Parte Prima 1. Il rapporto mente-corpo Quesito che ha attraversato la storia dell’umanità, è stato soggetto e oggetto di svariate interpretazioni. Ancora oggi, lontano dal trovare una spiegazione definitiva, il rapporto mentecorpo è al centro del dibattito in molte discipline, anche a seguito del rinnovato interesse per la coscienza. Nel corso dei secoli il problema mente-corpo è stato caratterizzato con varie accentuazioni da dottrine dualistiche e da dottrine monistiche. Le prime concordano nel ritenere che la mente e il corpo siano entità completamente diverse, ma si diversificano nel modo di concepire il loro rapporto. Per le teorie monistiche l’uomo, secondo la visuale del mondo adottata, è qualcosa di fondamentalmente materiale (materialismo) o di profondamente spirituale (idealismo e mentalismo). Tra i pensatori che non hanno dubbi sull'esistenza sia del corpo sia della mente, si possono citare Kant e Köhler, i quali sostengono però l'identità tra le due entità. Per Spinoza la mente e il corpo sono aspetti diversi di uno stesso tertium quid e per James sono distinti aggregati di uno stesso tipo di sostanza. Una suggestiva immagine dell'identità viene proposta dall'etologo Lorenz, il quale paragona il dualismo mente-corpo a quello fra onda e particella: entrambe sono aspetti di una realtà che, benché appaia all'individuo sotto forme diverse, resta sostanzialmente unica. Dall'altro lato si hanno i dualisti i quali affermano che la mente e il corpo sono entità separate e irriducibili l'una all'altra (Nagel(1988), Jackson 1 , McGinn 2 ), o che esse si muovono perfettamente in parallelo, come “orologi” in perfetta sincrona senza alcun’influenza reciproca, (Leibniz, Lotze 3 ). Posizione diametralmente opposta a quella di Descartes che, contrapponendosi all’idealismo platonico e alla scolastica aristotelica, individua nella ghiandola pineale (epifisi) il luogo dell’interazione reciproca tra il corpo animale-macchina e l’anima (res extensa e res cogitans); o all’interazionismo di Sperry, dichiaratosi “materialista idealista”. Vi sono poi idealisti come Berkeley e McTaggart, che hanno negato realtà al corpo e sostenuto che solo i fenomeni mentali hanno esistenza, e materialisti, come Watson, Feigl, Carnap e Quine 4 , che hanno negato realtà alla mente e sostenuto che il comportamento discende da cause fisiche, non mentali. A riguardo integriamo il contributo del filosofo della scienza Karl Popper(1981), dualista e antiriduzionista, il quale individua, allo scopo di criticarle, quattro posizioni materialistiche o fisicalistiche: a) il “materialismo o fisicalismo radicale” o “comportamentismo radicale”, b) il “panpsichismo”, c) l’”epifenomenismo”, d) la “teoria dell’identità”. a) Il materialismo radicale è una teoria estremamente coerente e semplificata, difficilmente accettabile fino ai limiti estremi, secondo cui i processi mentali e i processi coscienti non 1 2 3 4 Jackson F. (1986) What Mary didn’t Know, Journal of Philosophy, 83. McGinn C. (1991) The Probrem of Consciousness, Basil Blackwell, Oxford. Lotze H. (1852) Medicinische Psychologie oder Psysiologie der Seele, Weidmannsche Buchandlung, Leipzig. Quine W.V. (1991) Quidditates: quasi un dizionario filosofico, Garzanti, Milano. esistono. La loro esistenza può essere “ripudiata”. Tuttavia Popper ritiene che il materialismo radicale costituisca una posizione importante che non va trascurata. Primo, perché è coerente con se stesso; secondo, perché presenta una soluzione semplicissima al problema mentecorpo: se la mente non esiste, ma c’è soltanto il corpo, evidentemente il problema scompare; terzo, perché alla luce della teoria evoluzionistica la materia, e specialmente i processi chimici, è esistita prima che esistessero i processi mentali. Da autori materialisti, quali Smart 5 e Armstrong 6 , traspare chiaramente che quando affermano l’identità del mentale col fisico, lontani dal limitarsi a negare il dualismo delle sostanze caratteristico della posizione cartesiana, intendono invece negare l’esistenza stessa di qualunque fenomeno mentale, di proprietà fenomeniche irriducibili come la coscienza o i qualia. Ad esempio, il “materialismo eliminativo”, formulato per la prima volta da Feyerabend 7 e Rorty 8 , afferma che gli stati mentali, come tali, non esistono e quindi, contrariamente a quanto generalmente si crede, non vi sono in realtà credenze, desideri, speranze, paure ecc. Per Dennett (1993, 1993b, 2000) e Gazzaniga (1999) quella che viene chiamata coscienza fenomenica è solo un caleidoscopio d’illusioni e distorsioni, che non incidono per nulla sul reale funzionamento della mente; quest’ultima è una funzione del cervello, ma nello studio scientifico del cervello non c’è spazio per l’esperienza fenomenica. Churchland 9 e Stich 10 sostengono che con tutta probabilità la psicologia popolare 11 è completamente falsa. Quel fenomeno qualitativo, interiore, privato e soggettivo in cui si intrecciano consapevolezza e facoltà del sentire, come sostiene Rey 12 non esiste affatto, liberandosi da quello che Wittgenstein 13 avrebbe chiamato un “crampo mentale”. Posizione condivisa da Di Francesco(2000) che nell’eliminativismo individua l’unica soluzione possibile a un naturalismo che non vuole abdicare ai suoi principi più saldi. b) Per il panpsichismo, la cui prima concezione risale ai primissimi Presocratici ed è ripresa da Campanella, tutta la materia ha un aspetto interno che è una “qualità” simile all’anima o simile alla coscienza. Emblematica di questa posizione è la filosofia di Spinoza secondo cui mente e materia corrono “parallele” come gli aspetti esterno e interno di un guscio d’uovo, per cui materia e spirito sono attributi di una stessa “cosa in sé”. Popper ritiene che il panpsichismo condivida con il materialismo radicale una certa semplicità di prospettiva: in entrambe i casi, l’universo è omogeneo e monistico. A nostro parere, collocabili all’interno di un paradigma “parallelista” sono quelle teorie che descrivono la mente come un software e il cervello il suo hardware. La mente è un processore 5 Smart J.J.C. (1965)Sensations and Brain Processes, Philosophical Review, 68. Armstrong D.M. (1968) A Materialist Theory of the Mind, Routledge and Kegan Paul, London. 7 Feyerabend P. (1963) Ment Event and the Brain, Journal of Psychology, 60. 8 Rorty R. (1965) Mind-Body Identity, Privacy and Categories, Review of Metaphysic, XXIX. 9 Churchland P. M. (1981) Eliminative Materialism and the Propositional Attitude, Journal of Philosophy, LXXVII. 10 Stich S.P. (1983) From Folk Psychology to Cognitive Science, MIT Press, Cambridge, Mass. 11 La psicologia popolare (folk psychology) afferma ad esempio che le persone hanno desideri e credenze che possono essere vere o false; che alcune credenze poggiano su dati più solidi di altre; che talvolta gli esseri umani agiscono in un certo modo spinti dalla volontà; che talvolta sono in preda alle sofferenze e che queste sono spesso spiacevoli. 12 Rey G. (1983) A Reason for Doubting of the Existence of Consciousness, in Davidson R., Schwartz G., Shapiro D., (a cura di) Consciuosness and Self Regulation, Plenum, New York, vol.3. 13 Wittgenstein L. (1990) Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi, Milano. 6 di simboli e gli stati mentali sono in relazione agli stati computazionali. Qualsiasi sistema dotato di proprietà causali adeguate sarebbe dunque in grado di riprodurre queste funzioni e potrebbe quindi avere credenze, desideri ecc. come qualunque essere umano. Tesi che si esplica nel “funzionalismo” 14 tanto diffuso, come sostiene Searle e propria ortodossia contemporanea. Il “funzionalismo (1994), da costituire una vera computazionale” e la tesi dell’”intelligenza artificiale forte” attraverso la “realizzabilità multipla”, cioè la tesi secondo la quale uno stato psichico può essere realizzato fisicamente in molti modi sostenuta da Putnam 15 , afferma che un calcolatore, semplicemente in virtù di un programma appropriato ad altissimo livello di complessità sufficientemente implementato di adeguati input e output, potrebbe o addirittura dovrebbe avere pensieri, sentimenti e facoltà di comprensione. c) Secondo la concezione epifenomenica la coscienza è un fenomeno accessorio che accompagna i processi fisici cerebrali che la sottendono; per Huxley T.H. 16 (il mastino di Darwin, così soprannominato per l’entusiasmo che amava profondere nel dibattere i meriti della teoria evoluzionistica), la coscienza non sarebbe altro che un prodotto collaterale del funzionamento del corpo, sostenendo che essendo gli esseri umani automi coscienti, la coscienza non può modificare il meccanismo di funzionamento del corpo o il suo comportamento più di quanto il fischio di un treno possa modificare i congegni o la destinazione di quest’ultimo 17 (epifenomenismo evoluzionistico). In senso lato questa posizione è una forma di parallelismo, nella misura in cui i processi mentali sono paralleli a certi processi fisici. Popper fa notare, però, che ci sono certe forme di epifenomenismo che non sono parallelistiche; ciò che egli ritiene essenziale di questa impostazione è la tesi secondo la quale soltanto i processi fisici sono causalmente pertinenti in riferimento ai processi fisici successivi, mentre i processi mentali, pur esistendo, sono completamente non pertinenti sul piano causale. Ad esempio per Searle (1994) il problema mente-corpo, dal quale per duemila anni sono scaturiti tanti conflitti di opinioni, ha una semplice soluzione; i fenomeni “mentali” causati dal cervello, come gli stati mentali coscienti, altro non sono se non sue proprietà casualmente emergenti di alto livello 18 , esplicitando però, come evidenzia Di Francesco (2000), una relazione di sopravvenienza, cioè una covarianza con dipendenza con lo stato di base. Il concetto di sopravvenienza è stato introdotto nella filosofia della mente contemporanea da Davidson (1970,1994, 2000) col “monismo anomalo”, per cui ogni evento mentale è un evento fisico, ma non è possibile ridurre proprietà mentali a proprietà fisiche; postulando però in tal modo un dualismo epistemico. 14 Lewis D. (1966) An Argument for Identity Theory, Journal of Philosophy, 63. Putnam H. (1960) Minds and Machines, in Hook S., Dimension of Minds, N.Y. University Press, New York. 16 Huxley T.H. (1898) Method and Results: Collected Essays, vol. 1, McMillan, London. 17 Huxley T.H. (1896) Collected Essays, Appleton, New York. 18 Definito da Searle emergente1 e distinto dal concetto/condizione, secondo l’autore più audace, di emergente2. Cioè data la proprietà P, di un sistema S, si dirà che la proprietà P è emergente2 se e solo se è emergente1 e ha poteri causali che non possono essere spiegati dalle interazioni causali di elementi costituenti di S. Se la coscienza fosse emergente2, sarebbe in grado di causare effetti non spiegabili analizzando unicamente il comportamento dei neuroni, cioè pur scaturendo dai neuroni, una volta innescata, vivrebbe di vita propria. 15 Diverso è il concetto di emergenza, cioè una covarianza compatibile con un (eventuale) autonomia ontologica del livello superiore; idea già espressa nell’ottocento da J. Stuart Mille e ripresa agli inizi del secolo scorso da Lloyd C. Morgan in Emergent Evolution. Nel testo si afferma che la coscienza emerge dagli organismi viventi in una fase critica del processo evolutivo come qualcosa di autenticamente nuovo. Le nuove relazioni hanno nuove proprietà e guidano e sostengono il corso degli eventi tipici di tale livello; la coscienza, quindi una volta emersa, guida il corso degli eventi nel cervello. d) La teoria dell’identità o la teoria dello stato centrale, secondo Popper, è attualmente quella che esercita la massima influenza tra quelle sviluppate nell’intento di trovare una risposta al problema mente-corpo. L’identità tra la mente e il cervello è fattuale, contingente e empirica. Posizione teorica inizialmente sostenuta da Feigl 19 e Place 20 , -il primo seguendo il realismo critico di Schlick 21 , di Russell 22 e il positivismo logico del Circolo di Vienna, il secondo procedendo dal comportamentismo disposizionale di Ryle 23 (il quale definiva ironicamente la coscienza con: “i fantasmi nella macchina”)-, si può configurare nella: a) teoria dell’identità dei tipi (type identity theory), dottrina secondo cui gli stati, eventi o processi mentali (questi termini non sono sinonimi anche se sovente per convenienza vengono usati come tali), sono processi cerebrali, nel senso che ciascun tipo di processo mentale si identifica con un particolare tipo di processo cerebrale; inoltre tutti gli stati mentali possibili sono neurofisiologici; b) teoria dell’entità delle occorrenze (token identity theory) che sostiene semplicemente che ogni singolo stato, evento o processo mentale è uno stato, evento, o processo particolare nel cervello o nel sistema nervoso centrale, identificandosi quindi in virtù della propria funzione. Quindi, contrariamente all’epifenomenismo, le teorie dell’identità possono affermare che i processi mentali interagiscono con i processi fisici, perché i primi semplicemente sono i secondi o più precisamente, tipi speciali di processi cerebrali. Questa breve e non esaustiva esposizione ci offre comunque la possibilità di capire quanto il problema mente-corpo, oltre ad avere attraversato la storia dell’umanità, sia attualmente nelle neuroscienze l’elemento centrale di ricerca e di controversie molte volte inconcludenti. Nel tempo l’intero spettro delle posizioni possibili è stato occupato da qualche teorizzazione, realizzando un continuum che va da Chalmers(1999), col “dualismo naturalista”, secondo il quale la coscienza è uno dei costituenti fondamentali della realtà, a Eccles (1999), (1981) e a Boncinelli che postulano rispettivamente l’esistenza di “psiconi” o “psicostati” in contatto con i “dendroni” cerebrali o “neurostati”, a Churchland dignità scientifica, a Penrose (1996), (1998), che nega al concetto di coscienza ogni che ritiene gli stati mentali determinati dal collasso della “funzione d’onda” di particolari porzioni di materia segregate all’interno dei neuroni, nei 19 Feigl H. (1958) The Mental and the Physical, in Feigl H., Scriven M., Maxwell G. Minnesota Studies in the Phylosophy of Science, Vol.II, University of Minnesota Press, Minnesota. 20 Place U.T. (1956) Is Consciousness a Brain Process?, British Journal of Psychology, XLVII. 21 Schlick M. (1918) Allgemeine Erkenntnislehre, Springer-Verlag, Berlino. 22 Russell B. (1948) Human Knowledge: Its Scope and Limits, Allen and Unwin, London. 23 Ryle G. (1955) Lo spirito come comportamento, Einaudi; Torino. microtuboli 24 , dove vigerebbe una meccanica probabilistica, e si appella allo sviluppo di una nuova fisica quantistica come unica chiave possibile per la soluzione dei misteri del rapporto mente-corpo. 24 I microtuboli, citoscheletro interno del neurone, avrebbero la funzione di codificare l’informazione sensoria, modulare la presa di coscienza dello stimolo e, nel caso, la risposta intenzionale evocata da quest’ultimo.