Parte Prima - fabio bruno riva

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Parte Prima
1.
Il rapporto mente-corpo
Quesito che ha attraversato la storia dell’umanità, è stato soggetto e oggetto di svariate
interpretazioni. Ancora oggi, lontano dal trovare una spiegazione definitiva, il rapporto mentecorpo è al centro del dibattito in molte discipline, anche a seguito del rinnovato interesse per la
coscienza.
Nel corso dei secoli il problema mente-corpo è stato caratterizzato con varie accentuazioni da
dottrine dualistiche e da dottrine monistiche. Le prime concordano nel ritenere che la mente e
il corpo siano entità completamente diverse, ma si diversificano nel modo di concepire il loro
rapporto. Per le teorie monistiche l’uomo, secondo la visuale del mondo adottata, è qualcosa di
fondamentalmente materiale (materialismo) o di profondamente spirituale (idealismo e
mentalismo).
Tra i pensatori che non hanno dubbi sull'esistenza sia del corpo sia della mente, si possono
citare Kant e Köhler, i quali sostengono però l'identità tra le due entità. Per Spinoza la mente e
il corpo sono aspetti diversi di uno stesso tertium quid e per James sono distinti aggregati di
uno stesso tipo di sostanza. Una suggestiva immagine dell'identità viene proposta dall'etologo
Lorenz, il quale paragona il dualismo mente-corpo a quello fra onda e particella: entrambe
sono aspetti di una realtà che, benché appaia all'individuo sotto forme diverse, resta
sostanzialmente unica.
Dall'altro lato si hanno i dualisti i quali affermano che la mente e il corpo sono entità separate
e irriducibili l'una all'altra (Nagel(1988), Jackson 1 , McGinn 2 ), o che esse si muovono
perfettamente in parallelo, come “orologi” in perfetta sincrona senza alcun’influenza reciproca,
(Leibniz,
Lotze 3 ).
Posizione
diametralmente
opposta
a
quella
di
Descartes
che,
contrapponendosi all’idealismo platonico e alla scolastica aristotelica, individua nella ghiandola
pineale (epifisi) il luogo dell’interazione reciproca tra il corpo animale-macchina e l’anima (res
extensa e res cogitans); o all’interazionismo di Sperry, dichiaratosi “materialista idealista”.
Vi sono poi idealisti come Berkeley e McTaggart, che hanno negato realtà al corpo e sostenuto
che solo i fenomeni mentali hanno esistenza, e materialisti, come Watson, Feigl, Carnap e
Quine 4 , che hanno negato realtà alla mente e sostenuto che il comportamento discende da
cause fisiche, non mentali.
A riguardo integriamo il contributo del filosofo della scienza Karl Popper(1981), dualista e
antiriduzionista, il quale individua, allo scopo di criticarle, quattro posizioni materialistiche o
fisicalistiche: a) il “materialismo o fisicalismo radicale” o “comportamentismo radicale”, b) il
“panpsichismo”, c) l’”epifenomenismo”, d) la “teoria dell’identità”.
a) Il materialismo radicale è una teoria estremamente coerente e semplificata, difficilmente
accettabile fino ai limiti estremi, secondo cui i processi mentali e i processi coscienti non
1
2
3
4
Jackson F. (1986) What Mary didn’t Know, Journal of Philosophy, 83.
McGinn C. (1991) The Probrem of Consciousness, Basil Blackwell, Oxford.
Lotze H. (1852) Medicinische Psychologie oder Psysiologie der Seele, Weidmannsche Buchandlung, Leipzig.
Quine W.V. (1991) Quidditates: quasi un dizionario filosofico, Garzanti, Milano.
esistono. La loro esistenza può essere “ripudiata”. Tuttavia Popper ritiene che il materialismo
radicale costituisca una posizione importante che non va trascurata. Primo, perché è coerente
con se stesso; secondo, perché presenta una soluzione semplicissima al problema mentecorpo: se la mente non esiste, ma c’è soltanto il corpo, evidentemente il problema scompare;
terzo, perché alla luce della teoria evoluzionistica la materia, e specialmente i processi chimici,
è esistita prima che esistessero i processi mentali.
Da autori materialisti, quali Smart 5 e Armstrong 6 , traspare chiaramente che quando affermano
l’identità del mentale col fisico, lontani dal limitarsi a negare il dualismo delle sostanze
caratteristico della posizione cartesiana, intendono invece negare l’esistenza stessa di
qualunque fenomeno mentale, di proprietà fenomeniche irriducibili come la coscienza o i
qualia. Ad esempio, il “materialismo eliminativo”, formulato per la prima volta da Feyerabend 7
e Rorty 8 , afferma che gli stati mentali, come tali, non esistono e quindi, contrariamente a
quanto generalmente si crede, non vi sono in realtà credenze, desideri, speranze, paure ecc.
Per Dennett
(1993, 1993b, 2000)
e Gazzaniga
(1999)
quella che viene chiamata coscienza
fenomenica è solo un caleidoscopio d’illusioni e distorsioni, che non incidono per nulla sul reale
funzionamento della mente; quest’ultima è una funzione del cervello, ma nello studio
scientifico del cervello non c’è spazio per l’esperienza fenomenica. Churchland 9 e Stich 10
sostengono che con tutta probabilità la psicologia popolare 11 è completamente falsa. Quel
fenomeno qualitativo, interiore, privato e soggettivo in cui si intrecciano consapevolezza e
facoltà del sentire, come sostiene Rey 12 non esiste affatto, liberandosi da quello che
Wittgenstein 13
avrebbe
chiamato
un
“crampo
mentale”.
Posizione
condivisa
da
Di
Francesco(2000) che nell’eliminativismo individua l’unica soluzione possibile a un naturalismo
che non vuole abdicare ai suoi principi più saldi.
b) Per il panpsichismo, la cui prima concezione risale ai primissimi Presocratici ed è ripresa da
Campanella, tutta la materia ha un aspetto interno che è una “qualità” simile all’anima o simile
alla coscienza. Emblematica di questa posizione è la filosofia di Spinoza secondo cui mente e
materia corrono “parallele” come gli aspetti esterno e interno di un guscio d’uovo, per cui
materia e spirito sono attributi di una stessa “cosa in sé”. Popper ritiene che il panpsichismo
condivida con il materialismo radicale una certa semplicità di prospettiva: in entrambe i casi,
l’universo è omogeneo e monistico.
A nostro parere, collocabili all’interno di un paradigma “parallelista” sono quelle teorie che
descrivono la mente come un software e il cervello il suo hardware. La mente è un processore
5
Smart J.J.C. (1965)Sensations and Brain Processes, Philosophical Review, 68.
Armstrong D.M. (1968) A Materialist Theory of the Mind, Routledge and Kegan Paul, London.
7
Feyerabend P. (1963) Ment Event and the Brain, Journal of Psychology, 60.
8
Rorty R. (1965) Mind-Body Identity, Privacy and Categories, Review of Metaphysic, XXIX.
9
Churchland P. M. (1981) Eliminative Materialism and the Propositional Attitude, Journal of Philosophy, LXXVII.
10
Stich S.P. (1983) From Folk Psychology to Cognitive Science, MIT Press, Cambridge, Mass.
11
La psicologia popolare (folk psychology) afferma ad esempio che le persone hanno desideri e credenze che possono
essere vere o false; che alcune credenze poggiano su dati più solidi di altre; che talvolta gli esseri umani agiscono in
un certo modo spinti dalla volontà; che talvolta sono in preda alle sofferenze e che queste sono spesso spiacevoli.
12
Rey G. (1983) A Reason for Doubting of the Existence of Consciousness, in Davidson R., Schwartz G., Shapiro D., (a
cura di) Consciuosness and Self Regulation, Plenum, New York, vol.3.
13
Wittgenstein L. (1990) Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi, Milano.
6
di simboli e gli stati mentali sono in relazione agli stati computazionali. Qualsiasi sistema
dotato di proprietà causali adeguate sarebbe dunque in grado di riprodurre queste funzioni e
potrebbe quindi avere credenze, desideri ecc. come qualunque essere umano. Tesi che si
esplica nel “funzionalismo” 14 tanto diffuso, come sostiene Searle
e
propria
ortodossia
contemporanea.
Il
“funzionalismo
(1994),
da costituire una vera
computazionale”
e
la
tesi
dell’”intelligenza artificiale forte” attraverso la “realizzabilità multipla”, cioè la tesi secondo la
quale uno stato psichico può essere realizzato fisicamente in molti modi sostenuta da
Putnam 15 , afferma che un calcolatore, semplicemente in virtù di un programma appropriato ad
altissimo livello di complessità sufficientemente implementato di adeguati input e output,
potrebbe o addirittura dovrebbe avere pensieri, sentimenti e facoltà di comprensione.
c) Secondo la concezione epifenomenica la coscienza è un fenomeno accessorio che
accompagna i processi fisici cerebrali che la sottendono; per Huxley T.H. 16 (il mastino di
Darwin, così soprannominato per l’entusiasmo che amava profondere nel dibattere i meriti
della teoria evoluzionistica), la coscienza non sarebbe altro che un prodotto collaterale del
funzionamento del corpo, sostenendo che essendo gli esseri umani automi coscienti, la
coscienza non può modificare il meccanismo di
funzionamento del corpo o il suo
comportamento più di quanto il fischio di un treno possa modificare i congegni o la
destinazione di quest’ultimo 17
(epifenomenismo evoluzionistico). In senso lato questa
posizione è una forma di parallelismo, nella misura in cui i processi mentali sono paralleli a
certi processi fisici. Popper fa notare, però, che ci sono certe forme di epifenomenismo che non
sono parallelistiche; ciò che egli ritiene essenziale di questa impostazione è la tesi secondo la
quale soltanto i processi fisici sono causalmente pertinenti in riferimento ai processi fisici
successivi, mentre i processi mentali, pur esistendo, sono completamente non pertinenti sul
piano causale.
Ad esempio per Searle
(1994)
il problema mente-corpo, dal quale per duemila anni sono
scaturiti tanti conflitti di opinioni, ha una semplice soluzione; i fenomeni “mentali” causati dal
cervello, come gli stati mentali coscienti, altro non sono se non sue proprietà casualmente
emergenti di alto livello 18 , esplicitando però, come evidenzia Di Francesco
(2000),
una relazione
di sopravvenienza, cioè una covarianza con dipendenza con lo stato di base. Il concetto di
sopravvenienza è stato introdotto nella filosofia della mente contemporanea da Davidson
(1970,1994, 2000)
col “monismo anomalo”, per cui ogni evento mentale è un evento fisico, ma
non è possibile ridurre proprietà mentali a proprietà fisiche; postulando però in tal modo un
dualismo epistemico.
14
Lewis D. (1966) An Argument for Identity Theory, Journal of Philosophy, 63.
Putnam H. (1960) Minds and Machines, in Hook S., Dimension of Minds, N.Y. University Press, New York.
16
Huxley T.H. (1898) Method and Results: Collected Essays, vol. 1, McMillan, London.
17
Huxley T.H. (1896) Collected Essays, Appleton, New York.
18
Definito da Searle emergente1 e distinto dal concetto/condizione, secondo l’autore più audace, di emergente2. Cioè
data la proprietà P, di un sistema S, si dirà che la proprietà P è emergente2 se e solo se è emergente1 e ha poteri
causali che non possono essere spiegati dalle interazioni causali di elementi costituenti di S. Se la coscienza fosse
emergente2, sarebbe in grado di causare effetti non spiegabili analizzando unicamente il comportamento dei neuroni,
cioè pur scaturendo dai neuroni, una volta innescata, vivrebbe di vita propria.
15
Diverso è il concetto di emergenza, cioè una covarianza compatibile con un (eventuale)
autonomia ontologica del livello superiore; idea già espressa nell’ottocento da J. Stuart Mille e
ripresa agli inizi del secolo scorso da Lloyd C. Morgan in Emergent Evolution. Nel testo si
afferma che la coscienza emerge dagli organismi viventi in una fase critica del processo
evolutivo come qualcosa di autenticamente nuovo. Le nuove relazioni hanno nuove proprietà e
guidano e sostengono il corso degli eventi tipici di tale livello; la coscienza, quindi una volta
emersa, guida il corso degli eventi nel cervello.
d) La teoria dell’identità o la teoria dello stato centrale, secondo Popper, è attualmente quella
che esercita la massima influenza tra quelle sviluppate nell’intento di trovare una risposta al
problema mente-corpo. L’identità tra la mente e il cervello è fattuale, contingente e empirica.
Posizione teorica inizialmente sostenuta da Feigl 19 e Place 20 , -il primo seguendo il realismo
critico di Schlick 21 , di Russell 22 e il positivismo logico del Circolo di Vienna, il secondo
procedendo dal comportamentismo disposizionale di Ryle 23 (il quale definiva ironicamente la
coscienza con: “i fantasmi nella macchina”)-, si può configurare nella: a) teoria dell’identità dei
tipi (type identity theory), dottrina secondo cui gli stati, eventi o processi mentali (questi
termini non sono sinonimi anche se sovente per convenienza vengono usati come tali), sono
processi cerebrali, nel senso che ciascun tipo di processo mentale si identifica con un
particolare
tipo
di
processo
cerebrale;
inoltre
tutti
gli
stati
mentali
possibili
sono
neurofisiologici; b) teoria dell’entità delle occorrenze (token identity theory) che sostiene
semplicemente che ogni singolo stato, evento o processo mentale è uno stato, evento, o
processo particolare nel cervello o nel sistema nervoso centrale, identificandosi quindi in virtù
della propria funzione.
Quindi, contrariamente all’epifenomenismo, le teorie dell’identità possono affermare che i
processi mentali interagiscono con i processi fisici, perché i primi semplicemente sono i secondi
o più precisamente, tipi speciali di processi cerebrali.
Questa breve e non esaustiva esposizione ci offre comunque la possibilità di capire quanto il
problema mente-corpo, oltre ad avere attraversato la storia dell’umanità, sia attualmente nelle
neuroscienze l’elemento centrale di ricerca e di controversie molte volte inconcludenti. Nel
tempo l’intero spettro delle posizioni possibili è stato occupato da qualche teorizzazione,
realizzando un continuum che va da Chalmers(1999), col “dualismo naturalista”, secondo il
quale la coscienza è uno dei costituenti fondamentali della realtà, a Eccles
(1999),
(1981)
e a Boncinelli
che postulano rispettivamente l’esistenza di “psiconi” o “psicostati” in contatto con i
“dendroni” cerebrali o “neurostati”, a Churchland
dignità scientifica, a Penrose
(1996),
(1998),
che nega al concetto di coscienza ogni
che ritiene gli stati mentali determinati dal collasso della
“funzione d’onda” di particolari porzioni di materia segregate all’interno dei neuroni, nei
19
Feigl H. (1958) The Mental and the Physical, in Feigl H., Scriven M., Maxwell G. Minnesota Studies in the Phylosophy
of Science, Vol.II, University of Minnesota Press, Minnesota.
20
Place U.T. (1956) Is Consciousness a Brain Process?, British Journal of Psychology, XLVII.
21
Schlick M. (1918) Allgemeine Erkenntnislehre, Springer-Verlag, Berlino.
22
Russell B. (1948) Human Knowledge: Its Scope and Limits, Allen and Unwin, London.
23
Ryle G. (1955) Lo spirito come comportamento, Einaudi; Torino.
microtuboli 24 , dove vigerebbe una meccanica probabilistica, e si appella allo sviluppo di una
nuova fisica quantistica come unica chiave possibile per la soluzione dei misteri del rapporto
mente-corpo.
24
I microtuboli, citoscheletro interno del neurone, avrebbero la funzione di codificare l’informazione sensoria,
modulare la presa di coscienza dello stimolo e, nel caso, la risposta intenzionale evocata da quest’ultimo.
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