Nel periodo bizantino e durante l'alto Medioevo, i problemi connessi con la mimesi nella rappresentazione furono quasi completamente trascurati, in quanto il fine delle arti figurative era evocare il trascendente, e per questo si elaborarono stilemi anche assai raffinati, tralasciando però, anche volutamente, la ricerca di effetti di un oggettivo realismo nelle immagini. Solo a partire dalla fine del Duecento, e soprattutto con l'opera pittorica di Giotto, la restituzione illusionistica della realtà e la corposità delle figure tornò ad essere un tema di interesse primario e un obiettivo da raggiungere nelle rappresentazioni. Era perciò inevitabile che si sviluppasse la ricerca di espedienti e di procedimenti atti ad ottenere delle figurazioni in qualche modo corrispondenti al tipo di percezione visiva dell'essere umano. Già verso la metà del XIV secolo si era giunti a risultati tutt'altro che trascurabili, come dimostra l' Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti conservata alla Pinacotaca Nazionale di Siena, dipinta su tavola nel 1344. Primo Rinascimento [modifica] Masaccio, Trinità (1425-1427), Santa Maria Novella, Firenze Melozzo, Affresco della cupola del santuario di Loreto All'inizio del Quattrocento, ad opera del grande architetto fiorentino Filippo Brunelleschi, si ebbe un primo salto di qualità, si può dire di ordine scientifico. Attraverso studi ed esperienze condotte con l'aiuto di strumenti ottici, Brunelleschi pervenne ad un procedimento metodologico per rappresentare gli edifici in prospettiva, che illustrò graficamente in due tavolette andate purtroppo perdute, raffiguranti rispettivamente il battistero visto dalla porta di Santa Maria del fiore, la piazza della Signoria e palazzo Vecchio, ma che sostanzialmente conosciamo grazie alla prima trattazione scritta dell'argomento, il De Pictura (1434-1436), scritto dall'umanista ed architetto Leon Battista Alberti. Le origini dei procedimenti utili ad ottenere una corretta rappresentazione prospettica vanno quindi ricercati nell'attività e nella volontà degli artisti. Un risultato ammirevole, di certo fortemente influenzato dalle scoperte del Brunelleschi, e precedente agli scritti dell'Alberti, possiamo vederlo nella famosa Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze. Ugualmente importante è l'opera di Melozzo da Forlì, studioso molto rigoroso delle prospettive e degli scorci (come riconosce il Vasari), citato ad esempio da Luca Pacioli, e soprattutto iniziatore di un nuovo tipo di sguardo prospettico: "Fu primo a dipinger le volte con l'arte del sotto in su, la più difficile e la più rigorosa", dice Luigi Lanza (Storia pittorica della Italia, Piazzini, Firenze 1834, p. 32). La prospettiva da sotto in su, pertanto, è detta anche prospettiva melozziana. Il contributo dell'Alberti fu comunque determinante, proprio per la sua forma scritta. Importante fu senz'altro anche la relazione di reciproca stima e di amicizia col Brunelleschi, testimoniata nel "Prologo" della versione in "lingua toscana" del De Pictura, dedicato al più anziano architetto e in cui l'autore chiede all'amico di correggerlo "se cosa vi ti par di emendarla". A quest'opera divisa in tre libri, di cui il primo concerne aspetti matematici, ovvero di ordine geometrico, si può far risalire l'inizio documentato della trattazione scientifica della prospettiva. Dopo, altri grandissimi artisti del Rinascimento lasciarono scritti sul tema: Piero della Francesca nel De perspectiva pingendi, un trattato in lingua volgare composto nell'ottavo decennio del XV secolo, e Leonardo da Vinci con notazioni e dimostrazioni sparse nei suoi manoscritti (in particolare nel Manoscritto A, datato al 1492 e conservato all'Institut de France di Parigi). È opportuno sottolineare il differente modo di riguardare il problema di Leonardo rispetto agli artisti delle generazioni precedenti. Mentre l'Alberti, considerando le relazioni fra immagine e oggetto reale, pone l'attenzione su rapporti di proporzionalità, Leonardo più sinteticamente mette a fuoco la similitudine, una delle proprietà che sarà fondamentale nello stimolare i successivi sviluppi di ordine teorico, e con la mentalità dello scienziato dice anche: "prospettiva non è altro che sapere bene figurare lo ufizio dell'occhio"[5]. Rinascimento maturo [modifica] Del resto, in mancanza di sicure basi matematiche, le ricerche sul fenomeno della percezione visiva venivano condotte con semplicissimi strumenti, premesse ai "prospettografi" usati nei secoli successivi, o al massimo con rudimentali camere oscure. Di questi strumenti e del loro uso, oltre alle descrizioni letterarie, abbiamo delle nitide rappresentazioni in alcune notissime incisioni su legno di Albrecht Dürer, inserite come illustrazioni in un suo trattato indirizzato ai giovani artisti, Underweysung der Messung mit dem Zirckel und Richtscheyt (Norimberga, 1525), con testo in tedesco per la prima edizione germanica, poi tradotto in latino con il titolo Institutionum Geometricarum libri quattuor e pubblicato postumo a Parigi nel 1532, con prefazione di Erasmo da Rotterdam. L'opera è nota anche perché in essa si trovano chiare applicazioni di doppia proiezione ortogonale, fra le prime ad essere così sicuramente documentate[6]. Le xilografie a cui si è fatto cenno mostrano come da una postazione fissa, mirando l'oggetto attraverso un vetro fissato a una cornice o rilevando la posizione di punti della sua proiezione su uno sportello, se ne possa disegnare il perfetto scorcio. Il Dürer, che aveva compiuto due viaggi in Italia nel 1494 e nel 1505, contribuì fortemente a divulgare le nuove teorie nell'Europa settentrionale soprattutto con la sua immensa opera grafica. Piero della Francesca o Leon Battista Alberti, Città ideale (1470-1475 circa), Galleria Nazionale delle Marche a Urbino. Il dipinto è un emblema della razionalizzazione dello spazio urbano come fu intesa nel Quattrocento. L'interessamento appassionato dei pittori alla prospettiva non era indotto solo dal desiderio di trovare espedienti per giungere a una corretta rappresentazione mimetica del reale. Oltre a conferire all'arte supporti di carattere scientifico, la ricerca era finalizzata a dare evidenza a una concezione filosofica del mondo, basata su un ordine razionale distribuito a tutto il creato. Tale funzione giunse alle sue massime espressioni nel periodo compreso fra la tarda attività di Piero della Francesca e i primi decenni del Cinquecento, prima che il Manierismo si insinuasse a rompere l'equilibrio della precedente visione. Si pensi ad esempio all'affresco di Raffaello nella stanza della Segnatura in Vaticano, noto come La scuola di Atene. Quella scena, ambientata nel grandioso spazio definito dalle pilastrate e dalle avvolgenti volte a pieno centro, è un'allegoria dell'universo visibile, come l'affresco posto di fronte nella stessa stanza, la Disputa del Sacramento (o meglio il Trionfo dell'Eucarestia), lo è di quello invisibile. Nei due secoli d'oro del Rinascimento al problema della prospettiva furono quindi interessati quasi esclusivamente gli artisti. Le personalità citate non erano però sprovviste di cognizioni matematiche, e nel caso di Piero della Francesca si ha un vero cultore della materia, tanto da poter essere definito un valente geometra. Essendo in prevalenza pittori e non potendo oltrepassare ristretti limiti sul piano teorico, dato che gli strumenti matematici a disposizione erano ancora sostanzialmente quelli conosciuti nell'antica età ellenistica, l'aspetto a cui dedicarono le maggiori attenzioni fu l'effetto del digradare dei toni e dei colori in rapporto alla distanza dal punto di osservazione, fino al loro svanire all'orizzonte. Discussero e scrissero molto cioè su quella che viene chiamata la "prospettiva aerea", di orgine nordica e veneziana.