Monastero di Bose - Non è una follia l™annuncio dettato dalla fede

Non è una follia l’annuncio dettato dalla fede
Avvenire, 20 aprile 2003
Non è mai stato facile annunciare che Gesù, condannato e messo a morte mediante il supplizio della croce, dopo tre
giorni è risorto ed è vivente per sempre. È follia più grande dello stesso annuncio della croce, perché la croce è opera
degli uomini e perché croci e calvari sono stati presenti di generazione in generazione nella storia dell’umanità, mentre la
risurrezione non può essere che opera di Dio. Follia, dunque: follia per chi non ha la fede, questo dono che fa aderire a
Gesù, l’uomo di Nazaret mandato da Dio, fa sperare in lui, lo fa amare.
La follia di questo annuncio emerge anche e soprattutto in questi giorni di un dopoguerra ancora incerto, enigmatico ma
carico di profonde ferite, giorni in cui tante altre guerre insanguinano la terra. Follia che emerge anche ogni volta che
nella nostra personale vicenda siamo colpiti dalla morte, dalla sofferenza, da situazioni cariche di non senso. Che cosa
sperare nell’orizzonte dell’umanità? La grande tentazione è il cinismo e la repressione di quei sentimenti di speranza che
stanno nel profondo del cuore di ogni uomo! Si può ancora cantare che Cristo è risorto e che, quindi, la morte è stata
vinta? Che l’odio e la violenza non sono l’ultima realtà?
Sì, è possibile, e comunque nel cuore dei cristiani Risurrezioneè parola forte, che sale dal profondo e vince ogni dubbio,
ogni esitazione, ogni evento che sembra contraddirla. Questa è la fede cristiana: esperienza della forza della risurrezione
che è poi la forza di Dio, il Dio della vita e dell’amore. Risurrezioneè parola incontenibile, e il cristiano sa che, come
diceva san Paolo, se Cristo non è risorto, allora i cristiani sono i più miserabili degli uomini, degni solo di essere
compianti. Certamente ogni cristiano, vedendo la morte all’opera in mezzo agli uomini ed esperimentando la morte
all’opera anche nel proprio corpo, soffre la contraddizione, conosce il timore e a volte l’angoscia, portandone tutta la
sofferenza. Ma proprio perché il suo Signore è risorto e vivente, egli si sente chiamato a diventare – come si diceva dei
primi cristiani – “uno che non ha paura della morte”, uno che può giungere a chiamarla “sorella morte” perché in essa
incontra Cristo, il Risorto che, a braccia aperte, è pronto ad accoglierlo anche sulla soglia degli inferi per condurlo alla
vita eterna.
Enzo Bianchi
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