma del 1993, vale a dire la distinzione tra dirigenti, soggetti alla privatizzazione,
e dirigenti generali, ancora disciplinati da norme di diritto pubblico.
In attuazione della delega di cui alla L. 59/1997 è stato emanato il D.Lgs.
80/1998.
Esso ha operato: innanzitutto, una più precisa distinzione fra politica e amministrazione; in secondo luogo, ha istituito un ruolo unico della dirigenza, articolato in due fasce ai fini economici e per l’attribuzione degli incarichi di dirigenza
generale ed ha ridefinito il trattamento economico dei dirigenti tramite contratti
collettivi delle aree dirigenziali ed introdotto una nuova disciplina della responsabilità dirigenziale.
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 77
Il D.Lgs. 165/2001, Testo Unico pubblico impiego, ha sancito e
valorizzato quei criteri privatistici di managerialità ed efficienza in
conseguenza dei quali la dirigenza assume il monopolio delle decisioni
gestionali.
L’art. 4 D.Lgs. 165/2001 ha un ruolo strategico, in quanto il dirigente
viene dotato di una propria autonomia decisionale e, di conseguenza, assume la responsabilità in relazione all’adozione degli atti e provvedimenti
amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché alla gestione finanziaria, tecnica e amministrativa
(mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane,
strumentali e di controllo).
In materia è intervenuta, successivamente, anche la L. 15-7-2002, n. 145,
contenente «Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato». Con tale provvedimento sono
stati introdotti meccanismi atti ad incentivare la mobilità tra pubblico e privato, sono
state apportate modifiche nella disciplina degli incarichi dirigenziali ed è stata prevista un’area della vicedirigenza (oggi però abrogata dalla normativa in tema di
spending review, D.L. 95/2012, conv. in L. 135/2012).
B)Segue: dalla riforma Brunetta ad oggi: l’attuale configurazione
della dirigenza pubblica (attribuzioni e responsabilità)
Il D.Lgs. 150/2009, sulla scia della L. 15/2009, ha accentuato notevolmente il ruolo e la posizione dei dirigenti.
La riforma Brunetta, in primo luogo, delinea il dirigente quale vero e
proprio datore di lavoro pubblico; tale figura diventa, infatti, responsabile della gestione delle risorse umane e della qualità e quantità
delle prestazioni poste in essere dai dipendenti. Ai dirigenti compete,
pertanto, individuare le risorse e i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono preposti; ciò anche al fine della
compilazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno
di personale.
A tale ultimo proposito, è previsto che detto documento, nonché i suoi aggiornamenti, sono elaborati su proposta dei competenti dirigenti che individuano i
profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture cui sono preposti (art. 6 D.Lgs. 165/2001, comma 4bis, aggiunto dal D.Lgs.
150/2009).
I dirigenti di uffici dirigenziali generali, ancora, hanno il compito di combattere i fenomeni di corruzione e di definire e far rispettare le misure
78
Parte Seconda: I soggetti
idonee al contrasto di quest’ultima (profilo reso ancora più incisivo dal D.L.
95/2012, conv. in L. 135/2012, cd. spending review, nel contesto della
trasparenza delle procedure di spesa per l’acquisto di beni e servizi).
In proposito, si ricordi che la L. 190/2012, cd. «pacchetto anticorruzione»,
istituisce proprio la figura del «dirigente anticorruzione». Egli ha il compito di
predisporre un piano di prevenzione della corruzione che fornisca una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di illegalità e indichi gli
interventi opportuni a fini preventivi (di solito si tratta di un dirigente di prima fascia;
negli enti locali sarà il segretario).
I dirigenti sono tenuti ad effettuare la valutazione del personale assegnato ai loro uffici, ai fini non solo della progressione economica tra le aree,
ma anche della corresponsione di indennità e premi incentivanti.
A tali maggiori poteri corrisponde anche una responsabilità più accentuata: i dirigenti rispondono del mancato esercizio dei poteri datoriali, se
le loro omissioni cagionino lo scarso rendimento dei propri dipendenti (art.
21 D.Lgs. 165/2001).
Infatti, il mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato attraverso le
risultanze del sistema di valutazione di cui al ciclo di gestione della performance
(previsto dal Titolo II del D.Lgs. 150/2009), ovvero l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando
l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale.
In relazione alla gravità dei casi, l’amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l’incarico, collocando il dirigente a disposizione dei ruoli unici dei dirigenti, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.
Al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata la colpevole violazione del
dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici,
degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall’amministrazione, conformemente
agli indirizzi deliberati dalla Civit (su cui amplius infra), la retribuzione di risultato
è decurtata, sentito il Comitato dei garanti, in relazione alla gravità della violazione di una quota fino all’ottanta per cento.
C)Accesso alla dirigenza
In ogni amministrazione è istituito un ruolo dei dirigenti (articolato nella
prima e seconda fascia dirigenziale), organizzato e gestito secondo le disposizioni del D.P.R. 108/2004.
L’accesso alla dirigenza è disciplinato negli artt. 28 e 28bis D.Lgs.
165/2001, ma detto profilo va ad oggi coordinato con quanto disposto dal
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 79
D.P.R. 70/2013, che da un lato ha novellato l’art. 28bis, dall’altro ha introdotto nuove regole in ordine al reclutamento di dirigenti e funzionari.
L’accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia nelle amministrazioni
statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene per concorso indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (oggi Scuola Nazionale dell’amministrazione) (art. 28, comma 1, D.
Lgs. 165/2001, come novellato dal D.P.R. 70/2013).
L’elencazione dei soggetti ammessi al reclutamento e la relativa disciplina si
rinviene nell’art. 7, commi 1-4, del D.P.R. 70/2013.
L’accesso alla prima fascia dirigenziale, invece, avviene, per il cinquanta per
cento dei posti, calcolati con riferimento a quelli che si rendono disponibili ogni
anno per la cessazione dal servizio dei soggetti incaricati, per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni, sulla base di criteri generali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere della Scuola superiore
della pubblica amministrazione (oggi Scuola Nazionale dell’amministrazione) (art.
28bis D.Lgs. 165 cit.).
D)Segue: Gli incarichi dirigenziali (art. 19 D.Lgs. 165/2001)
Accanto alle prescritte modalità di accesso alla dirigenza, occorre menzionare anche un ulteriore canale, rappresentato dal conferimento di incarichi diretti, senza espletamento di previo concorso. Tali incarichi sono
conferiti secondo le disposizioni dell’art. 19 D.Lgs. 165/2001.
Il conferimento avviene tenendo conto, in relazione alla natura e alle
caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura
interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo
dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell’amministrazione di
appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze
organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell’incarico.
Al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica
l’art. 2103 c.c., ossia l’ordinaria regola della necessaria equivalenza delle mansioni cui si è adibiti rispetto a quelle da ultimo effettivamente svolte.
Introdotti, inoltre, dalla riforma Brunetta significativi strumenti di pubblicità e di
ulteriore procedimentalizzazione degli incarichi dirigenziali: l’amministrazione deve,
difatti, rendere conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul
sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; deve, altresì, acquisire le dispo-
80
Parte Seconda: I soggetti
nibilità dei dirigenti interessati e valutarle.
Gli incarichi dirigenziali, inoltre, possono essere revocati esclusivamente in casi
determinati (cfr. l’articolo 21, comma 1, secondo periodo, T.U. pubblico impiego).
La norma prosegue statuendo che, con il provvedimento di conferimento, sono individuati l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire, con
riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto, nonché la durata dell’incarico, che deve
essere correlata agli obiettivi prefissati e che, comunque, non può essere
inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque anni.
La durata dell’incarico può essere inferiore a tre anni se coincide con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo dell’interessato. Gli incarichi
sono rinnovabili. Al provvedimento di conferimento dell’incarico, poi, accede un
contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico.
Gli incarichi vengono conferiti nel modo che segue:
— quelli di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente
sono conferiti con D.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su
proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia o, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali e nelle percentuali previste;
— quelli di funzione dirigenziale di livello generale sono conferiti con D.P.C.M., su
proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia o, in misura non
superiore al 70% della relativa dotazione, agli altri dirigenti appartenenti ai medesimi ruoli ovvero, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle
specifiche qualità professionali richieste dalla legge;
— quelli di direzione degli uffici di livello dirigenziale sono conferiti, dal dirigente
dell’ufficio di livello dirigenziale generale, ai dirigenti assegnati al suo ufficio.
I dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su
richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento, ivi compresi quelli presso i collegi di revisione degli enti pubblici in rappresentanza di amministrazioni ministeriali.
Che si intende con l’espressione spoil system?
L’istituto dello spoils system — di derivazione statunitense — caratterizza una parte del personale burocratico come di stretta estrazione fiduciaria, legandone ingresso e uscita dall’amministrazione all’avvicendamento dei diversi esecutivi. Quanti conseguono un ufficio in virtù dell’esercizio della prerogativa
governativa di assunzione/nomina discrezionale restano, infatti, legati all’amministrazione da un rap-
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 81
porto di lavoro segnato, geneticamente, dalla previsione della sua cessazione al mutare dell’esecutivo.
Di una forma di spoils system «all’italiana» si è parlato in relazione al comma 8 dell’art. 19 D.Lgs.
165/2001, con specifico riguardo agli incarichi dirigenziali apicali delle amministrazioni statali (Segretario generale; Capo di dipartimento, preposto a strutture complesse articolate al loro interno in
uffici dirigenziali generali; altri incarichi di livello equivalente), le cui funzioni risultano strettamente
contigue con gli indirizzi politico-amministrativi espressi dagli organi politici (i ministri). Tali incarichi apicali cessano automaticamente, decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia ottenuto dal Governo
subentrante. Non risulta affatto inciso, però, il sottostante rapporto di lavoro del dirigente di ruolo, scaturente dal contratto a tempo indeterminato stipulato al momento dell’immissione in ruolo.
In sostanza, diversamente da quanto succede negli Stati Uniti, il meccanismo coinvolge, di regola, dirigenti professionali di ruolo e non comporta la perdita del rapporto di lavoro ma solo quella
del temporaneo incarico in corso (per essere destinati ad altro incarico, laddove non confermati). A
tale previsione deve aggiungersi il disposto dell’art. 14, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, secondo
cui, all’atto del giuramento del Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine, conferiti nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione «decadono automaticamente ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro».
Il legislatore ha, peraltro, mostrato una accentuata tendenza ad ampliare le ipotesi di decadenza automatica dagli incarichi ben al di fuori delle ristretta fascia di dirigenti apicali previsti dallo
spoils system «ordinario». L’esperienza italiana ha registrato varie vicende definite di spoils system
una tantum (risoluzione ante tempus di incarichi dirigenziali dovuta a decisione unilaterale — una
tantum — del legislatore), ben oltre la cerchia degli incarichi apicali e in momenti temporali non
coincidenti con quello dell’insediamento di un nuovo governo.
La dilatazione dell’area di dirigenti sottoposti a spoils system (a regime o una tantum) ha finito
per provocare la reazione della Corte costituzionale (cfr. le sentenze n. 103 e 104 del 1007 e la
n. 161/2008).
8.Doveri e diritti del pubblico dipendente
A)Codice di comportamento e doveri-obblighi degli impiegati
I doveri del dipendente, in genere, possono essere raggruppati in due
ampie tipologie: l’una di stampo prettamente pubblicistico, riconducibile al
dovere di fedeltà alla Repubblica, sancito dall’art. 51 Cost., ai principi
di imparzialità e buon andamento, affermati dall’art. 97 Cost., e al carattere democratico della Repubblica (art. 1 Cost.), che impone di favorire
rapporti di fiducia fra amministrazione e cittadino.
L’altra tipologia si richiama, invece, ai doveri di diligenza, obbedienza
e fedeltà sanciti, anche per il rapporto di lavoro privato, dagli artt. 2104 e
2105 c.c.
L’art. 54 D.Lgs. 165/2001, sostituito dalla L. 190/2012, attribuisce
all’esecutivo il compito di definire un nuovo codice di comportamento dei
pubblici dipendenti per assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione
della corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico.
82
Parte Seconda: I soggetti
Tale codice contiene una apposita sezione dedicata ai doveri della dirigenza e
comunque prevede per tutti i dipendenti il divieto di chiedere o accettare, a
qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in connessione con lo svolgimento delle proprie funzioni; ammessi solo i regali di modico valore. La violazione dei
doveri recati dal codice è fonte di responsabilità disciplinare nonché rilevante ai
fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile nel caso essa sia collegata alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti.
Con D.P.R. 16-4-2013, n. 62 è stato, dunque, introdotto il nuovo Codice di comportamento dei pubblici dipendenti — che soppianta il
previgente, recato dal D.M. 28-11-2000.
Detto codice dovrà, poi, essere a sua volta integrato con un codice di
comportamento a livello di ogni singola amministrazione.
B)I diritti del lavoratore pubblico
Ai doveri-obblighi dell’impiegato fa riscontro una serie di diritti, di diverso contenuto e consistenza giuridica; ciò conferma il carattere bilaterale del rapporto d’impiego. I diritti dell’impiegato si possono distinguere a
seconda che abbiano un contenuto patrimoniale o non patrimoniale.
1. I diritti patrimoniali
Fra i diritti patrimoniali degli impiegati dello Stato, il più importante è
quello alla retribuzione. Si tratta una prestazione periodica in denaro cui la
P.A. è tenuta verso i propri dipendenti, come corrispettivo del servizio prestato e, quindi, va commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto
dall’impiegato. La retribuzione si articola, in genere, in un trattamento fondamentale, comprensivo delle voci a carattere fisso e continuativo, e in un
trattamento accessorio, costituito da emolumenti eventuali ed occasionali.
A tal proposito, il D.Lgs. 150/2009 dispone che i contratti collettivi dovranno
definire trattamenti economici accessori collegati:
a) alla performance individuale;
b) alla performance organizzativa con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione;
c) all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose
o dannose per la salute.
Come si articola il rapporto tra fasce di merito e valutazione della performance?
Il Titolo III del D.Lgs. 150/2009 reca un innovativo sistema di valorizzazione del merito. L’art. 19,
in tema di trattamento accessorio collegato alla performance individuale, articola una graduatoria
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 83
su tre fasce di merito, alle quali l’OIV di ogni amministrazione deve poi assegnare i valutati, inseriti in diversi livelli di performance:
— il venticinque per cento è collocato nella fascia di merito alta, alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla
performance individuale;
— il cinquanta per cento è collocato nella fascia di merito intermedia, alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato
alla performance individuale;
— il restante venticinque per cento è collocato nella fascia di merito bassa, alla quale non corrisponde l’attribuzione di alcun trattamento accessorio collegato alla performance individuale.
Il cd. correttivo Brunetta, D.Lgs. 141/2011, ha previsto che la differenziazione retributiva in fasce
predisposte dal D.Lgs. 150 cit. si applica dalla tornata contrattuale successiva a quella in corso,
relativa al quadriennio 2006-2009.
2. I diritti non patrimoniali
Tra i diritti non patrimoniali occorre citare:
— il diritto all’ufficio, inteso come diritto alla permanenza nel rapporto
di lavoro;
— il diritto allo svolgimento delle mansioni (cd. diritto alla funzione), in
base al quale il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni
per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito
dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica
superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’art. 35;
— il cd. diritto alla progressione, che concerne la disciplina relativa ai
passaggi interni dei dipendenti pubblici sia fra nuove aree funzionali
che all’interno della stessa area.
Si ricordi che le progressioni si distinguono, a loro volta, in: economiche, laddove esse si concretizzino in scatti da una posizione economica all’altra nell’ambito della medesima area funzionale; e di carriera, nel caso siano scatti di posizione economica da un’area contrattuale a quella superiore;
— il diritto al riposo, in base al quale il lavoratore ha diritto a godere delle
ferie e ad assentarsi per motivi particolari (mediante permessi) o in caso di
malattia. Infatti, il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite e non può
rinunziarvi.
Inoltre, a domanda del dipendente sono concessi permessi retribuiti in casi
determinati. Per quanto concerne le assenze, esse possono essere concesse
per malattia, per infortuni sul lavoro o per malattia dovuta a causa di servizio,
ovvero per maternità;
84
Parte Seconda: I soggetti
— il diritto alla riservatezza, per cui alle pubbliche amministrazioni è
imposto il rispetto di particolari condizioni per il trattamento da parte
di soggetti pubblici di dati sensibili, tra cui un posto di preminenza
spetta ai dati idonei a rivelare lo stato di salute;
— il diritto alle pari opportunità, che prevede che le amministrazioni
pubbliche svolgano un ruolo propositivo e propulsivo ai fini della promozione ed attuazione concreta del principio delle pari opportunità,
attraverso la rimozione di forme esplicite ed implicite di discriminazione
tra uomini e donne sui luoghi di lavoro (cfr. al riguardo l’art. 57 D.Lgs.
165/2001, come novellato dalla L. 183/2010, cd. Collegato lavoro nonché dalla L. 215/2012).
9.Il ciclo di gestione della performance e la valorizzazione del merito: le novità della riforma Brunetta
La L. 15/2009 pone obiettivi di trasparenza, di rendimento ed efficienza per l’azione amministrativa.
L’attuazione di tali fondamentali obiettivi rappresenta uno dei fini primari del decreto Brunetta, il quale, al Titolo II, si occupa della disciplina
della gestione della performance nonché degli organismi preposti al
monitoraggio di quest’ultima.
Per quanto riguarda, innanzitutto, la misurazione e la valutazione della
performance, è previsto un apposito ciclo di gestione della medesima,
destinato all’attuazione di specifici obiettivi, tra cui ricordiamo il miglioramento dello standard dei servizi offerti dalle amministrazioni nonché la
crescita delle competenze professionali dei lavoratori pubblici, attraverso
la valorizzazione del merito e la predisposizione di premi per il raggiungimento dei risultati stabiliti.
Inoltre, le amministrazioni, al fine di assicurare la qualità, comprensibilità ed
attendibilità dei documenti di rappresentazione della performance, sono tenute
annualmente a redigere:
a) entro il 31 gennaio, un documento programmatico triennale, denominato Piano
della performance, al quale spetta individuare gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definire, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle
risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance
dell’amministrazione nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed
i relativi indicatori;
b) un documento, da adottare entro il 30 giugno, denominato Relazione sulla
performance che evidenzia, a consuntivo, con riferimento all’anno precedente,
Capitolo Quarto: Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione 85
i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti, e il bilancio di
genere realizzato.
Le amministrazioni valutano la performance attraverso un apposito Sistema di misurazione, che si distingue a seconda che ponga in essere una
valutazione di tipo organizzativo ovvero individuale.
I soggetti coinvolti nel ciclo di gestione della performance sono:
— la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità
delle amministrazioni pubbliche (Civit). Tale organo, a seguito della L.
190/2012 e del D.L. 101/2013, conv. in L. 125/2013, opera anche
come Autorità Nazionale anticorruzione e per la valutazione e la
trasparenza nelle pubbliche amministrazioni (A.N.AC.);
— gli Organismi indipendenti di valutazione della performance (OIV);
— l’organo di indirizzo politico-amministrativo di ciascuna amministrazione;
— i dirigenti di ciascuna amministrazione.
La riforma, infine, crea un legame strettissimo tra rispetto del procedimento di valutazione della performance e attribuzione degli incentivi economici legati a quest’ultima: è, invero, previsto che le amministrazioni pubbliche promuovono il merito e il miglioramento della performance
organizzativa e individuale, anche attraverso l’utilizzo di sistemi premianti selettivi, secondo logiche meritocratiche, nonché valorizzano i dipendenti che conseguono le migliori performance attraverso l’attribuzione
selettiva di incentivi sia economici sia di carriera.
Come anticipato retro, l’A.N.AC. prende le funzioni dell’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Lo prevede il
D.L. 90/2014, cd. riforma P.A. targata Renzi-Madia, conv. in L. 114/2014,
che procede alla soppressione dell’AVCP e il contestuale passaggio di
funzioni all’A.N.AC., che a sua volta, viene ridenominata Autorità nazionale anticorruzione. Dalla data di conversione del decreto n. 90/2014 le
attribuzioni dell’A.N.AC. in tema di misurazione e valutazione della performance dei pubblici dipendenti sono trasferite al Dipartimento della Funzione pubblica.
Capitolo Settimo
Il principio di trasparenza e il diritto di accesso ai
documenti amministrativi
Sommario: 1. Il principio di trasparenza: la P.A. come casa di vetro. - 2. Il diritto di accesso nella legge sul procedimento amministrativo. - 3. La tutela del
diritto di accesso. - 4. L’accesso civico. - 5. I rapporti tra riservatezza e accesso: un bilanciamento delicato.
1.Il principio di trasparenza: la P.A. come casa di vetro
La trasparenza — termine che deriva da «trans parere», ossia far apparire, mostrare, lasciare conoscere — va intesa quale accessibilità totale,
anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle
amministrazioni pubbliche (cd. trasparenza «digitale»), delle informazioni
concernenti ogni aspetto dell’organizzazione e dell’azione delle pubbliche
amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. In questo contesto si è
parlato dell’amministrazione come «casa di vetro», il cui operato fosse
conoscibile agli occhi dei cittadini.
Tali concetti hanno trovato nuovo vigore grazie alla L. 190/2012 (cd. legge
anticorruzione) che, mossa dall’esigenza di delineare una pubblica amministrazione
sempre più trasparente, fornisce una risposta alle esigenze di chiarezza dell’azione
e dell’organizzazione amministrativa da un lato ribadendo che il principio di trasparenza costituisce un livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell’art. 117, comma
2, lett. m), Cost., specificando che la trasparenza è assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità,
completezza e semplicità di consultazione e, dall’altro, delegando il Governo ad
adottare un provvedimento di riordino della disciplina riguardante gli obblighi di
pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle PP.AA., sulla
scorta di criteri e principi fissati dalla stessa normativa.
E, pertanto, in attuazione della detta delega, il Governo ha adottato il D.Lgs.
14-3-2013, n. 33 che raccoglie in un unico corpus normativo le numerose
fattispecie di informazioni che le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo
di fornire ai cittadini. Esso contiene, all’art. 1, una ridefinizione del concetto di
Capitolo Settimo: Il principio di trasparenza e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
207
trasparenza amministrativa, intesa quale accessibilità totale delle informazioni concernenti da un lato l’organizzazione e, dall’altro, l’attività delle pubbliche amministrazioni.
Lo scopo è quello di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle
funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nel senso di consentire ai
cittadini di effettuare un controllo democratico sull’operato della P.A., valutando
la sua conformità ai precetti costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla Nazione.
2.Il diritto di accesso nella legge sul procedimento amministrativo
A)Profili generali
Accanto ai principi tradizionali che regolano l’azione amministrativa
(legalità, imparzialità, buon andamento), la dottrina amministrativa e la
giurisprudenza hanno individuato quello di trasparenza dell’azione amministrativa, che si esplica nella immediata e facile controllabilità di tutti i
momenti e di tutti i passaggi in cui si concretizza l’operato della P.A. onde
garantirne e favorirne lo svolgimento imparziale.
Da tale principio discende il diritto di accesso del cittadino agli atti
ed ai documenti della P.A., consacrato quale principio generale dell’ordinamento giuridico ad opera della L. 241/1990.
L’art. 22 L. 241/1990 specifica che le finalità perseguite dalla normativa in materia di accesso ai documenti amministrativi sono quelle di favorire la partecipazione e di assicurare la trasparenza e l’imparzialità
dell’azione amministrativa.
Ai sensi dell’art. 22, inoltre, il diritto di accedere ai documenti amministrativi compete esclusivamente ai soggetti che vi abbiano specifico interesse in relazione alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante,
ossia ai portatori di una situazione qualificata, differenziata e tutelata
(diritto soggettivo, interesse legittimo ed interesse diffuso), con conseguente esclusione dei titolari di meri interessi di fatto.
L’interesse sotteso ad una richiesta di accesso deve essere:
— attuale, cioè deve fare riferimento all’istanza in sé considerata e non all’interesse ad agire in giudizio per la tutela immediata della situazione sottostante;
— personale, ossia deve emergere il collegamento tra il soggetto e l’interesse ad
accedere;
208
Parte Quarta: L’attività della pubblica amministrazione
— concreto, nel senso di tangibilità dell’interesse;
— serio e non emulativo, ossia meritevole di protezione in quanto non finalizzato
a recare molestie e turbative.
Il soggetto che chiede l’accesso deve esplicitare le ragioni sottese alla richiesta
di ostensione, dal momento che non è possibile che vi siano istanze di accesso
preordinate ad un generico controllo sull’attività amministrativa, alla stregua di
un’azione popolare.
Ai fini dell’esercizio dell’accesso, che si intende per documento amministrativo?
Il legislatore italiano non ha ritenuto di addivenire ad una elencazione tipologica dei documenti accessibili, ma ha preferito darne una definizione generale: è considerato documento amministrativo
ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto di atti, anche interni o non, relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da un pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse indipendentemente dalla natura
pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale (art. 22, comma 1, lett. d), L. 241/1990).
B)L’esercizio del diritto di accesso
Il D.P.R. 184/2006 disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi in conformità a quanto stabilito nel Capo
V della novellata L. 241/1990.
Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di
copia dei documenti amministrativi. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata, nonché rivolta all’amministrazione che
ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.
Tale diritto può essere esercitato nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico; nei confronti di tutti i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di
pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, da chiunque
abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale è richiesto l’accesso.
La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso,
qualora individui soggetti controinteressati, invita l’interessato a presentare richiesta formale di accesso ed è tenuta a dare comunicazione agli
stessi, inviando copia mediante raccomandata con avviso di ricevimento,
oppure per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di
comunicazione. I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche
conto del contenuto degli atti connessi.
Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di
Capitolo Settimo: Il principio di trasparenza e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
209
accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta,
una volta accertata l’avvenuta ricezione della comunicazione.
Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di
controinteressati, il diritto di accesso può essere esercitato in via informale
mediante richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione competente a
formare l’atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente. In tal caso il
richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta, o gli
elementi che ne consentano l’individuazione; specificare e, ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta; dimostrare la propria identità
e, ove necessario, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato.
La richiesta è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, o altra modalità idonea. Ove provenga da una pubblica amministrazione, la richiesta
é presentata dal titolare dell’ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo.
Le pubbliche amministrazioni assicurano che il diritto d’accesso possa essere esercitato anche in via telematica.
Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta questa s’intende respinta.
Che si intende per differimento dell’accesso?
L’art. 24 L. 241/1990 prevede che l’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato
ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento. La possibilità di differire l’accesso ai documenti consente ai soggetti passivi dello stesso di evitarne l’ostensione sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa ovvero
esporre a rischio gli interessi che le disposizioni concernenti gli atti sottoposti a segreto mirano a
salvaguardare. Il differimento è disposto specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione ai documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa. L’atto che dispone il differimento dell’accesso ne indica anche la durata. Si ricorda, infine, che il rifiuto, la limitazione o il differimento dell’accesso richiesto in via formale, devono essere motivati (art. 9 D.P. R. 184/2006).
C)Soggetti obbligati a consentire l’accesso
Sono obbligati (soggetti passivi) a consentire l’esercizio del diritto di
accesso (art. 23 L. 241/1990):
— le pubbliche amministrazioni;
— gli enti pubblici.
— i gestori di pubblici servizi;
— le aziende autonome e speciali;
— le autorità di garanzia e di vigilanza;
— l’amministrazione dell’UE;
— le imprese di assicurazione.
210
Parte Quarta: L’attività della pubblica amministrazione
D)Limiti all’esercizio del diritto d’accesso
L’art. 24 L. 241/1990 prevede una serie di limiti all’esercizio del
diritto d’accesso. Tali limiti possono essere di due tipi: tassativi ovvero
facoltativi.
I limiti tassativi sono quelli sanciti direttamente dal legislatore senza
che residui in capo alla P.A. alcun margine discrezionale di apprezzamento.
Ove ricorra uno di tali limiti, la P.A. è obbligata a dare risposta negativa alla
richiesta di accesso.
Trattasi di limiti riguardanti: i documenti coperti da segreto di Stato (a norma
dell’art. 39 L. 3-8-2007, n. 124); i procedimenti previsti dal D.L. 8/1991 recante norme in materia di sequestri di persona e di protezione dei testimoni di giustizia (conv.
in L. 82/1991 e succ. modif.); i documenti coperti da segreto o divieto di divulgazione altrimenti previsto dall’ordinamento e i documenti esclusi dal diritto di accesso
per mezzo di appositi regolamenti governativi, al fine di salvaguardare la sicurezza,
la difesa nazionale e le relazioni internazionali, la politica monetaria e valutaria, l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione dei reati, la riservatezza dei terzi, persone, gruppi ed imprese.
È prevista l’esclusione del diritto di accesso, altresì, nei procedimenti tributari,
per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme
le particolari norme che ne regolano la formazione; nei procedimenti selettivi, nei
confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.
I limiti facoltativi sono, invece, sanciti dai soggetti di cui all’art. 23 L.
241/1990, al fine di differire l’accesso ai documenti sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento
dell’azione amministrativa.
Al contrario di quelli tassativi, tali limiti sono stabiliti in via discrezionale dalla
P.A. e producono un semplice differimento all’accesso.
L’art. 24 L. 241/1990, in ogni caso, dopo avere elencato le ipotesi di
esclusione dell’accesso che devono essere stabilite dal legislatore nonché
i casi in cui l’accesso può essere ulteriormente limitato attraverso regolamenti governativi, al comma 7 dispone che deve essere comunque garantito l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia
necessaria per difendere e curare gli interessi giuridici del richiedente.
Capitolo Settimo: Il principio di trasparenza e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
211
Quali sono le principali attribuzioni della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi?
Al fine di vigilare sulla effettiva attuazione del principio di piena conoscibilità dell’attività amministrativa, è stata istituita, a mente dell’art. 27 della L. 241/1990, la Commissione per l’accesso
ai documenti amministrativi.
Tale organo, nominato con decreto presidenziale, è adibito:
— alla vigilanza sull’attuazione del principio di piena conoscibilità dell’attività della P.A.;
— alla predisposizione di una relazione annuale sulla trasparenza dell’attività amministrativa, da
comunicarsi alle Camere ed al Presidente del Consiglio dei Ministri;
— all’invio al Governo di proposte in ordine a modifiche legislative funzionalizzate ad una più ampia garanzia del diritto di accesso.
È da ricordare inoltre che il novellato art. 25 L. 241/1990, prevede, accanto al ricorso dinanzi al
difensore civico, la possibilità di chiedere alla Commissione il riesame sugli atti di diniego delle
amministrazioni statali e ne disciplina la procedura.
Ancora, l’art. 10 del D.P.R. 184/2006 prevede che la Commissione ha facoltà di:
— esprimere pareri per coordinare l’attività organizzativa delle amministrazioni in materia di accesso e per garantire l’uniforme applicazione dei principi in tale ambito;
— decidere i ricorsi presentati dinanzi ad essa avverso il diniego, espresso o tacito, all’accesso,
ovvero avverso il provvedimento di differimento dell’accesso, nonché i ricorsi dei controinteressati avverso le determinazioni che consentono l’accesso.
Il Governo può acquisire il parere della Commissione ai fini dell’emanazione del regolamento di cui
all’art. 24, comma 6, della legge, delle sue modificazioni e della predisposizione di normative comunque attinenti al diritto di accesso.
3.La tutela del diritto di accesso
A)Il ricorso giurisdizionale avverso il diniego di ostensione
La tutela del diritto di accesso nel nostro ordinamento risulta dal combinato disposto degli artt. 25 L. 241/1990 e 116 del Codice del processo amministrativo. Il relativo giudizio, ai sensi dell’art. 133 c.p.a., è affidato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
La disciplina codicistica, riproponendo quanto già precedentemente
sancito dalla legge sul procedimento amministrativo, prevede che contro
le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti
amministrativi — nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza — il ricorso è proposto
entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o
dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e
ad almeno un controinteressato (art. 116, comma 1, c.p.a.). Il termine per
la proposizione di ricorsi incidentali o di motivi aggiunti è di trenta giorni.
L’amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente
(art. 116, comma 3, c.p.a.). Il giudizio incardinato ex art. 116, comma 1, del Codice,
che si svolge, ai sensi dell’art. 87 c.p.a., con rito camerale, si conclude con una
sentenza in forma semplificata, che può essere di rigetto del ricorso o di accoglimento dello stesso. In tale ultimo caso, il giudice, sussistendone i presupposti,
212
Parte Quarta: L’attività della pubblica amministrazione
ordina l’esibizione e, ove richiesto, la pubblicazione dei documenti richiesti, entro
un termine non superiore, di norma, a 30 giorni, dettando, ove occorra, le relative
modalità (art. 116, comma 4, come mod. dal D.Lgs. 33/2013).
Le disposizioni sin qui esaminate si applicano anche al giudizio di impugnazione (art. 116, comma 5, c.p.a.).
B)L’accesso in pendenza di giudizio
La proposizione di un ricorso avverso determinazioni amministrative
concernenti l’accesso nel caso in cui sia già pendente un giudizio amministrativo è disciplinata dal comma 2 dell’art. 116 del Codice del processo
amministrativo. Anche in tal caso, il legislatore ha confermato la disciplina
di cui all’art. 25, comma 5, L. 241/1990, senza apportarvi novità di rilievo.
In particolare, dunque, il ricorso può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notifica all’amministrazione e agli eventuali controinteressati.
L’istanza può essere decisa con un’ordinanza separatamente dal giudizio principale, oppure con la sentenza che definisce quest’ultimo. La finalità della previsione di tale ricorso incidentale è da rinvenirsi nell’esigenza di economia processuale, potendo uno stesso giudice valutare la legittimità sia del provvedimento
impugnato in via principale che del diniego di accesso.
C)Il ricorso al difensore civico
L’art. 25, comma 4, L. 241/1990 prevede (in caso di rifiuto espresso o
implicito o di differimento dell’accesso) la possibilità di ricorrere nello
stesso termine (in alternativa al ricorso al T.A.R.), al difensore civico
competente per ottenere che venga riesaminata la determinazione. Se
quest’ultimo ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica all’autorità disponente che dovrà provvedere nel termine di 30 giorni dal ricevimento della richiesta. In mancanza l’accesso è consentito.
Nello stesso art. 25 si precisa che la competenza del difensore civico è ristretta
agli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, mentre nei confronti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato il ricorso per riesame è
inoltrato sia alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi che
presso l’amministrazione resistente.
4.L’accesso civico
Introdotto dal T.U. trasparenza nelle pubbliche amministrazioni (D.Lgs.
33/2013), l’accesso civico costituisce espressione dei principi di pubblicità e trasparenza.
Capitolo Settimo: Il principio di trasparenza e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
213
Esso viene correlato all’obbligo previsto in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare, sui propri siti istituzionali, documenti, informazioni
o dati e si sostanza nel diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nel
caso in cui sia stata omessa la loro pubblicazione.
Finalità di questa nuova forma di accesso è quella di alimentare il rapporto di
fiducia che intercorre tra il cittadino e la P.A. nonché quella di promuovere la
cultura della legalità e la prevenzione di fenomeni corruttivi all’interno delle
amministrazioni pubbliche.
Una sostanziale differenza rispetto al diritto di accesso ai documenti ex
art. 22 L. 241/1990, e punto nodale della disciplina del nuovo istituto, va
ravvisata nella circostanza che la richiesta di accesso non è sottoposta
ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente.
Contrariamente a quanto affermato nella legge sul procedimento, dove
il diritto di accesso è riconosciuto ai portatori di un interesse giuridico diretto, concreto ed attuale, il decreto in esame riconosce a tutti il diritto di
accesso civico, in perfetta adesione, dunque, alla conclamata finalità di
estendere il potere di controllo dei cittadini sull’operato della P.A.
La richiesta di accesso:
— non deve essere motivata, a differenza di quanto affermato dalla L. 241/1990
(cfr. art. 25, comma 2);
— va presentata al responsabile della trasparenza dell’amministrazione
obbligata alla pubblicazione.
Dal punto di vista operativo, una volta ricevuta la richiesta, l’amministrazione,
entro 30 giorni, procede alla pubblicazione nel sito del documento, dell’informazione o del dato richiesto e lo trasmette contestualmente al richiedente, ovvero comunica al medesimo l’avvenuta pubblicazione, indicando il collegamento ipertestuale
a quanto richiesto. Se il documento, l’informazione o il dato richiesto già risultano
pubblicati, l’amministrazione indica al richiedente il collegamento ipertestuale.
Il T.U. trasparenza, inoltre, in caso di inerzia dell’amministrazione procedente,
attribuisce al richiedente la possibilità di ricorrere al titolare del potere sostitutivo
ai sensi dell’art. 2, comma 9bis, L. 241/1990, che, verificata la sussistenza dell’obbligo di pubblicazione, provvede entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto.
Viene, infine, fatto rinvio, ai fini della tutela giurisdizionale, alle disposizioni del
Codice del processo amministrativo, in caso di diniego, ritardo o inadempimento
rispetto ad una richiesta di accesso civico.
214
Parte Quarta: L’attività della pubblica amministrazione
Gli uffici per le relazioni con il pubblico (URP)
Una significativa accelerazione verso la piena attuazione del diritto di accesso si è avuta con l’istituzione degli uffici per le relazioni con il pubblico (URP).
In particolare, l’art. 11 D.Lgs. 165/2001 dispone che le amministrazioni pubbliche, nell’ambito della propria struttura organizzativa, individuano gli uffici per
le relazioni con il pubblico.
Questi provvedono:
a) ad un servizio di utenza per consentire il diritto di partecipazione di cui
al Capo III della L. 241/1990;
b) ad informare l’utenza relativamente agli atti ed allo stato dei procedimenti;
c) ad una ricerca e ad un’analisi finalizzate alla formulazione di proposte
indirizzate alla propria amministrazione, ed inerenti gli aspetti organizzativi e
logistici del rapporto con l’utenza.
5.I rapporti tra riservatezza e accesso: un bilanciamento delicato
Tra i limiti che vengono posti all’esercizio del diritto di accesso, estremamente delicata è la problematica dei rapporti fra accesso e riservatezza.
Al di là dei casi specifici, il principio generale da applicare è quello della
conciliazione delle due esigenze: ammettere sì l’accesso, ma con modalità
ed accorgimenti tecnici tali da non frustrare l’esigenza di riservatezza.
Laddove, invece, tali accorgimenti non siano praticabili, ai sensi della L.
241/1990, tra accesso e riservatezza è data prevalenza al primo ove necessario per la cura o la difesa di interessi giuridici, sebbene limitatamente alla
possibilità di mera visione.
Tendenza, questa, confermata dal comma 7 dell’art. 24 della L. 241/1990, il quale stabilisce che «deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici». Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e secondo
le modalità di cui all’art. 60 D.Lgs. 196/2003 (Codice della privacy) in caso di dati
idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale (cd. dati supersensibili).
Glossario
Gestore di pubblico servizio: è colui che, pur non essendo propriamente un pubblico ufficiale
— con le funzioni proprie di tale status — svolge comunque un servizio di pubblica utilità presso organismi pubblici in genere.
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