Corso Integrato “Malattie del Sangue e degli Organi Emopoietici” per studenti del IV anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Pavia Anno accademico 2005-06 Guida alla preparazione dell’esame Questo e-book in formato PDF è gratuito ed è a disposizione degli studenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pavia. La riproduzione a fini di lucro, anche di singole parti, è rigorosamente vietata. 2 Sommario 00. Informazioni essenziali circa il Corso Integrato ...........................................................3 01. Midollo osseo, cellule staminali e fattori di crescita emopoietici...................................5 02. Diagnostica ematologica..........................................................................................15 03. Definizione e classificazione delle anemie................................................................23 04. Aplasia midollare......................................................................................................28 05. Anemia da insufficienza renale cronica.....................................................................33 06. Anemia da malattia cronica ......................................................................................35 07. Anemia da carenza di ferro.......................................................................................38 08. Anemie megaloblastiche ..........................................................................................44 09. Sindromi talassemiche .............................................................................................48 10. Anemie emolitiche: classificazione e valutazione di laboratorio.................................59 11. Disordini della membrana eritrocitaria.......................................................................61 12. Deficit enzimatici eritrocitari ......................................................................................65 13. Emoglobinopatie ......................................................................................................67 14. Anemie emolitiche immunologiche ...........................................................................71 15. Emoglobinuria parossistica notturna.........................................................................78 16. Anemia emorragica ..................................................................................................82 17. Sovraccarico di ferro.................................................................................................84 18. Eritrocitosi e policitemia............................................................................................89 19. Trombocitemia essenziale........................................................................................94 20. Mielofibrosi idiopatica ...............................................................................................98 21. Leucemia mieloide cronica .....................................................................................102 22. Sindrome ipereosinofila .........................................................................................111 23. Sindromi mielodisplastiche .....................................................................................113 24. Leucemia mieloide acuta........................................................................................120 25. Leucemia linfatica (o linfoblastica) acuta ...............................................................131 26. Linfoma di Hodgkin.................................................................................................137 27. Linfomi non Hodgkin...............................................................................................145 28. Leucemia linfatica cronica (LLC) ed altre malattie linfoproliferative croniche.........163 29. Gammapatie monoclonali ......................................................................................172 30. Disordini non neoplastici dei granulociti e dei monociti............................................187 31. Fisiopatologia dell’emostasi....................................................................................192 32. Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare .................................................196 33. Piastrine, piastrinosi e piastrinopenia......................................................................199 34. Porpora trombotica trombocitopenica (sindrome di Moschowitz) ............................202 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 3 00. Informazioni essenziali circa il Corso Integrato “Malattie del Sangue e degli Organi Emopoietici” Discipline attivate nell’anno accademico 2005-2006: ematologia, oncologia ematologica ed anatomia patologica. Docenti: Prof. Mario Cazzola (coordinatore), Prof. Mario Lazzarino, Prof. Umberto Magrini, Prof. Paolo Bernasconi, Prof. Marco Paulli, Dr. Francesco Passamonti, Dr. Luca Malcovati, Dr. Luca Arcaini, Dr. Matteo Giovanni Della Porta. Attività didattica interattiva e tirocinio professionalizzante: Dr. Luca Malcovati (Coordinatore), Dr. Matteo Giovanni Della Porta (Tutore). vedasi calendario nel sito FIRE Lezioni: http://nfs.unipv.it/nfs/corsi/clm/corso/45064/frame.html dell’Università di Pavia: Attività didattica interattiva e tirocinio professionalizzante: a turni presso la Divisione di Ematologia dell’IRCCS Policlinico San Matteo. Testo di riferimento: Harrison’s (http://www.harrisonsonline.com/). Principles of Internal Medicine Discipline oggetto dell’esame: ematologia ed oncologia ematologica (la parte più strettamente di anatomia patologica sarà oggetto dell’esame di Anatomia Patologica). Appelli d’esame: Sessioni regolari: 25 gennaio 2006 (periodo di iscrizione: 9-20 gennaio 2006) 20 febbraio 2006 (periodo di iscrizione: 6-17 febbraio 2006) 7 giugno 2006 (periodo di iscrizione: 22 maggio-5 giugno 2006) 12 luglio 2006 (periodo di iscrizione: 26 giugno-7 luglio 2006) Sessioni di recupero: 6 settembre 2006 (periodo di iscrizione: 21 agosto-1 settembre 2006) 27 settembre 2006 (periodo di iscrizione: 11-22 settembre 2006) 13 dicembre 2006 (periodo di iscrizione: 27 novembre-11 dicembre 2006) 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 4 Preparazione dell’esame Questo volume non è e non vuole essere una dispensa onnicomprensiva; questo significa che il solo studio del suo contenuto non è sufficiente a garantire il superamento dell’esame. Per ottenere una corretta preparazione sull’ematologia e sulle malattie del sangue, riteniamo che sia indispensabile la frequenza delle lezioni, dell’attività didattitica interattiva e del tirocinio professionalizzante, che hanno lo scopo di guidare lo studente non soltanto allo studio, ma anche all’elaborazione ed all’integrazione delle informazioni in una forma che sia primariamente utile alla sua futura attività di medico. L’approfondimento degli argomenti più rilevanti su testi di consultazione (che saranno i testi ai quali fare riferimento nella pratica medica) è, in questa ottica, vivamente consigliato. Modalità dell’esame L’esame consiste in una prova scritta [test di 60 domande con 5 risposte elencate, delle quali solo una è esatta (ogni risposta corretta attribuisce 1 punto, ogni risposta errata determina una penalizzazione di –0.25 punti la mancata risposta attribuisce 0 punti); tempo a disposizione 120 minuti; per raggiungere la sufficienza bisogna ottenere una votazione di almeno 36 punti), ed una prova orale successiva, entrambe obbligatorie. Le prove verteranno su tutti i campi dell’ematologia e dell’oncologia ematologica esaminati dai docenti durante il corso. Lo studente può sostenere un solo esame in ciascuna sessione: ad esempio, nella sessione Gennaio-Febbraio 2006, potrà presentarsi per la prova solo ad uno dei due appelli sopra elencati. Per l’iscrizione all’esame sono richiesti cognome, nome e numero di matricola. L’iscrizione dovrà essere effettuata personalmente presso la Segreteria situata al secondo piano della Clinica Ematologica (da lunedì al venerdì dalle ore 9.30 alle ore 13.00), oppure via e-mail inviando i dati sopra richiesti al seguente indirizzo: [email protected] (sarà in ogni caso premura dello studente informarsi presso la Segreteria circa gli orari e le modalità dell’esame). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 5 1. Midollo osseo, cellule staminali e fattori di crescita emopoietici Il midollo osseo emopoietico Il midollo osseo emopoietico è costituito dalle cellule emopoietiche (cellule staminali, progenitori e precursori emopoietici) e da cellule di supporto, che costituiscono, unitamente alla matrice extracellulare, il microambiente midollare. Le principali sedi di emopoiesi nel corso della vita intrauterina sono il fegato e la milza. Il midollo osseo diventa sede di emopoiesi a partire dal 4-5 mese di vita fetale e rappresenta in condizioni normali il solo organo emopoietico attivo nella vita extrauterina. L’attività emopoietica interessa nell’infazia l’intero apparato scheletrico, mentre in età adulta è limitata alle ossa piatte (bacino, costole, sterno, vertebre). Le cellule di supporto sono rappresentate principalmente da osteoblasti, fibroblasti, adipociti, macrofagi e dalle cellule endoteliali dei sinusoidi midollari. Queste cellule elaborano la maggior parte dei fattori richiesti per la corretta differenziazione e la maturazione delle cellule emopoieitiche: fattori di crescita, citochine e componenti della matrice extracellulare. Questi ultimi includono diversi tipi di collage, laminina, fibronectina, trombospondina, proteoglicani. La matrice extracellulare ha un ruolo essenziale nella corretta collocazione delle cellule emopoietiche nel microambiente midollare. La cellula staminale emopoietica Le cellule staminali emopoietiche sono caratterizzate dalla capacità di automantenersi, di differenziarsi lungo le varie filiere cellulari midollari e di generare colonie cellulari quando vengano coltivate in vitro. La capacità di automantenersi consente a questo compartimento cellulare di non esaurirsi nel tempo e dipende dal fatto che al momento della sua divisione la cellula staminale genera cellule figlie (divisione simmetrica), da cui verrà sostituita, che possiedono il suo stesso grado di differenziazione e cellule figlie (divisione asimmetrica) con un più avanzato grado di differenziazione e maturazione. Pertanto proliferando e differenziandosi la cellula staminale dà origine ad un sempre maggior numero di cellule figlie che perdono la capacità di automantenimento e acquisiscono una sempre più ristretta capacità differenziativa e maturativa. Identificazione della cellula staminale emopoietica. Le cellule staminali emopoietiche vennero per la prima volta dimostrate nel topo con il “colony-forming-units spleen assay”, basato sulla capacità di cellule emopoietiche sortate di dare origine a colonie spleniche in un topo che dodici giorni prima era stato sottoposto ad irradiazione letale. Da questa prima dimostrazione sono stati compiuti molti progressi nello sviluppo di metodiche che consentono di meglio caratterizzare le cellule staminali. Tali metodiche sono costituite dai tests di clonogenicità e dall’immunofenotipo. Una 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 6 1. sono capaci di creare un equilibrio tra automantenimento e differenziamento; 2. sono multipotenti: una singola cellula staminale produce almeno 8-10 linee distinte di cellule mature del sangue; 3. ciascuna cellula è capace di generare una progenie di cellule mature sufficiente a garantire la ripresa dell’emopoiesi dopo un trapianto; 4. sono rare, avendo una frequenza compresa tra 1 su 10.000 e 1 su 100.000 cellule nel caso del midollo osseo; 5. sono quiescenti, essendo nella fase G0 del ciclo cellulare, o possiedono un basso indice mitotico nel sistema emopoietico dell’adulto in “steady-state”. Inoltre l’analisi della clonalità ha dimostrato che il sistema emopoietico è organizzato secondo un ordine gerarchico e ha anche stabilito quale sia l’azione delle diverse citochine sulla cellula staminale. Pertanto l’impiego di questi sistemi di coltura, inizialmente usati per lo studio della cellula staminale murina e successivamente adattati allo studio di quella umana, ha permesso di valutare alcuni aspetti funzionali della cellula staminale emopietica e d’individuare e quantificare diversi tipi di cellule progenitrici orientate verso l’una o verso l’altra linea differenziativa. Sono oggi disponibili sistemi di coltura a breve, medio, lungo termine che consentono di esaminare le varie classi di cellule staminali. Di solito le colture a breve termine consentono di dimostrare variazioni di numero dei progenitori emopoietici, di valutare la risposta ai diversi fattori di crescita e citochine e di stabilire quale sia l’azione delle molecole regolatorie su progenitori emopoietici con diverso livello di differenziazione. Colture a breve termine denominate HPP-CFC (“high proliferative potential colony-forming cells) consentono di identificare progenitori emopoietici molto primitivi. In coltura le cellule danno origine a colonie del diametro superiore a 0.5-1mm composte da almeno 1000 elementi. Le cellule di questi sistemi di coltura sono resistenti a dosi quasi letali di 5-fluorouracile e nel topo sono contenute nella stessa frazione delle cellule capaci di ricostituire l’emopoiesi a lungo termine. Tuttavia le HPP-CFC rappresentano una popolazione cellulare eterogenea formata da un lato da cellule con potenziale staminalità e dall’altro da cellule situate lungo la scala diffferenziativa appena prima dei progenitori commissionati. Tra le colture a lungo termine che consentono di individuare la cellula staminale bisogna ricordare le seguenti: LTC-IC: si basano sulla dimostrazione che in colture a lungo termine le cellule aderenti alla fiasca (stromali) contenute nel midollo osseo non solo supportano la sopravvivenza delle cellule staminali ma anche la loro capacità di generare “Clony Forming Cells” (CFC). In questo sistema le cellule staminali vengono piastrate su un layer preformato, costituito da cellule stromali. Tali colture vengono seguite nel tempo per dimostrare la presenza di progenitori emopoietici capaci di garantire un’emopoiesi a lungo termine. Siccome le cellule clonogeniche inizialmente presenti nella sospensione cellulare non sopravvivono per un periodo di tempo superiore alle tre settimane, la quantificazione delle LTC-IC primitive presenti al momento dell’allestimento della coltura viene fatta misurando la produzione di cellule clonogeniche dopo cinque-otto settimane. Normalmente la quota di LTC-IC presenti in una coltura di midollo osseo incubata per cinque settimane è pari a circa una cellula per 5x105 cellule mononucleate. Il 20% delle LTC-IC ottenute da midollo osseo con fenotipo CD34+ e CD38- è capace di automantenersi. E’ stato dimostrato che le LTC-IC del topo sono in grado di ripopolare un ospite 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 7 settimane (“extended LTC-IC”). Si tratta di cellule CD34 positive e CD38 negative che rispetto alle normali LTC-IC sono più quiescenti e meno responsive alla stimolazione con fattori di crescita. CFU di tipo A: in questo sistema le cellule di interesse vengono coltivate su un layer stromale irradiato contenuto in pozzetti. Le cellule staminali ed i progenitori emopoietici crescono in un modo particolare, formando, dopo trentacinque giorni di coltura, strutture che prendono il nome di “cobblestone areas”. Più primitiva è la cellula piastrata più a lungo essa manterrà la capacità di formare “cobblestone areas”. Le cellule che dopo trentacinque giorni sono ancora in grado di generare “cobblestone areas” sono considerate cellule staminali emopoietiche. Sul piano funzionale le CFU di tipo A di sei-dodici settimane sono resistenti all’azione del 5fluorouracile. Quelle di sei settimane sono paragonabili alle “Long-term initiating cells” (LTC-IC), mentre quelle di dodici settimane sono paragonabili alle “extended” LTC-IC. Dal punto di vista immunofenotipico le prime sono positive per l’antigene CD34 e presentano una eterogeneità nell’espressione del CD38, mentre le seconde sono CD34 positive e CD38 negative. Pertanto la differenza tra LTC-IC e CFU di tipo A consiste nel fatto che queste ultime analizzano cellule presenti nelle “cobblestone areas” e non la produzione delle CFC ed individuano progenitori multipotenti, presenti ad una frequenza circa dieci volte inferiore a quella osservata nelle LTC-IC. Altri sistemi hanno studiato le cellule staminali più primitive basandosi sulla loro capacità di ricostituire l’emopiesi in un ospite precedentemente irradiato o affetto da un carenza di cellule staminali. La capacità funzionale della cellula staminale può essere dimostrata in vivo utilizzando tre metodologie: la radioprotezione, il trapianto in modelli geneticamente compromessi e la ripopolazione competitiva. I marcatori più spesso impiegati sono aberrazioni cromosomiche e retrovirus. La maggior parte degli studi diretti a definire le proprietà delle cellule staminali sono stati condotti nel topo, mentre informazioni sulle cellule staminali umane sono state ottenute impiegando gli xenotrapianti. Immunofenotipo Il fenotipo di membrana della cellula staminale è tuttora poco definito. Tuttavia una popolazione capace di ricostituire l’emopoiesi di un ricevente precedentemente sottoposto a chemioradioterapia mostra una positività per il CD34 e l’AC133 ed una negatività per il CD38 e per HLA-DR. Si tratta di cellule che oltre ad essere presenti nel midollo osseo si trovano nel cordone ombelicale e nel sangue periferico dove possono essere mobilizzate impiegando la chemioterapia o il fattore di crescita. Uno dei passi più importanti nella caratterizzazione delle cellule staminali è consistito nell’identificazione dell’antigene CD34, una sialomucina presente sulla loro superficie. Studi recenti hanno però dimostrato che tale antigene può essere espresso solo temporaneamente dalle cellule staminali e che alcune di queste possono non presentare tale antigene. In condizioni fisiologiche le cellule CD34 positive costituiscono l’1-3% di tutte le cellule mononucleate del midollo osseo, mentre solo lo 0.1-0.2% delle cellule mononucleate del sangue periferico e lo 0.8-1.2% delle cellule mononucleate del sangue del cordone ombelicale. La frazione di cellule CD34 positive è composta da cellule staminali e da progenitori emopoietici commissionati. I progenitori molto precoci sono contenuti nella popolazione CD34 positiva, CD38 e HLA-DR negativa e Thy positiva e nella popolazione CD34 positiva Lin negativa. Un altro antigene che individua i progenitori emopoietici è l’AC133, caratteristicamente espresso dalle cellule CD34 positive del midollo osseo. Siccome non è espresso da altre cellule del sangue può essere impiegato in alternativa al CD34 per individuare la cellula staminale e per la caratterizzazione dei progenitori necessari per la ricostituzione emopoietica. Recentemente è stato osservato che cellule 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 8 CD34 e Lin negative contengono una sottopopolazione di cellule emopoietiche capaci di garantire la ricostituzione emopoietica e di differenziarsi in cellule CD34 positive in riceventi sottoposti a chemioradioterapia mieloablativa. Manipolazioni in vitro Si tratta di procedure impiegate in campo trapiantologico e consistono in: selezione positiva o negativa delle cellule staminali; espansione in vitro in presenza di appropriate citochine; inserzione di vettori retrovirali o di geni per terapia genica. Selezione: è basata sull’assetto immunofenotipico della cellula staminale e in particolare sulla presenza dell’antigene CD34. Come già riportato si distingue una selezione negativa ed una positiva. La prima impiega anticorpi monoclonali diretti verso antigeni presenti sulla superficie della cellula tumorale o comunque verso antigeni non espressi sulla superficie della cellula staminale. Le cellule a cui sono legati gli anticorpi monoclonali possono essere eliminate dalla sospensione cellulare tramite lisi indotta dall’attivazione della cascata complementare, mediante tossine direttamente coniugate con l’anticorpo o mediante rimozione con sistemi magnetici. La selezione positiva viene effettuata con anticorpi monoclonali diretti verso l’antigene CD34. La rimozione delle cellule CD34 positive con adeso l’anticorpo dalla sospensione cellulare utilizza particelle paramagnetiche che trattengono le cellule marcate quando queste vengono eluite attraverso un campo magnetico. Espansione in vitro: utilizza sistemi di coltura in fase liquida contenente diverse combinazioni di citochine. Tali sistemi permettono di ottenere un buon numero di CFUGM e di espandere le LTC-IC. Inserzione di vettori retrovirali e di geni. Le cellule staminali CD34 positive essendo prontamente disponibili mediante procedure di aferesi, potendo essere facilmente sottoposte a procedure di manipolazione ex vivo e possedendo la capacità di automantenersi possono essere impiegate per un’eventuale terapia genica. Fisiologia delle cellule staminali emopoietiche Come già riportato le cellule staminali sono presenti nel midollo osseo con una frequenza compresa tra 1 su 10.000 e 1 su 100.000 cellule. Quelle più indifferenziate, chiamate totipotenti, generano tutte le cellule del sangue e danno origine alle cellule staminali multipotenti che si differenzaziano in senso mielopoietico o linfopoietico. Da questo ultimo tipo di cellula staminale originano i progenitori emopoietici commissionati verso una sola linea cellulare. Le cellule staminali totipotenti sono per la maggior parte quiescenti essendo nella fase G0 del ciclo cellulare. Tuttavia dati recenti ottenuti da modelli sperimentali murini indicano che la cellula staminale entra ed esce dal ciclo cellulare: ogni cellula staminale in grado di garantire una ricostituzione emopoietica a lungo termine si divide almeno una volta al mese. La cellula staminale è molto sensibile alla irradiazione che non solo causa la morte di cellule in divisione ma anche quella di cellule in interfase. Invece il trattamento con 5fluorouracile o con 4-idroperossiciclofosfamide elimina le cellule in divisione ma non altera la capacità della cellula staminale midollare di ricostituire l’emopoiesi a lungo termine. Le cellule staminale sono contenute nelle nicchie midollari. Nell’ospite sottoposto a radiochemioterapia la cellula staminale reinfusa raggiunge le nicchie midollari nello stesso giorno della sua reinfusione. Questa capacità della cellula staminale che va sotto il nome di “homing” è controllata da molecole della famiglia delle integrine (tra queste soprattutto da VLA-4) e da recettori di adesione come il CD44. Tra gli altri recettori che 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 9 mediano l’”homing” bisogna ricordare il c-KIT che consente alla cellula di aderire allo stroma. Viceversa la mobilizzazione della cellula staminale avviene per azione del fattore di crescita granulocitario (G-CSF) che indurrebbe i neutrofili a liberare delle proteasi che digeriscono le proteine di adesione liberando la cellula staminale dalla nicchia midollare. Cellule progenitrici emopoietiche Si collocano fra le cellule staminali ed i precursori emopoietici. Non si riconoscono morfologicamente: si valutano come "unità formanti colonie", o CFU (Colony Forming Unit) in vitro in mezzo semisolido. La cellula progenitrice umana più immatura capace di dar luogo a colonie contenenti granulociti, eritroblasti, macrofagiciti e megacariociti, viene definita CFU-GEMM (Colony Forming Unit – Granulocytic, Erithroid, Macrophagic, Megakariocytic). Cellule progenitrici più mature ed orientate vengono definite, secondo gli elementi cellulari presenti nelle colonie da essi formati, CFU-GM (Colony Forming Unit Granulocytic Macrophagic), CFU-E (Colony Forming Unit - Erythroid) e CFU-Meg (Colony Forming Unit - Megakariocytic). Le BFU-E (Burst-Forming Unit - Erytroid) sono progenitori eritroidi più immaturi delle CFU-E, che danno luoghi a grosse colonie cellulari multicentriche definite burst. Precursori emopoietici Seguono nel processo di differenziazione i progenitori emopoietici. Sono cellule identificabili morfologicamente all’esame microscopico dell’aspirato midollare e/o della biopsia ossea. Linea eritroide: proeritroblasto, eritroblasto basofilo, policromatofilo ed ortocromatico o picnotico, reticolocito, globulo rosso. Con l’avanzare del processo di differenziazione, gli eritroblasti diventano progressivamente più piccoli, mentre aumenta il loro contenuto in emoglobina e quindi l'acidofilia del citoplasma, e la cromatina nucleare diventa sempre più addensata. Si possono così riconoscere gli stadi di eritroblasto basofilo (precoce), policromatofilo (intermedio) ed ortocromatico o picnotico (tardivo). Alla fine del processo di maturazione, l'eritroblasto ortocromatico espelle il nucleo e diventa un reticolocito midollare, che possiede ancora residui di RNA ribosomiale ed è capace di sintetizzare emoglobina. Questa cellula spende 1-2 giorni nel midollo ed altri 1-2 giorni nel sangue periferico: durante questo periodo perde i residui di RNA ribosomiale e diventa un globulo rosso maturo. Sfruttando la capacità di legarsi ai residui di RNA ribosomiale di alcuni coloranti (blu brillante di cresile) o di sostanze fluorescenti (arancio di acridina), è possibile contare i reticolociti manualmente o con strumenti automatici (citofluorimetri). Il numero di reticolociti, è un indice di attività eritropoietica. Linea granulocitaria: mieloblasto, promielocito, mielocito, metamielocito, cellula a banda, granulocito maturo o segmentato. I promielociti sono caratterizzati da granuli primari. I granuli specifici, o secondari (neutrofili, eosinofili o basofili), appaiono chiaramente a partire dallo stadio di mielocito. Linea monocitaria: monoblasti, promonociti e monociti. Linea megacariocitaria: megacarioblasti, megacariociti. I megacariociti maturano attraverso un processo di replicazioni nucleari sincrone endomitotiche (il numero dei nuclei è sempre una potenza di due, con un progressivo aumento del citoplasma). Ad 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 10 uno stadio variabile dello sviluppo, solitamente allo stadio di 8 nuclei, si arrestano sia la replicazione nucleare che la crescita cellulare: il citoplasma diventa granulare e vengono prodotte le piastrine, che sono frammenti di citoplasma dei megacariociti. Stem cells BFU-E Myeloid stem cell Pluripotent stem cell CFU-E CFU-GM CFU-Mk Megacaryocyte B-cell Lymphoid stem cell T-cell Fattori di crescita emopoietici Il processo di differenziazione della cellula staminale è mediato dai fattori di crescita emopoietici. I principali fattori di crescita emopoieitici sono: Stem cell factor Eritropoietina GM-CSF (Granulocyte, Macrophage - Colony Stimulating Factor) G-CSF (Granulocyte - Colony Stimulating Factor) M-CSF (Macrophage – Colony Stimulating Factor) Trombopoietina Interleukine 1-18 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 11 Eritropoietina L'eritropoietina è il più importante fattore regolatore dell'eritropoiesi. E’ una proteina glicosilata del peso molecolare di 30.4 kD. 165 aa 30,4 kD glicosilazione 40% Si comporta a tutti gli effetti come un ormone: è prodotta da un organo, il rene, diverso dal midollo osseo emopoietico, raggiunge le cellule bersaglio attraverso il sistema circolatorio, la sua produzione è inibita con un meccanismo feedback dall'ossigeno trasportato dagli eritrociti. Le cellule renali che producono eritropoietina sono fibroblasti peritubulari, mentre i sensori della tensione venosa di ossigeno sono cellule endoteliali delle vene renali. La concentrazione normale di eritropoietina nel sangue circolante varia da 5 a 25 mU/mL. L'eritropoietina ha molteplici azioni, tutte dipendenti dalla presenza di uno specifico recettore sulla superficie delle cellule responsive. Quella più importante fisiologicamente riguarda i progenitori eritroidi CFU-E e i proeritroblasti: l'eritropoietina previene la morte programmata o apoptosi di queste cellule. Quando le CFU-E e i proeritroblasti sono esposti a concentrazioni elevate di eritropoietina, la maggior parte di loro sopravvive e può progredire nel ciclo cellulare fino alla mitosi: l'eritropoiesi viene quindi pre-amplificata. L'opposto succede quando la concentrazione di eritropoietina è inadeguata e quindi la maggior parte dei progenitori eritroidi muore di apoptosi. Erythropoietin production: Transcriptional feedback regulation Erythroid marrow RBCs Oxygen sensor (heme protein) Circulating HIF-1 RBCs Epo Epo O2 Kidney Erythroid marrow RBC Il fatto che l’eritropoietina espanda l’eritropoiesi prevenendo la morte programmata dei progenitori eritroidi è di fondamentale importanza per l’impiego clinico dell’eritropoietina umana ricombinante: infatti, il farmaco è efficace quasi esclusivamente in quelle condizioni in cui la produzione endogena di eritropoietina è deficitaria, come tipicamente avviene nell’insufficienza renale cronica. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 12 Plasticità della cellula staminale Il tessuto emopoietico è stato sempre ritenuto un sistema ad organizzazione gerarchica con il compartimento delle cellule staminali totipotenti all’apice della piramide, il compartimento delle cellule commissionate verso le varie filiere cellulari nel mezzo ed il compartimento delle cellule ormai differenziate lungo una particolare filiera cellulare alla base della piramide. La cellula staminale emopoietica è assolutamente indispensabile per mantenere una normale emopoiesi e per garantire la ripresa dell’emopoiesi dopo un trapianto di midollo osseo. La cellula staminale emopoietica svolge tali funzioni poiché è dotata di capacità clonogenica, è in grado di automantenersi dando origine ad altre cellule staminali ed è inoltre in grado di differenziarsi lungo le varie linee cellulari presenti nel midollo osseo e nel sangue periferico. Cellule staminali con analoghe caratteristiche biologiche e funzionali sono presenti in tutti i tessuti dotati di capacità rigenerativa e sono considerate tessuto specifiche. Così le cellule staminali nervose danno origine a neuroni, astrociti, oligodendrociti; le cellule staminali gastrointestinali danno origine a cellule con attività assorbente, secretoria ed endocrina. Solo le cellule embrionali derivate dal foglietto più interno della blastocisti, che origina dopo sette-otto divisioni cellulari della cellula uovo fecondata, sono in grado di dare origine a tutti i tipi di cellule dell’organismo. Questa potenzialità viene persa quando le cellule della blastociti differenziano in cellule embrionali prima e fetali poi, assumendo i programmi differenziativi delle cellule appartenenti ai tre foglietti embrionali. Sino ad oggi è stato ritenuto che le cellule staminali adulte, ivi inclusa la cellula staminale emopoietica, potessero dare origine differenziandosi solo alle cellule del tessuto di appartenenza. Questo concetto è stato però recentemente contraddetto da studi preclinici e clinici che hanno dimostrato come la cellula staminale adulta possieda la capacità di generare cellule appartenenti a tessuti diversi da quello d’origine. Questa caratteristica della cellula staminale è indicata con il termine di plasticità. Modelli sperimentali animali La plasticità della cellula staminale fu per la prima volta dimostrata utilizzando modelli sperimentali murini. Quando cellule staminali provenienti da un topo di sesso maschile venivano reinfuse in un topo di sesso femminile precedentemente irradiato, il cromosoma Y non veniva individuato solo nelle cellule del tessuto emopoietico ma anche in alcune cellule epiteliali situate a livello dei dotti biliari, del polmone,del tratto gastro-enterico e della cute. Questo modello sperimentale, pur con i limiti della metodica impiegata (ibridazione in situ), ha per la prima volta dimostrato che la cellula staminale emopoietica è effettivamente dotata di una certa plasticità. Modelli sperimentali successivi, che hanno utilizzato cellule staminali purificate e dotate di un marcatore specifico, hanno indicato che la reinfusione di un piccolo numero di cellule staminali normali in topi affetti da tirosinemia di tipo 1 è sufficiente a correggere il difetto enzimatico. Gli stessi modelli sperimentali hanno indicato che le cellule staminali reinfuse sono capaci di differenziarsi in epatociti (che esprimono il gene dell’albumina umana), in cardiomiociti, in strutture endoteliali, in cellule muscolari lisce neointimali e che tutte queste cellule sono capaci di svolgere le loro normali funzioni. Altri studi sperimentali, che hanno impiegato progenitori emopoietici mobilizzati nel sangue periferico dopo trattamento con G-CSF, hanno indicato che quei progenitori emopoietici sono effettivamente in grado di produrre una neovascolarizzazione dell’occhio nel topo e del miocardio infartuato nel ratto. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 13 Modelli clinici Nell’uomo le prove a favore della plasticità della cellula staminale sono state fornite dall’efficacia terapeutica del trapianto allogenico nei pazienti affetti da osteogenesi imperfetta e dallo studio dei trapianti di midollo osseo condotti nelle coppie donatore/ricevente di sesso diverso. Varie casistiche hanno riportato che il ricevente sviluppa uno stato di chimerismo (presenza di cellule del donatore accanto a cellule del ricevente) a livello del tessuto epatico, del tessuto nervoso (ippocampo, corteccia cerebrale, cellule di Purkinje), del tratto gasrotroenterico (quest’ultimo successivamente bersaglio di “Graft versus Host Disease, GvHD) e della cute. In questi tessuti lo stato di chimerismo compare di solito tredici giorni dopo il trapianto e persiste sino ad almeno 354 giorni. Altri studi condotti nei pazienti sottoposti a trapianto di organo solido da donatore di sesso diverso hanno dimostrato la plasticità delle cellule staminali presenti nel sangue periferico. E’ stato infatti osservato un chimerismo maschile (cellule maschili accanto a cellule femminili) in pazienti di sesso maschile sottoposti a trapianto cardiaco da donatore di sesso femminile ed è stato suggerito che le cellule staminali maschili del ricevente possano favorire il rimodellamento ventricolare del cuore trapiantato. Una situazione analoga è stata osservata anche a livello endoteliale nei pazienti di sesso maschile che avevano sviluppato un rigetto dopo trapianto di rene da donatore di sesso femminile. I risultati raggiunti dai modelli sperimentali animali e dagli studi sino ad oggi condotti nell’uomo devono essere interpretati con cautela perché le metodiche utilizzate presentano importanti limiti legati alla loro diversa sensibilità e specificità. Inoltre bisogna considerare che cellule del donatore, identificate dal cromosoma Y, potrebbero essere linfociti o macrofagi coinvolti in una risposta infiammatoria e non cellule epiteliali derivate dalla cellula staminale totipotente del donatore. Un altro problema è costituito dal fenomeno noto come “fusione cellulare”. Studi recenti hanno infatti contraddetto i risultati sin qui ottenuti riguardo alla plasticità della cellula staminale e hanno suggerito che le cellule staminali normali del donatore possano formare cellule ibride, contenenti i geni del donatore e del ricevente, fondendosi con quelle del ricevente. In realtà la poliploidia che ne deriva è stata dimostrata solo a livello epatico e solo in alcuni casi aneddotici a livello del tessuto sede della lesione. La fusione cellulare potrebbe spiegare la presenza in un organo solido di cellule che mostrano solo alcune caratteristiche del donatore e sarebbe un processo fisiologico di riparo del danno cellulare: la cellula staminale fornirebbe geni nuovi e sani alla cellule specializzata che così sopravviverebbe o correggerebbe un deficit enzimatico costituzionale. Ipotetici meccanismi che determinano la plasticità della cellula staminale emopoietica La cellula capace di dare origine a cellule di organo solido si ritiene sia un elemento mononucleato presente nel tessuto emopoietico midollare o in circolo nel sangue periferico. I meccanismi che consentono a tale cellula di differenziarsi in elementi non tessuto specifici sono tuttora sconosciuti. Sono state proposte le seguenti quattro possibili ipotesi: 1. Una prima ipotesi propone che cellule staminali diverse, ciascuna tessuto specifica, possano circolare nel sangue periferico. Questa ipotesi trova conferma nel fatto che oltre alla cellula staminale emopoietica il sangue periferico contiene cellule mesenchimali, progenitori del tessuto endoteliale e muscolare liscio e 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 14 2. Una seconda ipotesi suggerisce invece che durante tutta la vita adulta il tessuto emopoietico midollare e/o il sangue periferico possano contenere cellule staminali con caratteristiche funzionali simili a quelle delle cellula embrionale e pertanto capaci di dare origine ai vari tipi di cellule staminali circolanti tessuto specifiche. 3. Una terza ipotesi propone un processo di transdifferenzazione della cellula staminale emopoietica. In pratica tale cellula presenterebbe un difettoso funzionamento del proprio programma di differenzazione che, in particolari condizioni, verrebbe abbandonato e sarebbe sostituito da un altro programma di differenziazione che consentirebbe di generare cellule diverse da quelle presenti nel tessuto d’origine. 4. Una quarta ipotesi propone che una cellula differenziata di un organo solido e pertanto tessuto specifica possa perdere le proprie caratteristiche biologiche e funzionali (de-differenziarsi) e riacquisire i caratteri di cellula staminale adulta allo scopo di generare cellule con caratteristiche funzionali e differenziative specifiche di un altro tessuto (ridifferenzazione). Meccanismi di differenziazione della cellula staminale adulta I meccanismi che controllano il reclutamento e la differenziazione delle cellule staminali adulte sono ancora mal definiti. Tuttavia tre fattori sono sicuramente importanti per tale regolazione: il danno tissutale: è stato osservato che un paziente sottoposto a trapianto epatico mostra la maggior percentuale di epatociti del donatore in occasione di un’epatite C ricorrente ad impronta colestatica; la concentrazione di cellule staminali adulte nella sede del danno tissutale: è stato riportato un efficace riparo del tessuto cardiaco infartuato quando si inietta in loco un buon numero di cellule staminali prelevate da midollo osseo o quando si mobilizzano cellule staminali nel sangue periferico somministrando G-CSF; la liberazione di citochine da parte del tessuto danneggiato. Il microambiente può trasmettere segnali alla cellula staminale adulta modificane i processi trascrizionali e quindi anche il programma differenziativo. Possibili applicazioni cliniche Una futura applicazione delle cellule staminali adulte è costituita da un loro possibile impiego nella riparazione dei tessuti. Per essere efficacemente utilizzate esse dovrebbero essere facilmente accessibili, dovrebbero raggiungere la sede della lesione in concentrazione sufficiente e dovrebbero essere correttamente guidate da segnali citochinici specifici liberatisi dal tessuto danneggiato. Per raggiungere questi obiettivi è necessaria una migliore comprensione dei meccanismi che regolano la differenziazione ed il richiamo di tali progenitori nella sede di danno tissutale. Inoltre in un prossimo futuro per avere una concentrazione sufficiente di cellule staminali adulte sarà 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 15 2. Diagnostica ematologica Esame emocromocitometrico L'esame emocromocitometrico completo include numerosi parametri riguardanti le popolazioni cellulari presenti nel sangue periferico, di estrema utilità nella diagnosi dei disordini ematologici. Valori normali di riferimento dell'esame emocromocitometrico nella popolazione adulta Parametri Maschi Femmine Emoglobina (Hb) g/dl 13,0-17,0 12,0-16,0 0,39-0,50 0,36-0,47 39-50 36-47 Eritrociti (RBC) 10 /l Volume globulare medio (MCV) fl 4,5-5,9 4,0-5,5 Contenuto emoglobinico globulare medio (MCH) pg 27-32 Ematocrito (Hct ): L/L % 12 80-100 (ambito più ristretto 83-97) Concentrazione emoglobinica globulare media (MCHC), 32-36 g/dl RDW*, CV % 11,5-14,5 Reticolociti: % 0,5-2,0 9 20-100 10 /l 9 Leucociti (WBC) 10 /l 9 Piastrine (PLT) 10 /l °tra parentesi vengono riportati gli acronimi inglesi * Red cell distribution width 4-11 100-400 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 16 Formula leucocitaria: Granulociti neutrofili 45-70% Granulociti eosinofili 1-3% Granulociti basofili 0-1% Linfociti 20-40% Monociti 3-7% Di fondamentale importanza è riconoscere la presenza di elementi immaturi (promielociti, mielociti, metamielociti) o patologici (blasti leucemici, cellule linfatiche patologiche, etc.). L’esame dello striscio di sangue periferico consente di apprezzare varie anomalie morfologiche che possono essere utili per la diagnosi. Principali anomalie morfologiche degli eritrociti e quadri clinici più frequenti ad esse associati Anomalie Morfologia Quadri clinici Corpi di Howell-Jolly Residui nucleari Splenectomia Corpi di Heinz Denaturazione Hb Emoglobinopatie, splenectomia Punteggiatura basofila Precipitazione di Affezioni ematologiche, ribosomi infezioni, intossicazione da Pb Aggregati di ferritina e Anemie con sovraccarico di Fe, ribosomi talassemie, splenectomia Inclusi eritrocitari Corpi di Pappenheimer Alterazioni di forma e dimensioni Schistociti Dacriociti Anemie emolitiche microangiopatiche Eritrociti di forma sferica Sferocitosi ereditaria, anemie emolitiche autoimmuni Eritrociti con colorazione Sideropenia di un orletto periferico Eritrociti con colorazione Talassemie di un orletto periferico e area centrale Eritrociti a lacrima Mielofibrosi Idiopatica Drepanociti Eritrociti a falce Echinociti Eritrociti spinosi Sferociti Anulociti Cellule a bersaglio Eritrociti frammentati con Drepanocitosi rilievi Insufficienza renale cronica 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 17 Principali anomalie morfologiche dei granulociti neutrofili e quadri clinici più frequenti ad esse associati Anomalie Quadri clinici Anomalie nucleari Ipersegmentazione Anemie megaloblastiche Iposegmentazione Nuclei ad anello Anomalia di Pelger-Huet, mielodisplasie e leucemia mieloide acuta (anomalia pseudo-Pelger) Leucemia mieloide cronica, leucemia mieloide acuta Addensamento cromatinico Mielodisplasie Anomalie citoplasmatiche Degranulazione Mielodisplasie Ipergranulazione Granulazioni anomale Gravidanza, infezioni, infiammazioni, anemia aplastica, leucemia mieloide cronica Mielodisplasie, leucemia mieloide acuta Vacuolizzazione Infezioni, intossicazione Corpi di Doehle Gravidanza, infezioni, infiammazioni, mielodiplasie, leucemia mieloide acuta Esame morfologico del midollo osseo Mieloaspirato L'aspirato di midollo osseo consente di esaminare, mediante apposizione o striscio dei frustoli midollari su un vetrino porta-oggetti, i precursori delle cellule ematiche circolanti. Consente di valutare le proporzioni dei vari tipi cellulari, di esaminare le singole cellule e di evidenziare elementi patologici. Citochimica Alcune reazioni enzimatiche consentono di caratterizzare le cellule ematiche normali e patologiche e, benché affiancate da metodiche più moderne e sofisticate, hanno ancora oggi una funzione rilevante nella diagnostica ematologia. Acido periodico di Schiff (PAS) La reazione del PAS evidenzia la presenza di glicogeno nelle cellule. I precursori mieloidi presentano positività di tipo diffuso, crescente con la maturazione, mentre i monociti sono debolmente positivi. I precursori linfoidi presentano una positività di tipo granulare. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 18 Sudan nero B La reazione al sudan nero B colora i fosfolipidi nelle cellule. I precursori mieloidi presentano positività ad intensità crescente con la maturazione, mentre i precursori linfoidi sono negativi. Mieloperossidasi La mieloperossidasi è un enzima lisosomiale, presente nei granuli dei granulociti e dei monociti. Tra i precursori mieloidi, i mieloblasti sono negativi o debolmente positivi, mentre promielociti, mielociti e granulociti sono positivi alla colorazione. I precursori linfoidi sono negativi. Esterasi Alfa-naftil-acetato-esterasi (ANAE) – I precursori mieloidi granulocitari sono negativi, mentre i precursori monocitari ed i precursori linfoidi T risultano positivi. Cloroacetato-esterasi (CAE) – I precursori granulocitari risultano positivi alla colorazione, mentre i precursori monocitari sono negativi. Fofatasi acida La reazione colora fosfati inorganici con anelli aromatici. I precursori mieloidi presentano una positività di tipo diffuso, mentre i precursori linfoidi T una positività localizzata all’apparato del Golgi. Biopsia osteo-midollare (B.O.M.) La biopsia ossea consiste nel prelevare, mediante apposito ago, un campione di osso e midollo osseo, che viene poi trattato ed esaminato presso il Servizio di Anatomia Patologica. La biopsia ossea è di notevole utilità per valutare l'architettura e la cellularità midollare, ed è il mezzo migliore per evidenziare eventuali infiltrati midollari patologici. Separazione dell’emoglobina Le emoglobine possono essere separate mediante diverse metodiche, tra le quali elettroforesi e cromatografia. Elettroforesi dell’emoglobina L’elettroforesi dell’emoglobina è basata sulla differente velocità di migrazione delle molecole di emoglobina in un campo elettrico. Il principale metodo di separazione dell’emoglobina è l’elettroforesi su acetato di cellulosa in tampone alcalino (pH 8.6 – 8.8). L’elettroforesi in tampone acido (gel di agorosio, pH 6.2) è utile per per differenziare alcune emoglobine patologiche, in particolare HbS da HbD. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 19 Mobilità elettroforetica delle varianti emoglobiniche (acetato di cellulosa pH 8.8) - C E O A2 S A D Lepore J H + High Performance Liquid Chromatography (HPLC) HPLC consente di separare le proteine in base alla differente carica. Consente di separare e quantificare le emoglobine anormali. E’ una tecnica efficiente, dotata di elevata sensibilità. Citogenetica e biologia molecolare Citogenetica La citogenetica viene utilizzata in ematologia per studiare il cariotipo delle cellule neoplastiche. L’esame viene eseguito su cellule midollari ottenute mediante mieloaspirato oppure su cellule di sangue periferico nei pazienti che hanno cellule neoplastiche circolanti. Il campione può essere processato immediatamente (preparazione diretta) oppure messo in coltura per 24-72 ore; in alcuni laboratori vengono impiegate sostanze che sincronizzano le divisioni cellulari. Per preparare le cellule in metafase, il campione è esposto ad un inibitore mitotico (colchicina) per arrestare le cellule in mitosi, quindi ad una soluzione ipotonica per dilatare le cellule ed infine ad un fissativo. La sospensione cellulare viene quindi posta su vetrini per microscopia e colorata utilizzando tecniche di bandeggio cromosomico (la più utilizzata è trypsin-Giemsa). Aberrazioni cromosomiche e loro nomenclatura Il cariotipo viene descritto secondo l’International System for Human Cytogenetic Nomeclature (ISCN) (International System for Human Cytogenetic Nomeclature: Guidelines for Cancer Cytogenetics: Supplement to an International System for Human Cytogenetic Nomenclature VI, F. Mitelman, ed. Karger, Basel). Il numero totale dei cromosomi viene indicato per primo, seguito dai cromosomi del sesso; l’aggiunta o la perdita di interi cromosomi vengono indicate anteponendo “+” o “–“ al numero del cromosoma; l’aggiunta o la perdita di parti di cromosoma vengono identificate posponendo “+” o “–“ al numero del cromosoma; “p” e “q” rappresentano rispettivamente le braccia corte e lunghe del cromosoma. La traslocazione è indicata da “t” seguita dal numero dei cromosomi interessati tra parentesi, e dalle regioni di rottura in una seconda parentesi. La delezione viene identificata con “del”, l’inversione con “inv”, seguite dal numero del cromosoma e dalla regione cromosomica interessata tra parentesi; “i” è utilizzata per indicare un isocromosoma. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 20 Fluorescence in situ hybridization (FISH) Questa tecnica è basata sulla capacità di singoli filamenti di DNA di appaiarsi a filamenti con sequenza complementare. Essa prevede l’impiego di sonde nucleotidiche con sequenza complementare ai geni o ai riarrangiamenti da studiare; le sonde sono sintetizzate con nucleotidi marcati con biotina o digossigenina; la visualizzazione viene effettuata con avidina o con anticorpi anti-digossigenina coniugati con fluorocromi. La FISH può essere effettuata su campioni di sangue midollare o di sangue periferico nei pazienti con cellule neoplastiche circolanti e consente di studiare il DNA di cellule in interfase. E’ una tecnica rapida, efficiente, dotata di sensibilità e specificità più elevate della citogenetica convenzionale. Poylmerase Chain Reaction (PCR) La PCR è una tecnica che consente di amplificare selettivamente una sequenza nota di DNA (o della quale si conosce la sequenza delle regioni adiacenti), mediante l’uso di primers oligonucleotidici specifici. La reazione consiste in una serie di cicli, eseguiti da uno strumento in grado di variare ciclicamente la temperatura (termociclatore o thermal cycler); ogni ciclo è costituito da una fase di denaturazione del DNA, una fase di appaiamento dei primers, una fase di sintesi dei nuovi filamenti per estensione dei primers ad opera di una DNA polimerasi resistente alle alte temperature (purificata da un battere termofilo, Thermophilus acquaticus). Il risultato viene quindi visualizzato mediante elettroforesi su gel. In ambito ematologico la PCR ha notevole rilevanza diagnostica, in quanto consente di evidenziare con elevate sensibilità e specificità l’eventuale presenza di riarrangiamenti genici specifici di neolpasie ematologiche (es. bcr/abl nella leucemia mieloide cronica, pml/rar- nella leucemia acuta promielocitica, bcl2-IgH nei linfomi follicolari, etc.). Southern blotting Il Southern blotting è una tecnica che consiste nella corsa elettroforetica su gel di agarosio di DNA e successivo trasferimento da gel ad una membrana di nitrocellulosa. La visualizzazione viene effettuata mediante ibridazione con una sonda marcata con 32P o fluorocromi e complementare ad un tratto della sequenza di interesse. Northern blotting Il Northern blotting è una tecnica che consente la visualizzazione degli RNA mediante trasferimento, dopo corsa elettroforesi su gel di agarosio-formaldeide, ad una membrana di nitrocellulosa e successiva ibridazione con una sonda marcata con 32P o fluorocromi con sequenza complementare ad un tratto dell’RNA di interesse. Western blotting Il Western blotting è una tecnica che consiste nel trasferimento di proteine dopo corsa elettroforetica su gel di poliacrilamide ad una membrana. Per la visualizzazione vengono impiegati anticorpi specifici per le proteine di interesse. Citofluorimetria a flusso Principi della metodica La citometria a flusso valuta le cellule sulla base delle caratteristiche fisiche dei componenti cellulari e dell’espressione di antigeni di membrana o citoplasmatici. La metodica si basa sulla misurazione della fluorescenza e della dispersione luminosa delle cellule che scorrono attraverso un raggio laser monocromatico. Il laser può eccitare i 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 21 costituenti cellulari, inducendo l’emissione di luce a diverse lunghezze d’onda (autofluorescenza) oppure può eccitare vari fluorocromi (come la fluoresceina, FITC, la ficoeritrina, PE, o lo ioduro di propidio, PI). Coniugando questi fluorocromi con anticorpi monoclonali specifici per gli antigeni di interesse è possibile studiare l’intensità di espressione degli antigeni a livello citoplasmatico o di membrana. Antigeni CD: distribuzione sulle cellule del sistema emopoietico Popolazione cellulare Antigeni CD Cellula staminale emopoietica Precursori mieloidi CD34 CD33, CD13, CD15 Granulociti CD13, CD15 Monociti CD13, CD14, CD15 Precursori eritroidi CD36, CD71, Glicoforina A Eritrociti CD55, CD59, CD147, Glicoforina A Megacariociti CD41, CD61, CD151 Cellule B CD19, CD20, CD21, CD22 Cellule T CD2, CD3, CD5, CD7, CD4/CD8 Per la espressione degli antigeni CD da parte di cellule patologiche si rimanda alla trattazione delle singole patologie. Colture cellulari Principi della metodica Esistono vari metodi per studiare la proliferazione e la differenziazione dei progenitori emopoietici. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 22 Definizione e significato biologico delle colture di cellule emopoietiche LTC-IC cellule prossime alle cellule staminali emopoietiche capaci di generare in vitro colture a lungo termine CFU-GEMM cellula progenitrice umana più immatura capace di dar luogo a colonie contenenti granulociti, eritroblasti, macrofagi e megacariociti BFU-E progenitori eritroidi più immaturi, che danno origine a grosse colonie cellulari multicentriche CFU-E progenitori eritroidi più maturi CFU-GM progenitori granulocitari e macrofagici CFU-MK progenitori megacariocitari 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 23 3. Definizione e classificazione delle anemie Definizione Si definisce anemia la condizione caratterizzata da una concentrazione di emoglobina inferiore a 13 g/dl nel maschio adulto e a 12 g/dl nella donna adulta. Per i bambini e gli adolescenti i limiti inferiori degli intervalli di normalità variano nelle diverse fasce di età. Fisiopatologia La funzione principale degli eritrociti è il trasporto di ossigeno dai polmoni ai tessuti e di anidride carbonica in senso inverso. Il midollo osseo di un adulto normale rilascia ogni secondo nel sangue periferico circa 2,6 x 106 eritrociti; ovviamente, lo stesso numero di eritrociti senescenti viene fagocitato ogni secondo dalle cellule del sistema monocitomacrofagico. Il trasporto di ossigeno ai tessuti dipende dalla concentrazione di emoglobina, dalla saturazione in ossigeno dell’emoglobina (funzione della pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso), dalla portata cardiaca e dall’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno. In caso di ipossiemia si attivano meccanismi di compenso che consistono primariamente nell’aumento della portata cardiaca attraverso un aumento sia della frequenza cardiaca che della gittata sistolica, nella ridistribuzione del flusso ematico agli organi vitali (cuore, cervello) e nella diminuzione dell’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno attraverso un aumento del 2,3-DPG eritrocitario, che sposta la curva di dissociazione dell’emoglobina verso destra. Tali meccanismi sono tanto più efficienti quanto più lento è lo sviluppo dell’anemia, e viceversa. 100 Ossiemoglobina Saturazione dell’emoglobina per l’ossigeno (%) P50 Desossiemoglobina 0 0 pO2 tissutale (torr) 100 L’anemia può diventare sintomatica attraverso le manifestazioni dell’ipossia tissutale e dei meccanismi di compenso. I principali sintomi secondari alla riduzione della capacità di trasporto dell’ossigeno ai tessuti sono l’astenia, l’affaticabilità, la dispnea da sforzo. La palpitazione è il principale sintomo secondario a meccanismi di compenso. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 24 Il principale segno dell'anemia secondari alla riduzione della concentrazione di emoglobina è il pallore, mentre in segutioad attivazione dei meccanismi di compenso si possono osservare tachicardia ed un soffio cardiaco olosistolico. Nei pazienti che abbiano una concomitante malattia cardiovascolare le manifestazioni cliniche dell’anemia possono essere più gravi, e possono comprendere l’angina da sforzo, la claudicatio intermittens e lo scompenso cardiaco, talora ad alta portata. Il quadro clinico del paziente anemico è naturalmente caratterizzato oltre che da sintomi e segni dell’anemia, da sintomi e segni specifici della patologia di base (carenza di ferro, di vitamina B12, emorragia, emolisi, etc…). Classificazione delle anemie In base al meccanismo patogenetico, si possono distinguere quattro gruppi di anemie: le anemie iporpliferative, le anemie da eritropiesi inefficace, le anemie emolitiche e le anemie emorragiche. Anemie ipoproliferative Il meccanismo patogenetico risiede nella ridotta capacità proliferativa del midollo eritroide. Il quadro è caratterizzato da un conteggio reticolocitario inadeguato per il grado di anemia (< 2%) e da una bilirubina totale tendenzialmente bassa. Le condizioni cliniche responsabili di anemia ipoproliferativa possono essere sommariamente distinte in alterazioni primitive delle cellule staminali (aplasia midollare ed eritroblastopenia, emopatie clonali), in anemia mieloftisica (da infiltrazione midollare neoplastica), in anemie da diminuita produzione di eritropoietina (insufficienza renale cronica, anemia dell’infiammazione o delle malattie croniche, da malnutrizione), ed in anemie da ridotto apporto di ferro al midollo eritroide (carenza di ferro) (Tabella 1). Tabella 1 – Anemie ipoproliferative Alterazioni primitive delle cellule staminali: aplasia midollare e eritroblastopenia, emopatie clonali (EPN, sindromi mielodisplastiche); anemia mieloftisica (da infiltrazione midollare neoplastica); diminuita produzione di eritropoietina: insufficienza renale cronica, infiammazione o malattia cronica, malnutrizione; ridotto apporto di ferro al midollo eritroide: carenza di ferro. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 25 Anemie da eritropoiesi inefficace Le anemie da eritropoiesi inefficace sono dovute ad aumentata morte intramidollare degli eritroblasti. Sono caratterizzate da un conteggio reticolocitario inadeguato per il grado di anemia (< 2%) e da una bilirubina totale tendenzialmente aumentata. Si distinguono condizioni dovute ad alterazione della maturazione nucleare, le anemie megaloblastiche e le anemie diseritropoietiche congenite, e condizioni dovute ad alterazione della maturazione citoplasmatica, le sindromi talassemiche e le anemie sideroblastiche (Tabella 2). Tabella 2 – Anemie da eirtropoiesi inefficace Alterata maturazione nucleare: anemie megaloblastiche, anemie diseritropoietiche congenite; Alterata maturazione citoplasmatica: sindromi talassemiche; anemie sideroblastiche. Anemie emolitiche Le anemie emolitiche sono condizioni caratterizzate da una ridotta sopravvivenza in circolo degli eritrociti. Si osservano un conteggio reticolocitario adeguato per il grado di anemia ( 3%), ed una bilirubina totale aumentata. Dal punto di vista fisiopatologico si distinguono condizioni cliniche caratterizzate da emolisi extravascolare e condizioni dovute ad emolisi intravascolare. L’emolisi extravascolare è il meccanismo predominante nei disordini della membrana eritrocitaria, nelle emoglobinopatie, nei difetti enzimatici o metabolici eritrocitari, in alcune anemie emolitiche immunologiche, nell’ipersplenismo (Tabella 3). L’emolisi intravascolare è invece il meccanismo responsabile delle anemie da cause meccaniche, in corso di coagulazione intravascolare disseminata, di porpora trombotica trombocitopenica (sindrome emolitico uremica), in alcune malattie vascolari, nelle reazioni trasfusionali e nelle anemie emolitiche immunologiche con attivazione del complemento (Tabella 3). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 26 Tabella 3 – Anemie emolitiche Emolisi extravascolare: disordini della membrana eritrocitaria, emoglobinopatie, difetti enzimatici o metabolici eritrocitari, anemie emolitiche immuni, ipersplenismo; Frammentazione eritrocitaria e altre cause di emolisi intravascolare: cause meccaniche, coagulazione intravascolare disseminata, porpora trombotica trombocitopenica (sindrome emolitico uremica), malattie vascolari, reazione trasfusionale; meccanismi autoimmuni con attivazione del complemento. Anemia emorragica E’ una condizione dovuta ad una perdita di eritrociti dal circolo per emorragia. E’ caratterizzata da un conteggio reticolocitario tendenzialmente aumentato e da una bilirubina totale normale. Parametri di utilità clinica nella diagnosi di anemia e loro ambiti di riferimento Parametri Maschi Femmine Diagnosi di anemia Emoglobina (Hb), g/dL 13,0-17,0 12,0-16,0 Diagnosi differenziale di anemia Volume globulare medio (MCV), fL 80-100 Reticolociti 0,5-2% (20-100x109/L) N.B. Il numero di globuli rossi o eritrociti (RBC) è parametro di scarsa utilità diagnostica, talora fuorviante (numero normale o anche aumentato nelle anemie microcitiche). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 27 Classificazione delle anemie sulla base dell’MCV - Anemie microcitiche (MCV < 80 fL): - anemia da carenza di ferro, - sindromi talassemiche, - anemia delle malattie croniche (una parte); - anemie normocitiche (80 ≤ MCV ≤ 100 fL): - anemia delle malattie croniche (una parte), - anemia dell'insufficienza renale cronica, - anemie refrattarie (sindromi mielodisplastiche, la maggior parte), - anemia associata a malattia mieloproliferativa, - anemia associata a malattia linfoproliferativa, - anemia associata a gammopatia monoclonale, - anemia aplastica (compresa l'eritroblastopenia selettiva, una parte), - anemie emolitiche (la maggior parte), - anemia emorragica; - anemie macrocitiche (MCV > 100 fL): - anemie megaloblastiche (carenza di vitamina B12 o folati); - anemia aplastica (compresa l'eritroblastopenia selettiva, una parte); - anemie refrattarie (sindromi mielodisplastiche, una parte); - anemie emolitiche (una piccola parte). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 28 4. Aplasia midollare L'aplasia midollare, o anemia aplastica, è una condizione patologica caratterizzata da ipocellularità del midollo osseo emopoietico e citopenia mono-trilineare nel sangue periferico. Dal punto di vista epidemiologico l’aplasia midollare ha una incidenza di circa 1-2 casi/1.000.000 di persone/anno in Europa e nel Nord America, che equivale a 110-120 nuovi casi all’anno in Italia, mentre ha una incidenza sensibilmente superiore nel sud-est asiatico. Patogenesi Dal punto di vista patogenetico si possono distinguere forme ereditarie, come l’anemia di Fanconi e la discheratosi congenita, e forme acquisite, idiopatica, a patogenesi autoimmune, e secondarie a cause fisico/chimiche (radiazioni, farmaci, tossici) e virali (EBV, virus epatotropi non-A, non-B, non-C, HIV). Tabella 1 – Classificazione etiopatogenetica dell’aplasia midollare Forme congenite: con interessamento di tutte le serie maturative: o Anemia di Fanconi; o Discheratosi congenita; o Sindrome di Shwachman-Diamond; con interessamento selettivo della serie eritroide: Anemia di Blackfan-Diamond; Forme acquisite: con interessamento di tutte le serie maturative: aplasia midollare: o secondaria a cause fisico/chimiche (radiazioni, farmaci, agenti chimici); secondaria ad infezione virale (epatite non-A, non-B, non-C; EBV, HIV-1); o immunomediata (idiopatica); o con interessamento selettivo della serie eritroide: eritroblastopenia selettiva acquisita: o secondaria ad infezione virale (Parvovirus B19); immunomediata (timoma). o Molteplici evidenze cliniche e di laboratorio supportano l’ipotesi che la patogenesi della aplasia midollare “idiopatica” sia autoimmune. Le prime osservazioni state rappresentate da pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche che andavo incontro a rigetto, ma ricostituivano una emopoiesi normale, probabilmente grazie all’effetto immunosoppressivo del regime di condizionamento al trapianto. Queste osservazione preliminari sono state successivamente confermate da evidenze di laboratorio che dimostrano che i linfociti dei pazienti sono in grado di sopprimere in vitro la crescita di progenitori emopoietici del paziente stesso e di donatori sani. L’attivazione dei linfociti T citotossici è mediata da cellule TH1 con liberazione di interferone gamma, TNF alfa ed interleuchina 2. E’stato ipotizzato che, come in altri modelli di malattie autoimmuni, la reazione possa essere innescata da un evento infettivo (virale) attraverso meccanismi di mimetismo molecolare e antigenic spread. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 29 In un ridotto numero di casi l’aplasia midollare è secondaria a patologie virali note, come l’infezione da EBV (mononucleosi infettiva) e quadri di epatite non-A, non-B, non-C. In corso di infezione acuta da EBV il riscontro di aplasia midollare è raro e generalmente transitorio, mentre è più frequente e persistente in caso di infezione cronica attiva da EBV nei soggetti immunocompromessi. In circa 1-5% dei casi l’insorgenza dell’anemia aplastica è preceduta da un episodio di epatite acuta non-A, non-B, non-C. L’agente eziologico dell’epatite non è stato identificato. La pancitopenia insorge generalmente entro due mesi circa dall’epatite; alcune evidenze di laboratorio suggeruscono che la patogenesi possa essere immunomediata e questa ipotesi sembra confermata dalla responsività di queste forme alla terapia immunosoppressiva. La patogensi delle aplasie midollari secondaria a farmaci può essere mediata da un meccanismo diretto, come nel caso della chemioterapia o da una reazione “idiosincrasica”, probabilmente dovuta ad alterazioni nella via metabolica o a reazioni immunomediate al farmaco. Tra i farmaci di uso comune più frequentemente interessati vi sono alcuni antiinfiammatori non steroidei, furosemide, farmaci anti-tiroidei, allopurinolo. Circostanze della diagnosi Dal punto di vista clinico l’aplasia midollare si presenta con pancitopenia. Il quadro è pertanto caratterizzato da sintomi e segni secondari ad anemia, granulocitopenia, piastrinopenia. L’anemia è generalmente normo- o macrocitica, con reticolocitopenia. Quanto più gravi sono le alterazioni a carico delle cellule staminali, tanto più grave è la citopenia e quindi la prognosi, determinata soprattutto dal rischio di complicanze infettive secondarie alla granulocitopenia e dal rischio di complicanze emorragiche secondarie alla piastrinopenia. Si definisce aplasia midollare grave o severa la condizione in cui, accanto ad un midollo ipoplastico (cellularità inferiore al 25%), siano presenti almeno due delle seguenti tre condizioni: reticolociti inferiori a 1%, granulociti inferiori a 0.5x109/l, piastrine inferiori a 20x109/l. Quando i granulociti sono inferiori a 0,2 x 109/l, l'aplasia midollare si definisce molto grave. Esami di laboratorio Il corretto inquadramento del paziente con sospetta anemia aplastica prevede l’esame emocromocitometrico, che dimostrerà anemia normocitica associata a leucopenia con neutropenia e piastrinopenia (pancitopenia), ed il conteggio reticolocitario, che risulta inadeguato per il grado di anemia, seguiti da un mieloaspirato con analisi cromosomica ed immunofenotipo e da una biopsia osteomidollare, che dimostra una ipoplasia midollare con cellularità inferiore al 25%. Diagnosi differenziale L’aplasia midollare va posta in diagnosi differenziale con tutte le condizioni di pancitopenia. Queste possono essere distinte, dal punto di vista operativo, in pancitopenie con midollo osseo ipocellulare, che comprendono, oltre all’aplasia midollare, alcune sindromi mielodisplastiche, rare leucemie acute mieloidi, alcune leucemie acute 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 30 linfoblastiche, alcuni linfomi ad interessamento midollare, ed in pancitopenie con midollo osseo normocellulare, come la maggior parte delle sindromi mielodisplastiche, l’Emoglobinuria Parossistica Notturna (EPN), la mielofibrosi idiopatica, alcune leucemie e linfomi ad interessamento midollare, la mieloftisi, leucemia a cellule capellute (hairy cell leukemia). Bisogna infine considerare le pancitopenie secondarie a malattie sistemiche, in particolare a lupus eritematotus sistemico, ipersplenismo, carenza di vitamina B12 ed acido folico, alcool, brucellosi, sarcoidosi, tuberculosi, leishmaniosi. Terapia La terapia dell’aplasia midollare si avvale oltre che del supporto trasfusionale, della terapia immunosoppressiva, dell’uso di fattori di crescita emopoietici e del trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. La terapia immunosoppressiva comprende la globulina anti-timocitaria (ATG) e la ciclosporina A (CSA). L’uso della sola ATG consente di ottenere risposte in circa il 50% dei casi, mentre l’associazione di ATG e CSA aumenta la percentuale di risposta all’80% dopo un anno di trattamento. Attualmente la terapia immunosoppressiva trova indicazione nei pazienti di età superiore a 50 anni o nei soggetti < 50 anni che non dispongano di un donatore familiare HLA-identico. L’impiego di G-CSF consente di aumentare la percentuale di risposta dei neutrofili in corso di terapia immunosoppressiva senza tuttavia migliorare significativamente la sopravvivenza a lungo termine. I fattori di crescita possono essere impiegati nel trattamento delle forme refrattarie alla terapia immunosoppressiva, nelle quali si osserva un transitorio aumento del numero dei neutrofili, che non migliora significativamente la sopravvivenza. Nei pazienti di età inferiore a 55 anni con donatore compatibile familiare o unrelated, il trapianto alleogenico rappresenta un’opzione terapeutica potenzialmente guaritiva. Nei pazienti giovani (di età inferiore a 20 anni) con donatore familiare HLA-identico la sopravvivenza a lungo termine è superiore all’80%. Il limite della procedura è rappresentato dalla morbidità e dalla mortalità legata al trapianto (rigetto, infezioni, graftversus-host disease, veno-occlusive disease). Aplasie midollari ereditarie Anemia di Fanconi L’anemia di Fanconi è una condizione patologica ad ereditarietà autosomica recessiva caratterizzata da anomalie congenite, insufficienza midollare progressiva ed aumentata suscettibilità a neoplasie. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 31 Patogenesi Sono stati identificati 8 distinti gruppi di complementazione (A, B; C; D1, D2, E, F, G), il più frequente dei quali è costituito dal gruppo A, che comprende circa il 60% dei casi. Recentemente sono stati identificati diversi geni implicati, che interagiscono formando un complesso che regola l’ubiquitinazione di diverse proteine cellulari, coinvolte nel meccanismo di riparazione del DNA. Circostanze della diagnosi L’anemia di Fanconi ha una incidenza stimata di circa 0.5-1 caso/100.000 nati/anno. L’esordio clinico avviene prevalentemente entro la prima decade; circa il 10% è diagnosticato dopo i 14 anni. In circa due terzi dei casi i pazienti presentano anomalie a carico di altri organi o apparati come alterazioni della pigmentazione cutanea, difetti scheletrici, malformazioni genito-urinarie, gastrointestinali e cardiopolmonari. Il quadro clinico predominante è rappresentato dall’insufficienza midollare progressiva, che generalmente coinvolge la serie trombocitopoietica e quindi la serie eritroide e mieloide. I pazienti con anemia di Fanconi hanno un maggiore rischio di sviluppare neoplasie, sia a carico del sistema emopoietico (leucemia acuta mieloide e mielodisplasia), sia a carico di altri organo o apparati (fegato, apparato genito-urinario). Il decorso clinico è estremamente variabile, in funzione della presenza di anomalie congenite e della rapidità di progressione dell’insufficienza midollare. Nelle prime serie di pazienti riportate, la sopravvivenza era approssimativamente di 2-4 anni dall’esordio clinico. L’introduzione di strategie terapeutiche efficaci ha consentito di cambiare significativamente la storia naturale della malattia. Esami di laboratorio Il test diagnostico è basato sull’aumentata sensibilità delle cellule di anemia di Fanconi ad agenti chimici che inducono cross-linking del DNA, come il diepossibutano e la mitomicina C. L’esposizione dei linfociti a questi agenti induce un numero abnorme di rotture cromosomiche. Bisogna tuttavia rilevare che una piccola percentuale di pazienti non dimostra ipersensibilità agli agenti genotossici ed alcuni soggetti presentano un quadro di mosaicismo, dovuto alla presenza di due distinte popolazioni cellulari, una con ipersensibilità all’agente genotossico ed una resistente probabilmente per l’acquisizione di mutazioni somatiche che compensano il difetto. In questi casi il test può essere ripetuto per conferma su fibroblasti. L’identificazione dei difetti genetici implicati nella patogenesi della malattia, ha consentito recentemente di introdurre nella pratica clinica indagini genetiche più accurate. Terapia La terapia dell’anemia di Fanconi, inizialmente costituita dal solo supporto trasfusionale, è stata successivamente integrata dall’impiego di agenti stimolanti l’emopoiesi, e più recentemente dal trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Il primo trattamento utilizzato è stato quello con androgeni, che consente di ottenere un incremento dei livelli di emoglobina e che ha permesso di aumentare significativamente la sopravvivenza nei soggetti responsivi. Recentemente sono stati impiegati anche i fattori di crescita ricombinanti (G-CSF e GM-CSF). Il solo approccio terapeutico in gradi di modificare significativamente la storia naturale della malattia è il trapianto allogenico di ellule staminali emopoietiche. La procedura 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 32 consente di curare in modo ottimale l’insufficienza midollare e di prevenire la comparsa di emopatie maligne, ma è gravato da una elevata incidenza di secondi tumori a carico di organi ed apparati non emopoietici, con sopravvivenze globali intorno al 50%. Eritroblastopenia pura o aplasia eritroide selettiva (pure red cell aplasia, PRCA) L’eritroblastopenia selettiva acquisita è una condizione patologica caratterizzata da ridotta capacità di proliferazione e maturazione dei progenitori eritroidi (BFU-E e CFU-E), con eritroblastopenia selettiva nel midollo osseo e anemia isolata nel sangue periferico. Dal punto di vista patogenetico si distinguono principalmente forme a patogenesi immunomediata e forme a patogenesi virale. La PRCA è stata frequentemente descritta in associazione a timoma, patologie autoimmuni come il lupus eritematosus sistemico e l’artrite reumatoide, mononucleosi infettiva, diordini linfoproliferativi. Nel siero di questi pazienti sono stati dimostrati anticorpi IgG diretti contro gli eritroblasti e in alcuni casi contro l’eritropoietina, in grado di inibire in vivo ed in vitro l’eritropoiesi. L’associazione con il timoma segnalata inizialmente in oltre la metà edi casi, sembra essere in realtà meno frequente; in alcuni casi si può osservare regressione spontanea della eritroblastopenia dopo asportazione del timoma. Generalmente i pazienti rispondono alla terapia immunosoppressiva con steroidi, ciclosporina, ciclofosfamide, globulina anti-linfocitaria. Il trattamento della eventuale patologia associata può talvolta indurre come nel caso del timoma, remissione spontanea della PRCA. La seconda forma di eritroblastopenia selettiva acquisita è quella a patogenesi virale. Il virus più frequentemente coinvolto è il Parvovirus B19, che infetta selettivamente i precursori eritroidi utilizzando come recettore l’antigene P. Il virus è ubiquitario e circa il 90% della popolazione adulta risulta sieropositivo. L’infezione induce una aplasia transitoria della serie eritroide, che non si manifesta clinicamente nei soggetti normali, mentre determina una anemia severa (crisi aplastica) nei pazienti con condizioni emolitiche croniche, come la sferocitosi ereditaria e l’anemia a cellule falciformi. L’infezione generalmente è autolimitante; anemia particolarmente severa può necessitare di supporto trasfusionale. Individui immunocompromessi possono sviluppare una infezione cronica da Parvovirus B19 che si manifesta con PRCA cronica o, meno frequentemente, con pancitopenia. La diagnosi è basata sulla dimostrazione del DNA virale nel siero. La terapia può avvalersi di immunoglobuline ad alte dosi che contengono generalmente un elevato titolo anti-B19. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 33 5. Anemia da insufficienza renale cronica E’ una condizione patologica caratterizzata da anemia dovuta a ridotta produzione di eritropoietina in corso di insufficienza renale cronica. Alla patogenesi possono contribuire alcuni fattori secondari, quali la presenza in circolo di inibitori dell'eritropoiesi (poliamine e peptidi), l’iperparatiroidismo secondario, una ridotta sopravvivenza eritrocitaria e cause correlate alla dialisi (perdite di sangue, emolisi traumatica, intossicazione da Al). Circostanze della diagnosi La diagnosi di anemia da insufficienza renale cronica viene generalemente formulata in pazienti con diagnosi nota di insufficinza renale cronica, spesso in trattamento dialitico da tempo. Per valori di creatinina superiori a 3-5 mg/dL l’anemia diventa marcata (Hb < 8-9 g/dL). L’anemia è più severa nei pazienti che abbiano anche un diabete mellito, mentre è lieve o assente nei pazienti con rene policistico. Esami di laboratorio Gli accertamenti utili alla diagnosi consistono nell’esame emocromocitometrico, che dimostra anemia normocitica con conteggio reticolocitario inadeguato per il grado di anemia (< 2%) e leucociti e piastrine nella norma, e negli esami di funzionalità renale (creatininemia, azotemia, uricemia), che confermano l’insufficienza renale cronica. L’anemia da insufficienza renale cronica deve essere primariamente differenziata dall’anemia delle malattie croniche (anch’essa normocitica, nelle fasi iniziali). A tal fine sono utili la valutazione dello stato del ferro corporeo (sideremia, TIBC, ferritina sierica) e degli indici di fase acuta che risultano nella norma nei pazienti con insufficienza renale cronica (tabella 1). Tabella 1 - Diagnosi differenziale tra anemia delle malattie croniche e anemia da insufficienza renale cronica Anemia cronica da malattia Anemia da insufficienza renale cronica MCV, fL 80-90 80-100 Sideremia, µg/L < 60 60-150 TIBC 100-300 240-360 Ferritina sierica > 100 Ambito normale Indici fase acuta Aumentati Normali Creatinina sierica Normale Aumentata 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 34 Terapia La terapia di elezione dell’anemia da insufficienza renale cronica è la somministrazione di eritropoietina umana ricombinante, generalmente per via endivenosa. Il 95% dei pazienti, se trattati con dosi adeguate, rispondono, ottenendo un miglioramento della qualità di vita ed un prolungamento della sopravvivenza. Le principali complicanze in corso di trattamento con rHuEpo sono costituite da eventi trombotici dell'accesso vascolare, dall’aggravamento dell'ipertensione arteriosa con episodi di encefalopatia ipertensiva, e dallo sviluppo di aplasia eritroide pura. L’aplasia eritroide pura in pazienti trattati con eritropoietina è dovuta ad anticorpi antieritropoietina, che si possono sviluppare in qualunque momento del trattamento (3-67 mesi). Il sospetto diagnostico viene generalmente posto in pazienti con insufficienza renale cronica responsivi al trattamento con rHuEpo, che sviluppano anemia severa e diventano trasfusione-dipendenti. La diagnosi viene confermata dall’assenza quasi completa di reticolociti nel sangue periferico e di cellule eritroidi immature nel midollo osseo, con presenza di anticorpi antieritropoietina neutralizzanti. Il trattamento è basato sull’impiego di immunoglobuline ad alte dosi e corticosteroidi, ed 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 35 6. Anemia da malattia cronica Per anemia da malattia cronica o anemia dell’infiammazione si intende una condizione patologica, associata a processi infiammatori subacuti e cronici, caratterizzata da anemia e riduzione della sideremia con depositi corporei di ferro non depleti. Patogenesi Un ruolo essenziale nella patogenesi dell’anemia da malattia cronica è svolto dalle citochine infiammatorie, proteine solubili prodotte da cellule emopoietiche e non emopoietiche, che intervengono nella regolazione della risposta immune e nel controllo della risposta infiammatoria. Le citochine agiscono con meccanismo autocrino, paracrino, endocrino ed i loro effetti sono ridondanti e pleiotropici. Le citochine possono essere distinte in prima analisi sulla base dell’attività (e delle cellule che le producono) in citochine immunoregolatorie coinvolte nello sviluppo e nell’attivazione di linfociti e monociti (IL-2, IL-4, IL-10, IFN- , e TGF- ),citochine prodotte dai monociti/macrofagi in risposta ad agenti infettivi ad azione pro-infiammatoria (IL-1, TNF- , ed IL-6) ed infiammatoria (IL-8), e citochine che fungono da fattori di crescita per i progenitori ed i precursori dei granulociti e dei monociti (IL-3, IL-5, IL-7, GM-CSF, GCSF). In corso di processi infiammatori cronici, l’eccessiva produzione di citochine infiammatorie (interleuchina 1, tumor necrosis factor- , interleuchina 6) determina una serie di alterazioni del metabolismo del ferro, che comprendono un accumulo di ferro nelle cellule del sistema reticolo-endoteliale (con conseguente riduzione della sideremia ed aumento della ferritina) ed una riduzione dell’assorbimento intestinale. Queste alterazioni sono associate ad inibizione della secrezione di eritropoietina e dell’eritropoiesi (Figura 1). Viene inoltre aumentato il rilascio di G-CSF, con stimolo della mielopoiesi e conseguente leucocitosi neutrofila. L’iperproduzione di IL-6, che è un fattore di crescita e di differenziazione dei megacariociti induce piastrinosi. Figura 1 – Patogenesi dell’anemia associata a malattie infiammatorie croniche IL-1 TNF Epo IFN Erytroid progenitor cell 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 36 Il mediatore delle alterazioni del metabolismo del ferro è costituito dall’epcidina, una proteina di fase acuta ad azione antibatterica, sintetizzata principalmente dal fegato in risposta all’IL-6. Un’aumento della sintesi di epicidina comporta una ridotta espressione delle proteine di trasporto intestinali, con conseguente inibizione dell’assorbimento del ferro, una riduzione dell’espressione della ferroportina (proteina responsabile dell’escrezione del ferro) associata ad un aumento dell’espressione di ferritina nei macrofagi. Questo determina un “blocco” o “sequestro” del ferro nel sistema monocito-macrofagico, che si riflette in una riduzione della sideremia e della saturazione della transferrina, mentre la ferritina sierica, che è in equilibrio con la ferritina citoplasmatica (vedi cap. 8), è normale o aumentata ad indicare che che i depositi di ferro dell’organismo non sono depleti. Tra le cause più frequenti di anemia da malattia cronica, troviamo malattie infettive (infezioni polmonari, endocardite batterica subacuta, infezioni croniche delle vie urinarie, processi infettivi della pelvi, osteomieliti), malattie flogistiche non infettive (artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, polimialgia reumatica, sarcoidosi, febbre reumatica, enterite regionale), malattie neoplastiche (carcinomi, anche occulti, morbo di Hodgkin, linfomi non-Hodgkin) Circostanze della diagnosi Nella maggior parte dei casi (circa il 70% dei casi diagnosticati di anemia da malattia cronica), l’anemia dell’infiammazione è un rilevo clinico o laboratoristico effettuato in pazienti con una patologia infiammatoria nota. In questi casi il quadro clinico è generalmente dominato dai sintomi e segni della malattia di base, di cui l’anemia non modifica significativamente il decorso clinico. L’anemia da malattia cronica può, tuttavia, rappresentare (in circa il 30% dei casi) anche il primo segno di malattia in soggetti altrimenti asintomatici e con anamnesi negativa per malattia cronica. Tra le malattie infiammatorie croniche ad esordio subdolo e scarsamente sintomatico, troviamo soprattutto neoplasie occulte. È quindi assolutamente necessario, di fronte ad una diagnosi di anemia dell’infiammazione, giungere quanto prima alla diagnosi certa della malattia di base. Esami di laboratorio Gli esami di laboratorio che consentono di formulare la diagnosi di anemia delle malattie croniche comprendono l’esame emocromocitometrico con conteggio reticolocitario, la valutazione dello stato del ferro corporeo, e gli indici di fase acuta. L'anemia da malattia cronica è generalmente di grado lieve o moderato, normocromica normocitica in circa i tre quarti dei casi, e quasi sempre nelle fasi iniziali della malattia, mentre tende a diventare modicamente microcitica (MCV tra 75 e 80 fL) e ipocromica con il perdurare della condizione morbosa. Il conteggio reticolocitario è inadeguato al grado di anemia. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 37 La valutazione dello stato del ferro corporeo dimostra una sideremia inferiore a 60 µg/dL (ambito normale: 60-150 µg/dL), con TIBC compresa tra 100 e 300 µg/dL (ambito normale: 240-360 µg/dL), e ferritina sierica normale o aumentata (ambito normale: 15250 µg/L). Dal punto di vista operativo, in presenza di una sideremia ridotta, si può considerare indicativo di un blocco reticolo-endoteliale del ferro un valore di ferritina sierica superiore a 100 µg/L. Diagnosi differenziale L’anemia delle malattie croniche deve essere primariamente distinta dall’anemia da carenza di ferro sulla base della valutazione dello stato del ferro corporeo. Nell’anemia delle malattie croniche il quadro è caratterizzato da una sideremia ridotta (inferiore a 60 g/dL), con TIBC normale o ridotta (100-300 µg/dL) e ferritina sierica normale o aumentata (superiore a 100 µg/L). L’anemia da carenza di ferro è invece caratterizzata da sideremia ridotta (inferiore a 60 g/dL), con TIBC aumentata (superiore a 360 µg/dL) e ferritina sierica ridotta (inferiore a 10-15 µg/L). I casi di associazione fra anemia delle malattie croniche e carenza di ferro sono caratterizzati da microcitosi eritrocitaria netta (MCV inferiore a 75 fL), con sideremia ridotta e ferritina sierica pari compresa tra 10-15 e 100 g/L, generalmente 40-50 µg/L. In questi casi si osserva risposta parziale alla terapia marziale Terapia La terapia dell’anemia delle malattie croniche è costituita primariamente dal trattamento della malattia infiammatoria cronica, e, nei casi in cui è possibile ottenere la remissione del processo infiammatorio, si osserva risoluzione dell’anemia. In caso di anemia severa, o in presenza di patologie associate (per esempio nei soggetti cardiopatici) è possibile ricorrere alla terapia trasfusionale con globuli rossi concentrati. Recentemente è stato sperimentato l’uso dell’eritropoietina umana ricombinante, ottenendo risposte nel 40-50% dei casi. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 38 7. Anemia da carenza di ferro Il metabolismo del ferro nell’uomo La quantità totale di ferro presente nell’organismo (ferro corporeo) è pari a 3-5 g. Circa 1800 mg si trovano negli eritrociti circolanti, circa 3 mg nel plasma (transferrina), 300 mg nel midollo osseo, 600 mg nel sistema reticolo-endoteliale, 300 mg nel muscolo, 1000 mg nel fegato (Figura 1). Figura 1 – Turn-over del ferro nell’organismo. Midollo osseo Fegato Fe Sistema reticoloendoteliale La sede di assorbimento del ferro è il duodeno (Figura 2). Il ferro mediamente assorbito al giorno è circa 1-2 mg. Figura 2 – Meccanismi molecolari dell’assorbimento intestinale del ferro. Lume intestinale enterocito plasma DMT1 Tf HFE 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 39 Nel citoplasma cellulare il ferro è legato alla ferritina, una proteina di deposito, ubiquitaria. La proteina contiene fino a 4,000 Fe/mole. La ferritina è costituita da 24 subunità; è un ibrido citoplasmatico di due tipi di catene: H (cr 11) e L (cr 19). La catena H ha attività ferro-ossidasica; ci sono circa 20 (pseudo)geni della catena H su vari cromosomi. Alcuni potrebbero essere funzionali. Una piccola frazione della ferritina è secreta nel plasma (ferritina plasmatica o sierica). La ferritina sierica è in equilibrio con la ferritina citoplasmatica, rappresentando un indice attendibile dei depositi di ferro dell’organismo. La principale proteina di trasporto del ferro nel plasma è la transferrina, una glicoproteina a singola catena, con due siti di legame per il ferro, sintetizzata principalmente dal fegato. Negli epatociti, la sintesi della transferrina, così come quella della ferritina, è regolata con un meccanismo di tipo feed back negativo trascrizionale dal ferro citoplasmatico (Figura 3). Figura 3 - Meccanismo di regolazione intracellulare del metabolismo del ferro. scarce cellular iron ferritin mRNA 5' ORF results in high affinity IRP1 and less degradation of IRP2 TfR mRNA 5' 3' IRP1 ORF 3' IRP2 translation is inhibited stable mRNA and efficient translation Fe Fe 5' ORF 3' efficient translation of ferritin mRNA IRP1 IRP2 abundant cellular iron 5' ORF 3' TfR mRNA is degraded results in low affinity IRP1 and degradation of IRP2 La perdita media di ferro al giorno è pari a 1-2 mg. I principali meccanismi attraverso i quali avviene la perdita di ferro sono la desquamazione cellulare, le mestruazioni ed altre perdite ematiche. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 40 Parametri per la valutazione dello stato del ferro corporeo Una valutazione accurata dello stato del ferro corporeo può essere ottenuta determinando la concentrazione del ferro nel siero (sideremia), la concentrazione plasmatica della transferrina (transferrinemia) o della capacità totale legante il ferro (Total Iron Binding Capacity, TIBC), la saturazione della transferrina e la concentrazione della ferritina sierica. Gli intervalli di normalita di questi parametri sono indicati in tabella 1. Tabella 1 - Parametri per la valutazione dello stato del ferro corporeo ed intervalli di normalità. Parametro Intervallo di normalità Sideremia 60-150 µg/dL TIBC (Total Iron Binding Capacity) 240-360 µg/dL Saturazione della transferrina 15-50% Ferritina sierica M 15-250 g/L F 10-150 g/L Anemia da carenza di ferro Fisiopatologia L’anemia da carenza di ferro è il risultato di un processo, il primo passaggio del quale è rappresentato dala deplezione dei depositi di ferro, una condizione caratterizzata da ferritina sierica inferiore a 10 µg/L nella femmina o 15 µg/L nel maschio (Figura 4). In presenza di un ridotto apporto di ferro al midollo eritroide si instaura una condizione di eritropoiesi carente di ferro, caratterizzata da una sideremia inferiore a 60 µg/dL, una TIBC superiore a 360 µg/dL, una concentrazione emoglobinica compresa entro i limiti di normalità, con un volume globulare medio (MCV) di circa 80 fL (intervallo di normalità 8397 fL). Nel momento in cui la richiesta di ferro del midollo emopoietico non è più soddisfatta, si sviluppa l’anemia da carenza di ferro, caratterizzata da una concentrazione emoglobinica inferiore a 12 g/dL nella donna e 13 g/dL nell’uomo, MCV inferiore 80 fL, MCH inferiore a 27 pg (anemia microcitica e ipocromica), conteggio reticolocitario inadeguato al grado di anemia (inferiore al 2%), bilirubina da normale a ridotta (anemia di tipo ipoproliferativo), sideremia ridotta (inferiore a 60 µg/dL), TIBC elevata (superiore a 360 µg/dL) e ferritina sierica ridotta (inferiore a 10-15 µg/L). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 41 Figura 4 - Fasi di sviluppo la carenza di ferro. N D E A dep Hb (N =normale, D: deplezione dei depositi corporei, E = eritropoiesi carente di ferro, A = anemia da carenza di ferro, dep = depositi, Hb = emoglobina): Circostanze della diagnosi Il quadro clinico dell’anemia da carenza di ferro è caratterizzato da sintomi e segni dovuti all’anemia (astenia, affaticabilità, dispnea da sforzo, pallore, tachicardia) e da sintomi e segni da carenza di ferro, che comprendono una ridotta capacità lavorativa o scolastica, disturbi del comportamento (in particolare irritabilità), e, nelle condizioni più severe, perversioni del gusto (pica). La carenza di ferro provoca anche alterazioni della cute che appare secca e rugosa, degli annessi cutanei, (unghie incavate a vetrino d'orologio, coilonichia), e delle mucose, con ragadi agli angoli della bocca (stomatite angolare), glossite e disfagia (sindrome di Plummer-Vinson), pseudomembrane esofagee. La carenza di ferro può considerarsi una condizione parafisiologica in bambini e ragazzi, nei quali la rapidità della crescita determina un aumentato fabbisogno di ferro (ma non solo, anche di folati) e nelle donne in età feconda, nelle quali il ciclo mestruale induce con elevata frequenza una deplezione dei depositi di ferro. In questi casi, un’attenta anamnesi consentirà di valutare se sussista l’indicazione ad ulteriori indagini sulla causa di carenza di ferro, oppure se procedere direttamente con la terapia marziale, non trascurando di valutare attentamente la risposta al trattamento. La carenza di ferro è da considerarsi una condizione patologica in adulti/anziani, nei quali la causa più frequente è lo stillicidio cronico di sangue dal tubo digerente o dal dall’apparato genito-urinario. Le condizioni più frequentemente associate a stillicidio cronico di sangue dal tubo digerente, fisiologicamente inferiore a 1 mL al dì, ; sono la gastropatia emorragica da aspirina o altri farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), l’ernia iatale e/o esofagite da reflusso, le emorroidi, i diverticoli del colon, le neoplasie gastriche o del grosso intestino. Un’altra condizione da considerare come cause di carenza di ferro è rappresentata dal malassorbimento, ed in particolare dal morbo celiaco. Nei paesi in via di sviluppo un’importante concausa nello sviluppo della carenza di ferro è rappresentata dall'infestazione da elminti. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 42 Un quadro clinico particolare è la cosiddetta anemia factitia o sindrome di Lasthénje de Feriol (dal nome della protagonista del romanzo francese Une histoire sans nome). Questa sindrome colpisce donne relativamente giovani, svolgenti un'attività paramedica, soprattutto religiose, con disadattamento socio-affettivo e tendenza masochista, che praticano ripetuti autosalassi. Le modalità dei salassi - occulti - sono le più varie, spesso con profonde automutilazioni. Esami di laboratorio e strumentali Gli esami di laboratorio utili alla diagnosi di anemia da carenza di ferro sono l’esame emocromocitometrico, che dimostra anemia microcitica e ipocromica con contegio reticolocitario inadeguato al grado di anemia (inferiore al 2%), ed i parametri per la valutazione dello stato del ferro corporeo che dimostrano una sideremia ridotta (inferiore a 60 µg/dL), TIBC elevata (superiore a 360 µg/dL) e ferritina sierica ridotta (inferiore a 1015 µg/L). La bilirubina totale ed indiretta risultano nella norma. La ricerca di stillicidio cronico di sangue dal tratto gastrointestinale e dal tratto genito urinario prevede, come primo passagio la ricerca di sangue occulto nelle feci (positivo per perdite di 10-20mL al dì) ed un esame completo delle urine con valutazione microscopica o citometrica del sedimento urinario, da approfondire, in caso di positività, con gli opportuni esami strumentali. Diagnosi differenziale L’anemia da carenza di ferro va differenziata dalle altre condizioni di anemia microcitica, costituite essenzialmente dalle sindromi talassemiche e dall’anemia delle malattie croniche. In seconda istanza sono da considerare anemie rare (HbC, anemia sideroblastica congenita). La diagnosi differenziale con la talassemia e l’anemia delle malattie croniche è essenzialmente basata sulla valutazione dello stato del ferro corporeo (Tabella 2). Tabella 2 - Parametri per la valutazione del ferro corporeo nelle anemie microcitiche. Parametro Carenza di ferro Malattie croniche Talassemie (eterozigote) 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 43 emoglobina di circa 2 g/dL dopo 3-4 settimane di terapia può essere utilizzato come criterio di un’adeguata risposta terapeutica. Dopo la correzione dell’anemia, la terapia marziale deve essere continuata per repletare i depositi di ferro, fino ad ottenere una concentrazione di ferritina sierica superiore a 50 g/L, oppure empiricamente per 4-6 mesi. In circa il 10% dei casi, la terapia per via orale non è efficice, e si rende necessaria la somministrazione endovenosa. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 44 8. Anemie megaloblastiche Il metabolismo dell’acido folico e della vitamina B12 (cobalamina) Acido folico L’acido folico (acido pteroilmonoglutammico) è una molecola che funge da donatore di unità mono-carboniose nella sintesi di macromolecole biologiche: le purine (adenina e guanina), il deossitimidilato monofosfato (dTMP), la metionina (sintetizzata dall’omocisteina). Prodotto da vegetali e batteri, l’acido folico si trova nella frutta e nella verdura. L’assorbimento avviene prevalentemente a livello del digiuno e dell’ileo prossimale. Il principale organo di deposito è il fegato: le riserve corporee sono di 5-20 mg mentre il fabbisogno giornaliero minimo è di 50 µg, ma diviene considerevolmente più alto in molte condizioni fisiologiche e patologiche. Pertanto un deficitario apporto o un consumo eccessivo possono comportare carenza in pochi mesi. Vitamina B12 (cobalamina) La vitamina B12 è un complesso metallo-organico; è costituita da un anello corrinico, composto da 4 anelli pirrolici che legano un atomo di cobalto, e da un nucleotide, composto da una base (5,6-dimetilbenzimidazolo) legata mediante legame -glicosidico ad una molecola di riboso 3-fosfato. Le molecole attive sono la metil-cobalamina e l’adenosil-cobalamina. Agisce da cofattore nella sintesi della metionina dall’omocisteina, provocando, in caso di carenza, la cosiddetta “trappola dei folati”, che determina le alterazioni megaloblastiche, e nella sintesi del succinil CoA dal metilmalonil CoA, che determina le alterazioni neurologiche. La vitamina B12 è contenuta in carne, latte e latticini. Nello stomaco si lega ad una proteina, R-binder. Nel duodeno la proteina viene degradata e la vitamina B12 si lega al fattore intrinseco (FI), sintetizzato dalle cellule parietali dello stomaco. Nell’ileo la vitamina viene assorbita mentre il fattore intrinseco viene degradato. La cobalamina assorbita viene legata nel plasma dalla transcobalamina, una proteina sintetizzata principalmente nel fegato. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 45 Patogenesi Il midollo osseo emopoietico è attivamente proliferante. La proliferazione cellulare richiede la duplicazione del DNA: la sintesi di DNA può avvenire solo in presenza di concentrazioni adeguate di metaboliti attivi della vitamina B12 e dell’acido folico. La mancanza di questi metaboliti comporta la morte intramidollare degli eritroblasti, e quindi eritropoiesi inefficace e anemia. Comporta anche mielopoiesi e magacariocitopoiesi inefficace, che esitano in leucopenia e piastrinopenia (pancitopenia). Cause di carenza di acido folico Le cause di carenza di acido folico comprendono un insufficiente apporto alimentare, un aumentato fabbisogno, un alterato assorbimento intestinale, l’uso di farmaci antifolici ed errori metabolici congeniti (sindrome di Lesch-Nyhan). Una carenza di folati dovuta ad insufficiente apporto alimentare è di frequente riscontro negli etilisti (vino e birra contengono pochi folati e l’alcool interferisce con il metabolismo dei folati), negli anziani in condizione di disagio socio-economico, e nei tossicodipendenti con dieta sbilanciata. Un’aumentata richiesta di acido folico può determinarne carenza anche in condizioni fisiologiche come l’adolescenza, la gravidanza e l’allattamento (rischio di danni al midollo spinale del feto!). Un deficit di folati è di frequente riscontro in condizioni patologiche caratterizzate da elevato turn-over cellulare, come le anemie emolitiche croniche e la policitemia vera, e nei soggetti emodializzati. Una carenza di acido folico è di frequente riscontro in condizioni di alterato assorbimento intestinale, come nella sprue tropicale, la malattia celiaca dell'adulto, e nel prolungato uso di barbiturici e di difenil-idantoina. Alcuni farmaci agiscono interferendo con la via metabolica dei folati. Tra gli agenti più comunemente utilizzati, ricordiamo il thrimethoprim/sulfametossazolo, il methotrexate (antifolici), la 6-mercaptopurina, la 6-tioguanina (anaoghi delle purine), il 5-fluorouracile (analogo delle pirimidine), l’idrossiurea e la citarabina (inibitori della ribonucleotide reduttasi). Bisogna infine ricordare l’ossido nitroso (N2O), impiegato in anestesia, che determina la degradazione della metil-cobalamina, inducendo anemia megaloblastica acuta. Cause di carenza di vitamina B12: La carenza di vitamina B12 può essere dovuta ad un insufficiente apporto alimentare (raro, soltanto nei vegetariani stretti, i cosiddetti vegetaliani), ad un alterato assorbimento, e ad errori metabolici congeniti (sindrome di Imerslund-Gräsbeck). L’alterato assorbimento intestinale può essere causato dalla mancata produzione di fattore intrinseco, da un’alterazione della flora intestinale (eccessiva crescita batterica, infestazione da Botriocefalo), e da un alterato (sprue tropicale, malattia celiaca dell'adulto, enterite regionale). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 46 La mancata produzione di fattore intrinseco si può riscontrare dopo gastrectomia (soprattutto totale), e nell’anemia perniciosa, una malattia a patogenesi immunologica, frequente fra gli abitanti del Nord Europa e gli Afro-americani, che comporta progressiva atrofia della mucosa gastrica ed esordio clinico dopo i 60 anni. Quadro clinico Le manifestazioni cliniche delle anemie megaloblastiche comprendono sintomi e segni dell’anemia (pallore, affaticabilità, tachicardia, polso celere, soffi olosistolici puntali, cardiopalmo, dispnea da sforzo), frequentemente associate a manifestazioni gastrointestinali (megaloblastosi dell’epitelio intestinale), come glossite, anoressia, dispepsia, diarrea (particolarmente frequenti nella carenza di acido folico). Nella carenza di vitamina B12, il quadro è complicato da manifestazioni neurologiche dovute alla demielinizzazione, seguita da degenerazione assonale, dei cordoni posterolaterali del midollo spinale e dei nervi periferici (atassia, parestesie, etc.). Diagnosi Gli accertamenti diagnostici utili al corretto inquadramento del paziente con anemia megaloblastica prevedono l’esame emocromocitometrico, il conteggio reticolocitario, il dosaggio della bilirubina totale ed indiretta e dei livelli sierici di vitamina B12 sierica, folati sierici, omocisteina sierica. L’esame emocromocitometrico dimostra anemia macrocitica (nelle forme conclamate MCV 110 fL), con presenza di megaovalociti nello striscio di sangue periferico, tendenza alla, o presenza di leucopenia con ipersegementazione dei neutrofili, tendenza alla, o presenza di piastrinopenia (quindi pancitopenia nelle forme conclamate), ed il conteggio reticolocitario risulta inadeguato al grado di anemia. Gli esami ematochimici rivelano una bilirubina indiretta tendenzialmente aumentata (riflette il meccanismo patogenetico: eritropoiesi inefficace), così come la lattico deidrogenasi (LDH) sierica. I dosaggi sierici della vitamina B12 e dell’acido folico consentono di evidenziare il deficit del o dei composti (Tabella 1). Tabella 1 - Indagini di laboratorio utili per la diagnosi di carenza di vitamina B12 e folati Ambito normale Possibile carenza Carenza Vitamina B12 sierica (ng/L) > 200 100-200 < 100 Folati sierici (µg/lL) >4 3-4 <3 Omocisteina sierica (µmol/l) 5-15 15-25 > 25 2-7 <2 Test di Schilling (B12) > 7 (eliminazione urinaria, %) 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 47 Test di Schilling. Questo test valuta l’assorbimento della vitamina B12. Consiste nel somministrare vitamina B12 marcata per via orale, dosandone l’escrezione urinaria nelle 48 ore successive. Nel soggetto con ridotto assorbimento (es. anemia perniciosa) l’escrezione urinaria è significativamente inferiore rispetto al normale. Diagnosi differenziale Il riscontro di un’anemia con MCV superiore a 110 fl è altamente suggestivo di anemia megaloblastica. Queste, tuttavia, devono essere in ogni caso differenziate da tutte le condizioni caratterizzate da anemia macrociticha (MCV > 100 fl), ed in particolare dalle sindromi mielodisplastiche, dalle anemie aplastiche e dalle anemie emolitiche. Terapia La terapia dell’anemia megaloblastica si basa primariamente sulla somministrazione di acido folico e/o vitamina B12. L’acido folico viene somministrato alla dose di 5 mg al dì per os. A questo dosaggio è generalmente in grado di correggere il deficit anche nei soggetti con malassorbimento. La somministrazione di folati è in grado di correggere l’anemia anche nei pazienti con deficit di vitamina B12, senza tuttavia agire sulle manifestazioni neurologiche, che possono nel frattempo progredire drammaticamente. É quindi assolutamente necessario, in fase diagnostica, valutare sia il dosaggo di acido folico sia quello di vitamina B12. La vitamina B12 viene somministrata alla dose di 100-500 µg/die i.m. E’ anche disponibile una preparazione per os, utilizzabile nei soggetti con carenza dietetica. La risposta reticolocitaria si osserva generalmente in 3-5 giorni, mentre i livelli di emoglobina si normalizzano entro 1-2 mesi di trattamento. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 48 9. Sindromi talassemiche Sintesi delle catene globiniche I geni che codificano per le catene globiniche umane (embrionarie, fetali e dell’adulto) sono mappati sul cromosoma 11 e sul cromosoma 16. E’ da notare che sul cromosoma 16 esistono due geni alfa (Figura 1). Figura 1 – Mappatura dei geni delle catene globiniche sui cromosomi 11 e 16. Cromosoma 11 G A Cromosoma 16 La molecola di emoglobina è costituita da 4 catene globiniche (uguali a due a due), ciascuna delle quali lega un gruppo eme (quindi, ci sono 4 gruppi eme in una molecola di emoglobina) (Figura 2). Figura 2 – Struttura quaternaria dell’emoglobina. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 49 Nel corso della vita embrionale vengono sintetizzate le emoglobine Gower 1 ( ), Portland ( ), Gower 2 ( ). Le caterne e sono sostituite rapidamente dalla catena , che costituisce con la catena l’emoglobina fetale (Hb F) 2 A o G 2). Alla nascita l’eoglobina è costituita per il 75% da HbF e per il 25% da HbA ( 2 2). Nei primi sei mesi dopo la nascita la trascritzione del gene si riduce rapidamente (Figura 3). Nell’adulto la composizione emoglobinica normale è Hb A ( 2 2) in percentuale superiore al 97% del totale, Hb A2 ( 2 2) inferiore al 3% ed Hb F 2 2) inferiore all’1% del totale dell’emoglobina Figura 3 - Sintesi globinica a vari stadi dello sviluppo embrionario e fetale. Fegato 50 Sacco vitellino Midollo Milza 40 30 20 10 18 24 6 12 Vita intrauterina 30 6 Nascita 12 18 24 30 36 Periodo postanatale 42 48 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 50 Le sindromi talassemiche Le sindromi talassemiche sono disordini ereditari della sintesi della globina caratterizzate da microcitosi e ipocromia, nelle quali una lesione genica trasmessa come carattere ereditario comporta riduzione o abolizione completa della sintesi di una o più catene globiniche. La sintesi di emoglobina è deficitaria e si hanno alterazioni degli eritroblasti e degli eritrociti provocate dalle catene globiniche in eccesso, con conseguente eritropoiesi inefficace, da morte intramidollare degli eritroblasti, ed iperemolisi periferica. Alfa talassemie Le alfa talassemie sono sindromi talassemiche da deficitaria o assente sintesi di catene Sono ampiamente diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, in Africa, in Medio Oriente e nel Sud-Est Asiatico. Le forme 0 sono prevalentemente diffuse nel Sud-Est Asiatico e nel Mediterraneo, mentre sono rare in Africa ed in Medio Oriente (Figura 4). Figura 4 – Distribuzione della - talassemia nel mondo. 1-15% 5-15% 60% 5-40% + Thalassemia o Thalassemia 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 51 Patogenesi La maggior parte dei casi di alfa talassemie sono dovute a delezione di geni alfa (ereditata). Il termine + viene usato per definire un tipo di alfa talassemia nella quale un solo gene alfa è deleto su un singolo cromosoma 16 ( -) (Figura 5). Figura 5 – Patogenesi delle + talassemie + thal X Il termine 0 viene usato per definire un tipo di alfa talassemia nella quale entrambi i geni alfa di un cromosoma 16 sono deleti (--) (Figura 6). Figura 6 – Patogenesi delle 0 talassemie. 0 X thal X Esistono anche alfa talassemie da meccanismi diversi dalla delezione genica, ma sono rare. Vi soggetti che hanno 5 geni alfa, 3 dei quali mappati su un cromosoma, e che derivano da un crossing over ineguale (Figura 7). Figura 7 - Patogenesi delle + talassemie. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 52 Classificazione e quadro clinico delle -talassemie da delezione Tipo di -talassemia Genotipo Quadro clinico ed ematologico eterozigote --/ Soggetto asintomatico con Hb normale o lievemente ridotta (12-13 g/dL), microcitosi (MCV 70-80 fL), 510% Hb Bart's ( 4) alla nascita (sangue placentare e sangue del neonato) omozigote --/-- Idrope fetoplacentare: morte prematura del feto o morte perinatale (il feto ha solo Hb H, o 4, che ha un’elevata affinità per l’ossigeno e porta a grave ipossia tissutale) eterozigote - / Soggetto asintomatico, con Hb normale, MCV normale o ai limiti inferiori della norma (~ 80-85 fL); tracce di Hb Bart's (1-2%) alla nascita (sangue placentare e sangue del neonato) omozigote - /- Soggetto asintomatico con Hb normale o lievemente ridotta (12-13 g/dL), microcitosi (MCV 70-80 fL), 510% Hb Bart's ( 4) alla nascita (sangue placentare e sangue del neonato) o + talassemia talassemia Malattia con Hb H ( 4) Dall’interazione o/ + deriva la cosiddetta malattia con Hb H 4). Il genotipo è --/- ed esita in un quadro clinico di thalassemia intermedia, di variabile gravità (Hb 7-10 g/dL, MCV variabilmente ridotto, da 60 a 80 fL ), con splenomegalia. Vi è reticolocitosi, in quanto il meccanismo principale di anemia è l’emolisi periferica (le catene in eccesso precipitano e danneggiano gli eritrociti). All’elettroforesi dell’emoglobina si osserva Hb H in percentuale del 5-20% del totale. Diagnosi In generale la diagnosi di talassemia si articola su 3 livelli. Il primo consiste nel riconoscere una condizione di anemia microcitica ipocromica, o più semplicemente di microcitosi, attraverso un esame emocromocitometrico eseguito con un contatore elettronico. Il secondo consiste nell'escludere una carenza di ferro, attraverso una valutazione del ferro corporeo (sideremia, TIBC e ferritina sierica), ed una talassemia, attraverso l'elettroforesi dell'emoglobina. Se quest'ultima evidenzia Hb H 4) (nell'adulto) o Hb Bart's ( 4) (nel neonato), può già essere posta la diagnosi di talassemia. Il terzo livello é quello costituito dallo studio della sintesi delle catene globiniche in vitro (che 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 53 dimostra la ridotta sintesi di catene ) e dallo studio dei geni biologia molecolare (Southern blot, PCR). attraverso un approccio di Beta talassemie Le beta talassemie sono sindromi talassemiche da deficitaria o assente sintesi di catene Le -talassemie sono ampiamente diffuse nell’area Mediterranea, in Medio Oriente, in India e Pakistan, nel sud della Cina e nel Sud-Est Asiatico. Sono meno frequenti in Africa, ad eccezione del Nord-Africa (Figura 8). Figura 8 - Distribuzione della - talassemia nel mondo. 1-25% 15-30% 4-8% 1-3% 4-8% 1-3% 3-7% Thalassemia In Italia il difetto genetico ha una frequenza di circa 0,015: la prevalenza di eterozigoti è quindi del 3% circa. Le aree di maggiore incidenza sono rappresentate dal delta del Po, dalla Calabria, dalla Sicilia e dalla Sardegna (Figura 9). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 54 Figura 9 – Distribuzione geografica della - talassemia in Italia 0,985 0,015 0,985 0,9702 0,0148 0,015 0,0148 0,0002 Patogenesi Il termine o viene usato per definire un tipo di beta talassemia nella quale il gene non dà luogo a sintesi di catene beta.Il termine + viene usato per definire un tipo di beta talassemia nella quale il gene produce catene beta, anche se in misura ridotta (1020%). Il meccanismo patogenetico molecolare consiste in mutazioni puntiformi che comportano una ridotta o assente sintesi della globina beta. Ne esistono molte ed interessano diversi meccanismi dell’espressione genica e della sintesi proteica (tabella 1). Mutazioni puntiformi che comportano una ridotta trascrizione genica [flanking regions (promoter, ATA box)], alterano la regolazione dell'espressione genica e sono responsabili di + talassemie; tipica é la mutazione in posizione - 29 (ATA ATG) che comporta una talassemia clinicamente non grave dell’etnia africana nera. Mutazioni puntiformi che comportano un’alterata maturazione dell’mRNA: possono, ad esempio, interessare le cosidette consensus sequences ed interferire quindi con lo splicing impedendo la maturazione dell'mRNA; sono responsabili sia di o talassemie che di + talassemie, ma in generale di quest’ultime. Mutazioni che introducono un codone di stop della traduzione dell'RNA messaggero [Codoni di stop: UAA, UAG, UGA (uracile per timidina in RNA)] sono responsabili di o 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 55 talassemie; tipica é la mutazione in posizione 39 C T (CAG TAG) responsabile della o talassemia sarda, e più in generale mediterranea (la o talassemia più diffusa in Italia). Tabella 1 – Mutazioni identificate nei pazienti -talassemici nel bacino del Mediterraneo Mutazione Thal.Intermedia n (%) Thal.Major n (%) cd 39 C T 72 (24) 136 (53.5) IVS I-110 G A 52 (17) 58 (23) IVS I-6 T C 94 (31.5) 16 (6.3) IVS I-1 G T 8 (2.7) 19 (7.4) IVS II-1 G A 14 (4.7) 10 (3.9) IVS II-745 C G 11 (3.7) 9 (3.5) -101 C T 10 (3.3) --- cd 6 –A 10 (3.3) 3 (1.2) -87 C G 8 (2.7) --- Sicilian 13 (4.3) --- Lepore Boston 2 (0.7) --- IVS I-5 G A --- 1 (0.4) IVS I-5 G C 1 (0.3) --- IVS II-844 G C 1 (0.3) --- IVS I-2 T A 1 (0.3) --- cd 44 –C --- 1 (0.4) cd 8 –AA 1 (0.3) 1 (0.4) TOTALE 298 (100) 254 (100) Quadri clinici e circostanze della diagnosi Si possono distinguere diversi quadri clinici che correlano con il genotipo. I soggetti eterozigoti sono asintomatici, i soggetti omozigoti presentano un quadro di talassemia major o intermedia, mentre soggetti doppi eterozigoti o composti genetici presentano un quadro di talassemia major o intermedia. La talassemia major è caratterizzato da grave anemia (Hb minore di 6 g/dl), nella quale la sopravvivenza dipende da regolari trasfusioni di eritrociti. La talassemia intermedia è una condizione meno grave, con valori di Hb compresi fra 6 e 9 g/dl e occasionale fabbisogno di trasfusioni di eritrociti. Per talassemia minor si definisce una condizione con lieve anemia, con emoglobina generalmente compresa fra 9 e 12 g/dl, senza evidenti manifestazioni cliniche. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 56 La talassemia minima o trait talassemico è una condizione caratterizzata da valori di emoglobina normali, microcitosi eritrocitaria e alterazione della composizione emoglobinica. Con il termine di portatore silente si intende una condizione senza alcuna alterazioni degli eritrociti e dei parametri eritrocitari, ma con ridotta sintesi globinica in vitro e con lesione molecolare del gene beta. Trait talassemico Il trait talassemico è una condizione clinicamente silente, che viene diagnostica occasionalmente, sulla base di esami di controllo, eventualmente suggeriti da un’anamnesi familiare positiva, o eseguiti per altri accertamenti. La concentrazione emoglobinica è generalmente ai limiti inferiori della norma, che può essere associata ad un conteggio aumentato di globuli rossi, mentre sono presenti marcate microcitosi ed ipocromia. Un tipico emocromo di un soggetto beta talassemico eterozigote è, a titolo esemplificativo, riportato in tabella 2. Tabella 2 - Emocromo di un tipico beta talassemico eterozigote (portatore): Ambito di riferimento 13.0-17.0 Emoglobina (Hb), g/dL 13.0 Ematocrito (Hct), % 39.9 39-50 Eritrociti (RBC), 1012/L 6.13 4.3-5.9 Volume globulare medio (MCV), fL 65 80-100 Contenuto emoglobinico globulare medio (MCH), pg 21.2 27-32 Reticolociti (Retic), % oppure 109/L 1.2 74 0.5-2.0 20-100 Leucociti (WBC), 109/L 7.5 4-11 Piastrine (PLT), 109/L 240 100-400 La diagnosi è formulata sulla base del riscontro, all’elettroforesi dell’emoglobina, di una percentuale di HbA2 superiore al 3%. Il risultato dell’elettroforesi dell’emoglobina di un soggetto beta talassemico eterozigote è riportato a titolo esemplificativo in tabella 3. Tabella 3 – Esempio di elettroforesi dell’emoglobina in un soggetto eterozigote Hb A Hb A2 Hb F ) ) -talassemico 93.6% (v.n. > 97%) 5.5% (v.n. < 3%) 0.9% (v.n. < 1%) 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 57 -thalassemia major o morbo di Cooley Quadro clinico e circostanze della diagnosi La malattia diventa clinicamente manifesta fra i 6 ed i 18 mesi, quando si ha fisiologicamente lo switch globinico da catene a catene , e diventa quindi manifesto il difetto dei geni beta. Le manifestazioni cliniche della -talassemia major sono dovute sia alla grave anemia che all'espansione dell'attività eritropoietica, largamente inefficace, nel midollo osseo e in sedi extramidollari. Il bambino diventa inappetente, pallido ed itterico e la crescita rallenta. Se non viene trattato il paziente sviluppa splenomegalia, epatomegalia, deformazioni scheletriche per l’abnorme espansione del midollo eritroide e sindrome ipercatabolica. In epoca pre-trasfusionale (fino alla fine degli anni ’60) i pazienti presentavano ipostaturalismo e deformazioni scheletriche, e morivano nei primi 10 anni per varie complicanze (infezioni, complicanze cardiache). Nei primi 10-15 anni di regolare terapia trasfusionale (fino alla metà degli anni ‘80) i pazienti sviluppavano ipogonadismo ipogonadotropo e morte per scompenso cardiaco intorno ai 20 anni (complicanze del sovraccarico di ferro trasfusionale). Con una regolare terapia trasfusionale (Hb pre-trasfusionale intorno a 9-9.5 g/dL) e regolare terapia chelante del ferro (anni ‘90) l’aspettativa di vita è attualmente quasi normale. Esami di laboratorio L’esame emocromocitometrico dimostra grave anemia microcitica; la valutazione morfologica dello striscio di sangue periferico mostra la presenza di eritroblasti circolanti. Gli esami ematochimici evidenziano iperbilirubinemia indiretta. L’elettroforesi dell’emoglobina dimostra l’aumento dell’emoglobina A2 e dell’emoglobina F. Diagnosi prenatale Se entrambi i genitori sono portatori (25% di probabilità di avere un figlio con talassemia major) e si conoscono le alterzioni geniche dei geni beta, si può ricorrere alla diagnosi prenatale sul feto. Mediante amniocentesi o biopsia trofoblastica si può ottenere DNA da 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 58 200-250 mg di ferro, dopo trasfusione di 50-100 unità si sviluppa sovraccarico di ferro. Questo può essere prevenuto mediante somministrazioni sottocutanee quotidiane di desferrioxamina (infusione di 8-10 ore con apposita pompa): in tal modo il ferro viene escreto come ferrioxamina nelle urine nella bile. (DFO 40-60 mg/kg/die, infusione sottocutanea mediante, minimo di 5 infusioni alla settimana, con una compliance dell’86% a Pavia). La sola terapia in grado di guarire la malattia è rappresentata dal trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche da donatore familiare. È attualmente in fase sperimentale l’impiego di donatori non consanguinei e di cellule staminali da cordone ombelicale. Tra le terapie sperimentali in fase di studio , meritano di essere ricordati gli approcci finalizzati alla riattivazione della sintesi di emoglobina fetale, e la terapia genica. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 59 10. Anemie emolitiche: classificazione e valutazione di laboratorio Si definisce anemia emolitica una condizione patologica caratterizzata da anemia dovuta a ridotta sopravvivenza degli eritrociti nel sangue periferico. Dal punto di vista fisiopatologico, i reperti di laboratorio tipici dell'anemia emolitica sono rappresentati dall’iperbilirubinemia indiretta (non coniugata), associata all’aumento della lattico deidrogenasi (LDH), espressione della distruzione eritrocitaria e dalla reticolocitosi, espressione dell’aumentata attività eritropoietica midollare compensatoria: il conteggio reticolocitario è superiore al 3% e a 100 x 109/L nei casi di anemia emolitica conclamata. I reticolociti si riconoscono con la colorazione sopravitale con blu brillante di cresile o altro colorante (arancio di acridina), che evidenzia una sostanza reticolo-filamentosa (da cui il nome) costituita da RNA ribosomiale precipitato e aggregato (figura 1). Figura 1 – Morfologia degli eritroblasti e dei reticolociti Nei casi di anemia emolitica grave si possono osservare in circolo di eritroblasti, espressione di eritropoiesi molto espansa. Nel soggetto normale oltre il 90% degli eritrociti viene fagocitato dai macrofagi della milza, del fegato e del midollo osseo stesso (emolisi extravascolare). Una piccola frazione di eritrociti (< 10%) può fisiologicamente andare incontro a distruzione in circolo (emolisi intravascolare): l'emoglobina che si libera in circolo viene rimossa con diversi meccanismi. Si possono individuare due principali meccanismi di emolisi: l’emolisi intravascolare, e l’emolisi extravascolare. In corso di emolisi intravascolare l’emoglobina liberata nel plasma è instabile e viene rapidamente dissociata nei suoi dimeri, che vengono prontamente complessati dall'aptoglobina, una alfa-2-globulina presente nel plasma in elevata concentrazione. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 60 La lisi intravascolare di 10 ml di eritrociti (pari a circa lo 0,5% di tutta la massa eritrocitaria) è in grado di dare emoglobinemia di tale entità da conferire al plasma un colore debolmente rosa. Per essere certi che si tratti di emolisi intravascolare, il prelievo di sangue venoso va fatto con le dovute cautele. Il complesso emoglobina-aptoglobina viene rapidamente rimosso dal circolo ad opera degli epatociti, che processano l'emoglobina in modo analogo ai macrofagi (assenza di iperbilirubinemia).Poiché i metodi di dosaggio valutano l'aptoglobina libera, in caso di emolisi intravascolare la concentrazione di aptoglobina risulta ridotta o assente: i valori normali sono compresi tra 0.25 e 2.0 g/L. Una volta saturata la capacità di legame dell’aptoglobina, le molecole di emoglobina passano il filtro renale e vengono assorbite dalle cellule del tubulo renale prossimale, all’interno delle quali vengono catabolizzate; il ferro viene staccato e immagazzinato in molecole di ferritina e emosiderina. Siccome le cellule senescenti dell'epitelio tubulare passano nell’urina, la presenza di emosiderina al loro interno può essere rivelata mediante colorazione di Perls del sedimento urinario (emosiderinuria). Nell’emolisi intravascolare grave viene saturata anche la capacità di assorbimento tubulare (circa 1,5 mg/min, ovvero circa 5 g nelle 24 ore) e l'emoglobina compare in soluzione nell’urina del paziente (emoglobinuria). L’emolisi acuta intravascolare massiva può comportare comparsa di insufficienza renale acuta, per cui è importante monitorare in questi pazienti diuresi, peso specifico delle urine, azotemia e creatininemia. Classificazioni delle anemie emolitiche Si possono utlizzare diversi criteri di classificazione delle anemie emolitiche. In base al meccanismo patogenetico le anemie emolitiche si possono distinguere in anemie emolitiche da cause intraglobulari ed anemie emolitiche da cause extraglobulari (Tabella 1). In base all’ereditarietà le anemie emolitiche possono essere classificate in congenite ed acquisite. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 61 11. Disordini della membrana eritrocitaria La membrana eritrocitaria Funzioni La membrana eritrocitaria ha diverse funzioni che concorrono a rendere efficiente trasporto di ossigeno da parte dell'eritrocito: è una barriera che consente di mantenere all'interno del globulo rosso concentrazioni di ioni e di metaboliti molto diverse da quelle del plasma; contiene canali e meccanismi energetici di pompa per il flusso attivo di sodio, potassio, calcio e glutatione ossidato; consente di mantenere la forma a disco biconcavo e l'integrità strutturale dell'eritrocito. Struttura Nella membrana eritrocitaria si distinguono proteine intrinseche o integrali transmembrana: banda 3 e glicoforina, e proteine estrinseche: spectrina, actina, anchirina e banda 4.1 e 4.2 (figura 1). Le proteine estrinseche concorrono alla costituzione del citoscheletro, che ha un ruolo fondamentale nel mantenimento della forma a disco biconcavo e della elasticità (deformabilità) eritrocitaria. Figura 1 - Struttura della membrana eritrocitaria e del citoscheletro. Banda 3 Glicoforina-C Doppio strato Proteina 4.2 Spectrina - catena - catena Anchirina Proteina 4.1 Spectrina Actin 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 62 Lesioni molecolari dei geni delle proteine del citoscheletro sono responsabili di disordini ereditari caratterizzati da alterazioni morfologiche degli eritrociti e da iperemolisi, come la sferocitosi ereditaria, caratterizzata da difetti molecolari comportanti perdite di membrana eritrocitaria, sferocitosi, ridotta deformabilità eritrocitaria e iperemolisi; l'ellissocitosi ereditaria, dovuta a difetti molecolari che inducono ellissocitosi, ridotta deformabilità eritrocitaria e iperemolisi; la piropoichilocitosi ereditaria e la stomatocitosi ereditaria. Sferocitosi ereditaria Epidemiologia La sferocitosi ereditari ha un’incidenza di 1:1.000-5.000. Si trasmette in genere come carattere autosomico dominante, ma esistono anche forme recessive. Patogenesi Sono state identificate mutazioni a carico dei geni della spectrina, dell’anchirina e della banda 3: in tutti i casi c’è un deficit quantitativo di spectrina come risultato finale. Nel 50% dei casi si osserva una anchirina funzionalmente anomala, che non consente un normale assemblaggio del citoscheletro (forma comune, autosomica dominante). Nel 25% vi è una spectrina funzionalmente anomala, che non lega la proteina 4.1 (forma comune, autosomica dominante). Infine, nel 25% si rileva un deficit di banda 3. Le alterazioni della membrana eritrocitaria causano la perdita di parte di questa, con una conseguente riduzione del rapporto superficie-volume che determina la forma sferoidale del globulo rosso. Quadro clinico L’espressione clinica della sferocitosi ereditaria è molto variabile. In alcuni individui l’anemia è assente in quanto la distruzione dei globuli rossi è completamente compensata dall’incremento dell’attività eritropoietica; il solo sintomo è costituito dall’ittero associato alle alterazioni morfologiche eritrocitarie e ad un conteggio reticolocitario modestamente aumentato. La forma più tipica è caratterizzata da moderata anemia, ittero, splenomegalia. Occasionalmente la sferocitosi ereditaria può manifestarsi anche con grave ittero emolitico neonatale. Il decorso clinico può essere complicato da colelitiasi (in più del 50% dei soggetti), e da crisi aplastiche da parvovirus B19. In questo caso l’infezione può presentarsi in modo asintomatico o con sintomi influenzali o rash maculopapulare, ed induce eritroblastopenia e reticolocitopenia acute. Le crisi aplastiche devono essere differenziate da alterazioni megaloblastiche acute da carenza di folati (dovuta all’aumentata richiesta da parte dell’eritropoieisi iperplastica). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 63 Globulo rosso normale Sferocito M Diagnosi Gli esami di laboratorio utili alla diagnosi di sferocitosi ereditaria comprendono l’esame emocromocitometrico, che dimostra MCV ~ 80 fL, MCHC 35-38 g/dL e reticolocitosi, lo striscio di sangue periferico, che evidenzia la presenza di sferociti, gli esami ematochimici, che dimostrano iperbilirubinemia indiretta edil test della resistenza osmotica eritrocitaria, che dimostra riduzione della resistenza osmotica eritrocitaria, o, in altre, parole, aumento della fragilità osmotica (test: resitenza osmotica eritrocitaria, test di lisi al glicerolo). Terapia Nei pazienti con ittero importante, complicato da colelitiasi, anemia con crisi aplastiche, la terapia consiste nella splenectomia, che consente di aumentare la sopravvivenza eritrocitaria, di ridurre l’ittero e di correggere l’anemia nei casi in cui è presente. Dopo la splenectomia, specie nei bambini, sono particolarmente frequenti le infezioni, anche gravi, da batteri Gram-positivi capsulati. Nelle settimane precedenti l’intervento è opportuno procedere, presso il competente Ambulatorio dell’ASL locale, alle vaccinazioni antipneumococcica (vaccino Pneumo 23 Pasteur Merieux, 1 fl), contro Hemophilus influenzae (vaccino Acthib Pasteur Merieux, 1 fl) e contro meningococco (vaccino Mencevax Smith Kline Beecham, 1 fl). Inoltre, i bambini devono fare terapia antibiotica quotidiana con Fenospen, cpr da 1.000.000 U, 1 cpr la sera prima di coricarsi. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 64 Elissocitosi ereditaria L’ellissocitosi ereditaria è un disordine della membrana eritrocitaria caratterizzato dalla presenza di eritrociti allungati (elissociti) nel sangue periferico. Anche in questo caso la sindrome clinica può essere il risultato di diverse alterazioni delle proteine del citoscheletro eritrocitario. L'espressione clinica negli eterozigoti è variabile, in quanto ad una estremità troviamo pazienti con anemia e splenomegalia, mentre all'estremità 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 65 12. Deficit enzimatici eritrocitari Il metabolismo eritrocitario L’energia necessaria per mantenere la normale configurazione e deformabilità cellulare, ed il contenuto in acqua e cationi, viene essenzialmente prodotta sotto forma di ATP metabolizzando glucosio attraverso la glicolisi anaerobia (ciclo di Embden-Meyerhof) e il ciclo dei pentoso-fosfati (shunt degli esoso-monofosfati o glicolisi aerobia). Il 2,3-difosfoglicerato (2,3-DPG), principale fosfato eritrocitario e principale determinante della curva di dissociazione dell'ossigeno, viene prodotto nello shunt di RapoportLuebering della glicolisi: maggiore è il contenuto di 2,3-DPG degli eritrociti, più facilmente l'ossigeno viene ceduto dall'emoglobina. La membrana e l'emoglobina vengono protette dal danno ossidativo attraverso potere riducente prodotto da NADH, NADPH e glutatione ridotto. Deficit degli enzimi eritrocitari possono comportare diminuita produzione di ATP o di potere riducente, e quindi danno eritrocitario. Le principali anemie emolitiche da deficit enzimatici sono quelle da carenza di glucoso-6fosfato-deidrogenasi (G6PD), di piruvato chinasi, di pirimidin-5' nucleotidasi. Deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi Il deficit di G6PD interessa più di 200.000.000 di pazienti nel mondo. Il gene che codifica per la G6PD si trova sul cromosoma X. La forma allelica normale viene definita di tipo B. Circa il 20% dei neri africani hanno una variante A+, funzionalmente normale. Le due varianti patologiche più note sono G6PD A-, neri africani ed afroamericani, e G6PD Mediterranea. Quadro clinico La variante G6PD A- è responsabile di lieve emolisi cronica con crisi emolitiche acute (emolisi intravascolare) non gravi. La variante G6PD Mediterranea è responsabile di emolisi cronica con gravi crisi emolitiche intravascolari. La sindrome clinica più frequente è l'emolisi acuta intravascolare con emoglobinuria da stress ossidativo, sostenuto da: farmaci [sulfamidici, antimalarici (primachina), nitrofurantoina], tossine (fave/favismo), infezioni virali o batteriche, chetoacidosi diabetica. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 66 Diagnosi La diagnosi si basa sulla dimostrazione della ridotta attività enzimatica. Risultati falsamente negativi possono essere ottenuti se si esegue il test poco dopo la risoluzione di episodi acuti, dopo i quali si trovano in circolo globuli rossi giovani e reticolociti, ad elevata attività G6PD. Profilassi e terapia L’intervento primario in caso di deficit di G6PD Meditaerraneo consiste nell’evitare l’assunzione o nella immediata sospensione, delle sostanze ossidanti, e nel pronto trattamento delle infezioni intercorrenti. Nei casi di anemia severe e sintomatica, si può ricorrere alla trasfusione di globuli rossi concentrati. Deficit di piruvato chinasi E’ la più frequente anemia emolitica dovuta ad un difetto enzimatico della glicolisi anaerobia. L’anemia e l’ittero possono essere importanti e vi può essere sovraccarico di ferro secondario da aumentato assorbimento intestinale. La morfologia eritrocitaria è normale: la diagnosi viene sospettata sulla base del test dell'autoemolisi, che dimostra una aumentata emolisi spontanea, non corretta dall'aggiunta di glucosio. La diagnosi deve essere confermata dalla dimostrazione di una ridotta attività enzimatica. Deficit di pirimidin-5' nucleotidasi Una rara anemia emolitica da deficit enzimatico è quella da carenza di pirimidin-5' nucleotidasi: la peculiarità è la caratteristica punteggiatura basofila degli eritrociti dovuta a residui di RNA, che non viene normalmente degradato in seguito al deficit enzimatico. Poichè l’enzima viene anche inibito dal piombo, la punteggiatura basofila si osserva anche nell’intossicazione da piombo. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 67 13. Emoglobinopatie Definizione Le emoglobinopatie sono disordini ereditari dovuti a lesioni molecolari dei geni delle catene globiniche: le alterazioni molecolari delle proteine consistono in sostituzioni di uno o due aminoacidi, delezioni di aminoacidi, elongazione delle catene globiniche e variabili fusioni delle catene globiniche e . Patogenesi Le anomalie molecolari delle principali emoglobinopatie comprendono sostituzioni aminoacidiche singole, sostituzioni aminoacidiche doppie nella stessa catena globinica, delezioni aminoacidiche singole, delezioni aminoacidiche singole, fusione di catene globiniche (tabella 1). Tabella 1 - Anomalie molecolari delle principali emoglobinopatie Sostituzioni aminoacidiche singole: • Drepanocitosi o Hb S 6 Glu Val) • Emoglobina C ( 6 Glu Lys) • Emoglobina D-Punjab ( 121 Glu Gln) • Emoglobina E ( 26 Glu Lys) • Emoglobina O araba ( 121 Glu Lys) Sostituzioni aminoacidiche doppie nella stessa catena globinica: • Emoglobina C Harlem 6 Glu Val; 73 Asp Asn) Delezioni aminoacidiche singole: • Emoglobina Leiden 6 o 7 Glu 0) Delezioni aminoacidiche singole: • Emoglobina Constant Spring ( + 31C: 142 Stop Gly) Fusione di catene globiniche: • Kenia (1-81)- (86-146) Quadri clinici Le manifestazioni delle emoglobine S, C, D, E e O araba (caratteri autosomici recessivi) riguardano lo stato omozigote. Alcune varianti emoglobiniche vengono definite “instabili”, in quanto mostrano una ridotta solubilità o una elevata suscettiblità all’ossidanzione. Le emoglobine instabili sono 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 68 trasmesse come caratteri autosomici dominanti, e sono quindi clinicamente espresse allo stato eterozigote. La drepanocitosi (Hb S) è caratterizzata da emolisi cronica con crisi vaso-occlusive e patologia d’organo secondaria. Le emoglobine C, D e O sono caratterizzate da modesta anemia emolitica cronica, mentre l'emoglobina E presenta un quadro di marcata microcitosi (MCV 55-65 fl); la doppia eterozigosi con la thalassemia comporta un quadro di talassemia major o intermedia. Le emoglobine instabili sono caratterizzate da grave anemia emolitica non responsiva alla splenectomia (Hb Nottingham, Hb Indianapolis), anemia emolitica parzialmente responsiva alla splenectomia (Hb Köln, Hb S. Francisco, Hb Torino), modesta anemia emolitica cronica con crisi emolitiche acute (Hb Leiden, Hb Seattle, Hb Zürich), nessuna manifestazione ematologica (Hb J Rovigo, Hb Prato). Drepanocitosi o anemia a cellule falciformi Patogenesi L’alterazione molecolare consiste nella mutazione missense GAG GTG nel codone 6 del gene della globina con conseguente sostituzione dell’acido glutammico con la valina nella posizione 6 della catena polipeptidica della globina . L’emoglobina S (da sickle, falce) diventa insolubile a basse tensioni di ossigeno e tende a cristallizzare, provocando l’aspetto falciforme delle emazie (figura 1). Figura 1 - Morfologia degli eritrociti normali e falciformi. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 69 Correlazione genotipo/fenotipo della drepanocitosi Eterozigote 6S/ N (sickle cell trait). Asintomatico (raramente crisi dolorose). Es. emocromocitometrico normale; ~ 40% di Hb S (elettroforesi o HPLC). Omozigote 6S/ 6S (drepanocitosi o sickle cell anemia). Quadro clinico importante, ma variabile. Hb da 7 a 10 g/dL, MCV normale. Hb S > 90%, Hb A2, Hb F. Composto genetico 6S/ 0 (microdrepanocitosi). Quadro clinico di thalassemia intermedia con crisi vaso-occlusive. Hb da 7 a 10 g/dL, MCV 60-70 fL. Hb S > 90%, Hb A2, Hb F. Composto genetico 6S/ + (microdrepanocitosi). Quadro clinico di thalassemia minor con rare crisi vaso-occlusive. Hb da 9 a 12 g/dL. Hb S ~ 60%, Hb A 40%, Hb A2, Hb F. Quadro clinico Il quadro clinico della drepanocitosi è caratterizzato da anemia emolitica cronica con poche manifestazioni di anemia, nonostante valori di emoglobina oscillanti fra 7 e 10 g/dl, in quanto la capacità di cessione dell’ossigeno ai tessuti si mantiene buona per lo spostamento a destra della curva di dissociazione dell’emoglobina per l’ossigeno. La manifestazione clinica principale è rappresentata dalle crisi vaso-occlusive, o crisi falcemiche, con infarti tissutali e patologia d’organo secondaria (sindrome toracica acuta, necrosi ossea, infarti splenici con conseguente atrofia della milza, infarto cerebrale). Gli infarti tissutali sono spesso complicati da infezioni: tipiche sono le osteomieliti da Salmonella. La mortalità è elevata entro i 30 anni; i pazienti oltre i 30 anni tendono ad essere asintomatici. Le principali cause di mortalità precoce nei primi anni sono il sequestro splenico acuto, caratterizzato da febbre, ingrandimento rapido della milza, shock ipovolemico, la sepsi da pneumococco, le crisi aplastiche, prevalentemente da parvovirus B19, la sindrome toracica acuta, caratterizzata da dispnea, tosse, dolore toracico ed infiltrati polmonari alla radiografia del torace. La principale causa di morte successiva (6-14 anni) è rappresentata dalla vasculopatia cerebrale, con una mortalità dell’8% entro i 14 anni. Nel 70-80% dei casi l’evento cerebrovascolare è sostenuto da trombosi, mentre nel 20-30% dei casi la causa è emorragica. Nella patogenesi di questa complicanza sembra avere un ruolo rilevante l’ipossia notturna. Diagnosi La diagnosi è basata, oltre che sul quadro clinico-ematologico, sul test di falcizzazione (esposizione degli eritrociti del paziente ad una agente ossidante) e sull’elettroforesi dell’emoglobina. E’ possibile effettuare la diagnosi prenatale su DNA ottenuto da amniocentesi o biopsia dei villi coriali mediante l’uso di sonde specifiche. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 70 Terapia Semplici misure mediche che riducono significativamente la mortalità: la diagnosi precoce (prenatale o neonatale); arruolamento del paziente presso un centro per la cura della drepanocitosi e/o della talassemia; uso profilattico della penicillina deposito (penicillina deposito una volta al mese dall’età di 4 mesi all’età di 4 anni); vaccinazioni antipneumococco, anti-haemophilus ed anti-meningococco; trasfusioni regolari per la profilassi dell’ictus. Dopo il primo episodio di sequestro splenico acuto, è indicata la splenectomia. In caso di crisi aplastiche, la terapia è costituita dal supporto trasfusionale, mentre è in fase sperimentale il vaccino anti-parvovirus B19. La terapia della sindrome toracica acuta è basata sull’exanguinotrasfusione. I soggetti con sintomi e segni riferibili ad accidente cerebrovascolare devono essere immediatamente indagati con TC o RMN per chiarire la natura trombotica o emorragica dell’evento. Nei casi di trombosi (70-80%) la terapia indicata è l’exanguinotrasfusione, seguita da regolari trasfusioni, con l’obiettivo di mantenere il livello di HbS inferiore al 30%. Tra le nuove terapie, si annoverano il trapianto di cellule staminali allogeniche da donatore familiare, che rappresenta l’unica terapia in grado di guarire il paziente, e 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 71 14. Anemie emolitiche immunologiche Le anemie emolitiche immunologiche sono condizioni patologiche nelle quali la ridotta sopravvivenza degli eritrociti nel sangue periferico è dovuta ad una reazione immunologica diretta contro la membrana eritrocitaria. Classificazione Le anemie emolitiche immunologiche sono classificate in base al meccanismo patogenetico in anemie emolitiche da alloanticorpi (malattia emolitica del neonato, reazione emolitica trasfusionale), anemie emolitiche da autoanticorpi (da anticorpi caldi, anticorpi freddi, anticorpi bifasici), ed anemie emolitiche da farmaci. Esami di laboratorio Gli esami di laboratorio utili per il corretto inquadramento del paziente con anemia emolitica immunomediata comprendono gli indici di emolisi (iperbilirubinemia indiretta, aumento dell’LDH, conteggio reticolocitario adeguato per il grado di anemia), e gli indici di emolisi intravasale (riduzione dell’aptoglobina, emosiderinuria, emoglobinuria). L’esame più utile per evidenziare la patogenesi immunologica di un’anemia emolitica è il test di Coombs diretto ed indiretto (Figura 1). Il test di Coombs diretto svela, mediante l’impiego di anticorpi specifici, la presenza di anticorpi o frazioni del complemento adesi alla superficie del globulo rosso del paziente. Il test di Coombs indiretto svela, mediante l’impiego di eritrociti normali, la presenza di anticorpi antieritrocitari incompleti nel siero del paziente. Figura 1 – Test di Coombs diretto ed indiretto. Anticorpi anti-Ig TEST DI COOMBS DIRETTO Agglutinazione GR paziente Anticorpi anti-Ig TEST DI COOMBS INDIRETTO Agglutinazione Siero paziente GR normali 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 72 Anemie emolitiche da alloanticorpi Malattia emolitica del neonato La malattia emolitica del neonato è una condizione nella quale l’emivita degli eritrociti fetali è ridotta per l’ azione di anticorpi specifici della madre diretti contro antigeni fetali. Patogenesi Gli anticorpi materni possono essere diretti contro l’antigene D del sistema Rh del feto oppure contro gli antigeni A e B del sistema ABO o altri antigeni eritrocitari. L’anemia emolitica del neonato da anticorpi diretti contro l’antigene D del sistema Rh del feto si può instaurare in caso di madre Rh-negativa e feto Rh-positivo (padre Rhpositivo). Il contatto tra sangue materno e fetale può avvenire nel corso del I trimestre (3% dei casi), nel II trimestre (12% dei casi), nel III trimestre (45% dei casi) oppure alla nascita (65% dei casi). In seguito al contatto con gli eritrociti fetali la madre si immunizza contro l’antigene D del sistema Rh del feto producendo IgM e, dopo 6 mesi circa, IgG anti D nel 5-15% dei casi. Gli anticorpi IgM non superano la barriera feto-placentare e pertanto, anche in caso di contatto nel I trimestre, difficilmente si osserva l’emolisi degli eritrociti fetali nel corso della I gravidanza. Alla seconda gravidanza, invece, gli anticorpi IgG anti-D materni, in grado di superare la barriera feto-placentare, determinano emolisi degli eritrociti del feto Rhpositivi. La malattia emolitica può essere osservata più probabilmente nel corso della prima gravidanza nel caso in cui sia avvenuta una precedente immunizzazione della madre su base trasfusionale. L’anemia emolitica del neonato da anticorpi diretti contro l’antigene A e B del sistema ABO può essere osservata in caso di madre di gruppo 0 e feto A o B, mentre generalmente non si verifica in caso di madre di gruppo A o B. Questo avviene perché gli individui di gruppo 0, dopo contatto con antigeni A o B, formano anticorpi alloimmuni prevalentemente di tipo IgG, mentre i soggetti di gruppo A e B, dopo contatto rispettivamente con antigeni B e A, formano anticorpi alloimmuni di tipo IgM, anche dopo ripetuti contatti con l’antigene. Pertanto l’immunizzazione di madri di gruppo A o B rimane un fenomeno immunologico clinicamente silente, dal momento che gli anticorpi IgM non sono in grado di superare la barriera feto-placentare. Questo rende ragione del fatto che, nonostante la notevole frequenza dell’immunizzazione ABO materna, la frequenza di malattia emolitica sia bassa (0.5-1.5%). Considerando che le madri di gruppo 0 hanno anticorpi innati di classe IgM diretti contro gli antigeni A e B (per spiegazioni più dettagliate si rimanda al capitolo sui gruppi sanguigni), il contatto del sitema immunitario della madre con gli antigeni eritrocitari fetali induce lo switch di classe delle immunoglobuline, con produzione di IgG e conseguente comparsa di manifestazioni emolitiche, già nel corso della prima gravidanza. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 73 Circostanze della diagnosi Le manifestazioni cliniche sono estremamente variabili per momento della comparsa e severità della sintomatologia. Durante la vita intrauterina in caso di emolisi severa può comparire idrope fetale (25°-35°settimana di gestazione), caratterizzata da anemia grave, ipertensione portale (dovuta ad emopoiesi extramidollare epatica), insufficienza cardiovascolare, con morte intrauterina per malattia anasarcatica.Dopo la nascita, la malattia può presentarsi con il quadro dell’ittero grave del neonato caratterizzato, nei 24 primi giorni dopo la nascita, da anemia, ittero e sofferenza neurologica, dovuta alla tossicità della bilirubina indiretta, che supera la barriera emato-encefalica, con scomparsa del riflesso della suzione, convulsioni, insufficienza respiratoria. Nei casi più lievi la malattia si presenta con anemia ed ittero moderato. Esami di laboratorio Il sospetto clinico viene confermato mediante test di Coombs indiretto sul sangue materno, che dimostra la presenza di anticorpi diretti contro eritrociti del feto, e test di Coombs diretto sul sangue di cordone ombelicale, che evidenzia la presenza di anticorpi materni sulla superficie degli eritrociti fetali. Profilassi e terapia In caso di gravidanza con incompatibilità Rh è indicato praticare subito dopo il primo parto la profilassi dell’immunizzazione materna con immunoglobuline umane anti-D (100-300 g post-partum). In caso di passaggio di eritrociti fetali nel circolo materno, il legame delle immunoglobuline all’antigene D, previene la sensibilizzazione del sistema immunitario della madre. Questa procedura ha drasticamente ridotto l’incidenza di malattia emolitica da incompatibilità Rh. In caso di incompatibilità ABO l’immunoprofilassi non è invece attuabile. La terapia nel feto si avvale sulla somministrazione intravenosa o intraperitoneale di trasfusioni di globuli rossi. L’eventuale induzione del parto deve essere valutata in base all’età gestazionale ed alla risposta alle trasfusioni. La terapia nel neonato è basata sulla fototerapia, che ossida la bilirubina indiretta favorendone la coniugazione e l’escrezione epatica, sull’exanguino-trasfusione, che rimuove gli eritrociti del neonato (oltre alla bilirubina ed agli anticorpi materni nel siero) sostituendoli con eritrociti ABO compatibili ed Rh negativi, e sullo scambio plasmatico, che rimuove gli anticorpi materni dal plasma del neonato. Reazione emolitica trasfusionale La reazione emolitica trasfusionale si verifica per emolisi acuta degli eritrociti trasfusi o degli eritrociti del paziente, a causa dell’incompatibilità tra donatore e ricevente nell’ambito del sistema ABO. La reazione emolitica trasfusionale può verificarsi per trasfusione di globuli rossi incompatibili, che vengono emolizzati dagli anticorpi del ricevente, oppure per emolisi dei globuli rossi del ricevente di gruppo A, B o AB, da parte di anticorpi ad alto titolo presenti 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 74 Quadro clinico La severità del quadro clinico è variabile in funzione della quantità di sangue trasfusa e del tipo di autoanticorpo. Il quadro più tipico è caratterizzato dalla comparsa, dopo pochi minuti dall’inizio della trasfusione, di emolisi acuta associata a brividi, malessere, nausea, dolore lombare, ipotensione, shock ed insufficienza renale acuta. Terapia La terapia consiste nella sospensione immediata della trasfusione e nel trattamento dello shock. Anemie emolitiche da autoanticorpi Le anemie emolitiche autoimmuni possono essere distinte in forme idiopatiche, che costuitscono circa il 50% dei casi, ed in forme secondarie, che complicano il corso di altre patologie, in particolare di malattie linfoproliferative (leucemia linfatica cronica, linfomi Hodgkin e non-Hodgkin, mieloma e malattia di Waldenström), connettiviti sistemiche (lupus eritematoso sistemico, sclerodermia, artrite reumatoide), malattie infettive (mononucleosi infettiva, polmonite atipica primaria da mycoplasma pneumoniae), neoplasie (ovaio), malattie infiammatorie croniche (rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn). Patogenesi Gli autoanticorpi responsabili dell’emolisi possono essere classificati in base alle caratteristiche immunologiche in anticorpi caldi, anticorpi freddi (crioagglutinine), anticorpi bifasici (Tabella 1). Gli autoanticorpi caldi sono immunoglobuline di classe IgG, con una temperatura ottimale di legame con gli antigeni eritrocitari di 37° C. Sono responsabili dell’80-90% dei casi di anemia emolitica autoimmune. Questi anticorpi non sono in grado di attivare il complemento, ed inducono un’emolisi di tipo extravascolare, mediata dal sistema monocito-macrofagico del circolo splenico, attraverso i recettori per il frammento Fc delle IgG (citotossicità anticorpo-mediata). Gli autoanticorpi freddi sono immunoglobuline di classe IgM, con una temperatura ottimale di legame con l’antigene compresa tra 4°-34° C. Sono responsabili del 10-20% dei casi di anemia emolitica autoimmune, con un quadro clinico particolare, definito 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 75 Tabella 1 - Caratteristiche immunologiche degli autoanticorpi. Caratteristiche Autoanticorpi caldi Autoanticorpi freddi Anticorpi bifasici Classe della Ig IgG (IgM, IgA) IgM (IgA, IgG) IgG IgG1 (IgG2, IgG3) Clonalità della Ig poli poli-mono poli-mono Specificità antigenica anti-Rh anti-I/i anti-P Meccanismo di emolisi extravasale extra e intravasale intravasale Agglutinazione delle emazie rara presente presente °t di legame con GR 4°-34° 0°-20° Fissazione del complemento non comune comune comune (37°) Potere emolitico diretto scarso elevato elevato Test di Coombs diretto pos IgG pos C3 pos IgG e C3 37° (0°-40°) Anemie immunoemolitiche da farmaci In circa il 10% dei casi la reazione immunologica responsabile dell’emolisi è indotta da farmaci. Possono essere implicati antibiotici (penicilline, cefalosporine), antimalarici (chinidina), analgesici (diclofenac, tolmetin), antiparkinsoniani (levodopa), chemioterapici (teniposide, fludarabina, pentostatina), -metildopa. Sono stati individuati 4 distinti meccanismi associati a questi disordini. 1) Adesione del farmaco alla membrana eritrocitaria con legame ad alta affinità (penicilline, cefalosporine). Il farmaco è in grado di legarsi strettamente alle proteine della membrana eritrocitaria in quantità dose dipendente e può stimolare la produzione di un anticorpo IgG contro un aptene del farmaco, che sostengono un’anemia con decorso subacuto. 2) Adesione del farmaco alla membrana eritrocitaria con legame a bassa affinità (chinidina, rifampicina, amfotericina B, diclofenac). Il farmaco si lega debolmente alla membrana eritrocitaria, determinando la formazione di un anticorpo che stabilizza il legame membrana-farmaco e attiva la cascata complementare determinando una lisi 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 76 di alcune proteine plasmatiche con meccanismo non immunologico. L’anemia ha un decorso subacuto. Circostanze della diagnosi Anemia emolitica a decorso acuto Un’anemia emolitica autoimmune ad esordio acuto può complicare il decorso di una malattia nota, in particolare infezioni, più raramente di malattie linfoproliferative, neoplastiche, autoimmunitarie, oppure, nelle forme idiopatiche, comparire in pieno benessere. In entrambi i casi l’emolisi è sostenuta da autoanticorpi caldi ed è prevalentemente di tipo extravascolare. Il quadro clinico è caratterizzato da anemia, ittero, splenomegalia, febbre, malessere generale. L’esordio clinico acuto è caratteristico anche di alcune anemie emolitiche da farmaci (con legame a bassa affinità alla membrana eritrocitaria: chinidina, rifampicina, amfotericina B, diclofenac), nelle quali, tuttavia, si osserva un’emolisi di tipo intravasale. Un’attenta anamnesi farmacologica è in ogni caso indispensabile per un corretto inquadramento del paziente. Anemia emolitica a decorso subacuto L’anemia emolitica complica generalmente il decorso di una malattia nota, prevalentemente collagenopatie, linfomi, leucemia linfatica cronica, neoplasie, sarcoidosi, cirrosi epatica. Il quadro clinico può essere asintomatico ed è caratterizzato principalmente dai segni dell’emolisi cronica. Nel decorso della malattia, tuttavia, si possono osservare fasi di riacutizzazione di intensità variabile, con sintomatologia sovrapponibile alle forme acute. L’esordio clinico subacuto è caratteristico anche della maggior parte dei casi di anemie emolitiche da farmaci. Occorrerà pertanto valutare con particolare attenzione l’anamnesi farmacologica. In alcuni casi l’anemia emolitica può essere associata a piastrinopenia autoimmune: questo quadro è denominato Sindrome di Evans. Anemia emolitica da autoanticorpi freddi: malattia da crioagglutinine La malattia da crioagglutinine è generalmente associata a infezioni (da mycoplasma pneumoniae o EBV) o malattie linfoproliferative. L’esordio è generalmente sub-acuto o cronico. Le manifestazioni cliniche sono strettamente correlate all’esposizione al freddo, quindi più frequenti nei mesi invernali, e sono caratterizzate da cianosi delle parti distali fino alla necrosi ischemica (segni di agglutinazione e precipitazione dei globuli rossi), e da segni clinici e biochimici di emolisi, di intensità variabile. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 77 Anemia emolitica da autoanticorpi bifasici: emoglobinuria parossistica a frigore Si possono distinguere una forma primitiva ed una forma secondaria, associata a sifilide terziaria o, più frequentemente, a malattie virali del bambino (mononucleosi infettiva, parotite, rosolia, varicella). In seguito ad esposizione al freddo, si osserva la comparsa di emolisi associata a brividi, cefalea, dolori addominali, emoglobinuria. Il decorso è generalmente acuto, con remissione spontanea, in particolare nelle forme post-infettive del bambino e dell’adolescente. Esami di laboratorio Il sospetto clinico è confermato dalla positività degli indici di emolisi (iperbilirubinemia indiretta, aumento dell’LDH, reticolocitosi), dalla eventuale positività degli indici di emolisi intravascolare (riduzione dell’aptoglobina, emosiderinuria, emoglobinuria) (malattia da crioagglutinine, emoglobinuria parossitica a frigore, farmaci con legame alla maembrana eritrocitaria a bassa affinità), e dalla positività del test di Coombs. Nella malattia da crioagglutinine, il dosaggio degli autoanticorpi freddi si effettua a 4° e l’agglutinazione degli eritrociti è prontamente reversibile riscaldando la miscela a 40°C. Il test di Coombs diretto risulta positivo per il complemento. Nelle anemie emolitiche da farmaci, il test di Coombs diretto non risulta sempre positivo, mentre per osservare la positività del test di Coombs indiretto, nei casi di farmaci che aderiscono alla membrana eritrocitaria con legami ad alta affinità (penicilline, cefalosporine) ed a bassa affinità (chinidina, rifampicina, amfotericina B, diclofenac), è necessaria la presenza del farmaco nella miscela di reazione. Terapia La terapia delle anemie emolitiche autoimmuni idiopatiche prevede l’impiego di farmaci immunosoppressivi. Il farmaco immunosoppressore di prima linea è il prednisone. Nei pazienti che non rispondono ai corticosteroidi si può ricorrere ad altri afrmaci immunosoppressivi come azatioprina, ciclofosfamide, ciclosporina. In caso di mancata 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 78 15. Emoglobinuria parossistica notturna L’emoglobinuria parossistica notturna (EPN) è un disordine clonale della cellula staminale emopoietica, caratterizzato da anemia emolitica cronica prevalentemente di tipo intravascolare, frequentemente associata a leucopenia e piastrinopenia. Occasionalmente si hanno episodi emolitici notturni accompagnati da emoglobinuria mattutina, cui si deve il nome della malattia. Epidemiologia Pur essendo descritti casi nella prima e seconda decade di vita, la malattia si manifesta piú frequentemente nella terza e quarta decade; sono anche descritti casi diagnosticati oltre i settanta anni. Le femmine sono lievemente piú colpite dei maschi. Vi è una associazione significativa dell’EPN con l’anemia aplastica, la quale puo` sia precedere la diagnosi di EPN, sia rappresentarne l’evoluzione. Non sono mai stati descritti casi famigliari della malattia. Patogenesi In tutti i pazienti con EPN è dimostrabile una mutazione somatica del gene PIG-A (Phosphatidyl Inositol Glycan complementation group A), mappato sul cromosoma X. Si tratta prevalentemente di mutazioni puntiformi, distribuite lungo tutti i sei esoni da cui è costituito il gene. Il gene PIG-A codifica per un enzima che catalizza la prima reazione della biosintesi della molecola di glicosil fosfatidilinositolo (GPI), che funge da ancora per numerose proteine della superficie cellulare. La mutazione porta ad una inattivazione completa o parziale del gene e di conseguenza ad una mancata od alterata sintesi dell’ancora di GPI. A sua volta, l’assenza dell’ancora di GPI determina anche l’assenza di tutte le proteine GPI-legate sulle cellule derivate dalla cellula staminale emopoietica in cui la mutazione e’ occorsa ed in tutta la sua progenie (Tabella 1). Va segnalato che in alcuni pazienti sono state descritte due mutazioni diverse di PIG-A interessanti due diverse cellule staminali. Tabella 1 – Proteine di membrana ridotte o assenti sulla superficie delle cellule EPN. Proteine di inibizione del complemento: 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 79 presenti nel sangue periferico e nel midollo dei pazienti con EPN, e perché nei pazienti con EPN siano presenti due popolazioni di cellule emopoietiche, una normale, policlonale, ed una priva di proteine GPI-legate, monoclonale, derivata dalla cellula staminale mutata. La proporzione delle due popolazioni cellulari (quella normale e quella, o quelle, mutate) è variabile da paziente a paziente e, nel corso della malattia, puo` variare anche nello stesso paziente. L’assenza di alcune proteine GPI-legate, specificamente il DAF (CD55) ed il MIRL (CD59), dalla superficie dei globuli rossi è causa di una aumentata sensibilità degli stessi all’azione litica del complemento: l’entitá dell’emolisi dipende dal numero di emazie carenti di CD55 e CD59 e dall’entità di tale carenza. Infatti, a seconda del tipo di mutazione di PIG-A, è possibile che la sintesi dell’ancora GPI sia totale oppure parziale: nel primo caso le emazie derivate dalla cellula staminale mutata sono completamente prive di proteine GPI-legate (cosiddette cellule EPN tipo III) mentre nel secondo hanno una modesta quota residua di tali proteine (cellule EPN tipo II; le emazie normali sono di tipo I). Se la scoperta del difetto molecolare ha permesso di comprendere i meccanismi alla base di alcuni sintomi della malattia, segnatamente la causa dell’emolisi, essa non spiega perchè la cellula staminale in cui insorge la mutazione si espanda e dia origine ad una popolazione cellulare che spesso contribuisce all’emopoiesi del paziente in maniera consistente. Una possibile ipotesi è che la perdita di una o piú proteine GPI-legate conferisca alla cellula staminale mutata un vantaggio proliferativo intrinseco sulle altre cellule staminali normali. Tuttavia, la recente dimostrazione della presenza di cloni EPN nel sangue periferico di persone normali, sembra suggerire che l’acquisizione della mtazione non sia sufficiente per svluppare la malattia. Piú verosimilmente, è possibile che un difetto a carico dell’emopoiesi normale, e che risparmia invece il clone EPN, sia necessario affinchè la cellula staminale mutata riesca ad espandersi e ad avere la meglio sulle altre cellule staminali normali. La significativa associazione dell’EPN con l’anemia aplastica, unitamente ad evidenze sperimentali, ottenute in modelli animali sembrano dimostrare che l’evento che conferisce un vantaggio proliferativo al clone EPN sia lo sviluppo di aplasia midollare su base autoimmunitaria. E’ stato ipotizzato che l’antigene self contro il quale è diretta la reazione autoimmune sia una proteina ancorata mediante GPI, oppure, alternativamente, che le cellule con deficit di GPI non espongano le molecole di costimolazione, necessarie ad attivare la reazione autoimmunitaria. In ogni caso, la cellula staminale con la mutazione, in queste condizioni, sarebbe in grado di espandersi e di ricostituire l’emopoiesi. Nel caso in cui il clone EPN sia in grado di ricostituire completamente l’emopoiesi, il quadro clinico è caratterizzato essenzialmente da un’anemia emolitica intravascolare (la cosiddetta EPN florida). Nel caso in cui la ricostituzione dell’emopoiesi sia soltanto parziale il quadro potrà essere caratterizzato da anemia emolitica associata a leucopenia e piastrinopenia (pancitopenia) lievi (EPN ipoplastica), da pancitopenia moderata (quadro di aplasia midollare / EPN) o pancitopenia severa (aplasia midollare con clone EPN). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 80 Circostanze della diagnosi Il quadro clinico più tipico è caratterizzato da un’anemia emolitica, con o senza emoglobinuria, associata, in circa due terzi dei casi, a leucopenia e piastrinopenia, di grado variabile. Nel corso della malattia non è infrequente l’insorgenza di carenza di ferro, che viene perso nelle urine come emosiderinuria ed emoglobinuria (reperti tipici dell’emolisi intravascolare), e di carenza di acido folico, il cui consumo è incrementato a causa della aumentata eritropoiesi compensatoria. In circa il 20% dei pazienti il decorso clinico è complicato da eventi trombotici (pur in presenza di piastrinopenia), probabilmente dovuti ad una attivazione piastrinica complemento-mediata. I distretti più tipicamente interessati sono le vene epatiche (sindrome di Budd-Chiari), le vene addominali, le vene ed i seni cerebrali, le vene del derma. Le trombosi arteriose sono rare. La trombosi può anche essere il primo segno di presentazione della malattia: in caso di interessamento dei distretti vascolari suddetti, che non sono tra le sedi più frequentemente interessate da eventi trombotici nella popolazione generale, l’emoglobinuria parossistica nottura deve essere sospettata ed indagata. Nel caso di presentazione con anemia isolata, l’EPN deve essere posta in diagnosi differenziale con le anemie emolitiche, ed in particolare quelle caratterizzate da emolisi intravascolare. In caso di presentazione con pancitopenia l’EPN dovrà essere differenziata in particolare dalla ipoplasia/aplasia midollare, e dalle sindromi mielodisplastiche. Decorso e prognosi La malattia ha un decorso estremamente variabile, con una sopravvivenza mediana di circa 10-15 anni. Sono segnalati casi di remissione spontanea. Le cause di morte più frequenti sono le complicanze trombotiche, e l’insufficienza midollare, che predispone a complicanze infettive ed emorragiche. Diagnosi La diagnosi di EPN viene sospettata sulla base del quadro clinico, delle alterazioni dell’esame emocromocitometrico (anemia normocitica, leucopenia, piastrinopenia), della positività degli indici di emolisi (iperbilirubinemia indiretta, aumento dell’LDH, reticolocitosi), e degli indici di emolisi intravascolare (riduzione dell’aptoglobina, emosiderinuria, emoglobinuria). Tradizionalmente la diagnosi veniva confermata mediante il test di Ham, che consiste nell’induzione della lisi delle emazie per attivazione del complemento dopo acidificazione del siero (pH 6.2), e che è sostanzialmente specifico per EPN.Attualmente la diagnosi viene confermata mediante analisi citofluorimetrica di un campione di sangue periferico incubato con anticorpi marcati e diretti contro proteine GPI-legate. Gli anticorpi piú usati sono quelli diretti contro il CD59 ed il CD55. L’analisi evidenzia la assenza di queste proteine dalla superficie di una parte 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 81 rappresentano una misura piú precisa e costante dell’entità del clone EPN rispetto ai globuli rossi, la cui quantità è influenzata dal grado di emolisi al momento dell’analisi. Terapia Il trattamento dell’EPN deve essere strettamente dipendente dal quadro clinico del paziente. Le linee generali della terapia prevedono la correzione dell’anemia, il trattamento e la prevenzione delle complicanze trombotiche, e la modificazione dell’emopoiesi. La correzione dell’anemia si basa sull’interruzione dell’attivazione del complemento mediante l’impiego di corticosteroidi, sulla somministrazione di ferro ed acido folico, le cui carenze possono aggravare l’anemia, e sull’eventuale terapia trasfusionale con globuli rossi concentrati. In caso di complicanza trombotica deve essere immediatamente iniziato un trattamento con agenti trombolitici (streptochinasi, urochinasi), eparina sodica endovena (il cui dosaggio viene modulato in base all’aPTT) oppure eparina a basso peso molecolare sottocute (dosata sul peso corporeo), e dicumarinici (con dosaggio modulato sulla base del tempo di Quick, INR). Dopo la risoluzione dell’episodio acuto, il trattamento con dicumarinici deve essere mantenuto per almeno 6 mesi. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 82 16. Anemia emorragica E’ una condizione nella quale l’anemia è dovuta a perdita di eritrociti per emorragia interna o esterna. Fisiopatologia L’anemia emorragica è caratterizzata dal punto di vista fisiopatologico dalla perdita di globuli rossi circolanti e dalla contemporanea riduzione del volume circolante (ipovolemia). Questo significa che l’anemia risulterà evidente soltanto dopo correzione, che generalmente avviene per intervento terapeutico, dell’ipovolemia. Nel caso in cui , dopo arresto dell’emorragia, non si proceda a correzione terapeutica della volemia, l’ematocrito si riduce progressivamente per 2-3 giorni: una perdita del 20% di volume plasmatico viene, infatti, generalmente corretta dall’organismo in 20-60 ore. La risposta eritropoietica è invece più lenta: l’aumento dei reticolociti si osserva entro 6-12 ore, ma la produzione di globuli rossi maturi richiede 2-5 giorni. Circostanze della diagnosi Per quanto tutte le emorragie possano determinare l’insorgenza di anemia, le evenienze cliniche più frequenti, nell’ambito di un reparto medico o chirugico, sono la rottura di varici esofagee in pazienti con epatopatia cronica ed ipertensione portale o il sanguinamento da neoplasia gastrointestinale. Nell’ambito del pronto soccorso, le condizioni più frequentemente responsabili di anemia emorragica sono la rottura di milza con emoperitoneo, l’emotorace e la frattura di femore. Il quadro clinico dell’anemia emorragica è dominato da sintomi e segni legati all’ipovolemia (ipotensione ortostatica, tachicardia, oligo-anuria, sincope, shock), ai quali, dopo correzione terapeutica della volemia, possono subentrare i sintomi e segni dovuti all’anemia (astenia, affaticabilità, pallore cutaneo-mucoso, dispnea da sforzo, persitenza della tachicardia). La severità del quadro clinico dell’anemia emorragica dipende primariamente dall’entità della perdita ematica. In caso di perdita ematica inferiore al 20% del volume sanguigno (< 1000 mL in un soggetto di 70 kg), l’anemia è generalmente tollerata e scarsamente sintomatica nei soggetti giovani, mentre può diventare sintomatica nei soggetti anziani o con patologie associate. In seguito a perdita ematica pari al 20-30% del volume sanguigno (1000-1500 mL in un soggetto di 70 kg) alcuni individui possono presentare una reazione vaso-vagale (sensazione di debolezza, sudorazione, nausea, bradicardia, ipotensione) fino allo svenimento e, talora, alla sincope. Nei soggetti giovani l’anemia è tollerata a riposo ed in decubito supino, mentre diventa sintomatica in caso di aumentato consumo di ossigeno (tachicardia e dispnea da sforzo). Nei soggetti anziani o con patologie associate, l’anemia è invece marcatamente sintomatica. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 83 Una perdita ematica pari al 30-40% del volume sanguigno (1500-2000 mL in un soggetto di 70 kg) è associata ad importante sintomatologia da ipovolemia con dispnea, cardiopalmo e tachicardia a riposo, evidenti segni di ridistribuzione dei flussi sanguigni da stimolazione adrenergica (in particolare, cute pallida e fredda) e contrazione della diuresi (da ipersecrezione di ADH), sincope in posizione ortostatica. In caso di perdita ematica superiore al 40% del volume sanguigno (> 2000 mL in un soggetto di 70 kg), si instaura una condizione di shock con grave dispnea, acidosi lattica da inadeguata ossigenazione tissutale, spesso con stato confusionale ed rischio elevato di morte per shock irreversibile. Esami di laboratorio Il sospetto clinico di anemia emorragica deve essere supportato da un esame emocromocitometrico con conteggio reticolocitario. É inoltre utile la valutazione degli indici di emolisi (bilirubina totale ed indiretta, LDH), per una corretta diagnosi differenziale. É fondamentale considerare, nell’interpretazione dell’esame emocromocitometrico, che il primo esame non riflette la gravità dell’anemia: perché questo avvenga è necessario correggere prima l’ipovolemia. Terapia La terapia dell’anemia emorragica si basa sull’arresto dell’emorragia, sulla correzione rapida dell’ipovolemia e prevenzione dello shock, e sulla terapia trasfusionale, con sangue intero, che contiene sia globuli rossi, utili alla correzione dell’anemia, sia plasma, utile alla correzione dell’ipovolemia, oppure con globuli rossi concentrati. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 84 17. Emocromatosi L’emocromatosi è una patologia caratterizzta dall’aumento del contenuto di ferro dei depositi corporei (fegato, sistema reticoloendoteliale, etc.) che causa conseguenze patologiche. Il contenuto di ferro dei depositi corporei nei soggetti normali raggiunge valori fino a 30 mg/kg di peso. Manifestazioni cliniche dovute ad un sovraccarico di ferro compaiono oltre i 100 mg/kg di peso; diventano gravi oltre i 200 mg/kg. L’emocromatosi può esssere classificata in primaria (o genetica) e secondaria. (tabella 1) Tabella 1. Classificazione dell’Emocromatosi Emocromatosi genetica Emocromatosi genetica classica (HFE hemochromatosis, type 1) Emocromatosi genetica giovanile (Juvenile Hemochromatosis, type 2) a) Chromosome 1q-linked (Hemojuvelin gene [HFE2, HJV] mutation) b) Anomalie dell’ Epcidina (Hepcidin gene [HAMP] mutation) Difetto del recettore della transferrina-2 (Transferrin-receptor-2 deficiency, type 3) Difetto della Ferroportina (Ferroportin deficiency, type 4) Emocromatosi secondaria Disordini ereditari (anemie congenite con sovraccarico di ferro) Talassemia Deficit di piruvato chinasi Deficit di G6PDH Anemie diseritropoietiche congenite Sferocitosi ereditaria Disordini acquisiti Anemia sideroblastica congenita Sindromi mielodisplastiche Anemie con fabbisogno trasfusionale cronico Emocromatosi genetica classica (HFE hemochromatosis, type 1) Patogenesi Il gene mutato nei pazienti con emocromatosi genetica classica è HFE (che mappa sul braccio corto del cromosoma 6) (Feder JN, Gnirke A, Thomas W, et al. A novel MHC class I-like gene is mutated in patients with hereditary haemochromatosis. Nature Genet 1996; 13:399). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 85 Il gene HFE è strettamente legato agli antigeni HLA, ed è spesso associato all’aplotipo A3, B7 o B14. La frequenza dell’antigene HLA-A3 nella popolazione generale è circa 28%, nei pazienti con emocromatosi è 70%. La frequenza di HLA B7 è del 23% nella popolazione genrale e del 50% nei pazienti con emocromatosi. Il gene HFE codifica per una proteina espressa sulle superficie cellulare come etreodimero con la 2-microglobulina. Essa lega il recettore della transferrina, riducendone la sua affinità per la transferrina, che regola criticamente la quantità di ferro internalizzato nel citosol a costituire il pool labile. La perdita di funzione della proetina HFE determina una riduzione del ferro del pool labile ed una conseguente iperespressione delle proteine che promuovono l’assorbimento del ferro (DMT1, figura 1). gut DMT1 enterocyte plasma Fe3+ Tf Ferroportin1 Cp Fe2+ HFE Erythroid activity (?) Sono state individuate due mutazioni missense a carico di HFE: G845A: Cys-282 Tyr (C282Y) C187G: His-63 Asp (H63D) L’emocomatosi genetica classica viene ereditata come carattere autosomico recessivo. I soggetti eterozigoti non hanno espressioni cliniche di sovraccarico di ferro, che si evidenziano invece nei soggetti omozigoti (o doppi eterozigoti). La frequenza dell’allele C282Y HFE è 0.05: la frequenza degli eterozigoti è 0.095, la frequenza degli omozigoti risulta pari 0.0025. La frequenza dell’allele H63D HFE è 0.15: la frequenza degli eterozigoti è 0.255, la frequenza degli omozigoti 0.0225. I casi di emocromatosi genetica nella popolazioni di origine scandinava in oltre il 90% dei casi hanno genotipo C282Y/C282Y; in circa il 5-6% dei casi sono doppi eterozigoti C282Y/H63D. Nelle popolazioni mediterranee l’ omozigosi C282Y è responsabile del 5065% dei casi, mentre la doppia eterozigosi C282Y/H63D di circa il 5-10%. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 86 Quadro clinico Le manifestazioni cliniche di sovraccarico di ferro compaiono nei maschi, nella vita adulta, soprattutto nella 5^ decade (nelle donne, protette dal sovraccarico di ferro dalla peridta fisiologica con il mestruo, le manifestazioni sono generalmente piu’ ritardate): colorito bronzino della cute; epatopatia cronica con elevato rischio di evoluzione in cirrosi ed epatocarcinoma; diabete mellito; ipogonadismo ipogonadotropo; artropatia; cardiopatia (scompenso cardiaco). Diagnosi Il corretto inquadramento del paziente con sovraccario di ferro prevede: valutazione dello stato del ferro corporeo, che dimostra: - sideremia aumentata; - TIBC ridotta (e quindi aumentata saturazione della transferrina): - ferritina sierica aumentata. ricerca delle mutazioni C282Y/H63D del gene HFE biopsia epatica Terapia Gli obiettivi della terapia per il sovraccarico di ferro sono la riduzione ed il mantenimento del ferro corporeo nei limiti di normalità. Il salasso è il trattamento di scelta dell’emocromatosi ereditaria. La terapia in pazienti con alterazioni concomitanti dei livelli di emoglobina si avvale di farmaci ferrochelanti (desferioxamina). Emocromatosi genetica giovanile (Juvenile Hemochromatosis, type 2) Patogenesi Esistono due forme di emocromatosi genetica giovanile, distinte dal punto di vista molecolare. La prima forma è determinata da mutazioni a livello di un gene che mappa sul cromosoma 1q21. Tale gene è stato recentemente identificato e denominato HFE2 (Papanikolaou G, Samuels ME, Ludwig EH, MacDonald ML, et al. Mutations in HFE2 cause iron overload in chromosome 1q-linked juvenile hemochromatosis.Nat Genet. 2004;36:77-82). Il prodotto proteico che deriva dalla trascrizione di tale gene è stato denominato Hemojuvelin (emogiuvelina). L’ espressione di tale proteina è ristretta a fegato, cuore, muscolo scheletrico e la sua funzione, anche se non completamente 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 87 della proteina si traducono in una diminuzione dei livelli di epcidina, suggerendo che HFE2 agisce come modulatore dell’espressione di epcidina. La seconda forma è caratterizzata dal punto di vista molecolare da mutazioni del gene HAMP dell’epcidina, che ne determinano una ridotta espressione/perdita di funzione. In entrambe le forme di emocromatosi giovanile, la diminuzione dei livelli di epicidina comporta una aumentata espressione delle proteine di trasporto intestinali, con conseguente aumento dell’assorbimento del ferro ed una aumentata espressione della ferroportina (proteina responsabile dell’escrezione del ferro) associata ad una diminuzione dell’espressione di ferritina nei macrofagi (figura 2). Figura 2. Emoscrimatosi e livelli di espressione di epcidina JH* HH** Sovraccarico di ferro corporeo severo Sovraccarico di ferro corporeo moderato Espressione di epcidina Assorbimento intestinale di ferro Rilascio di ferro dai macrofagi Fenotipo *= emocromatosi giovanile **=emocromatosi genetica classica L’entità dell’qumento dell’assorbimento intestinale di ferro nell’emocromatosi giovanile è maggiore rispetto all’emocromatosi genetica classica, esitando dal punto di vistra clinico nell’espressione piu’ precoe dei danni organci da sovraccarico di ferro (generalmente entro le prime due decadi di vita). Natural history of juvenile genetic hemochromatosis Hypogonadotropic hypogonadism 0 10 Cardiac failure 20 30 yr 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 88 Emocromatosi secondarie All’interno di questa categoria si distinguono disordini ereditari, ovvero anemie congenite con sovraccarico di ferro (talassemia intermedia, anemie da deficit enzimatico, anemie diseritropoietiche congenite, sferocitosi ereditaria e anemie sideroblastiche congenite) e disordini acquisiti (sindromi mielodisplastiche e anemie con fabbisogno trasfusionale cronico). Le anemie congenite sono caratterizzate da eritopiesi inefficace e il sovraccarico di ferro è essenzialmente determinato da un aumento dell’assorbimento intestinale. Nelle forme acquisite il sovraccarico marziale è determinato dall’apporto di ferro conseguente al fabbisogno trasfusionale; nelle sindromi mielodisplastiche tuttavia è presente in aggiunta eritropiesi inefficace con aumento dell’assobimento intestinale di ferro. Anemie congenite con sovraccarico di ferro: anemia sideroblastica congenita [XLSA (XLinked congenital Sideroblastic Anemia)] E’ una condizione patologica determinata dalla presenza di mutazioni puntiformi del gene della -ALA sintetasi eritrocitaria, localizzato a livello della banda p11.21 del cromosoma X. Il meccanismo di trasmissione ereditaria è diagnico (legato all’X), e di conseguenza colpisce in prevalenza il sesso maschile. Esistono tuttavia forme più rare a trasmissione autosomica, determinati da diversi difetti genetici della sintesi dell’eme. Il difetto genetico causa anemia da eritropoiesi inefficace. L’anemia è caratteristicamente microcitica e ipocromica. Inoltre è presente un prominente dimorfismo all’interno della popolazione di globuli rossi (elevato Red cell Distribution Width, RDW). Nei pazienti con anemia moderata e ben tollerata nei quali la diagnosi non viene formulata nell’infanzia, le manifestazioni cliniche da sovraccarico di ferro compaiono in 4°-5° decade e comprendono cirrosi epatica, diabete mellito, cardiomiopatia restrittiva. Di seguito è illustrato, a titolo esemplificativo, l’esame emocromocitometrico di un soggetto di sesso maschile di 58 anni, affetto da anemia sideroblastica congenita: Parametri Valori Ranges di normalità Leucociti (WBC), 10 /l Emoglobina (Hb), g/dl 5,8 4-11 11,4 13,0-17,0 Volume globulare medio (MCV) , fl 65 80-100 MCH, pg 25,4 27-32 MCHC, g/dl 31,1 32-36 17,2 11,5-14,5 Piastrine (PLT) 10 /l Sideremia: µg/dL 241 100-400 210 60-150 Ferritina: ng/L 4480 M 15-250 g/L F 10-150 g/L 9 RDW*, 9 Dal punto di vista terapeutico il 25-50% dei pazienti con anemia sideroblastica congenita rispondono alla somministrazione di vitamina B6. Nei pazienti con anemia severa non responsivi alla vitamina B6, il trattamento di scelta consiste in trasfusioni associate a terapia ferrochelante. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 89 18. Eritrocitosi e policitemia Si definisce eritrocitosi un aumento consensuale dei valori di emoglobina, ematocrito, globuli rossi. Fisiopatologia L’insieme degli eritrociti costituisce la massa eritrocitaria, che normalmente è inferiore a 36 ml/kg nell’uomo e a 32 ml/kg nella donna. La misurazione della massa eritrocitaria consente di stabilire se un aumento dei valori di Hb, Hct e RBC sia dovuto ad una aumentata produzione midollare (massa eritrocitara aumentata) o sia relativo ad una riduzione del volume plasmatici. Figura 1 - Meccanismo di regolazione dell’eritropoiesi. MIDOLLO ERITROIDE ERITROCITI CIRCOLANTI Eritropoietina Rene (sensore 02) In base al meccanismo fisiopatologico le eritrocitosi vengono distinte in eritrocitosi apparente o spuria, caratterizzata da una massa eritrocitaria normale, ed in eritrocitosi assoluta, caratterizzata da massa eritrocitaria aumentata (tabella 1). Tabella 1 - Classificazione fisiopatologica delle eritrocitosi Eritrocitosi apparente o spuria (massa eritrocitaria normale): eritrocitosi marginale, eritrocitosi relativa sintomatica (disidratazione), eritrocitosi relativa cronica (sindrome di Gaisböck); Eritrocitosi assoluta (massa eritrocitaria aumentata): da aumentata produzione di eritropoietina: appropriata, inappropriata; da autonoma proliferazione di un clone emopoietico (malattie mieloproliferative); da mutazioni del recettore dell’eritropoietina. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 90 Eritrocitosi apparente Eritrocitosi relativa cronica (sindrome di Gaisböck) E’ una condizione di eritrocitosi relativa, caratterizzata sul piano clinico-ematologico da aumento isolato dell’emoglobina senza leucocitosi e piastrinosi. La massa eritrocitaria non è aumentata, mentre vi è riduzione del volume plasmatici. Interessa generalmente giovani adulti, con fattori di rischio quali ansia, stress, obesità, ipertensione, fumo. Eritrocitosi assoluta Eritrocitosi secondaria ad appropriata iperproduzione di eritropoietina Vi troviamo le tutte le condizioni caratterizzate da ridotto apporto di ossigeno ai tessuti, con conseguente aumento della secrezione di eritropoietina ed aumento della massa eritrocitaria: permanenza in alta quota, ipoventilazione alveolare, deficitaria ossigenazione polmonare, deficitario trasporto di ossigeno e deficitaria cessione di ossigeno. Permanenza in alta quota Un incremento significativo della massa eritrocitaria si osserva nei soggetti che risiedono stabilmente a 4500-5000 metri s.l.m.: la saturazione arteriosa di 02 a questa quota è di circa l’80%. La concentrazione di emoglobina è generalmente compresa tra 18-20 g/dL, l’ematocrito è del 55-60%. Alcuni di questi soggetti dimostrano un ridotto adattamento all’alta quota, che è alla base della cosiddetta malattia da montagna cronica (Chronic Mountain Sickness, CMS) o Malattia di Monge, caratterizzata da eritrosi, cianosi, cefalea, dispnea da sforzo, affaticabilità, rallentamento mentale fino alla letargia ed al coma. Ipoventilazione alveolare Vi troviamo condizioni caratterizzate da ipossia senza evidenza diretta di malattia polmonare. La sindrome di Pickwick (The “wonderfully fat boy” Joe described in The Pickwick Papers by Charles Dickens) colpisce individui obesi, e si manifesta con eritrocitosi, ipercapnia e sonnolenza. La sindrome sonno-apnea (sleep-apnea) è caratterizzata da diminuita sensibilità del centro del respiro alla CO2. Deficitaria ossigenazione polmonare Vi troviamo le malattie polmonari croniche, tra le quali le più frequenti sono la bronchite cronica/enfisema polmonare ed il cor pulmonale (insufficienza ventricolare destra). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 91 Deficitario trasporto di ossigeno Questa evenienza si verifica principalmente nelle cardiopatie con shunt destro-sinistro, quali la tetralogia di Fallot (adulti), la sindrome di Eisenmenger (adulti) e le cardiopatie neonatali. In queste condizioni si possono riscontrare valori di Hct superiori al 70% e di RBC superiori a 10 x 1012/L. Deficitaria cessione di ossigeno E’ la condizione che si verifica in presenza di emoglobine patologiche con elevata affinità per l’ossigeno e deficitaria cessione tissutale. Sono state descritte oltre 40 varianti di emoglobina di questo tipo (Hb Chesapeake la prima). La P50 delle emoglobine con aumentata affinità per O2 varia da 9 a 21 mmHg (P50 normale da 23 a 29 mmHg). Eritrocitosi secondaria ad inappropriata iperproduzione di eritropoietina Si definisce inappropriata una iperproduzione di eritropoietina non conseguente ad una riduzione dell’apporto di ossigeno ai tessuti. Si può riscontrare nelle seguenti condizioni: sindrome paraneoplastica (carcinoma renale, epatoma, fibromioma uterino), rene policistico/stenosi dell’arteria renale, post-trapianto renale. Eritrocitosi familiare da mutazione del gene del recettore dell’Epo È una condizione ereditaria, nella quale si riscontrano una concentrazione di Hb di 19-20 g/dL e valori di Hct del 60-70%. Eritrocitosi secondaria da autonoma proliferazione di un clone emopoietico (malattie mieloproliferative) Le sindromi mieloproliferative sono patologie clonali della cellula staminale emopoietica, caratterizzate da una proliferazione cellulare incontrollata, con differenziazione prevalente lungo una linea emopoietica. La malattia invariabilmente caratterizzata da aumento della massa eritrocitaria è la policitemia vera, ma una eritrocitosi assoluta può essere osservata anche in corso di mielofibrosi idiopatica. Policitemia vera La policitemia vera è una patologia clonale della cellula staminale emopoietica 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 92 Nuove conoscenze biologiche Nella primavera del 2005 quattro gruppi di ricercatori hanno identificato contemporaneamente in pazienti affetti da policitemia vera, trombocitemia essenziale e mielofibrosi idiopatica la mutazione somatica (V617F) del gene Janus Kinase 2 (JAK2), con conseguente aumentata attività della proteina tirosin-chinasica JAK2. Ruolo biologico delle proteine Jak Eritropoietina e trombopoietina, dopo essersi legate al recettore di membrana, utilizzano un sistema di chinasi dette JAK e STAT (signal transducers and activators of transcription) per la trasduzione del segnale all’interno del nucleo. Esistono 4 proteine JAK: Jak1, Jak2, Tyc2, espresse ubiquitariamente, e Jak3 espressa solo nelle cellule mieloidi e linfoidi. Le proteine JAK sono composte da sette regioni: JH1-JH7. JH1 è la regione ad attività chinasica. JH2 è un dominio pseudo-chinasico, necessario per l’attività catalitica di JH1 e coinvolto nella regolazione inibitoria di tale attività. La mutazione JAK2 V617F La perdita di eterozigosi per le braccia corte (p) del cromosoma 9 (“loss of heterozigosity”, LOH)-9pLOH- rappresenta l’anomalia cromosomica più frequente nei pazienti affetti da policitemia vera (circa un terzo dei casi) ed è presente in alcuni soggetti affetti da trombocitemia essenziale. Utilizzando un sistema di mappaggio con microsatelliti, è stata identificata una regione genomica minima comune a tutti i pazienti con 9pLOH. Tale regione contiene il gene JAK2. Il sequenziamento della regione codificante di JAK2 in pazienti con 9pLOH ha consentito di individuare una transversione G T con sostituzione di una valina con fenilalanina in posizione 617 (V1617F). La mutazione V617F JAK2 coinvolge una porzione del dominio pseudochinasico JH2 di JAK2, cruciale nel controllo inibitorio dell’attività di JH1. Ne risulta un aumento di funzione della proteina JAK2 e quindi un incremento della trasduzione del segnale. La mutazione JAK2 V617F è presente nella maggior parte dei pazienti affetti da policitemia vera (65-95%) e solo in una parte dei pazienti affetti da trombocitemia essenziale (23-57%) e da mielofibrosi idiopatica (35-50%). Non è mai stata rilevata in soggetti sani o in pazienti con eritrocitosi secondaria. Quadro clinico Nel corso della storia naturale della policitemia vera si distinguono una fase asintomatica, una fase eritrocitosica, e una fase di mielofibrosi post-policitemica ed infine l'evoluzione in leucemia acuta terminale. La fase iniziale della policitemia vera è asintomatica. La diagnosi in questa fase è pertanto occasionale: in soggetti che hanno eseguito esami di controllo, o si sono sottoposti ad accertamento per altri disturbi non correlati alla policitemia, si possono riscontrare splenomegalia, eritrocitosi o trombocitosi isolate. Nella cosiddetta fase eritrocitosica, l’aumento della massa eritrocitaria è tale da determinare la comparsa di sintomi da iperviscosità: cefalea, parestesie, acufeni, vertigini, scotomi. Un sintomo molto comune è rappresentato dal prurito dopo un bagno caldo. All’esame obiettivo si riscontra molto frequentemente una splenomegalia. In questa fase, il decorso clinico può essere complicato da fenomeni tromboembolici, spesso invalidanti e talora mortali. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 93 Dopo alcuni anni (10-20) la fase eritrocitosica può evolvere in mielofibrosi postpolicitemica, spesso attraverso una fase di riduzione consensuale di globuli rossi, piastrine e comparsa di progressiva splenomegalia. La mielofibrosi post policitemia si caratterizza per un incremento della splenomegalia, progressiva anemizzazione, trombocitosi/trombocitopenia e sintomi sistemici (febbre, dolori osteoarticolari, calo ponderale). Nel 5-10% dei pazienti si osserva evoluzione in leucemia acuta mieloide, a volte dopo una fase di mielofibrosi. Diagnosi La diagnosi di policitemia è essenzialmente una diagnosi clinica, basata sulla diagnosi di eritrocitosi assoluta con funzionalità polmonare normale, in presenza di criteri suggestivi di malattia mieloproliferativa, come splenomegalia, trombocitosi, leucocitosi, bassi livelli di eritropoietina sierica o crescita in vitro spontanea (in assenza, cioè, di fattori di crescita) dei progenitori eritroidi. La valutazione della mutazione V617F del gene JAK2 è consigliata in tutti i pazienti con eritrocitosi, anche se allo stato attuale non rientra nei criteri diagnostici in uso. I criteri diagnostici della policitemia vera sono stati rivisiti dalla WHO (World Health Organization) nel 2001 e sono illustrati in tabella 2. Tabella 2 - Criteri diagnostici della policitemia vera A1 Elevata massa eritrocitaria o Hb > 18,5 g/dL (M), > 16.5 g/dL (F) A2 Assenza di cause di eritrocitosi secondaria: non eritrocitosi familiare, non incremento Epo (ipossia; Hb ad alta affinità per O2; neoplasia) A3 Splenomegalia A4 Anomalie genetiche clonali: non Ph’, non Bcr-Abl A5 Crescita spontanea di colonie eritroidi B1 B2 B3 B4 Trombocitosi > 400.000/mL Leucocitosi > 12.000/mL BOM con iperplasia eritroide e megacariocitaria Bassi livelli serici di Epo La diagnosi di policitemia vera si basa sull'associazione dei seguenti criteri maggiori (A) o minori (B): A1+A2+A3+A4+A5 oppure A1+A2+ 2 (B1, B2, B3, B4) Terapia La terapia della policitemia vera si può avvalere di differenti approcci, che comprendono salassi, trattamento citoriduttivo con idrossiurea o pipobromano, aspirina a basse dosi (100 mg/die). Gli obiettivi del trattamento sono il mantenimento dell’ematocrito a valori inferiori al 45% e della conta piastrinica a valori inferiori a 400x109/l. La scelta della strategia terapeutica deve essere valutata in funzione delle caratteristiche del paziente. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 94 19. Trombocitemia essenziale Definizione La trombocitemia essenziale è una patologia mieloproliferativa cronica che deriva dalla trasformazione clonale della cellula staminale emopoietica ed è caratterizzata da proliferazione incontrollata con prevalente differenziazione in senso megacariocitario e conseguente aumento delle piastrine nel sangue periferico. Epidemiologia In Europa la trombocitemia essenziale ha un’incidenza di 0,3-1 caso per milione di abitanti per anno. L’età mediana alla diagnosi è di 55 anni e solamente il 24% dei pazienti ha un età inferiore a 40 anni. Si tratta di una patologia prevalente nel sesso femminile (rapporto sesso maschile / femminile =1/2). Allo stato delle conoscenze attuali non è stato individuato nessun agente eziologico esterno predisponente allo sviluppo della malattia. Quadro clinico L’esordio In circa il 20-30% dei casi il riscontro di trombocitemia essenziale è occasionale e avviene in corso di esami eseguiti per altri motivi. In circa il 30-40% dei casi sono riscontrabili sintomi neurologici minori quali cefalea o sincope, dolore toracico atipico, acrocianosi, disturbi visivi (scotomi), livedo reticularis, eritromelalgia (eritema e dolore urente alle estremità di mani e piedi). In una percentuale più ridotta di casi (15-20%), l’esordio clinico può essere caratterizzato da un evento vascolare severo di tipo trombotico, che colpisce il distretto arterioso (infarto del miocardio, TIA, ictus cerebrale o arteriopatie periferiche) o venoso (tromboflebiti superficiali, trombosi venose profonde). Le pazienti con trombocitemia essenziale possono presentare aborti spontanei, anche ripetuti. Infine la malattia può esordire con manifestazioni emorragiche (25-30%) soprattutto a carico dell’apparato gastroenterico, della cute e delle mucose (ematemesi, melena, epistassi, gengivorragie). Una splenomegalia di grado modesto è presente in circa il 15-20% dei pazienti, mentre un’epatomegalia si rileva nel 20% dei casi. Il decorso clinico Il decorso clinico è caratterizzato per lo più da complicanze trombotiche che possono occorrere dal 10 al 40% circa dei pazienti. Le manifestazioni emorragiche intervengono nel 8-14% dei pazienti, soprattutto nei soggetti che presentano una conta piastrinica superiore a 1.000 x 109/L (sindrome di von Willebrand acquisita). I fattori di rischio vascolare sono rappresentati dall’età maggiore di 60 anni, dall’anamnesi positiva per trombosi o emorragia, e da una conta piastrinica superiore a 1.500 x 109/L. I pazienti che non presentano i suddetti fattori sono definiti a “basso rischio” vascolare. I pazienti che presentano uno o più fattori sono per contro considerati ad “alto rischio” vascolare e necessitano di una terapia citoriduttiva per il controllo della piastrinosi con conseguente riduzione del rischio vascolare. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 95 Diagnosi La diagnosi di trombocitemia essenziale è una diagnosi di esclusione: bisogna infatti escludere le possibili cause che possono sostenere una piastrinosi reattiva e la presenza di altre malattie mieloproliferative o sindromi mielodisplastiche. I criteri diagnostici della trombocitemia essenziale sono stati rivisiti dalla WHO (World Health Organization) nel 2001 e sono illustrati in tabella 3 Tabella 3 - Criteri diagnostici della trombocitemia essenziale Presenza di: • Piastrine: stabile oltre 600.000/µL • Biopsia osteomidollare: proliferazione della sola linea megacariocitica Esclusione di: • Policitemia vera: emoglobina < 18,5 g/dL (uomo), < 16,5 g/dL (donna); normale stato del ferro • Leucemia mieloide cronica: assenza cromosoma Ph e bcr/abl • Mielofibrosi idiopatica: assenza fibrosi collagena; reticolo minimo o assente • Mielodisplasia: del(5q-), t (3;3), inv 3 • Trombocitosi reattive: infiammazione, infezione, neoplasia Le trombocitosi reattive sono per lo più secondarie a emorragia acuta, carenza di ferro, o d'accompagnamento a neoplasie. Si riscontrano anche in corso di stati infiammatori e infettivi acuti o cronici, come la colite ulcerosa, il morbo di Crohn, le collagenopatie, la tubercolosi, la polmonite e l'osteomielite. Può esserci trombocitosi dopo un'intensa attività fisica o stress emotivo o nelle fasi di ripresa dopo una chemioterapia, o anche in corso di terapia con vitamina B12, folina e fattori di crescita. Le piastrine possono salire fino ad oltre 1.000 x 109/L dopo splenectomia e tendono a ridursi e stabilizzarsi in 3-4 mesi circa. Le malattie mieloproliferative croniche vengono distinte dalla TE effettuando la biopsia ossea (la Mielofibrosi Idiopatica presenta una fibrosi midollare diffusa), l'analisi citogenetica (la Leucemia Mieloide Cronica è caratterizzata dalla presenza della traslocazione t(9;22), che genera il cromosoma Philadelphia, marcatore della malattia) e valutando semplici parametri emocromocitometrici, come ematocrito ed emoglobina (la Policitemia Vera presenta una massa eritrocitaria aumentata). Raramente, alcune forme di sindromi mielodisplastiche sono associate a piastrinosi: tra queste tipicamente vi è la sindrome del 5q-, e meno frequentemente l'anemia sideroblastica idiopatica acquisita (ASIA) La trombocitemia familiare è una forma rara e trasmessa per lo più come malattia autosomica dominante: è legata ad una mutazione del gene della trombopoietina che si traduce in un’ aumentata produzione piastrinica a livello midollare. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 96 Trombocitemie primitive policitemia vera mielofibrosi idiopatica leucemia mieloide cronica mielodisplasia con piastrinosi (sindrome del 5q-) Trombocitosi reattive Esercizio fisico Emorragia acuta Carenza marzialeSplenectomiaNeoplasie Stati infiammatori o infettivi acuti o cronici (colite ulcerosa, morbo di Crohn, collagenopatie, TBC, polmonite cronica, osteomielite) Anemia emoliticaIn corso di terapia con citochine e fattori di crescita La terapia della trombocitemia essenziale. Sulla base di caratteristiche clinico-biologiche è possibile individuare pazienti a basso ed alto rischio. La categoria di rischio cardiovascolare costituisce il criterio orientativo per la scelta dell’approccio terapeutico del paziente. Nella Tabella 2 sono riportati i criteri per la definizione del rischio vascolare. Tabella 2 Criteri per la definizione di “basso rischio” cardiovascolare età minore di 60 anni e anamnesi negativa per trombosi ed emorragia e piastrine inferiori a 1.500 x 109/L e assenza di fattori di rischio cardiovascolare noti (genetici o acquisiti) Criteri per la definizione di “alto rischio” cardiovascolare età > 60 anni o anamnesi positiva per trombosi o emorragia o piastrine superiori a 1.500 x 109/L Nei pazienti a basso rischio sono indicati la sola osservazione e l’impiego di antiaggregante a basse dosi. Nei casi ad alto rischio è indicata la terapia citoriduttiva associata alla terapia antiaggregante a basse dosi. L’impiego di aspirina a basse dosi è indicato nelle manifestazioni vasomotorie in monoterapia, nella prevenzione della trombosi in associazione ad agenti citoriduttivi, mentre è controindicato nelle condizioni emorragiche e nelle trombocitosi estreme. La terapia citoriduttiva comprende farmaci come il pipobromano, l’idrossiurea, l’interferone. L’uso del pipobromano (alchilante) consente di ottenere risposte ematologiche nel 95100% dei casi con un buon controllo della malattia nel tempo. E’ un farmaco ben tollerato e richiede una somministrazione continuativa. E’ efficace nel ridurre l’incidenza di complicanze trombotiche. L’incidenza di mielofibrosi è minima, e il rischio di leucemia a 10 anni è del 3%. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 97 L’idrossiurea (antimetabolita) consente di ottenere risposte ematologiche nel 90-95% dei casi. Il farmaco è ben tollerato e richiede un’assunzione continuativa. E’ efficace nella prevenzione della trombosi; il controllo della malattia è tuttavia ridotto nel tempo. Il rischio di leucemia è paragonabile al pipobromano (5-10% dopo 4-10 anni di malattia). L’interferone è un farmaco antiproliferativo: risposte ematologiche sono state osservate nel 70% dei casi con riduzione della splenomegalia nel 30% circa e miglioramento dei sintomi clinici. Circa il 20% dei pazienti tuttavia si dimostra intollerante al trattamento. Sono in corso di studio nuove formulazioni (Peg-interferone) con lo scopo di migliorare il profilo di tollerabilità del farmaco. Prognosi La prognosi della malattia è buona e l’aspettativa di vita dei pazienti con trombocitemia essenziale, se trattati secondo le indicazioni attuali basate sul rischio cardiovascolare, è quasi simile a quella della popolazione generale. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 98 20. Mielofibrosi idiopatica Definizione La mielofibrosi idiopatica è una patologia mieloproliferativa cronica che deriva dalla trasformazione clonale della cellula staminale emopoietica ed è caratterizzata da fibrosi midollare con screzio leuco-eritroblastico e metaplasia mieloide con epatosplenomegalia. Esiste una forma di mielofibrosi idiopatica o primitiva (più frequente) ed una forma secondaria a policitemia vera (5-50% dei casi) o a trombocitemia essenziale (3-20% dei casi). Epidemiologia La mielofibrosi idiopatica è una patologia più frequente nell’età avanzata e interessa maggiormente il sesso maschile. L’incidenza in Europa è di 0.7 x 100.000 persone per anno nel sesso maschile, mentre è di 0,4 x 100.000 persone per anno nel sesso femminile. L’età media alla diagnosi è di 62 anni e solamente il 20% dei pazienti ha un’età inferiore a 55 anni (età limite ai fini dell’eleggibilità a procedure trapiantologiche). Patogenesi La mielofibrosi idiopatica è considerata una patologia clonale della cellula staminale emopoietica. Esistono numerose evidenze sperimentali che supportano questa ipotesi: innanzitutto la presenza di alterazioni genetiche ricorrenti (delezioni del cromosoma 20, cromosoma 13, cromosoma 7, cromosoma 12; e trisomie dei cromosomi 1, 8 e 9); inoltre studi genetici sull’inattivazione del cromosoma X in pazienti di sesso femminile dimostrano la presenza di un solo tipo di allele a livello delle cellule interessate dalla malattia. Patogenesi della fibrosi midollare La proliferazione clonale dei megacariociti e dei monociti si accompagna a liberazione di citochine infiammatorie che determinano una reazione delle cellule stromali del midollo osseo di natura policlonale con potenziale fibrogenetico, angiogenetico e osteogenetico. Le citochine interessate sono il TGF- (Transforming Growth Factor ), il bFGB (basic Fibroblast Growth Factor) e il PDGF (Platelet Derived Growth Factor). Questi fattori inducono una proliferazione policlonale di fibroblasti e osteoblasti associata a fibrosi collagena e a osteosclerosi. Citochine ad azione neo-angiogenetica potrebbero contribuire a tali fenomeni. Patogenesi della metaplasia mieloide Le cellule progenitrici fuoriescono dal midollo per una causa tuttora non nota e circolano nel sangue periferico. La milza e, in seconda istanza, il fegato fungono da filtro favorendo la maturazione dei progenitori circolanti, diventando sede di focolai di emopoiesi extramidollare. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 99 Quadro clinico L’ esordio Circa un terzo dei pazienti è asintomatico al momento della diagnosi, mentre i restanti due terzi riferiscono sintomi sistemici come febbre, calo ponderale, astenia, dispnea e dolori articolari. All’esame obiettivo, una splenomegalia è presente nell’85-100% dei casi, e spesso raggiunge dimensioni notevoli. I pazienti possono riferire sensazione di tensione addominale e dolore a livello dell’ipocondrio sinistro, spesso secondari ad infarti splenici. Una epatomegalia è riscontrabile nel 50-70% dei pazienti. La splenomegalia che si evidenzia nei pazienti con mielofibrosi idiopatica è attribuibile all’emopoiesi extramidollare; l’epatomegalia può essere messa in relazione sia alla presenza di focolai di emopoiesi extramidollare sia all’ipertensione secondaria alla splenomegalia. L’esame emocromocitometrico dimostra anemia (50-70% dei casi), piastrinopenia (3540%) o piastrinosi (30%), e leucocitosi (50%). Allo striscio di sangue periferico sono evidenziabili anisopoichilocitosi (variabilità delle dimensioni e della forma dei globuli rossi), con presenza di dacriociti (eritrociti a lacrima) e screzio granulo-eritroblastico (presenza in circolo di elementi immaturi della serie eritroide e granuloblastica) . Diagnosi I criteri per la diagnosi di mielofibrosi idiopatica sono riportati della Tabella 1. I dati clinici e laboratoristici cui viene data maggiore importanza (definiti criteri necessari) sono la presenza di fibrosi midollare e l’assenza del cromosoma Ph’ nelle cellule del midollo osseo (marcatore specifico della leucemia mieloide cronica). Notevole rilievo ha inoltre il riscontro di splenomegalia. La diagnosi presuppone la presenza dei 2 criteri necessari più 2 criteri opzionali se è presente splenomegalia, oppure dei 2 necessari più 4 opzionali se non vi è splenomegalia. Tabella 1 Criteri necessari: fibrosi midollare diffusa assenza del cromosoma Ph’ o del riarrangiamento bcr/abl Criteri opzionali: splenomegalia anisopoichilocitosi con dacriociti nel sangue periferico presenza di cellule mieloidi immature circolanti presenza di precursori eritroidi circolanti presenza di cluster e anomalie dei megacariociti alla biopsia ossea metaplasia mieloide 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 100 Diagnosi differenziale La diagnosi differenziale deve essere posta essenzialmente con le altre malattie mieloproliferative (leucemia mieloide cronica e trombocitemia essenziale), con altre cause di fibrosi midollare o alterazione della struttura ossea (osteomielite, malattia di Paget, osteopetrosi) e con cause differenti di splenomegalia. La leucemia mieloide cronica presenta, come la mielofibrosi idiopatica, splenomegalia spesso importante e elementi immaturi della serie granuloblastica nel sangue periferico: la diagnosi differenziale è posta verificando la presenza del cromosoma Ph’ (o del riarrangiamento bcr/abl) a livello delle cellule midollari. La diagnosi differenziale nei confronti della trombocitemia essenziale può viceversa non essere agevole, soprattutto nella fase cellulare della mielofibrosi: infatti entrambe le condizioni presentano iperplasia megacariocitaria. Gli elementi distintivi delle due forme sono la fibrosi midollare, lo screzio leuco-eritroblastico e l’anisopoichilocitosi delle emazie. Va infine ricordato che il quadro di anisopoichilocitosi dei globuli rossi con dacriociti e la presenza di elementi immaturi della serie eritroide e granuloblastica nel sangue periferico è comune nelle anemie mieloftisiche, determinate da infiltrazione midollare da parte di cellule neoplastiche metastatiche (polmone, mammella, prostata). Decorso clinico e prognosi Il decorso clinico dei pazienti con mielofibrosi idiopatica è molto variabile. Si osservano pazienti asintomatici per un lungo periodo di tempo (anni) e pazienti invece con decorso clinico ingravescente che può portare rapidamente all’exitus. Con la progressione della malattia si osserva soprattutto un incremento della splenomegalia (e dell’epatomegalia), un peggioramento dell’anemia, della leucopenia (o della leucocitosi) e della piastrinopenia. A volte il decorso della malattia può essere complicato da ipertensione portale, da trombosi della vena porta e/o da trombosi splenica. Una espansione della metaplasia mieloide al di fuori delle sedi epatica e splenica può comportare la comparsa di tamponamento cardiaco, noduli cutanei, compressione spinale, versamento pleurico, ipertensione polmonare. Le cause più frequenti di morte sono individuate nello scompenso cardiaco congestizio, nelle complicanze emorragiche e nell’evoluzione in leucemia acuta. Alcuni fattori, singolarmente o in associazione, condizionano negativamente la prognosi e sono rappresentati dalla presenza di anemia con emoglobina < 10 g/dL, da leucopenia con valori di globuli bianchi < 4 x 109/L e da leucocitosi con valori di globuli bianchi >30 x 109/L. La loro combinazione [Lille score (Dupriez, 1996)] consente di individuare 3 categorie di rischio (basso, intermedio, alto), che identificano pazienti con sopravvivenza mediana diversa. N° fattori categoria di rischio 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 101 La terapia della mielofibrosi idiopatica In assenza di sintomi sistemici, splenomegalia sintomatica, blasti circolanti, anomalie citogenetiche, citopenie periferiche è indicata la sola osservazione clinica senza terapia citoriduttiva. Per contro in presenza di leucocitosi, piastrinosi, splenomegalia progressiva o sintomatologia clinica è utile una terapia citoriduttiva. Il farmaco prevalentemente impiegato è l’idrossiurea, che consente di ottenere un controllo della malattia nel 40-80% dei casi, a seconda dello stadio della malattia. Altri farmaci impiegati sono il busulfano o l’interferone. Un’opzione terapeutica attuabile in pazienti giovani che dispongano di un donatore compatibile è il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Questa procedura può condurre alla guarigione una quota di pazienti, ma con un rischio elevato di mortalità peritrapiantologica. Recentemente la talidomide ha dimostrato efficacia ottenendo un controllo dell’anemia e della piastrinopenia nel 40% circa dei pazienti con mielofibrosi. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 102 21. Leucemia mieloide cronica Definizione La leucemia mieloide cronica (LMC) è una malattia mieloproliferativa clonale della cellula staminale emopoietica caratterizzata dal punto di vista molecolare dalla presenza del riarrangiamento genico bcr/abl e dal punto di vista clinico da progressiva leucocitosi (con accumulo nel sangue periferico di granulociti maturi e precursori mieloidi), da ipercellularità midollare e da splenomegalia. Epidemiologia La leucemia mieloide cronica ha un’incidenza di 2 casi per 100.000 abitanti per anno e costituisce circa 15% delle leucemie dell’adulto. L’età mediana di insorgenza è compresa tra i 45 ed i 55 anni, con prevalenza nel sesso maschile. Sebbene non sia noto il meccanismo responsabile della trasformazione neoplastica della cellula staminale emopoietica, numerosi studi dimostrano che l’esposizione a radiazioni ionizzanti induce un aumento dell’incidenza di LMC rispetto alla frequenza attesa nella popolazione generale. Patogenesi La LMC è caratterizzata dal punto di vista citogenetico dalla presenza del cromosoma Philadelphia o Ph’ (Nowell P, Hungerford D. A minute chromosome in human chronic granulocytic leukemia. Science 1960;132:1497), ovvero un cromosoma 22 di piccole dimensioni, che origina dalla traslocazione bilanciata tra il cromosoma 9 ed il cromosoma 22 [t(9;22)(q34;q11)] (Rowley JD. A new consistent chromosomal abnormality in chronic myelogenous leukaemia identified by quinacrine fluorescence and Giemsa staining. Nature. 1973;243:290). Questa traslocazione determina a livello molecorare il riarrangiamento tra il gene bcr (breakpoint cluster region) sito a livello della banda q11 del cromocsoma 22 ed il protooncogene abl (Ableson) a livello della banda q34 del cromosoma 9 (figura 1). A livello di ABL il punto di rottura è situato all’estremità 5’ in una regione di circa 300kb e può avvenire o a monte dell’esone Ib o a valle dell’esone Ia o, più spesso, tra entrambi. Anche se uno o entrambi questi esoni vengono traslocati sul cromosoma 22 riarrangiato essi non vengono trascritti essendo rimossi dal trascritto finale per azione del fenomeno dello “splicing” operante a livello del mRNA. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 103 Figura 1 – traslocazione t(9;22) e riarrangiamento genico bcr-abl nella LMC. A livello di BCR il punto di rottura può cadere in tre diverse regioni: nella maggior parte delle LMC e in un terzo della LAL Ph’+ in una regione di 5.8kb (Major breakpoint cluster region, M-BCR) tra gli esoni b2 e b3 ® trascritti b2a2 o b3a2 ® proteina chimerica p210; 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 104 nelle restanti LAL e in alcune LMC con monocitosi in una regione di 54.4kb (minor breakpoint cluster region, m-BCR) tra gli esoni e2’ ed e2 ® trascritto e1a2 ® proteina chimerica p190; nei pazienti con leucemia cronica neutrofilica a valle dell’esone e19 (micro breakpoint cluster region, m-BCR) ® trascritto e19a2 ® proteina chimerica p230. (figura 2) Figura 2. Punti di rottura a livello dei geni bcr e abl 1b abl 5' bcr 5' 1a 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 3' 3' 1 LMC (5') 1a 2 3 2 4 3 4 5 5 6 7 8 9 10 11 3' 5' 1 2 LMC (3') 1a 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 3' 5' 1 2 3 Pertanto nei pazienti con LMC sul cromosoma 22 riarrangiato si crea un gene ibrido BCR/ABL, formato per la porzione 5’ da sequenze BCR e per la porzione 3’ da sequenze ABL. Il gene ibrido BCR/ABL determina l’attivazione costitutiva dell’attività tirosin-kinasica del gene ABL. Le tirosin-chinasi appartengono alla famiglia delle protein-chinasi, enzimi che trasferiscono gruppi fosfati dall’adenosina trifosfato (ATP) a specifici aminoacidi (in questo caso la tirosina) a livello del substrato. La fosforilazione di queste proteine porta all’attivazione di vie di trasduzione del segnale che controllano una serie di importanti processi biologici come la crescita e la differenziazione cellulare e l’apoptosi. La proteina p210bcr-abl attraverso questi meccanismi (in particolare attraverso l’inibizione dell’apoptosi) è in grado di prolungare la sopravvivenza della cellula e di determinare l’espansione del clone leucemico (figura 1). Quadro clinico Circa il 50% dei casi di LMC viene diagnosticato attraverso esami eseguiti per altri motivi (riscontro occasionale). L’esame emocromocitometrico mostra leucocitosi neutrofila con presenza di precursori mieloidi nel sangue periferico, basofilia assoluta e piastrinosi. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 105 Di seguito è illustrato, a titolo esemplificativo, l’esame emocromocitometrico di una giovane donna asintomatica (in neretto sono evidenziati parametri più significativi): valori ranges di normalità Emoglobina (Hb), g/dL Leucociti (WBC), 109/L Neutrofili Eosinofili Basofili Linfociti Monociti Elementi immaturi* 12.5 51.1 66 % 3% 6% 10 % 6% 9% 12.0-16.0 4-11 45-70 1-3 0-1 20-40 3-7 0 Piastrine (PLT), 109/L 540 150-400 * metamielociti 4%, mielociti 3%, promielociti 2%. I pazienti con malattia più avanzata possono avere sintomi che dipendono dall’ipermetabolismo, che comprendono anoressia, astenia, perdita di peso e sudorazioni notturne. La splenomegalia è solitamente presente, talora importante e sintomatica (senso di peso all’ipocondrio sinistro, sensazione di ripienezza post-prandiale, dolore in caso di infarto splenico). Storia naturale della leucemia mieloide cronica La storia naturale della LMC è caratterizzata da una fase cronica, di durata variabile (in genere 3-4 anni) asintomatica o scarsamente sintomatica, responsiva al trattamento (controllo della leucocitosi). A questa segue una fase più aggressiva, definita accelerata, caratterizzata dal punto di vista ematologico dalla comparsa di blasti (elementi immaturi che hanno subito arresto della maturazione) nel midollo osseo e nel sangue periferico (10-20% delle cellule nucleate) con leucocitosi scarsamente responsiva al trattamento, da anemia e da piastrinopenia; dal punto di vista clinico è caratterizzata da febbre e dolori ossei. L’analisi citogenetica può dimostrare la comparsa di anomalie cromosomiche clonali aggiuntive. Questa fase dura in genere qualche mese ed evolve nella crisi blastica (mieloide nei 2/3, linfoide in 1/3 dei casi), caratterizzata dall’incremento della quota blastica ( 20% delle cellule nucleate nel midollo osseo o nel sangue periferico) con anemia e piastrinopenia gravi (insufficienza midollare), mentre dal punto di vista clinico si assiste ad un rapido deterioramento delle condizioni generali (marcata astenia, calo ponderale), associato a febbre e dolori ossei. La crisi blastica rappresenta la fase terminale della malattia ed è scarsamente responsiva al trattamento chamioterapico, esitando nella quasi totalità dei casi nell’exitus del paziente. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 106 Diagnosi Gli accertamenti da eseguire per un corretto inquadramento del paziente con LMC: l'esame emocromocitometrico (che dimostra in fase cronica leucocitosi neutrofila con presenza di precursori mieloidi nel sangue periferico, basofilia assoluta e piastrinosi), il mieloaspirato (che dimostra iperplasia della linea granulocitaria), l'analisi cromosomica su sangue midollare (che dimostra la presenza del cromosoma Ph’) e la RT-PCR (Reverse Transcriptase Polimerase Chain Reaction, che dimostra la presenza del riarrangiamento bcr/abl). Criteri diagnostici per la fase accelerata (Vardiman JW, Harris NL, Brunning RD. The World Health Organization (WHO) classification of the myeloid neoplasms. Blood 2002;100: 2292). Per formulare la diagnosi di fase accelerata deve essere presente almeno uno dei seguenti criteri: percentuale di blasti pari al 10-19% nel sangue periferico o nel midollo osseo; percentuale di granulociti basofili nel sangue periferico 20%; persistente trombocitopenia (<100x109/L), non correlata a terapia, o persistente trombocitosi (>1.000x109/L) non responsiva alla terapia; aumento della splenomegalia e della leucocitosi non responsivo alla terapia; evidenza citogenetica di evoluzione clonale (comparsa di una anomalia genetica aggiuntiva che non era presente al momento della diagnosi di LMC in fase cronica); proliferazione di megacariociti in clusters di elevate dimensioni, associata a marcata fibrosi reticolinica o collagena, e/o severa displasia granulocitica (questi reperti, tuttavia, non sono stati ancora analizzati in grandi studi clinici; pertanto non è chiaro se siano criteri indipendenti di fase accelerata. Si presentano spesso associati a uno o più degli altri criteri elencati). Criteri diagnostici per la crisi blastica (Vardiman JW, Harris NL, Brunning RD. The World Health Organization (WHO) classification of the myeloid neoplasms. Blood 2002;100:2292). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 107 Fattori prognostici alla diagnosi Sokall e coll. (Sokal JE, Cox EB, Baccarani M, et al. Prognostic discrimination in "goodrisk" chronic granulocytic leukemia. Blood 1984;63:789) hanno proposto uno score basato sulla valutazione di quattro parametri (età, dimensioni della milza in cm dall’arco costale, conteggio delle piastrine x109/L e pecentuale di blasti nel sangue periferico) per calcolare il rischio relativo (RR) di ciascun paziente affetto da LMC. Il rischio relativo (RR) viene calcolato con la seguente formula: RR= ESP* 0.0116 x (età-43.4) + 0.0345 x (milza-7.51) + 0.188 x [(piastrine/700)2-0.563] + 0.0887 x (blasti-2.10) *ESP= esponenziale. I pazienti con rischio relativo <0.8 (cioè basso) hanno una sopravvivenza mediana una volta e mezzo piu’ lunga rispetto a queli con rischio relativo superiore a 1.2 (alto rischio). Terapia Significato di risposta clinica, citogenetica e molecolare nella LMC. Nei pazienti con LMC la remissione clinica completa è una condizione definita dalla normalizzazione del quadro ematologico periferico e midollare. La risposta citogenetica viene valutata in base alla percentuale di metafasi positive per la ricerca del cromosoma Ph’ a livello midollare (su numero minimo di metafasi analizzate pari a 20). La risposta citogenetica si definisce completa (remissione citogenetica) se il cromosoma Ph’ è assente in tutte le metafasi analizzate, maggiore se è compreso tra l’1 e il 35%, minore se è compreso tra il 36 e il 65%, minima se comprso tra il 66 e il 95%, assente se maggiore del 95%. La qualità della risposta citogenetica riveste un significato prognostico ed è correlata con l’aspettativa di vita di questi pazienti. Sensibilità della metodica: la citogenetica convenzionale, che presenta il limite di analizzare le sole cellule in divisione, individua una cellula leucemica su 10-100 cellule esaminate (sensibilità 10-1-10-2). La risposta molecolare si definisce, nei pazineti con risposta citogenetica completa come una riduzione > di 3 logaritmi nella quantità di trascritto bcr abl valutato con RT-PCR. La remissione molecolare si definisce invece come una condizione caratterizzata dalla scomparsa del trascritto bcr abl all’analisi RT-PCR. Sensibilità della metodica: la tecnica PCR possiede elevata sensibilità rispetto alle altre tecnhiche di laboratorio utilizzabili per la valutazione della quantità residua di malattia dopo terapia, pari a 10-4-10-6. Malattia minima residua (MMR): definizione e utilità clinica. Nonostante i notevoli progressi avvenuti nel trattamento convenzionale e trapiantologico delle neoplasie ematologiche, una significativa percentuale di pazienti in remissione clinica completa recidivano dopo un intervallo di tempo variabile. Perciò in un consistente numero di pazienti sopravvive una quota limitata di cellule neoplastiche, eventualmente in 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 108 grado di determinare una ripresa della malattia. Questa piccola popolazione neoplastica superstite, quantitativamente costituita da un numero di cellule sempre inferiori a 1010, viene definita MMR ed è dimostrabile con diverse metodiche di laboratorio a diversa sensibilità (citofluorimetria, citogenetica, FISH, PCR). L’esame del trascritto BCR-ABL mediante RT-PCR ha costituito un modello per lo studio di un’eventuale MMR e ha gettato le basi per l’analisi di quest’ultima anche in altri disordini onco-ematologici. E’ stato osservato che la maggior parte dei pazienti con LMC sottoposta a trapianto allogenico presenta una persistenza del trascritto nei primi sei mesi, ma successivamente almeno due terzi dei pazienti diventano PCR negativi per progressiva eliminazione delle cellule leucemiche per effetto della reazione che va sotto il termine di “graft versus leukemia”. Pazienti che a distanza di un anno o più dal trapianto allogenico presentano due campioni consecutivamente positivi alla PCR qualitativa sono ad alto rischio di recidiva citogenetica ed ematologica. Pertanto tale metodica è stata capace di predire a livello individuale la recidiva e conseguentemente di stabilire precocemente gli opportuni interventi terapeutici. La terapia della LMC La terapia della LMC in fase cronica era in passato convenzionalmente basata sull'impiego di idrossiurea e successivamente di interferone alfa. L’interferone permette di ottenere una maggiore percentuale di risposte citogenetiche maggiori e complete rispetto all’idrossiurea (aspettativa mediana di vita da 3-4 a 5-6 anni), garantendo ai pazineti che rispondono alla terapia una vita media superiore agli 8 anni. Il trattamento della crisi blastica era basato sull’impiego di cicli polichemioterapici, con i quali tuttavia la percentaule di risposta non supera il 20% nelle traformazioni mieloidi e il 50% nelle trasformazioni linfoidi; inoltre i pochi pazienti che ottengono una risposta, ricadono rapidamente o muoiono per progressione della malattia. Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche è considerato l’unico approccio in grado di garantire la guarigione dei pazineti con LMC, tuttavia è gravato da una mortalità peritrapiantologica del 20-40%. Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche è stato applicato con indicazione assoluta in pazienti giovani con disponibilità di un donatore HLA identico. Dal 2001 l'approccio terapeutico è stato radicalmente cambiato dall'introduzione dell'imatinib mesilato (STI 571, Gleevec, Glivec), un inibitore specifico della tirosinachinasi mutata (terapia molecolare). Questo farmaco è stato concepito per competere con l’ATP a livello del sito di legame specifico nel dominio chinasico della proteina di fusione P210bcr-abl (Figura 3). Il legame con l’ATP permette alla tirosin-kinasi di fosforilare i 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 109 Figura 3 – Meccanismo di azione di Imatinib Mesilato I risultati degli studi clinici controllati sino ad ora eseguiti dimostrano che la terapia con imatinib mesilato è molto più efficace rispetto alla terapia con interferone ed il farmaco è molto ben tollerato. Con l’utilizzo di tale farmaco la percentuale di risposte citogenetiche complete nei pazienti in fase cronica è superiore all’80% e sono state osservate anche remissioni molecolari complete (assenza di riarrangiamento bcr-abl rilevabile con RTPCR). Inltre, a dosi piu’ elevate si e’ dimostrato efficae anche nelle fasi accelerate e nelle crisi blastiche. Per quanto non siano ancora disponibili dati sull'effetto a lungo termine, la terapia con imatinib mesilato deve essere oggi considerata come terapia di prima scelta nel trattamento della LMC e il trapianto allogenico di cellule staminali periferiche viene riservato ai pazienti che falliscono nell’ottenimento di una risposta di buona qualità alla terapia con imatinib. Sono in corso studi di valutazione dellla MMR durante la terapia con Imatinib, allo scopo di identificare i pazineti con rischio di recidiva o progressione della malattia. Nelle diverse casistiche pubblicate, una percentuale variabile di pazienti (compresa tra il 5 ed il 15%) presenta o sviluppa una resitenza alla terapia con imatinib (definita come 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 110 Sono allo studio nuovi inibitori di bcr-abl (BMS-354825 o dasatinib e AMN107) che hanno mostrato efficacia nei confronti della maggior parte delle forme mutanti di bcr-abl testate in vitro. Algoritmo decisionale terapeutico per la leucemia mieloide cronica LMC in fase cronica IMATINIB MESILATO 400mg daily THERAPEUTIC MILESTONES 3 mesi: risposta ematologica completa 6 mesi: risposta citogenetica minore 12 mesi: risposta citogenetica maggiore 18 mesi: risposta citogenetica completa SI Paziente <=55 anni Paziente >55 anni HLA testing donor available prosegue IMATINIB MESILATO Allo BMT IMATINIB MESILATO 600-800mg po daily O TRIALS CLINICI 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 111 22. Sindrome ipereosinofila Definizione Si tratta di una malattia clonale dell’emopoiesi caratterizzata dalla presenza nel sangue periferico di un numero assoluto di eosinofili superiore a 1.5x109/L e da un aumento di eosinofili nel tessuto emopoietico midollare per un periodo di tempo superiore a sei mesi e in assenza di condizioni cliniche capaci di determinare un’eosinofilia. Quest’ultima può essere infatti secondaria a malattia allergica, autoimmune, parassitaria, dermatologica e neoplastica. Eosinofilie secondarie alla liberazione di citochine sono state riportate non solo in pazienti con leucemia mieloide cronica Ph1 positiva, con leucemia acuta linfoblastica e con linfomi non-Hodgkin, ma anche in pazienti che apparentemente non presentavano una malattia linfoproliferativa. In quest’ultimo gruppo di pazienti, con frequenti episodi di dermatite pruriginosa ed elevati livelli di IgE, è stata osservata una popolazione clonale di linfociti T che produceva varie citochine ma soprattutto interleuchina 5, necessaria per la differenziazione eosinofila della cellula mieloide. Patogenesi La sindrome ipereosinofila è sempre causata da una mutazione somatica acquisita insorta in una cellula staminale emopoietica. In alcuni casi la differenziazione cellulare è prevalentemente orientata in senso eosinofilo (si parla allora di leucemia eosinofila), in altri è invece verso tutte le linee cellulari mieloidi. In quest’ultimo gruppo di pazienti l’eosinofilia fa parte di un più ampio disordine neoplastico dell’emopoiesi. Comunque sia in entrambi i casi l’aumentata produzione di eosinofili è indotta da una maggior produzione di interleuchina 5, interleuchina 3 e di fattore di crescita granulocitomacrofagico (GM-CSF). Clinica Al momento dell’esordio il paziente presenta una sintomatologia determinata dal fatto che i granulociti eosinofili infiltrano i vari tessuti e liberano citochine contenute nei loro granuli. Si spiegano così l’intenso prurito spesso associato alla presenza di noduli cutanei, la profonda astenia con frequenti dolori retrosternali di tipo anginoso ed i più rari episodi di diarrea profusa. All’esame obiettivo si apprezzano importanti infiltrati cutanei con lesioni di tipo esfoliativo, pustole ed angioedema localizzato; è spesso presente un’importante epatosplenomegalia, più rare sono le linfoadenomegalie. Una visita cardiologia spesso dimostra un’insufficienza cardiaca congestizia, aritmie, angina e all’ecocardiografia si osserva un marcato deficit dell’attività contrattile del miocardio ed alterazioni a livello delle valvole cardiache. A livello del sistema nervoso centrale si osserva una sofferenza di tipo diffuso con frequenti attacchi ischemici transitori e neuropatie periferiche; a livello polmonare una marcata alterazione della funzionalità respiratoria dovuta all’importante fibrosi polmonare; a livello del tratto gastroenterico infiltrati mucosi, causa della diarrea lamentata dal paziente. Il 16% dei pazienti dopo una fase cronica della durata di 6-9 mesi circa sviluppa una fase acuta con quadro clinico sovrapponibile a quello di una leucemia acuta mieloide. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 112 Diagnosi L’esame emocitometrico mostra di solito una leucocitosi con normali valori di emoglobina e di piastrine. All’esame microscopico dello striscio di sangue periferico si rileva una dacriocitosi e un aumento degli eosinofili, che presentano normali dimensioni e vacuoli citoplasmatici. Il mieloaspirato mostra un tessuto emopoietico normo- o ipercellulato con iperplasia dello stipite eosinofilo. L’analisi citogenetica e molecolare rappresenta ormai uno strumento assolutamente indispensabile non solo per un corretto inquadramento diagnostico della sindrome, ma anche per un suo corretto trattamento. E’ stato infatti dimostrato che la sindrome ipereosinofila non è un’entità omogenea ma comprende varie sub-entità associate a specifiche alterazioni citogenetiche e molecolari. La traslocazione cromosomica che per prima fu caratteristicamente associata ad una malattia mieloproliferativa con marcato aumento degli eosinofili fu la t(5;12)(q31-33;p12p13). L’anomalia, che ha un’incidenza pari all’1% circa, determina il riarrangiamento tra il gene che codifica per il recettore Beta del “Platelet Derived Growth Factor” (PDGFRB), mappato alla banda 5q33, e il gene ETV6, mappato in 12p13. Il gene PDGFRB codifica per una proteina recettoriale dotata di attività tirosina chinasica, che si sviluppa solo quando è avvenuto il legame con il ligando, rappresentato dal PDGF. Il gene di fusione ETV6-PDGF, prodotto dalla traslocazione, determina invece l’attivazione costitutiva della chinasi in assenza del ligando. Un’altra traslocazione associata ad un quadro di sindrome eosinofila è quella che coinvolge il gene FGFR1, che codifica per la proteina “Fibroblast Growth Factor Receptor 1” ad attività tirosina chinasica. Nella traslocazione t(8;13) il gene FGFR1, mappato sul cromosoma 8 alla banda p11, si riarrangia con il gene ZNF198, mappato alla banda 13q12. Il gene chimerico ZNF198-FGFR1, prodotto dalla traslocazione, causa l’attivazione costitutiva della chinasi in assenza del ligando. L’ultima traslocazione più recentemente dimostrata mediante tecniche di citogenetica molecolare è quella che determina il riarrangiamento tra il gene per il recettore Alfa del PDGF e il gene FIP1L1, entrambi mappati alla banda q12 del cromosoma 4. Anche in questo caso la traslocazione genera un gene di fusione che provoca l’attivazione costitutiva di PDGFRA. Terapia Fino ad un recente passato i farmaci più spesso impiegati nei pazienti con sindrome ipereosinofila erano i cortisonici e gli antiblastici. La recente dimostrazione che nella maggior parte dei pazienti con sindrome ipereosinofola si verifica l’attivazione costitutiva di una particolare tirosina chinasi a seguito di una traslocazione cromosomica specifica ha radicalmente modificato il trattamento di questi pazienti indirizzandoli verso una terapia molecolare. Quest’ultima consiste nella somministrazione dell’imatinib mesilato (STI571, Gleevec, Glivec), molecola già rivelatasi efficace nel trattamento della leucemia mieloide cronica Ph1 positiva. Studi recenti indicano che il Glivec è in grado d’indurre remissioni durevoli anche nei pazienti con t(5;12) o con riarrangiamento FIP1L1-PDGFRA. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 113 23. Sindromi mielodisplastiche Definizione Le sindromi mielodisplastiche sono un gruppo eterogeneo di disordini primitivi del midollo osseo emopoietico che interessano tipicamente soggetti anziani e sono caratterizzate da anemia, solitamente refrattaria al trattamento, neutropenia e trombocitopenia persistenti (o varie combinazioni delle precedenti citopenie), e da un rischio (di grado variabile) di evoluzione in leucemia mieloide acuta. Epidemiologia L’età mediana alla diagnosi è compresa tra i 65 e i 70 anni. L’incidenza complessiva di tali patologie è di circa 8 casi ogni 100.000 persone per anno. Nei soggetti di età inferiore a 30 anni è di 1 caso ogni 100.000 persone per anno, mentre oltre i 70 anni di età è di 35 casi ogni 100.000 persone per anno. Risultano più colpiti i soggetti di sesso maschile. L’esposizione a fattori tossici quali solventi organici, pesticidi, radiazioni ionizzanti o l’assunzione di terapie a base di farmaci citostatici rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo di una sindrome mielodisplastica. Patogenesi Le sindromi mielodisplastiche sono disordini clonali di cellule staminali emopoietiche che mantengono la capacità di differenziare e maturare, ma lo fanno in modo disordinato (displasia emopoietica) ed inefficiente (emopoiesi inefficace) (figura 1). Figura 1 – Fisiopatologia delle sindromi mielodisplastiche. Stem cells Myelodysplastic clone BFU-E CFU-GM 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 114 Una malattia ematologica (come le sindromi mielodisplastiche) si definisce clonale in quanto la proliferazione cellulare che la caratterizza prende origine da un unico progenitore malato. La dimostrazione dell’origine clonale delle sindromi mielodiplsatiche è basata sulla identificazione di anomalie citogenetiche acquisite, e, limitatamente alla popolazione femminile, sulla dimostrazione dell'inattivazione casuale di un cromosoma X mediante la diversa espressione di metilazione del DNA, nelle pazienti eterozigoti per i polimorfismi del gene PGK (fosfoglicerato-chinasi) e HUMARA (recettore degli ormoni androgeni umani). I meccanismi genetici e molecolari responsabili della trasformazione neoplastica della cellula staminale emopoietica nelle sindromi mielodisplastiche rimangono in gran parte non chiariti. Alcune anomalie cromosomiche ricorrono con maggiore frequenza nelle sindromi mielodisplastiche. Le più frequenti sono le alterazioni del cromosoma 5, del cromosoma 20, del cromosoma Y (associate a prognosi favorevole), del cromosoma 7 (associata a prognosi sevara) e la trisomia 8 (prognosi intermedia) che rappresenta l’anomalia numerica più frequente nei disordini mieloidi (sindromi mielodisplastiche, leucemie acute mieloidi, malattie mieloproliferative).Circa il 40-60% dei pazienti presentano un cariotipo normal all’analisi citogenetica con tecnica convenzionel (bandeggio G). L’ utilizzazione di approcci più sensibili (citogenetica molecolare, ibridazione in situ fluorescente, FISH) permette di individuare la presenza di lesioni citogenetiche criptiche in una certa percentuale (10-20%) di pazienti con cariotipo normale. Quadro clinico Al momento della diagnosi i pazienti riferiscono più comunemente sintomi correlabili all'anemia, quali affaticabilità (astenia) di grado variabile e difficoltà respiratoria (dispnea), soprattutto in concomitanza di sforzi fisici. Sintomi meno frequenti sono gli episodi infettivi e le manifestazioni emorragiche. Le infezioni (conseguenti alla neutropenia) sono per la maggior parte di tipo batterico, a carattere recidivante e a lenta risoluzione. Nel caso di calo dei valori piastrinici (piastrinopenia) la manifestazione clinica più importante è la comparsa di porpora, ecchimosi o ematomi in occasione di traumi, più raramente epistassi, gengivorragia o sanguinamenti del tratto gastroenterico. Infine in un una certa percentuale di pazienti, la diagnosi è occasionale, cioè sospettata sulla base di alterazioni emerse da un esame emocromocitometrico eseguito nel corso di accertamenti di routine. All'esame obiettivo, in una percentuale ridotta di casi (circa il 15%) si riscontra epatomegalia, splenomegalia o linfoadenomegalie. L’esame emocromocitometrico mostra citopenia mono-trilineare: anemia normo- o pù spesso macrocitica con reticolociti non aumentati, neutropenia (<1.8 x 109/L), piastrinopenia (<100 x 109/L). Lo striscio di sangue periferico rivela la presenza di 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 115 disgranulopoiesi: asincronia maturativi nucleo-citoplasmatica, ipogranulazione, blasti (elementi che hanno subito arresto maturativo) dismegacariopoiesi: micro-megacariociti, megacariociti mononucleari, ipogranularità Figura 2: eritroblasti ferritinici e a sideroblasti ad anello. Sideroblasti "ferritinico" "ad anello" I sideroblasti ad anello sono definiti in base alla presenza di un numero di granuli di ferro >10 (colorazione di Perls) a disposizione perinucleare, che indica una localizzazione a livello mitocondriale. Gli eritroblasti ferritinici presentano un numero minore di granuli che si localizzazo a livello citoplasmatico. Classificazione Le sindromi mielodisplastiche sono state classificate fino ad oggi secondo i criteri formulati dal French-American-British (FAB) Cooperative Group nel 1982 (Tabella 1). Questa classificazione che si avvale esclusivamente di criteri morfologici (citopenia, displasia midollare, percentuale di cellule immature o blastiche nel sangue periferico e midollo, percentuale di sideroblasti ad anello midollari). Essa distingue 5 forme:: l’anemia refrattaria (AR), anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (ASIA), anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB), anemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazione (AREB-t) e leucemia mielomonocitica cronica (LMMC). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 116 Tabella 1 - Classificazione FAB delle sindromi mielodisplastiche Blasti Blasti midollari perif. Corpi Monociti Sideroblasti di Auer ad anello AR <5% < 1% - < 1000 < 15% ASIA <5% < 1% - < 1000 > 15% AREB 5-20% < 5% - < 1000 LMMC < 20% < 5% - > 1000 > 5% or + AREB-t 21-30% Nell’Ottobre del 2002 è stata formulata la nuova classificazione WHO, che incorpora molti dei criteri e delle definizioni del sistema FAB, ma definisce con maggior precisione alcuni sottotipi (Tabella 2). Essa distingue 6 forme principali: anemia refrattaria (AR), anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (ASIA), citopenia refrattaria (senza o con sideroblasti ad anello) con displasia multilineare (RCMD, RS-RCMD), anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB1 e AREB2) , sindrome 5q- (5q). Le principali differenze rispetto alla classificazione precedente riguardano l'esclusione del sottotipo AREB-t, assimilato alla categoria delle leucemie acute mieloidi; l'eliminazione del sottotipo LMMC collocato in un gruppo dei disordini mieloidi con caratteristiche sia delle sindromi mielodisplastiche sia delle malattie mieloproliferative (MDS/MPD); la definizione di una nuova entità clinica, la sindrome 5q- associata a prognosi favorevole. Sindrome 5qQuesta sindrome è definita come una SMD de novo con una isolata anomalia citogenetica che consiste nella delezione delle bande q21 e q32 del cromosoma 5. Interessa con maggiore frequenza il sesso femminile. Dal punto di vista ematologico si presenta come un’anemia (macrocitica) refrattaria, con un numero di piastrine normale o aumentato e un aumentato numero di megacariociti, molti dei quali con nuclei ipolobati. Il numero di blasti nel midollo e nel sangue periferico è inferiore al 5%. E’ associata a prognosi favorevole. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 117 Tabella 2 - Classificazione WHO delle sindromi mielodisplastiche CATEGORIA WHO SANGUE PERIFERICO MIDOLLO OSSEO Anemia refrattaria (AR) Anemia Assenza di o rari blasti Displasia eritroide isolata Blasti <5% Sideroblasti ad anello <15% Anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (ASIA) Anemia Assenza di blasti Displasia eritroide isolata Blasti <5% Sideroblasti anello 15% Citopenia refrattaria con displasia multilineare (RCMD) Citopenie (bi- o trilineare) Assenza di blasti Non corpi di Auer 9 Monociti <1x10 /l Displasia in 10% delle cellule in 2/+ linee mieloidi Blasti < 5% Assenza di corpi di Auer Sideroblasti anello <15% Citopenia refrattaria con displasia multilineare e sideroblasti ad anello (RS-RCMD) Citopenie (bi- o trilineare) Assenza di blasti Non corpi di Auer 9 Monociti <1x10 /l Displasia in 10% delle cellule in 2/+ linee mieloidi Blasti < 5% Assenza di corpi di Auer Sideroblasti anello 15% Anemia refrattaria con eccesso di blasti –1 (AREB-1) Citopenie Blasti < 5% Non corpi di Auer 9 Monociti < 1x10 /l Displasia mono-multilineare Blasti 5-9% Assenza di corpi di Auer Anemia refrattaria con eccesso di blasti –2 (AREB-2) Citopenie Blasti 5-19% Corpi di Auer 9 Monociti < 1x10 /l Displasia mono-multilineare Blasti 10-19% Corpi di Auer Sindrome mielodisplastica non classificata Citopenie Assenza di o rari blasti Non corpi di Auer Displasia monolineare in granulociti o megacariociti Blasti < 5% Assenza di corpi di Auer Sindrome mielodisplastica con isolata del(5q) Anemia < 5 % blasti Piastrine normali o aumentate Blasti: 0-20% Disordini mielodisplastici/mieloproliferativi (MDS/MPD) La leucemia mielomonocitica cronica è stata eliminata dalla categoria delle sindromi 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 118 I criteri per la diagnosi di leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) prevedono: la presenza di monocitosi persistente > 1x109/l, l’assenza di cromosoma Philadelphia o riarrangiamento BCR/ABL, la presenza di blasti nel sangue periferico o nel midollo inferiore al 20%, e la presenza displasia in una o più linee mieloidi. Se la displasia è assente o minima la diagnosi di LMMC può essere formulata se sono presenti gli altri criteri e in aggiunta è presente una anomalia citogenetica clonale, o la monocitosi persiste per almeno 3 mesi e tutte le altre cause di monocitosi sono state escluse. Prognosi La classificazione WHO ha dimostrato un significativo valore prognostico, stratificando sia la sopravvivenza sia il rischio di evoluzione leucemica dei pazienti con sindrome mielodisplastica (Tabella 3). Tabella 3 – Sopravvivenza globale e rischio di evoluzione leucemica dei sottotipi di mielodisplasie definiti dalla classificazione WHO Sopravvivenza mediana (anni) Rischio di evoluzione leucemica a 2 anni AR, ASIA, MDS del(5q) 9 4% RCMD, RCMD-RS 4 15% RAEB-1 2 38% RAEB-2 1 74% Categoria WHO Il sistema prognostico attualmente più utilizzato è l’International Prognostic Scoring System (IPSS), definito nel 1997 (dunque prima dell’introduzione della nuova classificazione WHO) da un gruppo cooperativo internazionale. Questo sistema prende in considerazione la citopenia, la percentuale di blasti midollari (il cui criterio di stratificazione è stato adottato con minime variazioni dalla classificazione WHO), ed il cariotipo (Tabella 4). L’IPSS idenfica 4 differentio gruppi di rischio (basso, 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 119 Tabella 4 - International Prognostic Scoring System (IPSS) Variabili 0 0.5 Blasti midollari <5% 5-10% Cariotipo* Favorevole Intermedio Citopenia 0/1 2/3 1 1.5 2 11-20 21-30 sfavorevole Gruppi di rischio: basso, 0; Intermedio-1, 0.5-1; Intermedio-2, 1.5-2; alto, >2 *Favorevole: normale, del(5q) (alterazione isolata), del(20q) (alterazione isolata), –Y (alterazione isolata);*Sfavorevole: cariotipo complesso (>2 anomalie), anomalie cromosoma 7; *Intermedio: altre anomalie. #Citopenia: emoglobina <10 g/dL, piastrine <100x109/L, neutrofili < 1.8x109/L. Terapia La terapia delle sindromi mielodisplastiche si avvale di diversi approcci, da valutare in funzione delle caratteristiche del paziente (età, performance status) e della malattia (IPSS). Tra gli strumenti terapeutici potenzialmente in grado di dare la guarigione vi sono il trapianto allogenico di cellule staminali periferiche e la chemioterapia aggressiva, da riservarsi a pazienti giovani (con età inferiore a 55 anni per il trapianto da donatore familiare HLA-identico e inferiore a 65 anni per la chemioterapia) con forme di mielodisplasia a rischio intermedio o alto. I pazienti a basso rischio, oppure in età avanzata o con poor performance status sono candidati a terapia di supporto: trasfusioni di globuli rossi, prevenzione e terapia delle infezioni, prevenzione e terapia delle emorragie oppure a terapie sperimentali (Epo + GCSF, induttori della differenziazione, farmaci anticitochinici). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 120 24. Leucemia mieloide acuta Definizione La leucemia acuta mieloide (LAM) è una patologia clonale della cellula staminale emopoietica caratterizzata da proliferazione incontrollata ed arresto della maturazione, con accumulo di cellule mieloidi immature (blasti) nel midollo osseo e soppressione dell’emopoiesi normale. Epidemiologia L’incidenza della leucemia acuta mieloide aumenta sensibilmente con il crescere dell’età; complessivamente risulta di 2-3 casi ogni 100.000 persone per anno. Le LAM rappresentano circa il 15-20% delle leucemie acute del bambino e l’80% delle leucemie acute dell’adulto. Patogenesi Sono stati individuati alcuni fattori di rischio per lo sviluppo di leucemia acuta mieloide, che comprendono fattori ambientali, malattie acquisite, malattie ereditarie (tabella 1). Tabella 1 – Fattori di rischio per lo sviluppo di leucemia acuta mieloide Fattori ambientali: Radiazioni Benzene Farmaci chemioterapici Cloramfenicolo Malattie acquisite: Sindromi mieloproliferative croniche Sindromi mielodisplastiche Anemia aplastica Emoglobinuria parossistica notturna Malattie ereditarie: Anemia di Fanconi Immunodeficienze combinateSindrome di Down Sindrome di Bloom Atassia-telangectasia Sindrome d Wiskott-Aldrich Discheratosi congenita 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 121 Dal punto di vista genetico e molecolare sono state individuate diverse alterazioni che ricorrono con frequenza e specificità variabile nelle LAM. Traslocazione Geni coinvolti Proteina Funzione t(8;21) (q22;q22) ETO-AML1 CBF DNA binding inv 16 (p13-q22) CBF -MYH11 CBF DNA binding t(15;17)(q21;q11) PML-RAR RAR attivatore trascrizionale t(11;17)(q13;q11) PLZF-RAR RAR attivatore trascrizionale t(5;17)(q31;q11) NPM-RAR RAR attivatore trascrizionale t(11;17)(q13;q11) NUMA-RAR RAR attivatore trascrizionale t(9;11)(p22;q23) AF9-MLL MLL regolatore positivo geni omeotici t(11;19)(q23;p13.1) MLL-ENL MLL regolatore positivo geni omeotici Le leucemie acute mieloidi sono state classificate fino all’ottobre 2002 in base ai criteri morfologici e immunocitochimici FAB (French-American-British Classification Group). In tutti i casi, per porre diagnosi di leucemia acuta mieloide, ooccorre che il numero di cellule blastiche presenti a livello midollare sia maggiore o uguale al 20% della cellularità totale. La classificazione FAB distingue i seguenti sottotipi di leucemia acuta mieloide: Leucemia acuta M0 (indifferenziata): è caratterizzata da blasti privi di granuli citoplasmatici e corpi di Auer. Le reazioni citochimiche convenzionali (mieloperossidasi, sudan nero) risultano negative. Per la diagnosi deve essere rilevata la positività per uno o più marker mieloidi (anticorpi monoclonali anti-CD13 e antiCD33) in almeno il 20% dei blasti leucemici. Non è associata ad alterazioni citogenetiche specifiche. Leucemia acuta M1 (senza maturazione): è caratterizzata da blasti mieloidi senza segni di maturazione: non sono presenti granuli citoplasmatici, la cromatina nucleare è fine. Per la diagnosi è necessario evidenziare la positività alla mieloperossidasi ed al Sudan nero in almeno il 3% dei blasti leucemici. La componente granulocitaria con segni di maturazione deve essere uguale o inferiore al 10%. Non è associata ad alterazioni citogenetiche specifiche Leucemia acuta M2 (con maturzione): è caratterizzata da blasti mieloidi nel cui citoplasma è possibile osservare granuli azzurofili o corpi di Auer; a livello nucleare sono ben evidenti nucleoli. La componente granulocitaria con maturazioneè superiore al 10%; la componente monocitaria deve essere inferiore al 20%. Questo sottotipo si 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 122 associa alla traslocazione t(8;21) con il coinvolgimento dei geni AML/ETO (prognosi favorevole). Leucemia acuta M3 (promielocitica): la quasi totalità delle cellule leucemiche è costituita da promilociti atipici con citoplasma ricco di granulazioni azzurrofile e corpi di Auer (variante ipergranulare). La reazione alla mieloperossidasi è intensamente positiva. Questo sottotipo è associato con altissima frequenza alla t(15;17), riarrangiamnto PML/RAR (prognosi favorevole). Esiste una variante ipogranulare della leucemia acuta M3, in cui i granuli non sono visibili alla microscopia ottica ma sono dimostrabili con la microscopia elettronica. L’alterazione citogenetica è la medesima della variante ipergranulare Leucemia acuta M4 (mielomonocitica): per la diagnosi di questa forma deve essere presente oltre a una quota di blasti superiore al 20%, deve essere presente una componente granulocitaria midollare in vari stadi differenziativi maggiore del 20% e una componente monocitaria midollare non inferiore al 20%. Una positività per la mieloperossidasi e la cloro-acetato-esterasi (esterasi specifiche) viene riscontrata nella componente granulocitaria, e una netta positività delle esterasi non specifiche (alfanaftil-acetato-esterasi) è presente nelle cellule monocitarie. Una inv(16), con prognosi favorevole, si associa frequentemente a una variante della LAM-M4 detta con componente eosinofila. Gli eosinofili sono abnormi e nel citoplasma oltre ai granuli specifici sono presenti granuli basofili particolarmente prominenti. Leucemia acuta M5a (monocitica scarsamente differenziata): le cellule monocitiche devono costituire almeno l’80% delle cellule leucemiche; i monoblasti devono costituire almeno l’80% della componente monolitica; la componente granulocitaria se presente deve essere inferiore al 20% delle cellule leucemiche. I monoblasti sono negativi alla mieloperossidasi e positivi alla alfa-naftil-acetato-esterasi (esterasi non specifiche). Questa forma non è associata a alterazioni citogenetiche specifiche. Leucemia acuta M5b (monocitica con differenziazione): per la diagnosi è necessario che i monoblasti siano meno dell’80% della componente monocitaria. I promonociti sono predominanti. Leucemia acuta M6 (eritroleucemia): è caratterizzata dalla coesistenza di blasti mieloidi e eritroblasti abnormi a livello del midollo osseo. I precursori eritroidi sono almeno il 50% delle cellule; almeno il 30% delle cellule non-eritroidi è costituito da mieloblasti. I precursori eritroidi sono displastici e PAS positivi. Le alterazioni citogenetiche sono estremamente variabili. Leucemia acuta M7 (megacariocitaria): la diagnosi di questa forma è esclusivamente immunofenotipica: gli elementio blastici devono essere positivi per gli antigeni CD41, CD42 e CD61 (antigeni piastrinici GpIb, GpIIb/IIIa e GpIIIa). Inoltre la natura megacariocitaria della leucemia può essere evidenziata con la microscopia elettronica mediante la dimostrazione della perossidasi piastrinica delle cellule. Nel 2002 è stata elaborata la classificazione WHO delle neoplasie mieloidi, che si basa su molti criteri inclusi nella precedente classificazione FAB, assegnando tuttavia rilevanza diagnostica ad alcune anomalie molecolari (tabella 2) 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 123 Tabella 2 – Classificazione WHO delle leucemie acute mieloidi. Leucemia acuta mieloide con anomalie genetiche ricorrenti: - LAM con t(8;21) (q22;q22) (AML1/ETO) - LAM con ipereosinofilia midollare e inv(16)(p12q22) o t(16;16) (CBFb/MYH11) - Leucemia acuta promielocitica con traslocazione t(15;17) (q11;q12) (PML/RARa) e varianti - LAM con anormalità 11q23 (MLL) Leucemia acuta mieloide con displasia multilineare: - Evoluzione di MDS o MDS/MPS - Senza pregressa MDS o MDS/MPS, ma con displasia in almeno il 50% delle cellule in 2 o più linee mieloidi Leucemia acuta mieloide e sindromi mielodisplastiche secondarie a terapia: - con agenti alchilanti/radioterapia - con inibitori della topoisomerasi II Leucemia acuta mieloide non altrimenti classificata: - mieloblastica con differenziazione minima - mieloblastica senza segni di maturazione - mieloblastica con segni di maturazione - mielomonocitica - monoblastica/monocitica - eritroide (eritroide/mieloide, eritroleucemia pura) - megacarioblastica - basofila - Panmielosi acuta con mielofibrosi - Sarcoma mieloide Quadro clinico Il quadro clinico delle leucemie acute mieloidi è caratterizzato da sintomi e segni da insufficienza midollare: anemia (pallore, astenia, affaticabilità, palpitazione), piastrinopenia (petecchie, ecchimosi, emorragie cutaneo-mucose), granulocitopenia (infezioni). In particolare nei sottotipi mielomonocitico e monocitico (LAM M4-M5 nella classificazione FAB) si possono riscontrare sintomi e segni da infiltrazione (epato-splenomegalia, linfoadenomegalie, infiltrati cutanei, ipertrofia gengivale, interessamento del sistema nervoso centrale). L’esordio della malattia può anche essere caratterizzato da una coagulazione intravascolare disseminata (CID), in particolare nella leucemia acuta promielocitica (LAM-M3) (vedi oltre), dove questa complicanza è presente in più del 90% dei casi. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 124 Diagnosi L’inquadramento del paziente con leucemia acuta mieloide prevede primariamente l’esame emocromocitometrico, che nella maggior parte dei casi presenta leucocitosi associata ad anemia e piastrinopenia, ma può dimostrare anche anemia e piastrinopenia con leucociti nella norma o pancitopenia. Di fondamentale importanza è la valutazione della coagulazione (attività protrombinica, aPTT, tempo di Quick, fibrinogeno, FDP), al fine di individuare con tempestività l’eventuale presenza di coagulazione intravascolare disseminata prevalentemente associata alla leucemia acuta promielocitica. Per definire la diagnosi occorre eseguire un mieloaspirato, con valutazione morfologica dello striscio di sangue midollare, con quantificazione dei blasti (che devono essere magiori o ugulai al 20% della cellularità totale e con caratterizzazione in immunocitochimica delle cellule leucemiche. La diagnostica moderna delle leucemie acute mieloidi prevede in aggiunta l’esecuzione su cellule midollari dell’analisi immunofenotipica (i principali antigeni di utilità diagnostica sono riportati nella tabella 3) e dell’analisi citogenetica e molecolare per la definizione del rischio di malattia e della prognosi. Tabella 3. Principali antigeni CD di utilità nella diagnostica della leucemia acuta mieloide Antigene Distribuzione CD34 Cellula staminale pluripotente CD33 Progenitori mieloidi CD13 Precursori mieloidi CD14 Monociti CD15 Precursori mieloidi, monociti, granulociti CD11c Monociti, granulociti MPO Precursori mieloidi Glicoforina A Precursori eritroidi CD41, CD61 Piastrine e megacariociti Prognosi I fattori che condizionano più significativamente il decorso clinico dei pazienti affetti da LAM sono l’età, che sia associa a prognosi sfavorevole se superiore a 55-60 anni, e la citogenetica, che consente di individuare alcune forme a prognosi favorevole (basso 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 125 Algoritmo per la definizione del rischio delle leucemie acute mieloidi non M3 Rischio Basso t(8;21), inv(16), t(16;16) Rischio Standard restanti anomalie Rischio Alto -5, -7, del(5q),an(3q), cariotipo complesso LAM secondaria non remissione dopo induzione Terapia La terapia del paziente affetto da leucemia acuta mieloide prevede un trattamento di supporto, che consiste nell’idratazione e nella alcalinizzazione delle urine per prevenire un danno renale dovuto ai prodotti di degradazione cellulare, nella profilassi e nel trattamento delle infezioni, e nella terapia trasfusionale. La terapia anti-leucemica si articola in una fase di induzione della remissione, che prevede una chemioterapia con la finalità di ridurre le cellule leucemiche ad un valore inferiore al 5% delle cellule midollari all’esame morfologico (remissione completa ematologica). A questa fase segue la terapia di consolidamento della remissione, che ha lo scopo di prevenire la riespansione della malattia minima residua (morfologicamente non evidenziabile) che persiste al momento dell’ottenimento della remissione completa. Lo schema chemioterapico più utilizzato nella fase di induzione della remissione è il cosiddetto “3-7”, che prevede l’associazione di daunoblastina (45 mg/m2) o idarubicina (12 mg/m2) per 3 giorni e citosina arabinoside (ara-C) (200 mg/m2 in infusione continua) per 7 giorni. La fase di consolidamento della remissione può avvalersi della chemioterapia, oppure del trapianto di cellule staminali emopoietiche autologhe o allogeniche. Lo schema chemioterapico più utilizzato in questa fase prevede alte dosi di ara-C (2-3 g/m2/12 h x 4-8 dosi), che consente di ottenere una sopravvivenza libera da malattia del 30-40%. Il trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche prevede la somministrazione di dosi più elevate di agenti chemioterapici e garantisce una minore incidenza di recidiva. E’ tuttavia applicabile a pazienti di età inferiore a 65 anni ed è gravato da una mortalità peritrapiantologica del 5% circa (dovuta alla tossicità dei farmaci e a complicanze infettive). La sopravivvenza libera da malattia è con questa procedura è del 40-50% circa. Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (da donatore familiare o non consanguineo) basa la propria efficacia, oltre che sull’effetto citotossico del regime di preparazione radio-chemioterapico, sull’effetto anti-leucemico del sistema immunitario del donatore nei confronti delle cellule leucemiche residue (graft-versus-leukemia, GvL). La procedura è tuttavia applicabile a pazienti di età inferiore a 55 anni ed in buone condizioni 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 126 generali ed è comunque gravata da una transplant-related mortality del 20-40%, dovuta principalmente alla tossicità della radio-chemioterapia, alle complicanze infettive ed alla malattia da trapianto verso l’ospite (graft-versus-host disease, GvHD) acuta e cronica. La sopravvivenza libera da malattia nei pazienti sottoposti ad allo trapianto è del 50-60% circa. Leucemia acuta promielocitica Per le peculiarità biologiche e cliniche merita una trattazione a parte la leucemia acuta promielocitica (LAM-M3 della classificazione FAB), che rappresenta circa il 10% delle leucemie acute mieloblastiche dell’adulto. Patogenesi Nel 98% dei pazienti con LAM-M3 si osserva la traslocazione bilanciata, senza perdita di materiale, formalmente definita come t(15;17)(q22;q21); l’1% dei pazienti non mostra il riarrangiamento all’esame citogenetico convenzionale (riarrangiamento criptico). Nel 1991 metodiche di biologia molecolare dimostrano che la traslocazione determina la giustapposizione del gene PML (promyelocitic leukemia), mappato alla banda 15q22, e RAR (subunità del recettore dell’acido retinico), mappato alla banda 17q21, con la creazione della proteina di chimerica PML-RARA. Il punto di rottura a livello di PML è variabile, localizzandosi in tre diverse “breakpoint cluster regions” (BCR) ed essendo soggetto a fenomeni di “splicing” alternativo. I punti di rottura più frequenti sono i seguenti: Bcr1 (Incidenza: 70%): è situato verso l’estremità 3’ del gene e contiene le sequenze codificate dagli esoni 5 e 6 di PML. Determina la creazione di una proteina chimerica PML/RAR del peso di 110-120kD, definita perciò L=long Bcr2 (Incidenza 10%): è situato all’interno o intorno all’esone 6 di PML. Proteina di fusione di lunghezza variabile, definita perciò V=variable Bcr3 (Incidenza 20%): è il più frequente e cade a livello dell’estremità 5’ del gene PML; fonde gli esoni 1-3 di PML con l’esone 3 di RAR . Proteina di fusione piccola del peso di 90-103kD, definita S=small. Il punto di rottura nel gene RAR è costante essendo sempre localizzato a livello del primo introne del gene. Il gene RAR è un fattore trascrizionale che svolge un ruolo fondamentale nella normale emopoiesi determinando una normale differenzazione cellulare e bloccando la proliferazione cellulare.. Nella LAP la proteina chimerica PML/ RAR è in grado di reclutare un complesso di repressione della trascrizione che agisce attraverso una deacetilazione degli istoni. In questo modo la cromatina assume una conformazione meno accessibile ai fattori necessari a promuovere la trascrizione. L’acido rimuovere differenziativo in modo quasifisiologiche fisiologico,èinin quanto il geneinRAR retinoicoilinblocco forma trans (ATRA) a concentrazioni grado almeno parte di codifica per il recettore dell’ATRA. Esistono traslocazioni varianti: t(11;17)(q13;q11) con riarrangiamento PLZF-RAR , t(5;17)(q31;q11) con riarrangiamento NPM-RAR . 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 127 Quadro clinico L’esordio clinico è caratterizzato in più del 90% dei pazienti da una severa sindrome emorragica dovuta a coagulazione intravascolare disseminata innescata dall’attività procoagulante dei granuli dei promielociti, e che peraltro è frequentemente aggravata dalla iniziale citolisi indotta dalla chemioterapia. Diagnosi L’inquadramento del paziente affetto da leucemia acuta promielocitica prevede: - l’esame obiettivo con particolare riguardo a manifestazioni emorragiche in atto o sospette focolai infettivi in atto o sospetti - l’esame emocromocitometrico, che dimostra generamente anemia, piastrinopenia, leucocitosi/leucopenia - coagulazione (PT, PTT, Fibrinogeno, FDP, D-dimero) che dimostra un aumento degli FDP (da fibrinolisi secondaria), una riduzione del fibrinogeno, un allungamento del PTT e del tempo di trombina (da consumo) - il mieloaspirato: la morfologia mostra rispettivamente nella forma classica ipergranulare promielociti ipergranulari con corpi di Auer e nella variante ipogranulare promielociti microgranulari con nucleo ripiegato e lobulato - il fenotipo immunologico su sangue midollare: nella forma classica ipergranulare i promielociti patologici sono HLA-DR-, CD34-, CD11b-, CD9-, CD33+, CD13+; nella variante ipogranulare: le cellule leucemiche esprimono frequentemente positività per l’antigene CD2 - la citogenetica (convenzionale e/o FISH) su sangue midollare per la ricerca della traslocazione t(15;17)(q22;q21) - la biologia molecolare su sangue midollare o periferico per la ricerca del trascritto PMLRAR . Terapia La terapia del paziente con leucemia acuta promielocitica prevede il trattamento della CID con concentrati piastrinici, plasma fresco congelato, fibrinogeno. Dopo aver documentato la diagnosi la terapia è basata sull’acido retinoico (all-trans-retinoic acid, ATRA), che induce la differenziazione delle cellule leucemiche, in associazione a chemioterapia con antracicline. Uno studio pilota del Gruppo Italiano per lo studio delle Malattie Ematologiche Maligne dell’Adulto (GIMEMA) ha utilizzato un protocollo basato sull’associazione di ATRA ed idarubicina (protocollo “AIDA”) che comprende una fase di induzione della remissione completa (ATRA e idarubicina), una fase di consolidamento con vari cicli chemioterapici (idarubicina e Ara-C; Mitoxantrone ed etoposide; idarubicina, Ara-C e tioguanina). I risultati dello studio hanno evidenziato il conseguimento della remissione completa nel 90% dei casi con risoluzione della coagulopatia in 7-10 gg ed una sopravvivenza globale dell’85%. La terapia con ATRA può presentare alcuni effetti collaterali. Tra i più gravi, ricordiamo l’iperleucocitosi, conseguenza della maturazione dei promielociti e la sindrome da ATRA 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 128 Bersagli molecolari nella terapia delle leucemie acute Traslocazioni cromosomiche sono presenti nel 40% circa dei pazienti affetti da leucemia mieloide acuta (LAM). Sono stati riportati due tipi di traslocazioni: quelle che attivano una particolare tirosina chinasi e quelle che modificano la struttura cromatinica, attivando un complesso che reprime la trascrizione. Il restante 30-50% dei pazienti può invece presentare una mutazione puntiforme di un gene che codifica per un recettore ad attività tirosina chinasica o di un gene che codifica per una proteina coinvolta nei processi di trasduzione del segnale. Una terapia molecolare corretta dovrebbe quindi indirizzarsi verso tali bersagli. Tirosine chinasi Attivazione. Può essere determinata da una traslocazione cromosomica o da una mutazione genica. Una leucemia caratteristicamente associata ad una traslocazione cromosomica che comporta l’attivazione di una specifica tirosina chinasi è la leucemia mieloide cronica Ph1 positiva. Altre traslocazioni che causano l’attivazione costitutiva di una tirosina chinasi sono state riportate nelle sindromi ipereosinofile. Nel 50% delle LAM l’attivazione di una chinasi può essere determinata da una mutazione genica. Il 37% dei pazienti presenta una duplicazione (“internal tandem duplication”, ITD) del gene Flt3, che codifica per un recettore transmembrana ad attività tirosina chinasica. Il recettore, codificato da un gene Flt3 normale, si lega al proprio ligando, si dimerizza e libera la propria attività tirosina chinasica. Quando invece il gene Flt3 presenta una ITD, il recettore tende a dimerizzare spontaneamente in assenza del ligando e si ha un’attivazione costitutiva della chinasi. Il 7% dei pazienti con LAM presenta anche un altro tipo di mutazione a carico del gene Flt3. Si tratta di una mutazione puntiforme che colpisce l’acido aspartico in posizione 835, contenuto in una regione che svolge una funzione di controllo sull’attività chinasica del recettore. Pertanto una mutazione in questa sede elimina tale regolazione e induce l’attivazione della chinasi. Il 10% circa dei pazienti con LAM può presentare una mutazione puntiforme a carico del gene c-KIT, che codifica per un altro recettore ad attività chinasica. Le mutazioni che colpiscono questo gene sono simili a quelle riportate per Flt3 e causano l’attivazione costitutiva della chinasi. Terapia molecolare. L’Imatinib mesilato (Glivec) è una molecola ad attività anti-tirosina chinasica. Tale azione viene svolta perché l’imatinib compete con l’ATP per il legame alla regione ad attività tirosina chinasica del gene di fusione BCR-ABL, prodotto dalla t(9;22) e marcatore specifico della LMC Ph1 positiva. Vari studi hanno dimostrato l’efficacia del Glivec nei pazienti con tale tipo di leucemia. Il Glivec svolge la sua azione inibitoria anche nei confronti di altre chinasi coinvolte nelle sindromi ipereosinofile e nei confronti del gene c-KIT normale o colpito da un particolare tipo di mutazione. Il Glivec non ha però alcuna efficacia sulle mutazioni di Flt3. Pertanto per i pazienti con LAM con mutazione di Flt3 sono state ricercate e sviluppate nuove molecole ad attività anti-tirosina chinasica (PKC412). Studi investigativi diretti a saggiare l’efficacia terapeutica di tali molecole sono tuttora in corso. E’ stato comunque dimostrato che tali inibitori se somministrati da soli sono capaci di indurre un miglioramento delle condizioni cliniche del 20% dei pazienti con LAM con mutazione di Flt3 resistente agli usuali protocolli di chemioterapia. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 129 Alterazioni della struttura cromatinica Traslocazioni cromosomiche. Traslocazioni cromosomiche strettamente correlate ad uno specifico citotipo FAB di LAM attivano un complesso proteico che reprime la trascrizione di specifici geni bersaglio. Una traslocazione che agisce attraverso questo meccanismo è la t(15;17), caratteristicamente associata alla leucemia acuta promielocitica. La traslocazione determina il riarrangiamento del gene PML, mappato in 15q22, con il gene RARA, che codifica per il recettore alfa dell’acido retinoico, mappato in 17q21. Il gene chimerico RARA-PML, formatosi sul cromosoma 17, attiva un complesso che è formato da due repressori della trascrizione e da una deacetilasi istonica. Tale complesso reprime la trascrizione di geni bersaglio importanti per la differenziazione della cellula mieloide. La traslocazione determina quindi un blocco differenziativo. Quest’ultimo viene superato somministrando al paziente acido all trans retinico (ATRA), a dosi superiori rispetto a quelle fisiologiche. L’ATRA ripristina la trascrizione dei geni bersaglio eliminando il legame tra RARA-PML e complesso repressorio. Il gene RARA, oltre che con PML, può riarrangiarsi con altri geni, tra questi bisogna ricordare PLZF. Quest’ultimo, mappato sul cromosoma 11 alla banda q23, si riarrangia con RARA nella traslocazione t(11;17). I pazienti con questa traslocazione presentano una LAM resistente all’ATRA. La resistenza è determinata dal fatto che il gene di fusione PLZF-RARA presenta due regioni di legame al già citato complesso di repressione della trascrizione: una fornita da PLZF e l’altra fornita da RARA. Terapia molecolare. Dati sperimentali ottenuti da modelli murini e dati aneddotici ottenuti in pochi pazienti con LAM resistente all’ATRA indicano che la resistenza all’ATRA può essere superata somministrando ATRA ed inbitori delle deacetilazione degli istoni. Questi ultimi agiscono sulla deacetilasi istonica che partecipa al già citato complesso repressorio. Gli istoni sono proteine che insieme al DNA formano il nucleosoma, subunità fondamentale della cromatina. La trascrizione del nucleosoma dipende dal grado di acetilazione degli istoni. In caso di deacetilazione il nucleosoma è contratto e si ha un blocco della trascrizione mentre nel caso di un’acetilazione degli istoni il nucleosoma è rilasciato ed è favorita la trascrizione. Gli inibitori della deacetilasi degli istoni bloccando tale enzima dovrebbero ripristinare la trascrizione di geni bersaglio e reindurre la differenziazione cellulare. Basandosi su questo razionale e considerando che il complesso repressorio sopra riportato è attivato non solo nei pazienti con LAM-M3 ma anche in quelli con altri citotipi, pazienti con malattia resistente alla chemioterapia sono stati avviati a protocolli di terapia investigativa basati sull’impiego di inibitori delle deacetilasi degli istoni. Inibitori della traduzione del segnale Mutazioni. Quelle più frequenti hanno come bersaglio il gene RAS. Questo gene codifica per una proteina legata alla membrana citoplasmatica e dotata di attività GTPasica. La proteina RAS, che è in grado di formare un legame con GDP e GTP, cicla tra uno stato attivo (legata a GTP) e uno stato inattivo (legata a GTP). Inoltre per essere attivata la proteina deve essere legata alla membrana cellulare. Questo legame è indotto da una modificazione della proteina a livello della sua porzione lipidica, processo che va sotto il nome di prenilazione. Quest’ultima avviene per azione di due enzimi la farnesil- e la geranilgeranil-transferasi. Le mutazioni puntiformi di RAS, che hanno un’incidenza del 20%, colpiscono i codoni 12, 13 e 61 e mantengono RAS nella sua forma attiva legata a GTP. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 130 Terapia molecolare. La prenilazione di RAS può essere bloccata utilizzando inibitori della farnesilazione (Zarnestra). Si ritiene così di bloccare il legame di RAS alla membrana cellulare e la sua conseguente attivazione. Gli inibitori della farnesilazione potrebbero avere un ampio impiego nelle LAM, inducendo un arresto della crescita cellulare e l’apoptosi. Nonostante i numerosi studi sperimentali il meccanismo d’azione di queste molecole è tuttora da definire. Siccome la risposta agli inibitori della farnesilazione non correla con lo stato di RAS, si ritiene che essi agiscano impedendo la farnesilazione di altre proteine che a loro volta svolgono un ruolo cruciale in vari processi cellulari. Comunque sia, studi in vitro hanno dimostrato che gli inibitori della farnesilazione potrebbero essere efficacemente impiegati nella LMC Ph1 positiva resistente alla terapia con STI e nelle leucemia acuta linfoblastica Ph1 positiva. Inoltre i pochi studi investigativi sino ad ora condotti nei pazienti con LAM resistente a vari protocolli di chemioterapia hanno dimostrato una risposta clinica, che consisteva in una remissione parziale nel 32% dei casi. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 131 25. Leucemia linfatica (o linfoblastica) acuta Definizione La leucemia acuta linfoblastica è una malattia clonale dei progenitori linfoidi caratterizzata da proliferazione incontrollata ed arresto della maturazione, con accumulo di cellule immature (blasti) nel midollo osseo e soppressione dell’emopoiesi normale. Epidemiologia L’incidenza globale è di circa 2 casi ogni 100.000 persone per anno. Rappresenta la neoplasia più comune dell’infanzia (76% delle leucemie del bambino). E’ meno frequente nell’età adulta, costituendo il 24% dei casi complessivi di leucemie. Patogenesi Sono stati individuati fattori di rischio per lo sviluppo della leucemia acuta linfoblastica. Tra i fattori ambientali riveste un ruolo importante l’esposizione a radiazioni ionizzanti, benzene, farmaci chemioterapici e pesticidi. Inoltre si ritiene che possano avere un ruolo patogenetico alcune infezioni virali, in particolare HTLV-1 e EBV. Infine, è noto che nell’ambito di alcune malattie congenite (sindrome di Down, immunodeficenza congenita o acquisita, anemia di Fanconi, sindrome di Bloom, atassia teleangectasia) esista una maggiore incidenza di leucemie acute linfoblastiche. Alterazioni cromosomiche sono riscontrabili nel 68-85% dei casi. Alcune ricorrono con maggiore frequenza: si tratta in primo luogo di aberrazioni numeriche (ipodiploidia, che occorre nel 4-8% dei casi; e iperdiploidida che è presente nel 15-30% dei soggetti) e aberrazioni strutturali, in particolare traslocazioni cromosomiche [t(9;22) con la presenaza del cromosoma Ph’ nell’11-29% dei casi; t(4;11) nel 3-4% dei casi; t(8;14) nel 5% dei casi; t(1;19) nel 2-3% dei casi]. Fatta eccezione per il cariotipo iperdiploide, tutte le altre alterazioni cariotipiche descritte (in particolare la presenza del cromosoma Philadelphia) sono associate a malattia biologicamente aggressiva e a prognosi sfavorevole. Classificazione Le leucemie acute linfoblastiche possono essere classificate dal punto di vista 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 132 I blasti leucemici possono essere anche caratterizzati sulla base dell’espressione di marcatori di superficie mediante l’analisi immunofenotipica. Sulla base dell’espressione di antigeni CD vengono distinti i seguenti sottottipi: Sottotipo CD Frequenza Caratteristiche cliniche Origine B cellulare (CD19; CD22; CD79a; cIg; sIg) Pre-pre B 11% HLA-DR+, TdT+, CD19+ CD10- Bambini (5%), Adulti (11%); leucocitosi, interessamento SNC; prognosi sfavorevole Pre-B common 51% HLA-DR+, TdT+, CD10+, CD19+ Bambini (63%), Adulti (52%); leucopenia; prognosi favorevole Pre-B 10% HLA-DR+, TdT+, CD10±, IgMcyto+ Bambini (16%), Adulti (9%); leucocitosi B maturo 4% HLA-DR+, CD10±, CD19+, Ig k/ + Bambini (3%), Adulti (4%); leucocitosi, interessamento SNC e addominale e renale; prognosi attualmente migliorata Origine T cellulare (CD7; CD3; TcR) Pre-T 7% T maturo 17 % TdT+, CD3cyto+, CD7+ Bambini (1%), Adulti (6%); predominanza maschile; leucocitosi, malattia extramidollare; prognosi sfavorevole TdT+, CD2+, CD3+ Bambini (12%), Adulti (18%); predominanza maschile; leucocitosi, malattia extramidollare Quadro clinico La maggior parte dei pazienti ricorre al medico per manifestazioni che sono l’espressione dell’insufficienza midollare: pallore, astenia, affaticabilità, palpitazione (anemia), petecchie, ecchimosi, emorragie cutaneo-mucose (piastrinopenia) e infezioni (leucocitosi con granulocitopenia). Fra i segni clinici più frequentemente apprezzabili (50% circa dei pazienti) sono da annoverare le linfoadenomegalie splenomegalia e l’epatomegalia, legate all’infiltrazione leucemica. Nel 15% circa dei casi è presente un impegno mediastinico con sintmi ad esso correlati (tosse stizzosa, dispnea, versamento pleurico). Un quadro clinico particolare è relativo alla localizzazione testicolare negli individui di sesso maschile e ovarica nelle pazienti di sesso femminile, che sono relativamente rare in fase di esordio della malattia, ma che assume una particolare rilevanza nelle recidive. Infine, nell’ambito delle leucemie linfoblastiche si osserva il coinvolgimento del sistema nervoso centrale (meningosi leucemica con segni di ipertensione endocranica quali vomito, cefalea, rigidità nucale; disturbi oculari quali fotofobia e diplopia; disturbi 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 133 Senza una adeguata profilassi tuttavia, ben il 50-75% dei pazienti sviluppa una recidiva di malattia meningea. Diagnosi L’inquadramento diagnostico della leucemia acuta linfoblastica prevede l’esame emocromocitometrico che dimostra generalmente anemia, piastrinopenia e leucocitosi/leucopenia; la valutazione microscopica dello striscio di sangue periferico, una valutazione della coagulazione e della funzionalità cardiaca, renale, ed epatica, ed il mieloaspirato per valutazione morfologica, analisi cromosomica e fenotipo immunologico. Prognosi Alcuni fattori condizionano più significativamente la prognosi della leucemia acuta linfoblastica. Sono rappresentati essenzialmente dall’età e dalle cartteristiche biologiche della malttia (presenza di leucocitosi, fenotipo immunmologico e alterazioni citogenetiche). La combinazione di questi elementi fornisce il rischio correlato alla malattia ematologica. Fattori prognostici nella leucemia linfoblastica acuta Fattori Alto rischio Rischio standard Cariotipo t(9;22), t(1;19) Iperdiploidia t(4;11), ipodiploidia Immunofenotipo Età: LAL pre-T LAL-Common LAL pro-B LAL-T bambini < 6 mesi 1- 9 anni adulti > 35 anni 9 < 35 anni Leucociti > 30 x 10 /L < 30 x 109/L Tempo per RC > 4 settimane < 4 settimane Terapia La leucemia linfoblastica acuta è una delle emopatie maligne per le quali è stto raggiunto un significativo migliortamento terapeutico negli ultimi anni. La terapia della leucemia acuta linfoblastica prevede una fase di supporto con idratazione, alcalinizzazione delle urine, antiuricemici (allopurinolo) e uricosurici, terapia 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 134 La terapia di induzione ha lo scopo di ridurre le cellule leucemiche al di sotto del 5% delle cellule midollari: l’ottenimento di tale risultato configura la situazione definita remissione completa ematologica. Classicamente è condotta con una combinazione di fgarmaci che include vincristina, prednisone e antracicline (daunoblastina, adriblastina, idarubicina); è comune associare questa triade di farmaci all’uso di L-asparaginasi. La profilassi meningea è indispensabile, dal momento che i farmaci della terapia di induzione convenzionale non superano la barriera ematoencefalica (santuario immunologico). Deve seguire immediatamente l’ottenimento della remissione completa; se non viene eseguita vi è un rischio ricaduta meningea superiore al 40% entro i 2 anni. Lo schema classico di profilassi meningea prevede l’utilizzazione di radioterapia craniale e di methotrexate intratecale; il principale effetto collaterale è costituito dalla neurotossicità da radioterapia. Altre modalità di profilassi meningea di pari efficacaia prevedono l’uso di methotrexate intratecale abbinato o meno ad Ara-C soministrato a tempi prestabiliti durante l’induzione, il consolidamento ed il mantenimento. Se la profilassi meningea viene eseguita correttamente, la probabilità di una recidiva di malattia al sistema nervoso centrale è ridotta al 10%. La terapia di consolidamento della remissione: ha la finalità di eliminare la malattia minima residua (non evidenziabile morfologicamente) che persiste al momento dell’ottenimento della remissione completa e che rappresenta la causa delle ricadute. Viene eseguita utilizzando più farmaci non cross-resistenti (mitoxantrone ciclofosfamide Ara-C VP-16) Infine la terapia di mantenimento viene generalmente eseguita con 6-mercaptopurina per os e methotrexate i.v., più reinduzioni periodiche con vincristina e prednisone. Il periodo totale di durata della tarpia di mantenimento negli attuali protocolli di terapia è di circa due anni. I protocolli attualmente impiegati consentono di ottenere percentuali di remissione completa superiori al 95% nel bambino, dell’80% circa nell’adulto. La sopravvivenza a 5 anni nei bambini superiore 60%, mentre negli adulti è di circa il 20-30%. Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche è indicato con età inferiore a 55 anni che dispongano di un donatore compatibile familiare o non consanguineo. La procedura è gravata da una transplant-related mortality del 20-40%, mentre la sopravvivenza libera da malattia è del 40-60%. Dall’analisi dei risultati ottenuti nelle diverse categorie di rischio con il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche e con la sola chemioterapia (vedi tabella) emerge come il trapianto sia effettivamente vantaggioso in termini di remisioni di lunga durata nel gruppo ad alto rischio, mentre i risultati siano comparabili all’utilizzo della sola 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 135 Categoria di rischio Trapianto allogenico Chemioterapia Globale 46% 31% Alto rischio 44% 11% Rischio standard 49% 43% Leucemia-linfoma di Burkitt La leucemia-linfoma di Burkitt è più frequente nei bambini e nei giovani adulti. Se ne distinguono una forma endemica (africana) strettamente correlata all’infezionede EBV ed una forma sporadica (americana) raramente associata all’infezione da EBV. Una terza variante è associata all’infezione da HIV. Ha un fenotipo B maturo (CD34-, TdT-, CD10-, CD19+, CD79 +), con espressione delle immunoglobuline di superficie (restrizione monotipica per k o ) e assenza delle immunoglobuline citoplasmatiche. I linfoblasti hanno medie dimensioni, nucleo convoluto e citoplasma riccamente basofilo ricco di vacuoli contenenti sostanze lipidiche. In genere sono presenti 2-3 nucleoli in regione periferica. Numerosissime sono le figure mitotiche. Frammisti ai linfoblasti si osservano molti macrofagi di grosse dimensioni e citoplasma chiaro che donano al preparato istologico uil tipico aspetto a “cielo stellato”. Dal punto di vista genetico il linfoma di Burkitt è caratterizzato da traslocazioni cromosomiche che coinvolgono l’oncogene c-myc che mappa sul cromosoma 8 ed i geni delle immunoglobuline (cromosomi 2, 14 e 22). Caratteristiche citogenetiche e molecolari Traslocazione Frequenza Geni coinvolti Oncogene Conseguenza alterato funzionale t(8;14) 75% MYC; IgH MYC t(8;22) 16% MYC; IgL MYC t(2;8) 8% IgK; MYC MYC deregolazione espressione deregolazione espressione deregolazione espressione 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 136 Presentazione clinica Nelle forme endemiche coinvolge caratteristicamente le ossa facciali, mentre nelle aree non endemiche colpisce linfonodi, midollo osseo, ovaio, mammella rene. Il coinvolgimento midollare (leucemico) rappresenta un afttore prognostico negativo. La tabella seguente illustra le principali sedi di localizzazione della malattia. Localizzazione Leucemia-linfoma in HIV-pos 7-18% 70-90% Raro 25-30% Mediastino Midollo osseo <5% 20% <5% 33% Sistema nervoso centrale Linfoadenomegalie 20% 20% 42% raro Mascella-mandibola Addome 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 137 26. Linfoma di Hodgkin Il linfoma di Hodgkin è una malattia linfoproliferativa caratterizzata dal punto di vista istopatologico dalla presenza di una minoranza di cellule neoplastiche (cellule di Reed Sternberg, cellule di Hodgkin), di derivazione linfocitaria, per lo più di linea B, inserite in un “background” di cellule infiammatorie. La derivazione linfocitaria è certa ed ha indotto a sostituire i vecchi termini di “malattia di Hodgkin”, “morbo di Hodgkin”, con la dizione di “linfoma di Hodgkin” Sotto il termine di linfoma di Hodgkin (LH) sono comprese due entità nosologiche: il linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulare, ed il linfoma di Hodgkin classico. Epidemiologia L’incidenza del linfoma di Hodgkin è pari a 2-3 casi ogni 100.000 abitanti per anno ed il rapporto maschi/femmine è pari a 1,5:1. Costituisce meno dell’1% di nuovi casi di tumore negli USA. La curva dell’età di incidenza è bimodale, con un picco tra 15 e 30 anni ed uno dopo i 60 anni. Il linfoma di Hodgkin rappresenta circa il 30% di tutti i linfomi. Classificazione istologica del linfoma di Hodgkin (classificazione WHO, 1997) La classificazione delle malattie linfoproliferative redatta dalla World Health Organization (WHO) nel 1997 ha distinto due entità nell’ambito del linfoma di Hodgkin (Tabella 1), il linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulare ed il linfoma di Hodgkin classico, che possiedono peculiari caratteristiche cliniche, morfologiche ed immunofenotipiche. Il linfoma di Hodgkin classico comprende quattro sottotipi: sclerosi nodulare, cellularità mista, ricco in linfociti, a deplezione linfocitaria. Questi sottotipi differiscono per clinica, sedi di interessamento, morfologia, frequenza di infezione da EBV ma hanno in comune un identico fenotipo della cellula neoplastica. Tabella 1 – Classificazione istologica del linfoma di Hodgkin ________________________________________________ 1. LH a predominanza linfocitaria nodulare; 2. LH classico: a. sclerosi nodulare, b. cellularità mista, c. ricco in linfociti, d. a deplezione linfocitaria. ___________________________________________________________ 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 138 Aspetti istopatologici del linfoma di Hodgkin Linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulare La struttura dei linfonodi è nodulare. Sono tipiche le cellule “Reed Sternberg variants” (nuclei vescicolosi, plurilobati, piccoli nucleoli) con aspetto “pop-corn”, che sono positive per i marcatori B (CD20, CD79a) e producono immunoglobuline (Ig), mentre sono negative per i marcatori tipici delle cellule Reed Sternberg classiche (CD30, CD15). Tali cellule appaiono disperse entro un contesto di piccoli linfociti, istiociti e cellule epitelioidi. Le cellule “pop-corn” dimostrano un riarrangiamento monoclonale dei geni delle immunoglobuline. Le regioni variabili delle catene pesanti denotano mutazioni somatiche “ongoing”, tipiche delle cellule B del centro germinativo. Si considera in genere come precursore della neoplasia il centroblasto del centro germinativo. Vi è una costante negatività per il virus di Epstein-Barr, a differenza del linfoma di Hodgkin classico. Linfoma di Hodgkin classico In tutti i sottotipi istologici sono presenti le cellule Reed-Sternberg, che presentano un nucleo bilobato o due nuclei, un macronucleolo eosinofilo, cromatina dispersa ed un ampio citoplasma lievemente basofilo. Le cellule di Hodgkin possiedono le stesse caratteristiche ma sono mononucleate. Tali cellule esprimono tipicamente i marcatori CD30 e CD15. Altro elemento caratteristico è la cellula “mummificata” (ampie dimensioni, nucleo picnotico, citoplasma consensato). Il tipo di background cellulare varia con il sottotipo istologico. La cellule Reed-Sternberg sono in grado di secernere citochine con un pattern anomalo ed hanno i recettori delle stesse: ciò determina la presenza di una ricca quota infiammatoria, di eosinofili e di fibroblasti. Nella maggior parte dei casi le cellule Reed-Sternberg presentano riarragiamento per i geni delle immunoglobuline, con mutazioni somatiche delle regioni variabili delle catene pesanti, caratteristica delle cellule B dei centri germinativi. Si ipotizza quindi una derivazione da tali cellule. Non vengono prodotte immunoglobuline, come nel linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulare; ciò è dovuto ad un’inattivazione della trascrizione, causata dal deficit di un fattore di trascrizione (ottamero dipendente, indicato come Oct2). Normalmente le cellule B che hanno perso la capacità di produrre immunoglobuline vanno incontro ad apoptosi. Questo non succede per cellule ReedSternberg, poichè la via apoptotica è bloccata. E’ documentata una maggiore incidenza nei pazienti con pregressa mononucleosi infettiva. Vi sono differenti percentuali di positività per EBV a seconda del sottotipo istologico. Nei paesi in via di sviluppo e nei pazienti HIV, l’infezione da EBV raggiunge il 100%. Le cellule infettate esprimono le proteine virali LMP1 e EBNA-1, mentre sono negative per EBNA-2: questo profilo è tipico di una infezione latente da EBV. Linfoma di Hodgkin a sclerosi nodulare I noduli sono circondati da bande di collagene birifrangente. Le cellule hanno nucleoli piccoli e presentano retrazione del citoplasma rispetto al background circostante per cui appaiono disposte entro una lacuna (“cellule lacunari”). È effettuabile un grading (1° e 2°) in relazione al numero di cellule Reed-Sternberg. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 139 Linfoma di Hodgkin a cellularità mista Le cellule Reed-Sternberg sono tipiche ed inserite in un “milieu” a composizione variabile: eosinofili, neutrofili, plasmacellule, istiociti, cellule epitelioidi talora formanti granulomi. È il sottotipo che esprime più frequentemente le proteine dell’EBV (LMP1 nel 75% dei casi). Linfoma di Hodgkin ricco in linfociti Il pattern è nodulare (più frequentemente) o diffuso. I noduli presentano residui di centri germinativi eccentrici con cellule Reed-Sternberg disposte nelle zone mantellari espanse. Per una diagnosi differenziale corretta rispetto al linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulare è essenziale la positività per CD30 e CD15 delle cellule ReedSternberg. Linfoma di Hodgkin a deplezione linfocitaria Predominano le cellule Reed-Sternberg con aspetto sarcomatoso. Vi sono problemi di diagnosi differenziale con i linfomi non-Hodgkin a grandi cellule anaplastiche CD30+. In alcuni casi predomina la fibrosi con scarse cellule Reed-Sternberg. I soggetti HIV-positivi presentano costantemente infezione da EBV. Caratteristiche cliniche e circostanze della diagnosi Il 60-80% dei casi di linfoma di Hodgkin si presenta con adenopatie cervicali. Nel 90% dei casi la malattia è sopradiaframmatica con interessamento dei linfonodi cervicali, sopraclaveari, mediastinici, degli ili polmonari ed ascellari. Nel 10% circa dei casi vi è una presentazione mediastinica isolata. Raro è l’interessamento delle sedi extranodali, del midollo osseo, del tratto gastroenterico e del sistema nervoso centrale Le adenopatie in genere non sono dolenti, sono di consistenza duro-parenchimatosa, non aderenti alle strutture vicine e spesso ben isolabili. Nei casi diagnosticati in fase avanzata possono presentarsi come voluminosi "pacchetti" linfonodali a superficie irregolare (adenopatie conglomerate) Il 25-30% dei pazienti presenta all'esordio sintomi che sono definiti “sistemici”, che comprendono febbre persistente o ricorrente con temperatura superiore a 38°C nel mese precedente senza altre cause apparenti, un calo ponderale superiore al 10% del peso corporeo negli ultimi sei mesi, sudorazioni notturne profuse nel mese precedente. Tali sintomi sono anche definiti come sintomi “B”. La presenza di uno o più di questi sintomi è rilevante dal punto di vista prognostico, e viene specificata, nella stadiazione della malattia (vedi oltre), dalla presenza della lettera “B”, accanto all’indicazione dello stadio clinico. Per contro, nel caso in cui questi sintomi non siano presenti, lo stadio clinico sarà affiancato dalla lettera “A” (vedi oltre). Un altro sintomo talvolta riferito dai pazienti con linfoma di Hodgkin è il prurito, che tuttavia non è formalmente incluso tra i sintomi B. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 140 Diagnosi La diagnosi di linfoma di Hodgkin deve essere necessariamente istologica mediante biopsia di un intero linfonodo o di una sede extranodale interessata. In caso di più stazioni interessate, è preferibile evitare i linfonodi inguinali, che sono più frequentemente sede di processi infiammatori pregressi. Esami ematologici ed ematochimici In caso di malattia localizzata gli esami di laboratorio possono essere tutti nella norma o alterati solo in modo modesto. Negli stadi più avanzati (specie se vi sono sintomi B) possono comparire alterazioni di laboratorio caratteristiche di uno stato infiammatorio: anemia da malattia cronica, modesta leucocitosi neutrofila, eosinofilia, linfopenia, VES elevata, frazione 2 delle sieroproteine aumentata, fibrinogeno elevato, fosfatasi alcalina aumentata, possibile alterazione degli enzimi epatici, cupremia (livello sierico del rame) elevata, anergia alla intradermoreazione alla tubercolinica (deficit dell’immunità cellulo-mediata). Indagini radiologiche e scintigrafiche Una fase essenziale del procedimento diagnostico è rappresentata dalle indagini di imaging (radiografia, ecografia, TAC, etc...), che permettono di evidenziare l’eventuale interessamento di stazioni linfonodali profonde e organi, non rilevabile all’esame obiettivo. La radiografia standard del torace in 2 proiezioni (anteroposteriore e laterale) evidenzia l’eventuale adenopatia mediastinica. Questa viene definita adenopatia "bulky" se di diametro superiore ad un terzo del diametro toracico misurato all'altezza di T5-T6 o superiore a 10 cm. L’ecografia addominale è utile per l'esplorazione di fegato, milza, ilo epatico e splenico, delle regioni peripancreatiche e delle altre stazioni linfonodali. La TAC di torace e addome evidenzia adenopatie patologiche ilo-mediastiniche non evidenziabili con la radiografia standard, localizzazioni parenchimali polmonari, spleniche ed epatiche di tipo focale, adenopatie addominali dell'ilo splenico ed epatico, lomboaortiche, iliache, mesenteriche. La risonanza magnetica nucleare possiede un maggior potere di risoluzione rispetto alla TAC, specie per la valutazione dei grossi vasi e del collo La scintigrafia con Gallio67 è utile soprattutto per la valutazione di adenopatie residue mediastiniche dopo terapia (nella cosiddetta fase di restaging), mentre, non aggiunge informazioni utili rispetto alle indagini convenzionali (TAC) al momento della diagnosi. La maggiore sensibilità di questa indagine è basata sul fatto che solo le masse costituite da tessuto linfomatoso attivo captano il gallio, mentre il tessuto cicatriziale risulta non captante. LA PET (Positron Emission Tomography) con fluoro-deossiglucosio, è più accurata della scintigrafia con gallio ed è in grado di evidenziare tessuto linfatico metabolicamente 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 141 cicatriziale ed un’adenopatia, radio/chemioterapia. sede di malattia attiva persistente dopo la Tra le tecniche di stadiazione ora non più usate, vale la pena di ricordare la linfografia addominale per via bipedale che opacizza i linfonodi inguino-crurali, pelvici, iliaci comuni, iliaci esterni, lombo-aortici, rivelando dimensioni e difetti di riempimento di tipo patologico. Tale tecnica aveva il limite di non evidenziare i linfonodi dell'ilo epatico e splenico, dell'asse celiaco e mesenterici. Era una tecnica di seconda linea, ora in disuso, superata da nuove indagini strumentali di imaging. In passato era utilizzata anche la laparotomia esplorativa con splenectomia (per l'esame istologico) e prelievi bioptici epatici e di eventuali adenopatie addominali. Attualmente è abbandonata in favore di indagini meno invasive (TAC, RM, Ecografia) e per il rischio derivante dalla splenectomia (sepsi da batteri capsulati nei più giovani; rischio correlato alla piastrinosi post-splenectomia) Diagnosi differenziale La diagnosi differenziale del linfoma di Hodgkin deve considerare essenzialmente le possibili cause di linfoadenomegalie, che comprendono infezioni, malattie linfoproliferative (linfomi non Hodgkin), metastasi linfonodali di neoplasie non ematologiche, sarcoidosi. La diagnosi differenziale deve essere basata sul quadro clinico, sulle caratteristiche semeiologiche della linfoadenomegalia ed in ultima analisi, sull’esame istologico. Per quanto riguarda le caratteristiche cliniche, il linfoma di Hodgkin differisce dai linfomi non-Hodgkin B per alcuni fattori. Il linfoma di Hodgkin ha maggiore incidenza nel giovane/adulto, con origine preferenziale dai linfonodi latero-cervicali e progressione prevedibile da una stazione linfonodale alla stazione contigua. I linfomi di Hodgkin hanno scarsissima tendenza alla leucemizzazione ed eccellente risposta alla terapia nella maggior parte dei casi. Stadiazione La stadiazione è la valutazione clinico-patologica dell'estensione della malattia alla diagnosi. Si esegue mediante esame obiettivo, indagini strumentali e di laboratorio. Gli esami radiologici per lo studio delle stazioni linfonodali mediastiniche e addominali sono la radiografia standard del torace, l’ecografia addominale, e la TAC di collo, torace e addome. La stadiazione viene completata con la biopsia osteomidollare per evidenziare l’eventuale interessamento osseo, che è rara negli stadi iniziali, mentre diventa più probabile se la malattia è avanzata e vi sono sintomi sistemici. Sono opzionali per la stadiazione la laparoscopia e la biopsia epatica. La stadiazione dei linfomi si basa sul sistema di stadiazione di Ann Arbor, basata sulla localizzazione sovra- o sotto-diaframmatica e sul numero delle stazioni linfonodali interessate, e sull’eventuale interessamento di organi o tessuti extranodali (Tabella 2). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 142 Tabella 2 - Sistema di stadiazione di Ann Arbor I STADIO Interessamento di una singola stazione linfonodale o di una singola struttura linfonodale (quale milza, timo ed anello di Waldeyer) II STADIO Interessamento di due o più stazioni linfonodali dallo stesso lato del diaframma (il mediastino è considerato una singola sede, mentre i due ili polmonari sono considerati sede separate: se entrambi gli ili sono interessati, questo costituisce di per sé uno stadio II) III STADIO Interessamento di stazioni linfonodali o di strutture linfonodali situate su entrambi i lati del diaframma III1 Interessamento sottodiaframmatico limitato a milza ed a linfonodi dell’ilo splenico, del tronco celiaco e portali III2 Interessamento sottodiaframmatico esteso a linfonodi paraaortici, iliaci o mesenterici, oltre all’interessamento delle strutture di III1 IV STADIO Interessamento di sedi extranodali diverse da quelle designate come E, oppure interessamento di almeno due sedi extranodali, oppure interessamento del fegato o del midollo osseo Nota: abbreviazioni per designare le sedi istologicamente interessate dalla malattia. N: linfonodo; E: interessamento isolato di tessuto extralinfatico, con esclusione di fegato e midollo osseo; H: fegato; L: polmone; M: midollo osseo; S: milza; P: pleura; O: osso; D: cute. Come già accennato, lo stadio definito secondo la classificazione di Ann Arbor viene affiancato dalla lettera “A” se non sono presenti i sintomi sistemici definiti in precedenza, o dalla lettera “B” nel caso in cui siano presenti uno o più sintomi sistemici (sintomi B, per l’appunto). Per esempio, un paziente che abbia un linfoma di Hodgkin in stadio II e presenti calo ponderale (superiore al 10% del peso corporeo negli ultimi sei mesi), avrà una malattia classificata in stadio II B, mentre un paziente che non presenti alcun sintomo sistemico sarà in stadio II A. Fattori prognostici La prognosi dei pazienti con linfoma di Hodgkin è condizionata negativamente da alcuni fattori, che possiamo schematicamente suddividere in fattori correlati alla massa 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 143 Tabella 3 - Hasenclever Score 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Albumina sierica < 4 g/dL Emoglobina < 10,5 g/dL Sesso maschile Stadio IV Età 45 anni Leucociti 15000/ L Linfociti < 600/ L o < 8% nella formula leucocitaria I pazienti che non hanno nessuno dei fattori di rischio considerati, hanno una probabilità che la malattia non progredisca dopo la terapia pari all’80% circa, mentre i pazienti con 5 o più fattori hanno una probabilità del 40% circa. Terapia La terapia del linfoma di Hodgkin viene scelta sostanzialmente in base allo stadio clinico ed alla presenza di sinotmi sistemici e fattori prognostici negativi. Malattia localizzata (stadi I e II) senza fattori di rischio quali mediastino bulky, grosse adenopatie, sintomi B La terapia di scelta è la combinazione di chemioterapia e radioterapia sulle stazioni linfonodali interessate (involved fields). Gli stadi iniziali laterocervicali alti potrebbero essere trattati con la sola radioterapia. I campi di irradiazione per la radioterapia sono principalmente il cosiddetto campo “a mantellina” che prevede l’irradiazione sulle regioni linfonodali sopradiaframmatiche (laterocervicali-sopraclaveari, mediastiniche, ascellari bilaterali) con schermatura di tiroide, polmone cuore, ed il cosiddetto campo “a Y rovesciata”, che prevede radioterapia sui linfonodi paraortici, sulla milza, sui linfonodi iliaci ed inguinali. La tendenza attuale per tutti gli stadi iniziali è una chemioterapia limitata, seguita da una nuova stadiazione della malattia (restaging) e da una radioterapia di consolidamento sulle sedi iniziali di malattia. Lo schema di chemioterapia oggi utilizzato è il cosiddetto ABVD (Doxorubicina, Bleomicina, Vinblastina, Dacarbazina), che è stato preferito allo schema precedentemente utilizzato, il cosidetto MOPP (Mostarda azotata, Vincristina, Procarbazina, Prednisone) in quanto più efficace, non gonadotossico e non mutageno (non leucemie secondarie), mentre la MOPP è gonadotossica e mutagena, a causa della presenza di farmaci alchilanti. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 144 esempio mediastino). Le remissioni sono tra il 75 ed il 90 %; la sopravvivenza libera da recidiva è pari al 60-80 % a 5 anni. Terapia di seconda linea per le recidive dopo chemioterapia Nel caso in cui la malattia si ripresenti dopo un intervallo di tempo superiore a un anno dal primo trattamento, generalmente può essere ripetuto il ciclo di chemioterapia utilizzato in precedenza. Se tuttavia la recidiva di malattia avviene entro 12 mesi dal primo trattamento, è generalmente indicato utilizzare schemi differenti, dal momento che si può ragionevolmente ipotizzare che le cellule neoplastiche siano scarsamente sensibili o resistenti agli agenti impiegati nella terapia iniziale. In questi pazienti dopo la chemioterapia è inoltre indicato procedere alla mobilizzazione ed alla raccolta di cellule staminali emopoietiche (che saranno criopreservate in azoto liquido), al fine di procedere, dopo il conseguimento della remissione clinica, ad un trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (per gli aspetti clinico-biologici vedi capitolo 41 “Trapianto di cellule staminali”). Il trapianto autologo ha la funzione di “consolidare” lo stato di remissione ottenuto con la chemioterapia, consentendo di ottenere percentuali di remissione clinica a lungo termine significativamente più elevate della sola chemioterapia. Sequele della chemioterapia e della radioterapia Sia la radiocherapia che la chemioterapia sono gravate da vari effetti collaterali. La radioterapia può essere complicata a breve termine da faringite, esofagite, disturbi del gusto, nausea. Gli effetti collaterali a lungo termine comprendono fibrosi polmonare, pericardite, cardiopatia, ipotiroidismo, neoplasia mammaria nell’irradiazione a mantellina, e amenorrea nell’irradiazione sottodiaframmatica. La soministrazione di chemioterapia è generalmente associata a nausea, vomito, citopenia, oltre che da effetti tossici specifici dei singoli antiblastici. A lungo termine le complicanze possono essere costituite da tossicità gonadica, nei protocolli con alchilanti e procarbazina come il MOPP (ABVD è invece poco gonadotossico). Vanno inoltre considerate tossicità polmonare (bleomicina), tossicità cardiaca (adriblastina), specie se associata a radioterapia a dosi elevate (la dose cumulativa massima di adriblastina non cardiotossica è pari a 450 mg/m2, compatibile con massimo 40 Gy RT mediastinica). I pazienti trattati con radio/chemioterapia, in particolare con terapie combinate associanti alchilanti e radioterapia estesa, hanno un aumentato rischio di sviluppare seconde neoplasie, in particolare mielodisplasie, leucemie, linfomi non Hodgkin, tumori solidi (per tale motivo è bene non somministrare la MOPP come terapia di prima linea). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 145 27. Linfomi non Hodgkin Introduzione I linfomi non Hodgkin (LNH) costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie linfoidi caratterizzate dalla proliferazione clonale e dell’accumulo di elementi linfoidi neoplastici. I vari tipi istologici presentano notevoli differenze nella presentazione clinica, nella storia naturale e nella risposta alla terapia. I LNH possono originano da elementi linfoidi B o T (LNH a cellule B, LNH a cellule T) Come si presenta un paziente con linfoma non Hodgkin? Il modo più comune con cui può presentarsi un paziente con linfoma è l’ingrandimento progressivo e persistente di uno o più linfonodi superficiali (linfoadenomegalie superficiali) (cervicali, ascellari, inguinali). I linfonodi dei linfomi di solito non sono dolenti alla palpazione. Oltre che in una sede linfonodale superficiale il linfoma può esordire in sede mediastinica o addominale, senza che i linfonodi superficiali siano ingranditi. In tal caso i sintomi possono essere vaghi e la diagnosi può essere più tardiva. Oppure può insorgere in sedi extra-linfonodali (tonsille, stomaco, intestino, cute, polmone, tiroide, testicolo) sicché i sintomi saranno legati alla sede anatomica interessata. Naturalmente, non tutte le linfoadenomegalie sono sospette per un linfoma. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi i linfonodi sono ingranditi per altri motivi. L’adenopatia può essere accompagnata dai cosiddetti sintomi sistemici (febbricola o anche punte di febbre alta, sudorazioni notturne profuse, calo di peso inspiegabile). In alcuni casi di linfoma di Hodgkin vi può essere un prurito molto fastidioso e intrattabile che deve far sospettare la malattia. Nel caso più comune di una adenopatia superficiale, il medico curante o lo specialista ematologo che visiterà il paziente, oltre a registrare i sintomi riferiti, ispezionerà tutte le stazioni linfonodali superficiali e ricercherà un eventuale ingrandimento della milza (splenomegalia) e del fegato (epatomegalia). Verranno quindi eseguiti esami del sangue di routine ed una radiografia del torace. Il passo successivo sarà la biopsia chirurgica del linfonodo (o di qualunque tessuto sospetto), cioè l’asportazione del linfonodo da parte di un chirurgo per l’esame istologico da parte del patologo. Questo è il primo e più importante accertamento diagnostico e richiede particolare cura. Se il linfonodo (o la massa sospetta) è profondo si può anche eseguire una agobiopsia. Questa darà origine a un piccolo frammento di tessuto, che può orientare la diagnosi, ma spesso non consente una diagnosi precisa cosicchè sarà poi necessario procedere alla biopsia chirurgica. Nel caso di linfonodi superficiali l’agobiopsia è superflua e conviene sempre procedere all’asportazione dell’intero linfonodo. Il linfonodo verrà inviato al patologo per l’esame istologico che verrà completato con lo studio immunoistochimico e studi molecolari. Si otterrà quindi una diagnosi esatta sulla natura della adenopatia e nel caso di linfoma verrà definito l’esatto tipo istologico, che è il determinante principale della prognosi e che è indispensabile per fissare il tipo di terapia. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 146 Epidemiologia L’incidenza dei linfomi non-Hodgkin è pari a 5-10 nuovi casi ogni 100.000 abitanti per anno. Sono malattie in incremento negli ultimi 10 anni. Il 90% è di linea B, il 10% della linea T. Vi è una prevalenza di soggetti di sesso maschile. I LNH a basso grado presentano picco di incidenza attorno ai 60 anni. Nei bambini prevalgono le forme ad alto grado, per il 50% di linea T. Alcune forme sono endemiche: ad esempio il linfoma di Burkitt in Africa e l’adult T-cell leukemia/linfoma (ATCLL) in Giappone e Carabi. Patogenesi Vari fattori sono stati associati alla patogenesi dei linfomi non-Hodgkin (Tabella 1). Questi comprendono fattori ambientali, agenti patogeni (virus, batteri), condizioni di immunodeficienza congenita ed acquisita. Tabella 1 – Fattori associati alla patogenesi dei linfomi non-Hodgkin Agenti virali Virus di Epstein-Barr (EBV) (linfoma di Burkitt) Human T-Lymphotropic Virus-1 (HTLV-1) (ATCLL) Virus dell’epatite C (HCV) Agenti batterici Helicobacter pylori Campylobacter jejuni Chlamydia psittaci Immunodeficienze congenite Atassia-teleangectasia Malattia di Wiskott-Aldrich Agammaglobulinemia tipo Bruton 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 147 Classificazioni Il tipo istologico è il fattore prognostico principale dei linfomi non-Hodgkin. Quindi l'esatta diagnosi istologica è un pre-requisito essenziale per decidere il programma terapeutico più adatto per il paziente. Le classificazioni istopatologiche più usate, sono la Kiel classification, la Working Formulation (WF), la Revised European-American Lymphoma classification (REAL) e la WHO classification. Classificazione di Kiel La definizione del tipo istologico contiene un riferimento all'immunofenotipo ed allo stadio di differenziazione della linea linfoide a cui l'elemento neoplastico può essere attribuito (ad esempio linfoma linfoplasmacitoide, linfoma immunoblastico, ecc.). Distingue i linfomi non-Hodgkin a basso grado ed i linfomi ad alto grado di malignità. Working Formulation Si tratta di una classificazione operativa per uso clinico elaborata dal National Cancer Institute ed è basata su criteri puramente morfologici (dimensioni cellulari piccole o grandi, tipo di crescita difuso o follicolare). Distingue tre categorie principali di linfomi nonHodgkin (a basso, intermedio, ed alto grado di malignità), con diversa storia naturale, prognosi, ed aspettativa di vita. La sopravvivenza mediana è di 7 anni per i linfomi nonHodgkin a basso grado (45% a 10 anni), 3 anni per quelli a grado intermedio (26% a 10 anni) ed 1 anno per quelli ad grado (23% a 10 anni). Classificazione REAL La classificazione REAL distingue i linfomi non-Hodgkin sulla base della linea cellulare (B e T), e delle cellule di origine (precursori e cellule periferiche) (Tabella 2). Tabella 2 – Principi della classificazione REAL dei linfomi non-Hodgkin Linfomi di linea B neoplasie dei precursori B neoplasie delle cellule B periferiche Linfomi di linea T neoplasie dei precursori T neoplasie delle cellule T periferiche 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 148 Classificazione WHO Nel 1997 la WHO ha proposto una nuova classificazione lievemente modificata rispetto alla classificazione REAL (Tabella 3). Tabella 3 – Classificazione WHO dei linfomi non-Hodgkin NEOPLASIE DEI LINFOCITI B Neoplasie dei precursori dei linfociti B Leucemia/linfoma linfoblastico di derivazione dai precursori B Neoplasie a cellule B mature Leucemia linfatica cronica B/linfomi a piccoli linfociti B Leucemia prolinfocitica B Linfoma linfoplasmocitico Linfoma splenico della zona marginale (con o senza linfociti villosi) Linfoma extranodale della zona marginale del MALT (mucose associated lymphoid tissue) Linfoma nodale della zona marginale Leucemia a tricoleucociti Mieloma plasmacellulare/plasmocitoma Linfoma mantellare Linfoma follicolare Linfoma a grandi cellule di tipo diffuso Linfoma di Burkitt / leucemia di Burkitt NEOPLASIE A CELLULE T/NK Neoplasie dei precursori dei linfociti T Leucemia/linfoma linfoblastico di derivazione dai precursori T Neoplasie a cellule T/NK mature (periferiche) Leucemia prolifocitica T Leucemia ad LGL (large granular lymphocyte) Leucemia a cellule NK Leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto (HTLV-1) Linfoma extranodale a cellule T/NK di tipo nasale Linfoma T enteroepatico Linfoma T epatosplenico Linfoma T sottocutaneo simil-panniculitico Micosi fungoide / Sindrome di Sézary Linfoma a grandi cellule anaplastiche, T/null primitivo sistemico Linfoma a grandi cellule anaplastiche T/null primitivo della cute Linfoma a cellule T periferiche, non altrimenti specificato Linfoma T angioimmunoblastico 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 149 A scopo clinico e terapeutico, i linfomi non Hodgkin vengono usualmente distinti in linfomi indolenti, aggressivi ed altamente aggressivi. Linfomi non-Hodgkin indolenti Includono tutti i linfomi non-Hodgkin a basso grado ed i linfomi cutanei T. I linfomi indolenti hanno un indice proliferativo basso, ed una storia naturale di parecchi anni. Linfomi non-Hodgkin aggressivi Comprendono il linfoma diffuso B a grandi cellule, il linfoma a grandi cellule anaplastiche, i linfomi a cellule T periferiche. Hanno un indice proliferativo cellulare elevato; se non trattati, i linfomi non-Hodgkin aggressivi hanno una storia naturale di alcuni mesi. Linfomi non-Hodgkin altamente aggressivi Includono il linfoma di Burkitt, il linfoma linfoblastico (B e T) e la leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto. Hanno un indice proliferativo cellulare molto elevato. Se non trattati, hanno una storia naturale di settimane. Meccanismi patogenetici molecolari dei linfomi Nei disordini linfoproliferativi è spesso presente un’alterazione dei geni che controllano i processi del ciclo e della crescita cellulare. In pratica si verifica un blocco del processo apoptotico, cioè del processo di morte cellulare programmata, che avviene per tutti i cloni linfoidi sviluppatisi nel nostro organismo non utili alle esigenze del nostro sistema immunitario. La crescita incontrollata delle cellule linfoidi si verifica per abrogazione dei meccanismi che normalmente regolano l’espressione di proto-oncogeni o per mancata espressione di geni oncosoppressori. I meccanismi responsabili di un’alterata funzione genica nei linfomi sono: traslocazioni cromosomiche; amplificazioni geniche; mutazioni somatiche; delezioni geniche. Traslocazioni cromosomiche Si tratta di riarrangiamenti cromosomici non casuali, che giustappongono i geni delle immunoglobuline o del recettore della cellula T con numerosi altri geni. Questi ultimi presentano un’alterata espressione perché perdono le proprie sequenze regolatorie e vengono posti sotto il controllo di sequenze che regolano l’espressione dei geni codificanti per le catene pesanti delle immunoglobuline o per il recettore della cellula T. Tali traslocazioni, considerate patognomoniche dei disordini linfoproliferativi, sono probabilmente causate da errori verificatisi durante il processo di ricombinazione somatica dei geni delle immunoglobuline e del recettore della cellula T. Ciò sarebbe confermato dal fatto che, nelle traslocazioni che coinvolgono i geni delle immunoglobuline, a livello del punto di rottura situato a livello della regione ottenuta dalla fusione della subunità D e la subunità J dei geni delle catene pesanti delle immunoglobuline vengono aggiunti nucleotidi “random” indicati come “N” forse per azione della stessa ligasi coinvolta nella ricombinazione V(D)J. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 150 dal fatto che l’espansione clonale si verificherebbe solo dopo che la cellula ha raggiunto un certo grado di differenzazione. In contrasto con tale supposizione è l’osservazione che nella maggioranza delle traslocazioni il punto di rottura cade nella regione di switch delle catene pesanti. Tale dato fa ritenere che la traslocazione si svilupperebbe a livello del centro germinativo. Indipendentemente dallo stadio di differenzazione del B o T linfocita i riarrangiamenti indicati tendono ad essere specificamente correlati con una particolare varietà istologica di linfoma. E’ questo il caso delle traslocazioni che colpiscono i geni bcl-1, bcl-2 e bcl-6 coinvolti rispettivamente nei linfomi mantellari, follicolari e diffusi. Oltre a tali traslocazioni bisogna però ricordare anche quelle che non coinvolgono i geni codificanti le catene pesanti delle immunoglobuline o il recettore della cellula T. Tra queste la più frequente è sicuramente la t(2;5)(p23;q35) associata a linfoma anaplastico. Bcl-1. E’ riarrangiato nella traslocazione t(11;14)(q13;q32) che si osserva nel 70% dei pazienti con linfoma mantellare. Sul piano molecolare si verifica la giustapposizione tra il gene Bcl-1 e locus IgH. Nel 50% dei casi il punto di rottura all’interno di Bcl-1 cade in una regione di 80-100kb definita come “Major breakpoint cluster region”, M-bcr. Nel 10-20% dei casi cade nel locus della ciclica D1 (120kb 5’ rispetto a Bcl1). La traslocazione fa sì che l’espressione del gene Bcl-1 venga aumentata perché quest’ultimo è posto sotto il controllo della sequenza che promuove la trascrizione dei geni per le catene pesanti delle immunoglobuline (“enhancer”). Il gene Bcl-1 appartiene alla famiglie delle cicline D1 e la sua deregolazione impedisce la progressione del ciclo cellulare dalla fase G1 alla fase S, contribuendo in tal modo allo sviluppo del linfoma. Bcl-2. E’ riarrangiato nella traslocazione t(14;18)(q32;q21), presente nel 90% dei casi di linfoma follicolare. Il punto di rottura sul cromosoma 14 cade all’interno della regione JH. Il punto di rottura all’interno di Bcl-2, gene formato da tre esoni, può cadere in due distinte regioni: • nel 40-60% dei casi si trova localizzato nella porzione 3’ non trascritta di Bcl2 (M-bcr) • nel 10-20% dei casi 20kb si trova a valle rispetto al precedente (m-bcr) La traslocazione pone il gene Bcl-2 sotto l’azione di un “enhancer” delle catene pesanti delle immunoglobuline. In tal modo la proteina Bcl-2 vede aumentare la sua espressione e determina un blocco apoptotico in grado di garantire un vantaggio alle cellule affette. Queste ultime sono in grado di differenziare in cellule B esprimenti IgM e IgD di membrana. L’aumentata espressione di Bcl-2 è comunque da sola insufficiente a determinare la trasformazione neoplastica. Bcl-6. E’ un gene mappato a livello della banda q27 del cromosoma 3. Si ritiene che il gene Bcl-6 sia un fattore trascrizionale necessario per la regolazione e differenzazione della cellula B. Si tratta di un gene “promiscuo” trovandosi riarrangiato con numerosi partners cromosomici. La traslocazione di Bcl-6 si osserva in circa il 40% dei casi di linfoma diffuso a grandi cellule e nel 5-10% dei casi di linfoma follicolare. E’ stato dimostrato che linfomi a grandi cellule apparentemente Bcl-6 negativi mostrano in realtà una mutazione del gene in questione. t(2;5)(p23;q35). Si tratta di un riarrangiamento cromosomico che non coinvolge i geni delle immunoglobuline, presente nel 40-60% dei pazienti giovani con Linfoma Anaplastico a fenotipo T o Null. La traslocazione determina la giustapposizione tra il gene ALK, mappato sul cromosoma 2 alla banda p23 e il gene NPM (nuclefosmina), mappato sul cromosoma 5 alla banda q35. Il punto di rottura all’interno di ALK cade all’interno di un introne lungo 1935bp e all’interno di NPM nel quarto introne del gene. Come risultato 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 151 della traslocazione il gene ALK (che codifica per una proteina dotata di attività fosfochinasica, normalmente non è espressa nel tessuto linfoide sano) viene sovraespresso. Amplificazione genica Si tratta di un processo che determina un’aumento dell’espressione dei geni che regolano la proliferazione cellulare e che eventualmente provocano una chemioresistenza. Le prove citogenetiche di un tale fenomeno consistono nel fatto che l’esame cromosomico convenzionale dimostra talvolta la presenza di “double minutes” (doppi minuti) e di “homogeneously staining regions (HSR)” (regioni colorate in modo omgeneo). FISH e metodiche molecolari dimostrano che tali frammenti o regioni cromosomiche sono espedienti che la cellula mette in atto per amplificare i geni Myc, Rel, Bcl-2 Mutazione somatica La mutazione si sviluppa a livello dell’estremità 5’ della regione regolatoria dei geni Myc o Bcl-2 o Bcl-6. Quest’ultimo è quello più frequentemente colpito da mutazione somatica a livello di uno o di entrambi i suoi alleli e pertanto non necessita di essere coinvolto in una traslocazione cromosomica con i geni delle catene pesanti delle immunoglobuline. Siccome poi una mutazione di Bcl-6 può verificarsi durante la maturazione del B linfocito a livello del centro germinativo, la mutazione stessa del gene indica l’origine del linfoma dal centro germinativo. Delezioni geniche La perdita di eterozigosità è stata la metodica molecolare che ha dimostrato come alcune regioni cromosomiche siano frequentemente delete nei linfomi non Hodgkin. Si tratta di porzioni del genoma il cui conternuto genico è tuttora sconosciuto. La delezione delle braccia lunghe dei cromosomi 6 e 7 si verificano in molti linfomi a basso grado di malignità. Caratteristiche cliniche generali Linfomi non Hodgkin a basso grado o indolenti La malattia è frequentemente diffusa fin dall'esordio: l’adenopatia è spesso pluristazionale, è comune il riscontro di epato-splenomegalia, di interessamento osteomidollare e leucemizzazione nel sangue periferico (presenza di cellule linfomatose in circolo). Linfomi aggressivi od ad alto grado La malattia è più spesso localizzata, mono- o pauci-stazionale. La localizzazione mediastinica, rara nei linfomi indolenti, è più frequente (ad esempio il linfoma linfoblastico T ed il linfoma primitivo del mediastino a cellule B con sclerosi). Il 20 % circa dei LNH ad alto grado sono primitivamente extranodali. Tutti gli organi possono essere interessati; più tipicamente sono coinvolti lo stomaco, l’intestino, l’anello di Waldeyer e la cute. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 152 Diagnosi e stadiazione La diagnosi di linfoma non-Hodgkin viene formulata in ultima analisi sulla base dell’esame istologico, eseguito sulla biopsia di un linfonodo e/o di altri tessuti interessati. In alcuni casi si può ricorrere all’agobiopsia, che consente di eseguire un esame citologico, che può orientare la diagnosi ma spesso non consente una diagnosi di precisione come l’esame bioptico. Il corretto inquadramento del paziente con linfoma non-Hodgkin deve includere oltre alla biopsia linfonodale, anche una serie di accertamenti che consentano di definire l’estensione della malattia (stadiazione) e di definire precisamente la prognosi. La definizione di tutte le localizzazioni iniziali di malattia consente di poter ripetere gli stessi esami al termine del trattamento (ristadiazione) e di definire con precisione la risposta alla terapia (remissione completa, remissione parziale, non risposta, progressione). Per la stadiazione dei linfomi non-Hodgkin si adotta la classificazione in stadi di Ann Arbor, originalmente ideata per il linfoma di Hodgkin. La valutazione dell’estensione della malattia non può prescindere dall’esame fisico delle stazioni linfonodali superficiali, della milza e del fegato. Gli esami utili alla valutazione delle stazioni linfonodali profonde comprendono radiografia standard del torace, TAC del torace, TAC (o ecografia) di addome e pelvi, scintigrafia con Gallio67, RNM (in casi selezionati). Si deve valutare un eventuale interessamento del midollo osseo mediante un mieloaspirato, con studio immunofenotipo delle popolazioni linfocitarie e ricerca di alterazioni cromosomiche o eventuali alterazioni geniche mediante tecniche di biologia molecolare, e la biopsia osteomidollare. Nel caso della leucemia linfatica cronica o di linfomi che interessino anche il sangue periferico (leucemizzazione), lo studio immunofenotipico può essere anche eseguito su sangue periferico. Lo studio di eventuali localizzazioni extralinfonodali può richiedere gastroscopia con biopsie multiple (linfoma gastrico), una valutazione otorinolaringoiatrica con esame 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 153 NEOPLASIE DEI LINFOCITI B Neoplasie a cellule B mature Linfomi non Hodgkin B indolenti Sono linfomi tipici dell'adulto con un’età mediana all’esordio di 50-60 anni. Vi è una prevalenza del sesso maschile. I linfomi non Hodgkin indolenti a cellule B costituiscono circa il 50% dei linfomi non Hodgkin (Tabella 4). Tabella 4 - Linfomi non Hodgkin B indolenti Linfoma linfocitico/Leucemia linfatica cronica-B Linfoma linfoplasmocitoide Linfoma mantellare Linfoma follicolare Linfoma della zona marginale: extranodale (linfoma a basso grado tipo MALT) nodale splenico Caratteristiche generali Sono linfomi per lo più in stadio avanzato già alla diagnosi. Vi è interessamento osteomidollare nel 50-60% circa dei casi (70% nel linfoma linfocitico); una leucemizzazione è rilevabile all'esame morfologico nel 15-20% dei casi ed in percentuale superiore se si studiano i linfociti del sangue periferico con metodi immunologici e molecolari. Sono linfomi a bassa aggressività e relativamente lunga sopravvivenza: l’aspettativa di vita mediana è di 7-8 anni per i linfomi follicolari, ma solo 3,5 anni per i linfomi mantellari. Nonostante la bassa malignità, la probabilità di guarigione è bassa. La curva di sopravvivenza ha infatti una pendenza costante senza plateau, che indica un rischio di ricaduta costante, a differenza dei linfomi ad alto grado che, pur essendo clinicamente più aggressivi, hanno un indice proliferativo elevato che li rende più sensibili alla chemioterapia e nei quali è possibile osservare la guarigione. Fattori prognostici Diverse variabili clinico-patologiche sono state dimostrate avere significato prognostico negativo: l’età, lo stadio patologico avanzato, la presenza di sintomi B, la VES elevata, l’aumento dell’LDH, una malattia bulky, l’aumento della 2-microglobulina, l’interessamento osteomidollare e la leucemizzazione, una scarsa risposta alla terapia iniziale. L'International Prognostic Index (IPI) basato su età, stadio, LDH, numero di sedi extranodali, ideato ed utilizzato per i linfomi non Hodgkin ad alto grado, può essere un valido sistema predittivo di risposta e sopravvivenza anche nei linfomi non-Hodgkin indolenti. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 154 Terapia Trai i linfomi indolenti, si presenta negli stadi iniziali meno del 20% dei casi. La terapia consiste in una chemioterapia limitata seguita da radioterapia sulle stazioni linfonodali interessate a dosi superiori a 30 Gy. La guarigione è raggiunta nel 50% dei casi. Negli stadi III e IV, la terapia è basata sulla chemioterapia, che può consistere in una monochemioterapia con agenti alchilanti (clorambucile, ciclofosfamide) o con analoghi purinici (fludarabina, cladribina), o in una polichemioterapia includente antracicline (uno dei cicli chemioterapici più utilizzati è il ciclo CHOP, contenente Ciclofosfamide, Adriblastina, Vincristina e Prednisone). I migliori risultati sono ottenuti con il ciclo CHOP, che consente di ottenere remissioni complete o parziali nell’80% dei casi, con sopravvivenza libera da malattia a 5 anni del 60%. Risposte analoghe sono ottenute con gli analoghi purinici (Tabella 5). Recentemente è stata introdotta nella pratica clinica l’immunochemioterapia con anticorpi monoclonali anti-CD20 (antigene della linea B-linfocitaria), come agente singolo o combinato alla chemioterapia. Nei linfomi follicolari, in soggetti anziani asintomatici o con una patologia associata che limita l’impiego della chemioterapia, può essere indicata la strategia "watch and wait", che consiste nel seguire clinicamente il paziente senza sottoporlo a trattamento fino al momento della progressione della malattia. I pazienti trattati solo alla progressione hanno percentuali di risposta significativamente inferiori rispetto pazienti ai trattati alla diagnosi. Tuttavia, la sopravvivenza globale nei due gruppi (pazienti trattati alla diagnosi e trattati alla progressione) non è significativamente differente. Questo perchè anche i pazienti che hanno una risposta completa alla chemioterapia vanno invariabilmente incontro alla recidiva della malattia. Le remissioni complete sono generalmente solo cliniche (scomparsa delle linfoadenomegalie), ma non “biologiche”: questo è ben documentato dalle tecniche di biologia molecolare (PCR) per la ricerca della t(14;18) o del riarrangiamento della catena pesante delle immunoglobuline, che mostrano la 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 155 Linfoma a piccoli linfociti B Costituisce circa il 2-3% dei linfomi non Hodgkin. È composto da piccoli linfociti con nucleo rotondo regolare e struttura cromatinica compatta. Il citoplasma può mostrare aspetti di differenziazione plasmocitaria. L’analisi immunofenotipica mostra l’espressione delle immunoglobuline di superficie a debole intensità, antigeni B (CD19, CD20, CD79a), CD5+, CD23+, CD43+, CD10-. La positività per il CD23 lo distingue dal linfoma mantellare. Ha una sopravvivenza mediana di 5-6 anni. Linfoma linfoplasmacitoide Costituisce circa il 2% dei linfomi non Hodgkin. È caratterizzato da una proliferazione diffusa di piccoli linfociti, linfociti plasmacitoidi (elementi con nuclei da linfocito ma abbondante citoplasma basofilo) e plasmacellule. Esprimono immunoglobuline di superficie e citoplasmatiche di solito IgM, antigeni B-associati (CD19, CD20, CD22, CD79a), mentre sono CD5 e CD10 negativi. La negatività per CD5 lo distingue dal linfoma a piccoli linfociti/Leucemia linfatica cronica B. È un’entità istologica riconducibile alla macroglobulinemia di Waldenström. Ha una sopravvivenza mediana di 4-5 anni. Linfoma mantellare Costituisce il 5% dei linfomi non-Hodgkin. Le cellule neoplastiche derivano da una piccola popolazione di cellule B CD5+ del mantello follicolare. Dal punto di vista immunofenotipico mostrano forte espressione di Ig di superficie IgM e IgD, antigeni Bassociati (CD19, CD20), CD5+, CD10-, CD23-. La negatività per il CD23 distingue il linfoma mantellare dal linfoma a piccoli linfociti e dalla leucemia linfatica cronica. I l linfoma è caratterizzato dalla traslocazione t(11;14) e dal punto di vista molecolare dal riarrangiamento dell’oncogene bcl-1 (B-cell lymphoma 1): il locus bcl-1 sul cromosoma 11 si giustappone al locus delle catene pesante delle immunoglobuline sul cromosoma 14. Ne consegue deregolazione del proto-oncogene (CCND1, PRAD1) che codifica per la ciclina D1, proteina del ciclo cellulare. La sovraespressione della ciclina D1 determina un’alterazione della transizione G1-S del ciclo cellulare con accumulo di cellule e sviluppo del linfoma. L’età mediana di presentazione è di 50-60 anni, con prevalenza del sesso maschile. La presentazione e la storia clinica sono quelle tipiche dei linfomi indolenti ma la sopravvivenza è inferiore. La presentazione avviene in stadio avanzato (III-IV stadio) nella maggioranza dei casi con adenopatia generalizzata, splenomegalia e, frequentemente, interessamento midollare. Tipica è la localizzazione gastrointestinale multipla ("multiple lymphomatous polyposis" ). Vi è leucemizzazione nel 25-45% dei casi. La sopravvivenza mediana è di circa 3 anni. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 156 Linfoma follicolare Il linfoma follicolare costituisce il 20-25% dei LNH ed è il più frequente linfoma a cellule B nei paesi occidentali. È composto da cellule morfologicamente e immunofenotipicamente simili ai linfociti dei normali centri germinativi, ossia piccoli centrociti, grandi centrociti, centroblasti, e immunoblasti. Nella Kiel classification è distinto in base alla percentuale di grandi cellule: follicular small cleaved cell (meno del 20% di centroblasti, follicular mixed cells (centroblasti 20-50%), follicular large cells (più del 50% di centroblasti). La REAL classification distingue tre gradi citologici: grado I (predominantly small cell), grado II (mixed small and large cell), grado III (predominantly large cells). Il pattern di crescita può essere follicolare, oppure follicolare e diffuso. Lo studio immunofenotipico mostra una forte espressione delle immunoglobuline di superficie, positività per gli antigeni B-associati (CD19, CD20), CD5-, CD10+, CD23+/-, CD43-. La negatività del CD5 lo distingue dal linfoma mantellare. Dal punto di vista citogenetico e molecolare, il linfoma follicolare è caratterizzato dalla traslocazione t(14;18), che sposta l’oncogene bcl-2 dal cromosoma 18 al cromosoma 14 accanto alla joining region del gene per le catene pesante delle immunoglobuline. La conseguenza della traslocazione è il riarrangiamento molecolare bcl-2-JH: bcl-2 passa sotto controllo trascrizionale di un potente regione enhancer del gene per le catene pesanti. L’alterata regolazione trascrizionale del gene bcl-2 determina la produzione di alti livelli della proteina bcl-2 La proteina bcl-2 è una proteina deputata ad L’iper-espressione di bcl-2 costituisce il meccanismo fondamentale nella genesi dei linfomi follicolari, ed è responsabile della intrinseca resistenza alla terapia e della inguaribilità del linfoma. L’apoptosi è un processo essenziale per l’omeostasi tessutale (equilibrio tra produzione e morte cellulare). Tale processo sotto controllo genico (geni regolatori): bcl-2 antiapopoptotico, p53 induttore di apoptosi. Dal punto di vista biologico, l’iper-espressione della proteina bcl-2 comporta inibizione dell’apoptosi (cioè della morte cellulare programmata), con conseguente accumulo di cellule B clonali. Inoltre protegge la cellula neoplastica dall’effetto apoptotico dei citostatici e della radioterapia e favorisce la riparazione dei danni del DNA, determinando la sostanziale incurabilità dei linfomi follicolari Dal punto di vista clinico si presenta in età medio-avanzata (età mediana 52 anni); solo il 7% dei pazienti ha un’età inferiore a 30 anni. In genere le condizioni generali del paziente sono buone, sono rari i sintomi sistemici e la malattia bulky. Vi è di solito un’adenopatia generalizzata e splenomegalia in oltre il 30%. L’interessamento osteomidollare è molto 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 157 Il decorso clinico è indolente, senza rischio di morte nel breve termine. Tuttavia le curve di sopravvivenza non presentano una fase di plateau: le recidive della malattia sono continue, anche dopo molti anni. Il linfoma follicolare è all’inizio generalmente chemiosensibile; poi diviene chemioresistente. La storia clinica non è significativamente alterata dalla chemioterapia: infatti il linfoma è considerato non guaribile nella maggioranza dei casi. La sopravvivenza mediana è di 8 anni. La strategia terapeutica convenzionale per lo stadio avanzato, prevede sorveglianza clinica (“watch and wait”) o mono-chemioterapia con alchilanti (clorambucile, ciclofosfamide) specialmente per i pazienti anziani, oppure poli-chemioterapia con antracicline (ciclo CHOP e derivati). La risposta alla chemioterapia convenzionale con antracicline è completa nel 60-80%: tale terapia determina un prolungamento della sopravvivenza libera da malattia superiore rispetto alla mono-chemioterapia; tuttavia l’impatto sulla sopravvivenza è incerto ed ha una scarsa influenza sulla tendenza continua alla recidiva. La malattia appare inguaribile con la chemioterapia convenzionale. Sono state recentemente introdotte nella pratica clinica nuove strategie terapeutiche, che comprendono farmaci attivi sull’apoptosi (analoghi delle purine come fludarabina e cladribina), chemioterapia ad alte dosi ed autotrapianto di cellule staminali autologhe periferiche, anticorpi monoclonali anti-CD20 chimerici (murini-umani) (Rituximab, disponibile per il trattamento dei linfomi follicolari ricaduti o resistenti, anticorpo monoclonale anti-CD20 radioimmunoconiugato con Y90, anticorpo monoclonale antiCD20 radioimmunoconiugato I131. L’antigene CD20 è un bersaglio razionale per l’immunoterapia dei linfomi non-Hodgkin con anticorpi monoclonali: è espresso virtualmente da tutti i linfomi non-Hodgkin B, è vitale per la proliferazione e sopravvivenza cellulare, non si internalizza o si modula al contatto con l’anticorpo, è espresso solo dalle cellule B (non presente sulle cellule staminali emopoietiche, sulle early pre-B e sulle plasmacellule). Sono attualmente in studio terapie sperimentali, come la vaccinazione anti-idiotipo, l’impiego di immunotossine, il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Lo sviluppo prevedibile è la combinazione di chemioterapia, immunoterapia con anticorpi monoclonali, chemioterapia ad alte dosi con supporto di cellule staminali autologhe (autotrapianto) Di particolare utilità clinica e sperimentale sono le indagini molecolari per la valutazione della malattia residua. La valutazione morfologica ed immunofenotipica è inadeguata per valutare la malattia residua dopo la terapia. La ricerca del riarrangiamento di bcl-2 mediante PCR è una tecnica ad elevata sensibilità (è in grado di individuare una cellula con il riarrangiamento su 100.000 cellule normali), e consente di identificare le cellule bcl-2-positive nel sangue periferico e nel midollo, anche in pazienti con malattia minima e stadio Iocalizzato. È utile per valutare il potere eradicante delle terapie (e quindi la qualità della remissione): è stato infatti osservato che il raggiungimento della remissione molecolare persistente si associa ad una più lunga sopravvivenza libera da malattia. Pertanto la negatività molecolare è un end-point precoce su cui misurare l’efficacia delle nuove terapie. Sia la chemioterapia intensiva con autotrapianto di cellule staminali che l’immunoterapia con anticorpi monoclonali anti-CD20 possono dare la RC molecolare. Il linfoma follicolare ha un rischio di trasformazione istologica in linfoma aggressivo (il cosiddetto shift istologico) del 10 % a 5 anni, e del 40 % a 10 anni. Il tipo trasformazione 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 158 può essere da follicolare a diffuso mist,o od a linfoma diffuso a grandi cellule. La clinica della trasformazione istologica è caratterizzata dal rapido deterioramento delle condizioni generali, dalla rapida crescita della neoplasia e dalla ridotta sensibilità alla chemioterapia. Linfoma della zona marginale Il linfoma della zona marginale extranodale è denominato linfoma a basso grado a cellule B del MALT (Mucosa Associated Lymphoid Tissue) o Maltoma e può interessare stomaco, ghiandole lacrimali, salivari, bronchi. I linfomi del MALT costituiscono circa il 7% dei linfomi non-Hodgkin. Molti pazienti hanno una storia di malattia autoimmune come la sindrome di Sjögren o di una gastrite cronica da Helicobacter pylori. Lo stimolo antigenico cronico della infezione da Helicobacter Pylori è considerata la causa principale del maltoma gastrico a basso grado. L’eradicazione dell’ Helicobacter Pylori può far regredire il linfoma. L’infezione da Helicobacter Pylori induce nello stomaco la formazione di tessuto linfoide MALT. La stimolazione antigenica cronica del MALT sarebbe responsabile dell’espansione clonale alla base del linfoma MALT a basso grado: infatti l’Helicobacter pylori è presente nel 90 % dei preparati istologici di maltoma gastrico. Lo stimolo proliferativo per le cellule neoplastiche B è verosimilmente fornito dalle cellule T infiltranti il tumore La possibile regressione della neoplasia dopo eradicazione dell’ Helicobacter pylori con terapia antibiotica è dovuta all’annullamento dello stimolo antigenico I sintomi clinici di esordio sono simili a quelli di un carcinoma gastrico: dolori epigastrici, dispepsia, emorragia. Hanno la tendenza a rimanere a lungo localizzati specie se a basso grado. Per quanto riguarda la stadiazione, si considerano in stadio IE in caso di interessamento solamente gastrico, in stadio IIE in caso di interessamento gastrico associato a coinvolgimento dei linfonodi perigastrici Gli accertamenti diagnostici devono comprendere una esofagostroduodenoscopica con biopsie multiple e ricerca dell’Helicobacter pylori, immunoistochimica (dimostrazione della restrizione monoclonale delle catene leggere delle immunoglobuline citoplasmatiche), e biologia molecolare (PCR) per il riarrangiamento monoclonale per le catene pesanti delle immunoglobuline. La diagnosi differenziale è soprattutto essenziale tra i linfomi non-Hodgkin MALT a basso grado e le iperplasie reattive. Nel 95% dei casi i linfomi gastrici primitivi sono a fenotipo B; spesso multifocali. Si possono trovare linfomi non-Hodgkin a basso grado MALTassociati (30-40% dei casi), e linfomi non-Hodgkin ad alto grado (MALT-associati, evoluzione di forme a basso grado con evidente componente residua a basso grado nel 20-30 % dei casi, non MALT-associati nel 30-40% dei casi) Nei linfomi gastrici a basso grado, nelle forme superficiali localizzate alla mucosa Helicobacter pylori-positive è impiegata l’eradicazione antibiotica; se non vi è risposta viene impiegato il clorambucile. Se la malattia è più estesa si sceglie la resezione gastrica seguita da chemioterapia. In caso di linfomi gastrici ad alto grado, la terapia di scelta è la chemioterapia con o senza resezione gastrica. Il linfoma della zona marginale extranodale ha una sopravvivenza mediana di circa 6 anni. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 159 Linfomi non Hodgkin B aggressivi ed altamente aggressivi Questi linfomi includono il linfoma diffuso B a grandi cellule, il linfoma a grandi cellule anaplastiche Ki-1 (CD30)-positivo (a cellule T e Null), il linfoma primitivo del mediastino (timico) a cellule B ed i linfomi a cellule T periferiche. I linfomi altamente aggressivi sono il linfoma di Burkitt ed il linfoma linfoblastico. Sono più frequenti nel maschio; l’età mediana è nella sesta decade. Si presentano localizzati nel 30-50% mentre sono extranodali primitivi nel 25-30%. A differenza dei linfomi non Hodgkin B l’interessamento osteomidollare è infrequente (10-15% dei casi). I sintomi sistemici sono presenti nel 15-20%. Il linfoma primitivo del mediastino a B-cellule è un raro linfoma che deriva dalla trasformazione neoplastica di un piccolo subset di cellule B timiche. È caratterizzato da massa mediastinica bulky, sindrome della vena cava superiore, frequente infiltrazione degli organi contigui: prevale nel sesso femminile di giovane età. Per lo stadio clinico I e IE, in genere viene impiegata una terapia combinata (breve chemioterapia, per es. 4 cicli CHOP, seguita da radioterapia sulla sede iniziale di malattia). Le risposte complete sono in alta percentuale e la sopravvivenza a 10 anni è del 50% circa. Il fattore prognostico principale è costituito dall’età. Negli stadi clinici II, III, IV in genere viene imipegata una chemioterapia di combinazione. Possono impiegata diversi schemi: schema CHOP (protocollo di I generazione), ProMACE-CytaBOM (protocollo di II generazione), MACOP-B, VACOP-B (protocolli di III generazione). I protocolli di II e III generazione sono caratterizzati da un alto numero di farmaci (6 o più), da somministrazioni alternate in rapida sequenza (settimanale) di più farmaci non crossresistenti, e dall'alternanza di agenti mielosoppressivi e non mielosoppressivi. Sono caratterizzato dal concetto di "dose intensity" (quantità di farmaco somministrata per unità di tempo). Le risposte complete sono del 70 - 80% e la sopravvivenza libera da malattia a 5 anni è del 50-60%. Sono protocolli complessi, intensivi (durata 3 mesi), con tossicità ematologica ed extraematologica; la mortalità per terapia è del 3-5 %. L'impiego dei fattori di crescita (G-CSF e GM-CSF) consente di ridurre la durata della neutropenia post-.chemioterapia e quindi di rispettare i tempi di somministrazione e le dosi dei farmaci. La combinazione dello schema CHOP con l’anticorpo monoclonale anti-CD20 Rituximab si è dimostrata superiore alla sola CHOP, sia in termini di risposte sia in termini di sopravvivenza libera da malattia. Linfoma di Burkitt È un linfoma ad elevata aggressività clinica, caratterizzato dalla traslocazione t(8;14) o dalle varianti t(8;22) o t(2;8), traslocazioni che comportano la fusione dell'oncogene myc sul cromosoma 8 con i geni per le catene pesanti (cromosoma 14) o leggere (cromosoma 2: catene kappa; cromosoma 22: catene lambda) delle immunoglobuline. La t(8;14) conferisce un potere di crescita cellulare aggressivo. È caratterizzato da piccole cellule non clivate e da cellule di medie dimensioni con citoplasma basofilo e vacuoli citoplasmatici e nucleari. L’istologia ha un aspetto a cielo stellato per la presenza di macrofagi. Vi è un’elevata percentuale di cellule in fase S. Il fenotipo è B maturo (espressione delle immunoglobuline di superficie, CD19+,CD20+,CD22+, CD79a+). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 160 È più frequente nell'infanzia. Si presenta con masse "bulky" addominali e mediastiniche. È possibile l’interessamento midollare e del sistema nervoso centrale. Se ne distingue una forma cosidetta endemica, africana, ed una forma cosiddetta sporadica, nei paesi occidentali. È documentata l’associazione con il virus di Epstein-Barr (EBV) nei linfomi di Burkitt endemici (africani), o nelle forme Burkitt-like (sporadiche o associate a AIDS). L'infezione da EBV porta la comparsa dell'antigene EBNA (Epstein-Barr Nuclear Antigen), proteina virale con proprietà oncogeniche. Il sistema di stadiazione più utilizzato è quello secondo Murphy (Tabella 6). Tabella 6 - Stadiazione secondo Murphy Stadio I: una sola sede di malattia, nodale o extranodale, con l'esclusione di mediastino e addome Stadio II: due o più sedi dallo stesso lato del diaframma, oppure localizzazione primaria resecabile al tratto gastroenterico Stadio III: localizzazioni da ambedue i lati del diaframma, o localizzazione intratoracica, o intraaddominale estesa non resecabile Stadio IV: qualunque delle precedenti, associata a interessamento del SNC o del midollo osseo È in genere una malattia massiva con alta sensibilità ai farmaci: ciò determina il rischio di "tumor lysis syndrome" (ipercalcemia per liberazione di potassio intracellulare fino all'arresto cardiaco e nefropatia uratica). Le precauzioni da adottare sono l’iperidratazione, l’alcalinizzazione, l’allopurinolo (farmaco uricosurico). È importante il monitoraggio degli elettroliti e lo staging abbreviato (le dimensioni della neoplasia possono raddoppiare nel giro di pochi giorni) La prognosi è migliorata con l'impiego di poli-chemioterapia includente il metotrexate ad alte dosi per via sistemica o il metotrexate per via intratecale. Nel bambino le risposte complete sono dell’80-90% e la sopravvivenza libera da malattia a 5 anni del 60-70%. Nell'adulto l’approccio terapeutico è complicato dal fatto che il 25-30% dei linfomi di Burkitt insorgono in soggetti HIV-positivi. NEOPLASIE A CELLULE T/NK Neoplasie dei precursori dei linfociti T Linfoma linfoblastico Possiede caratteristiche cliniche, citologiche ed immunologiche simili alla leucemia acuta linfoblastica T, da cui viene differenziata convenzionalmente per l'assenza di interessamento del sangue periferico ed interessamento midollare inferiore al 25%. Vi è prevalenza nel sesso maschile con età compresa fra 20 e 40 anni. In oltre il 50% vi è una morfologia nucleare di tipo " convoluto" Nel 90% dei casi ha fenotipo T di tipo (in circa 2/3 dei casi con origine dalla corticale timico; in 1/3 dei casi dalla midollare timico), mentre le leucemie acute linfoblastiche T 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 161 sono per lo più a fenotipo pre-timico. Il 10% possiede un fenotipo B (tipo leucemia acuta linfoblastica common o pre-B) Dal punto di vista clinico è caratterizzato in genere da una massa mediastinica (timica) (65% dei casi). Si può presentare con una sindrome della vena cava superiore con versamento pleurico e pericardico. Sono possibili masse addominali e l’interessamento del SNC. I pazienti vengono trattati con protocolli tipo LAL (comprendenti la profilassi meningea) e non con i protocolli dei linfomi. La prognosi è differente a seconda se basso o alto rischio. L’alto rischio è dato dallo stadio IV con interessamento midollare o del SNC, dall’LDH elevato e dalla malattia bulky. Le risposte complete sono dell’80% con sopravvivenza libera da malattia a 5 anni del 50% (solo 20% nell'alto rischio). Neoplasie a cellule T/NK mature (periferiche) Malattia linfoproliferativa cronica ad LGL (large granular lymphocytes) Il decorso è indolente con epatosplenomegalia, linfocitosi periferica con fenotipo suppressor (CD8+). Gli elementi linfoidi hanno un grande citoplasma e granuli azzurrofili. Il disordine è caratterizzato da anemia, neutropenia, infezioni ricorrenti ed alterazioni autoimmuni. Micosi fungoide e sindrome di Sézary Sono linfomi cutanei dell'adulto ad andamento cronico strettamente correlati tra loro. Entrambe le forme risultano dalla proliferazione clonale di elementi post-timici con fenotipo T CD4+, CD8-. La micosi fungoide è caratterizzata da un’infiltrazione cutanea da parte di cellule con nucleo cerebriforme. Vi sono varie fasi con evoluzione della durata di anni dalle iniziali alterazioni cutanee di tipo eritematoso-eczematoso, alla fase di placca, a quella tumorale. Nella fase terminale è possibile interessamento viscerale. La sindrome di Sézary è caratterizzata da un quadro di eritrodermia esfoliativa e leucemizzazione (cellule di Sézary). Linfoma a grandi cellule anaplastiche (ALCL) È un linfoma T aggressivo; esso esprime il marker di attivazione CD30/Ki-1. Se ne distingue una forma sistemica, linfonodale, con alta frequenza di localizzazioni extranodali specie cutanee, ed una forma primitivamente cutanea. Il comportamento clinico e la risposta alle cure è simile a quello degli altri linfomi aggressivi. . Nell’eterogeneo gruppo dei linfomi a grandi cellule anaplastiche (ALCL) CD30+ è emersa una entità clinico-patologica distinta il cosiddetto linfoma ALK+ caratterizzato dalla espressione della proteina ALK (anaplastic lymphoma kinase), a fenotipo T/null. Si associa alla traslocazione t(2;5). Può essere diagnosticato con un anticorpo monoclonale diretto contro la porzione citoplasmatica della proteina ALK. Il 60% degli ALCL sono 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 162 ALK+ e si presentano più spesso nel bambino e nel giovane adulto come un linfoma nonHodgkin aggressivo, frequentemente associato con localizzazioni extranodali specie cutanee. La risposta alla chemioterapia intensiva è buona. Leucemia/Linfoma a cellule T dell'adulto È una neoplasia linfoide T correlata al virus HTLV-1: la zona di endemia è in Giappone e nei Caraibi. Colpisce i maschi; l’esordio è acuto con iperleucocitosi, ipercalcemia, lesioni osteolitiche, infiltrazione cutanea (noduli o eritrodermia), adenopatia periferica (a volte isolata senza leucemizzazione). La morfologia cellulare è variabile (nucleo polilobato, a trifoglio o quadrifoglio, indentato). È incostante il coinvolgimento midollare. Il fenotipo è di tipo T maturo (post-timico). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 163 28. Leucemia linfatica cronica (LLC) ed altre malattie linfoproliferative croniche Leucemia linfatica cronica (LLC) È una malattia linfoproliferativa cronica di natura clonale. Interessa nel 95 % dei casi la linea linfoide B (LLC-B) e nel 5 % la linea linfoide T (LLC-T). Leucemia Linfatica Cronica B Epidemiologia L’incidenza della leucemia linfatica cronica è diversa nelle varie razze: è la più frequente leucemia dell'adulto nel mondo occidentale (Europa e USA), costituendo da sola circa il 30% del totale dei casi, mentre rappresenta solo il 3% delle leucemie dell’adulto in Giappone (e in generale nelle razze orientali) e in Africa. Questa patologia ha un picco di frequenza tra i 60 e i 70 anni, mentre è estremamente rara prima dei 4o anni di età. Infine vi è una prevalenza nei soggetti di sesso maschile (rapporto maschi/femmine 2:1). Patogenesi Le cellule patologiche sono costituite da linfociti di piccola taglia, di aspetto simile ai linfociti normalmente presenti nella corona del follicolo linfatico, positivi per i marcatori di linea B (CD19, CD20), per gli antigeni di membrana CD5 e CD23 e che esprimono immunoglobuline di superficie a bassa densità (più frequentemente di tipo IgM) con restrizione clonale per le catene leggere k o . Recenti dati immunologici hanno contribuito a chiarire la natura della popolazione linfoide responsabile della leucemia linfatica cronica. Particolare importanza rivestono gli studi con tecnica di biologia molecolare dell’ipermutazione somatica dei geni VH (regioni variabili dellecatene pesanti) delle immunoglobuline, che è un evento che avviene tipicamente nel percorso maturativo del linfocito B durante il passaggio attraverso il centro germinativo del follicolo linfatico. Essi hanno dimostrato l’esistenza di due possibili forme di leucemia lionfatica cronica (figura 1): una prima forma deriverbbe da cellule “naive” pre-centro germinativo, che non presentano quindi ipermutazione somatica dei geni VH delle immunoglobuline; l’altra originerebbe da cellule B-memoria post-centro germinativo, in cui l’ipermutazione somatica dei geni VH è presente. Circa il 50-70% dei pazienti con leucemia linfatica cronica presentano iopermutazione somatica nei geni delle regioni variabili delle catene pesanti delle immunoglobuline: sono caratterizzati da una malattia che frequentemente esordisce negli stadi iniziali con scarsa tendenza all’evoltuività e buona prognosi generale. Al contrario i soggetti con geni IgVH non mutati spesso presentano uno stadio avanzato della amlattia, richiedono un trattamento specifco e hanno una sopravvivenza ridotta. Per queste ragioni la conoscenza dello stato mutazionale IgVH riveste un ruolo importante nella determinazione delle caratteristiche biologiche della malattia: tuttavia, 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 164 considerazioni hanno suggerito la ricerca di marcatori surrogato delo stato mutazionale IgVH. L’espressione della molecola CD38, una proteina di membrana marcatore dello stato di attivazione cellulare e con funzioni di trasduzione del segnale correla in alcuni studi clinici in maniera abbastanza efficiente alla presenza di mutazioni IgVH. Più recentemente l’analisi dell’espressione genica (DNA microarrays) ha mostrato che le cellule di leucemia linfatica cronica presentano un profilo caratteristico in cui l’espressione di un piccolo gruppo di proteine correla con lo stato mutazionale IgVH. Tra esse desta particolare interesse la proteina ZAP-70, membro della famiglia delle Syk– ZAP tirosin chinasi, che è normalmente espressa nelle cellule T e natural killer e svolge un ruolo nell’iniziazione del segnale T cellulare: i pazienti che hanno almeno il 20% delle cellule patologiche positive per ZAP-70 presentano una progressione di malattia più rapida e una sopravvivenza ridotta rispetto ai pazineti con positività minore del 20%. Anomalie cromosomiche clonali sono dimostrabili in circa il 40-50% dei pazienti con leucemia linfatica cronica. Tale percentuale risulta significativamente aumentata qualora si utilizzino le moderne tecniche di citogenetica molecolare (ibridazione in situ fluorescente o FISH) Una trisomia del comosoma 12 è rilevabile nel 20-25% dei casi. Si ignora a quale difetto genetico possa associarsi, ma questa anomalia del cariotipo si associa a cattiva prognosi. Delezioni del braccio lungo del cromosoma 13 risultano evidenzialbili nel 1015% dei pazienti e si associano per contro a prognosi favorevole. Altre anomalie di rielevo, ciascuna descritta nel 5-10% dei casi riguardano le delezioni del braccio lungo del cromosoma 6 e 11 (gene ATM dell’atassia telangectasia) e la delezione del braccio corto del cromosoma 17 (proteina p53). Quadro clinico all’esordio In circa un terzo dei casi la diagnosi è posta in soggetti asintomatici in seguito ad esami di routine che evidenzano una linfocitosi nel sangue periferico. In caso contrario la diagnosi viene fatta a seguito di comparsa di linfonodi ingranditi, splenomegalia, anemia e/o piastrinopenia. Più raramente la malattia si presenta con infezioni o sintomi sistemici (febbre, calo ponderale, sudorazioni notturne). I reperti fisici variano a seconda dello stadio della LLC: le organomegalie, assenti negli stadi iniziali, sono presenti negli stadi intermedi ed avanzati; le linfoadenomegalie pluristazionali, interessanti tutte le stazioni linfonodali superficiali, la splenomegalia di vario grado e l'epatomegalia sono presenti negli stadi più avanzati. I sintomi di insufficienza midollare per progressiva infiltrazione del midollo da parte di linfociti clonali sono presenti negli stadi avanzati: pallore anemico, porpora da piastrinopenia. Sono possibili anche sintomi correlati allo stato di immunodepressione presente in questi pazienti (infezioni). Diagnosi La diagnosi di leucemia linfatica cronica si basa in prima istanza sul rilievo nel sangue periferico di leucocitosi con linfocitosi assoluta (>10 x 109/L). Allo striscio di sangue periferico l’80-95 % degli elementi nucleati sono costituiti da piccoli linfociti di aspetto maturo con cromatina nucleare densa e sottile alone citoplasmatico. È tipica la presenza di ombre nucleari (ombre di Gumprecht) derivanti dalla rottura dei linfociti della LLC per il trauma dello striscio. I valori di emoglobina e piastrine sono nella norma negli stadi iniziali mentre vi è anemia normocromica-normocitica e piastrinopenia nelle fasi avanzate per insufficienza 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 165 midollare; è possibile tuttavia che anemia e piastrinopenia si instaurino per la presenza di autoanticorpi diretti contro antigeni eritrocitari e/o piastrinici. È frequente (50-70% dei casi) una ipogammaglobulinemia di entità progressiva nel corso della malattia. Nel 5-15% dei soggetti è presente una componente monoclonale usualmente modesta. L’aspirato midollare (citologia) mostra infiltrato linfoide costituito da piccoli linfociti: l'infiltrato linfoide costituisce oltre il 30 % degli elementi midollari e spesso vi è completa metaplasia linfatica midollare. Particolare rilievo asumono i reperti della biopsia osteomidollare. L’infiltrato linfoide può essere di tipo nodulare, interstiziale, o diffuso. La malattia esordisce con quadri infiltrativi non diffusi e solo in fasi successive del decorso clinico si osservano quadri di tipo diffuso. La forma diffusa è associata agli stadi clinici avanzati e rappresenta un fattore prognostico negativo. La biopsia linfonodale non è necessaria se il sangue periferico, il midollo e l'immunofenotipo sono conclusivi. Se viene biopsiato, il linfonodo mostra un quadro istologico monotono di piccoli linfociti. I parametri necessari per la diagnosi di leucemia linfatica cronica sono riassunti nella Tabella 1 Tabella 1 - Leucemia linfatica cronica: criteri diagnostici - linfocitosi assoluta periferica (con ombre di Gumprecht), superiore a 10 x 109/L infiltrazione linfatica midollare 30% fenotipo immunologico: markers di linea B (CD19+, CD20+), positività per CD5+ e CD23+, espressione delle immunoglobuline di superficie a bassa densità, monoclonalità o Diagnosi differenziale: La diagnosi differenziale deve essere posta essenzialmente con altre forme di patologie linfoproliferative croniche e linfomi in fase leucemica. La leucemia prolinfocitica è distinguibile per l’intensa espressione delle immunoglobuline di superficie e per la positività per l’antigene di superficie FMC7. I linfomi non-Hodgkin in 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 166 Score immunofenotipico per la diagnosi diffrerenziale della leucemie linfatica cronica Score Marcatore 1 0 Smlg Bassa intensità Elevata intensità CD5 Positivo Negativo CD23 Positivo Negativo FMC7 Negativo Positivo CD22 or CD79b Bassa intensità Elevata intensità Lo score nelle LLC deve essere >3, mentre nelle altre patologie linfoproliferative è <3. Decorso clinico Il decorso clinico e la sopravvivenza dei pazienti con leucemia linfatica cronica sono assai variabili. Alcuni soggetti rimangono asintomatici per diversi anni e non richiedono alcun trattamento specifico; altri pesentano un andamento clinico aggressivo a volte scarsamente controllabile con la terapia. Le principali complicanze nella storia anturale della malattia sono dovute all’insorgenza di infezioni, manifestazioni autoimmunitarie e seconde neoplasie o all’evoluzione della malattia in un quadro di leucemia prolifocitica o di sindrome di Richter. Le infezioni sono soprattutto batteriche e più raramente virali (herpes simplex e zoster) e sono dovute principalmente all’ipogammaglobulinemia ed in parte alla neutropenia ed alla riduzione dell'immunità cellulo-mediata: rappresentano la maggior causa di morbidità e mortalità nella leucemia linfatica cronica e costituiscono il 60% delle cause di morte. I fenomeni autoimmuni insorgono per deficit dei meccanismi di controllo contro l'emergenza di cloni diretti contro antigeni self. È possibile la positività del test di Coombs diretto (autoimmunizzazione antieritrocitaria da autoanticorpi caldi) specialmente frequente durante l'evoluzione: di conseguenza può presentarsi un’anemia emolitica autoimmune. L'autoanticorpo è più spesso prodotto dalla cellule B normali residue più che dai linfociti patologici. Sono segnalati casi di piastrinopenia autoimmune e di eritroblastopenia pura su base autoimmune; l’associazione di anemia e piastrinopenia su base autoimmune in corso di leucemia linfatica cronica configura la cosiddetta sindrome di Evans. La sindrome di Richter (la cui incidenza è pari al 3-10% dei soggetti con leucemia linfatica cronica), si configura come una evoluzione verso un linfoma non-Hodgkin diffuso a grandi cellule (immunoblastico) con rapida comparsa di sintomi sistemici, masse linfomatose asimmetriche, latticodeidrogensi elevata. Il decadimento è rapido anche per la scarsa sensibilità a terapie aggressive tipo linfoma. La sopravvivenza è di circa 6-8 mesi. Può insorgere a livello linfonodale ma anche a livello midollare sotto forma di infiltrazione di grandi cellule. La trasformazione prolinfocitica avviene nel 5 % circa dei casi ed è caratterizzata da masse linfomatose, splenomegalia progressiva, citopenia, comparsa di elementi di tipo prolinfoicitico nel periferico e nel midollo e resistenza alla chemioterapia. Infine, nei pazienti affetti da leucemia linfatica cronica risulta particolarmente elevata l’incidenza di seconde neoplasie: non si tratta di neoplasie ematologiche ma di epiteliomi, neoplasie polmonari e melanomi. L’aumentato rischio è connesso al deficit immunologico 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 167 (ridotta immunosorveglianza antineoplastica) e forse favorito dalla chemioterapia con alchilanti. La prognosi di questo tipo di complicanza è estremamente negativa. Stadiazione e Prognosi I fattori prognostici della leucemia linfatica cronica riassumono la storia naturale della malattia (progressivo accumulo di linfociti neoplastici con aumento della massa tumorale, progressiva invasione midollare, deterioramento della mielopoiesi). Essi dipendono dalla massa tumorale (numero delle sedi linfoidi interessate, grado di infiltrazione midollare, istologia osteomidollare diffusa, livelli serici di 2-microglobulina); dalle caratteristiche biologiche dlla malattia (tempo di raddoppiamento dei linfociti, stato mutazionale geni VH delle immunoglobuline, CD38, ZAP-70); dal grado di compromissione dell’emopoiesi normale residua (livelli di emoglobina, piastrine, neutrofili, immunoglobuline) e infine dalle caratteristiche del paziente (età avanzata, sesso maschile, cattivo performance status, presenza di patologie associate). Sulla base dei dati ematologici e di alcuni parametri clinici nel 1975, Rai e collaboratori hanno proposto una classificazione della leucemia linfatica cronica in 5 stadi ognuno dei quali corrisponde ad una prognosi differente, progressivamente peggiore all’aumentare dello stadio. Successivamente nel 1980, Binet e collaboratori hanno elaborato un sistema classificativo semplificato in 3 stadi clinici. La classificazione della leucemia linfaica cronica secondo Rai e Binet è riportata nelle tabelle 2 e 3. Stadiazione di Rai ______________________________________________________________ Stadio 0 Stadio I Stadio II Stadio III Stadio IV Solo linfocitosi periferica con infiltrato midollare >30% Linfocitosi + linfoadenomegalie Linfocitosi + splenomegalia (+/- epatomegalia +/-adenopatia) Linfocitosi + anemia (emoglobina inferiore a 11 g/dl) Linfocitosi + piastrinopenia (piastrine inferiori a 100 x 109/L) con o senza anemia o epato-splenomegalia ______________________________________________________________ Stadiazione di Rai modificata _____________________________________________________________ Rischio Stadi di Rai % nuovi Sopravvivenza corrispondenti casi mediana _____________________________________________________________ Basso Stadio 0 30 > 10 anni Intermedio Stadi I + II 60 6-8 anni Alto Stadi III e IV 10 2 anni _____________________________________________________________ 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 168 Stadiazione di Binet _____________________________________________________________ Stadio A: Linfocitosi periferica e midollare con meno di tre aree linfoide interessate*, non anemia o piastrinopenia Stadio B: Idem con 3 o più aree linfoidi interessate* Stadio C: Anemia (Hb < 10 g/dL) e/o piastrinopenia (<100 x 109/L) _____________________________________________________________ * aree linfoidi = cervicali, ascellari, inguinali, milza, fegato. Terapia Il trattamento della leucemia linfatica cronica deve terenre conto dei fattori di rischio presenti alla diagnosi. I pazienti a basso rischio (Stadi iniziali: 0-1 di Rai, A di Binet) non devono essere trattati con farmaci citostatici e sono candidati esclusivamente all’osservazione clinica. Un eventuale trattamento specifico andrà intarpreso in caso di segni di progressione della malattia ematologica. I pazienti a rischio intermedio-alto (Stadi II -IV di Rai, B e C di Binet) sono candidati all’impostazione di un trattamento specifico. Al di sopra dei 55 anni di età vengono utilizzati farnaci come il Clorambucile (alchilante) in combinazione con corticosteroidi. Lo scopo di questo tipo di terapia non è quello di eradicare la malattia bensì di ottenere il controllo della leucocitosi, delle organomegalie, dell’anemia e della piastrinopenia. Per i pazineti di età inferiore ai 55 anni il farmaco di scelta per il trattamento è la fludarabina. È un analogo fluorinato dell'adenosina monofosfato, che agisce sull’apoptosi. La risposta è dipendente dallo stadio e dalle terapie precedenti. Può dare remissioni complete nel 30% nei pazienti non pretrattati (risposte complete + risposte parziali 70 %) e nel 10 % se pretrattati (risposte complete + risposte parziali 50 %). L’effetto collaterale maggiore è la immunosoppressione con linfocitopenia CD4 prolungata (sindrome da deplezione di CD4) con rischio di infezioni opportunistiche da agenti inusuali come la Listeria monocytogenes e la Pneumocystis Carinii). Il trapianto autologo di cellule staminali periferiche può essere eseguito come consolidamento dopo una remissione ottenuta con fludarabina. Il trapianto di midollo osseo allogenico è proponibile nei soggetti di giovane età con malattia avanzata che dispongano di un donatore HLA identico. Recentemente sono state utlizzate con promettente successo altre modalità di trattamento con anticorpi monoclonali di derivazione murina o umanizzati. Rientra in questa ultima categoria il Campath-1H, un anticorpo umanizzato anti CD52. l’epitopo CD52 è espresso in oltre il 95% dei linfociti umani ed è il bersaglio della lisi mediata dal complemento ad opera dell’anticorpo. I risultati preliminario sembrano mostrare una notvole capacità di riduzione delle linfoadenopatie da parte di questo farmaco. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 169 Leucemia linfatica cronica T Costituisce il 5% delle LLC (CD2+, CD3+, CD5+, antigeni dei linfociti T periferici). Sono tipici gli infiltrati cutanei mentre la splenomegalia è presente nel 50% dei casi. È riscontrabile un’ipergammaglobulinemia policlonale. Ne esistono tre sottotipi: a nuclei irregolari (T-helper, CD4+), con marcata leucocitosi, voluminose adenopatie, interessamento del SNC a grandi linfociti granulati (T-suppressor, CD8+), a prognosi migliore tipo pleomorfo CD8+, a cattiva prognosi Leucemia prolinfocitica Si tratta di una malattia linfoproliferativa subacuta caratterizzata dalla proliferazione ed accumulo di prolinfociti. Viene considerata una variante della leucemia linfatica cronica, di cui è molto più rara. Colpisce di preferenza il sesso maschile (M/F 2:1) in età avanzata; l’età mediana è attorno ai 65-70 anni. È in genere di linea B ma rari casi sono di linea T. Clinicamente i pazienti presentano epatomegalia e splenomegalia spesso molto voluminosa e insufficienza midollare di vario grado. Sono meno frequenti le linfoadenomegalie soprattutto nelle sedi superficiali Gli esami di laboratorio mostrano una marcata leucocitosi linfoide, spesso oltre 100 x 109/L, costituita per oltre il 55% (cut-off convenzionale) da prolinfociti (elementi linfoidi un po’ più grandi del linfocito della leucemia linfatica cronica, con citoplasma moderatamente basofilo e con unico nucleolo ben evidente). Una anemia e piastrinopenia di grado moderato sono presenti nel 50 % dei casi. Gli elementi patologici della leucemia prolinfocitica presentano dal punto di vista immunologico intensa espressione delle immunoglobuline di superficie, positività per FMC7, scarsa o nulla positività per CD5 e positività per i marcatori di linea B (CD19, CD20, e CD22) Diagnosi I criteri diagnostici della leucemia prolinfocitica comprendono: splenomegalia isolata, spesso massiva, senza adenopatia superficiale epatomegalia leucocitosi spesso di grado elevato 100 x 109 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 170 Hairy cell leukemia (HCL), o leucemia a cellule capellute (tricoleucemia) È una malattia linfoproliferativa cronica della linea B in cui l'elemento linfoide proliferante è morfologicamente caratterizzato da sottili prolungamenti citoplasmatici (hairy cells, tricoleucociti). Costituisce il 2 % delle leucemie dell'adulto. L’età mediana è di 50 anni (rara sotto i 40) e colpisce prevalentemente i soggetti di sesso maschile (rapporto maschi/femmine = 4:1). Quadro clinico L’insorgenza della malattia avviene di regola in maniera insidiosa e graduale, comparendo dapprima sintomi aspecifici e solo in una fase successiva disturbi direttamente correlabili alla malattia. Il rilievo obiettivo di più frequente osservazione (8590% dei casi) è rappresentato dalla splenomegalia (di vario grado, ma più spesso molto voluminosa). Può essere presente, anche se meno frequentemente epatomegalia. In genere sono assenti le adenomegalie delle stazioni superficiali, mentre con discreta frequenza sono rivelabili nelle sedi profonde tramite esami radiologici. Tra i sintomi legati alla pancitopenia (neutropenia, anemia, piastrinopenia, principalmente da insufficienza midollare) gli episodi infettivi da granulocitopenia sono estremamente importanti e spesso rivelatori della malattia. Diagnosi A livello del sangue periferico nei pazienti con hairy cell leucemia è presente leucopenia (di solito meno di 3000 leucociti) con neutropenia (valore assoluto inferiore a 1000/mL) e monocitopenia spiccata. Sono presenti inoltre una anemia normocromica normocitica e piasrtinopenia dovute a ridotta produzione, sequestro splenico e/o emodiluizione I tricoleucociti sono l'elemento patognomonico della malattia. All'esame microscopico dello striscio di sangue periferico costituiscono dal 10% al 30% dei leucociti, hanno citoplasma pallido, debolmente basofilo, con margini sfrangiati e lunghe e sottili protrusioni citoplasmatiche (cellule capellute), nucleo rotondeggiante a cromatina fine. Sono positivi alla reazione citochimica della fosfatasi acida, resistente alla inibizione dell'acido tartarico (fosfatasi acida tartrato-resistente, isoenzima 5) Dal punto di vista immunologico i tricoleucociti presentano un profilo caratteristico: sono positivi per gli antigeni CD19, CD20 e CD22 (markers di linea B) e negativi per l’antigene CD5. Esprimono inoltre il CD25 (recettore per l'interleukina 2), il CD11c (marker monocitario) e l’ FMC7. Il midollo spesso è difficilmente aspirabile per l’esame citologico in ragione della fibrosi midollare (punctio sicca). La biopsia osteomidollare è essenziale per lo studio midollare e la diagnosi. Vi è un infiltrato lasso da parte di elementi linfoidi (i tricoleucociti) che appaiono meno fittamente stipati rispetto all'infiltrato di altre leucemie e linfomi, per l'ampiezza del citoplasma. L’Infiltrato linfoide costituisce il 60-70% delle cellule midollari. Vi è ipoplasia delle normali serie maturative e fibrosi reticolinica dimostrabile con l'impregnazione argentica (causa della punctio sicca).A livello splenico, l’esame istologico mostra una infiltrazione massiva della polpa rossa e dei seni da parte di tricoleucociti. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 171 Terapia L’orientamento terapeutico generale al momento attuale prevede la sola osservazione senza terapia se non vi sono citopenia o infezioni. La presenza di una o di entrambe le condizioni costituisce una indicazione al trattamento specifico. L’impiego di interferone alfa (IFN) permette di ottenere percentuali di risposta (per lo più parziali) nell’ 80-90% dei casi dopo un perido di trattamento di 6-12 mesi; tuttavia le remissioni complete dopo trattamento prolongato sono presenti solo nel 20-30% dei soggetti. La terapia di mantenimento a basse dosi a tempo indefinito prolunga la durata della remissione. Più recentemente la pentostatina, un analogo nucleosidico inibitore della adenosino deaminasi ha dimostrato di poter ottenere risposte rapide nell'85% dei casi con una elevata percentuale di risposte complete (60%) e con una efficacia anche in pazienti resistenti alla terapia con interferone.. Il farmaco di ultimo impiego è la cladribina (2-Clorodeossiadenosina, 2-CDA), un analogo purinico il cui utilizzo garantisce una alta percentuale di remissioni complete (80%) con un solo ciclo di terapia: tali risposte sono di lunga durata e non necessitano di nessuna terapia di mantenimento La cladribina sta sostituendo progressivamente l'interferone e la pentostatina come terapia di prima linea nel trattamento della hairy cell leukemia L’esecuzione di splenectomia è indicata solo in caso di emergenza chirurgica (infarto splenico) o grave citopenia refrattaria. Linfoma splenico con linfociti villosi Si tratta di un particolare linfoma splenico leucemizzato che può simulare la hairy cell leukemia e che va posta in diagnosi differenziale L’esame obiettivo splenomegalia. È presente leucocitosi >10 x 109/L: gli elementi linfoidi presentano citoplasma a contorno irregolare con villi sottili e brevi, concentrati ai poli cellulari. Nel 60% dei casi si rileva una componente monoclonale serica IgM. Il midollo, a diffrenza della Hairy cell leucemia è aspirabile e mostra un infiltrato linfoide polimorfo. Dal punto di vista immunofenotipico, le cellule patologiche sono positive per CD19, CD20, CD22, FMC7 ed esprimono immunoglobuline di superficie ad elevata intensità. A differenza della leucemia linfatica cronica non presentano positività per CD5 e CD23; diversamente dalla Hairy cell leukemia, sono negative per CD25 e CD11c. I casi di linfoma splenico a linfociti villosi non rispondono alla terapia con interferone. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 172 29. Gammapatie monoclonali Le immunoglobuline Le immunoglobuline (Ig) sono molecole che hanno la funzione di riconoscimento specifico degli antigeni, sintetizzate dalle plasmacellule (linea B cellulare). Le immunoglobuline sono costituite da quattro catene polipeptidiche, distinte in base al peso molecolare in catene pesanti e catene leggere. Esistono cinque differenti catene pesanti ( , , , , ), i cui geni sono mappati sul cromosoma 14, e due diverse catene leggere ( , ), i geni che codificano per le quali sono mappati si cromosomi 2 ( ) e 22 ( ). Le catene delle Ig sono costituite da una regione costante ed una regione variabile. La regione variabile deriva dal riarrangiamento di tre diversi segmenti genici (V, D, J), ed è responsabile del legame con l’antigene. Le Ig sono distinte in 5 classi, sulla base del tipo di catena pesante: IgA (2 sottoclassi: 1, 2), IgD, IgE, IgG (4 sottoclassi: 1, 2, 3, 4), IgM. Ogni plasmacellula esprime una sola immunoglobulina, costituita da 2 catene pesanti identiche e 2 catene leggere identiche. Le plasmacellule appartenenti ad un unico clone esprimono la stessa immunoglobulina. Una proliferazione clonale di plasmacellule può essere osservata in presenza di uno stimolo antigenico (proliferazione controllata di uno o più cloni) oppure in caso di trasformazione neoplastica (proliferazione incontrollata). In presenza di più cloni plasmacellulari secernenti immunoglobuline, la frazione delle proteine sieriche appare come una banda ampia (quadro elettroforetico policlonale). Una ipergammaglobulinemia policlonale si riscontra tipicamente nelle epatiti croniche, ed anche nelle infezioni e infiammazioni croniche (malattie autoimmuni). In presenza di una proliferazione clonale incontrollata all’elettroforesi delle siero-proteine nella frazione sarà identificabile un picco alto e stretto costituito da immunoglobuline strutturalmente identiche (componente monoclonale). Frequentemente in queste condizioni si verifica uno sbilanciamento nella sintesi di catene pesanti e leggere, che può determinare l’escrezione di catene leggere libere o di frammenti di catene pesanti. Si definisce gammopatia monoclonale la comparsa nel siero o nelle urine di una componente monoclonale, che può essere costituita da Ig complete (con catena leggera o ), Ig incomplete ( o in associazione a catene leggere libere dello stesso tipo), solo catene leggere libere o solo frammenti di catena pesanti. La tecnica di laboratorio più semplice per lo studio delle immunoglobuline è l’elettroforesi delle siero-proteine su acetato di cellulosa, nella quale le Ig migrano in regione 2 e . Il dosaggio delle singole classi di immunoglobuline può essere ottenuto mediante nefelometria. In alternativa, l’immunofissazione è una tecnica che combina l’elettroforesi in gel di agarosio e l’immunodiffusione, utilizzando anticorpi diretti contro le regioni costanti delle catene pesanti ( , , , , ) e leggere ( , ). Consente di tipizzare una componente monoclonale (definizione della classe e della catena leggera) oppure di individuarla nel caso in cui non sia di entità tale da alterare il profilo elettroforetico. Le catene leggere eventualmente secrete in corso di gammopatia monoclonale superano il filtro renale e sono evidenziabili nelle urine. La presenza di catene leggere nelle urine viene definita proteinuria di Bence-Jones (BJ). Per evidenziare una proteinuria di BJ si usava il test al calore: riscaldando progressivamente la provetta di urine a 60°C la BJ precipita, ma si ridissolve tipicamente quando si raggiungono i 100°C. Il test al calore è importante storicamente ma è poco sensibile; oggi si usano l’elettroforesi e l’immunofissazione su urine concentrate delle 24 h. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 173 Classificazione delle gammopatie monoclonali Gammopatie maligne Neoplasie plasmacellulari: - mieloma multiplo classico - mieloma multiplo "smoldering" - mieloma non secernente - mieloma osteosclerotico - leucemia plasmacellulare - plasmocitoma solitario dell'osso - plasmocitoma extramidollare Malattie linfoproliferative: - macroglobulinemia di waldenström - linfomi non-Hodgkin (linfoplasmacitoide) - leucemia linfatica cronica 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 174 Mieloma Multiplo Il mieloma multiplo è una malattia neoplastica a elettiva localizzazione nel midollo osseo, caratterizzata da una proliferazione incontrollata di cellule linfoidi B (plasmacellule), con infiltrazione plasmocitaria midollare, produzione di immunoglobuline strutturalmente omogenee e spesso lesioni osteolitiche e/o insufficienza renale. Epidemiologia L’incidenza del mieloma multiplo è di 3-4 casi ogni 100.000 persone per anno. L’età mediana alla diagnosi è di 60-70 anni, raramente insorge in soggetti di età inferore a 40 anni. Rappresenta circa il 15% di tutte le emopatie maligne. Patogenesi L’eziologia del mieloma multiplo è in gran parte sconosciuta. Alcuni fattori sembrerebbero avere un ruolo nella patogenesi del mieloma multiplo. Infatti l’incidenza di queste forme aumenta in maniera significativa nei soggetti esposti a radiazioni ionizzanti o a tossici chimici. Si ammette inoltre che fattori genetici familiari (tuttora non identificati), stimolazioni antigeniche croniche e infezioni virali (HHV-8), possano rappresentare concause nell’insorgenza del mieloma multiplo. Gli elementi mutati sono cellule staminali pre-B midollari che presentano riarrangiamento dei geni delle Ig. Numerose citochine appaiono coinvolte nello sviluppo della malattia mielomatosa. L’interleuchina 6 (IL-6) prodotta da cellule stromali (paracrina) e da cellule mielomatose stesse (autocrina) è il principale fattore di crescita della popolazione neoplastica. Il clone mielomatoso produce anche IL-1 e TNF- , citochine che attivano gli osteoclasti (OAF, osteoclast activating factors), responsabili dei fenomeni di osteolisi caratteristici della malattia. La neoplasia presenta un accrescimento esponenziale (con un tempo di raddoppiamento della massa inizialmente di 3-6 mesi), fino a raggiungere un plateau. Il clone deve 9 raggiungere una massa di 5 x 10 cellule prima di produrre una quantità di Ig tale da essere evidente come picco monoclonale all’elettroforesi delle sieroproteine. La fase preclinica della malattia varia in genere da 1 a 3 anni. Più raramente il mieloma multiplo si presenta come evoluzione di un quadro di gammopatia monoclonale presente anche da molti anni. Alterazioni del cariotipo sono documentabili nel 30-50% delle cellule mielomatose mediante citogenetica convenzionale (basso indice mitotico), mentre l’uso di tecniche di ibridazione in situ (FISH) consente di rivelare aberrazioni cromosomiche sino al 90% dei casi. Le principali alterazioni citogenetiche ricorrenti nel mieloma multiplo sono: la monosomia del cromosoma 13 [o la delezione delle braccia lunghe, del(13)(q14)] presente nel 20-80% dei casi e associata a sopravvivenza ridotta; le traslocazioni t(11;14)(q13;q23) e t(4;14)(p16;q32) rilevabili nel 15-35% dei soggetti e ugulamente associate a prognosi sfavorevole; infine la presenza di un cromosoma addizionale add(14)(q32) rilevabile nel 45-00% dei casi, considerato un evento iniziale nella trasformazione neoplastica delle cellule mielomatose. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 175 Classi immunochimiche del mieloma Esistono diverse varianti del mieloma multiplo, definite in base alla tipologia delle Ig secrete dalle cellule appartenenti al clone neoplastico (classi immunochimiche). Esse sono riassunte nella tabella seguente: frequenza relativa (%) casi secernenti (%) : Ig G 65 60 2:1 Ig A 25 60 2:1 Catene leggere 10 100 2:1 Ig D 1 90 1:9 Non secernete 1 Classe Quadro clinico I sintomi e segni del mieloma multiplo possono essere riferiti alla sostituzione midollare da parte delle cellule del clone neoplastico, all’aumentato riassorbimento osseo, alla componente monoclonale e alla ridotta produzione delle normali Ig. La sostituzione midollare può esprimersi con i sintomi clinici dell’anemia (pallore, astenia, affaticabilità, palpitazione), della neutropenia (infezioni) e della piastrinopenia (petecchie, ecchimosi, emorragie cutaneo-mucose). La genesi dell’anemia nel mieloma multiplo risulta da un insieme di fattori oltre l’infiltrazione plasmacellulare del midollo (anemia delle malattie croniche, insufficienza renale). L’aumentato riassorbimento osseo è conseguenza dell’attivazione degli osteoclasti da parte di osteoclast activating factors (OAF) prodotti dalle cellule mielomatose e da cellule stromali in risposta all’invasione tumorale (IL-1, TNF- , IL-6): clinicamente si può esprimere con dolori ossei, osteoporosi, osteolisi, fratture patologiche, compressioni nervose e ipercalcemia (Ca++>12 mg/dl) da lisi ossea. La presenza della componente monoclonale (in particolare se Ig M o Ig A) a livello del siero può configurare la cosiddeta sindrome da iperviscosità, comprendente sintomi neurologici (vertigini, cefalea), alterazione dell’emostasi per interferenza con fattori della 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 176 Complicanze Le principali complicanze che possono insorgere nel paziente affetto da mieloma mutiplo sono di natura neurologica (sindrome ipercalcemica e neuropatia periferica) e renale. Inoltre il possibile deposito di catene leggere a livello dei parenchimi configura quadri di danno funzionale a livello degli organi interessati. La sindrome ipercalcemica (Ca++ >15 mg/dl) si presenta con nausea, vomito, astenia marcata, obnubilamento, coma, ipercalciuria con danno tubulare renale da aumentato riassorbimanto del Ca++, precipitazione interstiziale (nefrocalcinosi), poliuria osmotica (da eliminazione del Ca++ non riassorbito), grave disidratazione secondaria, insufficienza renale acuta. In corso di crolli vertebrali può verificarsi la compressione di radici nervose o del midollo spinale, con dolore radicolare e deficit sensitivo/motorio sino a quadri di para/tetraplegia flaccida. La causa principale di danno renale è costituita dalla proteinuria di Bence-Jones (precipitazione intratubulare di catene leggere, e deposizione nella membrana basale di tubuli e glomeruli renali). In corso di mieloma multiplo si può osservare amiloidosi secondaria a deposito di catene leggere nei parenchimi (amiloidosi AL), con organomegalie e danno funzionale: epatosplenomegalia, macroglossia, nefropatia glomerulare con albuminuria e insufficienza renale cronica, cardiomiopatia, turbe di conduzione e del ritmo, scompenso congestizio, sindrome del tunnel carpale, lesione nervi periferici con neuropatia, sindrome da malassorbimento per deposito intestinale. La diagnosi in questi casi viene formulata su biopsia del grasso periombelicale o su biopsia rettale, con dimostrazione del deposito di fibrille amiloidi (birifrangenza verde al microscopio a luce polarizzata dopo colorazione al rosso congo).. Diagnosi L’esame emocromocitometrico può evidenziare anemia (normocromica, normocitica, da insufficienza midollare e da emodiluizione), piatrinopenia (da insufficienza midollare); lo striscio di sangue periferico può dimostrare impilamento delle emazie da disprotidemia. Il mieloaspirato valuta la presenza di infiltrazione plasmacellulare L’elettroforesi delle sieroproteine può dimostrare la presenza di una componente monoclonale con riduzione delle Ig normali oppure una ipogammaglobulinemia (in caso di mieloma secernente catene leggere, definito anche micromolecolare). L’immunofissazione del siero consente poi di tipizzare la componete monoclonale; l’immunofissazione delle urine può evidenziare proteinuria di Bence Jones. Gli esami ematochimici devono includere calcemia, azotemia, creatininemia VES, proteina C-reattiva, beta-2-microglobulina (i cui livelli serici sono correlati alla massa tumorale). Gli esami radiologici (radiografia dello scheletro ed eventualmente risonanza magnetica nucleare) possono evidenziare lesioni osteolitiche , fratture patologiche di ossa lunghe e crolli vertebrali. È utile infine l’eventuale biopsia di lesioni ossee solitarie, plasmocitomi extramidollari (se presenti). Criteri diagnostici: I criteri diagnostici per il mieloma multiplo sono divisi in maggiori e minori. Per formulare la diagnosi è neccesario che siano presenti contemporaneamente 1 criterio maggiore e 1 criterio minore, oppure 3 criteri minori (due dei quali siano A e B). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 177 Criteri diagnostici per il mieloma multiplo Criteri maggiori: A) Diagnosi istologica di plasmocitoma alla biopsia dell’osso o di tessuti molliB) Infiltrazione plasmacellulare midollare > 30%C) Componente monoclonale >3,5g/dl se IgG, >2g/dl se IgA; proteinuria di BJ >1g/24h Criteri minori: A) Infiltrazione plasmacellulare midollare compresa tra 10 e 30%B) Componente monoclonale <3,5g/dl se IgG, <2g/dl se IgA; proteinura di BJ <1g/24h.C) Lesioni osteoliticheD) Soppressione delle Ig normali (IgG <600mg/dl, IgA <100mg/dl, IgM <50mg/dl) Stadiazione La stadiazione del mieloma multiplo viene effettuata mediante il sistema di Durie e Salmon, basato sulla detreminazione del tasso di emoglobina, calcemia, componente monoclonale, quadro radiologico osseo e presenza o meno di insufficienza renale. Mieloma multiplo: stadiazione di Durie e Salmon Stadio I. Tutti i seguenti parametri: emoglobina > 10g/dl calcemia <12 mg/dl osteolisi assenti o lesione litica solitaria Ig G < 5g/dl, Ig A < 3g/dl, BJ urine < 4g/24h Stadio II. Tutti i pazienti non in stadio I o III Stadio III. Uno o più dei seguenti parametri: emoglobina < 8,5g/dl calcemia > 12 mg/dl osteolisi multiple Ig G > 7g/dl, Ig A > 5g/dl, BJ urine > 12g/24h Ciascuno stadio viene sottoclassificato in A o B: A: se creatinina inferiore a 2 mg/dl B: se creatinina superiore a 2 mg/dl 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 178 La stadiazione ha un valore prognostico: la sopravvivenza media dei pazienti in stadio IA è di circa 60 mesi, mentre dei pazienti in stadio IIIB è di soli 14 mesi. A completamento delle informazioni fornite dallo schema di Durie e Salomon, è attualmente utile distinguere affiancare altri parametri prognostici legati alla massa tumorale (beta-2-microglobulina), alla aggressività biologica della malattia (labeling index, un indice di marcatura con timidina triziata delle plasmacellule midollari che è indicatore di attività proliferativa) e di progressione (proteina C reattiva, proteina della fase acuta prodotta dagli epatociti sotto lo stimolo della IL-6). Varianti clinico-biologiche del mieloma Forme localizzate Forme sistemiche 1. Mieloma solitario dell’osso 1. Mieloma sintomatico 2. Mieloma extramidollare 2. Mieloma indolente 3. Mieloma smouldering 4. Mieloma osteosclerotico 5. Leucemia plasmacellulare Mieloma solitario dell'osso E’ un focolaio mielomatoso isolato in un segmento osseo, piu' frequente in vertebre e coste, caratterizzato da aspirato midollare normale e solo raramente dalla presenza di componente monoclonale nel siero. La terapia è radiante (4000 - 5000 cGy) con possibilità di recidiva ossea isolata nel 25% dei casi. Il 60% dei soggetti evolve in mieloma. Mieloma extramidollare Interessa più frequentemente le prime vie aeree (cavità nasali, rinofaringe, laringe) in assenza di interessamento midollare. Circa il 20% dei casi evolve in mieloma. Mieloma indolente e mieloma smouldering Sono varianti cliniche che possono restare stabili per anni e non necessitano di terapia fino alla progressione. I criteri diagnostici (e distintivi da MGUS) sono rappresentati da una bassa massa neoplastica, da un basso labeling index, dall’assenza di lesioni ossee, da una componente monoclonale < 7g/dl se Ig G e < 5g/dl se Ig A, da livelli di emoglobina > 10g/dl, da normale funzione renale, infine da una plasmocitosi midollare inferiore a 30%. Tipicamente i parametri clinici e biologici sono stabili nel tempo, con lenta tendenza alla progressione. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 179 Mieloma osteosclerotico Colpisce prevalentemente maschi, di eta' inferiore ai 50 anni. Descritto anche come POEMS syndrome (Polineuropathy, Organomegaly, Endocrinopathy, Monoclonal protein, Skin changes), è caratterizzato da: piccola componente monoclonale, ridotta plasmacitosi midollare, lesioni osteosclerotiche, polineuropatia sensitivo-motoria demielinizzante, deficit endocrino, ginecomastia, edemi, iperpigmentazione e sintomi a patogensi autoimmune. Leucemia plasmacellulare Può essere primitiva, o evoluzione di mieloma (rara). E’ caratterizzata da plasmacellule circolanti > 2x109/L; vi possono essere adenopatia, epatosplenomegalia. Contrariamente al mieloma multiplo, esordisce preferenzialmente in età giovanile. La prognosi è severa (sopravvivenza <1 anno nel 90% dei casi). Terapia L’approccio terapeutico varia a seconda dello stadio clincio della malattia e dell’età. Per i pazienti con mieloma smoldering (o in stadio I con bassa attività proliferativa) è indicata la sola osservazione; l’inizio del trattamento è indicato nel momento in cui si evidenziano segni di progressione. Nei pazienti di età superiore a 65 anni il trattamento consiste nella combinazione di melphalan (alchilante), somministrato alla dose di 8 mg/m2/die per 4 gg, e prednisone alla dose di 1-2 mg/kg/die negli stessi giorni, a cicli ripetuti a cadenza mensile per un minimo di 6 mesi. La percentuale di risposta (che consiste nell’ottenimento di una fase di plateau stabile) è di circa il 50-60%. La sopravvivenza mediana dei soggetti trattati in questo modo è di circa 42 mesi.Nei soggetti di età inferiore a 65 anni, si ricorre a trattamenti più intensivi che comprendono cicli di chemioterapia (vincristina, adriblastina, desametasone: ciclo VAD; desametasone, ciclofosfamide, etoposide, cisplatino: ciclo DCEP) con mobilizzazione di cellule staminali emopoietiche e trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche. Con questi regimi si otteniene una sopravvivenza libera da progressione del 30% circa a 5 anni. Nei pazienti più giovani (<45 anni) con donatore compatibile è indicato il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche.Sono attualmente in corso di sperimentazione clinica approcci terapeutici basati sul doppio trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche, sul trapiaianto allogenico con regime di condizionamento non-mieloablativo e sulla talidomide, un farmaco anti-angiogenetico che si è dimostrato efficace in circa la metà dei pazienti chemioresistenti. La talidomide è attualmente la migliore terapia per i ricaduti dopo autologo e sono in corso studi con talidomide come terapia di mantenimento post-autotrapianto. Problemi speciali sono rappresentati dal trattamento delle lesioni scheletriche (che si basa sulla radioterapia locale, sull’uso di busto ortopedico e sulla somministrazione di bifosfonati, farmaci che riducono l'attività osteoclastica e inibiscono il riassorbimento osseo), delle complicanze neurologiche da compressione del midollo spinale (decompressione chirurgica, radioterapia), dell’Insufficienza renale (idratazione, compenso elettrolitico, dialisi), dell’ipercalcemia (idratazione, corticosteroidi, bifosfonati) della sindrome da iperviscosità (plasmaexchange) e dell’anemia (trasfusioni, eritropoietina). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 180 Gammapatie monoclonali di significato indeterminato (Monoclonal Gammopathy of Undetermined Significance, MGUS) E’ una proliferazione "controllata" di un clone plasmacellulare, caratterizzata dal riscontro all'elettroforesi serica o urinaria di una componente immunoglobulinica monoclonale (CM), in assenza di segni e sintomi di un processo immunoproliferativo sistemico (mieloma mutiplo, malattia di Waldenstrom, amiloidosi o patologie associate). Epidemiologia Questa condizione si riscontra in circa l’1% degli adulti sani. L’incidenza aumenta significativamente con l’età: è pari al 3-6% nei soggetti di età superiore a 70 anni e al 56% dopo gli 80 anni. Patogenesi Per spiegare la comparsa di una proliferazione clonale controllata di plasmacellule, sono stati considerati un’alterazione (“invecchiamento”) dei sistemi T-linfocitari deputati al controllo della proliferazione B linfocitaria, ed una stimolazione antigenica protratta; in questo caso dopo una fase di restrizione della policlonalità ancora transitoria subentrerebbe una fase di produzione monoclonale irreversibile (con possibile mutazione di geni regolatori). Sono state riscontrate anche MGUS biclonali (1-2%), che potrebbero originare da 2 cloni distinti o da "cross switching" incompleto di un singolo clone. La frequenza delle classi Ig è direttamente proporzionale alla loro concentrazione serica in condizioni normali: MGUS IgG 75%, IgM 15%, IgA 10%; la catena leggera è di tipo in 2/3 dei casi. La crescita controllata si traduce in stabilità clinica nella maggior parte dei casi. L’evoluzione in mieloma multiplo è posibilie in una bassa percentuale di casi ed avviene in un arco variabile di mesi ma più spesso anni. Diagnosi I criteri necessari per formulare la diagnosi di MGUS sono seguenti: - componente monoclonale serica < 3,5g/dl se IgG, < 2g/dl se IgA, < 1g/dl se IgM - Bence Jones urinaria assente o < 200 mg/24h - assenza di lesioni ossee - plasmocitosi midollare < 10% - assenza di anemia - normale funzione renale - stabilità nel tempo della CM serica e della plasmocitosi midollare - non depressione delle frazioni Ig non coinvolte I criteri distintivi tra MGUS e mieloma multiplo dal punto di vista diagnostico e del decorso clinico sono riassunti nella tabella seguente. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 181 Parametri MGUS Mieloma indolente Mieloma Decorso stabile stabile progressivo Osteolisi assenti assenti frequenti Ig G < 3.5 Ig G > 3.5 Ig G > 3,5 Ig A< 2 Ig A > 2 Ig A > 2 stabile stabile progressiva normali ridotte ridotte rara frequente frequente plasmacitosi midollare < 10 % > 10 % > 10 % atipie citomorfologiche assenti presenti presenti labeling index <1% < 1% >1% ß2-microglobulina < 3 mg/l > 3mg/l > 3 mg/l anemia assente assente presente funzionalità renale normale normale alterata evoluzione in mieloma multiplo 10 - 20% 50% - CM siero (g/dl) Altre frazioni Ig Bence-Jones Prognosi A 10 anni una percentuale di pazienti variabile dal 10 al 20% sviluppa malattie immunoproliferative maligne, a 20 anni è trasformato in mieloma multiplo il 30% circa delle MGUS. Più alta è la percentuale di trasformazione delle MGUS IgA. Nessun parametro è predittivo di trasformazione; sono indici di trasformazione un rapido aumento dell'infiltrato midollare e della componente monoclonale e la comparsa di atipie morfologiche plasmacellulari. Terapia Non è indicato alcun trattamento specifico. Occorre monitorare periodicamente (circa ogni 6 mesi) la CM, la plasmocitosi midollare, la beta-2 microglobulina. In caso di sospetta progressione può essere utile eseguire un Rx scheletro per la ricerca di eventuali osteolisi. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 182 Malattia di Waldenström La malattia di Waldenström è una patologia clonale del sistema linfoide B caratterizzata da proliferazione ed accumulo di elementi linfo-plasmocitoidi secernenti Ig strutturalmente omogenee di tipo Ig M. Epidemiologia La malattia esordisce in età adulta (l’età mediana alla diagnosi è di 60-65 anni) e colpisce prevalentemente il sesso maschile. Quadro clinico Le manifestazioni cliniche della malattia di Waldenström possono essere così schematizzati in sintomi legati alla proliferazione neoplastica e sintomi legati alla presenza nel siero di un eccesso di immunoglobuline IgM. Il primo gruppo comprende anemia, epatosplenomegalia e linfadenomegalie. Per quanto riaguarda l’eccesso di IgM nel siero, la sintomatologia deriva dalle caratteristiche strutturali di queste immunoglobuline (elevate dimensioni e peso molecolare, forma stechiometrica e tendenza alla polimerizzazione) che provocano un rallentamento del flusso nel microcircolo e una conseguente sindrome da iperviscosità con cefalea, vertigini, parestesie, sonnolenza (fino al coma) e manifestazioni oculari (anormalità del visus, emorragie, essudati, congestione venosa). È possibile il riscontro in aggiunta di una sindrome emorragica, per interferenza della IgM con le piastrine e i fattori della coagulazione; di insufficienza cardiaca congestizia e di episodi infettivi. Il deposito di catene leggere a livello tissutale (amiloidosi) avviene più frequentemente a livello renale glomerulare e neurologico (neuropatie sensitivo-motorie, talora associate a leucoencefalopatia multifocale). L’esordio clinico è caratterizzato da astenia nel 50% dei casi, diatesi emorragica nel 40%, sindrome da iperviscosità nel 25-30%, disturbi visivi nel 20%. Complicanze Macro-crioglobulinemia E’ una condizione caratterizzata dall’associazione di malattia di Waldenström e crioglobulinemia. Le manifestazioni classiche della malattia di Waldenström si associano ad acrocianosi con sindrome di Raynaud, manifestazioni purpuriche ricorrenti agli arti inferiori, fino alla formazione di ulcere trofiche malleolari. Gli esami di laboratorio mostrano un criocrito aumentato (è generalmente superiore al 10%). In questi casi la IgM si comporta da crioglobulina (crioglobulinemia di tipo I). In alcuni casi la IgM da sola è incapace di precipitare a freddo ma, essendo dotata di spiccata attività reumatoide antigammaglobulinica, reagisce con le IgG circolanti formando immunocomplessi IgM/IgG che crioprecipitano (macrocrioglobulinemia con attività di fattore reumatoide: crioglobulinemia mista di tipo II). Macro-crioagglutininemia E’ una condizione in cui la componente monoclonale sierica si comporta da crioagglutinina (attività autoanticorpale antieritrocitaria contro l'antigene eritrocitario I o i). E’ caratterizzata da crisi emolitiche dopo esposizione al freddo e da crisi di acrocianosi sino alla necrosi. Neuropatia periferica demielinizzante 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 183 Il decorso della malattia di Waldenström può essre complicato dall’insorgenza di neuropatia periferica demielinizzante dovuta ad attività anticorpale della componente monoclonale contro la Myelin Associated Glycoprotein (MAG) o contro le proteine filamentose delle cellule di Schwann. Dal punto di vista clinico è caratterizzata da parestesie agli arti, difficoltà alla deambulazione, polineuropatia motoria e sensoriale. La diagnosi viene formulata con una biopsia del nervo surale. Diagnosi Gli esami da eseguire per un corretto inquadramento di un paziente con malattia di Waldenström comprendo l’esame emocromocitometrico, che può evidenziare anemia iporigenerativa e da emodiluizione, il mieloaspirato che dimostra un’infiltrazione variabile ad opera di elementi linfoidi, con elementi linfoidi che hanno caratteristiche intermedie tra il piccolo linfocito e la plasmacellula (inclusioni PAS+ intracitoplasmatiche ed intranucleari) e con incremento delle mastcellule (importante nella diagnosi differenziale con LNH e mielomi). La VES è elevata, l’elettroforesi delle sieroproteine e l’immunofissazione sierica dimostrano una ipergammaglobulinemia monoclonale IgM (> 2 g/dl), di tipo in 2/3 dei casi. L’immunofissazione delle urine evidenzia proteinuria di Bence Jones nel 10-30% dei casi. Le alterazioni dell’adesività piastrinica possono causare un allungamento del tempo di sanguinamento. L’analisi istopatologica della biopsia linfonodale dimostra un quadro di immmunocitoma con espansione nella maggior parte dei casi di una popolazione clonale B linfocitaria con Ig di superficie IgM o IgM- IgD. Diagnosi differenziale La malattia di Waldenström devve essere posta in diagnosi differenziale conil linfoma non-Hodgkin con componente monoclonale IgM, con la leucemia linfatica cronica con componente monoclonale IgM, con la malattia cronica da crioagglutinine e con le MGUS a componente monoclonale IgM (queste ultime presentano IgM < 2g/dl; assenza di anemia e di organomegalie, non sintomi sistemici, quota linfo-plasmacellulare midollare nella norma o solo modestamente aumentata). Prognosi La sopravvivenza mediana dei pazienti affetti da malattia di Waldenström è di 5 anni. Esistono forme "smouldering", attenuate, a lunga sopravvivenza. Le cause di morte più frequenti sono la sindrome da iperviscosità, complicanze emorragiche, insufficienza renale ed amiloidosi, complicanze infettive, trasformazione in linfoma non-Hodgkin ad alto grado di malignità, trasformazione leucemica (rara).. Terapia La terapia ha lo scopo di correggere l'iperviscosità e di bloccare la proliferazione neoplastica. Per il primo scopo il trattramento di scelta è costituito dalla plasmaferesi. Il controllo sulla proliferazione è ottenuto generalmente con l’impiego di agenti alchilanti (clorambucil, ciclofosfamide abbinati corticosteroidi, polichemioterapia tipo linfoma nei 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 184 Amiloidosi Si tratta di un complesso di patologie caratterizzate da deposizione tessutale di proteine (sostanza amiloide) che hanno in comune la struttura chimico-fisica fibrillare (a ß foglietti incrociati), l’aspetto microscopico ialino-amorfo, la birifrangenza verde-mela dopo colorazione con Rosso Congo, mentre differiscono per alcuni caratteri biochimici. Patogenesi Il processo di amiloidogenesi, in tutte le varie condizioni, prevede una adeguata sorgente di precursori amiloidogenetici (precursori proteici delle fibrille) che può derivare a) da aumentata sintesi (SAA, catene leggere), b) da sintesi costituitiva (transtiretina non mutante), c) da sintesi di mutanti (ATTR), d) da un alterato microambiente (alterazione delle membrane basali con interazione con la proteina amiloidogenetica e conferimento della struttura fibrillare alla stessa) e, e) da degradazione incompleta del precursore amiloidogenico da parte del sistema monocito-macrofagico. Alcune componenti biochimiche comuni si trovano associate alla proteina fibrillare specifica in tutti i tipi di amiloidosi come la componente P (derivante da una normale proteina circolante, presente anche nelle membrane basali) e altre componenti delle membrane basali come laminina, collagene di tipo IV, eparansolfati, apoliproteina E. L’amiloide si deposita in sede extracellulare lungo le membrane basali sub-endoteliali degli organi, riproducendo quindi la rete vasculo-stromale dell’organo interessato e alterandone la funzione o per atrofia delle cellule o per alterata funzione delle membrane basali. Classificazione In base alle caratteristiche chimico-cliniche, si distinguono forme sistemiche e localizzate. Amiloidosi sistemiche Amiloidosi in discrasie immunocitiche La proteina amiloidogenetica è costituita da catene leggere (Amyloid Light: AL) delle immunogllobuline. Nella maggior parte dei casi (circa il 75%), si tratta di catene leggere di tipo . Si realizza nel 5-15% dei casi di mieloma multiplo e, più frequentemente, in corso di discrasie plasmacellulari senza evidenza di mieloma. Interessa preferenzilamnete cuore, apparato gastro-intestinale, sistema nervoso centrale, rene, cute, lingua (macroglossia). Amiloidosi reattiva sistemica È caratterizzata dal deposito della proteina AA (Amyloid Associated), derivante da un precursore sierico (SAA) prodotto dal fegato in corso di malattie infiammatorie croniche (artite reumatoide, spondilite anchilosante, morbo di Crohn, retto-colite ulcerosa), di neoplasie (carcinoma renale, LH) o di febbre mediterranea familiare (polisierositi recidivanti). Interessa prevalentemente è rene, fegato, milza, linfonodi, surreni, tiroide Amiloidosi associata a emodialisi 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 185 Amiloidosi eredo-familiare È carattrizzata da deposizione, lungo i nervi periferici, di transtiretina (vettore di ormoni tiroidei e di retinolo) mutante (ATTR) Amiloidosi senile È caratterizzta da deposizione sistemica, con particolare interessamento cardiaco di transtiretina non mutante. Amiloidosi localizzate Amiloidosi endocrine Le proteine amilodogenetiche sono costituite da ormoni polipeptidici o da precursori (es. pro-calcitonina nel carcinoma midollare della tiroide; polipeptide dell’amiloidosi insulare in corso di diabete mellito tipo II; fattore natriuretico atriale nell’amiloidosi atriale) Amiloidosi senile cerebrale la proteina amiloidogenetica è la ß-amiloide (Aß). Nella malattia di Alzheimer si deposita nelle placche cerebrali e nei vasi encefalici. Amiloidosi AL Epidemiologia L’amiloidosi AL rappresenta la forma più comune di amiloidosi sistemica nel mondo occidentale. L’incidenza è di circa 0.5-1 caso per 100.000 persone per anno. L’età mediana alla diagnosi è di circa 60 anni. Accompagna nel 5-15% dei casi un mieloma multiplo mentre nella restante percentuale non vi è evidenza di mieloma multiplo (solo gammopatia monoclonale senza massiva infiltrazione midollare di plasmacellule e senza lesioni scheletriche). Esordio clinico Il paziente affetto da amilodosi AL si rivolge al medico per sintomi correlati agli organi coinvolti. Va sottolineato che il sospetto diagnostico di amilodosi va posto per ogni paziente affetto da gammopatia monoclonale non asintomatico. Infatti il quadro clinico dell’amiloidosi puo’ essere caratterizzato anche da una sintomatologia aspecifica quali l’astenia e l’affaticabilità. In altri casi i sintomi ed i segni di presentazione sono riferibili a danno d’organo: cuore (insufficienza congestizia, aritmie, cardiomiopatia restrittiva), rene (sindrome nefrosica, insufficienza renale), apparato gastro-intestinale (macroglossia, epatomegalia, malassorbimento), sistema nervoso (neuropatia autonomica con alterazioni della motilità intestinale, ipotensione ortostatica; neuropatia sensoriale), cute (porpora, noduli, papule), apparato muscoloscheletrico (sindrome del tunnel carpale, miopatia). Diagnosi La diagnosi è basata sulla biopsia (grasso periombelicale, gengiva, retto, rene; midollo osseo nella AL), con dimostrazione della birifrangenza e identificazione del tipo di amiloide mediante immuniostochimica. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 186 Prognosi La prognosi dell’amiloidosi è severa. La sopravvivenza mediana dei pazienti con amiloidosi AL è di 1-3 anni dalla diagnosi. Terapia L’obiettivo della terapia consiste nella riduzione del “pool” dei precursori, nell’inibizione della formazione del nucleo iniziale di amiloidosi, nell’inibizione della interazione con la membrana basale e nell’accelerata rimozione di amiloide. Il trattamento iniziale prevede generalmente corticosteroidi ad alte dosi (desametasone). Nei pazienti di età inferiore a 65 anni sono indicati trattamenti più intensificati che prevedono la raccolta di cellule staminali emopoietiche ed il trapianto autologo di cellule staminali periferiche . E’ attualmente in fase di sperimentazione clinica un derivato della doxorubicina (4’-iodo4’-desosssidoxorubicina), che ha dimostrato un’elevata affinità per le fibrille di amiloide e ne accelera la rimozione. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 187 30. Disordini non neoplastici dei granulociti e dei monociti Definizione Si tratta di condizioni cliniche caratterizzate o da una riduzione della quantità di neutrofili e/o monociti nel sangue periferico per ridotta produzione o aumentata distruzione (granulocitopenie), oppure da alterazioni qualitative consistenti in difetti funzionali, strutturali o metabolici a carico dei neutrofili (granulocitopatie) o dei monociti (tesaurismosi). Granulocitopenie Definizione Il termine si applica a condizioni cliniche caratterizzate da un valore di neutrofili nel sangue periferico pari o inferiore a 2x109/l. Il termine di agranulocitosi si riserva invece a condizioni più severe caratterizzate da un numero di neutrofili uguale o inferiore a 0.5x109/l. Patogenesi Si distinguono forme congenite e forme acquisite. Le granulocitopenie congenite sono condizioni rare e vengono distinte, in base al decorso clinico, in costanti o cicliche. Le forme acquisite, più frequenti, possono essere dovute a: mancata o ridotta produzione di granulociti ad opera di disordini oncoematologici, agenti citotossici, altri farmaci (cloramfenicolo), reazioni immunitarie, virus; distruzione dei granulociti circolanti con meccanismi immunitari specifici o non specifici innescati da virus, farmaci, ecc; marginazione e sequestro di granulociti per splenomegalia o in corso di epatopatia cronica Circostanze della diagnosi e decorso clinico L’espressione clinica della granulocitopenia è rappresentata dal rischio di contrarre infezioni, elevato in caso di granulocitopenia è severa (PMN<0.5x109/l) e prolungata. Nella forme acquisite da difetto di produzione, come i disordini oncoematologici (leucemie acute, mielodisplasie, etc.), l’anemia aplastica o l’ipoplasia midollare post-chemioterapia, la granulocitopenia è generalmente associata a riduzione degli eritrociti e delle piastrine (pancitopenia), ed il quadro clinico è caratterizzato, oltre che dall’eventuale presenza di infezione, dai sintomi e segni dell’anemia e della piastrinopenia. Nelle forme acquisite da farmaci, la granulocitopenia è invece generalmente selettiva, cioè senza coinvolgimento delle altre cellule ematiche. Diagnosi L’esame emocromocitometrico mostra una riduzione del valore dei neutrofili, isolata oppure associata ad una riduzione consensuale degli eritrociti e delle piastrine. L’esecuzione di un mieloaspirato è essenziale per un corretto inquadramento della granulocitopenia: è essenziale escludere che essa sia espressione di una leucemia. E’ necessario eseguire indagini volte a stabilire l’esistenza di un’infezione o di una epatopatia cronica o di un processo autoimmune. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 188 Terapia La correzione della neutropenia dipende dalla sua patogenesi. Le forme immuni possono essere corrette con corticosteroidi. Altre sono corrette con la somministrazione di fattori di crescita come il G-CSF e il GM-CSF. La terapia delle infezioni richiede la somministrazione di antibiotici e/o antimicotici. Granulocitopatie Si tratta di condizioni clinico-ematologiche caratterizzate da difetti morfologici (anomalia di Pelger-Huet, malattia di Chediak-Higashi, anomalia di May-Hegglin) o da difetti funzionali (malattia granulomatosa cronica, deficit di mieloperossidasi) del granulocito. Malattia di Chediak-Higashi E’ una condizione patologica caratterizzata dalla presenza di granulopoiesi inefficace dimostrata da un’iperplasia granuloblastica a livello midollare con granulocitopenia periferica. I neutrofili presentano granulazioni perossidasi positive dovute alla fusione di granulazioni azzurrofile e granuli specifici. Patogenesi E’ una malattia congenita a trasmissione autosomica recessiva a penetranza variabile con ridotta risposta allo stimolo chemotattico e mancata attivazione degli enzimi lisosomiali. Quadro clinico Il quadro clinico è principalmente caratterizzato da aumentata suscettibilità alle infezioni, e da diatesi emorragica dovuta a difetto dell’aggregazione piastrinica In un alta percentuale di casi nel corso della malattia si osserva comparsa di epatosplenomegalia. Diagnosi La diagnosi si basa sull’evidenza di granulociti neutrofili con granulazioni giganti perossidasi e Sudan positive e PAS negative. Il lisozima è elevato. Terapia Non esiste una terapia specifica, ma solo un trattamento di controllo delle infezioni. Nei casi più gravi può essere indicato un trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Malattia granulomatosa cronica E’ una condizione patologica caratterizzata da infezioni ricorrenti per mancata produzione di anioni superossido e perossido di idrogeno (mancanza dell’esplosione ossidativa) che sono responsabili dell’azione di killing dei fagociti. Patogenesi Una forma ad eredità diaginica (maschi affetti, femmine portatrici) è dovuta alla mancanza di citocromo b 558, responsabile della produzione di superossido a partire da NADPH. Una forma a eredità autosomica è causata dalla mancanza di un’altra proteina citosolica, responsabile della produzione di superossido. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 189 Quadro clinico Il quadro clinico è dominato da infezioni ricorrenti, di gravità variabile, localizzate soprattutto a livello di cute e polmoni e sostenute da microorganismi catalasi positivi, in particolare Stafilococco Aureo (50% dei casi), ma anche da funghi e da agenti opportunistici. Diagnosi La diagnosi viene formulata mediante dimostrazione della mancanza dei processi di esplosione ossidativa mediante test al Nitroblu di Tetrazolio (NBT): nei casi patologici non si osserva il cambiamento cromatico (da giallo a porpora) del NBT per assenza dell’anione superossido che determina normalmente la riduzione del NBT stesso. Terapia La terapia è principalmente basata sull’impiego di fattori di crescita (G-CSF e GM-CSF) per ridurre il rischio infettivo. Recentemente è stato applicato il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Tesaurismosi Sono condizioni ereditarie dovute ad un deficit quantitativo o quantitativo degli enzimi che consentono un rapido catabolismo di sfingolipidi e sfingomieline (costituiti da ceramide e da zuccheri) con conseguente accumulo di tali composti a livello di vari tessuti. Il danno si sviluppa in alcuni casi a carico del sistema nervoso centrale, in altri gli effetti patologici riguardano i monociti-macrofagi che accumulano glicolipidi, infiltrando e danneggiando il midollo osseo, il fegato, la milza e i linfonodi (malattie di Gaucher e di Nieman-Pick). Leucocitosi Il termine leucocitosi definisce un aumento dei leucociti al di sopra di 11 x 109/L. La leucocitosi è più frequentemente sostenuta da un incremento dei neutrofili circolanti, ma sono possibili leucocitosi con predominanza di uno dei vari tipi di globuli bianchi circolanti. Leucocitosi neutrofila (neutrofilia) Un incremento dei neutrofili circolanti maggiore di 7.5 x109/l è una delle più frequenti anomalie riscontrate al conteggio dei globuli bianchi e all'osservazione dello striscio di sangue periferico. Si può osservare in condizioni fisiologiche come esercizio fisico, stress, in seguito all’uso di alcuni farmaci (adrenalina, corticosteroidi), oppure associata a malattie infettive (batteri, miceti), infiammatorie (malattie autoimmuni, neoplasie, ipersensibilità, ischemia acuta). Dal punto di vista clinico generalmente la neutrofilia è associata ad un quadro clinicolaboratoristico che ne suggerisce l’interpretazione diagnostica (infezioni, neoplasie, infarto del miocardio, malattie autoimmuni). La conferma diagnostica si avrà dalla remissione della neutrofilia con la risoluzione della malattia di base. Meno frequentemente risulta un riscontro occasionale in presenza di un quadro clinico non definito o di non immediata interpretazione. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 190 Il procedimento diagnostico deve primariamente differenziare la neutrofilia reattiva dalla neutrofilia da malattie mieloproliferative croniche (leucemia mieloide cronica, trombocitemia essenziale, policitemia vera, mielofibrosi idiopatica). La presenza in circolo di elementi immaturi della serie mieloide (mieloblasti, promielociti, mielociti, metamielociti), è un segno suggestivo di malattia mieloproliferativa. Bisogna però sottolineare che si può osservare, raramente, anche in condizioni reattive: la reazione leucemoide e lo screzio granulo-eritroblastico. Reazione leucemoide La reazione leucemoide è una leucocitosi benigna caratterizzata dalla presenza di cellule immature (blasti, promielociti, mielociti) nel sangue periferico. Benchè la maggior parte delle reazioni leucemoidi siano sostenute da incremento di granulociti, possono riscontrarsi reazioni linfocitarie. La maggioranza di queste reazioni si associa a infezioni. Reazione leucoeritroblastica o screzio granuloeritroblastico Questa condizione è caratterizzata dalla presenza nel sangue periferico di eritroblasti e di cellule immature della serie bianca. Essa è di più frequente riscontro in corso di alterazioni della architettura midollare legate ad infiltrazione midollare. Leucocitosi eosinofila Si definisce eosinofilia un numero degli eosinofili circolanti superiore a 0.45 x109/L. si può riscontrare in corso di ipersensibilità (rinite allergica, asma, dermatite atopica, farmaci), malattie autoimmuni (connettiviti sistemiche), infezioni (soprattutto parassitarie, ma anche scarlattina, tubercolosi, aspergillosi), linfomi (linfoma di Hodgkin, linfomi a cellule T). Queste forme reattive devono essere differenziate dalla eosinofilia che si osserva in corso di malattie mieloproliferative croniche (principalmente la leucemia mieloide cronica). La presenza di eosinofilia superiore a 1.5x109/L per almeno 6 mesi, in assenza di cause di eosinofilia reattiva, associata a sintomi e segni di danno d’organo mediato da eosinofili (cuore, polmone, sistema nervoso centrale e periferico, cute), definisce la cosidetta Sindrome ipereosinofila (Hypereosinophilic Syndrome, HES), per una trattazione più approfondita della quale rimandiamo allo specifico capitolo. Leucocitosi basofila Si definisce basofilia un aumento del numero assoluto di basofili superiore a 0.08x109/L. Bisogna primariamente precisare che l’aumento isolato dei granulociti basofili non determina aumento del numero assoluto di leucociti, e dunque leucocitosi. Tuttavia, per quanto un aumento isolato dei basofili possa essere osservato in alcune condizioni non neoplastiche (ipersensibilità, artrite reumatoide), la causa più frequente di basofilia sono le malattie mieloproliferative croniche, ed in particolare la leucemia mieloide cronica, che 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 191 Monocitosi Si definisce monocitosi un numero di monociti superiore a 1.0 x109/L. Può essere espressione di infezioni (tubercolosi, brucellosi, malaria), malattie infiammatorie (sarcoidosi, malattia granulomatosa cronica), oppure essere segno di leucemia mielomonocitica cronica (LMMC). Il procedimento diagnostico di una monocitosi deve primariamente indagare le possibili cause di monocitosi reattiva. La diagnosi di leucemie mielomonocitica cronica (per una trattazione dettagliata della quale si rimanda al capito sulle sindromi mielodisplastiche e i disordini mielodisplastici/mieloproliferativi), in assenza di alterazioni citogenetiche o midollari, che suggeriscano un processo neoplastico, è essenzialmente una diagnosi per esclusione. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 192 31. Fisiopatologia dell’emostasi Per emostasi si definisce il complesso di eventi fisiologici finalizzati all’arresto delle emorragie. Il sistema emostatico è costituito dal vaso sanguigno e dalla parete vascolare, dalle piastrine ed altre cellule ematiche, e da alcune proteine plasmatiche (fattori della coagulazione, proteine regolatorie della coagulazione). Nel processo emostatico si distinuguono due fasi distinte, ma strettamente collegate fra loro: l’emostasi primaria, (cronologicamente più precoce) che consiste nella vasocostrizione e nella formazione del tappo piastrinico; e l’emostasi secondaria (più tardiva), che consiste nell’attivazione della coagulazione e nella formazione del reticolo di fibrina. Emostasi primaria Nell’ambito dell’emostasi primaria è possibile individuare diverse fasi: la vasocostrizione locale, finalizzata a ridurre il flusso e la perdita di sangue a livello dei vasi colpiti, l’adesione delle piastrine alle fibre di collagene del subendotelio vascolare, l’attivazione delle piastrine con reazione di rilascio del contenuto dei granuli piastrinici e infine l’aggregazione piastrinica Adesione piastrinica L’adesione piastrinica è mediata dall’interazione tra il collagene ed il recettore Gp Ia-IIa sulla membrana piastrinica. La stabilizzazione di questa interazione è operata dal Fattore von Willebrand (vWF), che si lega al recettore piastrinico Gp Ib-IX (CD42a,b) e da altre adesine (fibronectina, trombospondina). Attivazione e reazione di rilascio dei granuli piastrinici L’interazione delle piastrine con il collagene e con diverse sostanze liberate in seguito al danno vascolare (ADP) induce un processo di attivazione, con alterazioni morfologiche, strutturali e biochimiche. Se lo stimolo è sufficientemente forte, questi processi conducono alla reazione di rilascio dei granuli densi con secrezione di ADP, ATP, serotonina. L’ADP induce a sua volta il rilascio degli -granuli, che contengono proteine di adesione (fibrinogeno, fibronectina, vWF, trombospondina, vitronectina), modulatori di crescita (PDGF, TGF- ), fattori della coagulazione. Le sostanze rilasciate stimolano l’aggregazione piastrinica che diventa irreversibile. L’attivazione e la secrezione delle piastrine sono finemente regolate (Figura 1). Il legame di sostanze agoniste (collagene, trombina) ai recettori di superficie delle piastrine attiva enzimi di membrana (fosfolipasi C e A2) che catalizzano la liberazione di acido arachidonico dai fosfolipidi di membrana. Un enzima differente (ciclossigenasi, inibito dall’acido acetilsalicilico e da altri farmaci infiammatori non steroidei) media la formazione di trombossano A2 dall’acido arachidonico. L’inibizione della sintesi del tromossano A2 rappresenta la base dell’azione di alcuni farmci antiaggreganti. Un meccanismo omeostatico molto efficiente controlla la velocità e l’entità dell’attivazione piastrinica. Il trombossano A2 , prodotto dall’acido arachidonico delle piastrine, aumenta l’attività della fosfolipasi C che a sua volta stimola l’attivazione e la secrezione piastrinica. Al contrario, la prostaciclina (PGI2), prodotto dell’acido arachidonico delle cellule endoteliali, inibisce l’attivazione piastrinica. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 193 Aggregazione piastrinica L’interazione piastrinica (aggregazione) è mediata principalmente dal fibrinogeno, che si lega al recettore piastrinico Gp IIb-IIIa (CD41). Nelle fasi iniziali l’aggregazione piastrinica è reversibile; in seguito alla reazione di rilascio il processo diventa irreversibile. sub e nd o t e lio F VIII FvW FvW FvW GpIB P TERAPIA ANTIAGGREGANTE PIASTRINICA CON ASPIRINA (ACIDO ACELTILSALICILICO) - prevenzione del re-infarto e della vasculopatia cerebrale. - bassi dosaggi (75-125 mg) inibiscono la produzione del tromboxano, ma non della prostaciclina AGENTE AGGREGANTE AGENTE Anti-AGGREGANTE 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 194 Emostasi secondaria L’emostasi secondaria è il complesso delle eazioni enzimatiche finalizzate alla trasformazione del fibrinogeno plasmatico in fibrina (reticolo di fibrina o tappo emostatico). Consiste nell’attivazione della cascata della coagulazione, degli inibitori fisiologici della coagulazione e della fibrinolisi. Coagulazione I fattori della coagulazione sono pro-enzimi inattivi in condizioni basali. Vengono attivati in modo sequenziale in un complesso di reazioni enzimatiche finalizzate a generare trombina ed a trasformare il fibrinogeno plasmatico in fibrina (cascata coagulativa). Dal punto di vista bichimico i fattori della coagulazione nella forma inattiva sono proenzini asingola catena. La loro attivazione avviene mediante un taglio proteolitico parziale, e la forma attiva è composta da due catene peptidiche, una catena pesante e una catena leggera, unite tra loro da ponti disolfuro (S-S). Nel sito catalitico (sito attivo) di ciascun enzima è contenuto l’aminoacido serina, da cui il nome di proteasi seriniche. Alcuni fattori della coagulazione sono caratterizzati da un dominio ricco in acido carbossiglutammico, che ha la funzione di legare ioni calcio (Ca++). L’ acido carbossiglutammico è ottenuto mediante una reazione di carbossilazione dell’acido glutammico vitamina K-dipendente. Tali fattori sono definiti vitamina-K dipendenti e sono il fattore II (protrombina), il fattore VII, il fattore IX, e il fattore X. Anche le proteine C e S (inibitori della coagulazione) sono vitamina K-dipendenti. Convenzionalmente si distinguono: una via intrinseca o fase di contatto, una via estrinseca o tissutale e una via comune e finale. Nella via intrinseca, tre proteine plasmatiche (il fattore XII o Hageman, il chininogeno ad elevato peso molecolare (HMWK) e la precallicreina), formano un complesso con il collagene vascolare subendoteliale; dopo il legame con HMWK il fattore XII viene trasformato in proteasi attiva che catalizza l’attivazione della precallicreina e del fattore XI. La callicreina (forma attivata) accelera a sua volta la conversione del fattore IX e del fattore VIII in forma attivata. La via estrinseca (fattore VII, fattore tissutale e calcio) rappresenta un secondo sistema per avviare la coagulazione. Si forma un complesso tra fattore VII, calcio e fattore tissutae, una lipoproteina ubiquitaria presente nella membrana cellulare ed esposta dopo una lesione cellulare. Nella via comune e finale della coagulazione (che comprende il fattore X, fattore V, la trombina, il fibrinogeno e il fattore XIII), il fattore X è attivato dalle proteasi gnerate nelle reazioni precedenti (via inrinseca ed estrinseca). Il fattore X attivato nella tappa finale converte la protrombina in trombina in presenza di fattore V, calcio e fosfolipidi. La 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 195 intervengono nel processo di cross-linking (mediato dal fattore XIII) che genera strutture di fibrina insolubili. Inibitori fisiologici della coagulazione Gli inibitori della coagulazione sono la proteina C, la proteina S e l’antitrombina. La proteina C viene attivata da un complesso costituito dalla trombomodulina (proteina di membrana delle cellule endoteliali) e dalla trombina. La proteina C attivata si lega alla proteina S: il complesso degrada i fattori V e VIII attivati. L’antitrombina III è un’ 2-globulina che si lega all’eparina ed inattiva i fattori vitamina Kdipendenti ad eccezione del fattore VII (principalmente la trombina ed il fattore Xa). Fibrinolisi La fibrinolisi è il sistema deputato alla degradazione del fibrinogeno e della fibrina. La proteina principale è il plasminogeno che viene attivato a plasmina per intervento dell’urochinasi o dell’attivatore tessutale del plasminogeno (tPA). Il sistema è inibito dall’ 2-antiplasmina e dagli inibitori dell’attivatore del plasminogeno (PAI). La degradazione del fibrinogeno dà origine a diversi peptidi (FDP): frammento X, Y, D, E; dalla degradazione della fibrina orgina il D-dimero, costituito da 2 frammenti D uniti da legame isopeptidico covalente (catalizzato dal fattore XIIIa). Valutazione dell’emostasi I principali tests di laboratorio per la valutazione dell’emostasi sono indicati nell’elenco seguente: conteggio delle piastrine (100-400 x 109/L) EMOSTASI tempo di stillicidio o di emorragia (tecnica di Ivy: < 7 min) APTT, tempo di tromboplastina parziale attivata (25-36”) PT, tempo di protrombina (tempo di Quick) (11-14”, 70-120%, INR 0,9-1,2) fibrinogeno (150-350 mg/dL) FDP (< 10 µg/dL) FASE D-dimero (valori normali inferiori a 500 ng/ml) EMOSTASI SECONDARIA Manifestazioni cliniche dei disordini dell’emostasi primaria e secondaria Manifestazioni cliniche Emostasi primaria Emostasi secondaria Tempo di insorgenza dopo trauma Immediata Ritardata (ore o giorni) Sede delle emorragie Superficiale (cute, mucose) Profonda (articolazioni, muscoli) Reperti obiettivi Petecchie, ecchimosi Ematomi Trattamento Misure locali Terapia sistemica 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 196 32. Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare Fattori di rischio trombofilico Fattori genetici Sono stati individuati alcuni fattori genetici che predispongono all’insorgenza di trombosi venosa profonda. Essi sono costituiti dal Deficit di antitrobina III, dal fattore V Leiden, dalla mutazione G20210A della protrobina, dal deficit di proteina C e S, e dall’iperomocisteinemia. Il deficit di antitrombina III è un difetto piuttosto comune: la forma lieve (condizione eterozigote) ha una prevalenza di 1:2000 individui. I livelli di normalità dell’antitrombina III plasmatica sono compresi da da 5 a 15 mg/L (50 - 150 %). Il quadro clinico è caratterizzato da aumenatto rischio di trombosi venose. La diagnosi è basata sul dosaggio dell’attività dell’ATIII. Nei soggetti con deficit è necessario evitare altri fattori di rischio trombotici (fumo, estro-progestinici etc). Il fattore V Leiden è caratterizzato da una mutazione missense G1691 A che causa la sostituzione di una arginina in glutamina alla posizione 506. La posizione 506 è nel sito di clivaggio del fattore V e la sostituzione dell’acido glutammico con l’arginina rende il fattore V meno attaccabile e meno inattivabile da parte della proteina C attivata. Dal punto di vista clinico è caratterizzato da un aumentato rischio di trombosi venosa profonda, che negli eterozigoti è di 7-8 volte superiore al normale, mentre negli omozigoti di 40-80 volte il normale. Alcuni fattori di rischio possono aumentare il rischio di trombosi: pillola estro-progestinica, fumo, lunghi viaggi aerei, allettamento, piccola chirurgia. La diagnosi viene formulata mediante il test della proteina C attivata, che consiste nell’aggiunta di proteina C attivata ad un campione di plasma per un test APTT: la risposta normale è un allungamento dell’APTT. La variante G20210A della protrombina è un esempio di patologia della traduzione dell’mRNA. La mutazione G20210 A interessa la regione 3’ non tradotta del gene, che determina verosimilmente maggior stabilità e traduzione dell’mRNA. Questo comporta una protrombinemia ai limiti superiori della norma (superiore alla media) con rischio aumentato di complicanze trombotiche venose ed arteriose. Infine tra le condizioni ereditarie rare di predisposizione alla trombosi vanno menzionate il deficit di proteina C e di proteina S della coagulazione e l’iperomocisteinemia. Quest’ultima è sostenuta più frequentemente da un deficit di 5,10-metilen-tetraidrofolato reduttasi, enzima coinvolto nella sintesi del 5-metilen-tetraidrofolato, cofattore della trasformazione dell’omocisteina in metionina. E’ un fattore di rischio allo sviluppo di trombosi venose e arteriose. Fattori acquisiti Le condizioni acquisite di predisposizione alla trombosi comprendono situazioni di tipo carenziali attraverso il meccanismo della moderata iperomocisteinemia: la carenza di vitamina B12, la carenza di acido folico, la carenza di vitamina B6. Di questo gruppo di disordini fa parte inoltre la sindrome da anticorpi antifosfolipidi E’ una condizione patologica caratterizzata dalla comparsa di anticorpi anticardiolipina, anticoagulante tipo lupus, che insorge in soggetti con lupus erythematosus o altra condizione autoimmune. Dal punto di vista clinico questa sindrome è caratterizzata da complicanze trombotiche venose ed arteriose, con frequente anamnesi di aborti ripetuti, piastrinopenia ed allungamento dell’aPTT (per inibizione dei complessi fosfolipidici 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 197 necessari per l’attivazione dei fattori V, X, II, da cui la definizione di “anticoagulante” assegnata all’anticorpo tipo lupus). La diagnosi si basa sulla ricerca degli anticorpi antifosfolipidi. Nei soggetti asintomatici è necessaria la prevenzione di eventuali fattori di rischio trombotico aggiuntivi, oltre che il trattamento della malattia di base. Trombosi venosa profonda Definizione La trombosi venosa profonda è una trombosi che interessa una delle seguenti vene del distretto circolatorio profondo: iliaca, femorale, poplitea. Patogenesi Sono stati individuati diversi fattori predisponenti allo sviluppo di trombosi venosa profonda, che possiamo così schematizzare: difetti genetici (deficit di antitrombina III, fattore V Leiden, variante G20210A della protrombina, deficit di proteina C, deficit di proteina S, iperomocisteinemia); carenza di folati e/o di vit B12 ed iperomocisteinemia secondaria; farmaci (estrogeni) agenti chimici (fumo); interventi chirurgico che comporta prolungata immobilizzazione a letto (ortopedico, ginecologico, urologico, etc); traumi (frattura di bacino, femore, tibia); immobilizzazione per malattia (infarto, etc); neoplasia (carcinomi); malattie autoimmunitarie (anticorpi antifosfolipidi), malattie mieloproliferative, EPN Quadro clinico La trombosi venosa profonda si presenta generalmente con arrossamento, edema, dolorabilità unilaterale di un arto. Se compare cianosi locale si delinea il quadro della phlegmasia cerulea dolens; se prevale il pallore da edema marcato si ha il quadro di phlegmasia alba dolens. Diagnosi La diagnosi è basata oltre che sul quadro clinico, sull’eco-doppler dei vasi venosi profondi e sul dosaggio del D-dimero plasmatico, prodotto di degradazione della fibrina dovuto all’azione della plasmina. Terapia Il trattamento della trombosi venosa profonda è basato sull’uso di anticoagulanti: eparina sodica endovena (il cui dosaggio viene modulato in base all’aPTT), oppure eparina a basso peso molecolare sottocute (dosata sul peso corporeo), e dicumarinici (con dosaggio modulato sulla base del tempo di Quick, INR). Lo schema di trattamento prevede alla diagnosi l’impiego di eparina a basso peso molecolare sottocute associata a dicumarinico. Quindi, quando l’INR è stabilmente tra 2 e 3, l’ eparina viene sospesa ed il trattamento viene proseguito con il solo dicumarinico. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 198 Complicanze Una complicanza temibile della trombosi venosa profonda è l’embolia polmonare. Dal punto di vista clinico l’emoblia polmonare massiva si manifesta con dolore toracico, tachipnea, tachicardia, cianosi. La diagnosi è basata sulla scintigrafia polmonare con doppio mezzo di contrasto o TAC spirale. La terapia prevede l’impiego di anticoagulanti o in caso di embolia polmonare massiva agenti trombolitici (streptochinasi, urochinasi, tPA). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 199 33. Piastrine, piastrinosi e piastrinopenia Piastrine: distribuzione ed omeostasi Circa 2/3 delle piastrine si trova in circolo, dove hanno una vita media di 7-10 giorni; i valori normali sono compresi tra 100 e 400 x 109/L. Il restante 1/3 delle piastrine si trova nella milza (pool splenico). La produzione di piastrine è regolata principalmente dalla trombopoietina (TPO), una proteina del peso molecolare di 31-35 kD, il gene che codifica per la quale è mappato alla regione 3q26-28. Il recettore per la trombopoietina è codificato dal gene c-mpl (myeloproliferative leukemia), espresso sulle cellule cellule staminali emopoietiche CD34 positive. La trombopoietina è prodotta principalmente dal fegato e in misura minore dal rene. La produzione di TPO è costante; il livello di ormone in circolo sembra essere regolato dal legame della proteina alle piastrine. In caso di piastrinopenia, si riduce la quota legata alle piastrine ed aumenta la concentrazione di TPO libera; in caso di piastrinosi aumenta la massa piastrinica (e conseguentemente la quota di ormone ad essa legata), e si riduce la concentrazione plasmatica di TPO. La trombopoietina stimola in vitro la crescita di CFUMK e megacariociti. Hematopoietic growth factor production: Constitutive synthesis and variable consumption TPO k TPO producing cell Piastrinosi o trombocitosi Si definisce piastrinosi o trombocitosi una condizione patologica caratterizzate da un numero di piastrine superiore a 400x109/l. Dal punto di vista patogenetico si distinguono: trombocitosi secondarie: - infiammazione sistemica (infezioni,neoplasie) (TPO proteina di fase acuta, IL-6 e IL11 agiscono come fattori di crescita e differenziazione dei megacariociti) - carenza di ferro - splenectomia - emorragia acuta - interventi chirurgicic e traumi - parto trombocitosi primitive: - malattie mieloproliferative (trombocitemia essenziale, policitemia vera, leucemia mieloide cronica, mielofibrosi idiopatica) 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 200 Piastrinopenia o trombocitopenia Si definisce piastrinopenia o trombocitopenia una condizione patologica caratterizzata da un numero di piastrine inferiore a 100 x 109/L (100-150 x 109/L: valori borderline). Dal punto di vista patogenetico possiamo distinguere piastrinopenia da: deficitaria produzione piastrinica (aplasia midollare, anemie megaloblastiche, sindromi mielodisplastiche, leucemie acute, infiltrazione midollare) sequestro splenico (epatopatia cronica) piastrinopenie da aumentata distruzione piastrinica (porpora idiopatica trombocitopenica, coagulazione intravascolare disseminata, porpora trombotica trombocitopenica, infezione da HIV, altre condizioni più rare) farmaci Un ridotto conteggio piastrinico può essere sostenuto inoltre da un artefatto di laboratorio. Gli strumenti automatici contano le piastrine in base al volume cellulare (metodo impedenzometrico); la formazione di aggregati piastrinici (o di piastrine giganti) può determinare una pseudopiastrinopenia. La causa più frequente è l’aggregazione piastrinica sostenuta da autoanticorpi antipiastrine che legano l’antigene solo in presenza di EDTA (l’anticogulante normalmente utilizzato per l’esame emocromocitometrico). La valutazione della curva di distribuzione del volume piastrinico (oggi fornita dalla maggior parte dei contaglobuli automatici) consente di sospettare questa evenienza. Porpora trombocitopenica idiopatica (morbo di Werlhof) Definizione La porpora trombocitopenica idiopatica è una piastrinopenia acquisita primitiva caratterizzata da distruzione piastrinica su base immunologica sostenuta da anticorpi diretti contro antigeni associati alle piastrine. Epidemiologia È la più frequente delle malattie emorragiche. Colpisce prevalentemente soggetti di età giovane, tra i 20 e i 40 anni, con netta prevalenza per il sesso femminile (rapporto maschi/femmine = 3:1). Patogenesi 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 201 Nel bambino l’insorgenza di porpora trombocitopenica idiopatica è secondaria infezioni virali; il decorso è acuto e nella maggior parte dei casi è autolimitante: il 60% dei casi guarisce in 6 settimane, il 90% entro 6 mesi. Nell’adulto la forma acuta è meno frequente; più tipicamente il decorso è cronico, con netta prevalenza del sesso femminile. Diagnosi: Il corretto inquadramento del paziente con morbo di Werlhof comprende l’aspirato midollare, che dimostra un aumentato numero di megacariociti (tentativo di compensazione dell’aumentata distruzione periferica); la ricerca di anticorpi antinucleo ed anti-DNA per escludere che la piastrinopenia sia espressione di lupus erytematosus sistemico o di altra condizione autoimmune ed il test per HIV, responsabile di piastrinopenia da aumentata distruzione periferica. Terapia La terapia della porpora trombocitopenica idiopatica prevede l’impiego di cortisone (prednisone:1 mg/kg/die per 4-6 settimane). Nei pazienti non responsivi al cortisone, o nei soggetti che non mantengono la risposta clinica con la riduzione della posologia dello steroide, la terapia di seconda linea consiste nella splenectomia. Nei pazienti non responsivi con valori piastrinici superiori a 20 x 109/L è indicata la sola osservazione; in caso contrario si ricorre a terapia immunosoppressiva (ciclofosfamide, azatioprina). La terapia trasfusionale è indicata soltanto in caso di emorragia grave; alternativamente è possibile impiegare Ig endovena ad alte dosi (400 mg/kg/die). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 202 34. Porpora trombotica trombocitopenica (sindrome di Moschowitz) Patogenesi Il fattore di von Willebrand è sintetizzato dai megacariociti e dalle cellule endoteliali in forma di multimero ad alto peso molecolare, ma nel plasma si trova in forma di multimeri con peso molecolare compreso tra 500 e 10.000 kD. Un importante meccanismo di depolimerizazione dei multimeri più grandi è la proteolisi da parte di proteasi presenti nel plasma, appartenenti alla famiglia di metalloproteinasi ADAMTS (a disintegrin and metalloproteinase with thrombospondin type I motif) (Blood, 15 September 2001, Vol. 98, No. 6, pp. 1662-1666). cellula endoteliale multimeri di Fattore von Willebrand ad elevato peso molecolare ( > 106 kD) (depolimerasi ADAMTS13) fattore von Willebrand di peso molecolare normale (centinaia di migliaia) Fisiopatologia Recentemente sono state evidenziate in famiglie con PTT congenita mutazioni a carico del gene ADAMTS13 mappato sul cromosoma 9q34. Questo suggerisce che la proteolisi fisiologica del vWF e/o di altri substrati di ADAMTS13 è necessaria per la normale 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 203 Quadro clinico Il paziente "tipico" è un giovane adulto che va dal medico per comparsa di: febbre (98% dei casi) anemia emolitica intravascolare (96% dei casi) manifestazioni emorragiche con piastrinopenia (96% dei casi) manifestazioni neurologiche (obnubilamento del sensorio o delirio, cefalea, paralisi di nervi cranici, emiparesi, afasia, disturbi visivi, convulsioni, coma) (92% dei casi) segni di insufficienza renale (88 % dei casi) ittero (42%) Diagnosi Gli esami di laboratorio in un paziente con porpora trombotica trombocitopenica dimostrano: anemia (7-8 g/dl) con reticolocitosi schistociti (eritrociti frammentati) allo striscio di sangue periferico segni di emolisi intravascolare (iperbilirubinemia indiretta, aumento dell’LDH, riduzione dell’aptoglobina, emosiderinuria) piastrinopenia (10-30 x 109/L) insufficienza renale test della coagulazione nella norma o borderline Terapia Il trattamento della porpora trombotica trombocitopenica è la plasmaferesi che consente di rimuove i multimeri di FvW ad alto peso molecolare. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 204 35. Malattia di von Willebrand Patogenesi La malattia è stata descritta per la prima volta da Erik von Willebrand, un medico finlandese, nel 1926. (von Willebrand EA. Hereditar pseudohemofili. Fin Laekaresaellsk Hand 1926; 68:87-112). Oggi sono noti diversi sottotipi di malattia di von Willebrand, causati da varie mutazioni del gene del fattore von Willebrand (FvW). Tali mutazioni sono state registrate in un database consultabile online (http://mmg2.im.med.umich.edu/vWF/). La classificazione genetico-clinica della malattia di von Willebrand distingue tre forme: il tipo 1, caratterizzato da un deficit quantitativo parziale del FvW, con trasmissione autosomica dominante; il tipo 2, nel quale si osserva un deficit qualitativo del FvW, trasmesso come carattere autosomico dominante, ed il tipo 3, caratterizzato dall’assenza pressoché completa del FvW, a trasmissione autosomica semidominante. Malattia di von Willebrand tipo I Epidemiologia Il tipo 1 rappresenta circa il 70% dei casi di malattia di von Willebrand. La malattia presenta un ampio spettro di severità clinica; conseguentemente una corretta stima della prevalenza nella popolazione non è agevole, e varia in funzione dei parametri diagnostici utilizzati. Una stima plausibile della prevalenza nella popolazione può essere considerata da 1:800 a 1:1.000. Patogenesi La malattia è caratterizzata da deficit quantitativo parziale del fattore di von Willebrand, che si trasmette come carattere autosomico dominante. Quadro clinico Il paziente si presenta con manifestazioni emorragiche a livello dei tessuti superficiali (cute e mucose). Il quadro clinico può essere caratterizzato da epistassi, anche tale da sostenere anemia emorragica, porpora cutaneo-mucosa, meno-metrorragie, che rappresentano il sintomo principale nelle donne, prolungato sanguinamento dopo ferite lievi cutanee o mucose, facile sanguinamento del cavo orale in seguito a piccoli traumi, gravi emorragie dopo avulsioni dentarie, o interventi chirurgici quali tonsillectomia o adenoidectomia, emorragie gastrointestinali (più raramente). Diagnosi Le indagini di laboratorio dimostrano un allungamento del tempo di stillicidio, un allungamento dell’aPTT causato da una diminuita attività del fattore VIII, per il quale il fattore von Willebrand funge da carrier, una diminuita concentrazione plasmatica di FvWAg (intervallo di normalità da 5 a 15 mg/L), una diminuita attività di cofattore della 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 205 ristocetina, che si evidenzia con una riduzione dell’agglutinazione e dell’aggregazione piastrinica dopo aggiunta di risotcetina. Queste alterazioni si associano ad una normale distribuzione dei multimeri del fattore di von Willebrand all'elettroforesi in SDS-agarosio. Terapia Il trattamento della malattia di von Willebrand di tipo I è basato sull’impiego di crioprecipitato plasmatico contenente fattore VIII e fattore di von Willebrand, e sull’uso di 1-desamino-8-D-arginina vasopressina (DDAVP), che induce rilascio di fattore di von Willebrand da parte delle cellule endoteliali. Malattia di von Willebrand tipo II Patogenesi La malattia è caratterizzata da deficit qualitativo del FvW. Si identificano principalmente 4 sottotipi: IIA, IIB, IIM, IIN. Tipo IIA. Varie mutazioni del gene riducono la capacità del fattore di von Willebrand di formare multimeri o accelerano la degradazione dei multimeri ad alto peso molecolare. Ne consegue una ridotta adesione delle piastrine al subendotelio con manifestazioni emorragiche. La trasmissione è autosomica dominante. La concentrazione di FvWAg e di FVIII sono normali o ridotte, mentre l’attività del FvW come cofattore della ristocetina è marcatamente ridotta; l'elettroforesi in SDS-agarosio dimostra alterata distribuzione dei multimeri del FvW. Tipo IIB Mutazioni del gene aumentano l'affinità dei multimeri ad elevato peso molecolare del FvW per il recettore piastrinico GpIb: i complessi piastrine-FvW vengono rapidamente rimossi dai macrofagi. La trasmissione è autosomica dominante. Dal punto di vista clinico si osserva una ridotta concentrazione di FvWAg, una alterata distribuzione dei multimeri all'elettroforesi in SDS-agarosio e piastrinopenia. Tipo IIM Comprende varianti caratterizzate da una riduzione dell’affinità per il recettore piastrinico GpIb. LA trasmissione è autosomica dominante. Si osserva normale distribuzione dei multimeri all'elettroforesi in SDS-agarosio. Tipo IIN Questa variante è caratterizzata da mutazioni del gene che riducono l’affinità del FvW per 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 206 Malattia di von Willebrand di tipo piastrinico La malattia di von Willebrand di tipo piastrinico o pseudo-von Willebrand è un disordine delle piastrine caratterizzato da mutazione del gene che codifica per il recettore del FvW, GpIb, che comporta un’aumentata affinità per il FvW. Dal punto di vista fenotipico il quadro è simile alla malattia di von Willebrand tipo IIB: si osserva ridotta concentrazione di FvWAg, alterata distribuzione dei multimeri all'elettroforesi in SDS-agarosio, piastrinopenia. Il tipo piastrinico può essere distinto dal tipo IIB mediante aggiunta di crioprecipitato umano normale alle piastrine del paziente: nella malattia di tipo piastrinico il crioprecipitato induce aggregazione; viceversa nella malattia di tipo IIB questo non avviene. Malattia di von Willebrand tipo III La prevalenza della malattia di von Willebrand tipo III è di circa 1:1.000.000. E’ caratterizzata da assenza pressoché completa del FvW: i pazienti sono omozigoti o doppi eterozigoti per mutazioni responsabili della malattia di von Willebrand di tipo I. Le manifestazioni cliniche sono costituite da gravi emorragie cutaneo-mucose, e da occasionali emartri ed ematomi muscolari per carenza di F VIII. Gli esami di laboratorio mostrano livelli di FvWAg quasi indosabili e riduzione del F VIII. Malattia di von Willebrand acquisita Sono note forme di malattia di von Willebrand acquisite. Sono riconosciuti due differenti meccanismi patogenetici: la presenza di autoanticorpi anti-FvW che può essere riscontrata nel corso di patologie autoimmuni (LES) e il consumo di multimeri di FvW da parte di cellule neoplastiche (macroglobulinemia di Waldenstrom ed altri linfomi, tumore di Wilms). 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 207 36. Emofilia A Definizione L’emofilia è una malattia ereditaria dovuta ad una produzione deficitaria o nulla di fattore VIII della coagulazione, ed avente quale base molecolare una lesione (mutazioni puntiformi, delezioni, etc.) del gene corrispondente. Epidemiologia La prevalenza dell’emofilia A è di 1 maschio su 5.000-10.000 e di 1 femmina su 25.000100.000. La trasmissione del difetto è di tipo recessivo legato al sesso (figura 1). Figura 1 – Albero genealogico esemplificativo di trasmissione dell’emofilia XY XY XY XX ¶ XX ¶ XY XY ¶ XX XX ¶ XX ¶ XY ¶ XX XY Patogenesi Il fattore VIII è prodotto prevalentemente dagli epatociti. E’ un cofattore della coagulazione, che accelera l’attivazione del fattore X da parte del fattore IXa. Il gene del Fattore VIII è mappato sul cromosoma Xq28; è uno dei più grandi geni umani: 186 kb, 26 esoni; l’RNA messaggero misura 9 kb, la proteina ha un peso molecolare di 300 kD. E’ espresso soprattutto nel fegato, in misura minore in cellule ematiche. Nel 55% dei casi gravi la lesione del gene consiste in una mutazione puntiforme (223 descritte finora) o in una delezione (78 descritte finora). Secondo l’ipotesi di Haldane, nella malattia legata al cromosoma X, un terzo di cromosomi X patologici sono nei maschi, e due terzi nelle femmine. Se la malattia è grave, o comunque limitante la capacità di procreare, la frequenza di cromosomi X patologici nella popolazione dovrebbe diminuire. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 208 La frequenza dell’emofilia A invece non tende a ridursi, e questo si verifica se intervengono di mutazioni geniche “de novo”. In effetti, il 20% dei casi di emofilia A (40% dei casi gravi) non ha un’anamnesi familiare positiva per emofilia. La mutazione de novo consiste nell’inversione dell’introne 22 del gene del fattore VIII, che determina ricombinazione genetica intracromosomica fra sequenze dell’introne 22 e sequenze omologhe situate al di fuori del gene, all’estremità telomerica del cromosoma X (Figura 2). Il gene riarrangiato codifica per un fattore VIII troncato (22/26 esoni), instabile e rapidamente degradato. Figura 2 - Inversione dell’introne 22 del gene del fattore VIII. Te 1 22 22 Te 22 1 Le inversioni originano pressoché esclusivamente nelle meiosi maschili, in quanto l’appaiamento fra cromosoma X e cromosoma Y non è ottimale per un’ampia zona di non omologia. XY XY XX XY XX ¶ XX ¶ XY XY XY ¶ 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 209 Quadro clinico La gravità delle manifestazioni emorragiche dell’emofilia A può essere prevista con una certa accuratezza determinando l’attività residua di Fattore VIII. Nel caso in cui l’attività sia inferiore al 2% l’emofilia si definisce grave. In questa categoria rientra circa il 50% dei casi. Se l’attività residua di Fattore VIII è pari al 2-5% si osserva un quadro di emofilia moderata, che interessa circa il 15% degli emofilici. In presenza di un’attività di Fattore VIII del 6-30% il quadro clinico si definisce lieve (circa il 35% degli pazienti rientra in questa categoria). Le manifestazioni cliniche di emofilia sono principalmente rappresentate da emorragie profonde, articolari, muscolari e delle cavità corporee, che si verificano a distanza di ore o giorni dal trauma. Nei soggetti con emofilia grave, generalmente le prime emorragie compaiono tra i 12 e 18 mesi. Le complicanze emorragiche del neonato (ematoma cefalico, emorragia dopo circoncisione) non sono frequenti. Questi pazienti vanno incontro mediamente a 20-30 episodi all’anno di emorragie spontanee o dopo traumi minori. Nei soggetti con forma moderata le prime manifestazioni sono riscontrabili a 2-5 anni di età, mentre i pazienti con emofilia lieve generalmente sanguinano eccessivamente solo dopo traumi o interventi chirurgici. Il decorso clinico del paziente emofilico può essere complicato dalla formazione di raccolte di sangue parzialmente coagulato (pseudotumori), da un danno articolare progressivo fino all’anchilosi, come conseguenza di emartri ripetuti, da necrosi muscolare, e da danni ischemici a carico di nervi periferici (nervo femorale) Diagnosi Gli esami di laboratorio sono caratterizzati da un allungamento del PTT. Il dosaggio del fattore VIII dimostra una riduzione variabile dell’attività (% dell’attività di un plasma normale di controllo - valori normali: 50-150%). Mediante amplificazione con polymerase chain reaction e sequenza del DNA è possibile ottenere la definizione del difetto genico. Terapia La terapia dell’emofilia A è basata sulla prevenzione e sul trattamento precoce delle manifestazioni emorragiche, mediante somministrazione di fattore VIII. A partire dagli anni Settanta, la disponibilità di concentrati plasmatici di fattori della coagulazione ha permesso il controllo precoce delle emorragie, nonché la riduzione e la prevenzione delle complicanze della malattia. Tuttavia, questi concentrati plasmatici risultarono invariabilmente contaminati da HBV, HCV ed HIV. Per ovviare a questa temibile complicanza, sono stati introdotti liofilizzati di concentrati di Fattore VIII inattivati al calore, e, più recentemente, il Fattore VIII ricombinante. Una unità di Fattore VIII per Kg di peso corporeo, pari al F VIII presente in 1 ml di plasma, aumenta del 2% l’attività del Fattore VIII. Il controllo di complicanze emorragiche lievi può 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 210 Una delle maggiori problematiche nel trattamento dell’emofilia è lo sviluppo di inibitori del Fattore VIII (tipicamente anticorpi IgG), che neutralizzano l’effetto della terapia sostitutiva. In presenza di un basso titolo di anticorpi inibenti, la terapia del paziente che ha sviluppato inibitori consiste nell’aumentare la dose di FVIII fino alla saturazione dei siti di legame degli anticorpi inibitori. In presenza di un alto titolo anticorpale, si può ricorrere 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 211 37. Coagulopatie acquisite Nella pratica clinica le coagulopatie acquisite sono condizioni più frequenti di quelle congenite. Da queste ultime si differenziano anche per il fatto che in genere sono implicati deficit multipli di fattori della coagulazione. I disordini di più frequente osservazione sono le manifestazioni emorragiche in corso di epatopatia, le emorragie da carenza di vitamina K o da sovradosaggio di farmaci anticoagulanti e la coagulazione intravascolare disseminata. Epatopatia In corso di epatopatia, il difetto coagulativo ha generalmente una patogenesi multifattoriale, che coinvolge una ridotta sintesi di fattori della coagulazione ed una deficitaria clearance di fattori della coagulazione attivati. Questa situazione può essere inoltre complicata dall’insorgenza di coagulazione intravascolare disseminata (DIC), favorita dal deficit di inibitori della coagulazione (antitrombina III, proteina C e proteina S) e di fattori del sistema fibrinolitico (plasminogeno e inibitori). Il deficit dell’emostasi può essere inoltre aggravato dalla presenza di piastrinopenia da ipersplenismo. I pazienti epatopatici sono per questo esposti a complicanze emorragiche, le più frequenti delle quali sono le emorragie da rottura di varici esofagee o da gastropatia ipertensiva. In caso di rottura di varici l’intervento terapeutico deve essere indirizzato a correggere l’ipovolemia e la carenza di fattori della coagulazione mediante concentrati eritrocitari e plasma fresco congelato, ridurre l'ipertensione portale mediante somministrazione di octreotide (analogo della somatostatina) ed arrestare localmente l’emorragia: sclerosi delle varici mediante esofago-gastroscopia o posizionamento di sonda di Blackmore. Carenza di fattori vitamina K-dipendenti Alcuni fattori della coagulazione sono caratterizzati da un dominio ricco in acido carbossiglutammico, che ha la funzione di legare Ca++, sintetizzato mediante una reazione di carbossilazione dell’acido glutammico vitamina K-dipendente. Tali fattori, 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 212 In alcune condizioni vi è un elevato rischio di sviluppare una coagulopatia da deficit di vitamina K. Queste comprendono la nascita ed in particolare la prematurità, il malassorbimento (sprue, celiachia), l’ostruzione biliare (interferenza con l’assorbimento di vitamine liposolubili) ed il sovradosaggio di farmaci anticoagulanti. Un deficit di vitamina K si riscontra nel neonato anche in condizioni fisiologiche. Tuttavia non è generalmente tale da determinare diatesi emorragica. In ogni caso, è indicato eseguire nei primi giorni di vita, in tutti i neonati, profilassi con vitamina K (1-2 mg per os). In condizioni di prematurità, il deficit di vitamina K è più grave, a causa dell’immaturità degli epatociti e della deficitaria sintesi di vitamina K a livello intestinale, e si manifesta con la malattia emorragica del neonato, caratterizzata dal 2°-3° giorno di vita da emorragie cutaneo-mucose. In questi casi la somministrazione endovenosa di vitamina K determina una rapido incremento dei fattori della coagulazione vitamina K-dipedenti. Alcuni composti farmacologici (dicumarinici) agiscono come antagonisti della vitamina K ed hanno pertanto attività anticoagulante. Il più importante antagonista della vitamina K è la warfarina sodica, che inibisce la -carbossilazione delle proteine. Il farmaco non ha immediato effetto anticoagulante, ma richiede generalmente 4-5 giorni di somministrazione. In alcuni pazienti che iniziano il trattamento anticoagulante con antagonisti della vitamina K si può instaurare un deficit transitorio di proteina C (anch’essa vitamina K-dipendente) prima che si abbassi il livello dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti, con comparsa di lesioni simili a quelle del deficit di proteina C (trombosi superficiali con lesioni necrotiche della cute). Il sovradosaggio di farmaci anticoagulanti antagonisti della vitamina K comporta un deficit marcato dei fattori II, VII, IX e X, con manifestazioni variabili da soffusioni emorragiche della cutanee a gravi emorragie interne. In questi casi la terapia è basata sulla sospensione immediata del farmaco anticoagulante e sulla somministrazione di vitamina K. Coagulazione intravascolare disseminata La coagulazione intravascolare disseminata è una condizione patologica a decorso variabile, da acuto a cronico, caratterizzata da generazione eccessiva e non regolata di trombina con consumo dei fattori della coagulazione. Patogenesi La coagulazione intravascolare disseminata è associata a diversi disordini, come sepsi, prevalentemente da Gram -, gravi sindromi ostetriche (abruptio placentae, ritenzione della placenta, morte intrauterina del feto, eclampsia, embolia di liquido amniotico), neoplasie metastatizzate (adenocarcinoma gastrico producente mucina), leucemia acuta promielocitica, danno tissutale esteso (ustioni, necrosi, traumi, interventi chirurgici), danno endoteliale (aneurisma dell'aorta, vasculiti, malformazioni vascolari quali la sindrome di Kasabach-Merritt). Tutte queste condizioni determiano l’attivazione impropria della cascata della coagulazione con eccessiva generazione di trombina e formazione di depositi di fibrina e di microtrombi nel microcircolo (Figura 1). Il risultato è un progressivo consumo di fattori della coagulazione e di piastrine, ed una intensa fibrinolisi, che determinano l’insorgenza di manifestazioni emorragiche. Soltanto raramente il processo si associa a manifestazioni ischemiche da occlusione arteriosa. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 213 Nei casi più gravi, con diffuso interessamento del microcircolo, si osserva emolisi meccanica, con formazione di schistociti (globuli rossi frammentati) e comparsa di segni di laboratorio di anemia emolitica intravascolare. Circostanze della diagnosi Nei pazienti con neoplasia metastatica, la coagulazione intravascolare disseminata è generalmente caratterizzata dalla presenza di segni di laboratorio, senza manifestazioni cliniche (siamo cioè di fronte ad un fenomeno subclinico). Nei pazienti con sepsi o nelle donne con complicanze ostetriche, il processo è invece generalmente associato a manifestazioni emorragiche cutaneo-mucose ed in corrispondenza di incisioni chirurgiche ed accessi venosi. In rari casi, il quadro clinico può essere dominato dall’insorgenza di complicanze trombotiche, che coinvolgono principalmente i distretti apicali, con acrocianosi e necrosi ischemica. Esami di laboratorio Le indagini per la diagnosi e la valutazione del paziente con coagulazione intravascolare disseminata comprendono l’esame emocromocitometrico, lo striscio di sangue periferico, i test di screening della coagulazione (protrombinemia, tempo di Quick, aPTT), il dosaggio del fibrinogeno e degli FDP. Tipicamente si osserva un allungamento del tempo di Quick (INR) e dell’aPTT, un aumento degli FDP, ed una diminuzione del fibrinogeno, che peraltro ha un significato prognostico importante in quanto correla con l'entità delle manifestazioni emorragiche. Si potranno inoltre osservare piastrinopenia, anemia emolitica intravascolare (quindi con conteggio reticolocitario adeguato per il grado di anemia, ipebilirubinemia indiretta, aumento dell’LDH, riduzione dell’aptoglobina, emosiderinuria ed emoglobinuria) e la presenza di schistociti (eritrociti frammentati) nello striscio di sangue periferico. Terapia La terapia della coagulazione intravascolare disseminata prevede primariamente il trattamento della causa, laddove possibile, associato a somministrazione di plasma fresco congelato e trasfusioni piastriniche. L’eparina è indicata soltanto quando 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 214 38. I gruppi sanguingi I gruppi sanguigni sono sistemi di antigeni presenti sulla superficie dei globuli rossi e di altre cellule ma anche nelle secrezioni esterne come saliva e latte. Si conoscono 19 gruppi sanguigni; fra questi prenderemo in considerazione maggiore i due principali, vale a dire il sistema ABO e il sistema Rh e faremo un accenno ad alcuni dei gruppi minori : sistema P, sistema I, sistema MNSsU, sistema di Lewis. Sistema ABO I geni che codificano per il sistema ABO sono mappati sul cromosoma 9 e codificano per una glicosil-transferasi che inserisce uno zucchero su una struttura preformata, definita sostanza H, che si trova sulla superficie degli eritrociti. I geni in questione sono tre: il gene A, il gene B e il gene 0. S possono, pertanto, verificare le seguenti combinazioni: A/A, A/0, B/B, B/0,0/0, A/B. I geni A e B sono codominanti mentre sono dominanti sul gene 0. I geni A e B differiscono in poche paia di basi che risultano in differenti aminoacidi, mentre una singola delezione di un paio di basi è presente nel gene 0, che non codifica per alcuna transferasi. Le strutture glucidiche che si trovano sulle emazie e determinano il sistema AB0 si trovano anche su altri elementi figurati come le piastrine, su cellule di altri tessuti e vengono rilasciati in forma libera e in alcune secrezioni (ad esempio salivari). I soggetti che presentano queste sostanze nelle secrezioni sono meno esposti ad alcune infezioni. Nel siero di ogni individuo sono presenti anticorpi, soprattutto IgM definiti “isoagglutinine” rivolte verso i gruppi estranei. Esse sono definite “innate” o “naturali”, vengono cioè sintetizzate anche in assenza di una esposizione ad eritrociti di gruppo diverso, probabilmente in risposta ad antigeni ambientali cross-reagenti, e danno reazione emolitica verso gli eritrociti di gruppi ABO differenti. Gli individui con gruppo sanguigno A posseggono l’antigene A e gli anticorpi anti-B; quelli con gruppo sanguigno AB posseggono entrambi gli antigeni A e B e nessun anticorpo; quelli con gruppo sanguigno B hanno l’antigene B e gli anticorpi anti A; quelli di gruppo sanguigno 0 nessun antigene ed entrambi gli anticorpi, anti-A e anti-B (Tabella 1). Gli appartenenti al gruppo 0 sono considerati donatori universali perché possono donare i globuli rossi a soggetti di qualsiasi gruppo, ma possono riceverli solo da individui di gruppo 0; gli appartenenti al gruppo A possono donare il sangue solo a soggetti di gruppo A e a quelli di gruppo AB, e ricevere sangue da soggetti di gruppo A o 0; gli appartenenti al gruppo B possono donare il sangue a soggetti di gruppo B ed a quelli di gruppo A, e ricevere sangue dal gruppo B o 0; gli appartenenti al gruppo AB sono detti riceventi universali perché possono ricevere sangue da qualsiasi gruppo ma donarlo solo a soggetti di gruppo AB. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 215 Tabella 1 – Sistema ABO ed isoemoagglutinine naturali Fenotipo Enzima codificato Monosaccaride Isoagglutinine aggiunto alla sostanza H A1 A2 acetil-D galattosamintransferasi Galattosammina Anti-B B Anti-A AB 3-D-galattosiltransferasi Galattosio acetil-D galattosamintransferasi Galattosammina 3-D-galattosiltransferasi Galattosio - O - Anti-B, anti-A - Sistema Rh Il sistema Rh è un complesso di antigeni proteici codificato da una serie di geni (C, D, E) mappati sul cromosoma 1. Per ogni locus ci sono due alleli:c/C; d/D; e/E. Se il genotipo Rh di un individuo contiene almeno uno degli antigeni C, D, E, l’individuo è Rh positivo; solo gli individui con genotipo cde/cde sono Rh negativi. L’antigene più immunogenico del sistema Rh è l’antigene D: per questo nella pratica clinica gli individui vengono classificati come Rh positivi se esprimono l’antigene D ed Rh negativi se non lo esprimono, ma è possibile che si formino anticorpi contro c,C, E ed e mentre non esistono anticorpi anti-d. Oltre che nel caso di trasfusioni l’importanza del gruppo Rh è implicata anche nella reazione emolitica del neonato, per una trattazione approfondita della quale si rimanda al capito sulle anemie emolitiche immunologiche. Sistema di Lewis I geni di questo sistema codificano per una fucosil-transferasi che catalizza la formazione di due antigeni oligosaccaridici: Lea e Leb . Questi antigeni non sono parte integrante della membrana degli eritrociti, ma sono antigeni solubili che possono essere presenti nei fluidi e nelle secrezioni corporee. Gli anticorpi rivolti verso gli antigeni Le sono IgM, quindi non possono causare reazioni emolitiche nel neonato e raramente sostengono reazioni emolitiche da trasfusione. Sistema Kell Il sistema Kell è costituito da 3 sets di antigeni (K/k, Kpa/Kpb, Jsa/Jsb) codificati da geni mappati sul cromosoma 7. E’ molto importante in medicina trasfusionale, dal momento che anticorpi diretti contro questi antigeni, generalmente IgG, sono frequentemente responsabili di allo-immunizzazione. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 216 Sistema I Esistono due genotipi differenti che realizzano due fenotipi: gli individui “I” possiedono un enzima che ramifica le strutture glucidiche del sistema ABO sui globuli rossi; gli individui “i” non possiedono l’enzima. La maggior parte degli adulti ha il fenotipo I e possiede anticorpi IgM anti-i. Queste IgM non danno né reazione emolitica nel neonato né nelle trasfusioni. Sistema P Ha importanza solo nei soggetti che possiedono questo antigene e contraggono la sifilide. L’agente sifilitico è infatti in grado di stimolare la formazione di immunoglobuline che si legano agli antigeni P sui globuli rossi determinando, a basse temperature, emoglobinuria parossistica a frigore (vedi capitolo sulle anemie emolitiche immunologiche). Sistema MNSs Gli antigeni MN e Ss si trovano su due gliproteine di membrana (glicoforina A e B) e stimolano la formazione di anticorpi rispettivamente IgM e IgG. Ig anti S si sviluppano in seguito a trasfusioni ripetute o dopo gravidanza. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 217 39. Terapia trasfusionale Norme da osservare per i vari tipi di prelievo Per il prelievo di sangue intero devono essere prelevati 450 ml per singola donazione ed il numero di donazioni annuo non deve essere superiore a quattro con un intervallo minimo, fra due donazioni, non inferiore a novanta giorni. L’età del donatore deve essere compresa tra 18 e 65 anni e il peso non inferiore ai 50 kg. Il prelievo di plasma (plasmaferesi produttiva) non può superare i 650 ml per singola donazione, 1,5 litri al mese e 10 litri l’anno. I requisiti richiesti per il donatore sono gli stessi per le trasfusioni di sangue intero. La donazione di piastrine (piastrinoaferesi) richiede gli stessi requisiti per l’idoneità alla donazione di sangue intero, con un numero di piastrine non inferiore a 150.000/ l. La leucoaferesi (donazioni di leucociti) richiede gli stessi requisiti di sopra ma i leucociti non devono essere inferiori a 6000/ l. Preparati per le trasfusioni Sangue intero Viene utilizzato per ripristinare la volemia e per aumentare il trasporto di O2 nei soggetti che hanno avuto un’emorragia acuta con perdite di sangue superiori al 25%. Globuli rossi concentrati (GRC) Vengono impiegati per aumentare il trasporto di O2 nei soggetti anemici. I limiti per l’indicazione alla trasfusione sono valori Hb uguali o inferiori a 7 g/dl se il paziente è normovolemico ed è in grado di aumentare la gittata cardiaca. Soggetti con quadro clinico più severo,soprattutto se anziani, possono richiedere trasfusioni anche a livelli più elevati di Hb. Normalmente una concentrazione di Hb superiore a 10 g/dl non richiede trasfusione. Un’unità di emazia concentrate aumenta la concentrazione emoglobinica di 1 g/dl e l’ematocrito del 3%. I rischi della trasfusione di emazie concentrate sono quelli legati alla trasmissione di malattie infettive e alla formazione di alloanticorpi, clinicamente significativi contro antigeni eritrocitari assenti nel ricevente. Particolari tipi di globuli rossi concentrati sono i seguenti: 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 218 GRC irradiati sono utilizzate per prevenire la malattia del trapianto verso l’ospite (vedi oltre). Le emazie vengono irradiate con una dose >20 Gray. A causa dell’insulto da radiazione, le unità di GRC raddoppiano il loro contenuto di potassio; questo deve essere tenuto presente nella terapia trasfusionale in neonatologia. Piastrine Sono indicate per i pazienti con deplezione di questi elementi figurati. L’indicazione alla somministrazione di questo preparato è una concentrazione piastrinica tra 10.000 e 20.000 unità/ l. Se si deve praticare un intervento invasivo, il limite accettabile di concentrazione piastrinica deve essere almeno di 50.000/ l. Per valutare l’efficacia della somministrazione piastrinica si utilizza la formula: CCI = n. piastrine post-trasfusione – n. piastrine pre-trasfusione n. piastrine trasfuse x 1011 x superficie corporea Si ritiene accettabile la trasfusione se il CCI è > 7,5 x 109/l dopo un’ora e > 4,5 x 109/l dopo 18-24 ore. In caso non si raggiungano questi parametri il paziente viene considerato refrattario alla trasfusione. Se il paziente refrattario presenta anticorpi anti-HLA dovrà essere trasfuso con piastrine HLA compatibili. Qualora la causa di refrattarietà sia l’alloimunizzazione il CCI sarà basso già a partire dalla prima ora; le altre cause di refrattarietà (splenomegalia, febbre, CID, infezioni) fanno scendere il CCI solo nelle 24 ore. I concentrati piastrinici possono essere leucodepleti mediante filtrazione per prevenire l’alloimmunizzazione Plasma Fresco Congelato (PFC) Viene utilizzato per fornire proteine, fattori della coagulazione ed albumina. E’ indicato per la correzione di coagulopatie (ad es. inversione rapida dell’effetto dei dicumarolici, coagulazione intravascolare disseminata.) Crioprecipitato Fornisce alcuni fattori della coagulazione come il fattore VIII, il fibrinogeno ed il fattore di von Willebrand. Trova indicazione nei pazienti sensibili al sovraccarico di circolo. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 219 Reazioni trasfusionali Nonostante gli innumerevoli benefici, le trasfusioni di emocomponenti possono dar luogo a importanti complicanze, che vengono classificate in due gruppi principali: 1. reazioni di tipo non immune 2. reazioni di tipo immune Reazioni di tipo non immune Si possono manifestare: durante la terapia infusionale shock settico da contaminazione batterica massiva (ormai raro dato l’utilizzo di materiale monouso) scompenso cardiaco congestizio dopo la terapia infusionale infezioni batteriche o virali (epatite virali, AIDS, CMV, toxoplasmosi, malaria…) emosiderosi ipocalcemia Reazioni di tipo immune Comprendono: sindrome brivido-ipertermia - dovuta alla presenza di leucoagglutinine acquisite per immunizzazione precedente del paziente. porpora trombocitopenica post-trasfusionale reazioni allergiche: orticaria, prurito, asma reazioni emolitiche trasfusionali Reazioni emolitiche trasfusionali Oggi piuttosto rare, sono provocate dall’infusione di sangue immunologicamente incompatibile. Possono comportare: distruzione dei GR del donatore distruzione dei GR del ricevente Distruzione dei GR del donatore Nel caso di errore di tipizzazione del gruppo o scambio di sacche, l’emolisi può essere provocata da anticorpi naturali verso il sistema ABO. Questi anticorpi sono IgM, possono fissare il complemento e danno emolisi intravascolare. Immediatamente dopo l’inizio della trasfuzione il paziente riferisce: cefalea, dolori lombari, nausea, vomito, palpitazioni, tachipnea, brividi, ipotensione, febbre. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 220 Sono presenti tutti i segni di emolisi intravascolare: - diminuzione aptoglobina - emoglobinuria - ittero (entro 12 ore) Il rischio più grave è quello di shock irreversibile con insufficienza renale acuta da necrosi tubulare. Nel caso di paziente politrasfusi, l’emolisi può essere provocata da anticorpi dovuti a precedenti immunizzazioni e diretti soprattutto contro il sistema Rh, Kell, Duffy e Kids. Questi anticorpi sono IgG e danno emolisi extravascolare. Il paziente manifesta nausea, brividi, febbre. Il rischio di shock e insufficienza renale è raro. In entrambi i casi la gravità della reazione dipende dalla quantità di GR trasfusi e dal titolo anticorpale. Distruzione dei GR del ricevente E’ un’evenienza molto rara che si verifica qualora sangue di gruppo O contenente anticorpi anti-A o anti-B a titolo elevato (1:200/300), venga trasfuso ad un paziente di gruppo A o B. In alcuni casi la reazione di emolisi può risultare ritardata (da 3 a 15 gg dopo la trasfusione) e manifestarsi con ittero e riduzione dell’emoglobina. Ciò si verifica soprattutto in pazienti già precedentemente immunizzati (trasfusioni, gravidanze…) con anticorpi a titolo molto basso, non accertabili con le comuni tecniche. Terapia Il sospetto di incidente trasfusionale impone: sospensione immediata della trasfusione in caso di reazione allergica: antistaminici antipiretici corticosteroidi in caso di CID: eparina infusione di fattori plasmatici della coagulazione, ATIII, piastrine, fibrinogeno provvedimenti da adottare in caso di shock o insufficienza renale acuta. 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 221 40. Trapianto di cellule staminali Trapianto autologo Il razionale di tale procedura terapeutica è basato su due dimostrazioni cliniche: un aumento delle dosi di farmaci antiblastici o delle dosi di radioterapia si correla in modo significativo ad un aumento delle risposte cliniche (effetto dose-risposta) il principale fattore che limita le dosi di chemioterapia antiblastica è rappresentato dalla tossicità midollare dei farmaci impiegati. Da queste premesse si comprende come un paziente con una neoplasia chemioradiosensibile sia un potenziale candidato al trapianto autologo. Quest’ultimo consente di somministrare al paziente farmaci citotossici ad un dosaggio sovramassimale (regime di condizionamento) e di ripristinare la normale emopoiesi del paziente con la reinfusione delle proprie cellule staminali precedentemente raccolte e conservate. Sorgenti di cellule staminali emopoietiche Espianto di midollo osseo in anestesia generale: aspirazioni multiple a livello delle spine iliache postero-superiori. Dose di cellule da prelevare per garantire il ripristino dell’emopoiesi: 2.0X108 per kilogrammo di peso del paziente. Raccolta di cellule staminali periferiche: procedura introdotta in anni recenti e basata sulla dimostrazione che il numero di cellule staminali CD34+ presenti nel sangue periferico è irrilevante in condizioni di basali, ma aumenta significativamente nelle fase di ripresa midollare dopo chemioterapia o dopo somministrazione di G-CSF alla dose di 10 g/kg/die per 5 giorni circa. Usualmente per la raccolta il paziente riceve una chemioterapia intensiva utile per il controllo della sua neoplasia e a distanza di quarantotto ore dal termine della chemioterapia il G-CSF. Il valore delle cellule CD34+ viene determinato giornalmente con l’impiego di un citofluorimetro e quando il valore assoluto di cellule CD34+ è superiore a 20/ l viene eseguita la prima leucaferesi, utilizzando per la raccolta un adatto separatore cellulare. Il numero di leucaferesi cui viene sottoposto il paziente per ottenere la dose necessaria di cellule staminali varia da 1 a 3. La dose di cellule staminali adeguata per garantire il ripristino dell’emopoiesi è di 4.0X106 cellule CD34+ per kilogrammo di peso del paziente “Purging” in vitro Si tratta di una procedura di decontaminazione che viene talvolta eseguita poiché la sospensione di cellule staminali raccolte potrebbe contenere cellule neoplastiche eventualmente in grado di determinare una possibile recidiva della malattia. I mezzi impiegati a tale scopo sono fisici (elutriazione, fototerapia), chimici (incubazione in vitro con alchilanti o antracicline) ed immunologici (anticorpi monoclinali, anti-CD20, immunotossine, biglie magnetiche). Conservazione Le cellule CD34+ prelevate possono essere mantenute a +4°C (conservazione in fase liquida) e infuse entro 24-40 ore o conservate a -195°C in azoto liquido (cellule criopreservate). Il trapianto con cellule conservate sarà possibile quando si utilizza un regime di condizionamento la cui azione citotossica è concentrata in un breve lasso di 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 222 tempo, mentre il trapianto con cellule criopreservate consente l’esecuzione di un regime di condizionamento di più lunga durata. Indicazioni Nella strategia terapeutica di neoplasie ematologiche e di alcuni tumori solidi chemioradiosensibili. Trapianto allogenico Procedura terapeutica che ha come finalità la completa sostituzione dell’emopoiesi del paziente con quella di un donatore sano compatibile. Ricerca del donatore Il donatore viene scelto in base all’identità assoluta con il ricevente per gli antigeni del sistema HLA, il principale sistema di istocompatibilità. La probabilità di ritrovare un donatore HLA identico all’interno della fratria è pari al 25% (donatore familiare). Pertanto solo la minor parte dei pazienti potrà usufruire di un donatore familiare compatibile mentre la maggior parte non avrà donatori familiari. Per superare questo ostacolo si possono ricercare donatori non consanguinei nelle banche di midollo osseo. Per la tipizzazione HLA di un donatore non consanguineo oggi non viene più impiegato il metodo sierologico (mediante anticorpi), ma la tipizzazione è genomica. Grazie a questa metodica, che consente di ottenere una maggior identità immunologica tra ricevente e donatore, attualmente i risultati ottenibili con il trapianto da donatore non consanguineo sono decisamente migliorati. Scopi del regime di condizionamento Il regime di condizionamento al trapianto ha principalmente due funzioni: eliminazione delle cellule emopoietiche del ricevente immunosoppressione del ricevente Per conseguire questi obiettivi è necessario ricorrere a combinazioni radiochemioterapiche intensive; le più utilizzate prevedono l’associazione di irradiazione corporea totale (total body irradiation, TBI) e ciclofosfamide (TBI-CY) oppure busulfano e ciclofosfamide (BU-CY). L’intensità di questi regimi di condizionamentola comporta danni tossici a livello di vari organi (fegato e tratto gastroenterico soprattutto) e importanti complicanze infettive dovute all’agranulocitosi e all’immunosoppressione. Eliminazione delle cellule staminali del ricevente (con ottenimento di una chimera completa). Questo obiettivo non sempre viene raggiunto; infatti si ha talora la persistenza delle cellule staminali dell’ospite accanto a quelle del donatore (chimera incompleta o mista). In alcuni condizioni (Talassemia e Leucemia Mieloide Cronica) la presenza di una chimera mista non comporta una sicura ripresa della malattia, in altre (Leucemie Acute) precorre costantemente una recidiva di malattia. Immunosoppressione del ricevente. Il successo del trapianto allogenico è determinato dal superamento di una doppia barriera immunologia. Il paziente sottoposto a trapianto allogenico non riceve solo cellule staminali ma anche cellule immunocompetenti attive dal donatore. Pertanto oltre alla possibilità del rigetto, causato dall’inefficace 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia. 223 immunosoppressione del ricevente ad opera di un regime di condizionamento non sufficientemente immunosoppressivo (Host-versus-graft reaction), si può verificare una ben più temibile complicanza che va sotto il termine di malattia da trapianto verso l’ospite (Graft versus Host Disease, GvHD). La GvHD è causata dalla capacità dei linfociti T del donatore di riconoscere gli antigeni minori di istocompatibilità non correlati al sistema HLA, presenti sulle cellule del ricevente. Si ha pertanto la proliferazione dei T linfociti dell’ospite che svolgono un’azione citotossica nei confronti dei tessuti del ricevente. Se tale reazione immunologia si sviluppa nei primi cento giorni dal trapianto si parla di GvHD acuta. Quest’ultima, di grado variabile sino a severo, ha come bersagli la cute, l’intestino e il fegato. La GvHD acuta può con il tempo trasformarsi in una forma cronica, anche se quest’ultima può svilupparsi non preceduta da una graft acuta. La GvHD cronica ha una genesi più complessa. Lo sviluppo di una GvHD sia acuta che cronica comporta per il paziente una maggiore immunosoppressione, esponendolo a gravi rischi infettivi. Può anche portare a morte il paziente. Tuttavia la presenza di GvHD, specie se di grado modesto, può avere un effetto positivo sul controllo della malattia onco-ematologica, associandosi ad una minore incidenza di recidive. Ciò è causato dalla reazione alloimmune che sta alla base della GvHD e che si esplica anche nei confronti delle cellule leucemiche eventualmente residue nel ricevente (Graft-versus-leukemia, GvL). Sorgente di cellule staminali Le cellule staminali emopoietiche possono essere prelevate da midollo osseo mediante espianto di midollo osseo in anestesia generale, sangue periferico dopo somministrazione di fattore di crescita (G-CSF) e sangue di cordone ombelicale. Indicazioni Il trapianto allogenico è indicato per alcuni gravi malattie ematologiche non neoplastiche (ad es.: talassemia major, immunodeficienze congenite, ecc.) e per tutti i disordini oncoematologici. Trapianto singenico 2006, Fondazione Ferrata Storti. Il contenuto di questa dispensa è fornito a titolo gratuito dalla Fondazione Ferrata Storti. Si invitano le persone interessate a considerare la possibilità di una elargizione liberale alla FFS, c/c 33739, BRE, Pavia.