La perizia psichiatrica nel processo penale e il

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Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
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La perizia psichiatrica nel processo
penale e il problema della
committenza
Cinzia Saronni1
Abstract (versione italiana)
L’articolo tratta l’argomento della perizia psichiatrica
nel processo penale, descrivendo modalità e tempi con i quali
essa è disposta e concentrandosi su quelle che sono le figure
professionali coinvolte. Viene elencato e descritto tutto l’iter a
partire dalla nomina del perito fino a giungere, a seguito della
corretta conclusione delle operazioni peritali, all’elaborazione e
alla consegna del documento ufficiale al giudice richiedente.
Una riflessione finale importante è dedicata all’aspetto della
committenza e a quanto questo inevitabilmente influenzi gli
scopi della perizia e, a volte, i risultati della stessa.
Parole chiave: Perizia psichiatrica, committenza, processo penale,
capacità di intendere e volere..
Abstract (english version)
The article deals with the topic of psychiatric expertise
in criminal proceedings, describing methods and timing with
which it is prepared and focusing on those that are the
professionals involved. It describes the whole iter: from the
consultant nomination, following a correct assessment and
evaluation, to the elaboration and the delivery of the official
document to the judge. An important final reflection is devoted
to the “client” and how much inevitably it can influence the
purposes of the expertise and, at times, the results of the same
one.
Keywords: Psiychiatric consultation, client, criminal proceeding,
capacity of discernment.
1
Laureata in scienze e tecniche psicologiche presso l'università degli studi Ecampus.
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
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Introduzione
Lo psichiatra forense è uno psichiatra specializzato, un
perito a supporto della magistratura, che ha un particolare
rilievo per la messa a punto del profilo mentale e, quindi, della
capacità di intendere e volere del soggetto chiamato in giudizio.
Il giudice, quando ritiene opportuno ricorrere a una valutazione
psichiatrica, nomina un consulente di sua fiducia che, in qualità
di CTU (Consulente Tecnico di Ufficio), deve rispondere ai
quesiti che gli vengono posti riguardo a procedimenti in ambito
lavorativo, amministrativo, civile o anche penale. La nomina del
perito psichiatra forense può provenire oltre che dal giudice
anche dagli avvocati difensori, i quali rappresentano o la parte
attrice che ha promosso il procedimento o la parte resistente, per
fare le loro controdeduzioni sulla perizia del CTU.
Le perizie giudiziarie hanno la caratteristica
fondamentale di dover rispondere ai quesiti formulati dal
giudice formula in sede di udienza. Si tratta di domande ben
precise alle quali si risponde attraverso le procedure tipiche
della medicina legale, che si fonda sulla valutazione clinica
effettuata in sede di operazioni peritali e sull'acquisizione di
documentazione sanitaria e di altro materiale anche psicodiagnostico che possa essere reperito in ospedali, pubblici uffici,
ecc. Fatti questi rilievi lo psichiatra forense elabora quindi una
conclusione diagnostica e una valutazione con discussione
psico-legale tesa a fornire al giudice le risposte, derivandole
dagli elementi acquisiti. La relazione peritale descrive tutti
questi passaggi e viene presentata al giudice o al Procuratore
della Repubblica a seconda di chi ha formulato l'incarico.
Nella maggioranza dei casi viene nominato un unico
perito, ma esistono casi più complessi in cui viene richiesto dal
giudice un collegio peritale, di cui fanno parte più figure
specialistiche della stessa branca oppure selezionate secondo le
particolari competenze. Al momento del conferimento
dell'incarico il giudice chiede di confermare l'impegno con il
giuramento di fedeltà e coerenza e richiede il massimo della
professionalità. Successivamente la relazione viene sottoposta
agli altri periti di parte, qualora siano stati nominati, o agli stessi
avvocati difensori e al Pubblico Ministero in sede di udienza
quando la relazione viene discussa. Tutti i soggetti presenti
possono formulare delle domande alle quali il perito deve
rispondere.
Oggetto della perizia penale può essere, per esempio, la
capacità d’intendere e di volere dell’imputato, la sua condizione
psicofisica al momento del fatto di reato, o la sua capacità di
stare in giudizio, ossia di comprendere pienamente finalità e
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metodi del processo in cui è coinvolto. Ad eccezione di quanto
è previsto ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di
sicurezza, non sono ammesse perizie penali per stabilire
l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a
delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e, in
genere, le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.
Dopo la nomina con ordinanza motivata e il
conferimento dell’incarico da parte del giudice, il perito può
procedere immediatamente ai necessari accertamenti e
rispondere ai quesiti con parere raccolto nel verbale; se non è
possibile un’immediata risposta per la complessità dei quesiti,
il perito può chiedere al giudice un termine e l’autorizzazione
alla presentazione di una relazione scritta.
L’approccio con l’imputato
Il contatto con il soggetto da esaminare si differenzia
dall’usuale relazione medico-paziente, in quanto deriva da
circostanze definite e dalle relative esigenze di giustizia.
L’accertamento delle condizioni cliniche attuali e la
procedura diagnostica sono finalizzate alla ricostruzione dello
stato di funzionamento mentale del soggetto, che va: ricollocata
entro un tempo definito (il momento del fatto); esaminata in
relazione alla congruità clinica tra la diagnosi riscontrata ed i
comportamenti documentati messi in atto all’epoca dei fatti,
oltre alla capacità di partecipare coscientemente al
procedimento e alla compatibilità con il regime penitenziario.
Lo studio degli atti e di preesistenti osservazioni
tecniche documentate precede la raccolta diretta di notizie
anamnestiche fornite dal soggetto. La ricostruzione delle
sequenze comportamentali messe in atto all’epoca dei fatti
viene effettuata sul materiale pertinente disponibile negli atti
(eventuali rilevazioni tecniche, testimonianze, dichiarazioni) e
può
essere
integrata,
previa
autorizzazione,
da
approfondimento diretto .
L’esame psichiatrico completo ed approfondito del
soggetto si basa sull’osservazione clinica diretta, integrata dalla
videoregistrazione dello svolgimento dei colloqui e dalla
raccolta ed elaborazione di eventuali protocolli dei test
psicodiagnostici.
Gli autori di reato che vengono sottoposti a valutazione
ai fini dell’accertamento dell’imputabilità possono esser
ricondotti alle seguenti categorie generali:
a) soggetti che prima del fatto non abbiano espresso
segni manifesti di malattia mentale (il reato e le sue modalità
coincidono con l’esordio evidente della psicopatologia);
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b) soggetti apparentemente ben integrati, ma con severi
disturbi del comportamento che si esprimono solo nelle vicende
della vita privata (famiglia, relazioni intime, sessualità);
c) soggetti che abbiano già presentato occasionali
comportamenti devianti, riconducibili ad alterazioni
psicopatologiche (impulsività incontrollata, bisogno di
autoaffermazione violenta, comportamenti fraudolenti ed
antisociali);
d) soggetti già formalmente riconosciuti affetti da
disturbo mentale lifetime, (schizofrenia, disturbi bipolari,
disturbi deliranti) e che siano o meno in trattamento;
e) soggetti che, al momento del fatto, erano sotto l’azione
di sostanze in grado di alterare il funzionamento mentale.
Per cercare di ricostruire lo stato mentale pregresso e le
successive modificazioni, è necessario procedere allo studio
approfondito della documentazione specialistica disponibile,
partendo dallo stato attuale e risalendo a quello all’epoca dei
fatti.
Allo stato attuale:
• capacità conservata;
• capacità parzialmente conservata;
• capacità totalmente esclusa;
All’epoca dei fatti:
• capacità totalmente esclusa;
• capacità parzialmente conservata;
• capacità conservata;
• capacità limitata all’intendere;
• capacità limitata al volere;
Le aree più critiche sono:
• imprevedibilità dei comportamenti umani;
• reattività inappropriata alle circostanze;
• disturbi di personalità e concetto di infermità;
• utilizzabilità di criteri diagnostici definiti;
• valore predittivo / retrospettivo dei test;
• compliance ad eventuali terapie in corso;
• trasformazione delle coordinate culturali.
A fronte di un orientamento restrittivo volto a
considerare rilevanti solo le malattie mentali stricto sensu intese
– e cioè le gravi psicosi acute e croniche accertate clinicamente e
le insufficienze cerebrali originarie o sopravvenute di carattere
organico o anatomico – si è sviluppato un diverso orientamento,
che ritiene che il concetto di infermità recepito dal codice penale
sia più ampio di quello di malattia e che, quindi, vi possono
essere soggetti incapaci di intendere e volere, seppure non
malati in senso stretto.
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La diagnosi multiassiale:
Asse I – disturbi clinici e altre condizioni oggetto di
attenzione clinica;
Asse II – disturbi di personalità, ritardo mentale;
Asse III – condizioni mediche generali;
Asse IV – problemi psicosociali ed ambientali;
Asse V – valutazione globale del funzionamento.
Disturbo mentale:
• situazioni, condizioni o comportamenti che violano la
norma biologica;
• situazioni, condizioni o comportamenti che violano la
norma psicologica;
• situazioni, condizioni o comportamenti che violano la
norma sociale e/o penale;
• situazioni, condizioni o comportamenti che non
violano alcuna norma, ma che sono etichettati come tali dal
gruppo sociale dominante.
Il disturbo mentale secondo il DSM-IV-TR
«Una sindrome o un modello comportamentale o
psicologico clinicamente significativo, che si presenta in un
individuo, ed è associato a disagio, a disabilità, ad un aumento
significativo del rischio di morte, di dolore o di disabilità, o a
un'importante limitazione della libertà. In più questa sindrome
o quadro non deve rappresentare semplicemente una risposta
attesa o culturalmente sancita ad un particolare evento.
Qualunque sia la causa, esso deve essere al momento
considerato la manifestazione di una disfunzione
comportamentale, psicologica o biologica dell'individuo. Non
rappresentano disturbi mentali un comportamento deviante
(esempio: politico, religioso o sessuale), né conflitti sorti
principalmente tra l'individuo e la società, a meno che la
devianza o il conflitto siano il sintomo di una disfunzione
dell'individuo».
I disturbi della personalità assumono dignità giuridica
di infermità di mente solo quando sconfinano nel terreno delle
psicosi, quando cioè si configura uno stato di destrutturazione
dell’IO. Solo in questo caso, ed a condizione che il quadro
psicopatologico determini l’atto-reato ed annulli la libertà
decisionale, il quadro si configura come vizio di mente.
L’ordinamento
attuale
considera
la
persona
responsabile, e quindi imputabile, solo se in pieno possesso
della capacità sia di intendere che di volere. Nel nostro sistema
penale le cause che escludono o diminuiscono l'imputabilità
appartengono a due species:
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- alterazioni patologiche, dovute ad infermità di mente o
all'azione dell'alcool o a quella di sostanze stupefacenti;
- immaturità fisiologica o parafisiologica, dipendenti
rispettivamente dalla minore età e dal sordomutismo.
Il vizio totale di mente
Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso
il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la
capacità di intendere o di volere.
Il vizio parziale di mente
Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per
infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza
escluderla, la capacità di intendere o di volere, risponde del
reato commesso, ma la pena è diminuita.
Capacità di intendere:
• rendersi conto del valore sociale dell’atto;
• idoneità del soggetto a conoscere, comprendere,
discernere i motivi della propria condotta;
• valutare conseguenze (costi-benefici);
• attitudine ad orientarsi nel mondo esterno secondo
una percezione non distorta della realtà;
• capacità di comprendere il significato del proprio
comportamento e di valutarne le possibili ripercussioni positive
o negative su terzi;
• obiettività delle azioni, consapevolezza delle
conseguenze, coscienza giuridica, coscienza etica.
Capacità di volere:
• potere di controllare gli impulsi ad agire e di
determinarsi secondo il motivo che appare più ragionevole o
preferibile in base ad una concezione di valore;
• attitudine a scegliere in modo consapevole tra motivi
antagonistici;
• attitudine a determinarsi in modo autonomo;
• possibilità di optare per la condotta adatta al motivo
che appare più ragionevole;
• capacità di resistere agli stimoli degli avvenimenti
esterni;
• facoltà di volere ciò che in maniera autonoma si
giudica doversi fare.
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Perizia e responsabilità penale
Nell'ambito di un procedimento penale il giudice, nel
dubbio di una eventuale psicopatologia dell’imputato, può
chiedere l’ausilio di un perito psichiatra che deve esprimere la
propria opinione professionale circa la capacità di intendere e
di volere dello stesso. In caso negativo il reo, anche se confesso,
non è più imputabile: è questa la perizia psichiatrica nell'ambito
di un procedimento penale. La perizia psichiatrica in tale
ambito è inerente il concetto di responsabilità penale. Secondo
tale concetto, che attiene alla capacità di discernimento e di
libera autodeterminazione, l'autore di un reato non può essere
punito se incapace di rispondere dei suoi atti: «Nessuno può
essere punito per un'azione preveduta dalla legge come reato se
non l'ha commesso con coscienza e con volontà» (art. 42 cod.
pen.). Secondo questa norma, la responsabilità penale
dell'autore di un reato s'identifica con il possesso della capacità
di coscienza e volontà.
L'imputabilità è definita come la capacità di intendere e
di volere al momento del fatto. La capacità di intendere è
l'attitudine del soggetto a conoscere la realtà esterna, ciò che si
svolge intorno a lui, a cogliere il valore sociale positivo o
negativo dei suoi atti; essa presuppone la capacità psichica di
comprendere o discernere le proprie azioni od omissioni ed i
motivi della propria condotta.
Si è molto discusso, specie da parte degli psichiatri
forensi, sulla normativa che prevede il riconoscimento di
un'infermità che escluda o limiti grandemente la capacità di
intendere o di volere al momento del reato. Il concetto di
infermità, oggi che ha perduto il legame che aveva in passato
con il termine follia, è divenuto vago e indeterminato ed ha
perduto per la psichiatria ogni valore da quando si è scoperto –
si è preso coscienza – che il disturbo mentale non è solo malattia,
ma un'entità complessa, non definibile, in ordine alla quale vi
sono poche certezze circa l'eziologia e che – in definitiva – è la
risultante di una condizione sistemica nella quale concorrono il
patrimonio genico, la costituzione, le vicende di vita, gli stress,
il tipo d'ambiente, l'individuale plasticità dell'encefalo, i
meccanismi psicodinamici, la peculiare modalità di reagire, di
opporsi, di difendersi.
Oggi esiste una visione multifattoriale integrata della
malattia mentale. Il procedimento della perizia dipende dunque
in misura notevole dalla posizione del perito psichiatra in
ordine alle teorie della personalità, soprattutto se il metodo
adottato non è induttivo con raccolta e valutazione dei dati, ma
deduttivo, dove i dati vengono riguardati a partire da una teoria
generale. I risultati delle perizie, per il loro carattere empirico,
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vengono quindi quasi sempre offerti come dichiarazioni di
probabilità.
La nomina del perito
Il perito può essere nominato d’ufficio da: 1) giudice
dell’udienza preliminare; 2) giudice del dibattimento; 3) in sede
di incidente probatorio (nella fase pre-processuale delle
indagini preliminari).
La perizia può essere affidata ad uno psicologo, ad uno
psichiatra o ad un criminologo. La perizia psicologica valuta gli
aspetti del processo evolutivo; quella psichiatrica valuta
l’esistenza di una patologia in atto o in via di strutturazione con
lo scopo di poter avviare cure adeguate e di emettere un
giudizio di imputabilità. Il criminologo lavora sfruttando la sua
conoscenza epidemiologica dei reati e la conoscenza dei profili.
I destinatari della perizia psichiatrica sono tutti i soggetti
verso i quali sorgono dubbi, durante un procedimento penale
e/o civile, sulla presenza o meno di una psicopatologia
dell’imputato; in questi casi il giudice può avvalersi della
perizia di uno psichiatra che valuterà professionalmente la
capacità dell’imputato. Studi statistici hanno consentito di
appurare che il malato psichico non delinque in maniera
significativamente superiore alla popolazione generale e non è
possibile fare un’equivalenza diretta tra patologia mentale e
pericolosità sociale. La perizia psichiatrica è una valutazione
che può essere richiesta anche da un soggetto che necessita di
una consulenza in ambito psichiatrico e psicopatologico od
anche in ambito medico-legale.
Lo psichiatra può essere chiamato a valutare condizioni
cliniche di un determinato soggetto dal soggetto stesso, dai
familiari, da un avvocato o da un giudice. Inoltre, durante
l’affidamento dell’incarico al perito, lo stesso viene invitato ad
informare il giudice in merito a condizioni d’incompatibilità che
possono rendere non possibile lo svolgimento della perizia. La
perizia psichiatrica in senso stretto riguarda il concetto di
responsabilità penale che viene ad essere collegato con la
coscienza e la volontà. La legislazione italiana prevede infatti
che non è punibile colui che ha commesso un reato se il gesto
non è stato compiuto con reale capacità di intendere e di volere.
Generalmente, perciò, il perito viene chiamato ad accertare la
capacità di intendere e di volere e la pericolosità sociale del
periziando.
Qualora sia valutata la presenza di pericolosità sociale
nell’indagato vengono messe in atto delle misure di sicurezza
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specifiche per il soggetto. Tali misure possono essere distinte in
detentive e non detentive, secondo quanto previsto dal Codice
Rocco. Le misure detentive si distinguono, inoltre, in
psichiatriche e non psichiatriche, a seconda del tipo di misura
adottata. Se, invece, viene precedentemente escluso il vizio di
mente, allora il perito può non rispondere al quesito in merito
alla pericolosità sociale, in quanto la condizione determinante
deve essere sempre la presenza di un vizio di mente parziale o
totale. Qualora, successivamente, venissero meno i presupposti
psicopatologici di pericolosità sociale, la misura cautelare
prevista può essere modificata o revocata. L’accertamento della
pericolosità sociale è compito del perito, mentre la valutazione
del comportamento criminale e del conseguente controllo
sociale spetta al magistrato, che si esprime in merito alla misura
definitiva da adottare.
Simulazione di pazzia
riconoscerla
durante una perizia: come
La pazzia intesa in senso lato, secondo lo stereotipo che
rimanda ad alcuni luoghi comuni che la associano di volta in
volta a pericolosità, imprevedibilità, cattiveria, violenza e altro,
è spesso all'origine di molti soprannomi di personaggi che
hanno fatto la storia della camorra.
'O pazzo è il soprannome di Cutolo, Michele Zaza,
Vincenzo Mazzarella, Alfonso Perrone, Michele Senese,
Salvatore Sarno (oggi pentito e tristemente noto perché quando
il padre decise di collaborare con la giustizia riferì tutto ai vertici
del suo clan), Rosario Di Bella, Gennaro Ciriaco (prima
sospettato, poi scagionato dall'accusa di essere uno degli
assassini di Silvia Ruotolo) e Ciro Cozzolino (ucciso in Toscana
in un agguato nel 1999, mentre stava scontando in semilibertà
una condanna per omicidio e per associazione mafiosa).
'O nevrastenico è soprannominato Nunzio, il figlio di
Paolo Di Lauro; 'o schizzato viene chiamato Nando Emolo,
affiliato allo stesso clan; Gennaro Di Chiara è detto file scupierto
(filo scoperto), perché appena qualcuno gli tocca il viso le sue
reazioni di rabbia e di ira sono violentissime; e rabbia e ferocia
caratterizzano i soprannomi di Antonio Spavone ('o malommo,
l'uomo cattivo), Carmine Alfieri ('o ntufato, l'arrabbiato) e
Pasquale Barra ('o animale, l’animale).
I tentativi di fingere l'infermità mentale vanno dai più
sofisticati ai più stravaganti, a seconda di quello che la persona
che li mette in pratica ritiene più convincente. Il denominatore
comune di queste messinscene, però, è il tentativo di dimostrare
di essere individui irrazionali e senza contatti con la realtà e,
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pertanto, non responsabili dei crimini commessi. Così accade
che, durante le perizie, i detenuti possono ostentare deliri,
allucinazioni e idee di morte, o distrarsi continuamente
fingendo di non capire quello che gli viene chiesto. Di solito, le
strategie orientate a simulare la follia si costruiscono molto
prima dei processi, fin da quando vengono commessi i reati o a
volte anche prima: meglio uccidere scaricando l’intero
caricatore dell'arma da fuoco, oppure colpire ripetutamente la
vittima per poter sostenere di aver agito per un impeto di ira
non controllata; più utile uccidere mentre la vittima dorme,
perché questo orienta verso l’incomprensibilità del gesto; mai
usare il veleno, perché indica premeditazione.
Questi sono solo alcuni esempi di come – soprattutto
negli anni settanta e ottanta – sono state seguite scorciatoie e
costruite strategie per raggiungere l'infermità. Ma questi sistemi
grossolani, per riuscire, richiedono naturalmente la
compiacenza o l’inesperienza dei periti nominati dai giudici. Le
simulazioni riguardano talora deliri di persecuzione: per
esempio, si racconta ai periti che qualcuno complotta per
ucciderli, che ci sono fantasmi in cella che vogliono ammazzare
i detenuti per cui si procede a perizia. Altre volte vengono
simulati stati di confusione o disorientamenti, oppure – se ai
simulatori, in passato, è stata diagnosticata una lesione
cerebrale o un qualsiasi disturbo mentale – si cerca di
approfittarne per poter affermare di aver agito senza
consapevolezza o senza intenzione, puntando sul fatto che i
periti potrebbero convincersi che il crimine per il quale si è
giudicati sia frutto di malattia, e conseguentemente
pronunciarsi per una infermità o per una seminfermità.
Peraltro, il tentativo di costruzione dell’infermità
mentale, che in alcuni casi sortisce effettivamente esiti positivi,
non si ferma alla simulazione dei sintomi durante le perizie, ma
prevede un lavoro più complesso volto a presentare una
documentazione sanitaria che, in molti casi, si rivela davvero
imponente e che diventa il “pezzo di carta” incontestabile,
soprattutto se prodotto da strutture sanitarie del servizio
pubblico. In pratica, vale questo principio: se un medico del
servizio pubblico ha certificato che un affiliato è malato e che –
per esempio – soffre di psicosi, questa psicosi gli sarà
riconosciuta con più facilità in sede peritale. Per raggiungere
questo obiettivo si cerca a tutti i costi il passaggio dal circuito
penitenziario a quello sanitario e lo si sfrutta per ottenere una
diagnosi di malattia mentale.
Nino Anselmi definisce tre caratteristiche fondamentali
della simulazione, presenti in ogni caso: la presentazione di
singoli sintomi, slegati, privi di correlazione patologica; tali
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sintomi sono prodotti, esibiti ed elencati; i sintomi non sono mai
compenetrati a livello emotivo, né vissuti.
I criteri precisi per porre una diagnosi di simulazione
sono i seguenti: non devono essere presenti ovvi segni di
malattia o di disturbo di personalità; l’individuo deve essere
perfettamente consapevole di quello che sta facendo e della
motivazione che determina il suo atteggiamento; egli deve
avere ben chiaro lo scopo da raggiungere, cioè un risultato
prestabilito.
Esistono due grandi classi di simulatori: abnormi
psichici, che simulano; personalità normali, che simulano. A
entrambi i gruppi appartengono individui abitualmente dediti
a simulare, che hanno cartelle cliniche molto ricche e dettagliate,
lievitate nel corso di un lungo arco di tempo.
Secondo il DSM-IV-TR, la simulazione dovrebbe essere
sospettata quando si rileva una combinazione delle seguenti
condizioni:
– contesto medico-legale di presentazione dei sintomi
(per esempio, il soggetto è inviato al clinico da un avvocato per
una valutazione);
– marcata discrepanza tra lo stress o la compromissione
lamentata dal soggetto e i reperti obiettivi;
– mancanza di collaborazione durante la valutazione
diagnostica e nell’accettazione del regime terapeutico
prescritto;
– presenza di disturbo antisociale di personalità.
Tipologia clinica della simulazione
Creazione: costruzione di sintomi psichici secondo le
proprie aspettative, credenze, fantasmi sulla malattia mentale.
Imitazione:
riproduzione
di
sintomi
psichici
precedentemente osservati in pazienti psichiatrici.
Rievocazione: richiamo di sintomi psichici sofferti in
passato ma attualmente assenti.
Stabilizzazione: presentazione di sintomi psichici
realmente sofferti in passato e allo stato attuale parzialmente
regrediti.
Radicamento: costruzione di sintomi non reali che
tendono a divenire reali.
Esagerazione: aumento volontario della gravità di
sintomi esistenti.
Allegazione: arricchimento della sintomatologia
psichica con una sintomatologia organica inesistente.
Pretestazione: attribuzione di falsa causalità alla
sintomatologia psichica reale.
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Autoinduzione: presenza di patologia psichica
volontariamente causata.
Mascheramento: esibizione di sintomi che nascondono
la reale psicopatologia.
Dissimulazione: offerta di uno stato di benessere che
nasconde una reale psicopatologia.
Chi desidera costruire l’infermità cerca di essere visitato
per un certo periodo da un medico del sistema sanitario
nazionale. Successivamente, valorizzando di volta in volta il
proprio comportamento strano, bizzarro e inadeguato, cerca di
ottenere un certificato in cui vengano descritti questi
comportamenti e di fare in modo che nei certificati si evinca
come questi comportamenti siano connessi in qualche modo ai
reati compiuti. Questo sistema, che sfrutta più i pregiudizi che i
giudizi clinici sulla malattia mentale, affonda le sue radici nella
convinzione popolare, ma errata, che più un reato è grave, più
è probabile che sia stato commesso da una persona
mentalmente disturbata.
Utilizzo dei test nelle perizie
Lo strumento privilegiato dell’indagine peritale è il
colloquio clinico, in quanto consente di stabilire un rapporto con
le persone coinvolte e di costruire con loro una comprensione
condivisa dell’esperienza che stanno affrontando. Sulla base di
queste premesse, il colloquio clinico può fornire le informazioni
per avviare un esame della vita intrapsichica degli individui e
una valutazione delle loro relazioni familiari. Pertanto i test,
nell’ambito dell’indagine peritale, non devono mai costituire
l’unico strumento utilizzato ai fini di una valutazione di
personalità, ma, affiancati dal colloquio clinico, si rivelano utili
per integrare e approfondire il materiale raccolto in precedenza;
talvolta si rivelano particolarmente efficaci in quanto
evidenziano aree conflittuali e/o ego distoniche che non si sono
manifestate con sufficiente chiarezza proprio durante il
colloquio.
In sede peritale, i test vengono ad assumere anche un
significato specifico: non sono finalizzati all’impostazione di un
trattamento, ma ad una precisa valutazione, sulla base dei
quesiti posti dal giudici e si configurano come uno strumento
che deve essere fruibile e analizzabile da tutte le parti in causa,
in tutte le fasi del procedimento giudiziario. I test possono
essere eseguiti direttamente dal consulente/perito nominato
dal giudice singolarmente o nell’ambito di un collegio peritale,
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oppure possono essere affidati ad altri psicologi in “funzione
ausiliaria”, scelti dal perito stesso, previa autorizzazione del
magistrato. L’attuale orientamento, a questo proposito, è
indirizzato verso opzioni di lavoro di tipo collegiale, dove le
varie professionalità interagiscono in un clima di parità
mentale.
Sia in ambito clinico che in ambito forense, occorrono precise
condizioni affinché l’uso dei test costituisca un contributo
valido ed attendibile: il reattivo va sottoposto ad una persona
solo dopo avere instaurato con essa una adeguata relazione
d’ascolto; deve essere letto, siglato, interpretato e presentato
solo dal professionista che l’ha eseguito. Successivamente,
nell’esposizione scritta della consulenza o perizia, l’analisi dei
test viene inserita come uno dei tasselli che compongono
l’esplicazione del quadro clinico.
Nella prassi, i modi per presentare i test nella loro
completezza sono prevalentemente due: 1. all’interno del testo
componente la perizia stessa nel capitolo “psicodiagnosi”; 2.
come allegato alla perizia stessa. I reattivi devono essere
presentati in modo completo, in tutte le loro parti: le
verbalizzazioni spontanee raccolte dal soggetto, l’elaborazione
quantitativa, quella qualitativa, l’interpretazione finale in forma
più o meno sintetica. Solo una metodologia corretta è la
premessa di un uso adeguato dei test in ambito forense, in
quanto permette di: 1. renderli fruibili dal magistrato e dalle
parti; 2. renderli accessibili a considerazioni, critiche,
contestazioni da parte di eventuali altri colleghi durante la
consulenza stessa o presenti in fasi successive del
procedimento.
I test vengono utilizzati dagli psicologi nell’ambito di
consulenze e/o perizie sia con soggetti adulti sia con soggetti in
età evolutiva.
Operazioni peritali2
Le operazioni peritali si distinguono, di regola, in
operazioni preliminari alla perizia e operazioni peritali vere e
proprie. Le operazioni preliminari alla perizia iniziano con
l'emissione dell'ordinanza motivata con la quale il giudice
accoglie l'istanza di parte o dispone d'ufficio l'assunzione della
suddetta prova. Va ricordato come la perizia possa essere
disposta sia in dibattimento che nel corso delle indagini
2
E. BRUSCHETTA, F. NOVELLI, M.M. MAIGA, Manuale del consulente tecnico e del perito,
Milano 2009.
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
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107
preliminari (in questo caso, però, solo ad istanza di parte, nelle
forme dell'incidente probatorio).
Il giudice dispone la citazione del perito mediante
notifica del relativo atto, che può avvenire in una delle seguenti
modalità: spedizione mediante raccomandata, consegna tramite
ufficiale giudiziario o consegna diretta all'interessato. Il
provvedimento è notificato, inoltre, alle parti che, ai sensi
dell'art. 225 cod. proc. pen., possono nominare i propri
consulenti tecnici, i quali possono assistere alle operazioni
peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando
osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione
(art. 230 cod. proc. pen.).
Se sono nominati dopo l'esaurimento delle operazioni
peritali, i consulenti tecnici possono esaminare le relazioni e
richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la
persona, la cosa o il luogo oggetto della perizia. La presenza dei
consulenti delle parti (art. 226, comma 2, cod. proc. pen.)
permette alle parti stesse di interloquire direttamente col perito
e di poter ampliare anche i quesiti. Il giudice indica al perito
l’oggetto dell’indagine e formula i quesiti, con la più ampia
garanzia del contraddittorio: devono essere sentiti il perito, le
parti e i loro consulenti tecnici. I quesiti peritali riguardano
principalmente: l’accertamento della capacità di intendere e di
volere, l’accertamento del vizio parziale o totale di mente, un
parere sulla pericolosità sociale, un parere sul trattamento più
idoneo da adottare per il reinserimento, un riferimento alla
rilevanza sociale del fatto.
Adempimenti e poteri del perito3
Con riferimento alla utilizzabilità degli atti presenti nel
fascicolo dibattimentale, nell'espletamento dell'incarico
conferitogli il perito può essere autorizzato a prendere visione
degli atti e dei documenti prodotti dalle parti, dei quali la legge
prevede l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento. Lo stesso
perito può essere inoltre autorizzato ad assistere all'esame delle
parti e all'assunzione di prove, nonché a servirsi di ausiliari di
sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non
implicanti apprezzamenti e valutazioni (art. 228 cod. proc.
pen.).
Va anche ricordato come, quando nel corso delle
operazioni intervengano questioni relative ai poteri del perito e
ai limiti dell'incarico, la decisione sia rimessa al giudice, senza
3
COMMISSIONE CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO, La perizia e la consulenza tecnica nel
processo penale (tratto da internet: si rinvia alla bibliografia finale).
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
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108
che ciò comporti sospensione delle operazioni stesse (art. 228,
comma 4, cod. proc. pen.).
Potere di consultare atti, documenti e cose
II perito, previa autorizzazione del giudice, può
consultare documenti, cose ed atti che sono stati prodotti dalle
parti e, in generale, il materiale suscettibile di acquisizione nel
fascicolo del dibattimento. In merito alla disposizione di cui
all'art. 228 cod. proc. pen., si è voluto consentire al perito di
esaminare gli atti conosciuti dal giudice al momento in cui
dispone la perizia, nonché di prendere visione anche di quegli
atti suscettibili di confluire nel fascicolo per il dibattimento. In
particolare, il perito può acquisire i seguenti documenti: scritti,
supporti fotografici, cinematografici, fonografici o qualsiasi
altro, verbali di prove di altri procedimenti. Se la perizia è
disposta nell'udienza preliminare, prende visione delle cose e
dei documenti facenti parte del fascicolo che il Pubblico
Ministero ha trasmesso insieme alla richiesta di rinvio a
giudizio (art. 416, comma 2, cod. proc. pen.); se la perizia è
disposta nel dibattimento, prende visione delle cose e dei
documenti facenti parte del fascicolo per il dibattimento.
Il Libro Terzo del codice di procedura penale: le prove4
La perizia, quale mezzo di prova, rappresenta una delle
fonti di convincimento del giudice. Sia nell’ambito penale che
in quello civile, il magistrato può richiedere l’intervento di un
esperto che, attraverso le sue specifiche competenze tecniche,
scientifiche o artistiche, consenta al giudice medesimo di
acquisire elementi idonei al raggiungimento della verità.
È fondamentale il fatto che il legislatore abbia inteso
riconoscere a tale istituto una rilevante funzione nell’ambito del
momento formativo della prova, tanto che la perizia è stata
inserita nel Libro Terzo (prove), Titolo II (mezzi di prova) del
codice di procedura penale. Appare importante soffermarsi sul
fatto che, nel nuovo codice, la materia è stata raggruppata in una
compatta articolazione che dà il dovuto rilievo al diritto delle
prove penali. Dall’osservanza delle forme e del modus procedendi
in questo settore dipende l’accertamento della colpevolezza
dell’imputato. Il legislatore, con il passaggio al nuovo codice, ha
introdotto una chiara distinzione nell’uso del termine prova; ha
distinto infatti l’espressione “prova” da quelli di “elemento di
prova” e “mezzo di prova”. Il vocabolo prova viene impiegato
4
Informazioni tratte dal sito internet www.consulenzegrafologiche.it.
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109
con riferimento alla ricostruzione fattuale, come emerge
dall’art. 187 cod. proc. pen., il cui significato può essere definito
come quel meccanismo, quell’insieme di elementi ed attività
aventi la funzione di dimostrare con certezza un fatto
procedurale (ad esempio: notifica di un atto) o sostanziale (ad
esempio: innocenza o colpevolezza dell’imputato). Per elemento
di prova deve intendersi ciò che, introdotto nel procedimento,
può essere utilizzato dal giudice come fondamento della sua
successiva attività inferenziale (ad esempio: dichiarazione
testimoniale, caratteristica dell’oggetto sequestrato, espressione
contenuta in un documento). Il soggetto o l’oggetto da cui può
scaturire un elemento di prova è la fonte di prova che, a sua volta,
può essere tanto personale (come nel caso del teste) quanto reale
(come nell’ipotesi del documento) e ha lo scopo di produrre la
conoscenza del giudice. Gli strumenti processuali attraverso i
quali si acquisisce innanzi al giudice la prova sono i mezzi di
prova (ad esempio: testimonianza, confronti, documenti, esami
delle parti, ricognizioni, esperimenti giudiziali e perizia).
La perizia viene inserita nei mezzi di prova anche se
presenta le caratteristiche del mezzo di ricerca della prova e del
mezzo di valutazione della prova, in quanto il compito del
perito è quello di fornire un giudizio di natura tecnica su una
prova già acquisita e da lui preventivamente valutata.
Specificamente, il perito compie un’indagine, a conclusione
della quale esprime un giudizio scientifico, tecnico o artistico
che costituisce la struttura di una prova critica attorno al fatto
oggetto dell’imputazione. Possiamo quindi inquadrare la
perizia in una categoria più ampia di accertamenti che
richiedono specifiche competenze: cognizioni e capacità
tecniche, cioè, che non sono proprie dell’autorità giudiziaria (la
cui competenza specifica è costituita dalla conoscenza della
legge) e non sono comunque vincolanti per il giudice per
formare il proprio convincimento: può infatti disattenderle se
sussistono adeguate ragioni, ma esse, per la loro natura tecnica,
hanno notevole forza di convincimento e quindi si pongono
come prova (certa) dei fatti accertati dal perito.
Altri casi di perizia
La perizia, oltre al caso del dibattimento, può essere
disposta anche in altre fasi:
- nella fase delle indagini preliminari con l’incidente
probatorio (art. 392 cod. proc. pen.);
- nella fase dell’udienza preliminare (art. 422 cod. proc.
pen.);
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
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- nel giudizio abbreviato (art. 441 comma 5 cod. proc.
pen.).
L’incidente probatorio nasce con il nuovo modello di
processo penale; tale istituto fa sì che, durante la fase delle
indagini preliminari, si anticipano i meccanismi dibattimentali
di acquisizione probatoria nell’ipotesi in cui vi è fondato motivo
di ritenere che la stessa prova possa andare dispersa e, pertanto,
si rende necessario assumerla immediatamente. Le ipotesi di
operatività sono rigidamente determinate nell’art. 392 cod.
proc. pen. I presupposti generali per procedere a perizia in
questa fase sono:
- si tratti di perizia che riguarda una persona, una cosa o
un luogo il cui stato é soggetto a modificazione non evitabile;
- si tratti di perizia che, se svolta in dibattimento,
potrebbe portare una sospensione superiore a 60 giorni (tempo
massimo fissato dal legislatore per l’esecuzione del
dibattimento).
Il giudice che dispone la perizia è il Giudice delle
Indagini Preliminari (G.I.P.); questa figura interviene solo nella
fase delle indagini preliminari su richiesta di una delle parti, del
P.M. o dell’indagato, e tutte le volte che sono previste
determinate garanzie per le parti medesime. Le regole per il
contraddittorio sono le stesse della fase del dibattimento.
L’udienza preliminare è destinata a garantire un
controllo sulla legalità del procedimento e di garanzia in favore
dell’imputato, procedendo alla valutazione del risultato delle
indagini preliminari e, quindi, della fondatezza dell’accusa. In
questa fase, collocata al termine delle indagini preliminari, il
Giudice dell’Udienza Preliminare (G.U.P.) ha il compito di
esaminare gli atti depositati dal Pubblico Ministero al fine di
pronunciare sentenza di rinvio a giudizio, in accoglimento della
richiesta formulata dall’organo inquirente, o di non luogo a
procedere. Al fine di maturare la sua decisione, il G.U.P. può
disporre, anche d’ufficio, l’assunzione di altre prove:
presupposto per l’assunzione della perizia è la decisività della
stessa ai fini della sentenza di non luogo a procedere. Il perito
nominato verrà sentito in una nuova udienza fissata dal giudice
medesimo. Il rito del giudizio abbreviato, finalizzato a snellire
il corso del processo, ha subito varie modificazioni nel corso del
tempo. Questo procedimento è stato concepito come un
giudizio allo stato degli atti fondato su un accordo delle parti
dal quale scaturiva, in caso di condanna, la riduzione di un terzo
della pena.
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
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111
Fasi della valutazione peritale5
Prima fase: studio degli atti processuali forniti dai
giudici relativi all’inchiesta giudiziaria e a quella socioambientale (art. 228 cod. proc. pen.). Seconda fase: colloqui con
il soggetto, se minore con i suoi genitori, incontri fra questi e il
minore, con le persone che attualmente interagiscono con il
soggetto. Terza fase: rielaborazione di tutti i dati ricavati e
traduzione in termini giuridici delle conclusioni raggiunte a
livello psicologico.
I momenti della perizia psichiatrica6
Veniamo ora ad analizzare natura e finalità della perizia
psichiatrica. Anche in questo caso abbiamo uno strumento di
accertamento tecnico che mira a fornire al perito psichiatra gli
elementi per pronunciare un giudizio, un parere diagnostico,
valutativo o prognostico. È chiaro che il ruolo istituzionale della
perizia psichiatrica nel processo penale, e quindi della
psichiatria forense, è l'accertamento delle condizioni di mente
del periziando.
È luogo comune che destinatario della perizia o soggetto
della stessa sia l'imputato; in realtà, i soggetti possono essere
diversi e, oltre all'imputato, vi sono l'indagato, la vittima, il
testimone, il condannato e l'internato. Noi ci occuperemo della
perizia sull'indagato e sull'imputato. L'indagine è
commissionata allo psichiatra o dal giudice, e si tratta della
perizia propriamente detta o tecnicamente definita tale dal
codice, disposta dal G.I.P. durante le indagini preliminari, dal
G.U.P. o dal giudice del dibattimento durante lo stesso, dal P.M.
o dai difensori di parte dell'imputato o della vittima ed in tal
caso si parla di consulenza tecnica di parte. La psichiatria
forense comprende anche la perizia medico-legale e quella
giudiziaria. La perizia può essere disposta ai seguenti fini:
- l'accertamento della capacità processuale dell'imputato
ovvero di partecipare coscientemente al processo;
- l'accertamento di 6 mesi in 6 mesi in caso di
sospensione del processo per incapacità dell'imputato;
- l'accertamento per disporre le misure cautelari di cui
agl'articoli 73, 284-286 cod. proc. pen..;
5
E. AGUGLIA, Istanze e prospettive della psichiatria forense (tratto da internet: si rinvia
alla bibliografia finale).
6
Informazioni tratte dal sito internet www.altrodiritto.unifi.it.
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
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112
- l'accertamento per stabilire l'esistenza del vizio di
mente totale o parziale al momento del fatto, attuale e la
pericolosità sociale.
A questo punto possiamo vedere le fasi in cui la perizia
si inserisce: possiamo operare una dicotomia fra la fase
cognitiva e quella esecutiva. Nel corso della fase cognitiva il
codice di rito ammette tre tipi di accertamenti: la consulenza
tecnica di parte del P.M. (artt. 359-360 cod. proc. pen.), la perizia
disposta dal G.I.P. (artt. 392-398 cod. proc. pen.) e la perizia
dibattimentale (art. 508 cod. proc. pen.). Nella fase esecutiva è
invece il magistrato di sorveglianza a ordinare la perizia volta a
stabilire:
- la presenza o persistenza di pericolosità sociale
psichiatrica al momento dell'applicazione della misura
dell'O.P.G.;
- le condizioni di mente dell'internato o condannato ai
fini dell'esecuzione o prosecuzione della pena o di una misura
di sicurezza diversa (O.P.G.);
- le condizioni di mente del condannato o internato in
vista della concessione di misure alternative all'internamento.
L’assunzione delle prove, e perciò di un’eventuale
perizia, viene eseguita con le forme previste nell’udienza
preliminare (art. 422, commi 2, 3 e 4 cod. proc. pen.)
Per quanto riguarda la committenza in psichiatria, il
paziente, un suo familiare, un amico, un vicino di casa, gli
operatori sociali, gli operatori sanitari e la forza pubblica sono
tutti soggetti che possono fare richiesta di perizia.
La richiesta che un paziente rivolge ad un clinico è un
concentrato di processi di varia natura, che è utile distinguere.
A tal fine va preliminarmente operata un’articolazione tra
committenza e domanda. La committenza è l’atto del paziente di
implicare lo psicoterapeuta, in altre parole il progetto di utilizzo
della sua competenza; con domanda, invece, va inteso il modello
simbolico che alimenta, configura ed orienta la committenza.
Se si vuole, la domanda è il “motore semiotico” della
committenza, ciò che le dà la forma specifica che assume. In altri
termini, la domanda è un processo di rappresentazione
emozionale che costruisce il senso che il paziente attribuisce al
contesto, dunque ai propri problemi, alla propria richiesta di
psicoterapia, quindi al ruolo dello psicoterapeuta. In questo
senso, la domanda va differenziata tanto dal bisogno che dalla
richiesta. Quando si parla di bisogni del paziente si tende a
riferirsi a una condizione caratterizzata da specifiche carenze o
comunque esigenze. In questo senso, se la domanda riguarda il
modello simbolico proposto dal paziente, il bisogno descrive
una caratteristica della realtà contrassegnante lo stato del
paziente.
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
113
Le criticità nel rapporto tra valutatore e committente
negli approcci riflessivi7
Da un lato, gli approcci riflessivi sfumano e attenuano,
per scelta consapevole, la distanza esistente tra valutatore e
committente; dall’altro, mettono in gioco in maniera molto
profonda, enfatizzandone la dimensione soggettiva, i diversi
poli della relazione valutativa. Questa complessità ed
ambivalenza derivante dalla natura stessa degli approcci
riflessivi si intreccia con l’articolazione del committente in un
sistema dei committenti e del valutatore in un sistema dei
valutatori. Il tratto caratterizzante questa relazione è
innanzitutto quello del potere, il potere della committenza ma
anche quello, certo di tipo e timbro diverso, della valutazione.
Si potrebbe quindi da subito affermare che la criticità del
rapporto tra valutatore e committente risiede nella necessità,
nella pratica del valutare, di combinare in maniera equilibrata,
consapevole e ragionata le caratteristiche più tipiche e distintive
degli approcci riflessivi con i due sistemi operanti. A questa
doppia pluralità si aggiunge la variabile
a sua volta
rappresentata dai contesti nei quali la relazione tra valutatore e
committente viene agita: questi contesti sono, per un verso,
fattori che definiscono la relazione valutativa ed il suo svolgersi
ma, per altro verso, sono essi stessi definiti e strutturati dalla
relazione valutativa medesima. L’introduzione del contesto
nella relazione valutativa è un ulteriore fattore della sua criticità
nella misura in cui contribuisce a costruire una sorta di
triangolazione dinamica, multilivello e plurale tra committenza,
valutazione e contesto.
La capacità di intendere e volere8
La perizia psichiatrica è condizionata dalla modalità e
dalla circostanza di un reato commesso: tanto più esso appare
“assurdo” e “mostruoso”, tanto più è facile che il magistrato, il
Pubblico Ministero o l'avvocato la richiedano. Al Consulente
Tecnico d'Ufficio o al perito, generalmente, verrà chiesto di
pronunciarsi su tre quesiti: 1. «Dica il perito, esaminati gli atti di
causa, visitato (nome e cognome), eseguiti tutti gli accertamenti
7
Informazioni tratte dal sito internet www.centrostudipsicologia.it.
8
Informazioni tratte dal sito internet www.mentesociale.it.
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
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114
clinici e di laboratorio che ritiene necessari ed opportuni, quali
fossero le condizioni di mente di (nome e cognome) al momento
del fatto per cui si procede; in specie se la capacità di intendere
o di volere fosse per infermità, esclusa o scemata». 2. «In caso di
accertato vizio di mente dica altresì il perito se (nome e
cognome)
sia
socialmente
pericoloso».
3. «Dica il perito, esaminati gli atti, visitato (nome e cognome),
eseguiti tutti i rilievi clinici e di laboratorio che ritiene opportuni
e necessari, quali siano le attuali condizioni di mente di (nome
e cognome) e, in particolare, se sia o meno in grado di
partecipare coscientemente al processo».
L'imputabilità è stabilita sulla base dell’accertata
capacità di intendere e di volere al momento del fatto. La
capacità di intendere può essere definita come la capacità del
soggetto di saper distinguere le proprie azioni e di saper
valutare, prima di agire, i motivi e le conseguenze che il proprio
comportamento produrrà nella realtà circostante. La capacità di
volere, invece, è l'attitudine del soggetto di volere ciò che ha
deciso doversi fare e di comportarsi in modo coerente con
questa scelta. L'articolo 85 del cod. pen. afferma: «Nessuno può
essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se,
al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È
imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere». Se solo
una di queste due capacità viene a mancare, il soggetto non
potrà essere imputabile.
Il codice penale tiene conto di alcuni fattori per i quali la
capacità di libera scelta dell'individuo può essere diminuita o
esclusa:
- nei casi di intossicazione acuta da stupefacenti o alcool
dovuti a circostanze occasionali o a cause di forza maggiore
(artt. 91-93 cod. pen.);
- nei casi di soggetti che hanno compiuto i 14 anni di età
ma non i 18, i quali per immaturità non avevano al momento del
reato la capacità di intendere e volere (articolo 98 cod. pen.);
- nei casi in cui il reo è stato reso dagli altri incapace di
intendere e di volere;
- nei casi in cui il soggetto, al momento del reato,
presentava un quadro di infermità tale da escludere la sua
capacità di intendere e di volere (articolo 88 cod. pen.): «Non è
imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era,
per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di
intendere e volere»;
- nei casi in cui il soggetto, al momento del reato,
presentava un quadro d'infermità tale da scemare la sua
capacità di intendere e di volere (articolo 89 cod. pen.): «Chi, nel
momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale
stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
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capacità di intendere o di volere, risponde del reato commesso;
ma la pena è diminuita».
Rispetto a questi ultimi due punti, il disturbo mentale
deve essere di tale intensità e gravità da disconnettere unitarietà
d'azione ed intento che costituisce il presupposto di ogni
crimine. Esistono una serie di disturbi che possono, qualora
sussista un nesso di causalità adeguato e dimostrabile, dare
luogo ad un giudizio di proscioglimento per vizio di mente. La
schizofrenia, la psicosi maniaco-depressiva, la depressione
maggiore, la paranoia, le demenze, i ritardi mentali, sono tutti
disturbi che compromettono le funzioni dell'Io e tali da creare
dei presupposti per una riduzione o assenza d'imputabilità.
Qualora il perito ritenga questa capacità compromessa,
formula il giudizio sul vizio di mente e mette in evidenza il
disturbo mentale del periziato. Il magistrato che condividerà la
perizia psichiatrica e quindi la non imputabilità del soggetto
reo, in quanto non era al momento del fatto in grado di
intendere e volere secondo il parametro normativo indicato
dall'articolo 85 cod. pen., emetterà una sentenza di
proscioglimento dal reato. Per la legge è come se quel reato non
fosse mai stato commesso.
Dopo aver risposto al primo quesito, la non imputabilità
del soggetto porterà il perito a pronunciarsi in merito al secondo
quesito riguardante la sua presunta pericolosità. La pericolosità
sociale prevista dall'articolo 203 del cod. pen. non riguarda la
probabilità che il reo possa mettere in pericolo la vita e la salute
propria e altrui, ma concerne la probabilità che il reo possa
commettere nuovamente un fatto di reato: «Agli effetti della
legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non
imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti
indicati nell'articolo precedente, quando è probabile che
commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati. La
qualità di persona socialmente pericolosa si presume alle
circostanze indicate nell'art. 133».
Al soggetto ritenuto socialmente pericoloso verrà
applicata una misura di sicurezza proporzionata in base al grado
di pericolosità sociale rilevato. L' art. 202 del cod. pen. così
afferma: «Le misure di sicurezza possono essere applicate
soltanto alle persone socialmente pericolose, che abbiano
commesso un fatto preveduto dalla legge come reato. La legge
penale determina i casi nei quali, a persone socialmente
pericolose, possono essere applicate misure di sicurezza per un
fatto non preveduto dalla legge come reato». Inoltre, secondo
l'articolo 207, le misure di sicurezza non possono essere
revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di
essere socialmente pericolose. La revoca non può essere
Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
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ordinata se non è decorso un tempo corrispondente alla durata
minima stabilita dalla legge per ciascuna misura di sicurezza.
Le misure di sicurezza personali detentive prevedono:
l'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro
(artt. 216-218), il ricovero in una casa di cura e custodia (artt.
219-221) e il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (art.
222).
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