Atti del seminario - Avv.Cacciamani

LA CONCORRENZA SLEALE E
LA TUTELA BREVETTUALE
di Clizia Cacciamani, avvocato - INNOVA & PARTNERS s.r.l.
INDICE
LA LIBERTA’ DI CONCORRENZA E DISCIPLINA DELLA
CONCORRENZA SLEALE
1. CONSIDERAZIONI GENERALI
2. FATTISPECIE
GIURIDICA
APPLICABILITA’
E
PRESUPPOSTI
SOGGETTIVI
DI
3. ATTI DI CONCORRENZA SLEALE. LE FATTISPECIE TIPICHE
3.1 GLI ATTI DI CONFUSIONE
3.2 L’IMITAZIONE SERVILE
3.3 IL DIRITTO AD UNA LEALE COMUNICAZIONE AZIENDALE
4. GLI ALTRI ATTI DI CONCORRENZA SLEALE
5. LE
SANZIONI
LA CONCORRENZA SLEALE E VIOLAZIONE DI BREVETTI
INDUSTRIALI
1. CONSIDERAZIONI GENERALI
2.
LA TUTELA DEL BREVETTO PER MODELLI DI UTILITA’ NEL DIRITTO
NAZIONALE:
LA CONCORRENZA SLEALE PER IMITAZIONE SERVILE
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2.1 LA TEORIA DELLE VARIANTI INNOCUE
2.2 PRODOTTI MODULARI, BREVETTI E IMITAZIONE SERVILE: IL CASO G.U.
BANARETTI – RITVIK TOYS INC. E LINEA GIG SPA, GIG DISTRIBUZIONE
E TOYS SERVICE SRL/LEGO SPA E LEGO SISTEMA A.S.
3. LA TUTELA DEL “KNOW – HOW”
LA DISCIPLINA DEI BREVETTI NEL NUOVO CODICE DELLA
PROPRIETA’ INDUSTRIALE
1. INTRODUZIONE: LA PROPRIETA’ INTELLETTUALE E LA PROPRIETA’
INDUSTRIALE
1.1 IL CODICE DEI DIRITTI DI PROPRIETA’ INDUSTRIALE E LA SUA GENESI
1.2 CONSIDERAZINI CONCLUSIVE
2. I BREVETTI PER INVENZIONE NEL NUOVO CODICE DELLA PROPRIETA’
INDUSTRIALE
2.1 LA NATURA E LA FUNZIONE DEL DIRITTO DI BREVETTO
2.2 I REQUISITI DELL’INVENZIONE
2.3 TIPOLOGIA DI INVENZIONI BREVETTABILI
2.4 LA PROCEDURA PER OTTENERE UN BREVETTO
3. LA TUTELA DEL BREVETTO NEL DIRITTO NAZIONALE
LA TUTELA DEL BREVETTO A LIVELLO INTERNAZIONALE
1. INTRODUZIONE ALLA MATERIA
2. LA PROTEZIONE
BREVETTUALE
CONFERITA
DAI
TRIPs
ALLA
DISCIPLINA
2.1 IL PATENT COOPERATION TREATY
2.2 UNA SCELTA TRA DIVERSE PROCEDURE
3. IL BREVETTO EUROPEO
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3.1 LA CONVENZIONE DI MONACO SUL BREVETTO EUROPEO
3.2 LA PROCEDURA PER IL RILASCIO DI UN BREVETTO EUROPEO
3.3 BREVETTO EUROPEO E BREVETTI NAZIONALI
I MODELLI DI UTILITA’ E L’INDUSTRIAL DESIGN
1. I MODELLI DI UTILITA’ NEL NUOVO CODICE DELLA PROPRIETA’
INDUSTRIALE
2. LA NUOVA DISCIPLINA DELL’INDUSTRIAL DESIGN
2.1 I REQUISITI DI PROTEZIONE: NOVITA’ E CARATTERE INDIVIDUALE
2.2 IL CONTENUTO DEL DIRITTO SU UN DISEGNO O MODELLO
2.3 LA CONTRAFFAZIONE DEI MODELLI E DEI DISEGNI
3. LA TUTELA DEL DESIGN A LIVELLO COMUNITARIO
3.1 LA PROCEDURA PER IL DEPOSITO DELLA DOMANDA IN SEDE
COMUNITARIA
BIBLIOGRAFIA
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La libertà di concorrenza e disciplina della concorrenza sleale
Sommario: 1. Considerazioni generali; 2. Fattispecie giuridica e presupposti soggettivi di applicabilità; 3.
Atti di concorrenza sleale. Le fattispecie tipiche; 3.1. Gli atti di confusione; 3.2. L’imitazione servile; 3.3.
Il diritto ad una leale comunicazione aziendale; 4. Gli altri atti di concorrenza sleale; 5. Le sanzioni.
1. Considerazioni generali
La libertà d’iniziativa economica implica la normale presenza sul mercato di una
pluralità d’imprenditori che offrono beni e servizi identici o similari e che,
conseguentemente, sono in competizione fra loro per conquistare il potenziale pubblico
dei consumatori e conseguire il maggior successo economico.
Nel perseguimento di questi obiettivi ciascun imprenditore gode d’ampia libertà
d’azione e può porre in atto le tecniche e le strategie che ritiene più proficue, non solo
per attrarre a sé la clientela ma anche per sottrarla ai propri concorrenti. La
competizione può essere anche rude e pesante, dato che in un sistema basato sulla
concorrenza non è tutelabile e non è tutelato l’interesse degli imprenditori a conservare
la clientela acquisita. Il danno che un imprenditore subisce a causa della sottrazione
della clientela da parte dei concorrenti non è danno ingiusto e risarcibile. E’ tuttavia
interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto e
leale. Da qui la necessità di predeterminare talune regole di comportamento che devono
essere osservate nello svolgimento della concorrenza; la necessità di distinguere fra
comportamenti concorrenziali leali e perciò leciti e consentiti dall’ordinamento e
comportamenti all’opposto sleali e perciò illeciti e vietati 1.
2. Fattispecie giuridica e presupposti soggettivi di applicabilità
Nello svolgimento della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi
di mezzi e tecniche non conformi ai “principi della correttezza professionale” (art.
2598, n. 3). I fatti, gli atti e i comportamenti che violano tale regola, e il legislatore ne
individua alcune categorie tipiche nello stesso art 2598 (atti di confusione, atti di
denigrazione, atti di vanteria), sono atti di concorrenza sleale (cosiddetto illecito
concorrenziale). Tali atti sono repressi e sanzionati anche se, ed in ciò una prima
differenza rispetto alla disciplina generale dell’illecito civile, compiuti senza dolo o
colpa (art. 2600, 1°comma). Inoltre, essi sono repressi e sanzionati, ed in ciò una
seconda differenza rispetto all’illecito civile, anche se non hanno ancora arrecato un
danno ai concorrenti. Basta, infatti, il cosiddetto danno potenziale; vale a dire che “l’atto
sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda” (art. 2598, n. 3). Concorrenza sleale ed
illecito civile sono quindi istituti che presentano nel contempo affinità e divergenze. La
disciplina della concorrenza sleale assolve, nell’ambito specifico dei rapporti fra
imprenditori concorrenti, la funzione di prevenire e reprimere atti suscettibili di arrecare
un danno ingiusto. Funzione quindi identica a quella che l’ordinamento assegna alla
disciplina generale dell’illecito civile, ma perseguita con gli adattamenti imposti dalla
specificità del tipo di illecito che si vuol reprimere (illecito concorrenziale); specificità
che determina non trascurabili differenze di disciplina e ciò in quanto la repressione
1 G. F. Campobasso, “Diritto Commerciale – Diritto dell’Impresa”, UTET, Torino, p. 234.
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degli atti di concorrenza sleale: è svincolata dal ricorrere dell’elemento soggettivo del
dolo o della colpa; è svincolata dalla presenza di un danno patrimoniale attuale; è attuata
attraverso sanzioni tipiche (inibitoria e rimozione), che non si esauriscono nel
risarcimento dei danni.
Si tratta in definitiva di una disciplina speciale rispetto a quella generale dell’illecito
civile e che offre agli imprenditori una tutela più energica nelle relazioni con i
concorrenti e ciò al fine di evitare che pratiche scorrette alterino un valore d’interesse
generale: il corretto funzionamento del mercato assicurato dal gioco della concorrenza.
L’interesse tutelato dalla disciplina della concorrenza sleale non è perciò esauribile
nell’interesse degli imprenditori a non veder alterate le proprie probabilità di guadagno
per effetto di comportamenti sleali dei concorrenti. Tutelato è anche il più generale
interesse a che non vengano falsati gli elementi di valutazione e di giudizio del pubblico
e non siano tratti in inganno i destinatari finali della produzione: i consumatori. Gli
interessi diffusi dei consumatori non possono essere del tutto considerati estranei al
sistema della concorrenza sleale e devono perciò essere tenuti presenti nel valutare la
“lealtà” delle pratiche concorrenziali. Non possono essere però elevati ad interessi
direttamente tutelati da tale disciplina, infatti, necessario ma al tempo stesso sufficiente
perché un atto configuri concorrenza sleale è l’idoneità dello stesso a danneggiare i
concorrenti, e tale atto resta anche se non arreca alcun pregiudizio ai consumatori e pure
se questi ne traggono un vantaggio. Di conseguenza legittimati a reagire contro gli atti
di concorrenza sleale sono solo gli imprenditori concorrenti o le loro associazioni di
categoria; non invece il singolo consumatore o le relative associazioni. Il che implica
che l’interesse dei consumatori a non essere tratti in inganno nelle loro scelte è tutelato
dalla disciplina della concorrenza sleale solo in modo mediato e riflesso, nei limiti in cui
la reazione degli imprenditori lesi dall’altrui comportamento sleale assicura la lealtà
della competizione e la trasparenza del mercato2. L’applicazione della disciplina della
concorrenza sleale richiede la sussistenza di due fondamentali presupposti: 1) la qualità
d’imprenditore sia del soggetto che pone in essere (direttamente o indirettamente) l’atto
di concorrenza sleale vietato, sia del soggetto che ne subisce le conseguenze; 2)
l’esistenza di un rapporto di concorrenza economica fra i medesimi3.
Per contro, chi è leso nella propria attività d’impresa da altro soggetto, che non è
imprenditore o non è suo concorrente, potrà reagire avvalendosi della meno favorevole
disciplina generale dell’illecito civile, sempre che ricorrano i presupposti (colpa o dolo
del soggetto attivo e danno attuale). Inoltre, la sola sanzione invocabile sarà il ristoro dei
danni subiti.
Quanto al primo presupposto, il fatto che soggetto passivo dell’atto di concorrenza
sleale possa essere solo un’imprenditore è fuori contestazione, poiché solo nei confronti
di chi è imprenditore può verificarsi la condizione dell’idoneità dell’atto “a danneggiare
l’altrui azienda”, o meglio, l’altrui attività d’impresa. Qualche incertezza sulla necessità
che la qualità di imprenditore debba essere rivestita anche dall’autore (diretto o
indiretto) del comportamento sleale, affermandosi testualmente che “compie atti di
concorrenza sleale chiunque…”(art. 2598).
Il secondo presupposto di applicabilità della disciplina della concorrenza sleale è
l’esistenza di un rapporto di concorrenza fra gli imprenditori: soggetto attivo e soggetto
passivo devono cioè offrire nello stesso ambito di mercato beni o servizi che siano
destinati a soddisfare, anche in via succedanea, lo stesso bisogno dei consumatori o
2
G. F. Campobasso, “Diritto Commerciale – Diritto dell’Impresa”, UTET, Torino, p. 236.
G. Ghiaini, “Della concorrenza sleale (artt. 2598 – 2601), in Il codice civile, Commentario, (a cura di)
Schlesinger, Giuffrè, 1991, p. 53 e ss.
3
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bisogni similari o complementari. Quest’ultimo presupposto viene solitamente posto in
relazione con il diffuso convincimento secondo il quale il danno concorrenziale si
concreterebbe, di regola, in uno sviamento della clientela4, configurabile esclusivamente
in presenza di una comunanza, effettiva o potenziale di clientela e, pertanto, di una
effettiva o potenziale relazione concorrenziale fra i soggetti interessati e coinvolti5.
3. Gli atti di concorrenza sleale. Le fattispecie tipiche
I comportamenti che costituiscono atti di concorrenza sleale sono definiti dall’art.
2598 c.c.. La norma individua innanzitutto due ampie fattispecie tipiche: a) gli atti di
confusione (n. 1); b) gli atti di denigrazione e l’appropriazione di pregi altrui (n. 2).
Enuncia poi una regola generale di chiusura, disponendo che costituisce atto di
concorrenza sleale “ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza
professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda” (n. 3).
3.1. Gli atti di confusione
L’art. 2598, n. 1, c.c. prevede come prima ipotesi di concorrenza sleale i c.d. atti di
confusione. La norma dispone, infatti, che: “Ferme le disposizioni che concernono la
tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale
chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i
segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un
concorrente, o compie con qualsiasi mezzo atti idonei a creare confusione con i
prodotti e con l’attività di un concorrente…”.
L’elemento caratterizzante le fattispecie dell’art. 2598, n. 1, risiede nell’idoneità a
creare confusione con i prodotti o l’attività dei concorrenti in merito all’origine
imprenditoriale dei prodotti o servizi offerti; non rileva, pertanto, la confusione che
potrebbe sorgere relativamente ad altre caratteristiche del prodotto6. La possibilità di
confusione, pertanto, può sorgere in seguito all’imitazione da parte di un imprenditore
di qualsiasi elemento del prodotto che sia atto ad individuare l’attività di un
concorrente. Deve essere quindi assicurato che i consumatori riconducano il prodotto
offerto sul mercato all’imprenditore da cui esso proviene, con la conseguenza che sono
considerati scorretti tutti i comportamenti attraverso cui un imprenditore si pone sul
mercato imitando elementi del prodotto di un concorrente in modo che i consumatori
siano ingannati sulla provenienza del bene o servizio7. Sempre sotto tale profilo, è
configurabile un atto di concorrenza sleale nel caso di fabbricazione di prodotti identici
4
Auletta, Mangini, “Della disciplina della concorrenza”, in Commentario del codice civile, (a cura di)
Scialoja – Branca, Zanichelli, 1987, p. 217.
5
G.Ghidini, “Della concorrenza sleale (artt. 2598 – 2601)”, in Il codice civile, Commentario, (a cura di)
Schlensinger, Giuffrè, 1991, p. 53 ss.
6
“La concorrenza sleale con fusoria non è limitata alla confondibilità di prodotti, ma si estende alla
confusione sulla fonte di provenienza del prodotto” ( Trib. Firenze, 7 -5- 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind.,
1998, p. 3809).
7
L’art. 2598, n. 1, c.c., non vieta indistintamente l’imitazione di tutti gli elementi formali degli altrui
prodotti, ma solo quelli individualizzanti, cioè idonei ad individuare la provenienza di un prodotto da una
determinata impresa; il divieto cessa di operare in rapporto alle c.d. forme funzionali che coincidono con
le caratteristiche di struttura e funzionalità e delle quali è inevitabile l’esatta riproduzione ove non si
voglia pregiudicare l’utilità che esse presentano. (Corte di Appello di Milano, 28-10-2003, in Riv. Dir.
Ind. 2004, II, p. 14.)
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nella forma a quelli realizzati da impresa concorrente, che non fruisca più della scaduta
tutela brevettale, a condizione che la ripetizione dei connotati formali non si limiti a
quei profili resi necessari dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto, ma investa
anche caratteristiche completamente inessenziali alla relativa funzione. La
giurisprudenza, come già si è rilevato, ha, però, stabilito che non può configurarsi la
fattispecie della concorrenza sleale per imitazione servile, qualora la forma dei prodotti
imitati non abbia valore individualizzante o risponda a ragioni di utilità estetica e se, per
la presenza di segni distintivi o di varianti, i prodotti di imitazione rivelino la loro
diversa provenienza8.
Nell’intento di accertare la sussistenza della confondibilità tra prodotti per imitazione
servile, è necessario che la comparazione tra i medesimi avvenga tenendo conto
dell’impressione che, presumibilmente, la somiglianza dei segni o dell’aspetto esteriore
dei prodotti può suscitare nel consumatore medio dotato di ordinaria diligenza ed
attenzione, sulla base di un esame rapido e sintetico, ricordandosi che il consumatore
8
A tal proposito da segnalare è la sentenza del Tribunale di Bari, 27 novembre 2001, in Giur. Ann. Dir.
Ind., 2001, p. 4315: La Profilati s.p.a. a seguito di domanda dell’8 marzo 1991, ha conseguito brevetto per
invenzione industriale, avente ad oggetto serramenti realizzati con serie di profilati variamente
assemblati. Le ricorrenti hanno tuttavia dedotto che tecnicamente l’invenzione industriale brevettata è
costituita dai profilati descritti dalle figure 3, 4, 5 e 6 della domanda relative alla c.d. anima centrale
scatolare, mentre i profilati del catalogo di produzione “PE40”, caratterizzati dall’agevole assemblaggio
fra loro e con l’anima centrale, avrebbero potuto essere fatti oggetto di separata domanda di brevetto per
modello di utilità. Le istanti hanno quindi dedotto la nullità parziale del brevetto e hanno assunto di aver
diritto alla conversione dello stesso brevetto per modello di utilità, in relazione ai profilati descritti nella
domanda di brevetto dell’8 marzo 1991 non costituenti invenzione. Le ricorrenti, dunque, lamentando da
parte della società TG Alluminio atti lesivi del brevetto per modello di utilità, frutto di conversione,
hanno invocato in via principale l’adozione ante causam dei provvedimenti cautelari di descrizione,
sequestro ed inibitoria. Detta istanza è stata ritenuta infondata: infatti il materiale del quale le riccorrenti
lamentano la contraffazione, rinvenuto il 15 maggio 2001 su un camion fermato nell’area portuale di Bari,
è descritto nel verbale di sequestro redatto il 21 giugno 2001 e corrisponde all’elenco redatto dal Sig.
Buscaroli Gianluca. La vicinanza del sito di produzione, circa 40 km, e la modestia del carico, nonché
l’assenza di contrari elementi probatori, inducono a ritenere verosimile la realizzazione della merce in
data successiva all’8 marzo 2001, ovvero in epoca in cui il brevetto per invenzione era già scaduto ed
avrebbe avuto scadenza il brevetto per modello di utilità. Tali considerazioni giustificano di per sé il
diniego delle misure cautelari invocate. Le ricorrenti hanno anche denunciato il comportamento della TG
Alluminio sotto il profilo della concorrenza sleale per imitazione servile e per contrarietà ai principi di
correttezza professionale, in violazione dell’art. 2598, n. 1 e 3, c.c.. Costituisce concorrenza sleale per
contrarietà ai principi della correttezza professionale, la fabbricazione di prodotti assolutamente identici
ed intercambiabili rispetto a quelli del concorrente che per primo li ha introdotti sul mercato. Quanto alla
concorrenza sleale per imitazione servile la giurisprudenza ravvisa tale condotta nella realizzazione di
prodotti che, per elementi distintivi originali e caratterizzanti, siano identificabili dalla clientela come
provenienti da determinata ditta produttrice, e non anche quando la forma precedentemente adottata dal
concorrente sia già stata utilizzata da una pluralità di imprese operanti nel settore. La tutela contro gli atti
di concorrenza sleale per imitazione servile, concerne tuttavia le sole forme esteriori, arbitrarie e
distintive dei prodotti, e non anche quelle aventi carattere funzionale rispetto a finalità tecnico economico
funzionali, ove non suscettibili di tutela brevettale perché non richiesta o cessata. Nel caso di specie, deve
ritenersi che i prodotti, per i quali le ricorrenti hanno invocato la tutela cautelare, non erano del tutto
innovativi, perché realizzati secondo forme già utilizzate da altre aziende. Il trovato innovativo del
prodotto, infatti, per alcuni profili, ha trovato smentita nella documentazione prodotta, mentre per altri è
rimasto privo di riscontri. Va del resto osservato che la forma funzionale, ravvisabile nella specie, è
suscettibile di libera imitazione, salvo il limite della tutela brevettale non operante nel caso in esame.
Poiché dunque dall’istruttoria non è emersa la produzione e la commercializzazione da parte della TG
Alluminio di merci che, per elementi distintivi originali e caratterizzanti, siano identificabili dalla
clientela come prodotti delle società Profilati s.p.a. o delle Trafilerie Emiliane, va disattesa anche la
domanda avanzata dalle ricorrente ai sensi dell’art. 700 c.p.c..
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opera le proprie scelte non in virtù di una comparazione diretta tra segni o prodotti,
bensì confrontando una realtà con il vago e impreciso ricordo, frutto dei precedenti
esperienze9.
L’art. 2598, disponendo che “restano ferme le disposizioni in materia di segni
distintivi e brevetto”, indica la prevalenza delle norme speciali in tema di segni
distintivi e brevetti su quelle generali in tema di concorrenza sleale. L’enunciazione di
tale principio non è sufficiente, tuttavia, a superare i problemi di coordinamento tra le
diverse discipline che, con obiettivi e presupposti differenti, tutelano la forma esterna di
un prodotto.
Le maggiori difficoltà sorgono nel determinare i rapporti con la disciplina che
attribuisce a taluni prodotti la tutela brevettale, dal momento che la protezione accordata
dal brevetto presenta ratio, presupposti di applicazione ed ampiezza della tutela del tutto
differenti rispetto all’art. 2598. La situazione è molto diversa, invece, con riferimento ai
segni distintivi e, in particolare, al marchio d’impresa. Il coordinamento tra la normativa
a tutela dei marchi e degli altri segni distintivi e quella contro la concorrenza sleale,
risulta innanzitutto semplificato dal fatto che non esiste un conflitto, bensì omogeneità,
negli obiettivi delle due normative. Sia i segni distintivi che il divieto di atti confusori
hanno, infatti, lo scopo di garantire che i prodotti o le attività presenti sul mercato siano
ricondotte al soggetto da cui realmente provengono. Di conseguenza, vi è omogeneità
per quanto concerne sia i presupposti per l’applicazione delle norme, sia la durata della
tutela, che è per entrambe le discipline illimitata nel tempo.
La vicinanza negli obiettivi della tutela e nei requisiti richiesti ai segni distintivi fa sì
che l’azione di contraffazione di un marchio non escluda l’applicazione anche della
disciplina della concorrenza sleale, qualora ne ricorrano i presupposti10.
3.2. L’imitazione servile
L’art. 2598, n. 1, dispone che (oltre all’imitazione degli altrui segni distintivi)
costituisce un atto di concorrenza sleale, l’imitazione servile del prodotto da parte di un
concorrente. Il riferimento a “qualsiasi altro mezzo” porta a concludere che anche il
divieto di imitazione servile è posto a tutela dello specifico interesse consistente nella
necessità di non creare confusione sul mercato relativamente all’origine dei prodotti.
Divieto di imitazione servile significa, in altri termini, divieto per l’imprenditore A di
imitare il prodotto del suo concorrente B creando i presupposti affinché i destinatari del
prodotto acquistino il prodotto di A credendo che sia il prodotto di B 11.
L’imitazione del prodotto di un concorrente sarà pertanto lecita se sono state prese le
misure adeguate ad eliminare il rischio di confusione. E’ opportuno sottolineare che la
libera appropriabilità del prodotto altrui (salvo nei casi in cui vi sia rischio di confusione
9
Marchetti – Ubertazzi, “Commentario breve al diritto della concorrenza”, 1997, Cedam, p. 517 e ss.
Così, ad esempio, con riferimento al commercio di calzature con marchio Timberland contraffatto, si è
ritenuto che: “…la società convenuta ha violato l’art. 2598 c.c. sotto il profilo dell’uso di segno distintivo
legittimamente usato da altri, in quanto ha messo in commercio prodotti con marchio contraffatto…A
questo proposito va notato che l’azione di concorrenza sleale è proponibile anche in caso di
contraffazione di marchio, dal momento che la possibilità di proporre l’azione di violazione del marchio
non esclude la possibilità di intentare, cumulativamente o da sola, l’azione di concorrenza sleale”. (Trib.
Torino, 31 – 3- 1992, in G.A.D.I., 1992, p. 2815).
11
L’imitazione servile è un’ipotesi di concorrenza sleale per confusione e la possibilità di confusione
deve riguardare la provenienza dei prodotti. Perciò la tutela può essere accordata solo se risulti in
concreto l’indistinguibilità agli occhi dei consumatori delle rispettive provenienze dei prodotti simili”
(App. Milano, 26 – 10 – 1999, in G.A.D. I., 1999, p. 4029).
10
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con l’attività dei concorrenti o in cui esistano diritti di proprietà intellettuale) trova,
nell’ambito della disciplina della concorrenza sleale, l’importante eccezione
rappresentata dalla concorrenza parassitaria, fattispecie che consiste nell’agganciamento
della propria attività a quella di un concorrente attraverso una sistematica imitazione dei
suoi prodotti e/o delle sue iniziative imprenditoriali.
Ipotizzando di dover concretamente verificare se un prodotto sia stato imitato con
conseguente rischio di confusione si deve meglio precisare cosa s’intende per
imitazione “servile”, cosa s’intende per “prodotto”, come si determini se vi sia un
rischio di confusione e, infine, quale categoria di soggetti debba essere presa a
riferimento per compiere tale giudizio. Per quanto concerne la specificazione
dell’aggettivo “servile”, non pare che l’attributo rivesta un significato particolare,
venendo soltanto a rafforzare il concetto di riproduzione del prodotto di un concorrente.
Ben più rilevante appare, invece, l’individuazione dell’oggetto dell’imitazione, in altri
termini, di ciò che viene imitato. Poiché l’obiettivo della norma è impedire l’imitazione
di prodotti di concorrenti qualora questa abbia come effetto la confusione anche
potenziale, oggetto dell’imitazione sarà tutto ciò che, se imitato, può determinare
confusione e quindi, in definitiva, soltanto la forma esterna oppure del suo packaging. Il
rischio di confusione che si mira ad evitare può essere provocato solo dalla riproduzione
della forma esteriore del prodotto, non delle caratteristiche che non vengono
immediatamente percepite da chi si disponga all’acquisto ( quindi della struttura interna
del prodotto, piuttosto che della composizione dello stesso). Se, quindi, pur avendo una
struttura interna diversa, il prodotto ha la medesima forma esteriore di un altro prodotto
già in commercio, potrà ben sussistere un’ipotesi di concorrenza sleale per imitazione
servile. Non si potrà avere imitazione servile qualora sia stata imitata la struttura o la
composizione di un prodotto, ma la presentazione esterna sia tale da far sì che sia
impossibile che sorga confusione agli occhi dei consumatori12. Deve essere precisato
che, dato l’obiettivo della norma, dovrà essere evitato anche il rischio che a creare
confusione sia la confezione (il packaging) del prodotto: si pensi all’ipotesi di detersivi
provenienti da produttori differenti, ma presentati in confezioni tanto simili tra loro da
rendere necessaria una particolare attenzione per individuare la diversa fonte di
provenienza13. Il fatto che l’imitazione deve riguardare la forma esteriore del prodotto
non esaurisce i problemi sull’oggetto dell’imitazione. Non qualsiasi forma, infatti, se
imitata, genera un effetto confusorio, ma solo quelle che siano tali da identificare
l’impresa da cui provengono. Dal momento che l’imitazione di una forma ampiamente
utilizzata nel settore merceologico di riferimento non può generare alcuna attesa in
merito alla provenienza del prodotto da un’impresa piuttosto che da un’altra, si deve
trattare di una forma non “banale” né “standardizzata”, bensì individualizzante. In altri
termini, è necessario che il prodotto abbia capacità distintiva, sia idoneo, quindi, a
12
L’originalità di un prodotto e la sua imitazione da parte di un terzo, non è sufficiente ad integrare
l’ipotesi dell’imitazione servile con fusoria di cui all’art. 2598, n. 1, c.c., dovendosi, invece, fornire la
prova che tale imitazione è idonea ad ingenerare il pericolo di confusione in quanto investe degli elementi
formali, individualizzanti e distintivi che servono a distinguere il suo prodotto sul mercato, così risultando
atta ad ingenerare confusione tra gli stessi ( Tribunale di Bari, 19-04-2004, Giurisprudenza locale, Bari,
2004).
13
Costituisce concorrenza sleale per imitazione servile, la realizzazione di un prodotto che imita
pedissequamente la confezione di un prodotto del concorrente, pur se l’imitatore abbia apposto un
marchio proprio, anche se questo abbia una posizione marginale, e comunque anche se i consumatori
siano attratti dal prodotto dell’imitatore in virtù della sua somiglianza con l’originale ( Tribunale di
Napoli, 17-07-2003, in Giur. Napoletana 2003, p. 353).
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ricondurre, il prodotto ad una specifica impresa14.
Affinché si crei il rischio di confusione è necessario, infine, che il prodotto, oltre ad
essere nuovo ed originale, sia in qualche misura conosciuto dal pubblico, poiché in
questo modo: “La presenza prioritaria di quell’articolo sul mercato con il tempo
consolidatosi nel gusto del pubblico per la notorietà ed originalità che lo distingue dalla
anonimità di linee, forme e colori adottati nei prodotti similari dei concorrenti,
conferisce alla forma ornamentale del prodotto anche una funzione distintiva facendo
comprendere al consumatore quale ne è l’origine e cioè l’impresa della quale viene
riconosciuto lo stile o design”15.
Nella valutazione della sussistenza di un concreto atto confusorio, i giudici sono
chiamati a determinare se, dato un prodotto che ricalchi, in misura totale o meno, la
forma esteriore di un altro prodotto presente sul mercato, la somiglianza tra i due sia tale
da poter ingannare i consumatori riguardo all’impresa da cui i prodotti stessi
provengono. Tale giudizio verte sulla confondibilità, sull’idoneità dell’imitazione del
prodotto di un concorrente a determinare confusione, non sulla confusione in sé. Questo
significa che la circostanza che si siano concretamente verificati episodi di “inganno”
dei destinatari del prodotto non varrà, di per sé, a dimostrare necessariamente che esiste
idoneità confusoria, ma costituirà soltanto un indice in tal senso. Parallelamente, la
mancanza di concreti episodi di confusione al momento della valutazione da parte del
giudice non sarà sufficiente ad escludere la potenzialità dannosa.
L’art. 2598 n. 1, disponendo che compie atti di concorrenza sleale anche chi “compie
con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di
un concorrente”, introduce una previsione generale in base alla quale sono considerati
scorretti tutti gli atti, oltre all’imitazione dei segni distintivi e all’imitazione servile, che
abbiano un effetto (anche solo potenzialmente) confusorio.
Diverse pronunce hanno ritenuto che costituisce un atto di confusione l’imitazione
del materiale pubblicitario di un concorrente. In proposito, si può citare una recente
sentenza, relativa all’imitazione di una brochure di un’impresa concorrente16 L’atto è
stato considerato sleale, trattandosi di una pedissequa riproduzione dell’impostazione
esteriore della pagina centrale della brochure senza tentare neppure una qualche forma
di apprezzabile variazione. Infatti gli elementi formali di una brochure, anche se di per
sé non originali, rappresentano tuttavia una combinazione idonea a distinguere e
caratterizzare la presentazione pubblicitaria del prodotto. Nel caso di specie le due
brochure appaiono indistinguibili ad una visione di insieme, anche perché, l’acquirente
non ha a disposizione contemporaneamente le due brochure, sicché la valutazione della
confondibilità non può che effettuarsi considerando il raffronto tra l’una brochure ed il
ricordo che della brochure della concorrente il potenziale cliente può avere17.
14
Ad esempio, con riferimento all’imitazione degli altrui disegni di tessuti per arredamento, si è
affermato: “la capacità individualizzante di un prodotto è ben più che la sua mera novità estrinseca: è la
sua acquisita capacità d’individuare l’azienda da cui proviene, se non addirittura la sua funzione di
“marchio di fatto”. Questa caratteristica del prodotto, in altri termini, concerne il suo rapporto con
l’impresa di provenienza: agli occhi del consumatore il prodotto“individualizzante” mostra evidente, non
solo l’originalità, ma anche per la notorietà acquisita o per la pubblicità ricevuta, la sua provenienza da un
determinato imprenditore. I disegni dei tessuti delle Errevitex, non essendo stati brevettati, meriterebbero
dunque tutela solo se “caratteristici” e come tali percepiti dai consumatori, altrimenti deve valere la regola
generale della libertà di concorrenza, che consente all’imprenditore avversario di utilizzare non
pedissequamente i risultati dell’altrui iniziativa” (App. Milano, 26-10-1999, in G.A.D.I., 1999, p. 4029).
15
App. Milano, 10-06-1997, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1997, p. 3760.
16
Trib. Verona, 23-07-1999, in G.A.D.I., 1999, p. 4023.
17
Altro esempio di atto di confusione è l’imitazione delle testate di quotidiani o periodici. Il giudizio di
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3.3. Il diritto ad una leale comunicazione aziendale
La seconda vasta categoria di atti di concorrenza sleale tipitizzati dal legislatore del
’42 nell’art. 2598, n. 2, ricomprende: a) gli atti di denigrazione, che consistono nel
diffondere “notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei
a determinarne il discredito”; b) l’appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di
un concorrente. Il legislatore, però, a differenza di ciò che ha fatto disciplinando nel n. 1
dello stesso articolo il diritto ad una leale differenziazione sul mercato, non ha inserito
nella disposizione una apposita clausola generale: la conseguenza di ciò è che mentre la
concorrenza sleale per confondibilità è disciplinata in modo completamente
autosufficiente, la concorrenza sleale che viene compiuta mediante la comunicazione
aziendale, è disciplinata dalla interazione fra le fattispecie tipiche della denigrazione
commerciale e dell’appropriazione di pregi poste nel n. 2 dell’art. 2598 e la clausola
generale della non conformità ai principi della correttezza professionale posta nel n. 3
dello stesso articolo.
Comune ad entrambe le fattispecie è la finalità di falsare gli elementi di valutazione
comparativa del pubblico (consumatori e altri imprenditori), attraverso comunicazioni
indirizzate a terzi e in primo luogo avvalendosi dell’arma della pubblicità. Con la
denigrazione si tende a mettere in cattiva luce i concorrenti danneggiando la loro
reputazione commerciale. Con la vanteria si tende invece ad incrementare
artificiosamente il proprio prestigio attribuendo ai propri prodotti o alla propria attività
pregi e qualità che in realtà appartengono a uno o più concorrenti.
La prima parte dell’art. 2598, n. 2, vieta la diffusione di notizie ed apprezzamenti sui
prodotti e sull’attività di un concorrente idonei a determinarne il discredito. L’art. 2598
vieta qualsiasi affermazione denigratoria, sia essa tale perché falsa o perché sì veritiera,
ma divulgata in modo da screditare i concorrenti. In altri termini il divieto assoluto di
“parlar male” dei prodotti e dell’attività del concorrente, impone ai produttori di
limitare la propria comunicazione aziendale alla illustrazione dei propri prodotti e dei
propri servizi ed al contempo impone loro di astenersi dal riferirsi direttamente ai
prodotti e ai servizi concorrenti18. In questo senso erano prevalentemente orientate, fino
confondibilità viene compiuto secondo i consueti criteri dell’impressione complessiva, che tiene conto sia
del significato concettuale delle espressioni utilizzate, sia della veste grafica adottata, sia dell’aspetto
fonetico. Non è ritenuto, ad esempio, che fossero confondibili le testate “Cavalli & Cavalieri” (con la
scritta “Cavalli” in grande e la dicitura sottostante “& Cavalieri” in caratteri ridottissimi) e “Cavallo
Magazine” (con la scritta “Cavallo” in grande e la scritta “Magazine” in caratteri minuscoli. Tra le due
testate non vi è interferenza concettuale, né grafica, né fonetica: la parola Cavallo presente in entrambe le
espressioni, si specifica in modo completamente diverso in relazione ai diversi termini cui si accompagna,
alludendo il termine inglese “magazine” a riviste e quello “cavalieri”, a coloro che montano il cavallo”.
Si è ritenuto, invece, che costituisse un atto di confusione la commercializzazione di una cartella
contenente poster, dal titolo “il mio cavallino”, offerta in vendita quale supplemento della rivista “Cavallo
Magazine” ma venduta anche separatamente dal periodico, a danno della preesistente testata “Il mio
Cavallo”, dal momento che così come presentata la cartella dei posters, con la netta enfatizzazione del
titolo “il mio Cavallo”, pur in presenza del richiamo a “Cavallo Magazine”, essendo l’acquirente del tutto
distratto dallo stesso, il prodotto offerto appare piuttosto riconducibile alla rivista “il mio Cavallo”. (Trib.
Milano, 25-03- 1996, in G.A.D.I., 1996, p. 3589).
18
Integrano la fattispecie della concorrenza sleale per denigrazione, le dichiarazioni contenute nella
attestazione dell’equivalenza del proprio prodotto al prodotto del concorrente, coperto da brevetto ed
individuato nel bando di gara, che non limitandosi ad enunciare argomentazioni tecniche di equivalenza,
vi inseriscono valutazioni denigratorie ed apodittiche volte a screditare la concorrente ed evidenziare
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a qualche tempo fa, dottrina e giurisprudenza19.
Va tuttavia acquistando sempre maggior seguito la tesi secondo cui la critica e la
comparazione costituiscono illecito concorrenziale solo quando i fatti affermati siano
falsi. Lecita sarebbe invece la pubblicità comparativa veritiera purché essa sia fondata
su dati rigorosamente veri ed oggettivamente verificabili.
Diverse sono le pratiche riconducibili nello schema della concorrenza sleale per
denigrazione. Innanzitutto le diffide e le divulgazioni di notizie che possono screditare
la reputazione commerciale di un concorrente (difficoltà finanziarie, scarsa esperienza,
scarsa puntualità…) o apprezzamenti direttamente attinenti a vicende giudiziali ed in
particolare a provvedimenti sia provvisori (misure cautelari) sia definitivi (sentenze).
Con la diffida il titolare di un diritto (come ad esempio un diritto esclusivo di
marchio oppure di brevetto), chiede pubblicamente ai consumatori o agli intermediari di
astenersi dall’acquistare o dal commercializzare determinati prodotti che vengono
indicati come costituenti contraffazione del diritto esclusivo per la cui tutela la diffida
viene resa pubblica. Con il comunicato, anch’esso usualmente diffuso a mezzo stampa,
il titolare del diritto rende noto che è intervenuto un provvedimento del giudice il quale
ha realizzato, in via provvisoria oppure definitiva, la tutela del diritto stesso nei
confronti di coloro che lo abbiano violato.
La giurisprudenza, fin dalle prime applicazioni dell’art. 2598, n. 2, ha riconosciuto la
liceità del comportamento subordinatamente alla veridicità della notizia resa pubblica ed
alla fondatezza dell’apprezzamento implicitamente oppure esplicitamente riferito al
contenuto giudiziario della notizia stessa. Tra le pratiche riconducibili nello schema
della concorrenza sleale per denigrazione vi rientra anche la pubblicità comparativa.
Essa consiste nel confronto fra i propri prodotti e quelli di uno o più concorrenti, fatto in
modo da gettare discredito sugli altrui prodotti o sull’altrui attività. E ciò sia nell’ipotesi
in cui si esprime un proprio giudizio negativo sui concorrenti, sia nell’ipotesi in sui si
utilizzano indagini di terzi contenenti giudizi a sé favorevoli o sfavorevoli ai
concorrenti.
Vi è poi la pubblicità iperbolica ( o superlativa): con tale forma di
pubblicità si tende ad accreditare l’idea che il proprio prodotto sia il solo a possedere
specifiche qualità o determinati pregi, che invece vengono implicitamente negati ai
prodotti dei concorrenti20. Lecito è invece il cosiddetto puffing, consistente nella
generica ed innocua affermazione di superiorità dei propri prodotti21.
L’art. 2598, n. 2, c.c. nella seconda parte vieta l’appropriazione di pregi dei prodotti
o dell’impresa di un concorrente. Con questa formulazione la norma tipizza fatti lesivi
del diritto ad una leale comunicazione aziendale consistenti nell’attribuzione alla
propria impresa di pregi costituiti essenzialmente da premi e riconoscimenti assegnati
invece all’impresa del concorrente. Agli effetti della norma infatti sono considerati pregi
suscettibili di indebita appropriazione “tutti i fatti riguardanti i caratteri dell’impresa, i
risultati da essa conseguiti o le qualità dei prodotti o dei servizi che per il pubblico
rappresentino o possano rappresentare motivi di apprezzamento positivo e quindi di
elementi negativi del suo prodotto, posti in comparazione con gli aspetti positivi del proprio. Tribunale di
Verona, 11 luglio 2003, in Giur. It. 2004, p.1020.
19
Ascarelli T., “Teoria della concorrenza e dei beni immateriali”, Giuffrè, Milano, 1960, p. 239.
Minervini G., “Concorrenza e consorzi”, in Trattato d. civ. , diretto da Grosso, Santoro, Passatelli,
Vallardi, Milano, 1965, p. 32. Guglielmetti G., “La concorrenza e i consorzi”, in Trattato di d. civ., diretto
da F. Vassalli, Utet, Torino, 1970, p .133 e ss. In giurisprudenza, Cass., 10-08-1966, n. 2172, in Giur. It.,
1967, I, 1, p. 173; Cass., 02-04-1982, n. 2020; App. Perugia, 24-01-1994, in Rass. Giur. Umbra, 1994, p.
573.
20
Ad esempio, il caffè decaffeinato X è il solo che non fa male al cuore.
21
Ad esempio, il panettone M non è un panettone ma il panettone.
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preferenza dell’impresa e delle sue prestazioni rispetto alle altre imprese22”. Ciò che
conta ai fini dell’applicazione della norma è che i pregi oggetto della illecita
appropriazione, oltre a non essere posseduti da chi se ne appropria, siano patrimonio
positivo di uno o più concorrenti, al quale, oppure ai quali, spetta la legittimazione ad
agire. L’appropriazione dei pregi dunque, si verifica quando alla falsa attribuzione viene
associata la sottrazione ad un soggetto determinato o determinabile che subisce
conseguentemente in modo diretto il pregiudizio derivante dal fatto di dovere
condividere l’apprezzamento positivo che il pubblico dei consumatori riserva al
detentore del pregio con altri soggetti che non meritano uguale apprezzamento positivo.
Costituisce una variante meno evidente quella dell’appropriazione dello specifico pregio
costituito dalla altrui maggiore notorietà e si risolve in un travaso di notorietà dal più
noto al meno noto. Costituiscono inoltre forme tipiche di modalità, tecniche di
appropriazione di pregi altrui la pubblicità parassitaria e la pubblicità per riferimento.
La prima consiste nella mendace attribuzione a se stessi di qualità, pregi,
riconoscimenti, premi e comunque caratteristiche positive che in realtà appartengono ad
altri imprenditori del settore. La seconda tende a far credere che i propri prodotti siano
simili a quelli di un concorrente, attraverso l’utilizzazione di espressioni come tipo,
modello, sistema (ad esempio, pezzo di ricambio tipo Fiat); e ciò per avvantaggiarsi
indebitamente dell’altrui rinomanza commerciale23.
Nell’ambito dei fatti lesivi del diritto ad una leale comunicazione aziendale
riconducibili nella categoria della appropriazione di pregio altrui, infine, si colloca
anche l’ipotesi della falsa indicazione di provenienza. Quando infatti la provenienza
attraverso l’uso di un toponimo da una determinata località viene considerata dal
pubblico dei consumatori garanzia di eccellenza qualitativa del prodotto a causa della
relazione fra questo prodotto e determinate condizioni naturali (come per taluni prodotti
agricoli, come per le acque minerali o per i vini) oppure ambientali di tipo professionale
e culturale (come per alcuni prodotti manifatturieri in relazione a località nelle quali si
sia sviluppata una tradizione professionale ed organizzativa di particolare efficacia),
dichiarare falsamente la provenienza del proprio prodotto dalla località in questione
significa appropriarsi dei pregi che invece sono propri soltanto dei prodotti che vengono
effettivamente realizzati in quella località dalle imprese che ivi operano. Mentre fino a
ieri la qualificazione della illiceità di siffatti comportamenti come lesivi del diritto
soggettivo ad una leale comunicazione aziendale era ricondotta al generale disposto
dell’art. 2598, n. 2, c.c., oggi, dopo l’attuazione dell’accordo TRIPs mediante il d.l. 19
marzo 1996, n. 198, l’ipotesi è stata tipitizzata più specificatamente24. Anche se
22
Auteri P., “La concorrenza sleale”, in Trattato d. priv., diretto da Rescigno, vol. XVIII, Utet, Torino,
1983.
23
Ammendola, “L’appropriazione di pregi”, Giuffrè, Milano, 1991.
24
Dispone infatti l’art. 31 di tale decreto legislativo che “1. Per l’indicazione geografica s’intende quella
che identifica un paese, una regione o una località, quando sia adottata per designare un prodotto che ne è
originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente
all’ambiente geografico d’origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione. 2. Fermo il
disposto dell’art. 2598, n.2, del c.c. e le disposizioni speciali in materia, e salvi i diritti di marchio
anteriormente acquisiti in buona fede, costituisce atto di concorrenza sleale, quando sia idoneo ad
ingannare il pubblico, l’uso d’indicazioni geografiche nonché l’uso di qualsiasi mezzo nella designazione
o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una
località diversa dal vero luogo d’origine, oppure che il prodotto presenta le qualità che sono proprie dei
prodotti che provengono da una località designata da un’indicazione geografica. 3. La tutela di cui al
comma 2 non permette di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica del proprio nome, o del nome del
proprio dante causa nell’attività medesima, salvo che tale nome sia usato in modo da
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tipizzata più specificamente, l’ipotesi della falsa indicazione di provenienza resta pur
sempre di carattere generale ed essa quindi concorre con discipline ancor più specifiche
che possono essere di carattere pubblicistico oppure di carattere privatistico: del primo
tipo tutte le volte che la indicazione geografica assurge a marchio di qualità oggetto di
un diritto esclusivo facente capo ad un apposito ente gestore che lo attribuisce in licenza
agli operatori aventi diritto (ad es. il Consorzio del prosciutto di Parma, il Consorzio del
prosciutto di S. Daniele, il Consorzio del vino Chianti, e così via); del secondo tipo tutte
le volte che, al di fuori di una apposita legge istitutiva, un ente oppure un’associazione
di produttori registra un marchio collettivo geografico ai sensi dell’art. 2 l.m. e ne
disciplina efficacemente la utilizzazione consentendola soltanto a produttori che
osservino determinati standard qualitativi fissati nell’apposito regolamento.
4. Gli altri atti di concorrenza sleale
L’art. 2598 chiude l’elencazione degli atti di concorrenza sleale affermando che è
tale “ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo
a danneggiare l’altrui azienda”. E’ questo un criterio elastico che affida al giudice il
compito di stabilire se un comportamento concorrenziale, diverso da quelli
legislativamente tipitizzati, sia o meno in armonia con i canoni di etica professionale
generalmente accettati e seguiti dal mondo degli affari e risponda alle esigenze di un
ordinato e corretto svolgimento del gioco della concorrenza25.
Tra le forme di concorrenza sleale ricondotte dalla giurisprudenza nella categoria
residuale del n. 3 dell’art. 2598, vanno ricordate: a) La concorrenza parassitaria. Essa
consiste nella sistematica imitazione delle altrui iniziative imprenditoriali; imitazione
attuata, per un verso, con accorgimenti tali da evitare la piena confondibilità delle
attività (e quindi non reprimibile in base alla fattispecie tipica degli atti di confusione),
e, per altro verso, con un disegno complessivo che denota il pedissequo sfruttamento
dell’altrui creatività. b) Il boicottaggio economico. Si verifica quando un’impresa in
posizione dominante sul mercato (boicottaggio individuale) o di un gruppo di imprese
associate (boicottaggio collettivo), rifiutano in maniera ingiustificata e arbitraria,
spontaneamente o sulla base di accordi, di intrattenere rapporti con un concorrente o
comunque con un soggetto la cui attività economica dipenda direttamente o
indirettamente da quella dei soggetti che attuano il boicottaggio al fine di ostacolarne o
addirittura bloccarne le relazioni economico sociali26.c) La sistematica vendita sotto
costo dei propri prodotti (dumping). Costituisce fatto lesivo del diritto alla lealtà della
concorrenza una manovra diretta a determinare il prezzo dei prodotti e dei servizi, in
misura tale da essere inferiore al costo di produzione del bene o di prestazione del
servizio, quando questa manovra sia diretta ad espellere i concorrenti dal mercato per
acquisire in questo modo una posizione monopolistica e poter successivamente abusare
ingannare il pubblico”.
25
Auteri P., “La concorrenza sleale”, in Trattato d. priv., diretto da Rescigno, vol. XVIII, Utet, Torino,
1983, p. 360.
26
Il boicottaggio secondario individuale costituisce condotta di concorrenza sleale e consiste nelle
pressioni esercitate da un imprenditore su altri soggetti imprenditori perché si astengano da rapporti
commerciali di un certo tipo con il boicottato a sua volta imprenditore. A tal fine occorre che il soggetto,
pur non trovandosi in una situazione di monopolio in quel settore commerciale, o comunque rapportabile
ad una posizione dominante, disponga una posizione di forza contrattuale tale da poter esercitare con
efficacia le sue pressioni (nella specie si deduce che un produttore di abbigliamento abbia minacciato i
commercianti che acquistavano da un concorrente di non vendere più loro i propri prodotti). Tribunale di
Napoli, 17 luglio 2003, in Giur, napoletana 2003, p. 360.
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di questa posizione praticando prezzi che, essendo appunto monopolistici,
consentirebbero non soltanto di recuperare le perdite derivanti dalla precedente vendita
sottocosto, ma di avere successivi guadagni. d)Lo Storno dei dipendenti. La risorsa
umana è uno dei fattori di avviamento aziendale di maggiore importanza, la libertà di
concorrenza deve perciò potersi esplicare non soltanto sul mercato dei beni e dei servizi
che formano oggetto dell’attività economica, ma anche sul mercato del lavoro e delle
collaborazioni, di modo che ciascuna impresa possa reperire su questo mercato le
risorse umane di cui ha bisogno e che possono anche attribuirle un vantaggio
competitivo difficilmente superabile da parte dei concorrenti. Lo stesso art. 35 della
Cost. tutelando il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, riconosce al lavoratore
autonomo o subordinato di avvantaggiarsi della dinamica concorrenziale nel mercato
del lavoro scegliendo il datore di lavoro in funzione della sua convenienza, non ultima
quella che attiene al livello della retribuzione. Queste libertà di assumere e di essere
assunti, sono incomprimibili ma non devono essere strumentalizzate per scopi che non
hanno nulla a che vedere con un corretto funzionamento dell’economia di mercato e con
l’obiettivo della migliore allocazione delle risorse umane, migliore per gli imprenditori
e per i prestatori d’opera. L’atto mediante il quale un imprenditore si assicura
prestazioni lavorative di un dipendente di un’impresa concorrente non costituisce, di per
sé, un atto di concorrenza sleale, in quanto espressione del principio della libera
circolazione del lavoro. Incompatibile con il corretto funzionamento dell’economia di
mercato è invece, l’ipotesi in cui l’imprenditore concorrente eserciti la sua libertà di
assunzione non per soddisfare un proprio bisogno organizzativo ma per disaggregare e
distruggere l’organizzazione dell’imprenditore concorrente sottraendogli risorse umane
indispensabili al suo funzionamento diffondendo notizie preoccupanti sulla tenuta
finanziaria della sua impresa oppure affidando l’opera disgregatrice dell’organizzazione
rivale ad un cospiratore posto all’interno con compiti di proselitismo. In questo caso,
infatti, non si avrebbe il risultato di una ottimale allocazione delle risorse umane in
quanto l’organizzazione colpita dallo storno verrebbe danneggiata, mentre
l’organizzazione dell’autore dello storno non si avvantaggerebbe della risorsa umana
stornata la quale verrebbe in un certo senso sprecata perché alla sua remunerazione non
corrisponderebbe un incremento di vantaggio organizzativo.
La giurisprudenza ha affermato che lo storno è lesivo del diritto alla lealtà di
concorrenza quando è riconducibile al cosiddetto animus nocendi, e cioè ad una
intenzione di nuocere il concorrente senza apportare un reale vantaggio a chi lo attua.
L’animus nocendi sussiste quando la finalità del danneggiamento dell’organizzazione
rivale è l’unica finalità che ha indotto il concorrente ad effettuare lo storno27. Si può
quindi affermare che il giudizio sulla scorrettezza professionale deve incentrarsi, da un
lato, sull’intento, sull’animus nocendi dell’autore della condotta concorrenziale
controversa; dall’altro il giudizio di scorrettezza deve essere ancorato a determinate
27
Perché lo storno di dipendenti possa essere qualificato come atto di concorrenza sleale da parte
dell’impresa concorrente, occorre che l’assunzione del personale altrui sia avvenuta con modalità tali da
non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore
l’intenzione di danneggiare l’impresa concorrente. A tal fine, la configurabilità dello storno non è
preclusa dal fatto che contatti per passare alle dipendenze dell’impresa concorrente o per iniziare con
questa un rapporto collaborativi siano avviati per iniziativa degli stessi dipendenti o agenti
successivamente “stornati”, sempre che su tale iniziativa venga poi ad inserirsi l’attività dell’impresa
concorrente sì da incidere casualmente (tramite, ad esempio, l’offerta di un migliore trattamento
economico o di altri vantaggi) sulla decisione dei primi di interrompere il rapporto di lavoro con
l’impresa in sui si trovano inseriti. (Cassazione civile, sez. I, 22 luglio 2004, n. 13658).
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circostanze oggettive28 che, anche in via alternativa, possono attestare, in via presuntiva,
la presenza dell’animus nocendi29. e) L’abusiva sottrazione ed utilizzazione dell’altrui
segreto aziendale. Per effetto dell’inserzione dell’art. 6 bis nella legge invenzioni con il
d. lgs. 198/1996, in attuazione dei cosiddetti TRIPs (accordo sugli aspetti della
proprietà intellettuale relativi al commercio, allegato al GATT), dispone espressamente
che: “Costituisce atti di concorrenza sleale la rivelazione a terzi oppure l’acquisizione o
utilizzazione da parte di terzi, in modo contrario alla correttezza professionale, di
informazioni aziendali ivi comprese informazioni commerciali soggette al legittimo
controllo di un concorrente. Costituisce quindi atto di concorrenza sleale la rivelazione a
terzi (ad esempio da parte di ex dipendenti) e l’acquisizione o l’utilizzazione da parte di
terzi, in modo contrario alla correttezza professionale, delle informazioni aziendali
segrete30. f) Illecita interferenza con gli altrui sistemi di distribuzione. Ciascun
imprenditore ha il diritto di organizzare la distribuzione dei suoi prodotti adottando
sistemi caratterizzati dall’utilizzazione delle clausole di esclusiva. L’esclusiva può
essere utilizzata per ripartire il territorio in altrettante zone quanti sono i distributori che
beneficiano nella zona loro assegnata dell’esclusiva di vendita alla quale normalmente
sono collegati gli investimenti promozionali ed organizzativi che l’esclusivista compie
per accreditare e diffondere il prodotto di marca. In secondo luogo, l’esclusiva può
essere utilizzata per organizzare una rete di distribuzione selettiva, caratterizzata dal
fatto che i prodotti sono venduti soltanto nei punti di vendita che fanno parte della rete
ed alla quale sono ammessi soltanto a seguito del fatto che soddisfano e si impegnano a
soddisfare determinate condizioni programmate di solito per garantire un livello
qualitativo del servizio e talvolta anche la prestazione di complessi servizi tecnologici
post-vendita.
Collegati oppure no alla strutturazione del sistema distributivo
sulla base di esclusive territoriali oppure di esclusive collegate alla presenza di
determinati requisiti dei punti di vendita, si verifica frequentemente che il produttore
organizzi la distribuzione dei suoi prodotti ponendo a carico dei distributori dei vincoli
di prezzo e perciò vietando contrattualmente l’adozione di prezzi di vendita inferiori ad
un minimo predeterminato. Vi è dunque un interesse dell’impresa produttrice di
mantenere il vantaggio competitivo derivante dal corretto funzionamento del proprio
sistema distributivo; interesse che confligge con il comportamento di distributori non
facenti parte del sistema organizzato dal produttore che interferiscono negativamente
con il corretto funzionamento di tale sistema ponendo in vendita i prodotti nella zona
dell’esclusiva oppure ponendo in vendita il prodotto ad un prezzo inferiore a quello
imposto dal produttore31.
28
Quali: 1) la quantità dei soggetti stornati; 2) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa
concorrente; 3) la posizione che i dipendenti stornati rivestivano nell’impresa concorrente; 4) la scarsa
fungibilità dei dipendenti; 5) la rapidità dello storno; 6) il parallelismo con l’iniziativa economica del
concorrente stornante; 7) i metodi adottati per convincerli a passare alle dipendenze dell’altra azienda; 8)
la trasgressione di doveri di fedeltà, spesso integrata dall’essere il dipendente complice del concorrente;
9) l’avvalersi, nell’opera di persuasione del personale, di dipendenti di colui che subisce lo storno.
29
G. Spiazzi, “Storno di dipendenti e perduranti ambiguità definitorie”, in Riv. Dir. Ind., 1998, II, p. 234
e ss.
30
Si pensi, ad esempio, alla condotta di chi si impossessa delle copie di modelli di macchinari prodotti dal
concorrente, procurando a quest’ultimo un danno. In tal caso , la sottrazione delle copie dei modelli
integra una violazione dell’art. 2598,n. 3. c.c., in quanto vi è stata la violazione di tutte le notizie e di tutti
i dati di qualche rilievo e riguardanti l’azienda, che per l’imprenditore assumono carattere riservato, di cui
l’ex dipendente si sia impossessato ed abbia utilizzato scorrettamente.
31
Auteri P. “Diritto Industriale – Proprietà intellettuale e concorrenza”, G. Giappichelli editore, Torino,
2001, p. 323 e ss.
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5. Le sanzioni
La repressione degli atti di concorrenza sleale si fonda su due distinte sanzioni: la
sanzione tipica dell’inibitoria (art. 2599) e quella comune all’illecito civile, del
risarcimento dei danni (art. 2600).
Interesse primario dell’imprenditore che subisce
un atto di concorrenza sleale è quello di ottenere la cessazione delle turbative alla
propria attività e di ottenerla ancor prima che l’atto gli abbia causato un danno
patrimoniale. A tale finalità risponde l’azione inibitoria32; essa è diretta ad ottenere una
sentenza che accerti l’illecito concorrenziale, ne inibisca la continuazione per il futuro e
disponga a carico della controparte i provvedimenti reintegrativi necessari per far
cessare gli effetti della concorrenza sleale. Ad esempio: rimozione o distruzione delle
cose che sono servite per attuare l’illecito concorrenziale; diffusione di annunci di
rettificazione…33.
L’azione inibitoria e le relative sanzioni prescindono dal dolo o dalla colpa del
soggetto attivo dell’atto di concorrenza sleale e dall’esistenza di un danno patrimoniale
attuale per la controparte. Comunque se ricorrono anche questi ultimi presupposti, il
concorrente leso potrà ottenere anche il risarcimento dei danni (art. 2600) e in deroga
alla disciplina generale dell’illecito civile, la colpa del danneggiante si presume una
volta accertato l’atto di concorrenza sleale (art. 2600, 3° comma). 34
Fra le misure risarcitorie il giudice può disporre anche la pubblicazione della
sentenza in uno o più giornali a spese del soccombente.
Anche il diritto alla lealtà della concorrenza beneficia di una tutela cautelare efficace
che, sempre di più, viene sostituendosi alla tutela ordinaria incapace ormai di costituire
una risposta valida e rispondente alle esigenze di celerità del titolare del diritto leso.
Anche con riguardo al diritto alla lealtà della concorrenza si è consolidato
l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il pericolo nel ritardo è in re ipsa se
l’atto di concorrenza sleale è in corso di svolgimento, attesa la sostanziale irreparabilità
del danno costituito dallo sviamento della clientela, sicché la tutela cautelare finisce con
l’essere subordinata unicamente al presupposto del fumus boni iuris. Poiché nella
materia della concorrenza sleale non sono previste misure cautelari speciali, è possibile
chiedere ed ottenere il provvedimento d’urgenza che l’art. 700 c.p.c. prevede come
misura cautelare di carattere generale, specificabile da parte del giudice su domanda
dell’interessato in funzione della fattispecie di illecito concretamente azionata35.
Legittimazione attiva e passiva e competenza nell’esperimento dell’azione cautelare
sono le medesime dell’azione ordinaria di sleale concorrenza. Il procedimento cautelare
in materia di concorrenza sleale è quello uniforme degli art. 699 bis e ss. c. p.c.36.
L’azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa
dall’imprenditore o dagli imprenditori lesi. La relativa legittimazione e riconosciuta
anche alle associazioni professionali degli imprenditori e agli enti rappresentativi di
categoria, “quando gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli interessi di una
32
Art. 2599: “La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli
opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti.”
33
Libertini, “Azioni e sanzioni nella disciplina della concorrenza sleale”, in Trattato Galgano, IV, p. 237
e ss.
34
Art. 2600: “Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l’autore è tenuto al
risarcimento dei danni. In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza. Accertati gli
atti di concorrenza, la colpa si presume.”
35
G. Floridia “Diritto industriale – Proprietà intellettuale e concorrenza”, G. Giappichelli editore, Torino,
2001, p. 637 e ss.
36
Vanzetti A. – Di Cataldo V., “Manuale di diritto industriale”, 3 ed., Giuffrè, Milano, 2000.
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categoria professionale” (art. 2601)37, nonché di recente anche alle camere di
commercio (art. 2, comma 5°, legge 580/1993) che possono agire con l’azione di
concorrenza sleale come enti esponenziali “degli interessi generali delle imprese” e
cioè gli interessi delle categorie professionali che vengono trasfigurati come interessi
della collettività38.
37
Art. 2601: “Quando gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli interessi di una categoria
professionale, l’azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa anche dagli enti
che rappresentano la categoria”.
38
G. F. Campobasso, “Il diritto commerciale – Il diritto d’impresa”, Utet, p.249.
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La concorrenza sleale e violazione di brevetti industriali
Sommario: 1. Considerazioni generali; 2. La tutela del brevetto per modelli di utilità nel diritto nazionale:
la concorrenza sleale per imitazione servile; 2.1. La teoria delle varianti innocue; 2.2. Prodotti modulari,
brevetti e imitazione servile: il caso G.U. Banaretti – Ritvik Toys Inc. e Linea Gig spa, Gig Distribuzione
spa e Toy Service srl / Lego spa e Lego Sistema A.S.; 3. La tutela del “Know – How”
1. Considerazioni generali
In tema di brevetti industriali, una normativa interferente con quella relativa alle
invenzioni e ai modelli industriali è certamente quella della concorrenza; infatti, questa
possibilità è espressamente prevista dall’art. 2598 c.c., che definisce gli atti di
concorrenza sleale dopo avere tenute “ferme le disposizioni che concernono la tutela dei
diritti di brevetto”. Il problema che tuttavia è stato avvertito da tutti è quello del
coordinamento fra la tutela di tipo brevettale e quella di tipo concorrenziale: la stessa
Suprema Corte ha stabilito che “le azioni concesse a tutela dei brevetti e quelle in
materia di concorrenza sleale hanno natura e presupposti diversi ed autonomi, le prime
avendo carattere reale erga omnes ed essendo dirette alla protezione di diritti reali
assoluti su beni immateriali ed alla rimozione degli effetti pregiudizievoli, mentre le
seconde hanno carattere personale e sono dirette all’accertamento dell’illecito
concorrenziale nelle sue vari manifestazioni ed alla pronuncia sanzionatrice delle
conseguenze dannose39”.
Si è rilevato che l’intero sistema della proprietà industriale e intellettuale è fondato
sul principio della temporaneità delle esclusive di tipo brevettale. Ammettere quindi che
alla caduta in pubblico dominio di un determinato brevetto possa sopravvivere una
tutela di tipo concorrenziale, comporta il forte rischio di creare delle privative a tempo
indeterminato con tre fondamentali effetti negativi: il primo di rendere la tutela
brevettale scarsamente appetibile e, anzi, inutile, visto che a garantire l’esclusiva su una
innovazione astrattamente brevettabile sarebbe sufficiente, meno costoso e soprattutto
non condizionato da limiti temporali, il ricorso alla normativa concorrenziale. Il
secondo effetto negativo sarebbe quello di impedire o limitare l’acquisizione al
patrimonio collettivo del contenuto della invenzione o innovazione protetta, in tal modo
pregiudicando quella finalità di contribuzione al progresso scientifico o tecnologico
generale che, viceversa, la caduta in pubblico dominio è ordinata a garantire. Il terzo, di
consentire in tal modo la creazione di zone più o meno estese di privativa senza
determinazione di termine finale, che si risolverebbero in altrettante forme di monopolio
più o meno palesi, ma dagli evidenti effetti anticoncorrenziali40.
2. La tutela del brevetto per modello di utilità nel diritto nazionale: la concorrenza
sleale per imitazione servile
L’interesse dell’ideatore di una forma che conferisca ad un prodotto efficacia e
comodità d’impiego ad essere l’unico a poterla concretamente impiegare, salvo
autorizzare terzi ad impiegarla nella loro produzione, può trovare soddisfazione anche
attraverso le norme che reprimono come concorrenza sleale la cosiddetta “imitazione
39
Corte di Cassazione, sez. I civile, 7 novembre 1996, n. 9728, in Giurisprudenza annotata di diritto
industriale, 1996, p. 3391 ss.
40
G. Bonelli, “Commento alla sentenza del Tribunale di Milano dell’11 ottobre 2001”, in Il diritto
industriale n. 3, 2002, p. 287.
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servile”, ossia l’imitazione priva di connotati differenziali del prodotto altrui.
Il primo presupposto per l’applicabilità della disciplina della concorrenza sleale è che
la forma utile di cui ci si vuole riservare l’uso esclusivo non raggiunga la soglia della
brevettabilità come invenzione o come modello di utilità. La ragione di tale limitazione
va ricercata nella ratio del sistema brevettale: esso incentiva l’innovatore garantendogli
un temporaneo diritto di esclusiva sullo sfruttamento industriale dell’idea, mentre
assicura alla collettività l’acquisizione permanente al suo patrimonio culturale
dell’innovazione descritta nella domanda di brevetto nonché la possibilità di farne libero
uso decorso il periodo di esclusiva. Il divieto della concorrenza sleale protegge invece
forme che non possiedono un particolare valore pratico – utilitaristico, ma hanno
semplicemente una valenza individualizzante. Tale divieto opera senza limiti di tempo e
dunque, laddove si potesse far ricorso ad esso anche in presenza di una forma
brevettabile, nessuno avrebbe più interesse a brevettare: perché si dovrebbe chiedere un
documento che attribuisce un’esclusiva ventennale o decennale se fosse possibile
impedire in perpetuo che altri facciano uso della forma utile nella sua produzione
industriale? Occorre poi tenere presente che l’imitazione servile del prodotto altrui è
vietata solo quando esista un effettivo rischio di confusione circa la provenienza del
prodotto da un imprenditore piuttosto che da un altro. Ciò significa che il soggetto attivo
ed il soggetto passivo dell’atto di concorrenza sleale devono essere imprenditori, o che
perlomeno si stiano organizzando per svolgere attività d’impresa. Occorre in secondo
luogo che sussista tra i due imprenditori un rapporto di concorrenza, il che avviene
quando operino sostanzialmente sullo stesso mercato, sia in senso merceologico che in
senso territoriale. E’ inoltre necessario che la forma sia nuova e tale da caratterizzare,
distinguendolo, il prodotto rispetto a quelli della concorrenza.
Affinché sussista un
rischio di confusione per il pubblico circa la provenienza del prodotto è infine
necessario che la forma stessa non sia stata solo progettata da chi invochi protezione,
ma anche che sia stata resa nota al mercato con la distribuzione del prodotto e la
pubblicità
Detto questo, un problema fondamentale, deriva dalla necessità di coordinare
l’applicazione in concreto della norma che vieta l’imitazione servile con la tutela che è
accordata alla forma dei prodotti dalla disciplina dei modelli ornamentali e dei modelli
di utilità. Il nostro ordinamento prevede infatti, oltre ai brevetti per invenzioni, una
specifica tutela brevettale per le forme esterne dei prodotti, qualora esse si distinguano
per il pregio estetico o per la particolare funzione tecnica. I brevetti per modelli
ornamentali proteggono le forme dei prodotti del primo tipo. La disciplina è stata
recentemente riformata dal d.lgs. 95/2001 che ha attuato la direttiva comunitaria n.
98/71. In seguito alla nuova normativa non sono più tutelate le forme che presentino
uno “speciale ornamento”, bensì i disegni e modelli che, oltre ad essere nuovi, abbiano
“carattere individuale”. I disegni e modelli dunque, sono tutelati qualora siano nuovi e
abbiano carattere individuale.
La normativa sui brevetti per modelli di utilità protegge, invece, le forme che oltre ad
essere nuove, attribuiscano al prodotto una “particolare efficacia o comodità di
applicazione o di impiego”.
Tanto le disposizioni sui modelli , quanto l’art. 2598, n.
1, hanno quindi ad oggetto la protezione della forma estetica di un prodotto ma, mentre
tale forma è tutelata dal sistema brevettale con l’obiettivo di stimolare l’innovazione e,
quindi, di reprimere l’imitazione delle caratteristiche intrinsecamente attrattive dei
prodotti, la disciplina contro l’imitazione servile tutela la forma del prodotto in quanto
dotata di efficacia distintiva ed idonea, quindi, ad indicare la provenienza da una
determinata impresa. Sebbene le forme vengano tutelate, da una disciplina, per la loro
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funzione di utilità o di pregio estetico; dall’altra, per la loro funzione distintiva, spesso
le caratteristiche che attribuiscono pregio estetico o tecnico coincidono con i caratteri
essenziali della forma, e, quindi, anche con i caratteri distintivi. Il problema si fonda
pertanto sulla difficoltà di conciliare la protezione della forma, limitata nel tempo,
garantita dalla normativa brevettale (tutela limitata allo scopo di consentire la caduta in
pubblico dominio delle innovazioni ed evitare effetti monopolistici su determinate
forme), con quella potenzialmente illimitata, prevista dalla disciplina della concorrenza
sleale, avente lo scopo di tutelare la necessità che altri non si approprino della forma
distintiva. Date le caratteristiche delle due discipline, è necessario trovare un
coordinamento per evitare che, attraverso un’applicazione illimitata nel tempo della
concorrenza sleale, si estendano indefinitamente i diritti sulle forme brevettabili. A
questo fine, si ritiene che il divieto di imitazione servile non possa riguardare le stesse
caratteristiche suscettibili di protezione brevettale e il possibile conflitto tra normative
viene risolto sancendo che possono essere tutelate attraverso l’art. 2598, n. 1, solo le
forme che svolgono esclusivamente una funzione distintiva. Non possono essere
protette nello stesso modo, invece, le forme che presentano anche una funzione di utilità
o un particolare pregio estetico: in caso contrario, infatti, si renderebbe vana la tutela
delle privative che, attribuendo diritti di esclusiva limitati nel tempo e subordinati a
formalità di deposito, consenta la caduta in pubblico dominio dei progressi raggiunti nel
campo della tecnologia o dell’estetica41. Le forme aventi pregio estetico o funzionale
sarebbero, quindi, tutelate esclusivamente dalla disciplina dei modelli industriali e il
valore distintivo eventualmente presente in un modello non troverebbe tutela. Nei
confronti delle forme che sono considerate dall’ordinamento meritevoli della protezione
brevettale vige infatti il principio della necessità che, alla scadenza del brevetto o
qualora questo non sia stato richiesto sino liberamente imitabili, di modo che sia
garantita la futura innovazione. Lo spazio per l’applicazione della disciplina
dell’imitazione servile resta pertanto, circoscritto alla tutela della forma “arbitraria” o
“capricciosa”, dal momento che le forme che siano necessarie per il raggiungimento di
un pregio tecnico o estetico, qualora siano brevettabili, non sono tutelabili attraverso il
divieto dell’imitazione servile. In definitiva, non può essere tutelata contro l’imitazione
servile la forma la cui riproduzione sia necessaria per il raggiungimento di determinate
utilità, funzionali o estetiche42. Posta la questione in questi termini, ne discende che la
41
Così, nel caso di imitazione dei tessuti di un concorrente, si è osservato che: “l’art. 2598, n. 1, c.c, nel
proteggere l’imprenditore dall’imitazione servile del concorrente, non gli attribuisce anche il diritto di
servirsi in esclusiva e senza limiti temporali, di un proprio prodotto che ha costituito o avrebbe potuto
costituire oggetto di un modello ornamentale. La norma, infatti, non vieta l’imitazione di forme utili o
estetiche non coperte da brevetto, ma tutela solo le forme cosiddette individualizzanti che, non fornite di
particolari pregi di utilità o di estetica, manifestino la loro idoneità ad incidere sull’avviamento ed
abbiano l’effetto di differenziare i prodotti di un imprenditore rispetto a quelli dei concorrenti. Pertanto,
quando tutti gli elementi che hanno contribuito a realizzare le forme di un prodotto non coperto da
privativa sono funzionali rispetto al conseguimento del suo pregio estetico, essi sono liberamente
imitabili, dovendo trovare spazio la tutela dell’interesse pubblico alla libera fruizione e appropriabilità
delle realtà estetiche o ornamentali. Del resto il divieto generale dell’imitazione servile dei prodotti altrui,
in quanto rappresentante il necessario completamento del diritto alla libera concorrenza, non potrebbe
creare situazioni di monopolio di fatto oltre quello fondato su titoli brevettali dal momento che, in tal
modo, verrebbe a trasformarsi in perpetua quella tutela che, al di fuori delle forme individualizzanti,
presuppone invece una destinazione finale al pubblico dominio dei prodotti dell’attività creativa” (App.
Milano, 18 settembre 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3839).
42
E’stata , ad esempio, esclusa l’ipotesi di imitazione servile nel settore della produzione di modellini di
automobile: “I prodotti della Hofbauer, infatti, non sono altro che mere riproduzioni (inminiatura ed in
scala “standard”) di modelli originali già noti in tutte le loro caratteristiche esteriori, riproduzioni che
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disciplina contro l’imitazione servile può trovare uno spazio di applicazione soltanto
dove sia possibile individuare forme che, pur dotate di pregio estetico o di utilità, non lo
siano però dal punto da poter essere brevettate, non essendo concepibile ridurre
l’applicazione di questa disciplina solo alle forme “brutte” o “antifunzionali”. Anche la
giurisprudenza ha sottolineato che il coordinamento tra le diverse discipline non può
certo essere rinvenuto nella tutela ex art. 2598, comma 1, c.c. delle sole forme “brutte o
antifunzionali”, al contrario trova il proprio ambito operativo anche e soprattutto per
forme di una certa gradevolezza estetica o di una certa funzionalità non particolarmente
caratterizzanti od originali e pertanto non brevettabili43. Per queste considerazioni si è
sottolineata la necessità che la normativa brevettale sia applicata in modo da non
tutelare qualsiasi forma ornamentale o funzionale, ma solo quelle che si distinguano
perché presentano uno “speciale ornamento” o “una particolare efficacia o comodità di
applicazione o di impiego”. La situazione è destinata a complicarsi, in seguito
all’entrata in vigore della nuova legge in materia di disegni e modelli. I requisiti
richiesti per l’accesso alla tutela e, tra questi, in particolare, la necessità che il disegno o
modello si distingua da quelli preesistenti per l’impressione suscitata sugli utilizzatori,
potrebbero in futuro porre il problema derivante dal fatto che il giudizio della forma ai
fini della registrazione ed il giudizio della forma ai fini della protezione contro
l’imitazione servile, potrebbe basarsi su elementi molto simili. Se così fosse, la
conseguenza potrebbe essere che alle forme registrabili non potrebbe essere applicata la
disciplina della concorrenza sleale, ma quest’ultima non potrebbe trovare applicazione
(per mancanza dei requisiti) neppure alle forme che non siano registrabili. Una possibile
soluzione può fondarsi sul fatto che la protezione dei disegni e modelli si basa
sull’analisi dell’impressione suscitata sugli utilizzatori “informati”. Tale specificazione
potrebbe condurre ad un confronto maggiormente analitico tra diversi modelli, a
differenza della valutazione, sintetica e complessiva in quanto avente come riferimento
il consumatore medio, svolta per l’applicabilità della disciplina della concorrenza sleale.
In questo modo si potrebbero applicare requisiti in parte diversi per l’applicazione delle
due normative, consentendo di trovare ancora spazio per la disciplina contro
l’imitazione servile.
2.1 La teoria delle varianti innocue
Un’ampia giurisprudenza e una parte della dottrina, tenta di attenuare il rigore della
posizione che afferma la libera imitabilità delle forme necessarie per raggiungere un
pregio estetico o funzionale con la teoria delle varianti innocue, sostenendo che, nelle
ipotesi in cui la forma sia liberamente imitabile, quando sia possibile introdurre alla
forma del prodotto delle varianti che, pur lasciando sostanzialmente impregiudicato il
devono essere fedeli agli originali nella misura più ampia possibile: essi, quindi, sono privi di qualsiasi
originalità e personalizzazione nella forma esteriore, essendo quest’ultima l’unica possibile per garantire l
afedele riproduzione degli originali e dunque “funzionalmente necessaria”. A ciò si aggiunga la
“generalizzione” di questo tipo di produzione che induce ad escludere in radice la configurabilità di un
qualsiasi diritto di esclusiva o priorità dell’attrice nel campo dell’automodellismo. Quest’ultimo è difatti
contraddistinto da elementi estrinseci inscindibilmente dipendenti e necessitati da caratteristiche
strutturali e funzionali, e quindi liberamente imitabili, dal momento che presupposto del divieto di cui
all’art. 2598 n. 1 c.c è che l’imitazione si riferisca a prodotti la cui forma appaia esclusiva, così da
indivualizzarli tra quelli dello stesso gnere, e tale presupposto non sussiste quando al momento
dell’imitazione la relativa forma era già utilizzata da altri imprenditori concorrenti” (Trib. Firenze, 17
maggio 1995, in Giur. Ann. Dir. Ind. 1995, p. 3417).
43
Trib. Milano, 27 luglio 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3833.
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pregio estetico della forma, permettano di evitare la confondibilità, sia onere
dell’imitatore adottare tali varianti. Si eviterebbe in questo modo il pericolo confusorio,
pur consentendo di sfruttare la capacità attrattiva delle forme, qualora non siano
brevettate o il brevetto sia scaduto. Una parte della giurisprudenza afferma quindi che,
qualora la forma sia necessaria per raggiungere un certo pregio estetico o una
particolare utilità, possa essere imitata – nel caso in cui il brevetto sia scaduto o non sia
stato richiesto – ma solo apponendo delle varianti che consentano la differenziazione
quanto all’origine imprenditoriale del prodotto. Questo perché il divieto di imitazione
servile va a colpire la riproduzione solo degli elementi “individualizzanti”, degli
elementi cioè, dotati di capacità distintiva ed idonei quindi ad indicare l’origine dei
prodotti. Qualora non sia possibile scindere gli aspetti del prodotto dotati di valore
ornamentale o di utilità da quelli dotati di valore distintivo, viene imposto l’onere di
apportare varianti “innocue”. L’imitazione della forma estetica di un prodotto, quindi,
sarebbe illecita solo quando l’imitatore avrebbe potuto apportare delle modifiche senza
pregiudizio del pregio estetico e non lo abbia fatto44.
In sostanza, quindi, una parte della giurisprudenza richiede che, qualora una forma
presenti un valore estetico o di utilità che non sia, però, tale da consentire la
brevettazione, per poter imitare il prodotto vengano apportate modifiche che consentano
di evitare in ogni caso il rischio di confusione45 .
2.2 Prodotti modulari, brevetti e imitazione servile: il caso G. U. Banaretti – Ritvik
Toys Inc. e Linea Gig S.p.A, Gig Distribuzione S.p.A. e Toy Service S. r. l. / Lego
S.p.A. e Lego System A.S.46
Con atto di citazione in data 26 marzo 1998, Ritvik Toys Inc., Linea Gig spa e Toy
Service srl , convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Milano, la Lego spa e Lego
System A/S per sentir accertare e dichiarare che la vendita in Italia di mattoncini per
giochi di costruzione della linea “Micro Mega Bloks” e “Mini Mega Bloks”, prodotti
dalla Ritvik, distribuiti dalle altre attrici e compatibili con i mattoncini “Lego” e
44
Costituisce atto di concorrenza sleale per imitazione servile confusoria ex art. 2598, n. 1, la produzione
di un manufatto di aspetto esteriore identico a quello di un prodotto, non brevettato, già precedentemente
commercializzato, qualora, pur essendo possibile, non siano apportate le dovute varianti. Al di là della
tutela brevettale vige nel nostro ordinamento il divieto dell’imitazione servile con fusoria; il principio
infatti della libra appropriabilità delle idee è condizionato all’adozione di varianti idonee appunto ad
escludere confusione tra i prodotti tale da indurre il consumatore in errore circa la reale provenienza del
prodotto stesso. Il diritto a sfruttare il pregio artistico del prodotto altrui, anche mediante imitazione
servile, sussiste soltanto quando le caratteristiche del prodotto siano tali da non consentire l’introduzione
di nuovi elementi connotanti che potrebbero determinare una riduzione del valore dle prodotto od
addirittura pregiudicarne la possibilità di commercializzazione” (Trib. Firenze, 7 maggio 1998, in Giur.
Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3809).
45
Nel caso dell’imitazione del modello di un armadio, ad esempio, si è affermato che: “La mancata
brevettazione di un prodotto come modello di utilità consentirebbe di copiare l’idea funzionale altrui, ma
non di copiare le forme la cui riproduzione determinerebbe semplicemente l’indistinguibilità dei prodotti
nel mercato. Lasciando invariata la soluzione funzionale dell’armadio – con ante orizzontali a
scorrimento – si impone comunque, di fronte ad una soluzione estetica originale, la necessità di addurre
varianti che evitino la confondibilità nel mercato” (Trib. Milano, 27 settembre 1998, in Giur. Ann. Dir.
Ind., 1998, p. 3833).
46
Tribunale di Milano, 11 ottobre 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2002, p. 340 ss.
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“Duplo” di Lego, non costituisce violazione di alcun diritto (di brevetto, marchio o di
altro genere) spettante alle società Lego, né costituisce atto di concorrenza sleale nei
loro confronti. Le società Lego hanno richiesto il rigetto delle domande avversarie e, in
via riconvenzionale, la condanna delle controparti per concorrenza sleale in relazione
alla commercializzazione in Italia di mattoncini compatabili con quelli Lego.
Si tratta di decidere se, scaduto il brevetto che protegge un sistema modulare, sia
possibile per i concorrenti non solo utilizzare il concetto innovativo o inventivo in esso
concretizzato, ma utilizzarlo in modo tale da poter connettere o assemblare i propri
prodotti con quelli provenienti dal soggetto già titolare del brevetto in questione. I
sistemi modulari sono quei prodotti destinati a connettersi e combinarsi fra loro per dare
vita ad un prodotto composto, e che presentano una utilità non già di per sé, ma solo (si
pensi al mattoncino Lego) o soprattutto (si pensi al mobile componibile) in unione con
la universitas nella quale possono collegarsi fra loro; costituiscono così prodotti
modulari ad esempio una serie di mobili od oggetti d’uso componibili (scaffali, armadi,
contenitori, bicchieri e piatti impilabili), giochi quali il Meccano o il Lego. Vi è la
preoccupazione che con la caduta in pubblico dominio di una invenzione o di un
modello che si riferisca ad un prodotto modulare, i concorrenti, venendo ammessi ad
una utilizzazione indiscriminata di quanto a suo tempo protetto dal brevetto, siano
perciò stesso messi nella condizione di poterne profittare in modo parassitario in quanto
autorizzati a produrre elementi modulari connettibili a quelli realizzati dall’ex titolare
della privativa ed utilizzabili in unione con essi, profittando in tal modo dell’avviamento
conseguito da quest’ultimo. Dottrina e giurisprudenza, richiamando l’art. 2598, n.1, c.c.,
riconoscono una tutela extrabrettuale (ossia successiva allo spirare del brevetto o
indipendentemente da esso qualora un brevetto non sia stato richiesto) al prodotto
modulare. Il problema che tuttavia è stato avvertito da tutti è quello del coordinamento
fra la tutela di tipo brevettale e quella di tipo concorrenziale. Ammettere quindi che alla
caduta in pubblico dominio di un determinato brevetto possa sopravvivere una tutela di
tipo concorrenziale, comporta il forte rischio di creare delle privative a tempo
indeterminato. Si è constatato che esistono forme di tipo funzionale od ornamentale
brevettabili come modelli o invenzioni e che spesse volte tali forme, anche se cadute in
pubblico dominio per lo spirare dei termini di protezione brevettali, hanno acquisito
anche una sicura valenza distintiva, tale pertanto da dare possibile ingresso ad una tutela
contro l’imitazione servile. Una possibile mediazione fra l’esigenza di tutela della
capacità individualizzante di tale forme contro la loro imitazione servile e, all’opposto,
l’esigenza di evitare il consolidarsi di una protezione che risulti, all’atto pratico,
equivalente a quella di tipo brevettuale ma perpetua, è stata intravista nell’imporre a
colui che voglia utilizzare l’idea inventiva o innovativa presente in un determinato
brevetto caduto in pubblico dominio, l’onere di adottare nella realizzazione pratica di
esso delle varianti che, pur non incidendo sul valore funzionale od estetico del prodotto
così realizzato, valgono tuttavia a differenziarlo da quello realizzato dal titolare
originale del brevetto scaduto (c.d. teoria delle varianti innocue). La Suprema Corte ha
dato applicazione a tale principio47, cosicché la sua decisione implica che caduta in
47
Ha infatti affermato che “…il produttore è tenuto a sperimentare la possibilità di addurre varianti che,
pur distinguendolo da quello del produttore che per primo realizzò tale forma individualizzante, evitino la
confondibilità nel mercato. Il concorrente insomma ha diritto di realizzare egli stesso analoga
compatibilità tra i “propri” mattoncini, così da dare vita ad identica funzione di componibilità. Non può,
salvo che non sia inevitabile per ripetere la funzione, pretendere di mettere in commercio prodotti capaci
di essere compatibili con quelli del concorrente, perché ciò gli consentirebbe di avvantaggiarsi oltrechè
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pubblico dominio l’invenzione, è possibile ai concorrenti riprendere l’idea base
sottostante al “Lego”, ma non nella versione concretamente utilizzata dalla omonima
casa costruttrice e, soprattutto, non in modo da potersi connettere al gioco da questa
realizzato. La Suprema Corte, ha dunque dichiarato la liceità, alla scadenza del brevetto,
della ripresa dell’idea, ma non anche della forma del prodotto, ove risultino introducibili
varianti “innocue”, e l’illiceità della commercializzazione di prodotti modulari
compatibili con quelli del concorrente, posto che tale attività consentirebbe lo
sfruttamento dell’avviamento altrui. Il Tribunale di Milano, però non condivide tale
decisione: “ E’ lecita sotto il profilo concorrenziale la produzione e la vendita di
prodotti modulari compatibili con quelli del concorrente. La compatibilità infatti non
implica necessariamente confondibilità e costituisce una specifica utilità, liberamente
appropriabile in assenza di privativa”. Punto di partenza è il principio della libertà di
concorrenza e di iniziativa economica che tollera restrizioni soltanto per ragioni
brevettali (limitate nel tempo) o anche concorrenziali (tendenzialmente perpetue), ma in
tal caso, esclusivamente per le sleali modalità di svolgimento. Ne consegue che
l’oggetto del brevetto, una volta caduto in pubblico dominio, deve ritenersi liberamente
riproducibile in tutte le sue utilità, mentre restano suscettibili di tutela, per il divieto di
imitazione servile, soltanto gli aspetti formali dotati di capacità distintiva e, al
contempo, superflui, tecnicamente insignificanti, arbitrari o capricciosi. In un prodotto
costituito da mattoncini compatibili per giochi di costruzioni, la compatibilità risponde
ad una precisa esigenza insita nella natura del prodotto – l’elemento di costruzione – il
quale non esprime alcun significato di utilità considerato di per se stesso, ma soltanto
nella sua unione con altri elementi a formare un sistema più o meno complesso. La
compatibilità risponde dunque ad un interesse comune dei produttori concorrenti e del
pubblico dei consumatori, con la conseguenza che la ripresa della forma e delle
dimensioni dell’altrui prodotto modulare dirette ad ottenere la compatibilità con esso è
lecita sotto il profilo concorrenziale. Le varianti di forma o dimensioni di un prodotto
modulare che rendano tale prodotto non compatibile con la serie modulare del
concorrente, pur in astratto realizzabili, non possono essere considerate “innocue”,
perché importano la rinunzia ad una specifica utilità, rappresentata dalla compatibilità.
L’invenzione del “ Lego”, ha fra le sue principali caratteristiche di utilità, e quindi di
funzionalità, proprio l’attitudine, raggiunta attraverso una determinata forma e
sagomatura del mattoncino brevettato di dar luogo ad un sistema modulare. Il punto è di
notevole importanza in quanto l’art. 2598, n. 1, c.c., afferma che non sono proteggibili
in base al divieto di imitazione servile le cosiddette forme funzionali e quelle atte a
conferire al prodotto un particolare ornamento. Questo perché si vuole evitare che,
tramite il divieto della imitazione servile, si finisca per riconoscere di fatto una tutela
perpetua a soluzioni funzionali od ornamentali che, trovando la propria naturale
protezione nelle norme brevettali, il sistema vuole connotate dal carattere di
temporaneità. Secondo taluni il concetto di forme funzionali è limitato alle sole forme
necessarie, cioè astrattamente indispensabili per riprodurre un determinato prodotto e le
caratteristiche estetiche o funzionali che contraddistinguono il brevetto che lo protegge;
altri invece vi ricomprendono le forme utili, nel senso di fornire un vantaggio
migliorativo al prodotto in senso tecnico e/o funzionale.
Se nel concetto di forme funzionali rientrano anche le forme utili ne consegue che il
divieto di imitazione servile, rispetto ad esse, non potrà operare e tale divieto si riduce
dell’ idea, anche di quanto, sfruttando quell’idea, il suo concorrente è riuscito a conseguire in termini di
avviamento”. (Cass. 9 marzo 1998, n. 2578.)
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unicamente agli aspetti formali dotati di capacità distintiva e, al contempo, superflui,
tecnicamente insignificanti, arbitrari o capricciosi… Non pare contestabile che la
forma, la sagomatura e le caratteristiche di incastro del mattoncino Lego rientrino nel
concetto di forma utile e quindi funzionale e questo non solo in ragione delle
caratteristiche intrinseche del mattoncino in sé considerato ma anche alla prerogativa e
utilità ulteriore rappresentata dalla modularità del sistema così realizzato, ossia la
possibilità di collegare all’infinito un pezzo all’altro per realizzare le forme più svariate.
Insomma, la modularità è una utilità funzionale in sé del Lego è anzi l’utilità principale.
La stessa Direttiva 98/71/CE ha dato autonomo rilievo alla modularità come specifica
utilità e pregio; essa infatti esclude dalla brevettabilità (art. 7.2) le caratteristiche esterne
di un prodotto “…che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme
e dimensioni per potere consentire al prodotto in cui il disegno o modello è incorporato
o cui è applicato di essere unito o connesso meccanicamente con altro prodotto”. Si
tratta delle forme di interconnessione, ovvero le caratteristiche formali che consentono
ad un prodotto di essere connesso ad un altro; il legislatore comunitario ha vietato la
brevettabilità di queste forme al fine di evitare che i fabbricanti dei prodotti,
monopolizzando le forme e le dimensioni dell’interconnessione ed escludendo in tal
modo la compatibilità tra prodotti di marche diverse, creino indebiti ostacoli di tipo
monopolistico alla concorrenza. Peraltro l’art. 7.3 della Direttiva, ha previsto la
possibilità di brevettare i disegni e modelli che hanno “lo scopo di consentire l’unione o
la connessione multipla di prodotti intercambiabili in un sistema modulare”.
Tale
eccezione al divieto posto dall’art. 7.2, quindi, si giustifica in quanto viene riconosciuto
alla modularità una utilità a se stante. Anche per questa via sembra dunque corretta e
condivisibile la conclusione finale a cui giunge il Tribunale di Milano ossia che: “ …la
soluzione qui accolta considera la compatibilità nei sistemi modulari come utilità
riconosciuta, già oggetto di privativa brevettuale scaduta e quindi ormai liberamente
appropriabile”. Se tutto quanto sin qui detto è vero, ne segue che, una volta caduto in
pubblico dominio il brevetto del “Lego”, da un lato non è impossibile impedire al
concorrente, in base al divieto di imitazione servile, di sfruttare il pregio della
modularità insita nell’invenzione, in quanto trattasi di forma funzionale; dall’altro non è
possibile imporgli la adozione di varianti che impediscano la interconnessione con il
sistema “Lego”, in quanto impedendogli di avvalersi della funzione di compatibilità,
non potrebbero certo considerarsi varianti innocue. Vi è poi l’esigenza di evitare che la
caduta in pubblico dominio non sconfini nell’approfittamento dell’avviamento altrui.
Premesso che nel nostro ordinamento non esiste un divieto generale di copiare i prodotti
altrui vigendo semmai, in assenza di un valida privativa, la regola opposta, vi è da
ricordare che i brevetti dei quali un imprenditore sia titolare costituiscono, appunto,
parte fondamentale del suo avviamento; appare quindi fisiologico, che una volta che un
determinato brevetto cada in pubblico dominio, si verifichi a suo danno una perdita di
avviamento e, parallelamente, un appropriazione di esso da parte dei concorrenti, che
sono ammessi a sfruttare liberamente un trovato frutto di meriti altrui. Se quindi fra le
caratteristiche utili di una privativa altrui rientra la modularità, non si vede per quale
motivo, proprio tale caratteristica debba essere preservata in modo perpetuo.
La normativa antitrust conferma la validità della tesi sostenuta dal Tribunale di
Milano: in genere, infatti, esiste un disfavore nei confronti di quelle situazioni nelle
quali l’acquirente, una volta effettuato il primo acquisto, rimarrebbe “prigioniero” di
questo, essendo costretto dal gioco delle esclusive ad effettuare tutti gli ulteriori suoi
acquisti dall’impresa dalla quale ha effettuato il primo. Questo è il tipico effetto
dell’incompatibilità fra prodotti che sarebbero o potrebbero essere in sé per sé fra loro
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compatibili, ma che vengono resi non più tali per effetto di un divieto legale. Sotto il
profilo concorrenziale, la conseguenza che avrebbe l’impostazione seguita dalla
Suprema Corte è che chi abbia in passato acquistato mattoncini “Lego” e voglia in
futuro ampliare la propria collezione, dovrà sempre acquistare prodotti “Lego”; e ciò
anche decorso molto tempo dalla cessazione della esclusiva brevettuale. Ulteriore
conseguenza di questa impostazione è che, costringendo i concorrenti a creare una
propria serie modulare, che a quel punto sarà protetta esattamente come quella “Lego”,
si determinerà una segmentazione del mercato in altrettanti piccoli monopoli, con la
creazione di altrettanti spazi non soggetti a pressione concorrenziale e costituiti, per
ciascuna impresa, dai propri clienti acquisiti. La adozione di standard di compatibilità,
ha invece, l’effetto di incrementare la gamma di prodotti offerti potenzialmente fungibili
fra loro rappresentando, conseguentemente, un incentivo ad una concorrenza sui prezzi,
il che dovrebbe da un lato migliorare la efficienza del mercato, dall’altro levare il grado
di soddisfazione dei consumatori che si troverebbero di fronte ad un’offerta
maggiormente diversificata ed a prezzi inferiori.
Il Tribunale ha quindi dichiarato che la vendita in Italia dei mattoncini della linea
Mega Bloks (Micro e Mini) da parte delle attrici, mattoncini compatibili con quelli delle
convenute, non viola alcun diritto di queste ultime, né costituisce concorrenza sleale; ha
risolto dunque negativamente il problema circa una possibile tutela extra - brevettuale
dei prodotti modulari. Il Tribunale, inoltre, ha affermato che la distinzione tra elementi
modulari e pezzi di ricambio non giustifica una differenza di disciplina che,
implicherebbe, che mentre la compatibilità dei sistemi modulari non potrebbe essere
liberamente appropriabile, liberamente appropriabile sarebbe, viceversa, la compatibilità
propria dei pezzi di ricambio. Il carattere di accessorietà dei pezzi di ricambio, non
rinvenibile negli elementi modulari, ovvero la normale componibilità degli elementi
modulari e non dei pezzi di ricambio, ad opera dell’utilizzatore, non paiono giustificare
un trattamento così radicalmente diverso. Una prima conseguenza di quanto detto
finora, è che, l’apposizione sui prodotti compatibili con altrui pezzi modulari dei marchi
della casa produttrice e la adozione di confezioni sufficientemente differenziate rispetto
a quelle del “Lego” vale ad escludere ogni possibilità di confusione od inganno per la
clientela. Negata infatti una tutela contro la imitazione servile degli elementi funzionali
di un prodotto modulare, una volta che questo sia caduto in pubblico dominio, appare
chiaro che il pericolo di confusione che il divieto di imitazione servile è pur sempre
chiamato in generale ad impedire, potrà dirsi scongiurato dagli unici elementi di
differenziazione che possono in tale caso operare, ossia quelli estrinseci al prodotto; nel
caso di specie i marchi che lo accompagnano e le confezioni nelle quali esso è
presentato. Che infine, almeno nel caso del “Lego”, il momento determinante per
valutare la confondibilità dei prodotti sia, come ritenuto dal Tribunale di Milano, quello
della scelta e non del successivo utilizzo del prodotto, appare persuasivo – la possibilità
di confusione rilevando al momento dell’acquisto e non dopo, quando, per così dire “i
giochi sono fatti” -, e quindi anch’esso condivisibile. Per tutti questi motivi il Tribunale
di Milano ha accolto le domande delle attrici, rigettato le domande riconvenzionali e
condannato le convenute in solido a rifondere le spese processuali.
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3. La tutela del “Know – How”
Ci sono una serie di informazioni di natura tecnica e commerciale che costituiscono
un bene economico in quanto conferiscono all’imprenditore che le possiede un
vantaggio concorrenziale. Il loro valore economico è legato alla loro utilità ed al fatto
che non siano agevolmente accessibili da parte di terzi: solo a tali condizioni infatti è
giustificabile che taluno sia disposto a pagare per venirne a conoscenza. In quanto beni
suscettibili di valutazione economica, esse possono essere oggetto di atti di disposizione
(cessione, licenza) verso terzi. Si tratta di informazioni e conoscenze, tecniche,
organizzative, procedurali che prendono il nome di Know – How. Su di esse nessuno
può vantare un diritto di esclusiva, perché sono carenti dei requisiti richiesti dalla legge
o perché comunque non sono state oggetto di una domanda di brevetto. L’ordinamento
tutela gli imprenditori che impiegano notevoli risorse per acquisire e difendere tali
informazioni, benché non brevettate. Vi sono così una serie di norme che, attraverso la
difesa della riservatezza, la repressione della concorrenza sleale, la reazione contro la
violazione di obblighi contrattuali, tutelano e consentono al titolare di mantenere
un’esclusiva di fatto su questo importante patrimonio di informazioni. Quando però tali
informazioni cadono in pubblico dominio, il titolare non potrà evitare che chiunque le
possa utilizzare, e la tutela sarà limitata alla richiesta di risarcimento del danno da parte
del responsabile della divulgazione. Se, dunque il dipendente infedele o il contraente
inadempiente fa cadere in dominio pubblico l’invenzione segreta, il titolare
dell’invenzione potrà solo richiedere il risarcimento del danno a costoro, ma l’esclusiva
di fatto sull’invenzione, legata al regime di segreto in cui era mantenuta sarà
irrimediabilmente persa.
A parte le conoscenze non brevettabili, per cui l’unica possibilità di protezione è il
segreto, spesso anche le innovazioni che avrebbero tutte le caratteristiche per poter
essere brevettate vengono tutelate per mezzo del segreto e non del brevetto. Con la
brevettazione, infatti, le informazioni relative all’invenzione cadono in pubblico
dominio ed il periodo di esclusiva previsto dalla legge è limitato nel tempo. Il regime di
segreto, invece, impedisce ai concorrenti di appropriarsi delle idee innovative e di
impostare la ricerca sulla base del progresso tecnologico ottenuto dall’innovatore, e
consente di sfruttare l’innovazione per un periodo di tempo potenzialmente illimitato. Il
segreto garantisce poi, un monopolio planetario e non costringe a complesse e
dispendiose procedure di brevettazione plurinazionali. Vi sono però, anche le
controindicazioni: rischio di spionaggio industriale e storno dei dipendenti,
imprevedibilità della durata, possibilità di lecita appropriazione tramite riserve
engeneering. Per i segreti relativi alla composizione ed alla struttura dei prodotti, infatti,
la difesa si rivela quasi sempre impossibile in quanto una volta immessi sul mercato tali
prodotti, i concorrenti possono lecitamente analizzarli e capirne le caratteristiche ed i
dati innovativi.
La legge mette a disposizione dell’imprenditore diversi strumenti per difendere le
proprie informazioni riservate. Fino alla recente emanazione di una specifica norma a
tutela del segreto aziendale, sono stati i giudici a sviluppare un sistema di difesa del
segreto fondato sull’art. 2598 c.c. che reprime la concorrenza sleale. Recentemente è
stata introdotta all’interno della legge brevetti (art. 6 bis) prima e nel Codice dei diritti
di Proprietà Industriale (art. 98) poi, una norma che tutela specificamente e direttamente
le informazioni aziendali segrete. Per godere di questa tutela le informazioni protette
devono possedere tre requisiti: devono essere segrete, nel senso che non devono essere
generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
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devono avere valore economico in quanto segrete; devono essere sottoposte a misure da
ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete. La rivelazione a terzi oppure
l’acquisizione o utilizzazione da parte di terzi in modo contrario alla correttezza
professionale di tali informazioni, sono considerate dalla legge atti di concorrenza
sleale, e come tali repressi. In quest’ottica, diventa molto importante per godere della
tutela fornita dalla norma dimostrare di avere predisposto appositi sistemi di protezione:
accesso alle informazioni limitato e selettivo unito a barriere interne alla divulgazione,
sistemi meccanici (chiavi, lucchetti, casseforti) e informatici (password), segnalazione
dei documenti (riservato, segreto), sottoscrizione da parte dei dipendenti interessati di
specifici obblighi di non divulgazione.
Per quanto riguarda la tutela delle informazioni riservate, cioè quelle informazioni
che, seppure non segrete, costituiscono per l’azienda un valore e che non s’ intende
mettere a disposizione del pubblico, i giudici hanno utilizzato le norme che reprimono
la concorrenza sleale e vietano atti contrari ai principi di correttezza professionale48.
Viene pertanto punita e repressa non solo la sottrazione di informazioni segrete, ma
anche la sottrazione di quelle riservate, non destinate ad essere divulgate49.
Il dipendente ha un obbligo di fedeltà nei confronti del suo datore di lavoro, obbligo
da cui scaturisce il divieto di divulgare, o di fare direttamente uso, di notizie attinenti
all’organizzazione ed ai metodi di produzione dell’impresa. In tali notizie rientrano i
segreti e tutte le informazioni sottoposte a speciali misure di protezione da parte
dell’azienda, la cui divulgazione è sanzionata dagli artt. 622 e 623 del c.p.; ma tra esse
rientrano anche tutte le notizie riservate attinenti l’impresa. Quindi, oltre alle
informazioni su tecniche e processi produttivi, composizione dei prodotti e tutto il
Know – How tecnico, vengono tutelati i dati attinenti all’organizzazione ed all’attività
commerciale dell’azienda: banche dati clienti e fornitori, sistemi interni di
organizzazione del personale, politiche del prezzo, tecniche di conduzione dei rapporti
con clienti e fornitori…alla cessazione del rapporto di lavoro, cadrà il divieto in capo al
dipendente di utilizzare queste informazioni, eccezion fatta per i segreti veri e propri, la
cui divulgazione rimane illecita.
Alla fine del rapporto di lavoro, cessa anche l’obbligo di fedeltà: l’ex dipendente
rimane obbligato a non divulgare i segreti veri e propri dell’azienda, ma può servirsi di
tutte le altre informazioni acquisite nel corso del rapporto di lavoro: informazioni spesso
riservate, che costituiscono però il patrimonio di esperienza professionale del lavoratore.
L’imprenditore può pattuire con il lavoratore per il periodo successivo alla cessazione
del rapporto professionale un obbligo di non divulgare ogni tipo di informazione.
48
Un caso tipico di informazioni riservate, è costituito dalle banche dati (elenco dei fornitori, dei clienti),
che sono costituite da elementi di per sé noti al pubblico, ma che assumono un preciso valore in quanto
raccolti in un unico elenco.
49
Per fare un esempio, i giudici sanzionarono la divulgazione ad un concorrente dell’elenco dei fornitori
di un’industria chimica, avvenuta tramite lo studio del commercialista di quest’ultima. Tale elenco era
costituito da dati pubblici e generalmente accessibili, se presi isolatamente, ma complessivamente
considerati consentirono al concorrente che ne venne in possesso di ricostruire e svelare la composizione
di una speciale resina chimica protetta a sua volta da segreto.
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La disciplina dei brevetti nel nuovo codice della proprietà
industriale
Sommario: 1. Introduzione: la proprietà intellettuale e la proprietà industriale; 1.1. Il Codice dei diritti di
Proprietà Industriale e la sua genesi ; 1.2. Considerazioni conclusive; 2. I brevetti per invenzione nel
nuovo Codice della Proprietà Industriale; 2.1. La natura e la funzione del diritto di brevetto; 2.2. I
requisiti dell’invenzione; 2.3. Tipologia di invenzioni brevettabili; 2.4. La procedura per ottenere un
brevetto; 3. La tutela del brevetto nel diritto nazionale.
1. Introduzione: la proprietà intellettuale e la proprietà industriale
La “proprietà intellettuale” è un’espressione utilizzata in modo generico per indicare
un fascio od una serie di diritti che proteggono e tutelano attività di tipo immateriale, la
cui importanza economica è fondamentale e non va sottovalutata. Essa infatti designa
l’insieme dei diritti riconosciuti da un dato ordinamento per la tutela del brevetto per
invenzione, del marchio d’impresa, del diritto d’autore, dei modelli e disegni
ornamentali, del diritto di costituzione di specie vegetali e dei diritti connessi. I diritti
creati e rientranti sotto questa definizione sono diritti di proprietà, perché si
concretizzano nei confronti di chiunque agisca contro di essi, anche se lo fa perché ne
ignora l’esistenza. Si tratta però sempre di creazioni della mente, come un’idea per
un’invenzione, una melodia ed un’armonia composte in un brano musicale o una data
raffigurazione con la funzione del marchio: essi non possono, come invece sarebbe
possibile nel caso di oggetti fisici, essere protetti contro l’utilizzo da parte di altri
soggetti, solo attraverso il mero possesso dell’oggetto. Una volta che la creazione
intellettuale sia resa disponibile al pubblico, il suo creatore di fatto non può esercitare a
lungo un controllo su di essa ed sul suo utilizzo. Questa incapacità o impossibilità di
fatto a proteggere la creazione attraverso il possesso sottende l’intero concetto di
proprietà intellettuale50.
La proprietà intellettuale ha come scopo quello di incoraggiare l’innovazione51
dando riconoscimento al creatore o all’inventore e attraverso ciò promuovere il
progresso economico e tecnologico52. All’interno della grande famiglia della Proprietà
Intellettuale ci sono quindi istituti giuridici che mirano ad offrire una qualche forma di
tutela agli innovatori: chi innova mediante l’invenzione di nuove soluzioni a problemi
tecnici potrà proteggere il proprio sforzo attraverso il “brevetto”; chi innova mediante
l’ideazione di forme estetiche di pregio potrà tutelarsi grazie all’istituto dei “modelli del
disegno industriale”; chi innova mediante la creazione di segni distintivi potrà
validamente registrare uno o più “marchi”; chi innova mediante la realizzazione di
opere dell’ingegno di carattere creativo troverà invece tutela nel “diritto d’autore”.
Brevetti, marchi, modelli di design e diritto d’autore sono i quattro pilastri della
Proprietà Intellettuale ma non esauriscono la materia, la quale si arricchisce anche della
disciplina della concorrenza sleale, della tutela del know-how, della tutela delle nuove
varietà vegetali: è comunque evidente come tutti questi istituti siano caratterizzati da
una qualche forma di innovazione meritevole di tutela. La cosiddetta Proprietà
50
WIPO, “Introduction to Intellectual Property Theory and Practice”, Kluwer Law International, Londra,
1997, p.11.
51
S. Singleton, “European Intellectual Property Law”, Financial Times – Financial publishing 1996, p.
14.
52
G. Tritton, “Intellectuale Property in Europe”, Sweet & Maxwell, Londra, 1996.
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Industriale può invece legittimamente considerarsi un sottoinsieme della Proprietà
Intellettuale, nel quale ci si interesse principalmente della protezione e valorizzazione
delle invenzioni nei vari campi della tecnica (meccanica, elettronica, chimica,
farmaceutica, biotecnologia…), dei modelli industriali (miglioramenti tecnici e
funzionali dei prodotti o delle loro forme estetiche), dei marchi commerciali che
contraddistinguono i prodotti e i servizi agli occhi dei consumatori.
Anche in questi campi, la tutela dei diritti degli inventori è di fondamentale
importanza per favorire l’innovazione, l’occupazione, la competizione e quindi lo
sviluppo economico. Quindi tre dei quattro pilastri della Proprietà Intellettuale formano
assieme anche il sostegno alla Proprietà Industriale, caratterizzata da una forma più
tecnica di innovazione. L’esclusione del diritto d’autore dal novero degli istituti della
Proprietà Industriale ha causato anche la sua esclusione dal “codice”, il quale
coerentemente prende il nome di “Codice dei diritti di Proprietà Industriale”.
L’opportunità della creazione di un “Codice dei diritti della Proprietà Intellettuale”,
complessivamente intesa, era stata ben compresa da tutti gli operatori del diritto, ma
purtroppo si è scontrata con insormontabili questioni di competenza ministeriale.
1.1 Il codice dei diritti di proprietà industriale e la sua genesi
Da un punto di vista regolamentare, la complessa materia della Proprietà
Intellettuale, fino allo scorso anno, era frazionata tra alcuni articoli generici del codice
civile ed una serie di disposizioni normative speciali risalenti agli anni ’40 del secolo
scorso e da allora più volte modificate per venire incontro ai cambiamenti sociali,
economici e tecnici53.
Al dichiarato fine di dare una nuova sistematica alla materia, possibilmente in
coerenza con le convenzioni internazionali e la legislazione comunitaria, la legge n.°
273 del 12 dicembre 2002, relativa alle “misure per favorire l’iniziativa privata dello
sviluppo della concorrenza”, ha previsto una serie di “disposizioni in materia di
proprietà industriale” tra le quali le principali sono la delega per l’istituzione delle
Sezioni Specializzate (art. 16) e la delega per il “riassetto in materia di proprietà
industriale” (art. 15). Come a dire che l’esigenza di predisporre un Codice unitario non
emergeva da esigenze normative contingenti ma si trattava di una misura di carattere
strutturale.
Il lavoro della Commissione si concretizzò inizialmente in una prima bozza datata
Luglio 2003, la quale prevedeva un testo di 236 articoli. A questa prima, ne seguirono
una seconda, datata Dicembre 2003 (241 articoli), una terza, datata Febbraio 2004 (244
articoli) ed una quarta del Luglio 2004 (246 articoli).
Il testo finale del Codice dei Diritti di Proprietà Industriale è divenuto normativa
vigente, con l’approvazione del Decreto Legislativo n.° 30 del 10 Febbraio 2005. Il
corpus consta di sette capi (oltre all’ottavo, dedicato alle disposizioni transitorie e finali)
e 246 articoli, i quali vanno ad abrogare e sostituire più di 40 diverse disposizioni
legislative che in precedenza regolavano la materia.
53
In particolare: la disciplina dei marchi e dei segni distintivi era ricompressa nel Regio Decreto n.° 929
del 21 giugno 1942; la disciplina dei modelli ornamentali che, dopo l’entrata in vigore del Decreto
Legislativo n.° 95 del 2 febbraio 2001, devono propriamente chiamarsi “modelli del disegno industriale”,
era ricompressa nel Regio Decreto n.° 1411 del 25 agosto 1940; la disciplina dei brevetti era ricompressa
nel Regio Decreto n.° 1127 del 29 giugno 1939; la disciplina del diritto d’autore era ed è ricompressa
nella Legge n.° 633 del 22 aprile 1941.
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Il riassetto sistematico dei diritti di proprietà industriale è stato effettuato per
uniformare l’ordinamento italiano a quello consacrato nei TRIPs che costituiscono un
accordo complementare dei negoziati GATT nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale
del Commercio. Questo modello è stato scelto perché è divenuto elemento essenziale di
un’economia di mercato che con l’Accordo Trips è diventato un vero e proprio statuto
della economia globalizzata, dato che questo Accordo ha funzione di convincere e di
costringere tutti gli Stati che partecipano all’Organizzazione Mondiale del Commercio a
garantire nei loro territori una tutela minima della proprietà industriale secondo le
prescrizioni concordate. In altri termini, il legislatore delegato ha scelto un modello
destinato a divenire il riferimento di tutte le legislazioni nazionali in un contesto come
quello dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Sulla base dunque di questo
modello, il Codice non si è limitato ad unificare le 40 leggi e gli innumerevoli
provvedimenti di altro tipo che, nel loro insieme, ponevano fino ad oggi la disciplina
italiana della proprietà industriale, ma pur non modificando se non nella misura
strettamente necessaria le singole disposizioni che componevano la legislazione in
vigore, ha ricostruito in un quadro nuovo e moderno i nessi sistematici che collegano i
molteplici diritti di proprietà industriale. La prima e la più importante conseguenza di
questa scelta fondamentale è stata quella di far confluire nella categoria della proprietà
industriale diritti che, in precedenza, erano protetti con le norme contro la concorrenza
sleale, a condizione che possedessero un’oggettività autosufficiente per essere
ricompresi in uno schema di tutela proprietaria. Il concetto è stato espresso nell’art. 1
del Codice, rubricato “Diritti di proprietà industriale”, nel quale vengono elencati come
oggetti di tali diritti marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche,
denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli d’utilità, topografie dei
prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali.
La prima conseguenza di questa operazione è stata quella di ampliare la categoria dei
diritti di proprietà industriale, rispetto alla sua definizione secondo la disciplina
precedente, dato che in essa vengono fatti confluire diritti che, in precedenza, erano
tutelati con norme contro la concorrenza sleale. Le norme sulla concorrenza sleale degli
artt. 2598 – 2601 c.c. costituiscono il fondamento di un diritto alla lealtà della
concorrenza che, nei suoi tratti essenziali e nel corredo sanzionatorio, non differisce dai
diritti di proprietà industriale. Bisogna convenire allora che un marchio di fatto
costituisce oggetto di proprietà industriale non diversamente di come lo è un marchio
registrato, che un’informazione aziendale riservata costituisce oggetto di proprietà
industriale non diversamente di come lo è un’invenzione brevettata, e così via. Questo è
infatti il modello deducibile dall’Accordo TRIPs, tanto più che da questo modello esula
completamente l’idea che nella tutela contro la concorrenza sleale abbiano rilevanza
interessi diversi ed antagonistici rispetto a quello del titolare del diritto e l’idea che tale
rilevanza possa segnare una distinzione rispetto all’impostazione dominicale.
D’altronde un’estensione dell’impostazione dominicale della proprietà industriale non
desta alcuna preoccupazione perché, nell’attuale fase evolutiva dell’ordinamento
nazionale, la tutela dei consumatori viene organizzata sulla base di appositi istituti, che
sono in attesa di un loro codice separato, mentre l’altro interesse antagonistico rispetto a
quello sotteso al diritto di proprietà industriale, e cioè l’interesse della collettività ad un
mercato concorrenziale libero ed efficiente, viene garantito in tutti gli ordinamenti
nazionali ed anche in quello italiano dalla Legge Antitrust: entrambi questi interessi
antagonistici sono infine garantiti dal controllo di autorità indipendenti la cui funzione è
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estranea alla tutela della proprietà industriale.54
Come l’art. 1 del Codice, anche l’art. 2, rubricato “Costituzione ed acquisto dei
diritti”, è nuovo, inedito. Ricostruita una categoria generale dei diritti di proprietà
industriale, in funzione di una tutela assoluta capace di conferire un diritto esclusivo
avente un riferimento oggettivo, era necessario distinguere tali diritti, contrapponendo
quelli che sono stati chiamata “titolati”, perché suscettibili di acquisto mediante
brevettazione oppure mediante registrazione, da tutti gli altri che, non titolati, sono
protetti ricorrendo i presupposti di legge: presupposti che non necessariamente devono
essere consacrati nello stesso Codice della proprietà industriale, ben potendo essere
contemplati altrove, come nel caso della ditta e dell’insegna i cui presupposti, oltre che
dalla generale disciplina dei segni distintivi, sono posti nel codice civile.
L’art. 2, conformemente al linguaggio ed all’assetto internazionale e comunitario,
distingue, dunque, fra diritti di proprietà industriale oggetto di brevettazione, quali
quelli sulle invenzioni, i modelli di utilità e le nuove varietà vegetali; diritti di proprietà
industriale oggetto di registrazione, quali i marchi, i disegni e modelli e le topografie dei
prodotti a semiconduttori ed, infine, diritti di proprietà industriale non titolati, quali i
segni distintivi diversi dal marchio registrato, quivi compresi i nomi di dominio, le
informazioni aziendali riservate, le indicazioni geografiche e le denominazioni di
origine.
Gli artt. 1 e 2 del Codice si pongono dunque a fondamento della sua struttura, con il
preciso scopo di conferirgli organicità e coerenza55.
L’art. 3 (Trattamento dello straniero), riunisce in un’unica disposizione tutte le
norme che in precedenza erano collocate nelle varie leggi speciali.56 Il principio è quello
della parità di trattamento fra cittadini italiani e cittadini stranieri, senza condizioni
quando si tratta di cittadini stranieri di Stati che facciano parte della Convenzione di
Parigi per la protezione della proprietà industriale oppure dell’Organizzazione Mondiale
del Commercio ed a condizione di reciprocità negli altri casi, fermo restando che tutti i
benefici che le convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dall’Italia, riconoscano
allo straniero nel territorio dello Stato si intendono automaticamente estese ai cittadini
italiani.
1.2 Considerazioni conclusive
Il giudizio complessivo sul Codice della proprietà industriale non può che essere
positivo. Esso costituisce un’opera di notevoli proporzioni con la quale si realizza
l’obiettivo di dare omogeneità al sistema e di verificarne l’attualità e la rispondenza ai
mutamenti intervenuti e alle necessità del Paese. Se n’è riconosciuta l’utilità sotto il
profilo della facilitazione di consultazione, rispetto alla necessità di tenere conto, in
precedenza, di ben 39 leggi separate e distinte, alcune risalenti a più di 60 anni fa. Per il
momento, dunque, si registra un generale consenso tra gli operatori del settore sul testo
adottato e si ritiene che esso possa apportare un significativo impulso al mondo della
54
G. Floridia, “ Il codice della proprietà industriale: disposizioni generali e principi fondamentali”, in Il
diritto industriale, N. 1/2005, p. 11 e ss.
55
G. Florida “Il Codice della proprietà industriale: disposizioni generali e principi fondamentali”, in Il
Diritto Industriale, n. 1, 2005, p. 15.
56
Gli artt. 23 e 24 della L. Marchi, dell’art. 21 della L. Invenzioni, dell’art. 5 d) della Legge sulle
topografie dei prodotti a semiconduttori, dell’art. 10 delle norme di adeguamento alle prescrizioni
dell’atto di revisione del 1991 della Convenzione Internazionale per la Protezione delle Novità Vegetali.
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ricerca e dell’innovazione57.
Il codice approvato risponde alla finalità della semplificazione ed è segnale visibile
dell’attenzione dedicata ad un tema cruciale per la nostra economia, a lungo
sottovalutato o non considerato, e della necessità di adeguare la nostra legislazione alle
norme internazionali intervenute, soprattutto relativamente alla semplificazione delle
procedure, che l’Italia aveva sottoscritto ma non ancora trasfuso nella legislazione
nazionale. E’ stata l’occasione per l’Ufficio brevetti e marchi di portare in Commissione
le problematiche inerenti la ”gestione” dei titoli di P.I., ma anche la necessità di
promuovere il sistema di P.I. presso le imprese e presso tutti gli attori interessati alla
tutela dell’innovazione. Un’occasione unica di revisione della legislazione in cui, anche
se non sempre recepite, sono state portate all’attenzione del legislatore, e attentamente
valutate rispetto ai limiti della delega e alle caratteristiche del sistema italiano, le
soluzioni conosciute nel corso dell’intensa attività di scambio, bilaterale e multilaterale,
portata avanti dall’Ufficio in questi ultimi due anni, nonché le esigenze rappresentate
dal mondo produttivo.
Il Codice ha, infatti, cambiato l’assetto di presentazione delle norme e questo ha
comportato un lavoro enorme di ricognizione e valutazione di merito delle disposizioni
vigenti. L’esposizione delle norme ricalca l’organizzazione dei TRIPs e ne ha dunque
internazionalizzato l’assetto, per ciò mettendo a disposizione di tutti, titolari e
professionisti italiani e non, un linguaggio giuridico più semplice perché già
conosciuto58. Vedere finalmente entrare in vigore istituti che aspettavamo da più di un
lustro, provvedimenti la cui mancanza era lamentata da svariati anni, come il
regolamento sulle nuove varietà vegetali, l’aver inserito le norme anticontraffazione
come segno stabile dell’inversione di tendenza del nostro Paese, l’aver recepito tutte le
norme di semplificazione procedurale contenute nei trattati internazionali sui marchi e
sui brevetti, rendendo più lineare e meno burocratico l’utilizzo del sistema, rappresenta
un risultato di grande soddisfazione. Due però le delusioni59 : prima di tutto resta il
rammarico di non aver potuto cogliere l’occasione per la riforma dell’Ufficio italiano
Brevetti e Marchi, fondamentale per il rilancio del sistema; infine, la mancata modifica
della normativa introdotta nel 2001, che regola la titolarità delle invenzioni dei
ricercatori universitari; proposta che avrebbe consentito di tarare la normativa in modo
più aderente alle reali necessità delle università, che svolgono un ruolo di snodo vitale
nella trasmissione dell’innovazione alle imprese60.
2. I Brevetti per invenzione nel nuovo codice della proprietà industriale
Uno dei fattori più significativi dell’evoluzione dell’umanità è stata la straordinaria
capacità di partecipare collettivamente alle conoscenze dei singoli. Per progredire era
necessario mettere a disposizione di tutti le conoscenze a cui i singoli pervenivano, in
modo spontaneo piuttosto che attraverso uno studio applicato. La condivisione delle
conoscenze è stata fino ad un certo momento spontanea, fino a che essa ha rischiato di
57
D. Palma “Il nuovo C.p.i. e la sua attinenza ai criteri di delega” in Il Diritto Industriale, n. 5, 2005, p.
448.
58
V. Ubertazzi, “Osservazioni preliminari sul Codice della Proprietà Industriale”, in Quaderni AIDA,
2004, p. 11, p. 3 e ss.
59
Ghidini e Panucci, “Codice utile ma non basta”, in Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2005, p. 29.
60
L. Agrò “Prime riflessioni sulle novità introdotte dal Codice della proprietà industriale”, in Il Diritto
Industriale, n. 1, 2005, p. 9 e ss.; G. Floridia “Il Codice: perplessità e scadenze”, in Il Diritto Industriale,
n. 1, 2005, p. 5 e ss.
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rallentare lo sviluppo di nuove nozioni, cosicché sono intervenute regole che l’umanità
si è man mano data.
L’idea secondo cui l’inventore inventa e pretende di sfruttare per sé e
indefinitamente la sua scoperta, la collettività con le sue regole pretende la diffusione
delle conoscenze ed in cambio riconosce all’ingegnoso cittadino un periodo limitato di
tempo in cui beneficiare, a titolo esclusivo della sua invenzione, sono alla base di tutto il
sistema brevettale moderno61. L’istituto delle privative brevettali è quindi tutt’altro che
un ostacolo allo sviluppo tecnico – scientifico. Al contrario, esso è orientato a favorire
ed incentivare lo sviluppo come risultato ed in funzione della diffusione delle
conoscenze.
Con l’avvento della civiltà industriale, si è concretizzata l’esigenza di regolamentare
l’attività inventiva prima di pochi ed isolati ingegni e poi sempre più diffusa ed
organizzata. Perciò gli Stati hanno via via creato regole per accogliere, proteggere ed
incentivare le nuove scoperte e le invenzioni.
2.1 La natura e la funzione del diritto di brevetto
La nozione di brevetto è relativamente semplice: esso è l’istituto giuridico attraverso
il quale l’ordinamento presso cui è depositata la domanda assicura all’inventore il diritto
di utilizzazione esclusiva dell’invenzione per un determinato lasso di tempo. In questo
modo l’inventore è tutelato contro ogni rischio di distruzione o diffusione del segreto,
perché il suo diritto di esclusiva avrà validità per tutto il tempo, stabilito dalla legge,
indipendentemente dal fatto che altri siano in grado o meno di realizzare la stessa
invenzione. Il diritto di brevetto quindi, consiste nella facoltà esclusiva che spetta al
titolare, di attuare l’invenzione e trarne profitto nel territorio dello Stato: l’inventore può
trarre profitto dall’invenzione direttamente, sfruttandola in regime di monopolio, oppure
indirettamente, cedendo ad altri dietro compenso il diritto di utilizzarla. In pratica se il
brevetto riguarda un prodotto, il titolare del brevetto avrà il diritto esclusivo sulla
produzione, l’uso, la messa in commercio e la vendita in Italia, nonché l’importazione
del prodotto medesimo. Se oggetto del brevetto è un procedimento, il titolare del
brevetto avrà il diritto esclusivo di applicarlo, nonché di mettere in commercio, vendere
o importare il prodotto realizzato con tale procedimento.
Il diritto sulla
commercializzazione dei prodotti, però, trova un limite nel “principio di esaurimento”,
in base al quale il titolare del brevetto non può impedire gli atti di disposizione del
prodotto successivi alla prima commercializzazione, avvenuta con il suo consenso. In
pratica, dopo che il titolare del brevetto ha posto in commercio il prodotto nel territorio
dello Stato, non potrà più impedire che il prodotto continui a circolare e che altri lo
metta in vendita o comunque ne faccia uso. Tale principio è stato elevato dal Codice a
norma generalmente valida per tutti gli istituti della proprietà industriale62. Il diritto di
sfruttare in regime di esclusiva l’invenzione per la quale si sia chiesto il brevetto, è
61
Sulla materia dei brevetti cfr. G.W. Rhodes, Patent Law Handbook: 2000-2001 edition, West Group,
St.Paul Minnesota, 2000; E.W. Kitsch, The nature and Function of the Patent System, in J.L.E., volume
20, 1977, p. 265; G. Sena, P. Frassi, S. Giudici, “Codice di diritto industriale, marchi, invenzioni, disegni
e modelli, novità vegetali, diritto d’autore e topografie dei prodotti a semiconduttori”, Kluwer IPSOA,
Milano, 2001; V. Di Cataldo, “Il Codice Civile Commentario. I brevetti per invenzione e per modello,
artt. 2584 – 2594 seconda edizione”, Giuffrè, Milano, 2000.
62
Il nuovo art. 5, comma 1, c.p.i., infatti, cita: “Le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al
titolare di un diritto di proprietà industriale, si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di
proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello
Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo”.
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circoscritto al territorio italiano: nessuno potrà, in Italia, applicare il procedimento
brevettato o produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il
prodotto brevettato o ottenuto tramite il procedimento in questione. L’invenzione è
protetta in quanto soluzione originale di un problema tecnico: non sono protetti il
prodotto o il procedimento in sé, ma l’uso e la funzione che questi assolvono. Il brevetto
di prodotto, non copre ogni possibile utilizzo del medesimo; il prodotto è tutelato solo in
quanto serve a risolvere il problema tecnico di sui si parla nella domanda di brevetto: il
prodotto è il mezzo, e non il fine della tutela. Un terzo potrebbe usare o addirittura
brevettare lo stesso prodotto in relazione ad un uso diverso: è la cosiddetta “invenzione
di traslazione”, la cui caratteristica è l’applicazione di un’idea alla soluzione di un
problema tecnico differente da quello per cui era stata elaborata. Così se taluno
brevettasse una colla di nuova concezione, il giorno che altri scoprisse le proprietà
smaltanti di tale colla, potrebbe legittimamente rivendicare un brevetto su tale utilità e
quindi produrre e commercializzare la medesima sostanza nella diversa funzione di
smalto. L’oggetto e la funzione del brevetto, e quindi l’ambito sostanziale
dell’esclusiva, vengono determinati in base alla domanda di brevetto: l’ampiezza di
copertura dell’esclusiva brevettale (i confini dell’invenzione) è determinata dalle
rivendicazioni contenute nella domanda di brevetto, interpretate alla luce della
descrizione dell’invenzione pure ivi contenuta. Il diritto di sfruttamento esclusivo
conseguito a seguito della brevettazione dell’invenzione dura 20 anni63, decorrenti dalla
data di deposito della domanda di brevetto. Tale limite temporale è improrogabile e non
è ammesso il rinnovo del brevetto in quanto la legge, scaduto il termine ventennale,
ritiene ormai compensato lo sforzo inventivo e ritiene acquisita l’invenzione alla libera
disponibilità della collettività, evitando il rischio che il monopolio sull’invenzione si
protragga troppo a lungo, a danno della società. Fin dal momento della scoperta o
dell’invenzione, l’inventore dovrà decidere se brevettare o meno ciò che ha ideato: è
conveniente mantenere il segreto e rischiare eventualmente che altri giungano alle
medesime conclusioni o è preferibile depositare domanda di brevetto, con il
conseguente obbligo di rendere pubblico ed accessibile ciò che si è inventato?64Sarà
ovviamente necessaria un’attenta valutazione del caso: se all’invenzione possono
facilmente addivenire soggetti che si occupano della materia, è senza dubbio preferibile
optare per la brevettazione, assicurandosi così almeno un periodo di assoluto
monopolio65. Al contrario in molti altri casi la brevettazione equivarrebbe ad una
63
L’unica eccezione al limite di durata temporale è prevista per i brevetti di medicamenti: all’invenzione
di un farmaco non consegue l’immediata commerciabilità dello stesso, esigendosi un ulteriore periodo di
accertamenti e sperimentazioni. Perciò la legge consente al titolare del brevetto, entro 180 giorni
dall’autorizzazione alla messa in commercio del medicamento e comunque almeno 180 giorni prima della
scadenza del brevetto, di chiedere ed ottenere dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi un “certificato
complementare di protezione”, il quale prolunga l’esclusiva brevettale per un periodo di tempo uguale a
quello trascorso tra il deposito della domanda di brevetto e l’autorizzazione alla messa in commercio del
prodotto. Se l’autorizzazione interviene prima che sia terminato il procedimento di brevettazione, la
domanda deve essere presentata entro 6 mesi dal rilascio del brevetto. Il prolungamento temporale del
diritto di esclusiva non può in ogni caso superare i 18 anni.
64
Sul dualismo “brevettazione o segreto” si veda Accord ADPIC, Accord sur les aspects des droits de la
proprieté intellectuelle qui touchent le commerci. Protection conférée par les brevets, a cura della
Commissione Europea, edizioni Eur – op, 2000.
65
Ad esempio appartengono a questo primo gruppo di invenzioni i composti chimici utilizzati in
medicina oppure macchinari domestici come le macchine da cucire. Sul tema si veda Accord ADPIC.
Protection conférée par les brevets, nel capitolo dedicato a “Recours au brevet – Situation variable selon
le secteur industriel”, p. 16: in esso si afferma che i settori maggiormente interessati alla materia
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semplice e diretta divulgazione di un’invenzione che verosimilmente non potrebbe
essere decifrata e quindi essere oggetto di contraffazione da parte di eventuali
concorrenti. Spesso si tratta di invenzioni concernenti il procedimento di fabbricazione
che, neanche attraverso un’attenta analisi, potrebbe essere svelato e quindi riproposto66.
Il rilascio di un brevetto è una sorta di contratto tra il soggetto che intende brevettare e
la collettività: il primo mette a disposizione le sue invenzioni, offrendo di esse una
adeguata e puntuale descrizione, perché il pubblico possa con il tempo godere dei suoi
benefici; la società remunera l’inventore per il suo apporto al patrimonio collettivo
attraverso l’attribuzione di un diritto esclusivo, limitato nel tempo. Ovviamente tale tipo
di tutela non sarà concessa a tutti coloro che affermino di aver inventato “qualcosa”, ma
esclusivamente a chi riesca a dimostrare che la sua innovazione possiede determinati
requisiti richiesti dalla legislazione che concede il diritto stesso. Poichè i brevetti per
invenzioni appartengono alla vasta famiglia della proprietà intellettuale, essi senza
dubbio condividono con gli altri diritti di privativa, lo stesso ruolo nello scenario
commerciale nazionale ed internazionale. In generale infatti, la proprietà industriale
contribuisce alla crescita e allo sviluppo economico e, tramite questi, migliora il
benessere della popolazione. I diritti di privativa incoraggiano infatti, le attività di
ricerca perché incentivano le imprese e gli inventori ad investire il loro tempo ed il loro
denaro in cambio della possibilità di ottenere adeguate ricompense per gli sforzi
compiuti.
Molti paesi, tuttavia, ritengono che l’esistenza dei diritti di privativa sia un ostacolo
insormontabile per l’industria locale e benefici solo i grandi Paesi industrializzati, ma
molti studiosi e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, sostengono esattamente il
contrario: in Italia ed in Giappone ad esempio, l’industria farmaceutica ha iniziato a
prosperare in seguito all’instaurazione di una protezione efficace per i brevetti sui
farmaci; così in India l’industria locale dei software si è sviluppata in maniera
esponenziale grazie all’applicazione delle normative a tutela del diritto d’autore.
Ovviamente l’innovazione non deve essere limitata a pochi Stati: tutti possono e devono
parteciparvi, al fine di trarre vantaggio e profitto dall’aumento degli scambi
commerciali, ma ciò è subordinato all’esistenza e all’applicazione di adeguate tutele per
i diritti di proprietà intellettuale.
Nello specifico, l’imprenditore che investe ed innova e la collettività che fruisce
brevettale, che da essa hanno tratto i maggiori benefici, sono l’industria farmaceutica, l’agro-chimica,
l’industria degli strumenti elettronici, le telecomunicazioni, l’ingegneria e la costruzione aerospaziale.
66
Si pensi al caso della bevanda analcolica probabilmente più famosa al mondo, la Coca Cola: essa
rappresenta l’esempio più significativo di un prodotto non coperto da brevetto, ma tutelato dalla
segretezza ormai da oltre cento anni. La formula alla base della bevanda, risultato dell’invenzione geniale
di tale Mr. Pemberton66, è tutelata non da un istituto giuridico, ma appunto dal segreto aziendale: le
possibilità che un terzo addivenga casualmente o volontariamente alla formula sono talmente esigue, che
si decise alla fine dell’ottocento, perpetuando la scelta fino ai nostri giorni, di non richiedere la protezione
brevettale, per la cui concessione sarebbe stata necessaria la divulgazione di tutta la formula. Per una
sintetica informazione sulla storia della Coca Cola si veda: La storia della Coca Cola, 19 marzo 1998, in
www.provincia.torino.it/Scuole, nonché il sito ufficiale della compagnia americana, www. Cocacola.com. Lo stesso ragionamento fu seguito più recentemente e sempre con successo dalla società
Ferrero di Alba, con riferimento alla Nutella. Si ricordi infine che tale ragionamento, che ha dato vita
all’immenso colosso economico e commerciale americano, è da molte parti criticato e la società oggetto
di pesanti attacchi: tra essi quelli dell’ultimo movimento degli anti-brevetti, nato in America e chiamato
“copyleft”. L’Opern Cola, bevanda dalla formula pubblica e riproducibile prova a demolire il dominio
della Coca Cola. Si veda: Copyleft: open cola contro la coca cola, 18 marzo 2002, in www.inventati.org
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delle invenzioni dell’impresa, hanno un interesse in comune67: evitare che la protezione
dell’innovazione sia affidata al segreto aziendale; questa duplice preoccupazione
costituisce la base dell’istituto brevettuale.
L’idea secondo cui il brevetto favorisce il progresso tecnico si regge su tre
ragionamenti: il sistema brevettale costituisce un incentivo ed uno stimolo all’attività
inventiva, perché promette al titolare un diritto di esclusiva per un periodo abbastanza
lungo; tale promessa spinge l’inventore a scegliere la divulgazione protetta piuttosto che
il segreto aziendale, a vantaggio della collettività; il sistema consente una circolazione
dietro compenso del diritto sulle invenzioni, la quale permette il loro sfruttamento in
termini quantitativamente ottimali. A queste argomentazioni sono state mosse nel tempo
moltissime critiche, prima fra tutte quella secondo cui il carattere anticoncorrenziale del
sistema brevettale lo renda ostacolo piuttosto che incentivo all’intero sistema
economico.
E’ in generale prevalsa però la prima tesi qui esposta, che ravvisa nel brevetto una
valenza positiva, a vantaggio sia dell’inventore che della collettività.
2.2 I requisiti dell’ invenzione
Abbiamo già detto che non tutte le invenzioni e le scoperte sono brevettabili; la
legge disciplina analiticamente che cosa può essere brevettato; a chi spettano i diritti
sull’invenzione; come avviene la procedura di brevettazione; quali diritti conferisce il
brevetto e come questi diritti vengono tutelati; come possono essere ceduti i diritti di
sfruttamento del brevetto.
Chiunque pensi di aver dato vita ad un’invenzione tutelabile con un brevetto, deve
innanzitutto chiedersi, prima che lo faccia l’apposita commissione deputata all’analisi
prima della concessione, se il suo lavoro soddisfa tutti i requisiti richiesti ai fini della
brevettazione. I legislatori di tutti i Paesi che possiedono regole sulla disciplina infatti,
nel tentativo di dar vita a brevetti il più possibile sicuri ed inattaccabili, hanno fissato
condizioni rigide per la concessione dei diritti; nella stessa direzione si è mosso il
legislatore comunitario impegnato a disegnare le regole per la gestione a livello europeo
della materia, attraverso la determinazione del diritto sostanziale contenuto nella
Convenzione sulla Concessione di Brevetti Europei, conclusa a Monaco di Baviera il 5
ottobre 1973.
L’ordinamento giuridico dice che possono essere oggetto di brevetto le invenzioni
nuove che implicano attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione
industriale68. Possono costituire un’invenzione un metodo o un processo di lavorazione
industriale, una macchina, uno strumento, un utensile o un dispositivo meccanico, un
prodotto o un risultato industriale; anche l’applicazione tecnica di un principio
scientifico, purchè essa dia immediati risultati industriali; ma il diritto di brevetto è
limitato ai soli risultati specificamente indicati dall’inventore.
67
Il brevetto risulta infatti molto utile alla collettività in quanto assicura alla stessa l’acquisizione stabile
dell’invenzione al patrimonio collettivo. Poiché infatti il rilascio del brevetto è subordinato alla completa
e puntuale descrizione dell’invenzione ad opera del suo inventore, qualunque cosa accada a quest’ultimo,
la collettività sarà tutelata e l’invenzione non potrà andar persa. Ovviamente se non esistesse l’istituto
brevettale, l’impresa sarebbe incentivata a mantenere il segreto aziendale, nella speranza che nessun altro
scopra la sua formula, a danno della collettività, che sarebbe privata di nuove nozioni della tecnica e della
scienza.
68
L’art. 45 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale cita infatti espressamente che “possono costituire
oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad
avere un’applicazione industriale”.
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L’elenco di ciò che può essere oggetto di brevetto ha una natura puramente
esemplificativa: si tratta quindi di un sistema aperto a nuove tipologie di invenzioni,
fatte salve le esclusioni espressamente previste dalla legge. L’elenco di ciò che non
costituisce invenzione brevettabile è invece tassativo, e comprende69: le scoperte, le
teorie scientifiche e i metodi matematici; i piani, i principi e i metodi per attività
intellettuali, per gioco o per attività commerciali e i programmi di elaboratori; le
presentazioni di informazioni.
Inoltre, non sono considerate come invenzioni i metodi per il trattamento chirurgico
o terapeutico del corpo umano o animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano
La legge precisa poi che l’esclusione dal novero delle invenzioni non
o animale70 .
opera nei confronti dei prodotti, in particolare delle sostanze o delle miscele di sostanze,
impiegati per l’attuazione dei metodi diagnostici, terapeutici o chirurgici: non
costituisce invenzione il metodo, possono costituirla gli strumenti necessari alla sua
applicazione.
In generale, a livello comunitario e nazionale, perché un’invenzione sia brevettabile
sono richiesti tre requisiti71: l’industrialità, la novità e l’originalità. Quando anche uno
solo dei suddetti requisiti non sia soddisfatto, l’invenzione non è suscettibile di essere
tutelata tramite brevetto.
Non possono invece costituire oggetto di brevetto le invenzioni la cui attuazione
sarebbe contraria all’ordine pubblico o al buon costume72. Da queste disposizioni si
deducono i requisiti richiesti per la brevettabilità: novità, originalità, industrialità e
liceità.
Secondo la legge un’invenzione è nuova quando al momento del deposito della
domanda di brevetto non è compresa nello stato della tecnica73; lo “stato della tecnica” è
tutto ciò che è reso accessibile al pubblico sul territorio del Stato in cui è richiesta la
brevettazione o all’estero74, prima della domanda di brevetto, attraverso un’utilizzazione
pratica, una descrizione orale o scritta o un qualsiasi altro mezzo. L’invenzione è
ritenuta accessibile al pubblico quando al momento del deposito della domanda di
brevetto esistono anteriorità o predivulgazioni dell’invenzione medesima (fatto salvo il
diritto di priorità). Un’invenzione divenuta accessibile al pubblico viene infatti ritenuta
69
Art. 45, comma 2 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale.
G.F. Casucci, “Invenzioni non brevettabili. Metodi chirurgici, terapeutici o di diagnosi”, in Diritto
Industriale 1996, p. 658.
71
Sui requisiti di brevettabilità, anche in ambito comunitario, si vedano:G. Rocco, Come depositare
brevetti e marchi. Procedure, modelli, registrazioni, convenzioni internazionali, posizione dell’OMC,
Giuffrè, Milano, 2001, p. 9; R. Singer & M. Singer, Il Brevetto Europeo. Traduzione e riferimenti alla
legislazione italiana di F. Benussi. Prefazione di G. Sena,UTET, 1993, p. 91; G. Cottino, Diritto
Commerciale, Volume Primo, Tomo Primo, Terza edizione. Imprenditore, impresa ed azienda. Segni
distintivi, brevetti e concorrenza, CEDAM, Padova, 1993, p. 336.
72
L’art. 50 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale cita infatti: “non possono costituire oggetto di
brevetto le invenzioni la cui attuazione è contraria all’ordine pubblico o al buon costume. L’attuazione di
un’invenzione non può essere considerata contraria all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto
di essere vietata da una disposizione di legge o amministrativa”.
73
Art. 46, comma 1, del Codice dei diritti di Proprietà Industriale.
74
Il citato art. 46, comma 2, afferma che: “ lo stato della tecnica è costituito da tutto ciò che è stato reso
accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all’estero prima della data del deposito della domanda
di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo”.
Ancora, il comma 3 aggiunge che “è pure considerato come compreso nello stato della tecnica il
contenuto di domande di brevetto nazionale o di domande di brevetto europeo o internazionali designanti
e aventi effetto per l’Italia”.
70
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acquisita allo stato della tecnica, ossia al patrimonio culturale della collettività, e non vi
è più ragione di beneficiare l’inventore di un diritto di sfruttamento esclusivo. La novità
risiede quindi in tutti gli elementi dell’invenzione, che non devono essere stati divulgati
al pubblico ad opera dell’inventore o di qualsiasi altra persona, in nessuna parte del
mondo75. Le uniche deroghe a questa regola, previste dalla Convenzione di Parigi del
1928, riguardano i casi in cui la divulgazione è avvenuta a seguito di abuso evidente
perpetrato ai danni dell’inventore.
Si parla di anteriorità distruttive della novità di un brevetto quando, alla data in cui la
domanda di brevetto viene depositata, sia già stata pubblicata, in Italia o all’estero e per
la medesima invenzione, una domanda di brevetto coincidente. Se in teoria non
costituiscono anteriorità le domande di brevetto non ancora pubblicate (l’inventore non
avrebbe potuto conoscere l’idea altrui), l’esigenza di non incorrere nella contraddizione
di concedere due diritti di sfruttamento esclusivo sulla medesima invenzione impone di
considerare anteriorità anche le domande non ancora pubblicate di brevetti italiani,
brevetti europei o brevetti internazionali che comprendono l’Italia. Costituisce inoltre
un’anteriorità ostativa della concessione di un brevetto, l’uso che altri abbia già fatto
dell’invenzione al momento del deposito della domanda: si tratta del cosiddetto “preuso
dell’invenzione”, che impedisce la brevettazione dell’invenzione solo nella misura in
cui l’abbia resa conoscibile alla collettività. Il cosiddetto diritto di preuso, tutela chi ha
impiegato nella propria azienda, mantenendola segreta, l’invenzione brevettata
successivamente da altri. L’inventore può infatti preferire di utilizzare l’idea in regime
di segreto invece di brevettarla, correndo però il rischio che avvengano fughe di notizie
o che altri raggiungano la medesima invenzione e ne chiedano la brevattazione. La
legge prevede che con il diritto di preuso, il primo inventore potrà continuare a sfruttare
l’invenzione, entro i limiti in cui già ne usava. Il diritto di preuso è concesso solo se vi
sia stato uso dell’invenzione nei dodici mesi precedenti la domanda di brevetto altrui, a
nulla rilevando un uso precedente76. Il preutente non potrà inoltre impedire a nessuno di
impiegare l’invenzione, poiché tale diritto di esclusiva deriva solo dalla brevettatozione,
e non potrà cedere il diritto di preuso ad altri se non unitamente all’azienda od al ramo
di azienda cui l’invenzione appartiene. Il diritto di preuso è anche concesso a chi abbia
iniziato, o abbia fatto preparativi seri ed effettivi, ad usare un’invenzione a seguito della
concessione di una licenza obbligatoria, successivamente revocata.
La predivulgazione consiste nel fatto dell’inventore o di un terzo che, prima del
deposito della domanda di brevetto, portino l’invenzione a conoscenza del pubblico: ciò
avviene di solito quando l’inventore descrive il suo ritrovato in articoli giornalistici,
conferenze, colloqui privati. E’ considerata accessibile al pubblico anche l’invenzione
che sia comunicata dall’inventore a persone non obbligate a mantenere il segreto,
quando queste siano in grado di comprendere quanto gli è comunicato o, almeno, di
ritrasmetterlo a chi abbia una simile capacità. Costituisce predivulgazione anche
l’esposizione dell’invenzione in fiere o avvenimenti pubblici, salvo che si tratti di
75
Se, ad esempio, un inventore prima commercializza l’oggetto della sua invenzione e poi deposita
domanda di brevettazione con riferimento alla stessa invenzione, la sua richiesta verrà sicuramente
bocciata per l’insussistenza del requisito della novità. Si tratta di ipotesi non molto rare nella realtà,
poiché molti inventori verificano prima il successo ottenibile presso il pubblico dall’invenzione e poi, in
caso di risposta positiva, decidono di presentare richiesta di brevettazione.
76
L’art. 68, terzo comma, c.p.i., dice infatti: “chiunque, nel corso dei dodici mesi anteriori alla data di
deposito della domanda di brevetto o alla data di priorità, abbia fatto uso nella propria azienda
dell’invenzione, può continuare ad usarne nei limiti del preuso. Tale facoltà è trasferibile soltanto insieme
all’azienda in cui l’invenzione viene utilizzata. La prova del preuso e della sua estensione è a carico del
preutente”.
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esposizioni ufficiali o ufficialmente riconosciute ai sensi della Convenzione di Parigi
del 22 novembre 1928 e successive modificazioni. Non costituisce invece
predivulgazione la rivelazione dell’invenzione a persone tenute a mantenere il segreto:
tipico caso, il consulente in brevetti che viene incaricato di valutarne la brevettabilità.
Ma, se queste vengono meno all’obbligo della riservatezza e l’invenzione diviene
accessibile al pubblico, la possibilità di ottenere la brevettazione è irrimediabilmente
persa: si potrà chiedere il risarcimento dei danni ai responsabili della divulgazione che
erano tenuti a mantenere il segreto. L’unico consiglio che si può dare per chi non ha
ancora brevettato la propria invenzione è quindi il più semplice e banale: mantenere su
di essa il segreto!!
Lo stato della tecnica da tenere in considerazione per valutare la novità del brevetto è
quello mondiale. Quindi, oltre che dei brevetti italiani, nella valutazione della novità
andranno valutati: i vari sistemi brevettali nazionali;il brevetto europeo;il brevetto
internazionale.
Quando il richiedente un brevetto ha già depositato, per la stessa invenzione o per
un’invenzione che la ricomprenda, una domanda di brevetto in un altro ordinamento,
gode per 12 mesi del diritto di priorità: ciò significa che l’esame della novità
dell’invenzione viene effettuato con riferimento alla situazione esistente alla data del
primo deposito, evitando la possibilità che gli vengano opposte anteriorità o
predivulgazioni occorse nell’intervallo tra la prima e la seconda domanda.
La rilevanza pratica di questa regola è che a partire dal giorno della brevettazione in
un altro sistema, l’inventore avrà la possibilità di decidere entro un anno se includere
l’Italia tra i Paesi in cui tutelare e sfruttare la propria invenzione.
Il Codice dei Diritti di Proprietà Industriale ha portato un’importante innovazione in
tema di priorità, facendone un principio generalmente valido per tutti i diritti di PI e
coordinando le disposizioni anteriori77.
Lo stato della tecnica è coinvolto anche nella valutazione del secondo requisito
riguardante l’attività inventiva. Infatti, perché l’invenzione sia brevettabile non è
sufficiente che essa non sia stata divulgata in nessuna parte del mondo prima della
presentazione della domanda: è altresì indispensabile che essa fornisca un apporto,
anche minimo, allo stato della tecnica e che essa non sia una semplice deduzione
rispetto alle conoscenze già acquisite, facilmente percepibile da una qualunque persona
esperta del ramo78. Questo perché la legge vuole che l’idea non solo sia nuova, ma
77
L’art. 4 sancisce infatti che: “ Chiunque abbia regolarmente depositato, in o per uno Stato facente parte
di una convenzione internazionale ratificata dall’Italia che riconosce il diritto di priorità, una domanda
diretta ad ottenere un titolo di proprietà industriale o il suo avente causa, fruisce di un diritto di priorità a
decorrere dalla prima domanda per effettuare il deposito di una domanda di brevetto d’invenzione, di
modello di utilità, di privativa di nuova varietà vegetale, di registrazione di disegno o modello e di
registrazione di marchio, secondo le disposizioni dell’art. 4 della Convenzione di Unione di Parigi. Il
termine di priorità è di dodici mesi per i brevetti d’invenzione ed i modelli di utilità e le varietà vegetali,
di sei mesi per i disegni o modelli ed marchi. E’ riconosciuto come idoneo a far nascere il diritto di
priorità qualsiasi deposito avente valore di deposito nazionale regolare, cioè idoneo a stabilire la data alla
quale la prima domanda è stata depositata, a norma della legislazione nazionale dello Stato nel quale è
stato effettuato, o di accordi bilaterali o plurilaterali, qualunque sia la sorte ulteriore di tale domanda”.
78
Indizi importanti dell’originalità possono essere: la maggior o minor utilità dell’invenzione; la quantità
di tempo trascorsa da quando l’invenzione sarebbe stata ormai evidente a quando essa è stata
effettivamente realizzata (più tempo è passato e meno sostenibile è l’idea dell’evidenza); la presenza di
una pregressa e infruttuosa attività di ricerca altrui volta a realizzare la medesima invenzione; il successo
ottenuto ex post dall’invenzione per cause legate alla sua utilità. Nelle invenzioni farmaceutiche i giudici
individuano l’originalità nell’aver intuito che, mediante modifiche di sostanze già note, si perviene ad
altre sostanze dotate di proprietà utili.
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anche che rappresenti un’apprezzabile progresso tecnico rispetto alla situazione tecnica
precedente79. Il giudizio sull’originalità non avviene durante l’iter che porta
all’accoglimento della domanda di brevetto; sono i terzi che ritengono il brevetto
carente di originalità a promuovere innanzi ai giudici ordinari la domanda di nullità del
brevetto per mancanza di originalità. Perciò, può darsi il caso di brevetti carenti di
originalità, ma formalmente validi e sostanzialmente efficaci.
Il terzo requisito risulta di più immediata comprensione: l’invenzione può avere
applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in qualunque
impresa, comprese quelle di tipo agricolo. Concretamente ed ai fini pratici, si può dire
che i giudici valutano l’industrialità sulla base del fatto che l’invenzione sia
riproducibile con caratteri costanti e sia tecnicamente realizzabile, a prescindere dalla
convenienza economica dell’operazione80.
Un’invenzione è ritenuta illecita dalla legge, e pertanto non brevettabile, quando la
sua attuazione sarebbe contraria all’ordine pubblico o al buon costume.
Quando un brevetto non è attuato o lo è in maniera non adeguata e sufficiente, si può
chiedere al titolare la concessione di una licenza e laddove egli rifiuti, rivolgersi
all’autorità competente, l’Ufficio brevetti e marchi nel caso italiano, che potrà imporre
al titolare di concedere una licenza, denominata “obbligatoria”, dato l’intervento
amministrativo. Quando l’autorità competente accerti l’esistenza di questi requisiti e
l’assenza di eventuali impedimenti, si procederà alla concessione del diritto di brevetto,
il quale avrà una durata determinata dalla legislazione dello Stato concedente,
solitamente venti anni, non rinnovabili.
2.3 Tipologia di invenzioni brevettabili
La prima grande suddivisione da operare all’interno dell’enorme campo delle
invenzioni è quella tra invenzioni di prodotto ed invenzioni di procedimento. Le prime
fanno riferimento alla realizzazione di un nuovo prodotto da immettere sul mercato a
disposizione dei consumatori finali; le seconde riguardano i procedimenti, i metodi di
lavorazione attraverso cui un certo bene è realizzato. Tra le prime ritroviamo ad
esempio un nuovo dispositivo, un oggetto di uso comune, nonché un prodotto chimico o
una composizione.
In secondo luogo le invenzioni possono essere principali o derivate. Le prime sono
quelle a cui l’inventore perviene senza alcun collegamento o nesso con altre precedenti
invenzioni; le altre invece hanno la loro origine in altre invenzioni. Queste ultime sono a
loro volta suddivise in invenzioni di perfezionamento, se apportano un miglioramento o
un’aggiunta all’invenzione da cui originano, di traslazione, se applicano la precedente
concezione inventiva ad un nuovo settore della tecnica industriale, di combinazione, se
combinano precedenti invenzioni o parti di esse. In tutti i casi rimane fermo il requisito
dell’attività inventiva ed originale.
Da un punto di vista prettamente giuridico, le invenzioni possono essere indipendenti
o dipendenti: queste ultime potranno essere brevettate solo con il consenso del titolare
dell’invenzione da cui esse derivano, a meno che non si tratti dello stesso soggetto che
ha proseguito la sua attività di ricerca. In questi casi l’ordinamento prevede la
concessione di una licenza obbligatoria nel caso in cui il titolare del brevetto di partenza
79
Art. 48 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale.
L’art. 49 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale afferma che: “ un’invenzione è considerata atta
ad avere un’applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere
di industria, compresa quella agricola”.
80
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si rifiuti di concederne l’utilizzo ostacolando l’attuazione di eventuali invenzioni
dipendenti, frenando quindi notevolmente l’avanzamento della tecnica81. Il diritto del
titolare del brevetto ad opporsi a qualsiasi uso non autorizzato è sacrificato a favore
dell’interesse generale e pubblico al progresso tecnico.
Infine non si dimentichi che non è detto che l’inventore sia allo stesso tempo titolare
del brevetto.
La legge stabilisce che l’autore ha due diversi diritti (oltre a quello sul preuso):
quello di essere riconosciuto autore dell’invenzione, (il diritto morale sull’invenzione);
quello di brevettare l’invenzione medesima (da cui, dopo la brevettazione, scaturirà il
diritto sul brevetto).
Il primo è strettamente personale e non ha valore economico; il secondo concerne lo
sfruttamento economico dell’invenzione ed è cedibile.
Nascono molte complicazioni quando l’autore non è uno solo ma l’invenzione è il
frutto della collaborazione (intellettuale e/o finanziaria) di più persone: stabilire a chi
spettano i relativi diritti è spesso compito arduo e fonte di accanite battaglie legali.
E’ giusto che chi ha ideato ed elaborato l’invenzione ne sia riconosciuto autore,
anche se il diritto di sfruttamento economico spetterà ad altri. E’ un diritto di natura
morale e non patrimoniale: è personalissimo in quanto connesso indissolubilmente alla
persona cui va il merito dell’idea: in quanto tale non è trasmissibile in alcun modo82. In
base ad esso l’inventore può pretendere che il suo nome compaia sul brevetto e sul
registro dei brevetti. In caso di violazione, l’autore del brevetto può agire giudizialmente
per impedire l’utilizzo illecito, ma trattandosi di un diritto non patrimoniale non potrà
chiedere alcun risarcimento pecuniario, a meno che la violazione non concreti un’ipotesi
di reato.
L’autore dell’invenzione ( o i suoi aventi causa) ha anche il diritto ad ottenere il
brevetto su di essa, e cioè il diritto esclusivo di sfruttamento economico: in termini
burocratici si può dire che l’autore ha il diritto di ottenere dalla pubblica
amministrazione competente, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM), un
provvedimento amministrativo con il quale viene concesso il brevetto. Questo, a
differenza del diritto morale ad essere riconosciuto autore, è un diritto avente un
contenuto patrimoniale e, per questo, liberamente trasmissibile o cedibile. Stabilire a chi
spetti il diritto di richiedere il brevetto significa individuare chi sfrutterà
economicamente l’invenzione: è un problema che spesso presenta aspetti di tormentata
soluzione, in quanto oggi l’invenzione è quasi sempre frutto dell’attività coordinata di
molte persone finanziata da enti terzi (ad esempio, ricercatori finanziati dai fondi
universitari o dipendenti/collaboratori finanziati da un’azienda privata). L’ordinamento,
ma soprattutto i giudici, hanno elaborato tutta una serie di soluzioni in proposito:
81
Ai sensi dell’art. 71 del Codice dei diritti di PI, “può essere concessa licenza obbligatoria se
l’invenzione protetta dal brevetto non possa essere utilizzata senza pregiudizio dei diritti relativi ad un
brevetto concesso in base a domanda precedente. In tal caso la licenza può essere concessa al titolare del
brevetto posteriore nella misura necessaria a sfruttare l’invenzione, purchè questa rappresenti, rispetto
all’oggetto del precedente brevetto, un importante progresso tecnico di considerevole rilevanza
economica. La licenza così ottenuta non è cedibile se non unitamente al brevetto sull’invenzione
dipendente. Il titolare del brevetto sull’ invenzione principale ha diritto a sua volta alla concessione di una
licenza obbligatoria a condizioni ragionevoli sul brevetto dell’invenzione dipendente”.
82
Il diritto è trasmissibile solo mortis causa. L’art. 62 del Codice dei diritti di PI afferma infatti che “il
diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione può essere fatto valere dall’inventore e, dopo la sua
morte, dal coniuge, e dai discendenti fino al secondo grado; in loro mancanza o dopo la morte, dai
genitori e dagli altri ascendenti ed in mancanza, o dopo la morte anche di questi, dai parenti fino al quarto
grado incluso”.
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l’invenzione del lavoratore dipendente, del commissionario di una ricerca,
dell’invenzione di gruppo e, infine, della brevettazione del non avente diritto.
2.4 La procedura per ottenere un brevetto
Il brevetto per invenzione industriale viene rilasciato a seguito di un procedimento
amministrativo svolto dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi attivato da una domanda
proposta dall’interessato legittimato a presentarla. Il rilascio del brevetto è un diritto del
richiedente laddove sussistano i requisiti stabilita dalla legge; pertanto la concessione
non è subordinata a decisioni discrezionali dell’amministrazione, che è tenuta solamente
ad accertare la ricorrenza dei requisiti oggettivi richiesti dalla legge. L’avente diritto al
brevetto può redigere e depositare la domanda personalmente, avvalersi di un
dipendente o farsi rappresentare da un mandatario abilitato iscritto all’Albo dei
consulenti in proprietà industriale. La domanda di brevetto deve essere depositata,
anche per mezzo del servizio postale in plico raccomandato con avviso di ricevimento,
presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi oppure direttamente presso un ufficio della
Camera di Commercio, che redigono un verbale di deposito identificante il richiedente o
il suo mandatario, l’invenzione e la data del deposito. La data di deposito è di
fondamentale importanza ai fini della valutazione della novità dell’invenzione nonché di
eventuali diritti di priorità. Occorre tenere presente, infatti, che nel nostro ordinamento
brevettuale, nella concessione dell’esclusiva sullo sfruttamento dell’invenzione, è
preferito non chi ha inventato per primo, ma chi, avendo diritto al brevetto in quanto
pervenuto autonomamente all’invenzione, ha depositato per primo la domanda per
l’ottenimento dello stesso. Dalla data di deposito della domanda decorre anche il
termine ventennale di validità del brevetto; gli effetti dello stesso (e cioè la possibilità di
opporlo a terzi e di bloccare gli utilizzi non autorizzati dell’invenzione) si produrranno
invece a partire dal momento in cui la domanda sarà resa accessibile al pubblico. La
domanda al momento del deposito rimane infatti segreta, solo dopo 18 mesi verrà
pubblicata e quindi sarà resa accessibile al pubblico. Questo intervallo di tempo,
consente al richiedente di vagliare con calma l’effettivo valore dell’invenzione e la sua
validità, allo scopo di decidere se proseguire con il procedimento di brevettazione; il
richiedente può però chiedere la pubblicazione anticipata della domanda, che verrà
messa a disposizione del pubblico 3 mesi dopo il deposito, e sarà in tal modo efficace
nei confronti di tutti.
Se poi il richiedente intende bloccare un terzo nella
contraffazione della propria invenzione durante la decorrenza del periodo di 18 mesi,
può notificare solamente a costui la domanda di brevetto.
E’ bene chiarire che l’esame svolto dall’UIBM è di tipo formale ed amministrativo; il
rilascio non ne garantisce la validità: le questioni attinenti la validità del brevetto sono
di competenza dei giudici ordinari ed in particolare delle Sezioni Specializzate83. La
Camera di Commercio e l’UIBM, infatti, vagliano la ricevibilità della domanda, la
regolarità formale, l’avvenuto pagamento delle tasse, la presenza della descrizione e dei
disegni dell’invenzione; ogni domanda deve avere ad oggetto un solo brevetto; in
pratica l’esame si limita alla verifica che l’invenzione per la quale si chiede l’esclusiva
sia effettivamente un’invenzione ai sensi della normativa brevettale, e che sia lecita. In
presenza dei requisiti richiesti, la domanda viene ricevuta, viene redatto il verbale di
deposito, viene rilasciato il brevetto al richiedente e del nuovo brevetto viene dato
83
Ai sensi dell’art. 117 c.p.i., “la registrazione e la brevettazione non pregiudicano l’esercizio delle azioni
circa la validità e l’appartenenza dei diritti di proprietà industriale”.
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avviso sul Bollettino brevetti modelli e marchi. Contro il provvedimento di rigetto, il
richiedente può fare ricorso entro 60 giorni alla “Commissione dei ricorsi”, che può
confermare la decisione dell’Ufficio o accogliere il ricorso ordinando il rilascio del
brevetto; contro la decisione della Commissione può essere proposto ricorso in
Cassazione.
La domanda di brevetto depositata può essere ritirata purchè la richiesta pervenga
all’Ufficio brevetti e marchi prima che questo abbia provveduto sul rilascio del brevetto.
Entro lo stesso termine è anche possibile integrare o modificare la domanda, ma solo in
senso più restrittivo o per renderla più intelligibile: i confini dell’invenzione di cui si
chiede il brevetto non possono invece essere ampliati rispetto alla domanda iniziale,
pena la nullità del brevetto eventualmente concesso.
Poiché la legge prevede il principio dell’unità dell’invenzione, in base al quale la
domanda di brevetto può avere ad oggetto una sola invenzione, la domanda può essere
modificata anche su richiesta dell’Ufficio, laddove questo rilevi che essa è rivolta alla
brevettazione di una pluralità di invenzioni.
A volte il titolare di un brevetto già concesso, può avere motivo di temere che questo
presenti dei problemi sotto il profilo della validità, in particolare per quanto attiene al
livello inventivo del trovato (originalità): in questi casi può essere decisivo ai fini della
validità del brevetto, limitarne l’oggetto e focalizzarlo sugli elementi che si ritengono
veramente innovativi. La legge concede al titolare la facoltà di limitare l’oggetto del
brevetto, allegando all’istanza di limitazione la descrizione e i disegni modificati. La
procedura di limitazione resta sospesa quando sia pendente un giudizio sulla validità del
brevetto già concesso.
3. La tutela del brevetto nel diritto nazionale
Come può il titolare di un brevetto (o della semplice domanda) tutelare i propri diritti
di fronte alle violazioni dei terzi?
Nel caso in cui la domanda di brevetto è inoltrata all’Ufficio Brevetti da un
usurpatore, cioè un soggetto non avente diritto che tenta di appropriarsi di
un’invenzione che spetta ad altri, il legittimo titolare è costretto a rivolgersi al giudice
ordinario. Ottenuta una sentenza passata in giudicato che abbia accertato l’illecita
brevettazione da parte dell’usurpatore, il vero titolare del brevetto ha di frante a sé due
diversi scenari, a seconda che la procedura di brevettazione sia ancora in corso o si sia
già conclusa con il rilascio del brevetto. In entrambi i casi, comunque, non è più
consentito al titolare dell’invenzione usurpata di redigere la domanda di brevetto nei
modi e con l’ampiezza che avrebbe prescelto, restando sul punto vincolato all’operato
dell’usurpatore, che potrà al limite essere chiamato a rispondere dei danni cagionati. In
tale ipotesi, comunque, l’art. 47 c.p.i. ha previsto che entro 6 mesi da una divulgazione
chiaramente abusiva (in questo caso la domanda dell’usurpatore), il titolare può
depositare legittimamente la domanda di brevetto nelle forme e con il contenuto da lui
preferiti. Dopo il deposito della domanda si potrà attivare presso i giudici per far
rigettare la domanda abusiva o, ex post, far dichiarare la nullità del brevetto ottenuto
dall’usurpatore.
Se la procedura è ancora in corso, il titolare dell’invenzione può, entro tre mesi dal
passaggio in giudicato della sentenza assumere a proprio nome la domanda di brevetto;
depositare una nuova domanda di brevetto a far data dal deposito della domanda
iniziale, la quale cessa di avere effetti (ma la seconda domanda non deve essere più
ampia della prima); ottenere il rigetto della domanda dell’usurpatore. Le prime due
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soluzioni hanno il grosso svantaggio di costringere l’effettivo titolare a far propria una
domanda elaborata da altri (dall’usurpatore): resta, in questo caso, il rimedio del
risarcimento dei danni. Se invece il brevetto è già stato concesso, il titolare
dell’invenzione ha due scelte: 1) rivendicare il brevetto e ottenerne il trasferimento a
proprio nome con effetto retroattivo al momento della proposizione della domanda
dell’usurpatore; 2) chiederne la dichiarazione di nullità affinché non gli sia opponibile
nell’uso dell’invenzione. In quest’ultimo caso, però, il vero titolare non godrà di
nessuna esclusiva nell’uso dell’invenzione.
Poiché tra il momento della domanda e il rilascio del brevetto trascorro circa tre anni
e qualcuno potrebbe nel frattempo appropriarsi dell’invenzione, è possibile tutelare
anche la semplice domanda a partire dal momento della pubblicazione della medesima:
in quel momento è infatti nota ed accessibile al pubblico. Il richiedente un brevetto può
ulteriormente anticipare il momento dal quale è ammesso a godere della tutela
giurisdizionale, chiedendo che la domanda depositata sia immediatamente pubblicata, il
che comporta la pubblicazione entro 90 giorni dal deposito. Infine per bloccare le
violazioni ad opera di specifici soggetti, il richiedente un brevetto può anche notificare
la sua domanda ad essi rendendola così immediatamente efficace nei loro confronti.
L’unico periodo durante il quale l’esclusiva resta di fatto senza protezione e per il quale
non può contestarsi ad altri l’uso illegittimo dell’invenzione, resta pertanto il solo
periodo intercorrente tra il deposito della domanda di brevetto e la sua accessibilità al
pubblico, attuata mediante pubblicazione ordinaria o anticipata, o mediante
notificazione individuale. In tale caso, però, se il titolare della domanda non avrà diritto
al risarcimento dei danni, avrà comunque la possibilità di evitare che in futuro l’altro
soggetto possa utilizzare e sfruttare l’invenzione, anche se vi è pervenuto
autonomamente e lecitamente. Ricordiamo infatti che nel caso di due soggetti che
giungono alla medesima scoperta, solo uno avrà diritto al suo sfruttamento economico:
quello che deposita per primo la domanda di brevetto.
In caso di contraffazione il titolare dell’invenzione può: a) chiedere al giudice
l’adozione di provvedimenti cautelari d’urgenza (inibitoria, sequestro, descrizione); b)
citare in giudizio il contraffattore onde far accertare l’avvenuta lesione del suo diritto di
esclusiva, eliminando le conseguenze dell’attività illecita e chiedendo il risarcimento dei
danni; c) agire in sede penale. Queste diverse strade possono essere alternative ma
anche esperite cumulativamente tra loro.
Viene violata l’esclusiva brevettale e si è in presenza di una contraffazione nel caso
in cui il brevetto venga sfruttato senza il consenso del legittimo titolare. La
contraffazione può consistere in una imitazione integrale dell’invenzione o viene
mascherata mutando alcuni elementi del brevetto.
Nei casi di contraffazione
parziale, occorre verificare se siano stati imitati gli elementi essenziali dell’invenzione,
oppure se sia in qualsiasi modo sfruttata l’idea, l’insegnamento fondamentale
caratteristico dell’invenzione (si tratta della cosiddetta “contraffazione per equivalenti”).
Può poi accadere che la violazione costituisca un perfezionamento dell’invenzione
brevettata: il miglioramento del prodotto o del procedimento brevettato non esclude la
contraffazione. L’unica possibilità è data dal caso in cui la seconda realizzazione che
sfrutta il brevetto altrui costituisca un miglioramento tale da possedere i requisiti per
essere a sua volta brevettato: in questo caso è possibile richiedere una licenza
obbligatoria al titolare del primo brevetto per potere brevettare la seconda realizzazione
e sfruttare il miglioramento apportato.
Non è sempre agevole per il titolare del brevetto di procedimento dimostrare che il
proprio brevetto è stato contraffatto: infatti il legittimo titolare si trova innanzi al
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semplice prodotto oggetto del procedimento, e spesso è arduo (se non impossibile)
risalire al procedimento utilizzato per ottenere un tale prodotto. In questa casi, la legge
ritiene che, salvo prova contraria, ogni prodotto identico a quello ottenuto mediante il
procedimento brevettato sia stato ottenuto in contraffazione di tale procedimento: e
quindi illecitamente se il prodotto ottenuto mediante il procedimento brevettato è
nuovo, o se risulta una sostanziale probabilità che il prodotto identico sia stato
fabbricato mediante il procedimento e il titolare del brevetto non sia riuscito attraverso
ragionevoli sforzi a determinare il procedimento effettivamente attuato. Sarà colui che
viene sospettato di utilizzare il procedimento brevettato che dovrà provare che il
prodotto cui giunge è fabbricato utilizzando un diverso procedimento: la legge precisa
anche che nel dare tale prova si dovrà tenere conto anche del suo interesse a proteggere i
propri segreti aziendali.
Nonostante il brevetto altrui, vi sono una serie di attività che la legge reputa lecite e
per le quali non è quindi richiesto il consenso del titolare della privativa. In particolare
sono consentiti, e quindi non violano il diritto di esclusiva del titolare di un diritto di
brevetto: gli atti di produzione o utilizzazione dell’invenzione compiuti in ambito
privato ed a fini non commerciali; gli atti di produzione o utilizzazione dell’invenzione
compiuti in via sperimentale; gli atti di preparazione estemporanea, e per unità, di
farmaci nelle farmacie su ricetta medica84. Ovviamente non pone in essere una
violazione del diritto di brevetto altrui neppure chi, avendo un diritto di preuso, sfrutti
l’invenzione nei limiti del suo diritto.
84
L’art. 68 c.p.i., dice infatti: “La facoltà esclusiva attribuita dal diritto di brevetto non si estende, quale
che sia l’oggetto dell’invenzione: a) agli atti compiuti in ambito privato ed a fini non commerciali, ovvero
in via sperimentale ancorché diretti all’ottenimento, anche in paesi esteri, di un’autorizzazione
all’immissione in commercio di un farmaco ed ai conseguenti adempimenti pratici ivi compresi la
preparazione e l’utilizzazione delle materie prime farmacologicamente attive a ciò strettamente
necessarie; b) alla preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica
ed ai medicinali così preparati, purchè non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente”.
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La tutela del brevetto a livello internazionale
Sommario: 1.Introduzione alla materia; 2. La protezione conferita dai TRIPs alla disciplina brevettuale;
2.1. Il Patent Cooperation Treaty; 2.2. Una scelta tra diverse procedure; 3. Il Brevetto Europeo; 3.1. La
Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo; 3.2. La procedura per il rilascio di un Brevetto Europeo;
3.3. Brevetto Europeo e Brevetti Nazionali;
1. Introduzione alla materia
Chi intende acquisire un’esclusiva brevettale sull’invenzione in una pluralità di Stati,
può certamente depositare una domanda di brevetto nazionale in ciascuno dei paesi
desiderati. Tale sistema, però, oltre ad essere molto oneroso e complicato da gestire
comporta il rischio che, nel tempo intercorrente tra il primo deposito ed i successivi,
possano accadere fatti (depositi di terzi e predivulgazioni) impeditivi di una valida
registrazione all’estero. Molti Stati hanno perciò provveduto a stipulare apposite
Convenzioni Internazionali allo scopo di semplificare e unificare le procedure di
brevettazione, con notevole risparmio di costi e tempo.
Prima fra tutte, è la Convenzione di Unione di Parigi, stipulata nel 1883 e poi
successivamente rivista ed aggiornata; ad oggi vi aderiscono oltre 130 Stati, tra cui
l’Italia. Le altre due Convenzioni più importanti che interessano più da vicino le
imprese italiane sono la Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.)85e il Patent
Cooperation Treaty (P.C.T.)86, meglio noto come brevetto internazionale.
Attenzione però: nessuna di queste procedure conferisce un brevetto sopranazionale,
unico. Il titolare si troverà quindi ad avere tanti brevetti nazionali, ognuno autonomo e
dotato di vita propria: queste Convenzioni consentono soltanto di giungere più
facilmente e più rapidamente alla concessione dei singoli brevetti nazionali. Non esiste
ancora, in materia di brevetti, un istituto come il marchio comunitario, che conferisce un
unico diritto di privativa valido in più Stati.
Tutte queste iniziative si sono sviluppate sulla base dei principi stabiliti dalla
Convenzione di Unione di Parigi, la cui validità non è stata mai messa in discussione.
Per tutte quindi, sono da considerarsi validi i principi: a) del trattamento nazionale, cioè
ai cittadini appartenenti ai Paesi dell’Unione, ogni Stato s’impegna ad accordare in
materia di brevetti gli stessi diritti che spettano ai propri cittadini; b) il diritto di priorità,
cioè un istituto giuridico che trova la propria ragion d’essere nella coesistenza di una
pluralità di sistemi brevettali: i sistemi brevettali nazionali, il brevetto europeo, il
brevetto internazionale. Il diritto di priorità mira a tutelare la novità dell’invenzione: nel
caso in cui si desideri ottenere il brevetto in più Stati, il richiedente sarebbe costretto a
depositare le varie domande nazionali nello stesso giorno, infatti, per le domande
depositate il giorno successivo l’invenzione non sarebbe più nuova, in quanto già
appartenente allo stato della tecnica a causa del deposito fatto negli altri Stati il giorno
precedente. Per ovviare a questo inconveniente pratico, che di fatto rende difficoltoso
l’acquisto di una privativa su un’invenzione in Stati diversi, la Convenzione di Parigi ha
previsto il diritto di priorità; in base ad esso, colui che deposita una domanda per
l’ottenimento del brevetto in uno Stato, ha tempo un anno dalla data di deposito, per
depositare identiche domande di brevetto negli altri Stati unionisti: l’esame della novità
dell’invenzione sarà infatti effettuato facendo riferimento alla situazione esistente alla
85
La Convenzione sul Brevetto Europeo, detta anche Convention sur la délivrance de brevets européens,
fu sottoscritta a Monaco di Baviera, in Germania, il 5 ottobre 1973.
86
Il Patent Cooperation Treaty fu stipulato a Washington, negli Stati Uniti, il 19 giugno 1970.
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data del primo deposito87.
2. La protezione conferita dai TRIPs alla disciplina brevettuale
L’ultima fonte in ordine cronologico, la cui importanza è notevolissima, è
l’agreement noto come accordo TRIPs, stipulato in ambito GATT, comprendente una
serie di disposizioni ad hoc per la disciplina dei brevetti.
Premesso che lo scopo principale dell’accordo riguardante la proprietà intellettuale
in sede OMC era quello di eliminare o quanto meno ridurre il più possibile le differenze
esistenti tra gli ordinamenti nazionali dei vari Stati partecipanti, il corpo di regole
formanti l’accordo TRIPs, si presenta come un codice di norme minime sui diritti di
proprietà intellettuale, che i Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio hanno dovuto sottoscrivere e devono ora seguire88.
Ai diritti di proprietà industriale è dedicata l’intera seconda parte89, dopo che nella
prima, dedicata alle disposizioni generali, gli Stati si sono impegnati a concedere ai
suddetti diritti una protezione almeno pari a quella conferita dai TRIPs.
In questa prima parte, l’art. 7 sottolinea l’obiettivo dell’accordo stesso: l’innovazione
tecnologica, il trasferimento e la diffusione delle tecnologie90. La parte II dell’accordo è
dedicata al diritto d’autore e ai diritti connessi, ai marchi di fabbrica o di commercio,
alle indicazioni geografiche, ai disegni e ai modelli industriali, ai brevetti, alla
topografia, al controllo delle pratiche anticoncorrenziali e alle licenze contrattuali. Tra
le diverse materie oggetto di studio non vi è alcun tipo di interazione, essendo
considerato ogni diritto distinto ed autosufficiente.
Ai brevetti sono dedicati gli artt. Dal 27 al 3491. I requisiti necessari perché una
invenzione possa essere considerata brevettabile, sono gli stessi richiesti dalla
maggioranza delle legislazioni nazionali, a cui si sono ispirati i redattori dell’Accordo in
sede WTO. Quando sussistono la novità, l’attività inventiva e l’applicabilità industriale,
87
In altre aree del mondo infine, si sono sviluppati sistemi simili al C.B.E. o addirittura con funzioni
analoghe a quelle che svolgerebbe il C.B.C.. La Convenzione sul Brevetto Eurasiatico ad esempio,
raggruppa i Paesi dell’ex Unione Sovietica, mentre tra gli Stati africani sono stati conclusi due trattati
multilaterali, la Convenzione O.A.P.I. (Organisation Africane de la Propriété Intellectuelle) e la
Convenzione A.R.I.P.O. ( African Regional Industrial Property Organization). A tutte e tre le suddette
Convenzioni, possono presentare domanda di brevettazione i cittadini di Paesi diversi da quelli contraenti,
come accade per la Convezione sul Brevetto Europeo. H.J. Knight, “Patent Strategy for Researchers and
Research Managers”, John Wiley & Sons, Chichester 1996, p. 25.
88
All’atto della pubblicazione, il comunicato dell’Organizzazione commentava: “L’Accordo riconosce
che l’enorme differenza tra gli ordinamenti in materia di protezione e rispetto dei diritti di proprietà
intellettuale e che l’assenza di un quadro multilaterale di principi, regole e discipline che reggano il
commercio internazionale delle merci di contraffazione hanno originato una serie di tensioni via via più
forti nell’ambito delle relazioni economiche internazionali”.
89
L’Accordo TRIPs è strutturato nella maniera seguente: Parte I – disposizioni generali e principi
fondamentali; Parte II – diritti di proprietà intellettuale; Parte III – metodi per far rispettare i diritti di
proprietà intellettuale; Parte IV – ottenimento e mantenimento del diritto; Parte V – prevenzione e
regolamentazione delle controversie; parte VI – disposizioni transitorie; Parte VII – disposizioni
istituzionali.
90
L’art. 7 infatti, recita: “ La protezione e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale dovrebbe
contribuire alla promozione dell’innovazione tecnologica e al trasferimento e alla diffusione delle
tecnologie, a vantaggio reciproco di coloro che creano e coloro che sfruttano le conoscenze tecniche e, di
conseguenza, al benessere sociale ed economico e ad assicurare un equilibrio dei diritti e degli obblighi”.
91
S. Sandris, “GATT. I brevetti nei TRIPs (protezione brevetti, standard minimi di protezione, tutela
giurisdizionale, violazione dei diritti di proprietà intellettuale, contenuto dei diritti di brevetto)”, in Diritto
Industriale, 1995, p. 338.
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un’invenzione potrà essere coperta da brevetto, anche se la brevettabilità è caratterizzata
da alcune eccezioni92, riguardanti i metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici per il
trattamento di persone ed animali ed i procedimenti per l’ottenimento di vegetali o di
animali, per i quali, come a livello nazionale, essa è esclusa. Infine, nel novero delle
invenzioni di cui è esclusa la brevettabilità, l’accordo indica quelle la cui applicazione
risulterebbe contraria all’ordine pubblico o al buon costume93.
Una volta stabilito quali invenzioni sono tutelabili, l’art. 28 indica quali diritti sono
conferiti da un brevetto: se il brevetto ha per oggetto un prodotto, il suo titolare è
legittimato ad impedire a terzi, operanti senza il suo consenso, di fabbricare, utilizzare,
commercializzare e di importare o esportare tale bene; allo stesso modo se si tratta di un
procedimento, il suo titolare può vietare a terzi la commercializzazione sia del
procedimento che del prodotto ottenuto con quel metodo brevettato94.
Ai sensi dello
stesso art. 28, il titolare ha la facoltà di concedere o di concludere contratti di licenza.
Per ottenere la tutela, il titolare dell’invenzione dovrà depositare un fascicolo
contenente un’adeguata descrizione, esaustiva a tal punto che qualsiasi tecnico possa,
attraverso tali indicazioni, riprodurre fedelmente l’invenzione brevettata95. La durata
della protezione non è dettata in modo univoco dall’Accordo, che si limita ad imporre a
quegli Stati che concedono tutele di durata inferiore ai venti anni, di estendere il
periodo, da calcolarsi a decorrere dalla data di deposito della domanda. Infine, mentre
l’art. 34 riguardante le azioni di contraffazione, affida il carico della prova al titolare del
brevetto, tutto l’art. 39 è dedicato alle informazioni non divulgate, la cui tutela è
esclusivamente affidata al segreto aziendale.
Tutte le disposizioni sui brevetti sono ulteriormente tutelate dalle disposizioni
contenute nella terza parte dell’accordo, riguardanti i metodi ed i modi per far rispettare
i diritti di proprietà intellettuale e costituente uno dei tre pilastri essenziali di tutta la
legislazione sulla proprietà intellettuale. Gli Stati si impegnano così ad adottare
procedure che permettano un’azione puntuale ed efficace contro ogni tipo di attacco ai
diritti di privativa; sono comprese le misure di correzione rapida destinate a correggere
eventuali squilibri o minacce ai suddetti diritti, senza rischiare di scoraggiare il
commercio internazionale. Tutte le procedure messe in atto dagli Stati dovranno essere
equilibrate e giustificate, non dovranno essere particolarmente complesse e costose e
non dovranno comportare ritardi ingiustificati o rallentare inutilmente le procedure.
La speranza è che, con il tempo ed il progressivo adeguamento degli Stati alle sue
disposizioni, l’accordo TRIPs possa risultare uno strumento efficace per
l’armonizzazione delle legislazioni di tutti i Paesi aderenti.
2.1 Il Patent Cooperation Treaty
Il Trattato di cooperazione internazionale in materia di brevetti (Patent Cooperation
Treaty – P.C.T.) che è stato sottoscritto a Washington il 19 giugno 1970 ed è entrato in
vigore il 24 gennaio 197896, ha istituito il BREVETTO INTERNAZIONALE. Il
92
Art. 27, terzo comma.
Art. 27, secondo comma.
94
Ai sensi dell’art. 30, devono essere considerate lecite e quindi non ostacolate ad opera del titolare, le
utilizzazioni sperimentali o puramente accademiche del procedimento oggetto di brevetto. Ovviamente
quando si scopra che tale tipo di utilizzo è finalizzato ad un’illecita commercializzazione, il titolare sarà
autorizzato ad intervenire con un’azione di contraffazione.
95
Art. 29.
96
B.C. Reid, “A Practical Guide To Patent Law, Third editin”, Sweet &Maxwell, Londra 1999, p.180;
PCT Guide du Déposant, Volume 1/A, Phase International – Information générales à l’intention des
93
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brevetto internazionale non dà luogo ad un diritto di privativa sopranazionale, ma
consente ed agevola la possibilità di estendere la copertura brevettale di un’invenzione
presso la quasi totalità dei paesi del mondo, ottenendo singoli brevetti nazionali. Il
P.C.T. è un trattato multilaterale gestito dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà
Intellettuale97, con sede a Ginevra, a cui partecipano circa un centinaio di Stati, basato
essenzialmente su tre punti o prerogative: la presentazione di una domanda
internazionale, effettuazione di una ricerca internazionale, effettuazione di un esame
preliminare internazionale.
Con esso non viene istituita un’autorità centrale, centralizzata per il rilascio di
brevetti di portata internazionale, ma viene unificata la fase iniziale del deposito della
domanda: attraverso un unico deposito la domanda produce gli stessi effetti in tutti gli
Stati aderenti. Si deposita la domanda di brevetto in un determinato Paese aderente al
trattato ed è come se si fosse depositata la domanda in tanti Stati quanti sono quelli in
cui si vuole ottenere la protezione. La procedura infatti consente di allungare i tempi per
vagliare l’opportunità di affrontare i costi connessi all’estensione in molti Paesi della
domanda di brevetto per invenzione. Il diritto di priorità trova applicazione quando il
richiedente un brevetto abbia depositato una domanda di brevetto in un sistema
brevettale (nazionale, europeo o internazionale) e desideri depositare ulteriori domande
per la stessa invenzione (o per un’invenzione che la ricomprenda) in altri Stati: in tal
caso l’esame della novità dell’invenzione, in relazione alla seconda domanda depositata,
verrà effettuato con riferimento alla situazione esistente alla data del primo deposito. Il
diritto di priorità sussiste solo ove il deposito della seconda, o di ulteriori domande,
avvenga entro 12 mesi dal primo deposito. L’Ufficio di Ginevra, fornisce inoltre a
chiunque voglia procedere al deposito per l’ottenimento del brevetto, una serie di
importanti informazioni, frutto di una ricerca effettuata a livello internazionale,
riguardante la novità dell’invenzione, nonché un parere non vincolante sulla
brevettabilità della stessa: si tratta di un validissimo aiuto, in quanto la valutazione
viene effettuata a monte delle vere procedure d’esame, che rimangono di competenza
delle autorità nazionali o regionali. La domanda viene presentata presso l’Ufficio
nazionale del Paese di cui il richiedente ha la residenza98( per l’
Italia l’UIBM e le Camere di Commercio)99 ; nella domanda possono essere designati
gli Stati nei quali si vuole ottenere la copertura brevettale. L’Ufficio ricevente verifica
utilisateurs du Traitè de Coopération en matiére de brevets, a cura dell’Organizzazione Mondiale per la
Proprietà Intellettuale, 2003.
97
L’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (O.M.P.I. in francese, W.I.P.O. in inglese) è
un organismo internazionale collegato all’organizzazione delle Nazioni Unite, che sovrintende alle azioni
di tutela dell’intelletto messe in opera da tutti i Paesi aderenti. Essa, di concerto con gli Stati che ne fanno
parte, sviluppa un’attività direttrice in appoggio a tutti gli sforzi concreti nel mondo e finalizzato alla
creazione di una congiuntura favorevole allo sviluppo dell’attività creativa ed innovatrice. La
maggioranza dei trattati riguardanti la proprietà intellettuale e firmati a livello mondiale, sono stati
stipulati grazie all’attività continua e pianificatrice dell’O.M.P.I.: ad esempio i TRIPs, firmati in sede
WTO, sono stati conclusi sotto gli auspici dell’Organizzazione, senza il cui intervento difficilmente si
sarebbe potuto raggiungere un livello tanto elevato di cooperazione internazionale. Sulle origini e
l’evoluzione storica, sulle sue attività e sui trattati conclusi sotto la sua egida, si veda www.wipo.org.
98
Contestualmente al deposito della domanda presso l’Ufficio nazionale, si deve effettuare il pagamento
delle tasse iniziali, in euro, su un conto estero riconosciuto dall’Ufficio internazionale.
99
Nel caso in cui si tratti della prima domanda di brevetto per una determinata invenzione, la legge
italiana vieta, ai residenti nel territorio dello stato, il suo deposito esclusivamente all’estero, salvo
autorizzazione del Ministero dell’Industria e del Commercio, e comunque il deposito all’estero della
domanda prima che siano trascorsi sessanta giorni dalla data di deposito in Italia, o dalla presentazione
dell’istanza di autorizzazione al Ministero.
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la sussistenza dei requisiti formali per ricevere la domanda e gli riconosce una data di
deposito internazionale, indispensabile per prevalere su eventuali successivi richiedenti
e per cristallizzare lo stato della tecnica in relazione al quale dovrà essere valutata la
novità e l’originalità dell’invenzione. Attribuita una data alla domanda, la procedura
prosegue con l’espletamento, da parte dell’amministrazione incaricata tra quelle
espressamente previste dal P.C.T., di una ricerca internazionale circa la novità e
l’originalità dell’invenzione, che costituisce una sorta di parere non vincolante sulla
brevettabilità, molto utile per consentire al richiedente di decidere se proseguire o meno
con la brevattazione. Dopo diciotto mesi dalla data di deposito della domanda o dalla
data del primo deposito di una domanda di brevetto che sia rivendicato come priorità
nella domanda di brevetto internazionale, la stessa verrà pubblicata insieme al rapporto
di ricerca. Il richiedente dovrà decidere entro due o tre mesi dalla comunicazione del
rapporto di ricerca, e comunque entro 20 mesi dalla data di deposito della domanda
internazionale o della domanda rivendicata come priorità, se abbandonare la procedura
P.C.T. per seguire la più tradizionale via dei depositi multipli nazionali, e quindi il
procedimento innanzi ai singoli Uffici nazionali degli stati designati nella domanda e
quindi ottenere i relativi brevetti nazionali, oppure se accedere alla fase seguente della
procedura P.C.T, in cui viene compiuto un preventivo esame internazionale della novità,
originalità e industrialità dell’invenzione. Qualora il titolare decida di non abbandonare
la procedura internazionale, potrà decidere di designare brevetti regionali, validi cioè
per un gruppo di Stati appartenenti ad un Organizzazione a carattere regionale, che si
occupi di registrazione e tutela brevettale100. La seconda fase, consistente in un esame
internazionale, preventivo al rilascio del brevetto internazionale, ha inizio con la
presentazione della richiesta di esame presentata al diciottesimo mese dal deposito della
domanda. L’esame sui requisiti di brevettabilità è basato sulla valutazione della novità,
dell’originalità e dell’industrialità dell’invenzione, senza che si entri nelle particolarità
delle diverse norme nazionali. Il giudizio risultante dall’esame internazionale della
domanda trasmesso alle autorità competenti nazionali, può essere accettato tout cour
oppure essere oggetto di ulteriori esami, preventivi al giudizio definitivo; non impegna
cioè gli uffici nazionali che saranno poi chiamati a rilasciare il brevetto, tuttavia
costituisce un autorevolissimo parere circa la brevettabilità dell’invenzione. Sulla base
delle risultanze dell’esame, e di altre valutazioni compiute nei mesi trascorsi per
l’espletamento della procedura, il richiedente potrà infine decidere se affrontare le
singole procedure di brevettazione negli stati eletti per la copertura brevettale
dell’invenzione. In genere la via seguita è quella di un primo deposito della domanda di
brevetto nazionale presso lo Stato del richiedente, cosicché, nei successivi dodici mesi
in cui sussiste il diritto di priorità, si potrà vagliare l’ipotesi di presentare una domanda
P.C.T., eventualmente perfezionata ed integrata con gli ultimi sviluppi dell’invenzione.
Presentata la domanda P.C.T., si hanno a disposizione venti o trenta mesi circa dal
primo deposito per decidere se ed in quali Paesi, tra quelli indicati nella domanda,
brevettare, tenuto anche conto del rapporto di ricerca e dell’esito dell’esame
internazionale condotto sulla domanda. Il principale vantaggio della procedura P.C.T.
consiste nel fatto che, quando si sta valutando l’ipotesi di brevettare l’invenzione in una
pluralità di stati di aree geografiche differenti, essa consente di congelare la situazione e
mantenere il diritto di chiedere i singoli brevetti per molti mesi attraverso l’iniziale
100
Le organizzazioni regionali accreditate sono: l’Organizzazione Europea dei Brevetti (O.E.B.),
l’African Regional Property Organization (A.R.P.O), l’Organisation Africane pour la Proprietà
Intellectuelle (O.A.P.I.) e l’Eurosian Patent Office (E.P.O.).
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deposito di una sola domanda (internazionale) presso un solo Ufficio brevetti, in una
sola lingua e sottostando alle pretese fiscali di un solo Ufficio. La decisione di
affrontare gli alti costi di una brevettazione paese per paese può così venire rinviata a
venti o trenta mesi dalla data di deposito della domanda internazionale o della
precedente domanda rivendicata come priorità.
Da questa sintetica analisi procedurale, emerge con chiarezza la netta differenza tra
questo sistema e quello previsto dalla C.B.E.: mentre il brevetto europeo è conferito da
un’autorità centrale ed ha la stessa validità in ognuno degli Stati aderenti alla
Convenzione, il P.C.T. risolve esclusivamente il problema della ricerca e raccoglie
un’adeguata documentazione, la quale però sarà trasmessa alle autorità centrali, perché
ad esse compete la decisione finale sul rilascio o meno del titolo brevettale. Ciò che si
ottiene seguendo la procedura P.C.T. è un fascio di brevetti piuttosto che un titolo
unitario, come accade, in materia di marchi, con l’Arragement di Madrid ed il relativo
Protocollo. Come si vedrà analizzando nello specifico anche la Convenzione sul
Brevetto Europeo, le differenze tra le due si appiattiscono guardando al profilo
territoriale del brevetto concesso: nessuna delle due Convenzioni costituisce un mezzo
di unificazione completa dei diritti di brevetto, perché le esclusive che si ottengono
tramite queste due procedure rimangono inquadrate in ciascuno degli ambiti territoriali
per i quali sono state richieste. Così le tasse di mantenimento hanno matrice nazionale,
il brevetto conferisce diritti dettati dall’ordinamento dello Stato in cui è fatto valere e
sulla base di esso è soggetto a revoca su base nazionale. Un decisivo passo avanti sulla
strada dell’unificazione potrebbe essere compiuto con l’entrata in vigore della
Convenzione sul Brevetto Comunitario, che conferirebbe una vera privativa unitaria e
sopranazionale, concessa con una procedura unica e affidata ad un’autorità
giurisdizionale unitaria, dislocata presso le varie corti nazionali.
2.2 Una scelta tra diverse procedure
Quando si dovrà scegliere la procedura P.C.T. e quando sarà meglio optare per una
serie di depositi nazionali o per brevetto europeo? Il ventaglio di possibilità per
proteggere un’invenzione si allarga progressivamente e chi si trovi di fronte a questo
dilemma dovrà valutare attentamente costi e benefici dell’una e dell’altra alternativa,
per scegliere la procedura che meglio si adatta alle sue necessità. Innanzitutto rimane
valida la più antica delle possibilità, consistente nel depositare tante domande nazionali
quanto sono i Paesi in cui si vuole ottenere la tutela. Oppure si può richiedere un
brevetto europeo, richiedendo il brevetto del piano P.C.T. ed includendovi il brevetto
europeo, in modo da avere la stessa domanda di protezione anche per Paesi come Stati
Uniti, Giappone, Brasile, Australia ed altri. Infine si può optare inizialmente per un
primo deposito a livello nazionale, contando poi sui dodici mesi concessi per depositare
domanda di brevetto europeo o sul piano P.C.T.. Quest’ultima è di gran lunga la strada
più consigliata.
Ogni procedura ha i suoi interlocutori principali ed ideali: spetterà ad ogni
richiedente individuare quale sistema si conformi meglio alle sue necessità. La
Convenzione P.C.T. risulta ad esempio vantaggiosa quando gli interessi del titolare
siano prettamente extra – europei ed il numero di Stati per i quali si voglia fare richiesta
risulti elevato, almeno superiore a dieci. Infatti il P.C.T. offre una semplificazione ed
un’accellerazione delle procedure, ma comporta un aumento complessivo dei costi. E’
preferibile una prima domanda di base nel Paese d’origine, piuttosto che effettuare
subito, come domanda di base, una domanda di brevetto europeo: il costo in questo
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secondo caso risulterebbe maggiore e i brevetti stranieri avrebbero una durata inferiore
di un anno rispetto all’estensione del termine di priorità. Quand’anche si decida di
seguire i consigli più diffusi ed effettuare il deposito di base a livello nazionale per poi
decidere, si è approssimativamente calcolato che risulta conveniente scegliere il
brevetto europeo piuttosto che una serie di brevetti nazionali solo quando i Paesi
designati sono almeno quattro. A seconda del campo d’azione e delle disponibilità
finanziarie a disposizione, ogni impresa o soggetto che intenda richiedere una tutela
brevettale, dovrà attentamente vagliare tutte le possibilità ed optare per quella che
meglio risponde alle sue necessità.
3. Il Brevetto Europeo
Il sistema brevettale europeo consente, con un unico procedimento, di ottenere un
brevetto efficace in più paesi europei scelti dal richiedente tra quelli aderenti alla
Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo, in vigore in Italia dal 1978. Il sistema
del brevetto europeo consente di utilizzare una sola procedura per l’ottenimento dei vari
brevetti nazionali, ma non dà luogo ad alcun diritto di privativa internazionale o
sopranazionale: il richiedente sarà titolare di un fascio di brevetti nazionali, soggetti alle
leggi ed alla giurisdizione dei singoli stati designati dal richiedente. Un esempio potrà
chiarire il discorso: chi ottenga un brevetto europeo da valere negli Stati X,Y e Z,
ottiene, con un unico procedimento avanti l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO), un
documento unitario che gli conferisce un diritto di esclusiva in detti Stati, come se
avesse proceduto separatamente alla brevettazione in ciascuno di essi; dopo
l’ottenimento del brevetto, però questo deve considerarsi, per ciascuno di detti Stati, alla
stregua di un brevetto nazionale e pertanto sottoposto alla disciplina ed alla
giurisdizione dei giudici locali101.
3.1 La Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo
La Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.) è stata sottoscritta a Monaco di
Baviera il 5 ottobre 1973 ed è entrata in vigore il 7 ottobre 1977, con un primo gruppo
di sette Stati contraenti, a cui si sono progressivamente aggiunti i nuovi aderenti alle
Comunità, cosicché ad oggi sono diciannove gli Stati membri della Convenzione102; con
sei Paesi dell’area europea centro – orientale sono stati stipulati speciali accordi per
l’estensione territoriale della protezione conferita dal brevetto europeo103. L’Italia ha
aderito alla convenzione fin dall’origine, ratificandola però solo nel 1978 con legge n.
260 del 26 maggio ed emanando la normativa di attuazione nazionale con il D.P.R. n.
32 dell’8 gennaio 1979104.
Lo scopo e le finalità perseguite dalla Convenzione sono di provvedere alla
protezione delle invenzioni negli Stati contraenti, nel modo più facile, economico ed
101
M. Barbuto, “Brevetto europeo e brevetto comunitario”, in Consulente d’Impresa, 1998, p. 25; Muir,
Brandi, D’Ohrn, Gruber, “European Patent Law. Law and Procedure under the EPC and PCT, Oxford
University Press, Oxford 1999; R. De Luca, “Le piccole e medie imprese italiane al penultimo posto in
Europa nella registrazione dei brevetti”, in Il Diritto Industriale, n. 4/2000, p. 324.
102
Stati aderenti alla C.B.E.: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia,
Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Monaco, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna,
Svezia, Svizzera.
103
Gli stati con cui è in vigore uno speciale accordo di estensione sono: Albania, Lettonia, Lituania,
Macedonia, Romania, Slovenia.
104
La normativa di attuazione è stata modificata con il D.P.R. n. 338 del 22 giugno 1979.
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affidabile possibile, mediante la messa a punto di un’unica procedura europea per il
rilascio dei brevetti, sulla base di un corpo omogeneo di leggi brevettali fondamentali.
In questo modo si sarebbe risolto il problema dei depositi plurimi: a tal fine la
Convenzione crea una procedura unificata di rilascio del brevetto, conseguente ad un
esame preventivo, da parte di un Ufficio Europeo dei Brevetti, istituito dalla
Convenzione stessa e stabilito a Monaco di Baviera, in Germania105 Da un punto di
vista giuridico, la Convenzione si configura come un accordo internazionale, da
interpretarsi secondo i principi del diritto internazionale.
Come previsto dall’art. 64 della Convenzione, un brevetto europeo conferisce al suo
titolare, in ogni Paese contraente per il quale è rilasciato, un insieme di diritti uguali a
quelli che deriverebbero da una concessione di brevetto nazionale. Il titolo concesso si
configura più come un fascio di diritti che come un unico ed unitario brevetto, efficace
per l’intero territorio di tutti i Paesi aderenti.
Questo fascio di brevetti forma un
tutt’uno fino a quando la procedura di concessione non si sia conclusa e si scompone in
una serie di brevetti nazionali dopo che essa sia terminata. E’ infatti il giudice nazionale
che valuta le eventuali contraffazioni e nullità: nonostante ciò esso è vincolato alla
normativa convenzionale, riguardante la nozione di invenzione brevettabile, i requisiti
per la brevettabilità, i soggetti di diritto, le cause per la nullità e la procedura di
concessione del brevetto: su tali aspetti la Convenzione ha previsto norme di omogenea
applicazione negli Stati aderenti, a volte divergenti dalla normative nazionali.
Con riferimento ai rapporti con le altre convenzioni internazionali, il principio di
trattamento nazionale e il diritto di priorità sanciti nella Convenzione di Unione di
Parigi, trovano applicazione anche nella C.B.E.. Inoltre, poiché essa si configura come
un trattato di natura regionale, i brevetti europei possono essere rilasciati in seguito ad
una domanda internazionale, in conformità con le norme del Patent Cooperation Treaty.
In particolare con la procedura Euro – PTC, è possibile ottenere un brevetto valido per
tutti i Paesi aderenti alla C.B.E., con un solo deposito PTC. Essa costiuisce inoltre il
fondamento della Convenzione sul Brevetto Comunitario, firmata con l’intento di
superare i limiti della Convenzione in esame, ma non ancora entrata in vigore a causa
della ritrosia degli Stati su alcuni aspetti procedurali. Infine non si dimentichi che, la
Convenzione non pregiudica l’esistenza dei brevetti nazionali e dei relativi Uffici106. Si
deve quindi ritenere che il sistema giuridico europeo non si sostituisca ai diritti
nazionali, ma costituisca un nuovo sistema brevettale con quelli coesistenti. Così il
titolare rimane libero di scegliere tra una serie di depositi presso ognuno dei Paesi per i
quali richiede la tutela e l’iter europeo che, con un solo deposito presso un unico
Ufficio, conferisce la tutela in ognuno dei Paesi designati dal titolare stesso. Non si
dimentichi che tali strade si possono intrecciare con il sistema P.C.T., quando i Paesi
individuati siano anche membri del Patent Cooperation Treaty la scelta si allargherà e il
titolare potrà optare per la via europea diretta o per il sistema Euro – P.T.C..
105
In precedenza, infatti, il richiedente che avesse voluto ottenere la tutela per la sua invenzione in
ognuno dei Paesi in cui intendeva renderla pubblica, doveva affidarsi alle varie legislazioni nazionali,
perdendo tra il resto notevole tempo e sforzi, nel tentativo di comprenderne a pieno le varie differenze e
sfaccettature. Tra i vari Stati infatti le differenze a livello di tutela brevettale erano notevoli, sia con
riferimento alla procedura da seguire per ottenere il brevetto stesso, sia per quanto concerne i diritti di
tutela così concessi.
106
L’art. 2 della Convenzione stabilisce infatti che: “In ciascuno degli Stati contraenti per i quali esso è
concesso, il brevetto europeo ha gli stessi effetti ed è soggetto alle medesime regole di un brevetto
nazionale concesso in questo Stato, salvo che la presente Convenzione non disponga altrimenti”.
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L’Organizzazione Europea dei Brevetti (O.E.B.)107, istituita dalla omonima
Convenzione, ha stretto accordi di cooperazione con diversi Paesi non aderenti alla
C.B.E.; si tratta di un sistema di estensione che offre ai richiedenti dei brevetti europei
una tutela anche in questi Paesi, in modo semplice e redditizio. In essi i brevetti avranno
gli stessi effetti delle domande e dei brevetti nazionali e beneficeranno della stessa
tutela conferita dall’Ufficio Europeo dei Brevetti nei Paesi membri dell’U.E.B.. Si
prevede che, in un prossimo futuro, molti altri Paesi si affiancheranno agli attuali sei
con cui tali accordi sono attualmente in vigore.
Per quanto riguarda le lingue dell’Ufficio europeo dei brevetti, la Convenzione
distingue, in linea di principio, tra lingue ufficiali, lingua della procedura e lingua
ufficiale di uno Stato membro, diversa da inglese, francese e tedesco. Le tre lingue
ufficiali sono l’inglese, il francese e il tedesco e in una di esse devono essere depositate
le domande di brevetto europeo. Esistono comunque varie eccezioni a questa regola
generale, che permettono ad esempio ad un soggetto domiciliato in uno Stato membro la
cui lingua ufficiale sia diversa da una delle tre sopra citate, di depositare la domanda
nella propria lingua. Qualora una di queste ipotesi venga sfruttata e la domanda sia
presentata in una lingua diversa da inglese, francese o tedesco, il titolare avrà un
margine di tre mesi, decorrenti dalla data di ricevimento della domanda e di
pubblicazione nel Bollettino Europeo dei brevetti, per presentare una traduzione,
dichiarata perfettamente conforme al testo originale, in una delle tre lingue ufficiali. La
lingua scelta fin dall’inizio per il deposito della domanda o in seguito, per la sua
traduzione, sarà considerata la lingua della procedura per l’intero procedimento davanti
all’U.E.B..
3.2 La procedura per il rilascio di un Brevetto Europeo
I brevetti europei sono concessi per qualsiasi invenzione che sia nuova, suscettibile
di applicazione industriale e che implichi un’attività inventiva. La procedura si
caratterizza, rispetto alla procedura per il rilascio del brevetto italiano, per la presenza di
un esame approfondito circa i requisiti sostanziali di brevettabilità: dunque il brevetto
europeo sarà assistito da una forte presunzione di validità, essendo stato rilasciato solo
dopo un attento esame relativo alla sussistenza di tutte le condizioni per la concessione
del diritto. La domanda può essere presentata, prendendo data da quel momento,
107
Il procedimento per il rilascio di un brevetto europeo è accentrato presso l’Organizzazione Europea
dei Brevetti, istituita con l’art. 4 della Convenzione, centro operativo e cuore direzionale dell’intero
sistema. Si tratta di un’organizzazione dotata di autonomia amministrativa e finanziaria, composta da due
organi, l’Ufficio Europeo dei Brevetti competente per il rilascio del brevetto, e il Consiglio di
Amministrazione che controlla l’attività dell’Ufficio stesso.L’Organizzazione possiede personalità
giuridica, vale a dire che essa può operare giuridicamente e compiere attività economiche. Per quanto
riguarda la sua rappresentanza, spetta al Presidente del Consiglio di Amministrazione, che opera
esclusivamente per gli scopi perseguiti dall’organizzazione stessa. La sede dell’Organizzazione è fissata a
Monaco di Baviera, cosicché i due organi che la compongono si stabiliscono in Germania. All’Aja invece
hanno sede la Sezione di deposito e le Divisioni di Ricerca competenti per talune fasi della procedura.
Infine il Protocollo sulla centralizzazione107 istituisce una agenzia distaccata dell’U.E.B. a Berlino,
incaricata della ricezione di tutti i documenti indirizzati all’U.E.B. e della gestione dei pagamenti delle
tasse. Infine a partire dal 1° gennaio 1991 è in funzione a Vienna un centro di documentazione
INPADOC, creato come centro di documentazione brevettale e assorbito dall’U.E.B. in seguito ad un
accordo con l’Austria.
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direttamente o a mezzo posta all’Ufficio Europeo di Monaco o al suo distaccamento
dell’Aja, oppure anche presso gli uffici brevettali nazionali degli Stati membri della
Convenzione, che provvederanno a trasmetterla all’Ufficio europeo, da qualunque
persona fisica o giuridica, indipendentemente dalla nazionalità o dal luogo di residenza.
Chiunque la effettui avrà il dovere di indicare con precisione i Paesi nei quali desidera
essere tutelato. In qualunque momento, fino al rilascio del brevetto, è possibile ritirare la
designazione di un Paese contraente, mentre non è possibile aggiungere alla lista, Paesi
che non siano stati indicati nella prima richiesta di concessione.
Tutto l’iter procedurale inizia con il deposito della domanda da parte del richiedente.
La domanda deve contenere una richiesta di rilascio di brevetto europeo, una
descrizione dell’invenzione che inizi con un titolo e precisi il ramo della tecnica cui si
riferisce l’invenzione nonché lo stato della tecnica ad esso anteriore, una o più
rivendicazioni che definiscano l’oggetto della tutela, eventuali disegni a corredo della
descrizione e delle rivendicazioni ed un riassunto. Pervenuta la domanda di deposito, la
sezione di deposito si occupa dell’esame sulla regolarità formale della domanda, per
attribuirle una data di deposito dalla quale la domanda europea produce gli stessi effetti
di una domanda di brevetto nazionale. L’esame del deposito comporta anche la verifica
dell’avvenuto pagamento delle tasse di deposito e di ricerca, dell’eventuale deposito
della traduzione della domanda in una delle tre lingue ufficiali, se richiesta, nonché
l’adempimento di altri oneri di natura formale. Contemporaneamente all’esame formale,
hanno luogo i lavori di ricerca con i quali l’U.E.B. ricerca, tra brevetti e domande di
brevetto pubblicate in un gran numero di Paesi e tra pubblicazioni tecniche e
scientifiche, quale sia la tecnica anteriore più pertinente all’invenzione in esame,
verifica cioè la novità e l’originalità dell’invenzione di cui si chiede la brevettazione.
Entrambi i rapporti così redatti sono inviati al richiedente con tutte le informazioni e i
documenti necessari, perché decida, in base a tali conclusioni, se continuare o meno la
procedura.
Egli potrà abbandonare totalmente la procedura in caso gli esisti della
ricerca siano totalmente sfavorevoli, oppure limitare adeguatamente la portata della
propria domanda. Trascorsi almeno 18 mesi dalla data di deposito della domanda, o dal
deposito rivendicato come priorità, la domanda di brevetto europeo viene pubblicata sul
Bollettino europeo dei brevetti nella lingua ufficiale scelta all’atto del deposito, dandone
notizia al richiedente e avvertendolo che la procedura potrà proseguire solo su suo
impulso entro 6 mesi dalla pubblicazione. Spetta infatti al richiedente il brevetto
europeo, anche alla luce del rapporto europeo di ricerca, valutare l’opportunità di
continuare nel procedimento chiedendo l’esame della domanda. Tale richiesta di esame,
da effettuarsi entro 6 mesi dalla pubblicazione della domanda, comporta il pagamento di
una tassa ulteriore a quelle già pagate per il deposito e la ricerca e apre la vera e propria
fase dell’esame dell’invenzione, diretta ad un’attenta verifica del fatto che la domanda
di brevetto e l’invenzione che ne forma l’oggetto soddisfino tutte le condizioni per il
rilascio del brevetto europeo. Se il richiedente ha effettuato la richiesta di esame prima
che gli fosse trasmesso il rapporto di ricerca, l’ufficio europeo lo invita a confermare la
sua richiesta dopo tale trasmissione.
La Divisione di esame competente del’Ufficio europeo dei brevetti, in
contraddittorio con il richiedente, analizza la domanda e verifica la sussistenza dei
requisiti di brevettabilità, quali richiesti dall’art. 94 della Convenzione e, se l’esame dà
esito positivo, notifica al richiedente il testo sul quale intende concedere il brevetto,
potendo esso comportare delle modifiche rispetto alla domanda iniziale, invitando
quest’ultimo al pagamento delle tasse dovute. Entro tre mesi dovranno essere
corrisposte le tasse di concessione, di stampa del fascicolo di brevetto e dovranno essere
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fornite le traduzioni delle rivendicazioni nelle due lingue ufficiali diversa da quella
utilizzata durante l’intero iter. Inoltre, se vi è l’accordo con il richiedente ed altre
condizioni, la decisione di rilasciare il brevetto europeo viene pubblicata sul Bollettino
europeo dei brevetti, prendendo effetto da tale data. Contemporaneamente alla
pubblicazione della decisione, viene pubblicato anche il fascicolo del brevetto europeo,
contenente la descrizione dell’invenzione, le rivendicazioni e, se del caso, i disegni.
Successivamente viene rilasciato al richiedente il certificato ufficiale attestante
l’ottenimento del diritto di brevetto.
Si tratterà di un fascio di brevetti nazionali, simili a quelli che il titolare potrebbe
ottenere attraverso una serie di depositi plurimi presso ognuno degli Stati per i quali ha
effettuato la rivendicazione durante la procedura U.E.B.. Il brevetto europeo ha quindi
gli stessi effetti, in ogni Paese, di un brevetto nazionale rilasciato dall’Ufficio Nazionale
Brevetti di quel Paese e ogni interferenza sarà valutata sulla base della legislazione dello
Stato in cui essa si verifica. La durata del brevetto europeo, o meglio dei vari brevetti
nazionali, è di venti anni, decorrenti dalla data di deposito di domanda di brevetto
europeo.
Contro la concessione di un brevetto europeo, entro un termine massimo di nove
mesi dalla data di pubblicazione della decisione di concessione del brevetto108, chiunque
può presentare opposizione scritta al rilascio avanti l’Ufficio europeo onde ottenere la
revoca o la modifica, senza essere tenuto a dimostrare che il brevetto in questione
costituisca per lui un pregiudizio o che egli abbia un interesse specifico sul caso109.
L’esame dell’opposizione compete alla relativa Divisione di Opposizione, la quale,
informato il titolare e concessogli un periodo sufficiente per apportare eventuali
modifiche, esaminerà le motivazioni addotte e potrà: a) rigettare l’opposizione per
l’infondatezza delle motivazioni; b) accogliere l’opposizione e revocare il brevetto
concesso; c) mantenere il brevetto concesso se, modificato alla luce dei rilievi emersi,
esso soddisfi le condizioni richieste dalla normativa, vi sia l’accordo del titolare sulle
modifiche e questo adempia alle incombenze (tasse ed eventuali traduzioni) conseguenti
alle modifiche.
Esistono infine le Commissioni di ricorso e la Commissione ampliata di ricorso, cui
compete un’altra ed eventuale fase del procedimento, che si apre quando un soggetto,
che sia intervenuto nelle precedenti fasi, presenti ricorso contro una decisione assunta in
sede di esame di deposito, di esame della domanda o di procedura di opposizione, entro
due mesi dalla notifica della decisione emessa, con la clausola che entro quattro mesi
vengano presentati i motivi a sostegno di tale ricorso.
L’organo che ha emesso la
decisione impugnata può rettificare tale decisione entro un mese dal ricevimento della
memoria motivata depositata dal ricorrente; in tal caso cessa la materia del contendere.
Se la decisione impugnata non viene rettificata, il ricorso viene deciso da una
Commissione dei ricorsi o se si tratta di una questione di particolare importanza
giuridica o quando sia il Presidente dell’U.E.B. a richiederlo a seguito di due pronunce
contrastanti da parte di altrettante Commissioni di ricorso, il ricorso viene deciso dalla
Commissione ampliata di ricorso. Esaminato il ricorso, la Commissione decide sullo
108
Trascorsi nove mesi dalla data di pubblicazione della decisione di concessione di brevetto, senza che
siano state presentate opposizioni, il titolo potrà essere attaccato solo davanti alle singole autorità
giudiziarie nazionali.
109
Le cause per le quali può presentare opposizione sono tassative e sono le seguenti: l’invenzione
oggetto del brevetto ottenuto non era brevettabile; l’invenzione non è stata descritta in modo
sufficientemente chiaro e completo perché un esperto del ramo possa attuarla; il brevetto concede
l’esclusiva su un oggetto più ampio rispetto a quello delineato nella domanda iniziale di brevetto.
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stesso, rigettandolo o accogliendolo. Nel caso decida di accogliere il ricorso, la
Commissione può sostituirsi all’organo la cui decisione è stata impugnata e decidere
diversamente, oppure può rinviare la decisione a tale organo che dovrà attenersi alle
direttive della Commissione110.
3.3. Brevetto Europeo e Brevetti Nazionali
La Convenzione lungi dal sopprimere i brevetti nazionali o da sostituirsi ad esse,
insegue l’obiettivo di regolare la coesistenza tra il sistema europeo e quelli statali.
Tant’è che è espressamente prevista e regolata la fattispecie in cui un brevetto formi
contemporaneamente oggetto di una domanda di brevetto o di un brevetto nazionale e di
una domanda di brevetto o brevetto europeo, in cui i due titoli abbiano la stessa data di
deposito o beneficino della stessa data di priorità111. La Convenzione non detta un
disciplina unitaria ma affida ai vari legislatori nazionali il compito di regolare la
materia: così il legislatore italiano ha stabilito che, laddove un brevetto nazionale tuteli
la stessa invenzione coperta da brevetto europeo, il titolo italiano cessa di espletare i
suoi effetti dalla data in cui il termine per la presentazione di opposizioni al brevetto
europeo sia scaduto, oppure dalla data di conclusione di un’eventuale procedura di
opposizione intrapresa, senza che il titolo italiano è stato concesso, quando si tratti di
una data posteriore a quella di cui alle due ipotesi precedenti112.
110
Nel quadro dei ricorsi infine, si deve menzionare l’importante istituto della restituito in integrum,
previsto dall’art. 122 della Convenzione e finalizzato a consentire al titolare del brevetto di essere
reintegrato nella perdita di diritti subita a seguito dell’inosservanza dei termini, eliminando gli effetti
giuridici negativi ad essa conseguenti. La reintegrazione dei diritti può essere richiesta tanto dal
richiedente quanto dal titolare di brevetto europeo, mentre è esclusa per l’opponente e per coloro che
intervengono in un procedimento di opposizione. Perché la reintegrazione possa aver luogo, è necessario
che l’impedimento che non ha consentito l’osservanza dei termini abbia causato la perdita diretta della
domanda di brevetto o di un diritto particolare, quali ad esempio il diritto di priorità o il diritto di
designazione di un determinato Stato contraente.
111
Art. 139 della Convenzione.
112
Un caso molto interessante al riguardo è stato quello deciso dalla Corte di Appello di Bologna il 3
maggio 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2002, p. 116 ss.; secondo cui: “ Nel caso in cui per la medesima
invenzione siano presentate sia una domanda di brevetto italiano sia una domanda di brevetto europeo
designante l’Italia, pur essendo prevista la prevalenza del brevetto europeo, gli effetti della tutela
decorrono dalla data in cui la prima domanda con la descrizione e gli eventuali disegni è stata resa
accessibile al pubblico. La contraffazione brevettale, indipendentemente dalla confondibilità dei prodotti,
integra di per sé un comportamento non conforme ai principi della correttezza professionale, idoneo a
danneggiare l’altrui azienda e quindi suscettibile di censura ai sensi dell’art. 2598, n. 3 c.c.”. Il 6 giugno
1990, la Nuova Polti s.p.a, conveniva in giudizio la Pietro Fogacci s.r.l. esponendo che: era produttrice di
piccoli elettrodomestici e titolare di domanda di brevetto europeo depositata il 20 marzo 1989 per un
“tappo di sicurezza per contenitori sotto pressione di vapore”, preceduta da domanda di brevetto
depositata il 13 aprile 1988 all’UPICA di Milano; di recente aveva appreso che la società convenuta
utilizzava per le proprie apparecchiature un tappo di sicurezza uguale a quello brevettato. Chiedeva
pertanto che accertata la contraffazione dei brevetti e l’attività di concorrenza sleale, il Tribunale
condannasse la società Fogacci al risarcimento dei danni, al pagamento di una provvisionale e la
pubblicazione della sentenza. Il Tribunale ha accolto le domande della ricorrente e la Fogacci s.r.l. ha
proposto appello deducendo che il Tribunale aveva errato: nel non tenere conto dell’esistenza del brevetto
francese del 31 dicembre 1968 che quindi toglieva la brevetto Polti il requisito dell’originalità; nel non
considerare che gli asseriti atti di contraffazione erano stati compiuti in epoca precedente a quella in cui il
brevetto era stato reso accessibile al pubblico; nel ritenere la concorrenza sleale. Secondo quindi
l’appellante il brevetto ottenuto dalla società Polti sarebbe privo del requisito dell’originalità per
l’esistenza di un’anteriorità costituita dal brevetto francese pubblicato il 28 agosto 1970 e rilasciato alla
Società Anonime des Usines Chausson e pertanto eccepiva la nullità del brevetto Polti per difetto di
originalità. Il brevetto Chausson affronta il problema della realizzazione di un tappo di chiusura per
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Sempre a proposito dei rapporti tra i titoli nazionali e il titolo europeo, merita un
accenno la cosiddetta possibilità di conversione di una domanda europea in una
corrispondente richiesta nazionale. Si tratta di una possibilità consistente nella facoltà
data ad un titolare di convertire la sua domanda di brevetto europeo in una semplice
richiesta di brevetto nazionale quando l’iter per il brevetto europeo sia bloccato sul
nascere dalle autorità nazionali del suo Stato di residenza, per ragioni enumerate dalle
singole legislazioni nazionali. In Italia ad esempio, tale possibilità è offerta nei casi in
cui la domanda, depositata originariamente in lingua italiana, non sia stata tradotta in
una delle lingue ufficiali entro i termini prescritti. La stessa conversione è ammessa
quando la domanda sia stata rifiutata, ritirata o abbandonata nel corso della procedura di
fronte all’Ufficio Europeo dei Brevetti, ma risponda positivamente a tutti i requisiti
richiesti dalla legislazione italiana.
.
contenitori sotto pressione, contenenti un liquido ad alta temperatura che impedisca che il tappo possa
essere tolto quando il liquido è caldo. Il brevetto Polti riguard un tappo di sicurezza, per piccoli generatori
di vapore per uso domestico ( ferri da stiro, attrezzi di pulizia…), allo scopo di fornire un tappo del
serbatoio del vapore che non possa essere svitato se non quando la pressione all’interno del serbatoio sia
scesa al di sotto di un determinato valore con la finalità di impedire la violenta fuoriuscita di vapore e
liquido bollente. Dall’esame delle differenti caratteristiche dei due trovati, l’esperto ha tratto la
conclusione che la soluzione Polti non appare direttamente derivabile dalla tecnica nota ed ha
conseguentemente affermato la sussistenza del requisito della altezza stessa inventiva. Si deve quindi
ritenere che l’eccezione di nullità del brevetto Polti sia del tutto infondata. Inoltre, secondo l’appellante,
gli atti di utilizzazione dell’invenzione sarebbero avvenuti prima del momento in cui la domanda di
deposito del brevetto venne resa accessibile al pubblico. Anche tale tesi non può essere condivisa. La
società Polti depositò due domande di brevetto, europeo e italiano per la medesima invenzione. Il d.p.r.
32/1979 stabilisce la preminenza del brevetto europeo in caso di cumulo delle protezioni; il brevetto
europeo venne depositato in data 20 marzo 1989 e concesso in data 3 marzo 1993. Tale brevetto
rivendica la priorità italiana del 13 aprile 1988 e poiché ai sensi dell’art. 4 del r.d. 29 giugno 1939 n.
1127, gli effetti del brevetto decorrono dalla data in cui la domanda con la descrizione e gli eventuali
disegni è resa accessibile al pubblico, il brevetto Polti fu reso accessibile al pubblico il 13 ottobre 1989,
da tale data gli atti di utilizzazione compiuti dalla Fogacci devono considerarsi illeciti; la violazione del
brevetto è durata fino al giugno 1990, epoca in cui la società appellante ha cessato la produzione e la
commercializzazione dei tappi di sicurezza. L’usurpazione del brevetto Polti si è dunque verificata. In
altri termini, fermo restando l’accertamento della violazione brevettale, il consulente ha inteso
evidenziare che, sotto il profilo dell’aspetto esteriore, i due tappi, quello prodotto dalla Polti e quello
prodotto dalla Fogacci, presentavano caratteristiche diverse, tali da impedirne la confondibilità.
Prendendo spunto da tale riflessione, la società appellante ha sostenuto che il Tribunale avrebbe dovuto
escludere la concorrenza sleale. Anche su tale argomentazione non è possibile convenire, atteso che la
contraffazione brevettale indipendentemente dalla confondibilità dei prodotti, integra di per sé un
comportamento non conforme ai principi della correttezza professionale, idoneo a danneggiare l’altrui
azienda e quindi suscettibile di censura ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c.”.
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I modelli di utilità e l’industrial design
Sommario:1. I modelli di utilità nel nuovo Codice della Proprietà Industriale; 2. La nuova disciplina
dell’Industrial Design; 2.1. I requisiti di protezione: novità e carattere individuale; 2.2. Il contenuto del
diritto su un disegno o modello; 2.3 La contraffazione dei modelli e dei disegni; 3. La tutela del design a
livello comunitario; 3.1. La procedura per il deposito della domanda in sede comunitaria.
1. I modelli di utilità nel nuovo Codice della Proprietà Industriale
Non tutte le innovazioni tecnologiche sono di portata tale da poter essere tutelate con
il brevetto per invenzione; alcune di esse, infatti, si risolvono in una nuova forma che
conferisce al prodotto una particolare efficacia e comodità di utilizzo113. Si tratta di
miglioramenti tecnici più limitati, che tuttavia l’ordinamento tutela per mezzo del
brevetto per modello di utilità, conferendo il diritto a chi le ha ideate di sfruttarle in
esclusiva per un periodo di tempo limitato (10 anni).
La disciplina dei modelli d’utilità è stata ricompressa all’interno del nuovo Codice
dei Diritti di Proprietà Industriale, nella Sezione V (articoli 82 – 86).
La creazione di una forma utile, in quanto atta a conferire ad un prodotto industriale
una maggiore efficacia o comodità di applicazione o impiego, determina l’insorgere di
un interesse allo sfruttamento in regime di esclusiva della forma stessa, potendo
quest’ultima dare origine ad un vantaggio concorrenziale. L’ordinamento giuridico
riconosce e tutela l’interesse dell’ideatore all’utilizzazione esclusiva della forma utile
attraverso il sistema brevettale e, solo quando la forma non è brevettabile, attraverso la
repressione della concorrenza sleale e la tutela del marchio di forma.
La forma di un prodotto, che lo renda particolarmente efficace o di comodo impiego,
può nascere insieme allo stesso o essergli successiva quale perfezionamento: in
entrambi i casi essa potrebbe ambire ad essere qualificata come invenzione e tutelata
con un brevetto per invenzioni industriali piuttosto che con un brevetto per modelli di
utilità. L’ottenimento dell’uno piuttosto che dell’altro tipo di brevetto rileva ai fini della
durata dell’esclusiva sulla forma creata: ventennale nel caso di un brevetto per
invenzioni, decennale nel caso di brevetto per modelli di utilità.
L’elemento discriminante tra le forme utili che costituiscono invenzioni e quelle che
possono solo costituire oggetto di un brevetto per modello di utilità, è dato dal tipo di
progresso che esse comportano rispetto alla preesistente situazione della tecnica ovvero
dal grado di originalità che esse posseggono. Come si può immaginare, è molto difficile
individuare un criterio per distinguere i due livelli di originalità: ora ci si affida ad una
valutazione “quantitativa”, che ravvisa nei modelli di utilità delle forme costituenti
progressi tecnici di portata più limitata rispetto alle invenzioni; ora si parla di criteri
“qualitativi”, dicendo che l’invenzione protegge una forma nuova, il modello di utilità il
miglioramento di una forma già esistente. La difficoltà di definire con precisione la
natura della forma creata (invenzione o modello di utilità), ha fatto sì che l’ordinamento
giuridico predisponesse dei meccanismi: si tratta della facoltà di presentare due
113
Ai sensi dell’art. 82 del nuovo c.p.i. :”possono costituire oggetto di brevetto per modello di utilità i
nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego a macchine, o
parti di esse, strumenti, utensili od oggetti di uso in genere, quali i nuovi modelli consistenti in particolari
conformazioni, disposizioni, configurazioni o combinazioni di parti”.
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domande alternative e della conversione del brevetto da un tipo all’altro114. In ordine al
primo dei suddetti meccanismi, può dirsi che la legge consente all’avente diritto al
brevetto di depositare contemporaneamente, per la medesima forma utile, due domande
alternative di brevetto: una per invenzione industriale ed una per modello di utilità, da
valere quest’ultima solo nel caso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte.
La presentazione delle due domande alternative sposta sull’Ufficio Italiano Brevetti e
Marchi il compito di qualificare come invenzione o come modello la forma di cui si
vuole avere l’esclusiva. Tale meccanismo però, non esaurisce ogni possibile problema
legato alla qualificazione della forma utile creata. Infatti, ottenuto ad esempio
dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi un brevetto per invenzioni, resta possibile che un
terzo, controinteressato alla concessione dell’esclusiva, contesti la correttezza della
qualificazione operata dall’Ufficio e chieda all’autorità giudiziaria di dichiarare la
nullità del brevetto per l’inidoneità dell’oggetto per cui è stato concesso.
In tale
ipotesi, la legge stabilisce che il titolare possa richiedere al giudice che, accertata
l’eventuale nullità del brevetto ma anche la sussistenza dei requisiti per la validità del
medesimo come modello di utilità, ne disponga la conversione in brevetto per modello
di utilità. La conversione opera in teoria tra tutti i tipi di brevetti, ma agli effetti pratici
trova applicazione quasi esclusivamente nel passaggio da un brevetto per invenzione ad
uno per modello di utilità.
La disciplina giuridica del brevetto per modello di utilità non differisce molto da
quella dettata per il brevetto per invenzioni115. Il brevetto per modello di utilità ha
durata decennale e può essere richiesto per ottenere l’esclusiva sullo sfruttamento di una
nuova forma di un prodotto industriale che conferisca allo stesso una particolare
efficacia o comodità di applicazione o di impiego, ma senza assurgere al rango di una
vera e propria invenzione. Il modello di utilità è, come l’invenzione, una soluzione di un
problema tecnico ed il relativo brevetto conferisce l’esclusiva sul concetto innovativo
che sta dietro alla nuova forma creata, così da riservare all’ideatore anche l’esclusiva
sullo sfruttamento di eventuali forme diverse, ma che possano ritenersi equivalenti alla
precedente in quanto risalenti al medesimo concetto innovativo e funzionali alla
soluzione dello stesso problema tecnico. Una forma funzionale all’efficienza o alla
comodità di applicazione o di impiego di un prodotto industriale è ritenuta dalla legge
brevettabile come modello di utilità a condizione che presenti i seguenti requisiti:
novità, originalità (attività inventiva), industrialità, liceità. Per la novità, l’industrialità e
la liceità si rinvia alla disciplina del brevetto per invenzioni, mentre il concetto di
originalità merita un approfondimento in quanto su questo requisito si gioca la
possibilità di tutelare la forma utile e nuova con il brevetto per invenzione piuttosto che
con il brevetto per modello di utilità.
Si è detto che l’elemento discriminante tra le forme utili che costituiscono invenzioni
e quelle che possono solo costituire oggetto di un brevetto per modelli d’utilità, è dato
dal tipo di progresso che esse comportano rispetto alla preesistente situazione della
tecnica, ossia dal grado di originalità che esse possiedono. Affinché possa essere
richiesto un brevetto per modello di utilità, occorre che la nuova forma conferisca al
prodotto una maggiore efficienza e comodità d’impiego: tale miglioramento, pur senza c
114
Art. 84 del nuovo Codice dei diritti di Proprietà Industriale: “E’ consentito a chi chiede il brevetto per
invenzione industriale, ai sensi del presente codice, di presentare contemporaneamente domanda di
brevetto per modello di utilità, da valere nel caso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte”.
115
L’art. 86 del nuovo Codice dei diritti di Proprietà Industriale afferma infatti che: “Le disposizioni della
sezione IV, sulle invenzioni industriali, oltre che a tali invenzioni, spiegano effetto anche nella materia
dei modelli di utilità, in quanto applicabili.”
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costituire un salto tecnico proprio dell’invenzione, non si deve esaurire nel semplice
adeguamento di un trovato già noto, ma deve comportare soluzioni ed accorgimenti
creativi che incrementino il complesso dello nozioni già acquisite. Ai fini della
originalità, non è sufficiente dunque che la nuova forma apporti una qualche utilità o
comodità di impiego, ma è necessario che comporti un apprezzabile sforzo creativo,
senza limitarsi ad un elementare sviluppo delle forme preesistenti: come per le
invenzioni, deve essere imprevedibile per il tecnico medio del ramo, allo stato attuale
della tecnica.
Il diritto al rilascio del brevetto si sostanzia nel diritto di ottenere dalla Pubblica
Amministrazione competente, un provvedimento con il quale, in presenza dei requisiti
previsti dalla legge, viene concesso il diritto di brevetto, ossia il diritto di sfruttare
industrialmente ed economicamente la forma utile creata in regime di esclusiva. Se il
diritto morale ad essere riconosciuto autore spetta sempre al creatore della forma utile, il
diritto al rilascio del brevetto è solo in via generale attribuito all’ideatore, potendo anche
spettare ad altri. In proposito assumono particolare importanza le ipotesi della forma
creata dal lavoratore dipendente o dal commissionario di una ricerca, della forma ideata
in gruppo e, infine, della brevettazione del non avente diritto.
Oggi l’attività inventiva è spesso svolta alle dipendenze di strutture organizzate, le
quali ricercano, formano e coordinano le risorse intellettuali, forniscono loro gli
strumenti e le conoscenze necessarie per l’invenzione, sopportano il rischio che la
ricerca sia infruttuosa o comunque non remunerativa. Questo fatto ha indotto
l’ordinamento a dettare una disciplina ad hoc per le invenzioni dei dipendenti, che la
legge dichiara applicabile, salvo patto contrario, anche alle forme brevettabili come
modelli di utilità116. Presupposto indispensabile è il fatto che l’invenzione sia stata
raggiunta, almeno nella sua parte essenziale, durante il periodo nel quale aveva
esecuzione il rapporto di lavoro dipendente: nessuna importanza riveste la validità o
l’invalidità del contratto o la sua effettiva stipulazione, ciò che rileva è che di fatto si
fosse instaurato un rapporto per cui l’attività lavorativa dell’inventore si sia inserita con
carattere di subordinazione nell’organizzazione aziendale altrui.
La legge non disciplina espressamente l’ipotesi in cui un’attività di ricerca venga
commissionata a soggetti esterni all’impresa privata, cosicché la regolamentazione dei
rispettivi interessi viene lasciata alla contrattazione delle parti. I principali problemi in
materia possono sorgere quando una determinata situazione non abbia ricevuto una
preventiva disciplina contrattuale: il contratto di ricerca è infatti un contratto atipico,
ossia non previsto e disciplinato dalla legge, e pertanto la disciplina del caso concreto
dovrà essere ricostruita attraverso l’applicazione delle norme dettate per figure
contrattuali tipiche e affini, in genere individuate nel contratto d’appalto o d’opera.
La legge, salvo patto contrario tra le parti, attribuisce i diritti connessi ad
un’invenzione realizzata con lo sforzo congiunto di una pluralità di soggetti a tutti i
componenti del gruppo cui può ricondursi l’attività inventiva conclusasi con successo,
secondo le regole dettate dal codice civile in materia di comunione.
Tuttavia si preferisce un’analitica regolamentazione pattizia delle situazioni che
possono conseguire al raggiungimento di un’invenzione di gruppo, in modo da
sostituire la disciplina voluta dalle parte alla disciplina suppletiva dettata dalla legge.
La procedura per ottenere il brevetto per modello di utilità è sostanzialmente analoga
116
L’art. 86, secondo comma, del nuovo Codice dice: “Sono estese ai brevetti per modello di utilità le
disposizioni in materia di invenzioni dei dipendenti e le licenze obbligatorie”.
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a quella prevista per l’ottenimento del brevetto per invenzioni. L’apposita domanda va
inoltrata all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi o alle competenti sedi della Camera di
Commercio. il brevetto per modello di utilità è soggetto al pagamento della tassa di
domanda e della tassa di concessione. A causa dell’incertezza che spesso può sussistere
sulla natura dell’innovazione (invenzione o modello di utilità) è consentito all’autore
inoltrare contemporaneamente ambedue le domande.
2. La nuova disciplina dell’Industrial design
La disciplina di quelli che, fino al 2001, venivano chiamata modelli di utilità e
modelli ornamentali, è stata non poco sconvolta in occasione dell’attuazione da parte
del Governo della Direttiva n. 98/71/CE. Il filo conduttore e la cifra interpretativa della
Direttiva 98/71, è il riavvicinamento delle singole legislazioni nazionali di settore in
materia di definizione del concetto di disegno o modello industriale, dei requisiti
necessari per sua protezione, del contenuto della tutela, della durata della tutela, delle
cause di nullità dei brevetti e delle relazioni fra la tutela brevettale e altre forme di
protezione. Se da un lato dunque il legislatore comunitario prende atto della disarmonia
esistente fra i vari Paesi europei in materia di protezione giuridica del design e quindi
degli ostacoli che si frappongono alla libera circolazione dei medesimi, dall’altro
propone come strumento risolutivo il ricorso ad una disciplina unitaria. Le disposizioni
sostanziali del diritto nazionale che la direttiva mira ad armonizzare sono quelle
concernenti l’oggetto, il contenuto e la durata della tutela dei disegni e dei modelli
registrati e dunque la definizione di disegno o modello (art. 1), i requisiti per la sua
protezione (artt. 3 – 8), il contenuto della tutela (artt. 9,12, 13 e 15), la durata della
tutela (art. 10), le cause di nullità (art. 11) e le relazioni con le altre forme di protezione
ed in particolare con il diritto di autore (art. 17)117.
Il Governo italiano ha attuato la direttiva comunitaria con il D.Lgs n. 95 del 2
febbraio 2001 modificando la vecchia Legge Modelli (Regio Decreto n. 1411 del 25
Agosto 1940) e in misura minore il codice civile e la legge sul Diritto D’Autore (L. n.
633 del 22 Aprile 1941). La riforma ha ad oggetto la disciplina sostanziale dei modelli
industriali, ormai datata ed inadeguata a far fronte alle esigenze di una produzione e
distribuzione dalle dimensioni sempre più globali118.
L’aspetto centrale della nuova disciplina dei disegni e modelli sta nella stessa
definizione di disegno o modello, secondo la quale “Possono costituire oggetto di
registrazione i disegni e modelli che siano nuovi ed abbiano carattere individuale” (art.
33 del Codice di Proprietà Industriale)119. Da questa definizione il primo dato che
emerge con forte evidenza è l’abbandono di qualsiasi riferimento al carattere
ornamentale dei disegni e modelli. Dal nuovo testo dell’art. 33 infatti, sono stati
eliminati sia l’aggettivo “ornamentale” che il requisito dello “speciale ornamento”
richiesti invece dalla norma precedente ai fini della concessione della privativa120. Il
legislatore italiano ha palesemente accantonato un criteri di valutazione basato su un
117
A. Fittante, “La tutela giuridica dell’industrial design: il recepimento della Direttiva 98/71/CE, in Il
diritto industriale n. 1, 2001, p. 5
118
M. Panucci, “La nuova disciplina italiana dell’industrial design”, in Il diritto industriale, n. 4, 2001, p.
320.
119
Nuovo art. 5 della Legge Modelli.
120
Il vecchio art. 5, comma 1, LMI stabiliva che:” Possono costituire oggetto di brevetto per modelli e
disegni ornamentali i nuovi modelli o disegni atti a dare, a determinati prodotti industriali, uno speciale
ornamento, sia per la forma, sia per una particolare combinazione di linee, di colori o di altri elementi”.
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valore estetico positivo (“lo speciale ornamento”), per rendere più neutra la disciplina.
Questa impostazione produce importanti conseguenze applicative: in primo luogo,
potrebbe essere considerata irrilevante l’esistenza di un gradiente estetico nel disegno o
nel modello divenendo così più semplice proteggere le forme. La vecchia normativa,
infatti, richiedendo ai fini della proteggibilità lo “speciale ornamento”, presupponeva
l’esistenza di una valenza estetica, diversa dal valore individualizzante, distintivo, cui si
riferisce il nuovo testo dell’art. 33. Inoltre, la nuova impostazione potrebbe incidere
sulla tradizionale distinzione tra forma tecnica, tutelata attraverso il modello di utilità, e
forma estetica, protetta invece attraverso il modello ornamentale.
Altra innovazione è l’abbandono del termine “brevetto”, utilizzato dalla vecchia
norma ed ormai riservato alle sole invenzioni, a favore della parola “registrazione”.
Sempre con riferimento alla nozione di “disegno” o “modello”, l’art. 31 del Codice
di Proprietà Industriale, parla di “aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale
risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della
forma, della struttura superficiale e/o dei materiali del prodotto stesso e/o del suo
ornamento”. In questa nuova definizione il legislatore fa riferimento sia all’intero
prodotto che ad una sua parte, riconoscendo così espressamente la tutelabilità di singole
parti di un prodotto complesso, ma, allo stesso tempo, delimitandone la tutela all’aspetto
esteriore.
2.1. I requisiti di protezione: novità e carattere individuale
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, i disegni e modelli per poter essere registrati devono
essere nuovi ed avere un carattere individuale. In tema di novità, l’art. 5 bis stabilisce
che “Un disegno o modello è nuovo se nessun disegno o modello identico è stato
divulgato anteriormente alla data di presentazione della domanda di registrazione
ovvero, qualora si rivendichi la priorità, anteriormente alla data di quest’ultima. I
disegni e modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono soltanto
per dettagli irrilevanti”. La novità di un modello, dunque, è collegata al concetto di
“divulgazione anteriore”: per cui un disegno non può considerarsi nuovo se un disegno
identico sia stato precedentemente messo a disposizione del pubblico in una qualsiasi
regione del mondo. Ai sensi del nuovo art. 34 del Codice dei Diritti di Proprietà
Intellettuale:”il disegno o modello si considera divulgato se è stato reso accessibile al
pubblico per effetto di registrazione o in altro modo, ovvero esposto, messo in
commercio o altrimenti reso al pubblico, a meno che tali eventi non potessero
ragionevolmente essere conosciuti dagli ambienti specializzati del settore interessato,
operanti nella Comunità, nel corso della normale attività commerciale, prima della data
di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità,
prima della data di quest’ultima”. La norma esclude dalle divulgazioni che inficiano i
requisiti della novità e dell’individualità, quelle avvenute anteriormente alla data di
registrazione del disegno o modello, ma non ragionevolmente conoscibili dagli ambienti
specializzati. Questa disposizione, sulla base del criterio di ragionevolezza, impone
all’interprete di valutare se gli “ambienti specializzati” siano in realtà o meno in
condizione di venire a conoscenza dell’esistenza di quel determinato disegno. Non è
quindi escludibile il caso di un disegno che, pur essendo cronologicamente molto
datato, renda non registrabile un nuovo modello perché comunque conosciuto o
ragionevolmente conoscibile dagli operatori del settore. All’opposto, potrebbe
validamente considerarsi nuovi disegni, più o meno vecchi, ma conservati in luoghi
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difficilmente accessibili o normalmente non accessibili a tali ambienti121.
Mentre il requisito della novità presuppone una non identità del disegno o modello
rispetto ad un disegno o modello anteriore, il requisito dell’individualità esprime un
attributo diverso. La norma parla infatti di “impressione generale” suscitata
nell’utilizzatore informato che altro non è che l’impressione confusoria eventualmente
suscitata in un consumatore di medio - alta attenzione. Impressione confusoria che
costituisce però il normale parametro di riferimento utilizzato per valutare i casi di
concorrenza sleale per imitazione servile, nonché il parametro utilizzato con riguardo ai
marchi (“rischio di confusione”).
Una delle maggiori novità apportate dal Decreto Legislativo n. 95 del 2 febbraio
2001, riguarda l’eliminazione del divieto di cumulo tra la tutela prevista dalla normativa
sui modelli e quella prevista dal diritto d’autore. Infatti, ai sensi dell’art. 2575 del
Codice Civile vigente, e analogamente a quanto disposto dall’art. 1 della legge n. 633
del 1941 (“Protezione del diritto d’autore ed altri diritti connessi al suo esercizio”),
“formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che
appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,
all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di
espressione”.
Il legislatore italiano, infatti si è conformato a quanto disposto dalla
direttiva comunitaria che all’art. 17122 stabilisce che il cumulo tra la tutela brevettale dei
modelli di design e quella predisposta dalle norme sul diritto d’autore non deve essere
esclusa per legge; spetterà invece ai singoli Stati definire le condizioni di accesso alla
protezione (novità, originalità, valore artistico….)123.
2.2. Il contenuto del diritto su un disegno o modello
Ai sensi del nuovo articolo 8 bis, introdotto dall’art. 10 del Decreto Legislativo n. 95
del 2001, “la registrazione di un disegno o modello conferisce al titolare il diritto
esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi di utilizzarlo senza il suo consenso.
Costituiscono in particolare atti di utilizzazione la fabbricazione, l’offerta, la
commercializzazione, l’importazione o l’impiego di un prodotto in cui il disegno o
modello è incorporato o al quale è applicato, ovvero la detenzione di tale prodotto per
tali fini”. I diritti conferiti dalla registrazione del disegno o modello non si estendono
invece: a) agli atti compiuti in ambito privato e per fini non commerciali; b) agli atti
121
Nel rispetto dell’art. 6 della direttiva, la norma individua alcuni ulteriori casi di anteriorità non
distruttive dei requisiti di novità ed individualità. Il secondo comma infatti dispone che: “Il disegno o
modello non si considera reso accessibile al pubblico per il solo fatto di essere rivelato ad un terzo sotto
vincolo esplicito o implicito di riservatezza”. Il terzo comma, prevede poi una sorta di grace period a
favore dell’autore del disegno o modello nel caso di predivulgazioni avvenute nei dodici mesi precedenti
la data di presentazione della domanda di registrazione o, quando si rivendichi la priorità, nei dodici mesi
precedenti la data di quest’ultima.
L’ultima ipotesi è infine quella prevista dal quarto comma, che disciplina il caso delle divulgazioni
abusive ai danni dell’autore o del suo avente causa avvenute nei dodici mesi antecedenti la data di
presentazione della domanda.
122
L’art. 17 della direttiva recita testualmente: “I disegni e modelli protetti come disegni o modelli
registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro a norma della presente direttiva, sono
ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d’autore vigente in tale Stato fina dal
momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato
membro determina l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il
grado di originalità che il disegno o modello deve possedere”.
123
M. Panucci, “La nuova disciplina italiana dell’industrial design”, in Il diritto industriale, n. 4, 2001, p.
317.
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compiuti ai fini di sperimentazione; c) agli atti di riproduzione necessari per le citazioni
o per fini didattici, purchè siano compatibili con i principi di correttezza professionale,
non pregiudichino indebitamente l’utilizzazione normale del disegno o modello e sia
indicata la fonte.
I diritti esclusivi conferiti dalla registrazione del disegno o modello non sono
esercitati riguardo all’arredo e alle installazioni dei mezzi di locomozione navale e aerea
immatricolati in altri paesi che entrano temporaneamente nel territorio dello Stato;
all’importazione nello Stato di pezzi di ricambio e accessori destinati alla riparazione
dei mezzi di trasporto; all’esecuzione delle riparazioni sui mezzi di trasporto.
Ai sensi del nuovo articolo 9 (articolo 37 del Codice dei diritti di Proprietà
Industriale), “la registrazione del disegno o modello dura cinque anni a decorrere dalla
data di presentazione della domanda. Il titolare può ottenere la proroga della durata, per
uno o più periodi di cinque anni fino ad un massimo di venticinque anni dalla data di
presentazione della domanda di registrazione”.
Il legislatore ha definito il controverso argomento della tutela dei componenti di un
prodotto complesso. La soluzione è frutto di un compromesso sofferto: il problema del
livello di protezione da riconoscere alle parti staccate di un prodotto complesso era stato
oggetto di forti contrasti in sede di approvazione della direttiva ed aveva assunto
particolare rilievo con riguardo al settore automobilistico, dove il fenomeno della
riproduzione dei pezzi di ricambio degli autoveicoli da parte di produttori indipendenti
riveste proporzioni significative. La soluzione adottata dalla direttiva all’art. 14, è stata
di consentire agli Stati membri di mantenere in vigore tutte le disposizioni a tutela delle
parti staccate di un prodotto complesso che fossero state adottate precedentemente
all’entrata in vigore della direttiva, non imponendo agli Stati che non prevedessero tale
forma di protezione di introdurre la registrazione come disegno o modello per questi
componenti. Gli Stati sono cioè stati esonerati dall’attuare gli artt. 1, lett.b) e c), e 3, par.
3, della direttiva nelle parti di un prodotto complesso, ma la direttiva ha riconosciuto
loro la possibilità di introdurre nuove disposizioni allo scopo di liberalizzare il mercato
dei prodotti in esame.
Il principio affermato dal legislatore italiano è quello della proteggibilità del pezzo
(viene riconosciuto in linea di principio un diritto esclusivo sui componenti), ma la
tutela esclusiva è compressa quando il prodotto sia destinato al ricambio.
2.3. La contraffazione dei modelli e dei disegni
La contraffazione dei modelli e dei disegni non è differente dalla contraffazione dei
marchi e dei brevetti, concretizzandosi in una violazione del diritto di esclusiva del
titolare, in questo caso del diritto esclusivo su una particolare forma estetica di un
prodotto. Abbiamo visto come “un disegno o modello ha carattere individuale se
l’impressione generale che suscita nell’utilizzatore informato differisce dall’impressione
generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno e modello che sia stato
divulgato prima della data di presentazione della domanda di registrazione”.
Coerentemente, il nuovo arti. 8 ter afferma che “i diritti esclusivi conferiti dalla
registrazione di un disegno o modello si estendono a qualunque disegno o modello che
non produca nell’utilizzatore informato una impressione generale diversa”.
Alla domanda: “Questo modello è abusivo?” si dovrebbe quindi rispondere
affermativamente se l’”impressione generale” che esso suscita nell’utilizzatore
informato, non è differente da quella del disegno o modello con il quale lo si confronta.
L’impressione generale è qualcosa di più generico di una copia pedissequa: anche un
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disegno o modello che sia leggermente diverso potrebbe suscitare la medesima
impressione generale nell’utilizzatore informato. Al contrario, essendo tuttavia
quest’ultimo, per definizione, “informato”, le differenze che possano considerarsi
“rilevanti”, per quanto piccole possono essere percepite come un qualcosa di nuovo. Nel
qual caso non si potrà parlare di contraffazione.
Bisogna poi tenere presente che non si può parlare di contraffazione quando il
disegno o modello di riferimento non è valido: non possono essere registrate le parti non
visibili di un prodotto o quelle già divulgate.
3. La tutela del design a livello comunitario
La protezione giuridica sui disegni o modelli comunitari, non cambia in base al fato
che essi siano o meno formalmente registrati. Entrambi hanno infatti carattere unitario
in tutta l’Unione Europea e condividono gli stessi requisiti di protezione già visti in
riferimento alla normativa nazionale italiana (novità, carattere individuale, non
contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume). Tuttavia, da un lato, il disegno o
modello comunitario registrato comporta il diritto esclusivo di utilizzo e il potere di
vietare la fabbricazione, l’offerta, la commercializzazione, l’importazione,
l’esportazione, l’utilizzo o la detenzione per tali fini di prodotti che incorporano il
disegno o modello e che non producono una differente impressione complessiva; esso
gode inizialmente di una protezione della durata di cinque anni, rinnovabile per periodi
di cinque anni fino ad un massimo complessivo di 25 anni. Dall’altro lato, il disegno o
modello comunitario non registrato conferisce solamente il diritto di vietare l’utilizzo
commerciale dello stesso unicamente se tale utilizzo deriva da copia e la sua tutela è
limitata a tre anni dalla data in cui è stato divulgato per la prima volta al pubblico
all’interno dell’Unione Europea.
L’estensione a livello comunitario della disciplina dei modelli di design consente di
avere una protezione solida e uniforme in tutta l’Unione Europea, a fronte di una
notevole semplificazione delle formalità, oggi limitate a: una sola domanda; una sola
lingua di deposito; un solo centro amministrativo; un solo pagamento. Dal punto di vista
economico, inoltre, il deposito di una domanda di protezione comunitaria risulterà
molto più vantaggioso rispetto alla richiesta di registrazione nazionale del modello in
tutti i paesi dell’Unione.
Il disegno o modello comunitario, una volta registrato, non deve essere
necessariamente pubblicato, ma la sua pubblicazione può essere posticipata fino ad un
massimo di 30 mesi, permettendo così all’autore o all’avente diritto di mantenere
riservate le proprie creazioni finchè la divulgazione non sia ritenuta opportuna dal punto
di vista commerciale. E’ anche possibile non pubblicare affatto il disegno o modello: in
tal caso tuttavia la registrazione decadrà una volta trascorsi 30 mesi.
Viene riconosciuta all’autore, inoltre, la facoltà di richiedere la protezione del
disegno o modello entro un anno dal momento della prima divulgazione. Si tratta del
cosiddetto “periodo di differimento”, il quale preserva il requisito della novità per un
periodo di un anno dalla divulgazione del modello, consentendo al designer di valutare
l’opportunità economica della richiesta di registrazione. Ciò è particolarmente
vantaggioso per le piccole aziende, le quali sovente non dispongono dei mezzi
economici per chiedere la registrazione dei modelli per i quali non esiste la ragionevole
certezza di un ritorno dell’investimento.
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3.1. La procedura per il deposito della domanda in sede comunitaria
E’ possibile depositare le domande di registrazione di un disegno o modello
comunitario, sia presso lo stesso Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno
(UAMI), sia presso gli uffici della proprietà industriale degli Stati membri (in Italia,
l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e le Camere di Commercio). Qualsiasi persona
fisica o giuridica, anche se appartenente ad un paese extracomunitario, può depositare
una domanda, semplicemente compilando un apposito modulo e allegando un esemplare
riproducibile del disegno per il quale si richiede la tutela, anche in forma fotografica, e
attestando il pagamento delle tasse relative. Sono ammesse domande inviate a mezzo
posta, telefax, e-mail o consegnate a mano.
L’esame delle domande di registrazione è svolto sugli elementi formali: viene
verificato che si tratti di una domanda di registrazione di disegno o modello e che
questo non è contrario all’ordine pubblico o al buon costume (liceità del disegno). Non
è quindi prevista alcuna procedura di opposizione e alla registrazione seguirà la
pubblicazione, immediatamente dopo il “periodo di differimento”. Se la domanda non
presenta i requisiti formali per essere accolta viene sollevata un’obiezione sulle
eventuali carenze; solo nel caso in cui a questa obiezione non segua una correzione o
un’integrazione della domanda, essa verrà rigettata. In caso di pubblicazione differita,
invece, verranno iscritti nel registro solo i dati fondamentali della registrazione, mentre
il resto rimarrà riservato per permettere al richiedente di completare al meglio le proprie
strategie commerciali volte allo sfruttamento economico del disegno. L’annullamento
del differimento può comunque essere chiesto in qualunque momento da parte del
richiedente124.
Una importante novità introdotta dal Regolamento Comunitario n. 6/2002 è
l’istituzione di un diritto sui disegni e modelli non registrati125. Il disegno o modello
non registrato diviene tutelabile se possiede tutti i requisiti richiesti per la valida
registrazione, da valutarsi non al momento della data di deposito della domanda ma al
momento della divulgazione. Il disegno o modello si considera “divulgato” se è stato
pubblicato, esposto al pubblico, usato in commercio o in qualsiasi altro atto attraverso il
quale il design possa ragionevolmente ritenersi conosciuto negli ambienti specializzati
del settore interessato, operanti nella Comunità. Ciò significa che quando un modello
non sia sostanzialmente identico ad uno precedentemente divulgato ma non registrato,
non potrà parlarsi di abuso; inoltre l’art. 5 bis afferma espressamente che “i disegni o
modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono soltanto per
dettagli irrilevanti”. La ratio di questo sistema di protezione per i modelli non registrati,
sta nel tentativo di avvantaggiare “i settori industriali che in un breve spazio di tempo
producono molti disegni la cui vita ha buone probabilità di rivelarsi effimera, cosicché
124
Le informazioni relative ai disegni o modelli registrati in sede comunitaria vengono tenuti in un
apposito data-base pubblicamente accessibile, chiamato registro dei disegni e modelli. Nel caso di una
registrazione con pubblicazione differita, tuttavia, non sarà ammessa alcuna consultazione fino al
momento della pubblicazione stessa, se non con il consenso del titolare. se invece l’autore o l’avente
diritto decide di non procedere ad alcuna pubblicazione, non sarà mai possibile alcuna consultazione
pubblica. Nel registro vengono anche annotate le modifiche del diritto sull’oggetto della registrazione,
vale a dire: trasferimenti di proprietà, modifica di un nome o di un indirizzo, concessione in licenza….
125
Nel nostro Paese esiste una fattispecie simile, ovvero il marchio di fatto, tutelato in base all’art. 2598
del Codice Civile, quando l’uso di un segno simile ad un marchio già utilizzato, anche se non registrato, si
qualifica come comportamento di concorrenza sleale in quanto capace di creare confusione nei
consumatori.
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in definitiva solo alcuni di essi verranno commercializzati”.
Rimangono tuttavia i
dubbi sulle difficoltà di provare concretamente l’abuso eventualmente subito; il titolare
di un disegno o modello non registrato dovrà difendersi o agire contro la contraffazione
fornendo la prova: dalla data di prima divulgazione, della presenza dei requisiti di
validità del modello, della conoscenza da parte dei soggetti interessati all’interno della
Comunità, della effettiva copia da parte del contraffattore. Nella pratica, la divulgazione
potrebbe validamente ritenersi provata per mezzo di una rivista stampata che riporti una
data di un’azione promozionale di massa, la pubblicazione durante un’esposizione
internazionale, una corrispondenza datata e inviata a tutte le associazioni di categoria di
un determinato settore industriale.
Il regolamento Comunitario n. 6/2002, prevede un diritto di “preuso” per chi possa
provare di aver iniziato in buona fede nel territorio dell’Unione l’uso di un disegno o
modello successivamente protetto tramite una registrazione comunitaria non costituente
copia. Per conciliare questa disposizione con la previsione di un periodo di grazia di 12
mesi durante il quale la divulgazione non fa venir meno i requisiti di novità e carattere
individuale, si deve interpretare il preuso come “non divulgativo”, in quanto utilizzo del
disegno o modello che non genera “ragionevole possibilità di conoscenza negli ambienti
specializzati della Comunità”. Non essendoci divulgazione, il preutente non potrà
quindi richiedere per il proprio trovato la protezione come disegno o modello non
registrato. L’assenza del carattere divulgativo del preuso trova conferma nel fatto che lo
stesso preuso può nascere anche da semplici preparativi all’uso del disegno.
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Indice cronologico delle decisioni citate
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Corte di Cassazione, 10 agosto 1966, n. 2172, in Giur. It., 1967, I, 1, p. 173
Corte di Cassazione, 2 aprile 1982, n. 2020
Trib. Torino, 31 marzo 1992, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1992, p. 4029
Corte di Appello di Perugina, 24 gennaio 1994, in Rass. Giur. Umbra, 1994, p. 573
Trib. Firenze, 17 maggio 1995, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1995, p. 3417
Trib. Milano, 25 marzo 1996, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1996, p. 3589
Corte di Cassazione, sez. I civile, 7 novembre 1996, n. 9728, in Giur. Ann. Dir. Ind.,
1996, p. 3391 e ss.
Corte di Appello di Milano, 10 giugno 1997, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1997, p. 3760
Corte di Cassazione, 9 marzo 1998, n. 2578
Trib. Firenze, 7 maggio 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3809
Trib. Milano, 27 luglio 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p.3833
Corte di Appello di Milano, 18 settembre 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3839
Trib. Verona, 23 luglio 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, p. 4023
Corte di Appello di Milano, 26 ottobre 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, p. 4029
Corte di Appello di Bologna, 3 maggio 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2002, p. 116 e ss.
Trib. Milano, 11 ottobre 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2002, p. 340 e ss.
Trib. Bari, 27 novembre 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2001, p. 4315
Trib. Verona, 11 luglio 2003, in Giur. It., 2004, p. 1020
Trib. Napoli, 17 luglio 2003, in Giur. Napoletana, 2003, p. 353 – 360
Corte di Appello di Milano, 28 ottobre 2003, in Riv. Dir. Ind. 2004, II, p. 14
Trib. Bari, 19 aprile 2004, in Giurisprudenza locale, Bari, 2004
Corte di Cassazione, sez. I civile, 22 luglio 2004, n. 13658
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