16 Il ciclo di Stirling Il coefficiente di effetto utile per il ciclo frigorifero di Carnot è, in base alla (2.9): Tmin = . (2.31) Tmax − Tmin Il ciclo di Carnot è il ciclo termodinamico che dà il maggior rendimento ottenibile idealmente tra due date temperature, massima e minima. Nel 1873 Reitlinger dimostrò [12] che possono raggiungere lo stesso rendimento del ciclo di Carnot tutte quelle macchine che si basano su cicli costituiti da due isoterme e altre due trasformazioni omologhe reversibili operanti nello stesso intervallo di temperature. Quindi se si parte da un ciclo costituito da due isoterme e si realizzano le altre due trasformazioni mediante isocore, politropiche o isobare reversibili, si otterranno tre cicli termodinamici con lo stesso rendimento ideale. Si ricorda che: le isocore sono trasformazioni in cui il volume si mantiene costante, le isobare sono trasformazioni in cui la pressione si mantiene costante e le poltropiche sono trasformazioni in cui pressione e volume sono legati dalla relazione pV n = cost, con n una costante che può assumere un valore qualunque (se p = cost n = 0, se V = cost n = ∞, se T = cost n = 1, Cp rapporto tra i calori specifici a pressione Cp e a volume se s = cost n = γ = C v costante Cv ). I tre cicli sono: • il ciclo di Stirling (1816) composto da due isoterme e due isocore; • il ciclo di Ericsson (1853) caratterizzato da due isoterme e due isobare; • il ciclo di Reitlinger (1873) con due isoterme e due politropiche. 2.5 Il ciclo di Stirling Il ciclo di Robert Stirling [10] veniva inizialmente considerato alla base di un motore a moto continuo del secondo tipo, cioè tale da trasformare tutto il calore fornito in lavoro. Esso è un ciclo bitermico che rappresenta il riferimento termodinamico per gli omonimi motori alternativi a combustione esterna e a ciclo (interno) chiuso. Nel ciclo di Stirling gli unici scambi di calore con l’esterno sono isotermi e avvengono alle temperature delle sorgenti. Invece i passaggi dalla temperatura massima a quella minima (e viceversa) avvengono a volume costante: ciò è possibile grazie al fatto che, quando il fluido di lavoro si raffredda, esso cede il calore ad una matrice solida porosa detta rigeneratore. Questo calore verrà poi restituito dalla matrice al fluido stesso durante la fase di riscaldamento. Il ciclo ideale di Stirling prevede quindi i seguenti processi termodinamici (fig. 2.6): 2.5 Il ciclo di Stirling 17 • compressione isoterma 1-2 a temperatura T1 con cessione di calore Q12 ; • assorbimento di calore di rigenerazione Q23 a volume costante 2-3; • espansione isoterma 3-4 a temperatura T2 con assorbimento di calore Q34 ; • cessione di calore di rigenerazione Q41 a volume costante 4-1. Il ciclo ideale di Stirling è comunemente chiamato ‘ciclo quadrato’ perchè il passaggio tra le fasi non avviene in modo continuo come si può vedere nel grafico (p,V ) (fig. 2.6) dove la curva che rappresenta il ciclo contiene degli angoli. Figura 2.6: Ciclo di Stirling: diagramma (p,V ). Il rendimento di conversione di un ciclo di Stirling, in base alla (2.7), è: η= W Q34 − Q12 Q12 = =1− , Q34 Q34 Q34 (2.32) espressione in cui compaiono esclusivamente le quantità di calore che vengono scambiate con l’esterno Qin =Q34 e Qout =Q12 . Per trovare le equazioni del 18 Il ciclo di Stirling Figura 2.7: Ciclo di Stirling: diagramma (T ,S). calore assorbito e di quello ceduto a temperatura costante si ricorda la (2.16) e si ottiene: Z V4 Z V4 V4 dV Q34 = W34 = = nRT2 ln , (2.33) p dV = nRT2 V V3 V3 V3 Z V2 Z V2 V1 dV (2.34) Q12 = W12 = − p dv = −nRT1 = nRT1 ln . V V2 V1 V1 Sostituendo poi le espressioni (2.33) e (2.34) nella (2.32), si ottiene: nRT1 ln VV12 Q12 T1 η =1− =1− =1− , V4 Q34 T2 nRT2 ln V3 (2.35) essendo VV12 = VV43 come si vede dalla fig. 2.6. Si nota che il rendimento del ciclo di Stirling è pari al rendimento del ciclo di Carnot, ovviamente per lo stesso rapporto tra le temperature massima Tmax e minima Tmin . Infatti si può scrivere: T1 Tmin =1− . (2.36) η =1− T2 Tmax Il calore di rigenerazione che viene assorbito e poi ceduto dal ciclo durante le trasformazioni isocore è, considerando la (2.19): Q23 = U23 = nCv (T2 − T1 ) = U41 = Q41 = Qrig . (2.37) 2.6 Il ciclo reale di Stirling 19 Figura 2.8: Confronto cicli Carnot-Stirling. Il lavoro totale del ciclo di Stirling è rappresentato dell’area contenuta nella curva nel piano (p,V ) (fig. 2.6): V1 W = W34 − W12 = nR ln (Tmax − Tmin ) . (2.38) V2 Si confronta ora il ciclo ideale di Stirling (1,2,3,4) con quello di Carnot (10 ,20 ,3,4). Come si vede in fig. 2.8, il ciclo di Stirling presenta due trasformazioni isocore al posto delle due adiabatiche che caratterizzano il ciclo di Carnot. Quindi, a pari differenza di volumi, l’area del ciclo aumenta sensibilmente. In questo modo si ottiene un lavoro ragionevole dal ciclo di Stirling, senza che le pressioni e i volumi spazzati siano troppo grandi, cosa che invece avviene nel ciclo di Carnot. 2.6 Il ciclo reale di Stirling Durante la trattazione del ciclo ideale di Stirling sono state fatte alcune importanti ipotesi di idealità, tuttavia le macchine reali non possono operare in base ad un ciclo di questo tipo. Per capire come lavora la macchina di Stirling, è necessario quindi avere un modello realistico e fare delle precisazioni sul suo funzionamento per capire le differenze rispetto a quello ideale [13]. 20 Il ciclo di Stirling La prima ipotesi su cui si basa il ciclo ideale è che le trasformazioni siano reversibili: viene trascurato ogni attrito aerodinamico o meccanico e il fluido di lavoro si trova, ad ogni istante, in una condizione di equilibrio per quanto riguarda la pressione e la temperatura. Ciò significa che le trasformazioni sono quasi statiche e non vi è scambio di calore trasversale nel fluido. Inoltre le equazioni del ciclo ideale sono state ricavate considerando il fluido completamente contenuto in uno dei due cilindri, di compressione o di espansione, ipotizzando quindi che non ve ne sia nel rigeneratore, nelle zone di connessione tra i cilindri stessi, o nell’altro cilindro. Infine si è supposto che la distribuzione di fluido sia mossa dai pistoni in modo discontinuo e il rigeneratore è stato considerato perfetto, caratterizzato da una capacità termica infinita come la conduttivita termica del fluido. Per la costruzione di una macchina termica reale [2] si deve tener conto dei fattori reali che naturalmente portano ad una riduzione dell’efficienza termica. L’efficienza reale viene valutata mediante un coefficiente detto efficienza relativa ηrel che è il rapporto tra l’efficienza reale e quella ideale dello stirling e che varia da 0, 4 a 0, 7: ηreale . (2.39) ηrel = ηCarnot Per illustrare il ciclo termodinamico reale ci si basa su una macchina di Stirling costituita da due pistoni disposti a ‘V’ (fig. 2.9) e si considerano tutti quei fattori che vengono trascurati nel ciclo ideale (attrito, massa dei pistoni, spazi di interconnessione tra i cilindri,...). Figura 2.9: Schema del motore stirling a V. Il diagramma (p,V ) del ciclo reale (fig. 2.10) si discosta da quello ideale dato che l’espansione e la compressione non hanno luogo in uno solo dei due cilindri e le quattro trasformazioni non possono essere distinte. Si nota inoltre come 2.6 Il ciclo reale di Stirling 21 Figura 2.10: Diagramma (p,V ) del ciclo reale [2]. la presenza della ‘zona morta’, spazio occupato dal gas che non viene mosso dai pistoni (nei due cilindri o nel rigeneratore), riduce il lavoro compiuto. L’area del ciclo reale rappresenterebbe il lavoro suddetto se non si tenesse conto delle perdite dovute all’attrito meccanico, di quelle fluidodinamiche negli scambiatori di calore e nel rigeneratore causate delle variazioni di pressione tra le due camere di espansione e compressione, e del lavoro speso per muovere l’albero motore. Dalla figura 2.11 si può vedere infatti come l’area nel diagramma (p,V ), per la sola camera di espansione (lavoro ‘lordo’), si riduce notevolmente. L’area della zona grigia rappresenta infatti il lavoro perso per questo motivo. Figura 2.11: Diagramma (p,V ) del ciclo reale per il volume di espansione [2]. 22 Il ciclo di Stirling Si può infine notare (fig. 2.12) una differenza di pressione variabile tra le zone di espansione e compressione, dato il movimento continuo dei pistoni e l’attrito incontrato dal fluido di lavoro. Figura 2.12: Differenza di pressione variabile tra espansione e compressione [2]. Per ridurre le perdite di calore attraverso le pareti dei cilindri, si utilizzano degli scambiatori di calore, a contatto con le camere, come sorgenti. Tuttavia questo può creare un aumento dei flussi (utilizzo di più liquido refrigerante) con relative perdite ed effetti negativi sul rendimento. Inoltre il riscaldatore funziona sia durante la trasformazione che porta il gas dalla zona di compressione a quella di espansione, sia nella trasformazione inversa. In questo modo il gas freddo che entra nel cilindro per la compressione, viene in parte pre-riscaldato. Infine bisogna tenere presente che la temperatura del gas nei cilindri non raggiungerà mai quella del riscaldatore e del raffreddatore, perchè i coefficienti di scambio termico non sono infiniti e le temperature limite nel calcolo del rendimento ideale sono diverse. Supponendo che le temperature del riscaldatore e del raffreddatore siano rispettivamente 1000 ◦ K e 280 ◦ K, che il gas nella zona di espansione raggiunga una temperatura che differisce da quella delle pareti di 100 ◦ K e che il gradiente, nel volume di compressione, sia di 50 ◦ K, l’efficienza ideale calcolata con le temperature massime (mai raggiunte) è: 1000 − 280 = 0, 72, (2.40) ηc = 1000 la reale efficienza sarà minore: (1000 − 100) − (280 − 50) 0 ηc = = 0, 64. (2.41) 1000 − 100