INTRODUZIONE AL TEMA DELLA CITTÀ IDEALE NEL RINASCIMENTO Lorenza Mochi Onori Il tema della città ideale è un tema ricorrente nell’intera storia dell’umanità, ma è presente con particolare evidenza nel Rinascimento, nel momento particolare in cui la storia italiana, caratterizzata fin dall’antichità da una grande urbanizzazione, ritrova gli ideali della classicità e li riporta all’attualità, quando la città riprende nuovamente al ruolo centrale di luogo fondamentale per l’attività dell’uomo. Nel pensiero medioevale “la verità della natura non era né logica né fisica, ma religiosa cioè simbolica” e arrogante sarebbe stato pensare l’uomo come immagine di Dio e non “fatto” ad immagine di Dio. Nel Quattrocento si prende coscienza che la cultura umana è invece opera dell’uomo e non dono di Dio, la dignità dell’uomo è nella sua facoltà creativa e nella capacità di costruire il proprio universo fisico senza aiuti soprannaturali. Nell’Oratio di Pico della Mirandola l’uomo è definito come lo scultore che deve ricavare la forma della realtà naturale, concetto che è presente anche nella Theologia Platonica di Marsilio Ficino, il concetto di “stato ideale” nasce dalla tradizione filosofica trasferendosi al concetto di “città ideale”. Dalla Civitas Dei agostiniana, e quindi da un modello teologico, si giunge alla città fatta secondo la misura civile della società umana le cui regole di armonia date dalla legge e dal giusto governo si rispecchiano nell’equilibrio e nella razionalità delle architetture e degli spazi urbani. Leonardo Bruni nella Laudatio Florentinae Urbis e nei Dialoghi, all’inizio del secolo, matura una nuova consapevolezza della storia passata che segna “la nascita di un nuovo sentimento civile e di un nuovo atteggiamento verso il passato”1. Già Filippo Villani in De Origine Civitatis Florentiae et eiusdem Famosis Civibus inizia “un graduale processo di fusione fra la concezione umanistica e quella civile”2. La tesi che la città di Firenze avesse origine diretta dalla Repubblica romana voleva creare una continuità ideale anche nelle istituzioni che contemplavano il valore massimo della libertà come base della struttura civile della città e l’obbligo del rispetto di questo imprescindibile fondamento nel governo della cosa pubblica. Firenze è quindi l’erede degli ideali classici e Leonardo Bruni scrive nel 1415 l’Historiae Florentini Populi, con due tesi precise, sintetizzate da Hans Baron, “fissare il fulcro della storia del mondo antico nella nascita e decadenza della libertà e dell’iniziativa civile; interpretare la libertà della repubblica fiorentina come una ripresa dell’opera compiuta dagli stati-città della Grecia e dell’Italia antica”3. Si verifica quindi a Firenze una presa di coscienza dell’origine della cultura civile della città che si riflette nella sua struttura urbana. L’umanesimo nel primo Quattrocento fiorentino trova concrete radici nell’immagine della società e Leonardo Bruni accosta per primo la struttura architettonica della città alla struttura politico-sociale che ha come fine l’armonia4. Nelle raffigurazioni medioevali si riscontra comunque un tentativo di dare una immagine razionale della città, Bonvesin della Riva nella sua descrizione di Milano del 1288 (De Magnalibus Urbis Mediolani) presenta la perfezione della città medioevale nel cerchio delle mura secondo l’ideale astratto della città di Dio, ma nel tema di una bellezza simbolica, senza una valutazione estetica e razionale degli spazi della città. Peraltro la “pulchritudo” anche applicata alle città nelle descrizioni medioevali, sembra riferirsi più al Creatore che all’opera dell’uomo5 e si configura più come stupore e meraviglia piuttosto che come bellezza razionale. La bellezza della città medioevale è nella sua posizione e nella qualità delle costruzioni, non nella sua concezione generale. A Siena agli inizi del Quattrocento si sottolinea con la magistratura degli “offiziali dell’ornato” l’importanza dell’estetica della città, sempre però con l’attenzione alle facciate, alle strade più che a una concezione generale. Nel Medio Evo l’immagine è quella della “città cristiana”6 o della città chiusa in se stessa della raffigurazione del Buon Governo nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti nel palazzo pubblico di Siena. Nella Laudatio di Bruni “viene compiuto il primo tentativo di scoprire le leggi segrete dell’ottica e della prospettiva che fanno apparire il panorama fiorentino come una sola grande struttura scenica”7, anche qui la descrizione della città si amplia nel contado in una struttura concentrica, ma l’immagine “abbandona l’indiscriminato interesse per la sovrabbondanza di dettagli insignificanti, lo stesso sforzo di cogliere i tratti strutturali, lo stesso gusto per ciò che è razionale, simmetrico e suscettibile di essere calcolato in termini matematici”8. Lo spazio dell’edificio non è più l’involucro medioevale chiuso dalle architetture ma è, come la cupola di Brunelleschi, l’incontro di piani spaziali. La prospettiva non è legge costante dello spirito umano ma un momento nella storia dell’idea dello spazio: non è quindi un metro di rappresentazione “esatto”, anzi sappiamo bene che è una raffigurazione totalmente astratta dalla realtà effettivamente percepita dall’occhio umano, che è fatta anche di distorsioni ottiche, dello spessore atmosferico e dalla variazione delle fonti luminose (aspetti che saranno approfonditi nell’arte figurativa a partire dalla pittura tonale veneziana fino agli impressionisti); la raffigurazione dello spazio che parte dalla elaborazione di un’idea astratta è quindi una raffigurazione ideale9. La riflessione sulla città ideale era peraltro organicamente legata agli studi, che partono dagli umanisti ma si concretizzano all’inizio del secolo sull’osservazione delle architetture classiche, non solo riscoperte attraverso Vitruvio, ma direttamente esaminate; a questo si accompagna la nuova consapevolezza della dignità dell’uomo artefice e dell’organizzazione geometrica dello spazio attraverso la prospettiva e, come afferma Garin, nasce la “fiducia umanistica nell’uomo, nella sua capacità di edificare”10. Le tavolette di Brunelleschi, realizzate con la camera ottica, sono esempi della nuova concezione dello spazio rinascimentale, come spazio ideale, in una “riorganizzazione del mondo” attraverso uno spazio che ha come metro l’uomo, e appunto perché umano e frutto di un’idea astratta non è raffigurazione della realtà11. In questa ottica si può leggere anche la raffigurazione razionalizzata della città nell’episodio della Resurrezione di Tabita negli affreschi della cappella Brancacci al Carmine. Come afferma Garin, la città ideale è la città razionale12, sottolineando il tema di “una costruzione scientifica della città, secondo matematica, ossia secondo ragione”13. Peraltro il compimento del pensiero che nasce da questa concezione ideale della realtà avrà il suo esito più compiuto nell’arte di Raffaello, nella sua sintesi di pensiero e immagine, che si verifica già nello Sposalizio della Vergine di Brera, ma soprattutto nella pienezza della sua arte nella stanza della Segnatura in Vaticano. Lo spazio diviene non solo razionalità ed equilibrio ma immagine di una concezione della realtà che, partendo dalla proporzione matematica, opera una sintesi della stessa idea della realtà attraverso il pensiero umano, che ha il potere divino di ricreare le regole auree della natura. Evidente nella “Scuola di Atene” è l’importanza, nella formazione di Raffaello, di tutta la impostazione scientifico matematica che è alla base del Rinascimento urbinate, chiaramente assorbita nella sua formazione nella città natale; peraltro nell’affresco sono in posizione assolutamente privilegiata le arti del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica), le arti meccaniche e reali predilette dal duca Federico da Montefeltro, signore di Urbino, quasi a suggellare il continuativo rapporto di Raffaello con la cultura che gli proveniva dalla sua formazione urbinate. Come afferma Henri Focillon, la storia dell’arte è la storia dello spirito umano attraverso le forme, tuttavia non bisogna pensare che le punte più alte della speculazione, che si concretizzano in immagini che diventano simbolo, fossero un riflesso reale del complesso tessuto artistico fiorentino, molto più variato e legato, nella prassi delle numerose botteghe, a schemi ripetitivi; per la maggior parte, come ricorda Chastel14, “i toscani sembrano ignorare Piero della Francesca e Giovanni Bellini, il Laurana e Bramante”. In particolare fin dall’inizio del XV secolo, il concetto di città ideale diventa sempre più presente nel dibattito culturale in diretto rapporto con l’evoluzione del dibattito artistico che parte dalla classicità e da una nuova visione dello spazio reale. Il tema della città ideale era già presente nelle speculazioni platoniche, tuttavia Platone affronta l’argomento secondo una concezione strettamente filosofica e politica e non dal punto di vista della struttura del tessuto urbano, anzi non ritiene che la regolarità dello spazio sia una prerogativa da perseguire15. Tuttavia Chastel16 ricorda che Marsilio Ficino, nel riassumere la Repubblica di Platone mette in risalto la particolare dignità dell’architettura che si fonda sulle verità della geometria, l’idea dell’edificio concepito dall’architetto è ciò che dà forma alla realtà; questa concezione non può prescindere dall’idea della città e quindi della società espressa dalla politica del “signore illuminato”. In pratica la forma della città è una espressione dello Stato e quindi del modo di governarlo. A questo punto è necessario ricordare come in ambito urbinate questa concezione trovi la sua più diretta incarnazione in un personaggio come Federico da Montefeltro, che non a caso esprime nelle sue scelte posizioni particolarmente pragmatiche e tecniche. Federico fino dalla sua prima educazione presso Vittorino da Feltre si forma sulla nuova cultura umanistica nella accezione rinascimentale, volta a calare nella realtà attuale i modelli classici che si realizzano nella società civile e nella struttura della realtà fisica che da questa deriva17. Per le città ideali rinascimentali, si deve sottolineare l’importanza che ha la signoria in questo periodo, perché questa, o meglio i signori singoli saranno i primi committenti dei progetti delle città razionali. Si verifica pertanto una collaborazione paritaria e non subordinata, come sarà nel secolo successivo, fra signore e architetto, una “alleanza”, come la definisce Simoncini18. In fondo l’idea della città parte dal “dispotismo illuminato”, il modello è il governo di Lorenzo de’ Medici, l’uomo che incarna non solo i destini ma anche l’immagine della sua città, il suo ordine sociale e architettonico. Lorenzo era appoggiato dal popolo, il cui supporto era stato sancito dal furore suscitato dalla congiura dei Pazzi, l’immagine della Firenze medicea è il riflesso della sua politica. Federico, amico e nemico di Lorenzo (pare abbia partecipato alla congiura dei Pazzi essendo peraltro al soldo di Sisto IV, ispiratore della congiura e grande avversario di Lorenzo) aveva in comune con lui il favore popolare, anzi era l’unico principe la cui presa di potere nel 1444 era stata sancita da un patto con i cittadini e dall’impegno di esercitare un governo giusto e rispettoso dell’interesse dei sudditi e dei loro antichi privilegi (la circostanza del patto era stata peraltro fra le più drammatiche, l’assassinio del fratellastro e legittimo erede Oddantonio, che gli valse il soprannome di Caino per il probabile coinvolgimento nella congiura e nella rivolta popolare). Federico prese molto sul serio il patto con i suoi concittadini e il suo governo fu illuminato e paterno. Questo rapporto di reciproca fiducia è chiaro nella struttura del palazzo, che non ha barriere difensive ma è aperto sulla realtà urbana, in cui si compenetra per mezzo della facciata a due ali che abbraccia la piazza, una struttura che per se stessa presuppone l’accordo e l’armonia con la città (fig. 2). Un concetto fondamentale è la connessione dell’immagine della città con un perfetto ordine sociale. È da sottolineare nuovamente il rapporto fra il governo illuminato e giusto, rispettose delle libertà dei cittadini e quindi in grado di creare una società pacifica e armoniosa, con l’immagine della città, nella razionalità della sua concezione ma soprattutto nel riflettere l’armonia che dà origine al suo valore estetico. La rielaborazione della spazio urbanistico per Brunelleschi e Alberti deve essere coordinata attraverso la veduta prospettica. Per Giulio Carlo Argan e Maurizio Fagiolo dell’Arco proprio le piazze di Urbino e di Pienza rappresentano chiari esempi della costruzione prospettica dello spazio urbano19 (fig. 3). La prospettiva rinascimentale è alla base della costruzione dello spazio reale e le tre famose tavole, nate sicuramente in ambito urbinate, rappresentano “un esempio perfetto della tangenza fra prospettiva e urbanistica”20, per cui “l’utopia della città ideale è il punto di incontro del pensiero politico e del pensiero estetico”21. Il dipinto della Galleria Nazionale di Urbino con l’immagine della cosiddetta Città ideale sembra voler rappresentare il modello ideale a “scacchiera” come modello di assoluta perfezione della città rinascimentale, modello sottolineato dal disegno del pavimento a riquadri, e dagli edifici collocati secondo intervalli di spazio regolari, in maniere simmetrica e trasversale rispetto al centro dell’immagine, che è rappresentato da un edificio classico di forma circolare, riprendendo quindi i temi fondamentali della geometria spaziale e dei rapporti fra le forme e le proporzioni22. Fondamentale nell’evoluzione del concetto della città come ideazione ideale organica, in un senso più strettamente urbanistico, è Leon Battista Alberti che con il De re aedificatoria definisce la funzione della progettazione, partendo da concetti di sorprendente modernità: l’utilitas (ogni edificio deve rispondere alla funzione per cui è stato concepito), la firmitas (il rapporto costante con la classicità) e soprattutto la venustas (unione armoniosa delle parti); nel prologo del De re aedificatoria Alberti afferma che “architetto chiamerò colui che con metodo sicuro e perfetto sappia progettare razionalmente e realizzare praticamente”, partendo comunque dalla razionalità matematica, dalla “misura”, intesa “sia come forma concettuale della nuova idea di bellezza fondata sul linguaggio della proporzione sia come unità geometrica per il controllo della forma”23. Non a caso intercorre uno stretto rapporto fra Federico e l’Alberti, i cui concetti si rispecchiano nel più importante edificio realizzato da Federico, il palazzo ducale di Urbino, che verrà definito da Baldassarre Castiglione una “Città in forma di palazzo”24. A prescindere delle speculazioni sulle attribuzioni delle varie parti del palazzo, Laurana, definito “igegnero” del duca nella famosa patente del 1468, e Francesco Giorgio Martini sono protagonisti a Urbino sia nell’impostare l’edificio che nel creare la nuova piazza, che grazie soprattutto anche alla presenza del Duomo diverrà il nuovo centro dello spazio urbano della città25. Tuttavia l’aspetto più tecnico dell’edificio non può prescindere dalla formazione scientifica di Federico, uso per il suo mestiere a risolvere problemi pratici legati alla realizzazione delle costruzioni militari. È stato analizzato il rapporto fra le immagini della tre così dette Città ideali di Urbino, Berlino e Baltimora e la realtà di spazi e palazzi romani e fiorentini, analogia in certi casi lampante, ma non sta in questo il significato delle famose tavole, non cioè nella idealizzazione di immagini reali26. Morolli (che peraltro attribuisce la tavola di Urbino all’Alberti) ipotizza un rapporto fra le tre famose immagini (in particolare quella di Berlino) con i progetti dell’Alberti per la zona del Vaticano e per la piazza della Basilica vaticana, ricordando la Descriptio Urbis Romae, redatta dallo stesso fra il 1445 e il 1448 e la dedica a Sisto IV del De re aedificatoria del 145227. Peraltro il programma, mai realizzato, della trasformazione della zona fra Castel Sant’Angelo e San Pietro fu concepita da Alberti sotto Nicolò V fra il 1447 e il 1455 proprio negli anni in cui stava scrivendo il De re aedificatoria. Alla corte di Urbino e al suo “Rinascimento matematico”, secondo la definizione di Chastel, è legata una visione, teorizzata dal grande matematico Luca Pacioli, per la quale la realtà data dalla creazione divina è regolata dai rapporti matematici, dalle proporzioni numeriche che rappresentano quindi la misura divina della realtà visibile e sulle quali si deve basare l’uomo nel riprodurre la realtà stessa soprattutto nel ricreare lo spazio reale dell’architettura, nei rapporti interni degli spazi edificati e nel loro rapporto volumetrico con altri edifici. In questo modo può creare una immagine che rifletta l’idea con la quale Dio ha improntato la creazione della natura, in rapporto con la tesi agostiniana che considerava le idee platoniche come pensieri divini. Luca Pacioli, “Fratris Luca de Burgo Sancti Sepulcri, ordinis minorum, sacre theologiae Magistri” dedica nel 1494 la Summa de Arithmetica ad “Illustrissimum principem sui Ubaldum Duces Montis Feretri, Mathematice discipline cultorem serventissimum”, la cui corte, per l’eredità di Federico, come sopra ricordato, è il centro di quel “Rinascimento matematico”, che si ricollegava perfettamente con le tesi esposte nel libro. Nella lettera dedicatoria a Guidubaldo, Pacioli teorizza una revisione del sistema gerarchico della conoscenza basato sullo schema medioevale. Alle attività “intellettuali”, considerate superiori, vengono affiancate alla pari le attività tecniche considerate inferiori; la pari dignità delle arti deriva dalla comune radice matematica, disciplina che sottende anche alle arti definite meccaniche e che, per Luca Pacioli, è alla base della creazione divina dell’universo. È chiaro che se la matematica presiede ed è sottesa all’ordine della creazione le discipline che da questa discendono direttamente assumono tutt’altra dignità, appaiono anche superiori alle discipline intellettuali che non partono da questo presupposto “divino”, in particolare assume tutta la sua rilevanza la qualifica di “ingegnero” della famosa patente di Federico a Laurana; un architetto, che costruisce la realtà sulla base delle regole matematiche date dalla creazione divina e rispecchiando l’idea della proporzione, ha la possibilità concreta di avvicinarsi ad una immagine ideale della realtà e l’architettura inizia il trittico delle discipline “artistiche” che si fondano sulla matematica. A questa infatti seguono la pittura e la scultura, anch’esse caratterizzate dall’uso delle scienze matematiche nella riproduzione della bellezza. Come ricorda Wittkower “la pittura, la scultura e l’architettura erano considerate arti manuali. Per elevarle dal livello di arti meccaniche a quello di arti liberali, occorreva fornire loro un saldo fondamento teorico, vale a dire matematico”28. Nell’architettura, poi, l’utilità della geometria e delle proporzioni è evidente; come, del resto – rileva frate Luca – mostra “Vitruvio in suo volume e Leon Battista degli Alberti Fiorentino in sua perfetta opra de architectura [...] proportionando suoi magni et excelsi hedifitii”, tra i quali viene ricordato il palazzo ducale di Urbino, “el qual non solo a la vista subito veduto piaci, ma ancor più reman stupefato chi con intelletto va discorrendo, con quanto artifitio e ornamento è stato composto”. Leon Battista Alberti, che Pacioli aveva conosciuto a Roma nel 1471, rinnova il progetto vitruviano elaborando i principi dell’architettura matematica del Rinascimento. La matematica è, quindi, anche per l’Alberti alla base dell’architettura e a questa concezione si collega il palazzo di Urbino. La “divina Proportione” nasce dal fatto che le proporzioni matematiche costituiscono il principio generativo dei poliedri; la speculazione su cinque poliedri regolari e la teoria delle proporzioni è alla base del rapporto intellettuale tra Pacioli e l’autore della tavole del suo libro, Leonardo da Vinci. Come ha sottolineato Marisa Dalai Emiliani, la visualizzazione che opera Leonardo nelle sue raffigurazioni dei poliedri è quella di rappresentare non astratte entità concettuali ma corpi dotati di solidità volumetrica, che peraltro Luca aveva realizzato fisicamente in modellini di legno, dando quindi ai poliedri non solo il valore di concetto matematico ma una forma fisica nello spazio. Nel ritratto di Luca Pacioli con l’erede di Federico, Guidubaldo, conservato a Napoli presso il Museo di Capodimonte (cat. 6.1), il volume degli Elementi, di Euclide è aperto su una pagina del libro XIII, è affiancato da un dodecaedro ligneo appoggiato sopra la Summa, posto alla sinistra del frate, è appeso a un filo, come i solidi delle tavole di Leonardo. Molto particolare è la presenza sulle facce del poliedro del riflesso dell’immagine del palazzo ducale di Urbino (fig. 4), che fa riferimento al rapporto di questo con i cinque elementi che costituiscono la base matematica della realtà naturale, la “divina proportione” che informa il concetto dell’architettura ideale. Il concetto è riferito dalla geometria euclidea, che è richiamata dal volume aperto, e alla teoria dell’esistenza di solo cinque poliedri regolari, come ricorda anche Platone nel Timeo. Non a caso Luca Pacioli riabilita anche le conoscenze tecniche militari, che erano alla base dell’esperienza ingegneristica di Federico, e l’applicazione pratica delle conoscenze scientifiche. Peraltro il Palazzo di Urbino nella sua conformazione con le due facciate, verso la città e verso l’esterno con i torricini, è una “architettura militare che si trasforma in civile, alludendo insieme alla virtù guerriera e al saggio governo del “signore”29, Federico da Montefeltro appunto, grande condottiero e signore illuminato. Mentre la città di Urbino si modella sul nucleo della costruzione del palazzo ducale, il concetto di città, costruito sulla base di un pensiero organico, prende forma reale nella trasformazione del suo borgo natale, Corsignano in val d’Orcia, voluta da Enea Silvio Piccolomini, papa con il nome di Pio II. Per questo progetto il papa si rivolge nel 1459, non a caso, a Bernardo Rossellino, allievo di Leon Battista Alberti e attivo in quel rinnovamento della basilica e del contesto Vaticano a cui lavorava l’Alberti, legato per Morolli alla concezione delle tavole urbinati. Quando Pio II si reca nella sua città natale nel 1459, nel suo viaggio per Mantova, al suo seguito c’era Leon Battista Alberti a cui sono state spesso ricondotte le idee che sono alla base del progetto generale della nuova città30. Il progetto non fu realizzato completamente tuttavia Pienza riceve comunque un assetto urbanistico chiaramente ispirato non solo ad un modello unitario ma anche a una idea informatrice del progetto. Nella piazza principale la pavimentazione geometrica sembra sottolineare la stessa idea di prospettiva e di proporzione che improntano le immagini idealizzate delle città in tarsia o in pittura (figg. 6-8). Sempre nel tema della concezione umanistica della città, oltre all’intervento di trasformazione di Pienza, attuato da Bernardo Rossellino, è da sottolineare l’ampliamento di Ferarra (1492) di Biagio Rossetti che propone un primo vero intervento urbanistico legato a concrete necessità della città. Un progetto da sempre ricondotto al concetto della città ideale è quello di “Sforzinda”, città ideata da Antonio Averulino detto il Filarete, toscano al servizio di Francesco Sforza, nel suo trattato di architettura in cui espone le sue teorie sui “modi e misure dello hedificare”. Si tratta di una città razionale basata sull’idea di uno stato perfettamente funzionante nei suoi ordinamenti politici, economici, militari, che coniuga il tema della città a pianta radiale a quello del modello a scacchiera31. Filarete nel suo progetto di Sforzinda per Francesco Sforza, non si limita a teorizzare una città ideale, come l’Alberti, ma cerca di applicare i principi dell’idealità a una realtà urbana: “Alberti e il Filarete sono i due poli dialettici del concetto rinascimentale di città”32. Nonostante il modello razionale Sforzinda è “il polo opposto della concezione della città repubblicana di Bruni e dell’Alberti” come afferma Kruft33, ideata per un signore tirannico come Francesco Sforza. Nelle città del tiranno il popolo deve essere organizzato socialmente in uno spazio razionale per essere tenuto sotto controllo, qualcosa di profondamente diverso da una armonia che vuole rispecchiare la giustizia del governo illuminato. La concezione di Leonardo sviluppa alcuni aspetti della posizione pratica del Filarete, i suoi appunti, schizzi e considerazioni sui progetti urbanistici risalgono al nono decennio del Quattrocento, tuttavia la declina nella sua accezione migliore, nel cercare di rendere concreta non solo la realizzazione di un concetto attraverso l’armonia delle forme, ma nel creare una struttura integrata al territorio e al servizio delle necessità della vita quotidiana dell’uomo. Un esempio di centro cittadino razionalmente progettato è anche quello di Vigevano (1493-1495) tuttavia la sua piazza richiama uno spazio chiuso circondato da arcate che non ha più l’apertura spaziale della prima concezione prospettica della città. Il tema della città ideale ha avuto una lunga evoluzione fino ai nostri tempi ma non ritrova l’originaria spinta astratta e ideale fino alle concezioni architettoniche visionarie dell’Illuminismo. 1 H. Baron, La crisi del primo Rinascimento italiano, Firenze 1970. 2 H. Baron, La crisi del primo Rinascimento... cit., p. 5. 3 H. Baron, La crisi del primo Rinascimento... cit., p. 69. 4 Vedi E. Garin, Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Bari 1965, p. 41. 5 E. Guidoni, Pulchritudo civitatis: statuti e fonti non statutarie a confronto, in La bellezza delle città, 2004, pp. 71-82. 6 G.C. Argan, M. Fagiolo, Il processo dell’urbanizzazione, in Storia d’Italia, vol. I, Torino 1972, p. 745. 7 H. Baron, La crisi del primo Rinascimento... cit., p. 218. 8 H. Baron, La crisi del primo Rinascimento... cit., p. 219. 9 Vedi G.C. Argan, The Architecture of Brunelleschi and the Origin of Perspective in Fifteenth Century, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, IX, London 1946, nota 4. 10 E. Garin, Scienza e vita civile... cit., p. 53. 11 Vedi P. Francastel, Lo spazio figurativo dal Rinascimento al Cubismo, Torino 1957, p. 28. 12 “La città ideale di tante scritture del sec. XV è una città razionale”, in E. Garin, Scienza e vita civile... cit., p. 52. 13 E. Garin, Scienza e vita civile... cit., p. 47. 14 A. Chastel, Arte e Umanesimo a Firenze, Torino 1964, p. 6. 15 H.-W. Kruft, Le città utopiche. La città ideale fra il XV e il XVIII secolo fra utopia e realtà, trad. Bari 1990, p. 6. 16 A. Chastel, Arte e Umanesimo... cit., p. 140. 17 “L’idea della città ideale durante il governo federiciano si sviluppa parallelamente a quella dell’Accademia e trova corrispondenza su due livelli diversi: teorico e pratico il primo collegato al condurre lo stato, il secondo connesso alla realizzazione degli edifici e delle città” (P. Castelli, Il mito della città ideale nel governo federiciano, in Paolo dal Poggetto, a cura di, Piero e Urbino, Piero e le corti rinascimentali, Urbino 1992, catalogo della mostra, Venezia 1992, p. 210). 18 G. Simoncini, Città e società nel Rinascimento, 2 voll., Torino 1974, vol. I, p. 127. 19 G.C. Argan, M. Fagiolo, Il processo... cit., p. 762. 20 G.C. Argan, M. Fagiolo, Il processo... cit., p. 761. 21 G.C. Argan, M. Fagiolo, Il processo... cit., p. 746. 22 Vedi anche G. Simoncini, Città e società... cit., vol. I, pp. 56-59. 23 F. Camerota, Leon Battista Alberti e le scienze matematiche, in L’uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti e le arti a Firenze tra ragione e bellezza, a cura di C. Acidini, G. Morolli, Firenze 11 marzo-23 luglio 2006, catalogo della mostra (Firenze 2006), p. 361. 24 Vedi anche G. Morolli, La vittoria postuma: una città niente affatto “ideale”, in L’uomo del Rinascimento... cit., pp. 393-399. 25 Vedi anche G. Simoncini, Città e società... cit., vol.I, pp. 98-101. 26 Interessante la tesi di Giorgio Mangani che le vedute prospettiche di città presenti in tarsia in cori monastici, cassoni, lettucci o spalliere (e a questa tipologia appartengono sicuramente la veduta di Berlino probabilmente le altre due), nascessero in origine come spunti per la meditazione e la memoria (G. Mangani, Città per pregare. Una nuova interpretazione dell’iconografia urbana, in atti del convegno “Icone urbane”, Università di Macerata, 7-8 giugno 2007). 27 G. Morolli, La vittoria postuma... cit., pp. 117 e ss. 28 R. Wittkower, Principi architettonici nell’età dell’Umanesimo, Torino 1964, p. 115. 29 G.C. Argan, M. Fagiolo, Il processo... cit., p. 761. 30 Vedi H.-W. Kruft, Le città utopiche... cit., pp. 19-20. 31 Per la prevalente caratterizzazione economica del modello di Sforzinda, vedi G. Simoncini, Città e società... cit., vol. I, pp. 101-103. 32 G.C. Argan, M. Fagiolo, Il processo... cit., p. 759. 33 H.-W. Kruft, Le città utopiche... cit., p. 33.