INDICE - Sezione di Fisica

annuncio pubblicitario
INDICE
INTRODUZIONE
3
1. Il problema della continuità da un punto di vista istituzionale
5
1.1. Il problema
5
1.2. Discontinuità e incoerenze educative
1.3. Le ragioni della continuita
8
12
1.3.1.
1.3.2.
1.3.3.
Motivazioni di ordine psicologico
Motivazioni di ordine socio-culturale
Motivazioni di ordine pedagogico-didattico
1.4. I principali riferimenti normativi
12
17
18
19
2. Un quadro teorico
29
2.1. Artefatti e intelligenza
2.2. L approccio strumentale di Rabardel
2.3. L approccio di Vygotskij agli artefatti
2.3.1.
2.3.2.
2.3.3.
2.3.4.
2.3.5.
2.3.6.
La zona di sviluppo prossimale
L interiorizzazione
Il sistema dei segni nel processo di interiorizzazione
Artefatti e segni
Mediazione
Un particolare tipo di mediazione: la mediazione semiotica
2.4. Un artefatto culturale come strumento di mediazione semiotica
2.4.1.
2.4.2.
2.4.3.
Polisemia degli artefatti e nascita dei segni
Ciclo didattico
Categorie di segni
2.5. Mediazione semiotica nella classe
29
32
35
36
36
37
38
39
40
40
41
44
46
48
INTERMEZZO
55
3. Un primo artefatto : le mani
59
3.1. La mano per contare: i sistemi di conteggio nella storia
3.2. La mano per eseguire calcoli e per esplorare proprietà dei numeri
3.3. Una buona pratica
4. Pallottolieri e abaci
87
4.1. Sistemi di registrazione dei numeri: l intaglio
4.2. Sistemi di calcolo: breve storia di alcuni strumenti
4.3. Una buona pratica
5. Numerali orali e scritti
87
90
107
111
5.1. Numeri e numerali: alcune ricerche dalle scienze cognitive
5.1.1.
5.1.2.
59
65
67
Il contributo di Annette Karmiloff-Smith: il modello RR
I gesti
5.2. Una ricerca sulla costruzione delle competenze sintattiche
in prima elementare
5.2.2. Il caso dell abaco
5.2.3. Un esperimento di insegnamento in prima elementare
Appendice
111
113
119
120
121
122
138
BIBLIOGRAFIA
147
1
INTRODUZIONE
La seguente tesi di laurea prende l avvio trattando, nel primo capitolo, il problema della
continuità da un punto di vista istituzionale: per quale motivo, oggi più che mai, è così
importante che nel percorso formativo di un bambino le esperienze di apprendimento
vengano proposte tenendo in considerazione le conoscenze, le competenze, le abilità
che lui possiede quando si presenta a scuola? Perché è così importante collegare ciò che
viene realizzato ed appreso nella scuola dell infanzia con quello che viene offerto nella
scuola primaria? E perché, alla luce di ciò, nonostante le prescrizioni di programmi,
leggi e circolari ministeriali, continua ad essere così difficoltosa e problematica la
realizzazione di una linea di continuità effettiva e coerente? Verranno allora indicate le
ragioni di ordine psicologico, socio-culturale e pedagogico-didattico che stanno alla
base del problema, legate ai riferimenti dichiarati a livello normativo, nel corso della
storia fino alla più recente Legge di Riforma n. 53/2003.
In questa sede ci si propone di studiare il problema della continuità circoscrivendolo ad
un caso molto specifico: l utilizzo di materiale di tipo manipolativo in relazione alla
costruzione di competenze numeriche. Vedremo allora come insegnanti di scuola
dell infanzia e di scuola primaria possono usare a tale scopo materiale concreto
significativo, che cercheremo di interpretare alla luce del quadro di riferimento teorico
presentato nel secondo capitolo. Gli artefatti culturali possono essere considerati
strumenti di mediazione semiotica? Con quali modalità? Quali processi di costruzione
di competenze numeriche attivano?
La mano è il primo strumento di conteggio e di calcolo utilizzato dall uomo nel corso
della storia e, come tale, può essere considerata il primo artefatto culturale di cui
l essere umano si sia servito per rappresentare visivamente le quantità, risolvere
operazioni aritmetiche ed esplorare proprietà dei numeri. Questo sarà oggetto di
trattazione nel terzo capitolo, unitamente ad una serie di esperienze
relative
all esplorazione del concetto di quantità attraverso attività di conteggio, realizzate
utilizzando le mani e condotte nelle sezioni della scuola dell infanzia Diana del
Comune di Reggio Emilia.
La mano però, nonostante le notevoli opportunità che consente di realizzare, costituisce
solo una momentanea modalità di registrazione del concetto numerico dal momento
che, pur rispondendo a diverse ed importanti esigenze, non consente la memorizzazione
dei numeri: all interno del quarto capitolo si illustreranno, pertanto, i sistemi di
3
registrazione dei numeri che l uomo ha ideato nel corso della storia per garantire una
risposta a tale necessità.
Nel quinto ed ultimo capitolo, infine, verranno esaminate alcune ricerche dalle scienze
cognitive relative a numeri e numerali; significativo è il contributo apportato da
Annette Karmiloff-Smith che, mediante l elaborazione del modello di Ridescrizione
Rappresentazionale, ha cercato di esplicitare i modi in cui le rappresentazioni del
bambino divengono progressivamente manipolabili e flessibili, in relazione
all emergere dell accesso conscio alla conoscenza e alla costruzione di teorie relative al
numero.
Si ringraziano Paola Strozzi e Marina Mori, pedagogista e insegnante rispettivamente
delle scuole dell infanzia Anna Frank e Diana del Comune di Reggio Emilia e
Mara Boni, insegnante della Scuola Primaria
G. Mazzini
di Vignola per la
disponibilità offerta nel fornire e discutere materiali di documentazione appartenenti
alle loro scuole.
4
CAPITOLO 2
UN QUADRO TEORICO
Questo capitolo è la traduzione relativa alla prima parte del capitolo di Bartolini
Bussi & Mariotti (in corso di stampa). I riferimenti bibliografici qui contenuti
sono ripresi dal capitolo citato in bibliografia.
2.1. Artefatti e intelligenza
La costruzione e l uso di artefatti
in particolare artefatti complessi
sembra essere
caratteristica dell attività umana, ma ancora più caratteristica degli esseri umani pare
essere la possibilità che tali artefatti offrono di andare oltre il livello pratico, per
esempio il contributo che offrono a livello cognitivo.
Nel campo della pratica, gli strumenti hanno sempre giocato un ruolo cruciale; spesso, i
problemi pratici sono collegati all uso di un artefatto, al punto che spesso il processo di
soluzione di un problema dato e la progettazione di un artefatto, espressamente
concepito per supportare tale soluzione, vengono sviluppati con mutuo vantaggio. In
senso lato, la conoscenza teorica può essere considerata come avente origine da questa
reciproca relazione e in un processo di lungo termine, le tracce di questo possono, in
certi casi, essere ricostruite.
Norman (1993) ha scritto un libro (Le cose che ci fanno intelligenti) il cui titolo fa
esattamente riferimento alla doppia natura di ciò che egli definisce artefatti cognitivi:
- l aspetto/carattere pragmatico o esperienziale (cioè l orientamento verso l esterno
che consente di modificare l ambiente circostante);
- l aspetto/carattere riflessivo (cioè l orientamento verso l interno che permette ai
soggetti di sviluppare l intelligenza).
Questa doppia natura e questo doppio orientamento saranno il motivo conduttore
dell intero capitolo.
L idea di artefatto è molto generale e comprende diversi tipi di oggetti, prodotti dagli
esseri umani nel corso dei secoli: suoni, gesti; utensili e strumenti; forme orali e scritte
del linguaggio naturale; testi e libri; strumenti musicali; strumenti scientifici; strumenti
informatici, ecc.. Il contributo degli artefatti in campo educativo non è una novità, dal
momento che da molto tempo i libri sono i principali artefatti utilizzati nelle scuole,
senza dimenticare carta e matita e la lavagna! Più generalmente, il passaggio dalla sfera
29
pratica a quella dell intelletto e viceversa, può essere considerata uno dei motori
principali dell evoluzione e del progresso.
L era cognitiva ebbe inizio quando gli esseri umani cominciarono a usare suoni, gesti
e simboli per riferirsi a oggetti, cose e concetti. (Norman 1993, pag. 59).
Esempio 1: forme scritte e orali di linguaggio naturale
Certamente il linguaggio in tutte le sue forme, orali e scritte, ha un ruolo centrale tra gli
artefatti prodotti ed elaborati dagli esseri umani. Gli studi relativi allo sviluppo della
cultura da orale a scritta ci raccontano la storia di un affascinante evoluzione dei modi
di pensare. Gli studi prima di McLuhan (1962) e successivamente di Ong (1967/1970)
hanno dimostrato che l inizio della scrittura non ha solo rinforzato le capacità della
mente, ma anche che questa può essere considerata la sorgente di sviluppo di specifici
schemi di pensiero. In effetti, l introduzione della scrittura ha modificato i tradizionali
schemi della comunicazione attraverso l introduzione di nuovi mezzi comunicativi. La
comunicazione orale è pragmatica, nel senso che è finalizzata a far sì che gli
interlocutori possano condividere un esperienza comune, come è mostrato dall uso
esteso di forme deittiche: di qui viene, secondo Ong (1967/1970) la difficoltà di
elaborare concetti astratti che prescindono da situazioni concrete e chiaramente
riconoscibili. L introduzione e lo sviluppo della lingua scritta sembra essere la sorgente
di sviluppo di schemi logici di per sé senza un preciso riferimento a situazioni reali
(Goody, 1987/1989).
Il passaggio dalla lingua orale alla lingua scritta è stato l origine di un grande
cambiamento: ad un primo sguardo la scrittura può essere semplicemente considerata
un modo di realizzare l espressione orale, con il vantaggio che ciò che è detto può
essere ricordato. Una volta scritta, un affermazione può essere letta e detta ancora e
ancora, ogni volta che si rende necessario e da chiunque voglia parlare. Ma, come ben
sappiamo, considerare la scrittura solo come una simulazione dell espressione orale
sarebbe limitativo e fuorviante; la storia della scrittura, dalle prime documentazioni
sulle tavole di argilla in avanti, dimostra l evidenza del suo contributo nella
trasformazione del modo di pensare:
la scrittura crea la differenza: non solo
nell espressione del pensiero, ma anche e soprattutto nel come tale pensiero viene
pensato. (Goody, 1987/1989, p. 266). Nel più recente passato possiamo citare il
riferimento classico: la nostra indagine, [ ] ha dimostrato che tramite la scrittura
cambia la forma di base delle attività, si raggiunge una nuova attività sociale, si
30
creano nuove motivazioni d azione e cambiano i processi cognitivi. (Luria, 1976,
p.161). Per ciò che riguarda la matematica, vale la pena di ricordare la relazione tra la
lingua scritta e lo sviluppo della dimostrazione; come spiegato da Cambiano (1997),
sembra plausibile affermare che l origine della matematica come disciplina teorica deve
essere messo in relazione con la comparsa di ciò che potrebbe essere chiamata la
cultura del libro. Contemporaneamente alla comparsa del primo corpo di leggi scritte da
Solone, comunemente considerata la nascita della legge, l uso della scrittura viene
generalmente messo in relazione alla nascita del ragionamento deduttivo nel campo
della geometria, che vede in Talete uno degli iniziatori e in Euclide il maggiore
esponente. La conclusione che può essere tratta da tutto ciò è che lo sviluppo della
scrittura riguarda la manifestazione di ciò che viene definito come pensiero razionale,
che corrisponde ad un modo di pensare basato su idee astratte, su affermazioni
universali e sul ragionamento deduttivo.
L esempio della scrittura e della sua storia nel dar forma ai diversi modi di pensare, e
alla matematica in particolare, conduce a riflettere sul ruolo cognitivo della
rappresentazione e sul fatto che ogni rappresentazione è supportata da un artefatto. Gli
esseri umani hanno prodotto numerosi artefatti che hanno supportato rappresentazioni
di diverso tipo. Un caso particolarmente significativo è quello degli strumenti
scientifici, come il compasso.
Esempio 2. Un caso di strumento scientifico: il compasso
È facilmente riconoscibile lo stretto legame tra l utilizzo di strumenti quali la riga e il
compasso nell origine della geometria euclidea classica. Lo stretta relazione tra il
funzionamento del cervello e l esperienza corporea (con o senza strumenti) anche nella
più sofisticata ed astratta evoluzione della matematica è oggi comunemente
riconosciuta (Arzarello, 2006).
Credo che oggi si possa considerare la geometria,
grazie alle ricerche dei biologi e dei fisiologi, come una scienza dell azione e della
previsione del movimento nello spazio: il segmento, la curva, il cerchio non sono la
forma astratta di un oggetto materiale e neppure delle figure ideali, ma piuttosto la
previsione di un percorso. E la previsione è già un astrazione: la traiettoria, prevista o
anticipata dallo sguardo e dal gesto è astratta (Longo 1997, p.217). Secondo questo
autore, il gesto di tracciare deve essere considerato all origine dell idea di linea (sia la
retta che il cerchio), ma quello che a noi sembra più interessante è il fatto che il gesto è
da mettere in relazione all uso di un particolare artefatto: per esempio, una fune tirata
31
tra due chiodi, o che gira attorno a un perno, o una riga o un compasso. Nonostante ciò,
comunque, il processo di costruzione della conoscenza matematica non è direttamente e
semplicemente legato alla pratica, e nemmeno semplicemente legato all utilizzo degli
artefatti. Forse, uno degli esempi più evidenti è quello del cerchio. La definizione del
cerchio
come figura geometrica
è certamente legata all uso del compasso, che
d altra parte consente di realizzare la rappresentazione grafica del cerchio stesso; ma il
passaggio dal disegnare forme rotonde al concetto di cerchio in senso geometrico
luogo dei punti equidistanti dal centro
il
non è immediato (Bartolini Bussi et al. in
stampa). Si possono considerare due semplici problemi:
- traccia due cerchi con centro in due punti A e B e raggio di 3 cm;
- trova un punto le cui distanze dai punti A e B siano entrambe di 3 cm.
In entrambi i casi è possibile trovare una soluzione utilizzando un compasso. Ancora il
compasso, inteso come artefatto cognitivo, è nel primo caso orientato verso l esterno
(per produrre un disegno) e nell ultimo caso è orientato sia all interno che all esterno,
dal momento che esso produce allo stesso tempo sia un disegno che una costruzione
geometrica.
2.2. L approccio strumentale di Rabardel
Gli esempi precedenti mostrano che la relazione tra artefatti e sapere è complessa e
richiede una attenta analisi perché siano evitate eccessive semplificazioni. Negli ultimi
decenni una nuova categoria di artefatti è divenuta rapidamente disponibile: gli artefatti
di natura informatica. E banale riconoscere che essi hanno potenziato e modificato il
modo di pensare degli esseri umani. Il loro ingresso nella scuola ha, da un lato,
incoraggiato gli educatori a riformulare i curricoli e, dall altro, ha richiamato
l attenzione sulle relazioni tra gli studenti e i computer. Questo fatto spiega la
diffusione di studi caratterizzati da approcci strumentali (Rabardel, 1995), nei quali si
studia la complessità del contesto in cui ha luogo l attività degli studenti. L approccio
strumentale di Rabardel si basa sulla differenza fondamentale tra artefatto e strumento.
Fino ad ora, la parola artefatto è stata utilizzata come un termine generico per
indicare qualcosa prodotto dagli esseri umani. In questa sezione il significato verrà
specificato e paragonato con la parola strumento , anch essa da utilizzare in senso
tecnico. Tale distinzione conduce ad analizzare separatamente le potenzialità di un
artefatto e il reale utilizzo che è consentito, non separando le intenzioni del progettista
da ciò che accade nell uso pratico, per sottolineare sia la prospettiva oggettiva che
32
quella soggettiva. Secondo la terminologia di Rabardel, l artefatto è l oggetto materiale
o simbolico di per sé (o una parte di un artefatto complesso). Uno degli esempi offerti
da Rabardel riguarda il braccio di un robot controllato da un dispositivo che può
muovere oggetti nello spazio (Rabardel e Samurçay, 1991). Lo strumento è definito da
Rabardel come un entità mista composta sia da componenti legate alle caratteristiche
dell artefatto che le componenti soggettive (schemi d uso). Questa entità mista tiene
conto dell oggetto e ne descrive l utilizzo funzionale per il soggetto. Gli schemi d uso
sono progressivamente elaborati nel corso dell azione determinata da un compito
particolare; così lo strumento è la costruzione di un individuo, ha un carattere
psicologico ed è strettamente collegata al contesto in cui ha origine e sviluppo.
Possiamo citare, a questo riguardo, un brano classico di Leont ev (1964/76, p. 315) che
descrive la costruzione da parte del bambino degli schemi d uso di un artefatto
semplice come una tazza: Quando un adulto prova per la prima volta a far bere un
bambino dalla tazza, il contatto con il liquido provoca nel bambino movimenti riflessi
incondizionati [ ] tuttavia, molto presto, il bambino impara a bere correttamente
dalla tazza, i suoi movimenti, cioè, si riorganizzano in modo che la tazza viene
adoperata in conformità alla sua destinazione. Il suo bordo viene stretto dall alto al
labbro inferiore e la bocca del bambino si distende, la punta della lingua tocca la
superficie interna della mascella inferiore, le narici si allargano e il liquido scorre
dalla tazza inclinata nella bocca. Nasce un sistema motorio funzionale nuovo, che
realizza l atto del bere includendo in sé nuovi elementi . L azione dell adulto che aiuta
il bambino ad orientare e controllare i suoi movimenti appare essenziale. L imitazione
dei comportamenti degli adulti che usano artefatti (oltre alla particolare forma di questi
ultimi) sta alla base della costruzione degli schemi d uso nell età infantile. Si vedano
nella pagina seguente, ad esempio, le foto riprese da:
http://ematusov.soe.udel.edu/cultures/toddlers_using_cultural_tools.htm: due bambini
(di 11 e 13 mesi) usano due artefatti della vita quotidiana dei loro rispettivi gruppi
sociali (un machete; un libro illustrato), mostrando schemi d uso simili a quelli degli
adulti delle loro comunità (tagliare; leggere).
33
Fig.1
Fig.2
L elaborazione e l evoluzione degli strumenti è un processo lungo e complesso che
Rabardel denomina genesi strumentale. La genesi strumentale può essere articolata in
due processi:
- strumentalizzazione, relativa alla comparsa e all evoluzione delle diverse componenti
dell artefatto, per esempio la progressiva ricognizione dei suoi potenziali e dei suoi
limiti;
- strumentazione, relativa alla comparsa e allo sviluppo degli schemi di utilizzo.
I due processi sono orientati sia verso l esterno che verso l interno, rispettivamente dal
soggetto all artefatto e viceversa, e costituiscono le due parti inseparabili della genesi
strumentale (Rabardel, 1995). Gli schemi di utilizzo possono o meno coincidere con gli
obiettivi pragmatici per i quali l artefatto è stato designato, fondamentalmente essi sono
in relazione con l esperienza fenomenologica dell utente, e secondo tale esperienza essi
possono essere modificati o integrati. Rabardel teorizza l impatto dell uso degli
strumenti sull attività cognitiva: l uso di uno strumento non è mai neutro (Rabardel e
Samurçay, 2001), al contrario esso dà origine ad una riorganizzazione delle strutture
cognitive,
così
come
mostrato
nel
classico
esempio
dell evoluzione
nella
concettualizzazione dello spazio durante l attività mediata dal robot. La dimensione
sociale è definita da Rabardel nel descrivere l azione reciproca che avviene tra gli
schemi di utilizzo individuali e gli schemi sociali. In particolare, espliciti processi di
addestramento, possono incrementare una vera e propria appropriazione da parte dei
soggetti (op.cit.). L approccio di Rabardel è stato sviluppato nel campo dell ergonomia
34
cognitiva, dunque non mira ad affrontare tutte le esigenze della ricerca educativa nella
scuola. Esso è, tuttavia, divenuto assai diffuso ed è stato impiegato in diversi studi di
ricerca sull educazione matematica e in particolare la didattica negli ambienti
informatici. Questo approccio si è mostrato molto potente ed ha gettato luce su alcuni
aspetti cruciali soprattutto collegati alle possibili discrepanze tra i comportamenti degli
allievi e le aspettative degli insegnanti (Lagrange, 1999; Artigue, 2002; Guin, Ruthven
& Trouche, 2004). Come verrà spiegato in seguito, l approccio strumentale deve essere
ulteriormente elaborato per adattarsi alla complessità dell attività nella classe e in
particolare dell insegnamento-apprendimento della matematica; infatti esso può offrire
un quadro per analizzare i processi cognitivi collegati all uso di un artefatto specifico e
di conseguenza a quello che sarà considerato il suo potenziale semiotico.
2.3. L approccio di Vygotskij agli artefatti
La nozione di artefatto cognitivo, introdotta da Norman, ed alcune delle idee ad essa
collegate hanno le sue basi nel lavoro di Vygotskij (e dei suoi successori, come Luria,
1976, Leont ev, 1976/1964, si veda anche Wertsch, 1985). La prospettiva Vygotskiana,
che include una dimensione evolutiva, interpreta la funzione degli artefatti cognitivi
come elemento principale dell apprendimento e, per tale ragione, sembra offrire
un adeguata cornice per studiare l uso degli artefatti nel campo dell educazione. Nelle
pagine seguenti ci limiteremo a riassumere brevemente alcuni elementi, per poter
raggiungere molto velocemente lo scopo specifico di tale capitolo, in altre parole la
definizione precisa di strumento di mediazione semiotica, e la sua applicazione nelle
ricerche sulla didattica della matematica in classe. Vygotskij, confrontando gli animali
e gli esseri umani, ha postulato due linee per l origine dell attività mentale umana: la
linea naturale (per le funzioni mentali elementari) e la linea sociale/culturale (per le
funzioni psichiche superiori). La natura specifica dello sviluppo cognitivo umano è il
prodotto dell intreccio di queste due linee . Ciò che pare interessante, specialmente
quando studiamo lo sviluppo durante l età scolare, e in particolare all interno del
contesto
scolastico,
è
l evoluzione
dello
cognizione
umana
come
effetto
dell interazione sociale e culturale. Questi due elementi (sociale e culturale) trovano
corrispondenza nei due concetti chiave introdotti da Vygotskij: quello della zona di
sviluppo prossimale e quello di interiorizzazione, e in particolare nel ruolo cruciale
dell uso degli artefatti che Vygotskij ha postulato in relazione al processo di
interiorizzazione.
35
2.3.1 La zona di sviluppo prossimale: sviluppo e apprendimento
Il concetto di zona di sviluppo prossimale modella il processo di apprendimento
attraverso l interazione sociale ed è definito da Vygotskij come la distanza tra il livello
reale di sviluppo del soggetto determinato dalla capacità di risolvere da solo un
problema e il livello di sviluppo potenziale determinato dalla capacità di risolvere il
problema sotto la guida dell adulto o in collaborazione con un suo coetaneo più
capace. (1978, p.86). Secondo tale definizione lo sviluppo è perciò possibile grazie
alla collaborazione tra un individuo, le cui attitudini cognitive presentano un potenziale
che può modificarsi e un altro individuo (o una collettività) che coopera
intenzionalmente, per perseguire uno scopo comune. Senza entrare nel dibattito
riguardante la relazione tra sviluppo e apprendimento, noi sosteniamo che l asimmetria
della definizione di zona di sviluppo prossimale ben si adatta, nel contesto scolastico,
con l intrinseca asimmetria che si ritrova nella relazione tra insegnante e alunni
relativamente alla conoscenza. Similmente, sosteniamo che la nozione di zona di
sviluppo prossimale sottolinea la necessità di armonizzare l attitudine potenziale che
l allievo ha verso l apprendimento con l azione dell insegnante. Nella zona di sviluppo
prossimale lo sviluppo cognitivo è modellato dal processo di interiorizzazione.
2.3.2. L interiorizzazione
Il processo di interiorizzazione, definito da Vygotskij (1978, p. 56) come
ricostruzione interna di un operazione esterna
la
descrive il processo di costruzione
della conoscenza individuale come generato da esperienze sociali condivise. La
relazione tra processi interni (o psichici) ed esterni (dipendenti dall interazione sociale)
è un problema molto dibattuto in psicologia, con opzioni teoriche diverse. L approccio
Vygotskiano, sviluppato successivamente da altri autori (come Leont ev, 1976; Luria,
1976), suppone una stretta dipendenza dei processi interni da quelli esterni e una
relazione secondo la quale i processi esterni vengono trasformati per generare quelle
che Vygotskij chiama funzioni psichiche superiori. Per la prima volta in psicologia, ci
troviamo di fronte ad un problema così importante come quello della relazione tra
funzioni mentali interne ed esterne
ogni processo interno superiore è sempre stato
esterno, cioè è stato per gli altri ciò che ora è per il soggetto. Ogni funzione psichica
superiore, necessariamente attraversa un passaggio esterno nel suo sviluppo perché
inizialmente è una funzione sociale. Questo è il centro dell intero problema del
comportamento interno ed esterno
Quando parliamo di un processo, con il termine
36
esterno
intendiamo sociale . Ogni funzione psichica superiore è stata esterna
poiché è stata sociale in qualche momento prima di divenire una funzione interna,
veramente mentale (Vygotskij, 1981, p. 162, citato da Wertsc & Allison, 1985, p.
166).
Due sono gli aspetti principali che caratterizzano il processo di interiorizzazione, così
come viene assunto dalla prospettiva vygotskiana:
Il processo esterno è essenzialmente sociale
Il processo di interiorizzazione è diretto da processi semiotici
In effetti, come conseguenza della sua natura sociale, il processo esterno possiede una
dimensione comunicativa che implica la produzione e l interpretazione dei segni. Ciò
significa che il processo di interiorizzazione ha la propria base nell uso dei segni
(principalmente il linguaggio naturale ma anche ogni tipo di segni, dai gesti a quelli più
sofisticati come il sistema semiotico matematico) nello spazio interpersonale
(Cummins, 1996). Per tale ragione, l analisi del processo di interiorizzazione può essere
centrata sull analisi del funzionamento del linguaggio naturale e di ogni altro sistema
semiotico che sia implicato in attività sociali (Wertsch & Addison Stone, 1985, pp.163166).
2.3.3. Il sistema dei segni nel processo di interiorizzazione
Come è noto, Vygotskij ha focalizzato l attenzione sullo studio del funzionamento del
linguaggio naturale, cioè quello dei processi semiotici collegati all apprendimento e
all uso del linguaggio (in particolare l uso delle parole, considerate dallo studioso
l unità di analisi). L uso delle parole e delle forme linguistiche, è interpretato secondo
l ipotesi generale che lo sviluppo del bambino consiste in una appropriazione
progressiva e un uso riflessivo dei modi di comportamento che gli altri usano nei suoi
confronti. L analisi del processo di interiorizzazione va dunque centrata sull analisi del
funzionamento del linguaggio naturale ed altri sistemi semiotici usati nella società.
L uso dei segni nella soluzione di un compito possiede due importanti funzioni
cognitive: il soggetto produce segni da un lato proprio per realizzare il compito,
dall altro per comunicare con i diversi compagni che collaborano a tale compito. Nel
secondo caso, la produzione di segni risulta strettamente legata al processo di
interpretazione che permette lo scambio di informazione e, conseguentemente, la
comunicazione. Le funzioni psichiche superiori si sviluppano attraverso la produzione
ed interpretazione dei segni: in particolare parlare (o scrivere) e interpretare cosa viene
37
detto (o scritto), in altre parole, interagire attraverso la comunicazione. Questa
osservazione si rende necessaria e cruciale, poiché la funzione cognitiva relativa all uso
dei segni cambia a seconda della funzione che i segni hanno nell attività. Questa
distinzione emergerà in seguito quando introdurremo la nozione di strumento di
mediazione semiotica.
2.3.4. Artefatti e segni
Vygotskij ha mostrato che, nella sfera pratica, gli esseri umani utilizzano artefatti per
raggiungere scopi altrimenti non raggiungibili, mentre le attività mentali sono
supportate e sviluppate per mezzo dei segni prodotti nei processi di interiorizzazione,
che nella terminologia vygotskiana vengono anche definiti strumenti psicologici. I
primi sono orientati verso l esterno, mentre gli altri sono orientati verso l interno. Tale
prospettiva è perfettamente coerente con quanto precede: il fondamentale ruolo degli
artefatti nello sviluppo cognitivo è largamente riconosciuto e, a differenza di altri
approcci psicologici che separano chiaramente gli artefatti tecnologici e concreti dai
segni, la prospettiva vygotskiana afferma un analogia tra di essi. Così, Vygotskij
sostiene che l invenzione e l utilizzo dei segni come mezzi ausiliari per la risoluzione
di un problema dato (ricordare, confrontare qualcosa, scegliere e così via), sono
analoghe all invenzione e all utilizzo di strumenti sotto il profilo psicologico. I segni
hanno funzione di strumento durante l attività psicologica, analogamente al ruolo di un
utensile nel lavoro. (Vygotskij, 1978, p.52). Nella maggior parte della letteratura
successiva i segni sono stati interpretati come segni linguistici (Hasan, 2005), e questo
per la grande importanza attribuita da Vygotskij al linguaggio. Ma lo psicologo russo,
anche senza elaborare nei dettagli i vari casi, ha suggerito una serie più ampia di
possibili esempi: si possono citare alcuni esempi di strumenti psicologici e dei loro
complessi sistemi, come segue: il linguaggio, vari sistemi di conteggio, tecniche
mnemoniche, sistemi simbolici algebrici, opere d arte, scrittura, schemi, diagrammi,
mappe, disegni meccanici e tutti i tipi di segni convenzionali, ecc. (Vygotskij, 1981, p.
137) . Alcuni di essi sono legati alla matematica e, dunque, al campo dell educazione
matematica in generale. Ciò non deve sorprendere, se si pensa alla particolare natura
degli oggetti matematici, che richiede una rappresentazione esterna di essi per poterli
manipolare (Duval, 1995).
38
2.3.5. Mediazione
Come già affermato, l analogia tra segni ed artefatti si basa sulla funzione di
mediazione che entrambi hanno nello svolgimento di un compito. Considerata la
centralità di questa funzione nella discussione che seguirà, si pensa sia necessario
chiarire alcune parole chiave per spiegare cosa si intende per mediazione. Hasan
(2005) afferma che il sostantivo mediazione deriva dal verbo mediare, che si riferisce
ad un processo con una complessa struttura semantica che include i seguenti
partecipanti e circostanze che sono potenzialmente rilevanti in questo processo:
1. qualcuno che media, il mediatore;
2. qualcosa che viene mediato, il contenuto/forza/energia rilasciato dalla mediazione;
3. qualcuno/qualcosa soggetto alla mediazione, il ricevente a cui la mediazione
apporta qualche differenza;
4. la circostanza della mediazione;
a. i mezzi della mediazione, la modalità;
b. il luogo, il sito in cui la mediazione può avvenire.
Queste complesse relazioni semantiche non sono evidenti in ogni uso grammaticale del
verbo, ma sommerse sotto la superficie e possono essere riportate alla luce tramite
associazioni paradigmatiche, per esempio le loro relazioni sistemiche (Hasan, 2002).
La mediazione è un termine molto comune all interno della letteratura educativa. Il
termine è usato proprio per riferirsi alla potenzialità di incoraggiare la relazione tra gli
allievi e la matematica, e soprattutto in relazione allo svolgimento di un compito.
L idea di mediazione in relazione alle tecnologie informatiche è ampiamente presente
nella letteratura attuale sull educazione matematica. A partire dall affermazione che è
necessario superare la dicotomia tra esseri umani e tecnologie, l unità tra esseri umani e
media diviene l obiettivo fondamentale: lo strumento diviene trasparente (Meira, 1998),
il violino è tutt uno con il violinista (Moreno, in corso di stampa). Borba (2005) discute
le potenzialità di queste circostanze, creando un termine specifico: umani-con-media.
Chiappino & Bottino (2002) sottolineano il fatto che gli artefatti non solo consentono
ma anche vincolano l azione del soggetto sull oggetto: L introduzione di un nuovo
artefatto in una attività influenza sia le norme che regolano l interazione dei
partecipanti nell attività che i ruoli che i partecipanti possono assumere . In questo
modo essi affrontano alcuni aspetti della complessità delle interazioni nella classe, in
particolare l interazione tra pari mediata da un software. Più di altri, Noss & Hoyles
(1996, p. 6) sottolineano la prospettiva della comunicazione: la funzione di mediazione
39
del computer è legata alla possibilità di creare un canale di comunicazione tra
insegnante e allievo, basato essenzialmente su una lingua condivisa. Tutte queste
posizioni sono coerenti con il modello di Hasan, anche se non tutti gli elementi di
quest ultimo ricevono la stessa attenzione. Il modello di Hasan è inserito esplicitamente
nella cornice vygotskiana e include tutti gli elementi rilevanti per quanto riguarda la
modellizzazione delle attività di insegnamento-apprendimento da un punto di vista
semiotico. Prima di procedere è necessaria una ulteriore elaborazione delle idee
vygotskiane per ciò che riguarda la natura e il ruolo del mediatore e le caratteristiche
delle circostanze in cui si realizza la mediazione.
2.3.6. Un particolare tipo di mediazione: la mediazione semiotica
Secondo la fondamentale ipotesi Vygotakiana citata, durante lo svolgimento di un
compito avviene l uso sociale di artefatti (da parte del mediatore e del ricevente) e si
producono segni condivisi. Da una parte, questi segni sono legati allo svolgimento di un
compito, in particolare all artefatto utilizzato, dall altra essi possono essere in relazione
al contenuto che deve essere mediato (si veda il punto 2 nel modello di Hasan).
Dunque, il legame tra artefatti e segni supera la pura analogia del loro funzionamento
per la mediazione di un attività umana. Essa si appoggia sulla relazione riconoscibile e
reale tra particolari artefatti e particolari segni che nascono direttamente dai primi,
come sarà illustrato nell esempio dell abaco. Il legame tra artefatti e segni può essere
facilmente riconoscibile, ma quello che deve essere sottolineato è il legame tra i segni e
i contenuti da mediare e il modo in cui tutti questi legami possono essere sfruttati in una
prospettiva educativa.
2.4. Un artefatto culturale come strumento di mediazione semiotica
La relazione tra artefatti e segni all interno della risoluzione di un compito ha una
controparte nello sviluppo storico/culturale del sapere, dove tale relazione è
cristallizzata nella conoscenza condivisa della società (Leont ev, 1964/1976, p.245) ed
espressa dal sistema condiviso di segni, che si tratti di linguaggio naturale o di sistemi
più specializzati di diversi domini scientifici. Un legame potenziale con gli artefatti
può, in linea di principio, essere ricostruito anche nei casi in cui sembra completamente
perduto (Wartofsky, 1979). Il nostro approccio elabora questo assunto in una
prospettiva educativa ed in particolare all interno del contesto scolastico. Il punto
principale è quello di sfruttare il sistema di relazioni tra artefatto, compito e conoscenza
matematica. Da un lato un artefatto è messo in relazione ad un compito specifico (si
40
vada la definizione di strumento data da Rabardel) a cui fornisce mezzi di soluzione
adatti, d altra parte lo stesso artefatto è collegato ad una specifica conoscenza
matematica. In ciò, un doppio legame semiotico è riconoscibile tra un artefatto e una
conoscenza. In tal senso è possibile parlare della polisemia di un artefatto. In linea di
principio, un esperto può dominare tale polisemia, anche se in molti casi ciò può
avvenire in modo inconscio.
2.4.1. Polisemia degli artefatti e nascita dei segni
La polisemia dell artefatto trova una controparte nell esistenza di sistemi paralleli di
segni, che a volte si sovrappongono o semplicemente si fondono all interno dello
stesso sistema semiotico, secondo il modello di Wartofsky (1979). Secondo questo
autore, il termine artefatto deve essere inteso in senso ampio; dunque, aggiungiamo,
può comprendere strumenti come i martelli, i compassi, gli abaci, i software, ma anche
i testi, le fonti storiche, il linguaggio verbale, i gesti, i film didattici, gli esperimenti dei
musei della scienza, le teorie matematiche ecc. .Wartofsky (1979), identifica tre
tipologie di artefatto: artefatto primario, strumento tecnico orientato verso l esterno,
direttamente usato per scopi intenzionali (ad esempio compasso, prospettografi,
curvigrafi,
), artefatto secondario, strumento psicologico orientato verso l interno,
usato nel mantenimento e nella trasmissione di specifiche competenze tecniche
acquisite (ad esempio scrittura, schemi, tecniche di calcolo, trattati d uso,
) e artefatto
terziario, sistema di regole formali che hanno perso l aspetto pratico legato allo
strumento (ad esempio le teorie matematiche).
Da un lato la relazione tra artefatto e conoscenza può essere espressa da alcuni segni,
culturalmente determinati, prodotti dallo sviluppo culturale e cristallizzanti il
significato delle operazioni compiute con l artefatto; dall altro, la relazione tra
l artefatto e il compito può essere espressa dai segni, spesso contingenti alla situazione
determinata dalla soluzione di un compito particolare; comunque, una caratteristica
fondamentale di tali segni è che il loro significato mantiene un forte legame con le
operazioni svolte.
41
Fig.3
Gesti, disegni o parole possono essere i diversi mezzi semiotici utilizzati per produrre
questi segni, la produzione dei quali può essere spontanea o esplicitamente richiesta dal
compito stesso. Può inoltre succedere che l esperto introduca i nuovi significati di
questi segni. Questo ultimo caso pare rilevante da una prospettiva educativa (si veda
Douek, 1999). La relazione (si veda la figura sopra) tra questi due sistemi paralleli di
segni, correlati ad un artefatto, non è certamente né evidente né spontanea. È proprio
per questa ragione che noi affermiamo che:
la costruzione di questa relazione diventa un cruciale scopo educativo che può essere
realizzato promuovendo l evoluzione dei segni che esprimono la relazione tra
l artefatto e i compiti in segni che esprimono la relazione tra artefatto e conoscenza.
I segni che emergono dalle attività svolte con gli artefatti, sono elaborati da un punto di
vista sociale: in particolare, essi possono essere intenzionalmente utilizzati
dall insegnante per sfruttare i processi semiotici, con lo scopo di guidare l evoluzione
dei significati all interno della classe. In particolare, l insegnante può guidare lo
sviluppo verso ciò che è riconoscibile come matematica. Dal nostro punto di vista
questo corrisponde al legame tra sensi personali (nella prospettiva di Leont ev,
42
1964/1976, p. 244) e significati matematici, ovvero alla relazione tra concetti quotidiani
e concetti scientifici (Vygotskij, 1934/1990, p. 286).
Così facendo, l insegnante agirà sia a livello cognitivo che meta-cognitivo, in entrambi
i casi promuovendo lo sviluppo dei significati e guidando gli alunni alla
consapevolezza del loro status matematico. In sintesi:
Da un lato i significati personali sono legati all uso di artefatti, in particolare allo
scopo di svolgere un compito; dall altro i significati matematici possono essere legati
all artefatto e al suo uso.
A causa di questa doppia relazione, l artefatto può funzionare come un mediatore
semiotico e non semplicemente come un mediatore, ma una tale funzione di mediazione
semiotica non è attivata automaticamente; noi sosteniamo che la funzione di
mediazione semiotica di un artefatto possa essere utilizzata da un esperto (in particolare
l insegnante) che sia consapevole del potenziale dell artefatto sia in termini di
significati matematici che in termini di significati personali. Tale evoluzione è favorita
dall azione dell insegnante, che guida il processo di produzione e sviluppo dei segni
centrati sull utilizzo di un artefatto. In termini di mediazione noi possiamo esprimere
questo complesso processo come segue: l insegnante agisce come mediatore che
utilizza l artefatto per mediare contenuti matematici agli studenti. In altre parole:
l insegnante utilizza l artefatto come strumento di mediazione semiotica
A causa dell importanza culturale di questo processo, noi possiamo definire
l insegnante un mediatore culturale. Tale espressione non si riferisce all atto concreto
dell utilizzare uno strumento per svolgere un compito, piuttosto al fatto che significati
nuovi, legati al reale utilizzo di uno strumento, possono essere generati e possono
evolvere sotto la guida di un esperto.
43
2.4.2. Ciclo didattico
La struttura di una sequenza di insegnamento può essere evidenziata come una
iterazione di cicli, dove differenti tipologie di attività prendono posto, finalizzate allo
sviluppo del complesso processo semiotico descritto sopra.
Gli elementi minimi individuabili all interno di un ciclo didattico possono essere così
rappresentati:
Produzione
individuale
di segni
Attività con
gli artefatti
Ruolo
dell insegnante:
progetto
Ruolo
dell insegnante:
gestione
Produzione
collettiva
di segni
(Discussione
matematica)
matematica)
s o tto la g u id a d e ll in s e g n a n te
Fig.4
Attività con artefatti: gli studenti devono affrontare compiti che devono essere
svolti tramite l utilizzo di artefatti. Questo tipo di attività è generalmente utilizzato
come attività di inizio di un ciclo che promuove l uso di segni specifici in relazione
all uso di particolari artefatti o strumenti, come il lavoro a coppie, o piccolo gruppo,
con l artefatto che promuove lo scambio sociale, accompagnato da parole, schemi,
gesti.
Produzione individuale di segni (per esempio disegnare, scrivere). Gli studenti
sono coinvolti individualmente in diverse attività semiotiche, concernenti soprattutto
produzioni scritte. Ad esempio, dopo aver utilizzato un artefatto, agli studenti è
richiesto di scrivere, a casa, un resoconto individuale della loro esperienza e relative
44
riflessioni, inclusi dubbi e domande che sono sorti. Nel caso di bambini piccoli, i
compiti specifici vengono definiti chiedendo di disegnare, per esempio spiegare
attraverso un disegno il funzionamento di un artefatto. Si può anche chiedere loro di
scrivere, sul proprio taccuino di matematica, la principale formula matematica
proveniente dalla discussione collettiva (si veda sotto). Tutte queste attività sono
centrate su processi semiotici, per esempio la produzione e l elaborazione di segni,
legati alle precedenti attività con gli artefatti. Sebbene l interazione sociale durante tali
attività, o la discussione collettiva che le segue coinvolgano anche processi semiotici,
questo tipo di attività differiscono nel fatto che richiedono un contributo personale al
fine di produrre testi scritti e, conseguentemente segni grafici, che per la loro stessa
natura cominciano ad essere separati dalla contingenza dell azione situata. A causa
della loro natura e diversamente da altri segni, come i gesti, i segni scritti (in particolare
le parole) sono permanenti e possono essere condivisi; possono essere utilizzati in
discussioni collettive e anche divenire oggetto stesso della discussione. Questo può farli
evolvere.
Produzione collettiva di segni (per esempio, narrativa, mimica, produzione
collettiva di testi e disegni). Tra le altre discussioni collettive, la Discussione
Matematica (Bartolini Bussi, 1998) gioca un ruolo cruciale. Le discussioni collettive
costituiscono una parte essenziale nel processo di insegnamento-apprendimento e
rappresentano il cuore del processo semiotico, sul quale l insegnamento-apprendimento
è basato. In una discussione matematica l intera classe è collettivamente impegnata in
un
discorso
matematico,
solitamente
lanciato
dall insegnante,
che
formula
esplicitamente l argomento della discussione. Per esempio, dopo le sessioni in cui si è
risolto un problema, le varie soluzioni sono discusse collettivamente, ma può anche
accadere che i testi scritti dagli studenti vengano collettivamente analizzati,
commentati, elaborati. Molto spesso, e talvolta esplicitamente, esse sono reali
discussioni matematiche , nel senso che la loro caratteristica principale è che
l insegnante fa da guida per correlare esperienza personale, significato matematico e
l uso di segni specifici (il più delle volte termini matematici) (Bartolini Bussi, 1998). Il
ruolo dell insegnante è cruciale, infatti lo sviluppo dei segni in segni matematici,
principalmente legati all attività con artefatti, non è né semplice né spontaneo, è proprio
per questa ragione sembra richieda la guida dell insegnante. È piuttosto difficile
spiegare completamente la natura di tale guida , che non può essere completamente
assimilata a ciò che viene definito il processo di istituzionalizzazione (Brousseau,
45
1997), sebbene sia compatibile con esso. L obiettivo principale dell azione
dell insegnante in una discussione matematica è quello di promuovere il movimento
verso segni matematici, tenendo in considerazione i contributi individuali e sfruttando i
potenziali semiotici che provengono dall utilizzo di particolari artefatti.
L analisi semiotica condotta ci conduce ad assumere la presenza di una particolare
categoria di segni. I criteri di tale classificazione si riferiscono allo statuto di questi
segni nel processo di sviluppo, così com è previsto nel ciclo didattico, dai segni legati
all attività con gli artefatti verso segni matematici che sono da relazionare ai significati
matematici condivisi dalla comunità, e di solito espressi da una definizione matematica.
I diversi segni possono essere identificati nel processo evolutivo assunto sopra,
generando ciò che viene definito una catena semiotica, similmente alla catena di
significati come Warlkendine (1990) la descrive: Producendo una catena particolare
di relazioni di significati, nella quale il riferimento esterno è soppresso e tuttavia è
tenuto là in una catena di significati che si sposta gradualmente (Warlkendine, 1990,
p. 121). Tale catena semiotica muove da segni altamente contestualizzati, strettamente
legati all uso di artefatti, verso segni matematici che sono l obiettivo dell attività di
insegnamento-apprendimento. Oltre la categoria dei segni matematici, noi abbiamo
identificato altre due categorie caratterizzate dalla loro funzione nel processo di
mediazione semiotica.
2.4.3. Categorie di segni
Ci sono sostanzialmente tre tipi di segni: i segni matematici, i segni artefatto e i segni
pivot.
Segni matematici, che si riferiscono al contesto matematico, ad esempio la parola
<decina> o <funzione>, con i significati matematici condivisi dalla comunità dei
matematici. Essi possono essere espressi da una definizione.
Segni artefatto, che si riferiscono al contesto di utilizzo degli artefatti e molto spesso
fanno riferimento ad una delle sue parti e/o all azione realizzata tramite esso. Questi
segni nascono dall attività svolta con l artefatto, i loro significati sono personali e
comunemente impliciti, strettamente legati all esperienza del soggetto, essi
probabilmente sono legati a ciò che Ratford (2003) definisce generalizzazione
contestuale, ossia una generalizzazione che si riferisce fortemente alle azioni del
soggetto nel tempo e nello spazio e nel preciso contesto del compito. Estendendo la
terminologia di Noss e Hoyles (1997), si può parlare di segni situati. Contrariamente a
46
ciò che ci si può aspettare, può succedere che non emergano significati condivisi per i
segni di un artefatto, ma il riferimento diretto ad una esperienza comune può assicurare
la possibilità di negoziare un significato condiviso all interno della classe. Sebbene
possa succedere che i segni si manifestino spontaneamente, sicuramente essi appaiono e
i significati vengono espressi a seconda del bisogno specifico legato al contesto, in
particolar modo sotto lo stimolo di un compito specifico:
Quando il compito richiesto deve essere portato avanti in coppia: questo genera il
bisogno di comunicare e conseguentemente la produzione di segni.
Quando viene richiesto di elaborare un resoconto scritto, sia esso accompagnato o
meno da disegni.
Quando agli alunni viene richiesto di preparare una relazione scritta relativamente
a ciò che hanno fatto: sintetizzare il contenuto di una discussione, rendere espliciti
i loro dubbi, ecc.
Questa categoria di segni di artefatti include tanti e diversi tipi di segni e, ovviamente, i
segni non verbali come gesti o disegni, o combinazioni di essi (Arzarello 2006). Anche
se i nostri esempi non prenderanno in considerazione il caso dei gesti, vogliamo
sottolineare che quello che diciamo consiste e, per certi aspetti, è complementare
all analisi di Arzarello. In effetti, i gesti sono spesso precursori di espressioni verbali,
principalmente nel caso dell assenza di elementi verbali adatti. I segni-artefatto, a causa
del loro diretto riferimento all artefatto e al suo utilizzo, sono soprattutto impiegati per
identificare un particolare aspetto dell artefatto da mettere in relazione ai significati
matematici che sono l oggetto dell intervento. Essi sono gli elementi di base dello
sviluppo del processo semiotico centrato sull utilizzo di artefatti e finalizzato alla
costruzione della conoscenza matematica. Di fatto, l insegnante crea una rete semiotica
mettendo in relazione i segni di artefatti a segni matematici. In questo lungo e
complicato processo un ruolo cruciale è svolto dagli altri tipi di segni, che sono stati
definiti segni pivot.
Segni pivot, che, come illustrerà l esempio seguente, hanno la caratteristica della
polisemia, cioè possono riferirsi sia all attività con l artefatto, che anche al linguaggio
naturale e al dominio matematico. La loro polisemia fa sì che essi possano essere
utilizzati come perno per favorire il passaggio dal contesto di artefatto al contesto
matematico. Molto spesso essi segnano un processo di generalizzazione, e questo è il
caso di espressioni generiche come <oggetto/i> o <cosa/e>, come termini del
linguaggio naturale che hanno una corrispondenza nella terminologia matematica. Il
47
loro significato è in relazione al contesto dell artefatto, ma assume generalità attraverso
il suo utilizzo nel linguaggio naturale. Talvolta essi sono termini ibridi, prodotti e
utilizzati all interno della classe, ed intendono esprimere un primo distacco
dall artefatto, tuttavia mantenendo il legame con esso, per non perdere il significato.
Il diagramma della fig.1 può ora essere rielaborato come appare nella fig.2.
Fig.5
2.5. Mediazione semiotica nella classe
Il quadro teorico presentato può essere utilizzato per analizzare o per pianificare diverse
esperienze di insegnamento coinvolgenti allievi di diverse età.
Tratteremo in particolare esempi riguardanti le mani (capitolo 3), pallottolieri ed abaci
(capitoli 4 e 5). Vedremo come nella prima situazione sia il corpo stesso ad assumere il
ruolo di artefatto culturale, mentre nella seconda entrano in gioco artefatti che si
ritrovano nella storia dell uomo fin dall antichità.
48
5.2.2. Il caso dell Abaco
Analisi del potenziale semiotico: l abaco e il sistema posizionale di rappresentazione
dei numeri
L abaco, nelle sue diverse forme di tavole di conteggio, è un artefatto culturale ben
conosciuto. La sua origine è correlata alla storia del conteggio e della registrazione. I
segni avevano due funzioni principali: essi servivano come contatori per calcolare
quantità di beni, erano cioè espedienti mnemonici utilizzati per immagazzinare dati, con
lo scopo di avere tanti articoli (segni, palline, tacche) quanti gli oggetti (animali, giorni,
pezzi di cibo); le tavole di conteggio con palline o gettoni furono poi utilizzate per fare
computi (specialmente addizioni e sottrazioni). L idea di base era quella di
interrompere la raccolta di unità-palline e trattare il gruppo invece che l individuo. Ogni
gruppo veniva rappresentato da una pallina (segno) che, per poter essere distinta da una
unità, veniva posta in una diversa posizione in una tavola o tavoletta divisa in colonne o
strisce. Il numero di palline all interno di ogni gruppo era definito dalla base,
solitamente cinque o dieci, come ricordo dell antica numerazione attraverso le dita o le
mani. Per secoli, questa strategia fu utilizzata per fare calcoli e non per la
rappresentazione scritta dei numeri. Così, nei calcoli la gente utilizzava un sistema
valutativo avanzato (dove anche le colonne vuote erano permesse) mentre nella
scrittura venivano utilizzati diversi tipi di segni (si veda Menninger 1958, p.223). Per
fare addizioni, i due numeri erano rappresentati insieme nello stesso abaco, prima di
raggruppare i gettoni (se necessario) in ogni colonna.
Lo storico processo di costruzione di significati aritmetici ha lasciato tracce nei segniartefatto che originano dalle pratiche antiche e, in alcuni casi, sono divenuti veri
simboli matematici, per esempio:
-
il nome stesso dell abaco, proveniente dalla parola greca abax (a sua volta
dall ebraico abaq, ossia
polvere
o
sabbia
utilizzata come superficie di
scrittura);
-
il nome stesso dell attività (calculus) per indicare le palline (calculi in latino);
-
il nome stesso di zero per indicare lo spazio vuoto in alcune colonne (si veda
Menninger, 1958: 401).
L utilizzo dell abaco nello svolgimento di addizioni può essere sostituito o evocato da
una rappresentazione scritta dei numeri focalizzata solo sulla posizione. La perdita di
materialità permette di prendere distanza dai fatti empirici.
121
5.2.3. Un esperimento di insegnamento in prima elementare
Questo esempio serve per illustrare come può essere utilizzato il quadro presentato nel
secondo capitolo per analizzare e, soprattutto, per pianificare interventi didattici efficaci
a livello di prima elementare.
Riprendiamo allora la definizione di mediazione semiotica indicata da Hasan (si veda
cap. 2).
In generale:
-
il mediatore è l insegnante;
-
il contenuto/forza/energia è il contenuto del sapere;
-
il ricevente è l alunno/i;
-
la circostanza della mediazione è l attività di insegnamento-apprendimento;
-
la modalità è il ciclo didattico;
-
il sito, il luogo in cui la mediazione può avvenire è la classe.
Nel nostro caso, l insegnante utilizza l artefatto come strumento di mediazione
semiotica.
-
il mediatore è l insegnante Mara Boni;
-
il contenuto/forza/energia è la rappresentazione polinomiale dei numeri naturali in
base dieci (il problema sintattico che abbiamo osservato in precedenza);
-
il ricevente sono gli alunni;
-
la circostanza della mediazione è la particolare attività di insegnamentoapprendimento che verrà descritta;
-
la modalità è un ciclo didattico aumentato , nel senso che rispetto al ciclo didattico
standard , è presente un ulteriore attività;
-
il sito, il luogo in cui la mediazione avviene è una prima elementare.
Il problema didattico che viene trattato è relativo ad incertezze ed errori sistematici
commessi dagli allievi, ampiamente documentati nella letteratura internazionale, ancora
alla fine della scuola elementare.
Di seguito vengono riportati gli errori tipicamente commessi dagli alunni di scuola
primaria nel momento in cui viene richiesto di trasformare i numeri dettati verbalmente
nel codice posizionale decimale (Lucangeli, 2004).
Gli errori possono essere classificati come errori del sistema dei numeri (comprensione
e produzione) o come errori di calcolo.
122
Per quanto riguarda il sistema dei numeri, gli errori sono attribuibili ai meccanismi
lessicali e sintattici.
Diverse ricerche dimostrano che la maggior parte degli errori commessi dai bambini,
sia in produzione che in comprensione, è di tipo sintattico. Errori sintattici sono tutti
quelli in cui risulta compromessa la capacità di stabilire i rapporti tra le cifre in una
struttura sintattica corretta, pur rimanendo integra la capacità di codificare le singole
cifre. Ad esempio, dato un numero composto da più cifre, il soggetto produce una
risposta contenente tutte le cifre, ma di ordini di grandezza diversi (13-31; 154-145).
Questi infatti sembrano anche nascondere un apprendimento carente o non
consolidato, come nei seguenti casi.
1.Errori di conteggio dovuti al mancato controllo della struttura sintattica, ad esempio:
- 1, 2, 3, 4, 15, 16, 17
(rispetto dell incremento, ma confusione nella categoria
lessicale);
- 13, 14, 40, 41, 42
(mancato incremento della posizione e confusione del
livello).
2.Mancato riconoscimento del valore dello zero nella transcodifica tra codice verbale
(in cui la parola zero non viene utilizzata) e codice arabo (in cui lo 0 ha un valore
posizionale al pari delle altre cifre), ad esempio:
-
scrivere 1047 quando viene dettato centoquarantasette ;
-
nella maggior parte dei casi lo zero viene utilizzato eccessivamente ogni volta
che si incorre nei moltiplicatori -cento e -mila , ad esempio scrivere 310056
quando viene dettato trecentocinquantasei , 7100501 quando viene dettato
settecentocinquantuno , 800030022 al posto di
ottomilatrecentoventidue
ecc.;
-
in altri casi lo zero viene utilizzato troppo poco , ad esempio 2609 quando
viene dettato ventiseimilanove
3.Gli elementi miscellanei del lessico dei numeri vengono uniti ai numeri primitivi
come potenze di 10 oppure con relazioni additive. Questa duplice funzione può
essere confusa e dare origine a errori di due tipi:
-
relazioni moltiplicative rese additive (trecento = 103; tremilasettanta = 1073);
-
relazioni additive rese moltiplicative (centocinque = 500; centotrentadue =
3200).
In sintesi, si tratta di errori di transcodifica, relativi cioè al passaggio dal codice
numerico a quello verbale o viceversa. Pur sapendo contare oralmente e per iscritto in
123
uno dei due codici e avendo consolidato il significato di ciascun numero, è possibile
avere difficoltà nel passaggio dallo stimolo uditivo a quello numerico o viceversa, a
seconda di quale codice è meglio appreso.
Per quanto riguarda i sistemi di calcolo, invece, gli errori analizzati dalla letteratura
possono essere attribuiti a differenti categorie di difficoltà.
1. Errori nel recupero di fatti aritmetici:
- errori di confine, determinati dalla inappropriata attivazione di tabellone
confinanti (6 x 3 = 21)
- errori di slittamento, in cui una cifra è corretta e l altra è sbagliata (4 x 3 =11).
2. Errori nella applicazione di procedure, le difficoltà possono riguardare i seguenti
aspetti:
- la scelta delle prime cose da fare per affrontare una delle quattro operazioni
(incolonnamento o meno, posizione dei numeri, posizione del segno operatorio
e di altri segni grafici come la riga separatoria, ecc.);
- la condotta da seguire per la specifica operazione e il suo mantenimento fino a
risoluzione ultimata. Ad esempio, per la sottrazione si ha la regola di togliere le
unità dal sottraendo da quelle del minuendo e, se queste ultime sono minori, si
deve prendere in prestito una decina dalla cifra precedente. Ad esempio, per
svolgere 85
6 inizialmente si deve fare 15
6. In molti casi il bambino ha
presente che è impossibile sottrarre un numero più grande da un numero più
piccolo, per cui prende per prima la cifra più grande dimenticando la regola
della direzione, e così risulta 85
6 = 81;
- il passaggio ad una nuova operazione. Il bambino persevera nel ragionamento
precedente e applica procedure tipiche di un operazione (ad esempio una
sottrazione) ad un altra (ad esempio un addizione);
- la progettazione e la verifica. Spesso un bambino comincia immediatamente il
processo di risoluzione senza un analisi iniziale che gli permetta di individuare
difficoltà e strategie da utilizzare; una volta ottenuto, il risultato viene accettato
senza riflettere sull operazione nella sua globalità.
Di seguito analizzeremo pallottoliere e abaco.
124
Analisi del potenziale semiotico del pallottoliere
Nel pallottoliere ci sono, dal punto di vista del significato matematico, una
corrispondenza uno-a-uno (ogni volta che sposto una pallina, conto un oggetto) e l idea
di raggruppamento per dieci (in ogni fila sono presenti dieci palline);
In relazione alla corrispondenza uno-a-uno, gli schemi d uso che vengono attivati sono
due:
-
sposta una pallina per ogni oggetto da contare (eventualmente da aggiungere);
-
contali tutti .
In relazione al raggruppamento per dieci lo, schema d uso attivato è sostanzialmente
uno:
-
conta un asta piena come dieci e le rimanenti palline come unità.
Se introduciamo l abaco, possiamo notare che, dal punto di vista del significato
matematico, rimangono la corrispondenza uno-a-uno e il raggruppamento per dieci,
quindi gli schemi d uso restano infila una pallina per ogni oggetto da contare e,
quando si tratta di piccoli numeri, contali tutti .
Viene però introdotta, dal punto di vista del significato matematico, una novità: il
cambio. Lo schema d uso allora diviene: cambia dieci palline sulla prima asta di destra
con una pallina della seconda asta, cambia dieci palline sulla seconda asta con una
pallina della terza asta, e così via.
Se noi li confrontiamo, ci rendiamo conto che lo schema d uso contali tutti quando
sono pochi crea un conflitto tra la situazione del pallottoliere e quella dell abaco,
tant è vero che, più avanti, vedremo come i bambini conteranno le palline presenti
sull abaco come fossero palline del pallottoliere. Questi due strumenti hanno quindi
schemi d uso diversi che, come noteremo, entrano in conflitto al primo compito che
viene assegnato.
Quali sono i tipi di compiti che vengono assegnati all interno del particolare caso che ci
accingiamo a descrivere? Innanzi tutto, i bambini devono memorizzare la sequenza
numerica verbale, poi:
1. disegnare un pallottoliere
2. disegnare un abaco.
Questi due tipi di compiti sono legati al fatto che il bambino deve familiarizzare con
l artefatto in quanto tale (è costretto ad osservarlo e a focalizzare l attenzione sulle sue
componenti: si veda il processo di strumentalizzazione di Rabardel);
125
3. rappresentare sul pallottoliere, e successivamente sull abaco, numeri dati in forma
orale o scritta;
4. leggere e/o scrivere un numero rappresentato sul pallottoliere, e poi sull abaco;
5. leggere un numero rappresentato sull abaco grafico;
e così via.
Ciclo didattico
agli elementi minimi
in questo caso si aggiunge
Dialogo scritto
Fig.1
Abbiamo parlato di ciclo didattico aumentato perché, oltre a svolgere le attività
descritte
individuate nel secondo capitolo come gli elementi minimi
l insegnante
aggiunge un ulteriore funzione: il dialogo scritto, che viene messo in opera
individualmente con ogni bambino. Esso possiede di per sé un potenziale semiotico
molto forte, perché colloca segni scritti su un foglio, sui quali il bambino è costretto a
riflettere, per poi costruire un ulteriore messaggio in risposta a quello dell insegnante
che a sua volta, se necessario, lascia un nuovo feedback.
In classe, tra settembre e dicembre, vengono svolte sistematicamente attività di
memorizzazione della sequenza numerica orale, attività di conteggio, di scrittura di
numeri (date, temperatura ecc.) per copiatura.
Tra gennaio e febbraio viene introdotto il pallottoliere (un esemplare a 30 palline e uno
a 100), che viene disegnato; vengono realizzate attività di rinforzo del conteggio sullo
126
strumento, di registrazione dei risultati del conteggio (il pallottoliere come segnapunti)
e attività di completamento a dieci (come allenamento per il calcolo mentale).
A marzo l insegnante introduce un abaco su cui è rappresentato il numero 13 (in
corrispondenza alla data: è il 13 marzo)
Vediamo ora più nel dettaglio le suddette attività.
Il 13 gennaio viene data la seguente consegna: disegna dal vero il pallottoliere
(processo di strumentalizzazione di Rabardel).
1 caso: il bambino ha disegnato correttamente tre file, ma non è stato in grado
di realizzare il disegno secondo quelli che sono gli elementi dell artefatto: nelle prime
due file le palline sono correttamente infilate, ma nella terza no, sono come
fluttuanti nell aria.
Fig. 2
2 caso: le palline del pallottoliere sembrano appese .
Fig.3
127
3 caso: il numero delle palline non è corretto
Fig.4
4 caso: pur non essendoci verosimiglianza (perché il pallottoliere non sta in
piedi) il disegno è più preciso rispetto agli altri tre
Fig.5
Questo tipo di rappresentazione grafica ha una valenza molto forte, perché fornisce
all insegnante alcune importanti informazioni (che verranno poi discusse ulteriormente
coi bambini stessi) sull idea che essi possiedono relativamente a questo tipo di
strumento: perché le hanno rappresentate in questo modo?
In seguito al disegno, alle attività di conteggio, a quelle di completamento a dieci, con
gli schemi d uso che ne sono entrati a far parte, i bambini producono spontaneamente
una serie di locuzioni verbali: fila da dieci palline, fila-da-dieci (come fosse una parola
sola), fila piena. Questi sono tipici segni artefatto, in quanto sono ancora fortemente
legati allo strumento e non a segni matematici.
I bambini proseguono nell attività, e fanno conteggio di collezioni di palline anche
grandi, prestando attenzione (su invito dell insegnante) al cambio della regola di
generazione dei nomi dei numeri in corrispondenza del completamento di una fila-da128
dieci. Si accorgono, cioè, che quando hanno riempito una fila-da-dieci cambia la regola:
si arriva a dieci, poi diventa undici, dodici, venti ecc.
Siamo ancora sul processo lessicale (ci sono bambini che faticano a ricordare i nomi dei
numeri), ma ci sono anche bambini che cominciano ad intuire il processo sintattico: è
interessante notare come l insegnante riesca a tenere in azione tutti i bambini,
indipendentemente dal loro livello di prestazione.
Al termine di questa attività, avviene la costruzione collettiva di un testo che esplicita la
regola collegandola al numerale orale e al numerale scritto .
Testo collettivo:
Nei numeri con la fila-da-dieci c è la parola dici (i bambini operano ancora entro il
venti). Quando ci sono file-da-dieci il numero ha due cifre. Le file-da-dieci sono scritte
a sinistra.
Analisi del potenziale semiotico dell abaco
Il 13 marzo, dopo la copiatura della data, l insegnante mostra per la prima volta un
abaco su cui è rappresentato il numero 13 (da notare la corrispondenza tra la data e il
numero su cui si opera).
Primo compito: Che numero è? Copia l oggetto, rispondi per iscritto e spiega perché.
Ancora una volta, il disegno dal vero (processo di strumentalizzazione di Rabardel)
pone il bambino nella condizione di concentrare l attenzione sugli elementi che
compongono l artefatto.
Tutti gli allievi, tranne una, rispondono 4. Qui emerge il conflitto di cui si parlava nel
precedente paragrafo, perché si rende evidente come i bambini utilizzino l abaco come
un pallottoliere.
L insegnante gestisce la fase individuale attraverso il dialogo scritto per incoraggiare
l attività semiotica. Dopo l interazione scritta, altri 5 allievi rispondono 13.
129
Vediamo di seguito il protocollo di Grace.
Fig.6
G: come i giorni o capita che te ogni matina fai con quelo alto (il calendario a strappo) ogni
mattina i numeri li fai.
Fig.7
G: è 31.
L insegnante ha intravisto la zona di sviluppo prossimale nella bambina, che ha
riconosciuto l 1 e il 3.
Ins: leggi meglio.
G: è 13.
Ins: perché?
G: avevo pensato che quel 1 sembra li 10 e quel 3 mi sembrava li 13, quel numero mi a
deto 13. E un numero inportatissimo.
130
Questo è estremamente importante, perché è fondamentale per capire come l insegnante
abbia costruito un
mini-percorso
individuale all interno di una gestione
sostanzialmente collettiva.
Vediamo ora il caso di un bambino che legge correttamente il numero solo dopo
l interazione scritta.
Protocollo di Silvia:
Fig.8
S: è 4.
131
Fig.9
Ins: no.
S: che a sinistra ce il numero 1 e a destra ce il numero 3. Questo numero si chiama 13.
Ins: se è così, spiega perché.
S: perché prima ce il bastoncino a sinistra è ce il numero 1 e nel altro bastoncino ce il
numero 3 e in sieme si forma il numero 4, ma se agiungi una fila da dieci diventa 13.
Questo protocollo, simile a molti altri, mostra una fotografia di un processo di sviluppo.
Inizialmente Silvia interpreta l abaco come un pallottoliere, dove venivano utilizzati la
corrispondenza uno-a-uno e gli schemi di conteggio unico. Quando l insegnante valuta
negativamente la sua risposta, rilancia il problema alla bambina, che è costretta a
mettere in gioco altre conoscenze.
L interpretazione ha legato i due tipi di abaco: la pallina 1 non era da scambiare
(convenzionalmente) con 10 palline, ma era piuttosto un rimando o una
rappresentazione di una linea da dieci (lo schema della decina). Silvia stava collegando
nella sua mente l abaco (un artefatto nuovo) con il pallottoliere che le era più familiare.
L interpretazione è stata condivisa dalla maggior parte degli alunni nel compito
seguente.
132
A questo punto, le condizioni della classe sono le seguenti: una bambina ha risolto
autonomamente il compito assegnato, altri 5 dopo l interazione scritta, ma i restanti 17
sono ancora fissi sulla soluzione sbagliata, nonostante l utilizzo del dialogo scritto.
Subito dopo, l insegnante legge ad alta voce alcune risposte fornite dai bambini (giuste
e sbagliate) senza fare alcun commento. Poi, indica l abaco e finge per un attimo di non
conoscere la soluzione, chiedendo (secondo compito): Che numero sarà mai?
Dopo una breve pausa, continua: ve lo dico io. E tre-dici (rallentando la pronuncia per
enfatizzarne la struttura).
Poi scrive alla lavagna: E il numero 13. Spiega perché.
In questo modo, l insegnante introduce un altra attività semiotica: collega l artefatto
(l abaco con le palline) con segni matematici (per esempio, i numeri orali e scritti),
orientando i bambini verso la descrizione di schemi di utilizzo appropriati piuttosto che
verso la risoluzione del problema (come nel primo compito). I bambini copiano sui loro
quaderni la scritta alla lavagna, disegnano di nuovo l abaco e scrivono le proprie
spiegazioni. Le loro risposte cambiano drammaticamente: tutti, tranne cinque, riescono
a fornire giustificazioni adeguate.
Tutti gli alunni, tranne 5 (in difficoltà) argomentano correttamente con esplicito
riferimento alla pallina isolata che vale dieci, ovvero è come una fila-da-dieci.
Luca (prima):
Fig.10
L: Il numero 4.
Ins: no.
133
Fig.11
Dopo:
L: quel uno vuole dire dieci e quel tre vuole dire tre e così si forma il 13.
Oussama:
Fig.12
O: Perché cè un 10 e un 3
134
Nel periodo successivo i bambini lavorano quotidianamente con l abaco, senza mai
utilizzare, però, l asta vuota.
Il 3 aprile l insegnante presenta un abaco con la rappresentazione del numero dieci.
Questa è la prima volta che compare lo zero. Adesso non è nemmeno più presente la
corrispondenza tra la data e la rappresentazione del numero.
Consegna: disegna l abaco. Spiega a cosa serve e leggi cosa c è scritto.
Protocollo di Luca:
Fig.13
Fig.14
L: l addaco serve per fare i numeri. A sinistra ci son le decine e a destra ci sono le
unita. Nel abaco ce il numero 10.
Quando le paline sono 9 svotiamo per metere le decine sono a sinistra.
È interessante notare che il bambino scambia la pallina rappresentata sull asta a sinistra
con dieci palline, rappresentate però in orizzontale come nel pallottoliere. Se ne deduce
che l artefatto precedente è ancora vivo nei bambini, anche se hanno imparato ad
utilizzare l abaco.
135
In definitiva, attraverso questa serie di attività ci è possibile rileggere lo schema
rappresentato nel capitolo 2 (fig.4) nel modo seguente:
Pallina svuotare bastoncino
fila piena fila-da-dieci .
Segni - artefatto
Nei numeri con la fila-da-dieci c è la parola dici .
Quando ci sono file-da-dieci il numero ha due cifre.
Le file-da-dieci sono scritte a sinistra.
Segni - pivot
Segni
matematici
cifra - unità decine
13 tre-dici 18 dici-otto
È importante notare il ruolo cruciale svolto dai segni pivot
collettivo che l insegnante aveva preparato
rintracciabili nel testo
in cui sono presenti termini che legano i
segni artefatto ai segni matematici. La capacità dell insegnante sta nel saper riconoscere
questi segni, per poi farli transitare verso segni matematici.
Questo esempio ci mostra perciò come, pilotando un esperimento attraverso il quadro
presentato nel secondo capitolo, si possano ottenere risultati molto soddisfacenti.
136
La storia continua
Al termine della prima elementare tutti i bambini, tranne cinque che presentano altre
difficoltà, sanno scrivere correttamente sotto dettatura veloce numeri con due cifre
(anche con lo zero), e codificano e decodificano i numeri con l utilizzo dell abaco.
Successivamente è stato introdotto un nuovo artefatto ispirato alla Pascalina (contatore
trasparente che permette di eseguire numerazioni, addizioni e sottrazioni con numeri
fino a tre cifre).
Fig.15
A metà della seconda elementare tutti i bambini scrivono correttamente sotto dettatura
veloce numeri di tre cifre e non sbagliano gli incolonnamenti.
Tutti sanno confrontare con sicurezza gli schemi d uso collegati ai tre artefatti
(pallottoliere, abaco, Pascalina).
Una pallina dell abaco stringe una fila-da-dieci ;
la Pascalina conosce tutte le regole dell abaco ;
il rumorino della Pascalina fa cadere una pallina nel bastoncino dell abaco ;
il rumoretto della Pascalina fa cadere una pallina nell altro bastoncino
dell abaco
Sono espressioni situate, segni artefatto che però contengono molto significato.
A metà della seconda elementare tutti i bambini sono in grado di eseguire anche la
sottrazione col prestito.
137
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Fondamenti di pedagogia e didattica, Laterza, Bari, 1997.
AA.VV., Il manuale della nuova scuola dell infanzia, Fabbri, Roma 1999.
AA.VV.,Making learning visible: children as individual and group learners, Reggio Children S.r.l.
e Harvard Project Zero, Reggio Emilia, 2001.
AA.VV., Scarpa e metro, Reggio Children S.r.l., Reggio Emilia, 1997.
Bartolini Bussi M., Lo spazio, l ordine, la misura, Juvenilia, Bergamo, 1992.
Bartolini Bussi M. (a cura di), Numeri: conoscenze e competenze, Junior, Bergamo, 2000.
Bartolini Bussi M. G. & Mariotti M. A. (to appear), Semiotic Mediation in the Mathematics
Classroom: Artefacts and Signs after a Vygotskian Perspective, in L. English et al. (eds.),
Handbook of International Research in Mathematics Education (2nd edition), LEA
draft
version.
Bertolini P., Balduzzi P., Impariamo ad insegnare, Zanichelli, Bologna, 1990.
Boscolo P., Psicologia dell apprendimento scolastico, Utet, Torino, 1986.
Butterworth B., Intelligenza matematica, Rizzoli, Milano, 1999.
Butterworth B., A head for figures, in Science, 7 May 1999: vol. 284, n. 5416.
Calidoni M. e P., Continuità educativa e scuola di base, La Scuola, Brescia, 1985.
Calidoni M. e P., Continuità educativa scuola materna, elementare, media, La Scuola, Brescia,
1995.
Capaldo N., Neri S., Rondanini L., Il manuale della scuola elementare, Fabbri, Milano, 1999.
Capaldo N., Neri S., Rondanini L., La scuola dell infanzia nella Riforma. Tradizione e innovazione
nell educazione infantile, Erickson, 2003.
Caroli M., Giurato A., Mattedi V., Materna-elementare-media: la continuità possibile, Juvenilia,
Bergamo, 1986.
Cesareo V., Scurati C. (a cura di), Infanzia e continuità educativa, Angeli, Milano, 1986.
Cives G. (a cura di), La scuola di base. Continuità e integrazione, La Nuova Italia, Firenze, 1986.
Edwards C., Gandini L., Forman G. (a cura di), I cento linguaggi dei bambini, Junior, Bergamo,
1995.
Frabboni F. L innovazione nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1984.
Genovese L., Kanizsa S. (a cura di), Manuale della gestione della classe, Angeli, Milano, 1998.
Genovesi L., Continuità educativa e scuola di base, Ed. Scientifiche Italiane, Napoli, 1988.
Girelli L., Noi e i numeri, Il Mulino, Bologna, 2006.
147
Guerra L., La continuità, ovvero, la scuola come sistema, Ethel, Milano, 1996.
Karmiloff-Smith A., Oltre la mente modulare, Il Mulino, Bologna, 1995.
Ifrah G., Storia universale dei numeri, Mondadori, Milano, 1989.
Lucangeli D., Iannitti A., Vettori M., Lo sviluppo dell intelligenza matematica, Carocci, Roma,
2007.
Mazzoli P. (a cura di), Capire si può, Carocci, Roma, 2005.
Melino M., Continuità educativa e formazione d base, Ethel, Milano, 1994.
Menninger K., Number words and number symbols: a cultural history of numbers, (Trad. P.
Brooner), Cambridge, MA: MIT Press.
Pasciuti M., La nuova scuola materna, Juvenilia, Milano, 1998.
Pontecorvo C. (a cura di), Un curricolo per la continuità educativa dai quattro agli otto anni, La
Nuova Italia, Firenze, 1989.
Rinaldi C., I pensieri che sostengono l azione educativa, Centro Documentazione e Ricerca
Educativa Nidi e Scuole dell infanzia, Reggio Emilia, 2002.
Rinaldi C., I processi di apprendimento dei bambini tra soggettività ed intersoggettività, Centro
Documentazione e Ricerca Educativa Nidi e Scuole dell infanzia, Reggio Emilia, 1999.
Rinaldi C., L ascolto visibile, Centro Documentazione e Ricerca Educativa Nidi e Scuole
dell infanzia, Reggio Emilia, 2000.
Rubagotti G., Gli Orientamenti per la scuola materna, Fabbri, Milano, 1991.
Tolchinsky L., The cradle of culture, Lawrence Erlbaum Associated, Publishers 2003.
148
Scarica