Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento scienze aziendali e sociali Centro di competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale n° 7 - Luglio 2011 Indice Diritto tributario svizzero Le leggi federali sono pronte per un primo restauro ........................................... 2 La deduzione per “altre spese professionali”: quale relazione con i rimborsi spese forfettari versati dal datore di lavoro? ............................. 6 Diritto tributario italiano La determinazione del fondo di dotazione della stabile organizzazione italiana di una banca estera ................................ 9 Il regime fiscale di attrazione europea: una disciplina in fase di attuazione ................................................................................. 15 Diritto tributario internazionale e dell’UE La politica dell’Italia in materia di scambio di informazioni: recenti sviluppi .................................................................................................................................. 20 IVA e imposte indirette L’IVA sulle prestazioni a soggetti collegati ................................................................. 24 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano Il trust deve scontare l’imposta di donazione quando riceve il bene dal disponente oppure quando lo devolve ai beneficiari? ................................. 28 Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE La clausola giustificativa che ammette la norma fiscale discriminatoria è concessa solo se è rispettato il principio di proporzionalità ........................ 30 Pubblicazioni Banche e imprese nel procedimento penale .............................................................. 33 Offerta formativa Corsi di diritto tributario ......................................................................................................... 34 www.fisco.supsi.ch Diritto tributario svizzero Le leggi federali sono pronte per un primo restauro Dal 1. gennaio 2013 le disposizioni riguardanti la tassazione biennale praenumerando saranno finalmente espunte dalla legge Ad esempio l’imposta da prelevare per il periodo fiscale X e X+1 secondo il sistema praenumerando biennale si determina sulla base di una dichiarazione fiscale allestita nell’anno X e relativa al periodo di tassazione della medesima durata. Come base di calcolo si prende in considerazione il biennio precedente, X-2 e X-1, ed il relativo reddito medio annuo conseguito. 1. La soluzione del 1990: il legislatore federale si concede un periodo di osservazione Sono ormai trascorsi più di vent’anni da quando l’Assemblea federale approvò la Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito “LIFD”) e la Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito “LAID”). Il 14 dicembre 1990, accettando le due leggi federali, le Camere decisero di rinunciare ad uniformare le basi temporali applicabili alle persone fisiche, permettendo ai Cantoni una certa libertà tra la scelta del sistema di tassazione biennale praenumerando e quello di tassazione annuale postnumerando. Questa soluzione aveva il vantaggio di non costringere i Cantoni favorevoli alla tassazione annuale postnumerando a rinunciarvi e concedeva agli altri Cantoni, i quali applicavano la tassazione biennale praenumerando, un sufficiente tempo di riflessione. L’aspetto particolare di questa soluzione era quello di ammettere, ai fini dell’imposta federale diretta, l’applicazione parallela di due (differenti) sistemi di basi temporali per l’imposizione delle persone fisiche. Ad esempio sia per l’imposta cantonale sia per l’imposta federale diretta nel Canton Basilea Città veniva applicato il sistema annuale postnumerando, mentre nel Canton Ticino veniva applicato il sistema biennale praenumerando. 2. Definizione di sistema biennale praenumerando e sistema annuale postnumerando Il sistema di tassazione biennale praenumerando è caratterizzato dal fatto che l’imposta è calcolata prima della fine del periodo fiscale biennale in modo che, per il calcolo dell’imposta dovuta, si fa riferimento ai dati del biennio precedente presumendo che tale reddito rispecchi ancora la situazione esistente nel biennio successivo. 2 | n° 7 - Luglio 2011 | X-2 e X-1 X e X+1 Periodo di calcolo Periodo fiscale Periodo di tassazione Diversamente, il sistema annuale postnumerando si caratterizza per il fatto che l’imposta dovuta è calcolata alla fine del periodo fiscale cui si riferisce. In questo caso periodo fiscale e periodo di calcolo si sovrappongono. L’imposta viene calcolata alla fine del periodo fiscale sulla base del reddito effettivamente realizzato (reddito conseguito). Ad esempio il reddito conseguito nel periodo fiscale X serve di base per il calcolo dell’imposta dovuta per l’anno X. La procedura di tassazione non potrà essere avviata che nell’anno successivo (X+1) ovvero dopo la scadenza del periodo fiscale. X X+1 Periodo di calcolo Periodo fiscale Periodo di tassazione 3. Il rapporto del 2002: l’esecutivo federale si esprime al termine del periodo di osservazione Al Consiglio federale fu dunque affidato il compito di redigere un rapporto da indirizzare alle Camere federali alla scadenza del termine di otto anni dall’entrata in vigore della LAID, stabilita il 1. gennaio 1993, con il quale si sarebbe proposta l’uniformazione delle basi temporali per le persone fisiche (articoli 70 LAID e 219 LIFD). Se il vantaggio della soluzione transitoria prospettata dall’Assemblea federale era soprattutto quello di monitorare la situazione nei 26 Cantoni e di esaminare, solo successivamente, quale dei due sistemi adottare, lo svantaggio, più che altro di carattere formale, era quello che le leggi dovevano prevedere delle disposizioni sulle basi temporali delle persone fisiche riguardanti sia la tassazione praenumerando che quella postnumerando. Entrambe le leggi prevedevano pertanto due possibilità: (i) il sistema di tassazione praenumerando su un periodo fiscale biennale e (ii) il sistema di tassazione postnumerando su un periodo fiscale annuale. Quanto alle basi temporali delle persone giuridiche le Camere federali, già il 14 dicembre 1990, decisero invece di utilizzare, ai fini dell’imposta sull’utile e sul capitale, il sistema di tassazione annuale postnumerando. Nel rapporto del Consiglio federale del 9 gennaio 2002 si mette in risalto come il sistema di tassazione postnumerando sia da preferire rispetto a quello praenumerando poiché (i) evita lacune d’imposizione alla fine dell’assoggettamento e sopprime le tassazioni intermedie, (ii) è applicabile senza difficoltà all’inizio dell’assoggettamento e (iii) facilita le ripartizioni intercantonali e internazionali. Il Consiglio federale ricorda però che il maggior svantaggio dato dal sistema annuale è dato dal fatto che, rispetto a quello biennale, il contribuente è chiamato ogni anno a redigere la dichiarazione d’imposta, così come nell’obbligo da parte dell’ente statale di riscuotere nel corso del periodo fiscale gli acconti stabiliti su redditi presunti. Nonostante ciò il Consiglio federale ricorda come la crisi economica abbia accentuato i limiti e i vantaggi del sistema di tassazione biennale praenumerando, considerando che l’utilizzo del sistema annuale postnumerando presenta l’enorme vantaggio di ridurre considerevolmente il tempo trascorso tra l’acquisizione del reddito e la riscossione dell’imposta, evitando in tal modo che l’imposizione fiscale aggravi ulteriormente gli effetti negativi della crisi economica. Se sino al 1990 solo Basilea Città utilizzava il sistema postnumerando, a metà degli anni novanta parecchi Cantoni decisero di cambiare il sistema di basi temporali e uniformarsi a quello già in uso nel Canton Basilea Città. Gli ultimi Cantoni a mantenere il sistema biennale praenumerando furono Ticino, Vaud e Vallese, che decisero di passare al sistema annuale postnumerando nel 2003. Il Consiglio federale, preso atto che tutti i Cantoni passarono o decisero di passare al sistema annuale postnumerando, nel rapporto del 9 gennaio 2002 comunicò alle Camere federali che la LAID e la LIFD avrebbero dovuto essere modificate affinché la tassazione annua postnumerando potesse diventare il solo sistema di basi temporali per l’imposizione delle persone fisiche. Si sarebbe dunque dovuto procedere ad un adeguamento formale delle due leggi federali, al fine di eliminare tutte quelle disposizioni legate al sistema biennale praenumerando. Ne conseguì, sempre secondo il Consiglio federale, che l’unificazione sul piano legale del sistema delle basi temporali di imposizione delle persone fisiche avrebbe potuto essere ipotizzata a partire dal periodo fiscale 2005. 4. Il disegno di legge del 6 aprile 2011 del Consiglio federale L’adeguamento formale prospettato dal Consiglio federale per il 2005 è slittato di qualche anno quando, lo scorso 6 aprile, è stato (finalmente) presentato il Messaggio numero 11.026 concernente la legge federale sull’adeguamento formale delle basi temporali per l’imposizione diretta delle persone fisiche. Con tale disegno di legge si vogliono finalmente abrogare 3 | n° 7 - Luglio 2011 | quelle disposizioni, ormai divenute superflue e obsolete, del sistema di tassazione biennale praenumerando, tuttora presenti nella LAID e nella LIFD, senza tuttavia apportare modifiche materiali alle leggi federali. Finora, infatti, la sistematica delle leggi era alquanto imprecisa poiché si ritrovavano le norme della tassazione annuale postnumerando nel titolo quarto “Disposizioni transitorie”. La modifica formale delle leggi si avvia dunque nella direzione di abrogare complessivamente 30 articoli, dei quali 10 nella LAID e 20 nella LIFD. Gli unici effetti ravvisabili nel cosiddetto restyling della LIFD riguardano l’imposizione secondo il dispendio di cui all’articolo 14 LIFD. Infatti, il relativo capoverso 3, rimanda per il calcolo dell’imposta del contribuente e della sua famiglia alle aliquote previste dall’articolo 36 LIFD, ovvero alle aliquote riferite alla tassazione biennale praenumerando, le quali sono più elevate rispetto alle aliquote riferite alla tassazione annuale postnumerando (articolo 214 LIFD). Siffatto cambiamento comporterà, secondo il Consiglio federale, una perdita fiscale stimata in circa 7-8 milioni di franchi. 5. Come cambiano le leggi Nella seguente tabella vengono presentate le disposizioni prima e dopo la modifica formale decisa dall’esecutivo federale, con entrata in vigore stabilita per il 1. gennaio 2013, con riferimento alla: a) LIFD; b) LAID; c) Legge federale su l’imposta preventiva (di seguito “LIP”). a) Le modifiche alla LIFD Articolo abrogato Articolo nuovo Titolo dell’articolo Deduzione delle perdite Osservazioni Il rinvio all’articolo 209 è sostituito dal rinvio all’articolo 40 (Periodo fiscale, anno fiscale) 211 31 capoverso 1 212 capoverso 1 33 capoverso 1 lettera g, capoverso 1bis 212 capoverso 2 33 capoverso 2 212 capoverso 3 33 capoverso 3 Deduzione per la cura prestata da terzi ai figli 213 capoversi 1 e 2 35 capoversi 1 e 2 Deduzioni sociali Figli e persone bisognose a carico, coniugi (lettere a, b, c del capoverso 1). Al capoverso 2 viene indicato il momento determinante per assegnare la deduzione, cioè la fine del periodo fiscale (articolo 40) 214 36 Tariffe Adeguamento annuale delle tariffe (articolo 39) Deduzione sui premi assicurativi e gli interessi dei capitali a risparmio Interessi su debiti e altre deduzioni Deduzione per i coniugi con doppio reddito a) Le modifiche alla LIFD Articolo abrogato Articolo nuovo 38 capoversi 1bis e 2 - 209 210 43-48 216 220a 4 Prestazioni in capitale provenienti dalla previdenza Sostituisce il testo dell’articolo 48 (che viene abrogato) secondo cui le imposte sulle prestazioni in capitale provenienti dalla previdenza sono fissate per l’anno fiscale durante il quale i proventi corrispondenti sono stati conseguiti. Il capoverso 2 rimanda all’utilizzo delle tariffe previste dall’articolo 36 capoverso 1 e 2 per l’imposizione dei proventi tassati separatamente 41 Determinazione del reddito - Tassazione in caso di matrimonio o scioglimento del matrimonio Disposizioni relative al periodo fiscale nel sistema della tassazione annuale postnumerando Determinante la situazione familiare alla fine del periodo fiscale. Prima questa regola era prevista all’articolo 5 dell’Ordinanza sulle basi temporali per le persone fisiche (RS 642.117.1) Abrogati Disposizioni riguardanti il sistema della tassazione biennale praenumerando che vengono dunque abrogate Appartenenza personale Disposizione sulla competenza territoriale delle autorità cantonali. I capoversi 1 e 2 dell’articolo 105 vengono sostituiti dai capoversi 1 e 2 dell’articolo 216. Il capoverso 3 è identico sia nell’articolo 105 che nel 216 (persone giuridiche). Il capoverso 4 (nuovo) riguarda la competenza territoriale in caso di modifica dell’assoggettamento per prestazioni in capitale tassate secondo l’articolo 38 LIFD (disposizione che corrisponde all’articolo 4b LAID [nuovo]) Articolo abrogato Articolo nuovo Da 208 a 220 - Abrogati Osservazioni Disposizioni transitorie del Capitolo 3 che riguardano la tassazione annuale facoltativa vengono abrogate Soppressione dell’articolazione in capitoli del titolo terzo “Basi temporali” (titoli capitoli da 1 a 4 sono abrogati) b) Le modifiche alla LAID Articolo abrogato 68 Articolo nuovo 4b (nuovo) Titolo dell’articolo Osservazioni Modifica dell’assoggettamento Disposizione sulla modifica dell’assoggettamento all’interno della Svizzera in base all’appartenenza personale (capoverso 1) ed economica (capoverso 2) 67 capoverso 1 10 capoverso 2 Deduzione delle perdite Il capoverso 2 dell’articolo 67 è già contenuto al capoverso 4 dell’articolo 10. L’articolo 67 viene abrogato 63 15 Periodo fiscale Disposizioni relative al periodo fiscale nel sistema della tassazione annuale postnumerando 64 16 Determinazione del reddito Disposizioni sul calcolo del reddito nel sistema della tassazione annuale postnumerando 66 17 Determinazione della sostanza Disposizioni sul calcolo della sostanza nel sistema della tassazione annuale postnumerando Tassazione in caso di matrimonio o scioglimento del matrimonio Determinante la situazione familiare alla fine del periodo fiscale. Prima questa regola non era prevista dalla LAID Abrogati Disposizioni Titolo settimo: “Tassazione annua per le persone fisiche” che riguardano la tassazione annuale vengono abrogate Adeguamento delle legislazioni cantonali Riserva in favore dell’articolo 16 (Periodo fiscale annuo facoltativo) viene abrogata Abrogato Abrogazione articolo 69 determina abrogazione articolo 78b poiché tutti i Cantoni utilizzano il sistema della tassazione annuale postnumerando Modifica dell’articolo 18 Disposizione sulla competenza territoriale delle autorità cantonali. L’articolo 217 viene integrato nell’articolo 106 Da 62 a 70 - Abrogato Disposizione si riferisce all’articolo 47 e viene dunque abrogata Modifica dell’articolo 72 capoverso 1 205d (nuovo) Disposizione transitoria relativa alla modifica del 20 marzo 2008 Disposizione deve essere anteposta siccome il Capitolo 3 del Titolo quarto delle “Disposizioni transitorie” viene abrogato | n° 7 - Luglio 2011 | Titolo dell’articolo Abrogazione dei titoli da 1 a 4 del titolo terzo Appartenenza economica 106 161 capoverso 3 lettera b Osservazioni Periodo fiscale 105 217 Titolo dell’articolo 40 Modifica dell’articolo 42 a) Le modifiche alla LIFD 78b - - Per maggiori informazioni: Consiglio federale; Messaggio numero 83.043 a sostegno delle leggi federali sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni e sull’imposta federale diretta (Messaggio sull’armonizzazione fiscale), del 25 maggio 1983, in: c) Le modifiche alla LIP Articolo abrogato 29 capoversi 3 e 4 Articolo nuovo 29 capoverso 3 Titolo dell’articolo Esercizio del diritto al rimborso Osservazioni Modifiche formali a causa dell’unificazione delle basi temporali: • il matrimonio quale motivo per il rimborso a titolo preventivo viene meno (capoverso 3) • decadenza del rimborso provvisorio senza previa istanza (capoverso 4, abrogato) 6. Considerazioni conclusive La revisione delle leggi federali (LIFD, LAID e LIP) voluta dal Consiglio federale, seppur con qualche anno di ritardo, mira ad abrogare tutte le disposizioni rese obsolete dal passaggio dal sistema di tassazione biennale praenumerando a quello annuale postnumerando. Delle leggi più concise e più agevoli alla lettura, come sottolineato dall’esecutivo, miglioreranno considerevolmente la loro trasparenza e porteranno almeno una ventata d’aria nuova ad una fiscalità che fa fatica a restare al passo con i tempi. L’unificazione delle basi temporali ne è un esempio concreto: dalla decisione del 2002 del Consiglio federale volta a proporre le necessarie modifiche formali di legge sono passati ben nove anni prima di intravvedere un disegno di legge, il quale sarà senza alcun dubbio approvato integralmente dall’Assemblea federale. Ora si attendono però riforme materiali e non solo formali: al prossimo disegno di legge! http://www.amtsdruckschriften.bar.admin.ch/showHome.do [20.07.2011] Consiglio federale; Messaggio numero 11.026 concernente la legge federale sull’adeguamento formale delle basi temporali per l’imposizione diretta delle persone fisiche, del 6 aprile 2011, in: http://www.admin.ch/ch/i/ff/2011/3279.pdf [20.07.2011] Consiglio federale; Rapporto del Consiglio federale sull’uniformazione delle basi temporali delle imposte dirette delle persone fisiche, del 9 gennaio 2002, in: http://www.admin.ch/ch/i/ff/2002/1978.pdf [20.07.2011] Elenco delle fonti fotografiche: http://www.parlament.ch/d/service-presse/fotogalerie/dreieidgenossen/PublishingImages/drei-eidenossen-04-g.jpg [20.07.2011] http://www.parlament.ch/d/service-presse/fotogalerie/nrsaal/PublishingImages/nationalratssaal-09-g.jpg [20.07.2011] http://estb.msn.com/i/EA/735D7E247E385FA2519435246187B0. jpg [20.07.2011] Samuele Vorpe Docente-ricercatore SUPSI La deduzione per “altre spese professionali”: quale relazione con i rimborsi spese forfettari versati dal datore di lavoro? Considerazioni sulla giurisprudenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello 2. Le “altre spese professionali” 1. Considerazioni introduttive In caso di attività lucrativa dipendente, le spese professionali deducibili dal reddito sono esaurientemente disciplinate dagli articoli 25 capoverso 1 della Legge tributaria ticinese (di seguito LT) e 26 capoverso 1 LIFD. Esse riguardano: • • • • le spese di trasporto necessarie dal domicilio al luogo di lavoro (lettera a), le spese supplementari necessarie per pasti fuori domicilio o in caso di lavoro a turni (lettera b), le altre spese necessarie per l’esercizio della professione (lettera c), le spese inerenti al perfezionamento e alla riqualificazione connessi con l’esercizio dell’attività professionale (lettera d). In due sentenze del 28 ottobre 2009 e del 19 ottobre 2010, la Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello (di seguito CDT) si è occupata da vicino della deduzione per “altre spese professionali” e della sua relazione con le indennità forfettarie versate dai datori di lavoro a copertura delle spese sostenute dai propri dipendenti nell’ambito della loro attività professionale. Nel primo caso si trattava di un dipendente di una ditta di costruzioni, nel secondo di un funzionario di banca. Entrambi i contribuenti svolgevano una funzione dirigenziale e già beneficiavano di un rimborso forfettario per spese di rappresentanza, che la ditta/banca versava loro sulla base di uno specifico regolamento spese approvato dall’autorità fiscale ticinese. Ciononostante, entrambi i contribuenti facevano valere, nella propria dichiarazione d’imposta, la deduzione per “altre spese professionali” (nel primo caso sotto forma di forfait, nel secondo in base ai costi effettivi), sostenendo fondamentalmente che si trattava di una categoria di spese ben distinta da quella già rimborsata dal datore di lavoro. 6 | n° 7 - Luglio 2011 | Conformemente all’articolo 8 del decreto esecutivo concernente l’imposizione delle persone fisiche (promulgato di anno in anno dal Consiglio di Stato), che riprende la definizione delle altre spese professionali contenuta nell’articolo 7 dell’Ordinanza federale del 10 febbraio 1993 sulla deduzione delle spese professionali delle persone esercitanti un’attività lucrativa dipendente ai fini dell’imposta federale diretta, fra le altre spese necessarie per l’esercizio della professione rientrano in particolare gli attrezzi e strumenti di lavoro, l’hardware e il software informatico, la letteratura specialistica, l’uso di una camera privata a scopi professionali, i vestiti da lavoro (compresa l’usura particolare delle scarpe e degli abiti) così come i contributi alle associazioni di categoria e ai sindacati. La lista non è esaustiva. Di principio, il lavoratore dipendente può dedurre tutte le spese necessarie all’esercizio della sua professione. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, il concetto di necessità va peraltro interpretato in senso ampio: non occorre dimostrare che il contribuente non potrebbe assolutamente realizzare il proprio reddito senza la spesa in questione né tanto meno è richiesto che quest’ultima sia effettuata in virtù di un obbligo legale. La sua necessità va ammessa se, in base ad una valutazione economica, si può ritenere che la spesa favorisce l’acquisizione del reddito e se non è ragionevolmente esigibile che il contribuente vi rinunci. Da ciò non può comunque venir concluso che tutti i costi in qualche modo in relazione con l’acquisizione del reddito siano, dal profilo fiscale, illimitatamente deducibili. Non possono in particolare venir dedotte le spese prese a carico dal datore di lavoro o da terzi, le spese per il mantenimento del contribuente e della sua famiglia nonché le spese private causate dalla posizione professionale del contribuente, i cosiddetti costi per il tenore di vita. Il contribuente può scegliere se far valere i costi effettivi oppure la deduzione forfettaria. La concessione di una deduzione forfettaria ha prevalentemente ragioni pratiche: da un lato, solleva il contribuente dall’obbligo di raccogliere e conservare i giustificativi dei più piccoli dispendi e, dall’altro, agevola i compiti dell’autorità di tassazione, che in questo modo non deve esaminare nel dettaglio le singole spese. 3. Le indennità per spese forfettarie versate dal datore di lavoro Tra le indennità accordate dal datore di lavoro rientrano tutte le spese che derivano al lavoratore dipendente nell’ambito della sua attività professionale. Per quanto concerne in particolare le spese di rappresentanza, oggetto delle due decisioni della CDT, si tratta di quelle spese che sostengono dipendenti di solito dirigenti nell’esercizio della loro attività lavorativa, in considerazione della loro posizione particolare, nei rapporti con clienti o collaboratori, e per le quali la presentazione di giustificativi sarebbe possibile tutt’al più con un dispendio sproporzionato. Tra queste rientrano, per esempio, le spese per inviti di clienti e partner commerciali al ristorante o al domicilio privato, ma anche le piccole spese per regali in occasione di inviti di amici commerciali, spuntini consumati durante un tragitto, mance, telefonate professionali da apparecchi privati, inviti e regali ai dipendenti, contributi ad istituzioni o associazioni, spese accessorie, piccole spese in occasione di colloqui e riunioni, biglietti (tram, bus, taxi), tasse di parcheggio, viaggi di lavoro con l’automobile privata nel raggio locale, spese per il portabagagli e il guardaroba, spese postali e telefoniche, così come le spese per la pulizia dei vestiti (cfr. modello di regolamento spese della Conferenza fiscale svizzera). Il datore di lavoro può scegliere se rimborsare le spese dietro presentazione dei giustificativi (rimborso delle spese effettive) oppure sotto forma di forfait. Per le spese di rappresentanza, le aziende fanno solitamente capo ad uno specifico regolamento allestito sulla base del modello della Conferenza fiscale svizzera e approvato dall’autorità fiscale (cfr. Istruzioni per la compilazione del certificato di salario rispettivamente dell’attestazione delle rendite della Conferenza fiscale svizzera e dell’Amministrazione federale delle contribuzioni, Modulo 11). Un simile regolamento ha, infatti, il pregio di essere di principio riconosciuto da tutti i Cantoni. 4. Due categorie di spese ben distinte? A prima vista, le nozioni di “altre spese professionali” e di “indennità per spese forfettarie versate dal datore di lavoro” non si sovrappongono, ma rappresentano due categorie di spese concettualmente ben distinte. Le prime sono delle cosiddette spese professionali, che il dipendente sostiene al di fuori dell’orario di lavoro effettivo. Se rimborsate dal datore di lavoro, esse vanno pertanto computate al reddito imponibile, in quanto costituiscono un’integrazione di salario (il dipendente potrà eventualmente dedurle, quali spese professionali, nella dichiarazione d’imposta). Le seconde sono invece 7 | n° 7 - Luglio 2011 | delle spese che derivano ai dipendenti nell’ambito dell’attività professionale. Il loro rimborso ai lavoratori rientra pertanto fra gli obblighi del datore di lavoro (articolo 327a del Codice delle obbligazioni). Esse vanno comunque indicate sul certificato di salario, affinché se ne possa verificare la giustificazione commerciale, per il fatto che se superano i costi effettivi del dipendente costituiscono integrazione dello stipendio. Nella pratica, tuttavia, è spesso difficile tracciare una linea di demarcazione tra le due categorie di spese. La domanda sorge quindi spontanea: un contribuente che già beneficia di un rimborso spese forfettario dal proprio datore di lavoro può ancora far valere la deduzione aggiuntiva a titolo di “altre spese professionali”? In una sentenza del 23 settembre 2008 (cfr. RDAF 2008 II 520), il Tribunale federale, chiamato a giudicare il caso di un funzionario di banca che beneficiava di un cospicuo rimborso forfettario per spese di rappresentanza, ha chiaramente affermato che in simili casi i contribuenti non possono dedurre dal reddito imponibile le “altre spese professionali”. Pur trattandosi di due nozioni concettualmente diverse, l’Alta Corte sembra implicitamente ammettere che nel rimborso spese annuo, versato dal datore di lavoro sulla base di un regolamento approvato dall’autorità fiscale, rientri pure una parte di cosiddette spese professionali, che per ragioni di praticità si rinuncia ad integrare nel salario lordo del dipendente, ma che nel contempo non si ammette in deduzione dal reddito dell’attività dipendente. In definitiva, la conclusione del Tribunale federale, per quanto discutibile, rappresenta una soluzione pragmatica al problema della relazione esistente tra le “altre spese professionali” e le spese di rappresentanza versate ai dipendenti. Nelle due sentenze del 28 ottobre 2009 e del 19 ottobre 2010, la CDT vi ha quindi fatto esplicito riferimento, respingendo i ricorsi presentati dai contribuenti. Per maggiori informazioni: Decisione CDT n. 80.2009.140 del 28 ottobre 2009, in: www.sentenze.ti.ch [20.07.2011] Decisione CDT n. 80.2010.59 del 19 ottobre 2010, in: www.sentenze.ti.ch [20.07.2011] Decisione del Tribunale federale n. 2C_326/2008 del 23 settembre 2008, pubblicata in: RDAF 2008 II 520 Elenco delle fonti fotografiche: http://www.advantas.ch/images/Taschenrechner.jpg [20.07.2011] http://www.advantas.ch/images/PersonalCoaching.jpg [20.07.2011] http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4f/Credit-cards.jpg [20.07.2011] Rocco Filippini Avvocato Vicecancelliere della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello Diritto tributario italiano La determinazione del fondo di dotazione della stabile organizzazione italiana di una banca estera Un breve commento della sentenza n. 475 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano del 1. dicembre 2010 1. Introduzione 2. La disciplina del TUIR e gli orientamenti di prassi Il presente articolo intende fornire un breve commento alla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (di seguito CTP) di Milano, sezione I, n. 475 del 1. dicembre 2010. Il caso sottoposto alla Commissione milanese riguardava un avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva proceduto alla rideterminazione del reddito imponibile di una stabile organizzazione localizzata in Italia di una banca residente nel Regno Unito. Con riferimento alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2004, la Direzione Regionale (di seguito DRE) Lombardia aveva ritenuto non deducibili gli interessi passivi pagati alla casa madre relativi ad un finanziamento erogato ad integrazione del patrimonio di vigilanza in applicazione degli articoli 151 e 152 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (di seguito TUIR) e dell’articolo 7 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Regno Unito. Secondo l’ufficio, le disposizioni citate richiedono che, ai fini fiscali, ad una stabile organizzazione italiana, operante nel settore bancario, sia assegnato un ammontare di disponibilità finanziarie a titolo di capitale di rischio (fondo di dotazione) almeno pari a quello richiesto dalla Banca d’Italia nei confronti di una banca residente indipendente, nella misura definita dalla circolare n. 229/1999. I giudici della CTP accolgono l’accertamento dell’Amministrazione finanziaria e ne sottolineano la conformità sia con i precedenti orientamenti dell’Agenzia, sia con le tesi espresse dall’OCSE. Di seguito è mia intenzione presentare una breve ricostruzione del quadro normativo nel quale si inserisce il pronunciamento dei giudici milanesi; in primo luogo, con riferimento alla disciplina rinvenibile presso l’ordinamento italiano e, in secondo luogo, con riferimento a quella risultante dai documenti normativi di rango internazionale così come interpretati alla luce degli orientamenti dell’OCSE. Le indicazioni di diritto positivo che possono trarsi dalle disposizioni contenenti la disciplina delle imposte sui redditi, per quanto riguarda il tema che ci occupa, sono alquanto scarne. Invero, l’unica disposizione rilevante è rappresentata dall’articolo 152 TUIR, il quale dispone che il reddito attribuibile alle stabili organizzazioni di società non residenti nel territorio dello Stato deve essere determinato “secondo le disposizioni della sezione I del capo II del titolo II” del TUIR. Per effetto di tale rinvio, si dovranno applicare ai redditi attribuibili alle stabili organizzazioni le regole di determinazione del reddito d’impresa ordinariamente applicabili alle società ed enti residenti nel territorio dello Stato. Con specifico riguardo alla disciplina della deducibilità fiscale degli interessi passivi, da tale norma è desumibile il seguente corollario: una volta che gli interessi passivi siano stati correttamente iscritti nel conto economico dell’esercizio nel quale, secondo il principio di competenza economica, sono stati sostenuti, la loro deducibilità può essere sindacata solo in applicazione di specifiche disposizioni del TUIR, i. e., per i periodi di esercizio in corso dal 1. gennaio 2004 al 31 dicembre 2007, la disciplina risultante dagli articoli 96, 97 e 98 TUIR così come introdotti dalla riforma del 2003; mentre, per i periodi d’imposta che hanno inizio a partire dal 1. gennaio 2008, quella risultante dall’articolo 96 TUIR così come introdotto dalla Legge n. 244/2007. 9 | n° 7 - Luglio 2011 | Il tema della deducibilità degli interessi passivi pagati dalla stabile organizzazione alla sua casa madre era stato oggetto, sino al 2006, di un unico pronunciamento di prassi. Nel capitolo VI della circolare n. 32 del 22 settembre 1980 si afferma che “sotto il profilo fiscale […] la stabile organizzazione assume una sua autonomia riconosciuta sia dal diritto interno che da quello convenzionale”; dall’affermazione di tale principio consegue sia l’applicabilità della disciplina dei prezzi di trasferimento ai rapporti tra casa madre e stabile organizzazione, sia la possibilità che l’attribuzione di liquidità fatta dalla casa madre a favore della sua stabile organizzazione italiana possa essere qualificata come l’attribuzione di capitale a titolo di mutuo e, quindi, fonte di interessi passivi. Con risoluzione n. 44 del 30 marzo 2006, l’Agenzia è intervenuta nuovamente sulla questione a chiarimento di quanto sostenuto nella succitata circolare. L’Agenzia avvia la propria analisi riportando il principio secondo cui la stabile organizzazione, pur essendo giuridicamente una mera diramazione amministrativa della casa madre, dal punto di vista fiscale, alla luce della normativa tributaria interna, deve essere considerata come se fosse un’ “entità autonoma e distinta”. Tale diverso approccio, che contraddistingue il diritto tributario rispetto agli altri rami del diritto, “è finalizzato a consentire allo Stato in cui la stabile organizzazione è localizzata di esercitare i propri diritti impositivi sul reddito prodotto nel proprio territorio”. Infatti, la sottocapitalizzazione della stabile organizzazione rispetto alla struttura patrimoniale e all’attività esercitata può determinare un eccessivo indebitamento e, di conseguenza, un trasferimento di reddito a beneficio dello Stato di residenza della casa madre. In conclusione, la corretta determinazione del reddito attribuibile alla stabile organizzazione presuppone che alla stessa sia attribuito un fondo di dotazione che sia congruo rispetto all’attività esercitata e ai rischi assunti analogo all’ammontare di capitale di rischio di cui risultano titolari imprese residenti che svolgono attività analoghe in condizioni analoghe. Conclude, infine, sancendo il seguente punto di diritto: “in tale ottica, potranno essere considerati deducibili, in quanto corrispondenti agli interessi passivi che un’impresa indipendente avrebbe sostenuto, solo quelli derivanti da finanziamenti che sarebbero stati accesi se la stabile organizzazione avesse potuto disporre di un fondo di dotazione adeguato”. La risoluzione in questione viene espressamente richiamata dalla sentenza in commento che ne sposa pienamente le tesi e le motivazioni, e ne costituisce una prima e - a quanto mi risulta - unica conferma giurisprudenziale. A conclusione di questa breve sintesi del quadro normativo nel quale si colloca la sentenza in commento mi preme sottolineare che la rilevanza pratica del problema della determinazione del fondo di dotazione della stabile organizzazione risulta drasticamente ridimensionata a seguito delle modifiche apportate dalla Legge finanziaria per il 2008 (n. 244/2007) alla disciplina della deducibilità degli interessi passivi. Infatti, dal momento che il soggetto non residente dotato di una stabile organizzazione nel territorio italiano è tenuto a redigere un conto economico rappresentativo della gestione della stessa e che il nuovo articolo 96 TUIR stabilisce una soglia massima di deducibilità degli interessi passivi calcolata come quota percentuale del reddito operativo lordo emergente da tale scrittura contabile, non sembra possibile per l’Amministrazione finanziaria sostituire a tale disciplina un autonomo calcolo del rapporto tra indebitamento e mezzi propri. Il problema invece mantiene la sua rilevanza per tutte quelle stabili organizzazioni che operano, come nel caso in commento, nel settore bancario. Infatti, i commi 5 e 5-bis dell’articolo 96 TUIR stabiliscono che le banche e gli altri soggetti finanziari, in deroga a quanto disposto negli altri commi dello stesso articolo, possono dedurre dal proprio reddito il 96% dell’ammontare degli interessi passivi. 10 | n° 7 - Luglio 2011 | Invero, mentre la regola del 30% del risultato operativo lordo (di seguito ROL) dovrebbe offrire, quantomeno nelle intenzioni del legislatore, una forfetizzazione del fabbisogno fisiologico di liquidità di una società operativa, la deroga prevista per le banche e le società finanziarie sembra avere l’unica funzione di sottrarre tali operatori dall’ambito di applicazione di una norma che è costruita con riferimento alle caratteristiche delle società “commerciali”. 3. La disciplina convenzionale e gli orientamenti dell’OCSE La disciplina convenzionale applicabile al caso in esame e richiamata dalla sentenza è contenuta nell’articolo 7 paragrafo 2 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito stipulata il 21 ottobre 1988 e ratificata con la legge del 5 novembre 1990, n. 329, il quale risulta identico al testo dell’articolo 7 paragrafo 2 del Modello di Convenzione dell’OCSE precedente le modifiche del luglio 2010. In base a tale articolo, “quando un’impresa di uno Stato contraente svolge la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, in ciascuno Stato contraente vanno attribuiti a detta stabile organizzazione gli utili che si ritiene sarebbero stati da essa conseguiti se si fosse trattato di una impresa distinta e separata svolgente attività identiche o analoghe in condizioni identiche o analoghe e in piena indipendenza dall’impresa di cui essa costituisce una stabile organizzazione”. L’orientamento dell’OCSE in merito all’applicazione della disposizione citata al problema della deducibilità degli interessi passivi relativi ad un finanziamento concesso dalla casa madre alla sua stabile organizzazione è contenuta nel Commentario all’articolo 7, così come modificato da ultimo nel luglio 2010 e nel Report on the attribution of profits to permanent establishments (di seguito “Rapporto”) approvato nella sua versione definitiva nel luglio del 2008 (modificato nel 2010 per adeguarlo alle modifiche nel frattempo apportate all’articolo 7). Prima di illustrare le direttive interpretative contenute nel Commentario è necessario ricordare che nel luglio del 2010 sono state apportate significative modifiche allo stesso, in concomitanza con le modifiche apportate all’articolo 7 del Modello di Convenzione dell’OCSE allo scopo di allineare quanto ivi previsto alle conclusioni raggiunte nel Rapporto. A seguito di tali modifiche, allo stato attuale, il Commentario presenta, dopo il commento al nuovo testo dell’articolo 7, la versione del Commentario risultante dopo le modifiche del 2008 che rappresenta la versione di riferimento tutte le volte in cui il trattato da applicare sia conforme al Modello di Convenzione antecedente il 2010. Nel seguito farò pertanto riferimento a tale versione per ricostruire l’orientamento dell’OCSE. La scelta di esaminare il pronunciamento dei giudici milanesi con riferimento alla versione del 2008 del Commentario mi sembra l’opzione preferibile per una serie di ragioni. In primo luogo essa riflette l’orientamento dell’OCSE in merito alla portata delle modifiche del 2008; si ricorda, infatti, che la versione citata accoglie tutte quelle conclusioni contenute nel Rapporto che secondo l’OCSE sono compatibili con il testo dell’articolo 7 ante 2010. Se questo è vero e dal momento che l’articolo 7 paragrafo 2 della Convenzione tra Italia e Regno Unito del 1988 è conforme all’articolo 7 paragrafo 2 del Modello di Convenzione dell’OCSE antecedente il 2010, sembra lecito concludere che le indicazioni del Commentario 2008 forniscano un’interpretazione conforme al testo della Convenzione da applicare. Il fatto che le modifiche in questione siano intervenute dopo il periodo fiscale in relazione al quale era stata presentata la dichiarazione dei redditi oggetto dell’accertamento (i. e. 2004) non sembra togliere validità alla posizione sopra assunta. La questione è affrontata anche nella sentenza in esame: uno degli argomenti difensivi del contribuente consisteva nel rilievo secondo cui la necessità di attribuire un fondo di dotazione alla stabile organizzazione era stata contemplata per la prima volta nel Rapporto il quale, tuttavia, nel 2004, esisteva solo in forma di bozza. La CTP giustamente rileva che tale obbligo trova la propria base giuridica nelle norme del TUIR e nell’articolo 7 della Convenzione citata; in tale ottica, le indicazioni contenute nel Rapporto non hanno il rango di norme cogenti, “semmai di supporto scientifico, di opinione condivisa, di criteri da applicare omogeneamente nei vari Stati, ma non certamente di norma fiscale, che non potrebbe trovare applicazione retroattiva”. Prima di proseguire mi sembra opportuno evidenziare 11 | n° 7 - Luglio 2011 | che la differenza principale che è possibile desumere dal raffronto tra il nuovo Commentario e la sua precedente versione risiede nel diverso grado di indipendenza riconosciuto alla stabile organizzazione: mentre il Commentario 2008, pur ispirandosi alle indicazioni del cosiddetto Authorised OECD Approach contenute nel Rapporto, riconosce un limitato livello di indipendenza alla stabile organizzazione, il nuovo articolo 7 e il relativo Commentario ne accolgono pienamente le implicazioni e pertanto trattano la stabile organizzazione come se fosse un’impresa “completamente” autonoma e distinta. Uno degli aspetti della disciplina della determinazione del reddito in cui è possibile riscontrare tale diversità di approccio è dato, appunto, dal tema della deducibilità degli interessi passivi pagati dalla stabile organizzazione alla casa madre. In merito alla deducibilità degli interessi passivi relativi a finanziamenti interni il Commentario 2008 non si discosta dalla versione antecedente. Il paragrafo 41 afferma che deve continuare ad applicarsi, quale regola generale, il divieto di deducibilità degli interessi pagati dalla stabile organizzazione in relazione a finanziamenti “interni”, vale a dire stipulati dalla stabile con la sua casa madre. Tale divieto soffre di due sole eccezioni: esso non si applica (i) qualora la stabile organizzazione sia la diramazione di un’impresa bancaria oppure finanziaria e (ii) qualora il finanziamento sia stato stipulato dalla casa madre in parte o esclusivamente nell’interesse della stabile organizzazione e, pertanto, sia alla stessa - almeno in parte - “attribuibile” nel senso fatto proprio dall’articolo 7. In tale ultima circostanza, infatti, la corretta applicazione della disciplina della determinazione del reddito della stabile organizzazione pone il problema della corretta allocazione degli interessi passivi fra le diverse parti della medesima entità giuridica. La soluzione proposta dall’OCSE per risolvere il problema dell’individuazione degli interessi passivi deducibili da reddito riferibile alla gestione della stabile organizzazione che si pone nelle due ipotesi suesposte è illustrata al paragrafo 45 del Commentario; ivi si afferma che, in forza dell’arm’s length principle - che, si ricorda, ispira e presiede alla disciplina convenzionale della determinazione del reddito di cui all’articolo 7 paragrafo 2 - una stabile organizzazione deve essere dotata di una quantità di capitale proprio che sia sufficiente per sostenere le funzioni che essa svolge, i beni che le sono attribuiti e i rischi assunti. L’attribuzione alla stabile organizzazione di un arm’s length amount di interessi passivi presuppone quindi la corretta determinazione del fondo di dotazione ad essa attribuito alla casa madre. Infatti, solo dopo aver calcolato l’ammontare di tale fondo è possibile stabilire il fabbisogno finanziario della stabile organizzazione in una misura analoga a quella riscontrabile presso un’impresa comparabile. I paragrafi successivi, inseriti nel 2008, si concentrano sui problemi di doppia imposizione derivanti dalla determinazione dell’ammontare del fondo di dotazione. In proposito, il Commentario riconosce che, dal momento che nel Rapporto sono previsti più criteri per il calcolo del fondo di dotazione, tutti ritenuti idonei al fine di attribuire alla stabile organizzazione un reddito conforme all’arm’s length principle, ben può accadere che le autorità fiscali dei due Stati contraenti pervengano a diverse quantificazioni a causa dell’applicazione di due differenti criteri (paragrafo 47). Il successivo paragrafo 48 è dedicato ad illustrare i meccanismi per ovviare alla doppia imposizione conseguente a tale circostanza. Poiché la sentenza della CTP di Milano non affronta tali problemi di doppia imposizione, mi sembra superfluo rendere conto in questa sede dell’orientamento dell’OCSE. Mi sembra, invece, opportuno riportare in estrema sintesi i metodi previsti nella seconda parte del Rapporto con specifico riguardo al problema della determinazione del fondo di dotazione delle stabili organizzazioni di imprese non residenti esercenti attività bancaria: • Capital allocation approach: l’ammontare delle disponibilità finanziarie di capitale proprio che deve essere attribuito alla stabile organizzazione si calcola come quota parte del capitale di rischio complessivo dell’impresa corrispondente alla proporzione tra i beni e i rischi (assets and risks) attribuiti alla stabile organizzazione e i beni e i rischi complessivi (paragrafi 99-106). • Thin capitalization approach: prevede che alla stabile organizzazione sia attribuito un ammontare di capitale di rischio pari a quello rinvenibile presso un soggetto indipendente che sia dotato dei medesimi beni, assuma i medesimi rischi e operi nelle medesime condizioni della stabile organizzazione (paragrafi 108-112). Come si legge nel paragrafo 114, entrambi i metodi indicati sono ritenuti conformi al cosiddetto Authorised OECD Approach in quanto idonei a fornire una quantificazione at arm’s length del fondo di dotazione della stabile organizzazione. In aggiunta l’OCSE ha 12 | n° 7 - Luglio 2011 | contemplato la possibilità di applicare, quale safe-harbour approach, un terzo metodo denominato Quasi-thin capitalization approach ritenuto tuttavia non compatibile con l’Authorised OECD Approach. In base a tale ultimo metodo, alla stabile organizzazione dovrebbe essere attribuito un fondo di dotazione di ammontare almeno pari al capitale sociale minimo richiesto ad una banca residente incaricata del medesimo volume di affari quale condizione per lo svolgimento dell’attività bancaria (si vedano i paragrafi 113-116). Il suo utilizzo non sarebbe in grado di fornire un risultato conforme all’arm’s length principle perché trascurerebbe talune circostanze relative alle condizioni di mercato in cui si trova ad operare la stabile organizzazione di una banca estera che ne escluderebbero la comparabilità con le banche residenti. La circostanza più rilevante sarebbe nello specifico rappresentata dal fatto che il merito creditizio della stabile organizzazione non sarebbe diverso da quello della casa madre in quanto solo quest’ultima sarebbe chiamata a rispondere, in base ai principi di diritto comune, per le obbligazioni giuridiche assunte dalla propria stabile organizzazione. Alla luce di queste considerazioni, l’OCSE ritiene che i risultati restituiti dall’applicazione del Quasithin capitalization approach possano essere accettati fintantoché essi non comportino, in concreto, l’attribuzione alla stabile organizzazione di un reddito superiore a quello che alla stessa sarebbe stato attribuito applicando uno degli altri due metodi. In ogni caso, conclude il paragrafo 115, al contribuente deve essere concessa la possibilità di dimostrare che l’ammontare di mezzi propri in concreto necessari alla stabile organizzazione in rapporto ai rischi assunti, ai beni posseduti e alle funzioni svolte è inferiore. 4. Osservazioni conclusive Fatta questa breve ricostruzione della disciplina italiana e dell’orientamento dell’OCSE in merito al trattamento fiscale degli interessi passivi pagati da una stabile organizzazione operante nel settore bancario alla sua casa madre possiamo formulare alcune conclusioni con riferimento alle posizioni assunte dai giudici milanesi nella sentenza in commento. Il primo aspetto da rilevare è dato dalla circostanza che l’orientamento accolto dalla CTP, così come quello conforme espresso dall’Agenzia nella risoluzione n. 44/2006, risultano pienamente aderenti alle indicazioni del Commentario e del Rapporto con riferimento alla necessità di determinare l’ammontare del fondo di dotazione per calcolare correttamente il fabbisogno finanziario della stabile organizzazione e, quindi, l’ammontare degli interessi passivi deducibili. Un altro profilo degno di rilievo e, a prima vista, critico della sentenza è dato dal metodo adottato dall’Amministrazione finanziaria e avallato dalla CTP per il calcolo del fondo di dotazione. Come riportato in apertura, l’accertamento della DRE aveva previsto il recupero a tassazione di un ammontare di reddito imponibile pari agli interessi passivi indebitamente dedotti in quanto relativi ad un finanziamento erogato dalla casa madre britannica ad integrazione del fondo di dotazione della stabile organizzazione. Il presupposto sul quale si posa tale accertamento è dato dal fatto che, ai fini fiscali, la stabile organizzazione italiana di una banca non residente deve risultare assegnataria di un capitale proprio proporzionato agli affari conseguiti nel territorio nazionale così come calcolato in base alle direttive impartite dalla Banca d’Italia nella circolare n. 229/1999 poiché tali direttive consentono di individuare, “sul piano fiscale, i rischi massimi che un competitor avrebbe potuto assumere e, quindi, il reddito che avrebbe potuto conseguire”. L’Amministrazione finanziaria applica quindi un metodo di calcolo conforme al Quasi-thin capitalization approach. Dalla lettura della sentenza non è dato desumere indicazioni in merito al fatto che le condizioni richieste dall’OCSE ai fini della sua valida applicazione siano state rispettate; l’assenza di una decisione nel merito della compatibilità dell’accertamento con l’Authorised OECD Approach sembra sia, tuttavia, da attribuire all’assenza di contestazioni di parte sul punto. In proposito, è possibile osservare che il Quasi-thin capitalization approach, come riconosciuto dall’OCSE stessa (cfr. paragrafo 114), rappresenta il meccanismo amministrativamente più semplice per procedere al calcolo del fondo di dotazione; a ben vedere, esso rappresenta addirittura l’unico metodo esperibile dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento nel caso in cui il contribuente non abbia provveduto autonomamente al calcolo del medesimo fondo in base ad uno dei due altri metodi come sembra essere avvenuto nel caso esaminato dalla CTP. Invero, in tale circostanza, non sembra ragionevole richiedere all’Amministrazione finanziaria la raccolta dei dati necessari all’applicazione di uno degli altri due metodi che, per la loro natura, sono accessibili solo al contribuente; piuttosto, sembra verosimile che ogni accertamento relativo al fondo di dotazione sia intrapreso con riferimento ad un ammontare predeterminato del 13 | n° 7 - Luglio 2011 | fondo già disponibile all’Amministrazione perché esatto da altri rami dell’ordinamento a fini diversi da quelli fiscali. In ogni caso, successivamente, al contribuente dovrà essere concessa la possibilità di discostarsi da tale quantificazione, tramite la dimostrazione che, in base alle circostanze rilevanti per l’applicazione del Capital allocation approach o del Thin capitalization approach, l’ammontare dei mezzi propri proporzionato alla struttura patrimoniale e all’attività svolta dalla stabile organizzazione è, in concreto, inferiore. Infine, un ultimo punto della sentenza meritevole di condivisione è dato dal fatto che, come già in precedenza affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 44/2006, l’attribuzione di un fondo di dotazione alla stabile organizzazione può anche essere meramente “figurativa”; riprendendo le parole della Commissione, “la questione non è se esista o meno una norma che imponga alle banche estere che hanno una stabile organizzazione in Italia un fondo di dotazione pari al patrimonio di vigilanza richiesto dalla Banca d’Italia […] ma come devono essere trattati gli interessi passivi dedotti dalla stabile organizzazione, quando risulti acclarato che - per la mancanza di adeguato fondo di dotazione e per il conseguente elevato indebitamento l’attività bancaria svolta in Italia è possibile solo grazie ai capitali erogati dalla casa-madre”. In altre parole, la stabile organizzazione non costituisce un autonomo soggetto passivo d’imposta ma un criterio di localizzazione del reddito che consente di ripartire la potestà impositiva tra due Stati qualora un’attività d’impresa sia svolta nel territorio di entrambi da un medesimo soggetto giuridico, essa non è quindi “un’impresa distinta e separata” ma deve essere trattata, in sede di calcolo del reddito imponibile presso lo Stato della fonte, come se lo fosse. In questo contesto, l’attribuzione alla stabile organizzazione di un adeguato fondo di dotazione è solo uno dei gradini che compongono il meccanismo di determinazione del reddito della stabile organizzazione; la rilevanza giuridica di tale attribuzione è limitata al corretto calcolo del reddito imponibile e non deve necessariamente riflettere un’attribuzione patrimonialistica. Per maggiori informazioni: Elenco delle fonti fotografiche: Agenzia delle Entrate; Risoluzione n. 44 del 30 marzo 2006, in: http://www.corriereinformazione.it/images/stories/sentenza.jpg [20.07.2011] http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/daf67600426e08b783609bc065cef0e8/RISOLUZIONE_44.pdf? MOD=AJPERES&CACHEID=daf67600426e08b783609b c065cef0e8 [20.07.2011] Ministero delle finanze; Circolare n. 32 del 22 settembre 1980, in: http://def.finanze.it/DocTribFrontend/getPrassiDetail. do?id={41F1271E-D6D1-46E9-BBD7-62F7E021BE9B} [20.07.2011] OCSE; Report on the Attribution of Profits to Permanent Establishments, 22 luglio 2010, in: http://www.oecd.org/dataoecd/23/41/45689524.pdf [20.07.2011] OCSE; The 2008 Update to the OECD Model Tax Convention, 18 luglio 2008, in: http://www.oecd.org/dataoecd/20/34/41032078.pdf [20.07.2011] OCSE; The 2010 Update to the OECD Model Tax Convention, 22 luglio 2010, in: http://www.oecd.org/dataoecd/23/43/45689328.pdf [20.07.2011] Gabriele Colombaioni Dottore in Scienze giuridiche http://toptourismdestination.com/wp-content/uploads/2011/02/London_Skyline_At_Evening_London_England_3.jpg [20.07.2011] http://www.atuttovolume.org/joomla/images/stories/ old-books.jpg [20.07.2011] http://www.crossed-flag-pins.com/Friendship-Pins/ Italy/Flag-Pins-Italy-England.jpg [20.07.2011] Il regime fiscale di attrazione europea: una disciplina in fase di attuazione L’ingegnoso meccanismo giuridico per attrarre capitali esteri in Italia è compatibile con il regime degli aiuti di Stato e con la regolamentazione del mercato interno dell’UE? 1. Introduzione Il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, così come emendato dalla Legge di conversione del 30 luglio 2010, n. 122 (cosiddetta “Manovra correttiva 2010”), ha introdotto, all’articolo 41[1] il cosiddetto regime fiscale di attrazione europea, il quale prevede per le imprese residenti in uno Stato membro dell’UE diverso dall’Italia, che danno vita a nuove attività economiche in Italia, l’opportunità di poter scegliere, per un periodo di tre anni, la disciplina fiscale di uno dei 27 Stati membri dell’UE, in alternativa a quella nazionale. Sebbene tale fenomeno di “shopping fiscale” era stato già analizzato in occasione della promulgazione del suddetto decreto legge[2], risulta opportuno prendere in considerazione nuovamente la tematica dell’attrazione europea alla luce della bozza del decreto attuativo pubblicato, in data 6 aprile 2011, sul sito del Ministero dell’economia e delle finanze. Si tratta di atto provvisorio di natura non regolamentare, suddiviso in 9 articoli, aperto ad ogni forma di suggerimento o modifica, che ha come fine quello di specificare e, quindi, chiarire, i presupposti e gli effetti del regime di attrazione di investimenti esteri in Italia. 2. Le caratteristiche del decreto Le imprese, nonché le persone fisiche o qualsiasi ente considerato persona giuridica ai fini dell’imposizione, svolgenti un’effettiva attività di impresa ai sensi della normativa tributaria dello Stato membro dell’UE di appartenenza, potranno intraprendere nuove attività economiche in Italia, optando, in alternativa alla normativa tributaria italiana delle imposte sui redditi, per le regole di determinazione della base imponibile e le aliquote di imposta di uno dei Paesi membri dell’UE. 15 | n° 7 - Luglio 2011 | Dal punto di vista soggettivo il decreto chiarisce che il concetto di residenza dovrà essere riferito alla nozione della stessa recata dalla specifica Convenzione per evitare le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con lo Stato membro di residenza dei soggetti che usufruiranno di tale agevolazione (articolo 1, comma 3 del decreto). Lo speciale regime impositivo, valido per il periodo d’imposta in cui sarà presentata l’apposita istanza e per i due successivi, riguarderà tutti i soggetti sopra menzionati, residenti da almeno 24 mesi in uno Stato membro dell’UE che, successivamente all’entrata in vigore del decreto in questione, daranno vita a nuove realtà economiche mediante il trasferimento della residenza fiscale o attraverso la costituzione di una stabile organizzazione e/o di una società direttamente controllata o collegata, ai sensi dell’articolo 2359 del Codice civile. Ciò avrà l’inevitabile conseguenza che, a partire dal quarto periodo d’imposta, quindi, al momento dello spirare del triennio di agevolazione, si renderanno applicabili, ai fini della determinazione della base imponibile e della relativa aliquota di imposizione, le disposizioni della normativa tributaria statale italiana. A tal fine i valori patrimoniali e reddituali di partenza dell’azienda si assumeranno negli importi risultanti dalla normativa fiscale estera applicata nel precedente periodo di favore. Si deve sottolineare che non potranno essere considerate nuove attività economiche quelle già svolte in Italia e acquisite direttamente dai soggetti esteri attraverso l’acquisto di partecipazioni o operazioni straordinarie, anche per il tramite di società controllate o collegate (articolo 2, comma 4 del decreto). La particolarità della disciplina in esame è che i soggetti interessati potranno scegliere il regime impositivo di uno degli Stati membri dell’UE e non, necessariamente, quello del proprio Stato di appartenenza. Questo permetterà di adottare il sistema tributario più favorevole alle proprie attività imprenditoriali. economica, le acquisizioni di aziende o rami di di azienda nel territorio dello Stato comporteranno l’interruzione tout court del regime agevolativo. Si evidenzia che, proprio per garantire un effettivo radicamento della nuova attività economica estera in Italia, troveranno applicazione le disposizioni in materia di liquidazione, accertamento, sostituzione d’imposta, dichiarazioni, riscossione e contenzioso previste per le imposte sui redditi vigenti nell’ordinamento domestico. A ciò si aggiunga che nel primo periodo di imposta successivo alla scadenza o all’interruzione dell’accordo gli acconti da versare saranno calcolati - ove venga utilizzato il criterio storico - assumendo come imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata applicando la normativa fiscale italiana. 3. I punti critici della disciplina Per poter usufruire di questa particolare regolamentazione si dovrà presentare, entro 30 giorni dalla data del trasferimento della residenza fiscale o della costituzione della stabile organizzazione o della società controllata o collegata, un’apposita istanza di interpello[3] al competente Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate, al fine di dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla suddetta normativa. In particolar modo, si dovrà dare prova dell’effettiva operatività dell’attività, o meglio, si dovrà presentare adeguata e copiosa documentazione che attesti che l’impresa estera non rappresenti una costruzione di puro artificio. La scelta del regime impositivo è irrevocabile dal momento della presentazione dell’istanza e vincola i soggetti che hanno presentato la richiesta per il periodo di agevolazione supra menzionato. Si sottolinea che con la suddetta domanda si potrà ottenere l’estensione del regime tributario prescelto anche per i dipendenti e i collaboratori assunti in Italia presso il soggetto estero che abbia trasferito la residenza fiscale o presso la stabile organizzazione o la società partecipata, salvo la possibilità per gli stessi di optare per l’applicazione della normativa fiscale italiana. Naturalmente l’estensione del regime a dipendenti o collaboratori resta valida fino al periodo d’imposta in cui terminerà o si interromperà il regime per il datore di lavoro (articolo 8 del decreto). Il decreto, inoltre, contempla anche il problema dell’interruzione del regime agevolativo. Difatti, all’articolo 6 del suddetto provvedimento non regolamentare, si chiarisce che qualora i requisiti richiesti per la fruizione dell’agevolazione vengano meno nel corso del triennio, il regime impositivo prescelto non sarà più valido a partire dal periodo d’imposta in cui si paleseranno le modifiche dei presupposti applicativi. Ciò avrà come immediata conseguenza l’applicazione della disciplina tributaria italiana. Si specifica, inoltre che, nell’ambito della nuova attività 16 | n° 7 - Luglio 2011 | Sebbene il regime fiscale di attrazione europea sia una misura innovativa nel panorama dell’UE, lo stesso, però, presta il fianco ad una serie di spunti critici che non possono essere trascurati. In primis, se da un lato il decreto ha chiarito alcuni dubbi nati in sede di decreto legge come quello della residenza, del significato da attribuire alle locuzioni “nuova attività economica” e “normativa tributaria vigente in uno degli Stati membri dell’Unione europea”, dall’altro non sono stati presi in considerazione i risvolti pratici della suddetta disciplina, come quello dell’effettività dei controlli e degli accertamenti tributari, e le relative conseguenze. Nonostante, si affermi che, per tali questioni, si dovrà prendere in considerazione la disciplina italiana, sarà necessario analizzare l’effettività della richiamata normativa interna nel momento in cui vi sarà il confronto con fattispecie ispirate a legislazioni estere. Difatti, con riferimento agli obblighi dichiarativi, si dovranno predisporre appositi format, uno per ogni Stato membro dell’UE. A ciò si aggiunga che anche la fase dell’accertamento e del successivo ed eventuale contenzioso sarà coinvolta dalla nuova disciplina. I funzionari dell’Amministrazione finanziaria nonché gli organi della Giustizia tributaria dovranno “cimentarsi” con legislazioni estere che molto spesso sono caratterizzate da logiche e principi diversi da quelli del sistema tributario italiano. Ciò potrebbe comportare non solo errori nella fase di accertamento ma anche e soprattutto un concreto rallentamento dell’iter giurisdizionale in quanto i collegi giudicanti, a qualunque livello, dovranno utilizzare norme e disposizioni nazionali per realtà che saranno ancorate a logiche sovranazionali, dando vita a palesi incongruenze. Ulteriori problemi nascono nel momento in cui dal piano nazionale si passa a quello europeo. Difatti, valutando il regime fiscale di attrazione europea alla luce della normativa degli aiuti di Stato, disciplinata nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE) è possibile ravvisare molteplici profili di criticità. L’articolo 107 TFUE stabilisce che “a livello europeo risultano incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidono sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. Com’è possibile notare, l’incompatibilità delle misure nazionali, anche a carattere fiscale, si fonda sull’esistenza congiunta di quattro circostanze fondamentali: 1. si deve appurare la concessione di un vantaggio diretto o indiretto alle imprese; 2. il vantaggio deve provenire da risorse statali o concretizzarsi in eventuali esoneri o agevolazioni tributarie[4]; 3. il beneficio deve essere idoneo, in atto o in potenza, a falsare e ad incidere sugli scambi tra Stati membri; 4.il vantaggio deve essere selettivo, cioè concesso solo a talune imprese o specifiche produzioni. Analizzando la disciplina dell’attrazione fiscale europea e le relative conseguenze pratiche, è possibile sostenere che la regolamentazione agevolativa italiana integri i requisiti previsti dall’ordinamento europeo in tema di aiuti di Stato. Con riferimento alla concessione di un vantaggio diretto o indiretto, la possibilità offerta alle imprese europee di scegliere una qualunque disciplina fiscale dei Paesi membri dell’UE, alternativa a quella italiana, permetterà alle aziende di prendere in considerazione un vantaggio fiscale, come una minore aliquota, garantito da altri regimi impositivi. Difatti è giocoforza pensare che un’impresa opti per un sistema tributario che non sia quello italiano solo ed esclusivamente per ottenere un risparmio d’imposta: difatti “sfruttando” la legge italiana, viene garantito un vantaggio tutt’altro che indiretto od implicito. A questo si lega una conseguenza inevitabile. Nel momento in cui verrà scelta una disciplina fiscale che permetta un risparmio di imposta considerevole, ciò si tramuterà, almeno per il triennio agevolativo, in un processo di sottrazione di base imponibile e, quindi, in un minor gettito erariale conseguito dallo Stato. Ecco quindi ravvisare quella situazione di esonero tributario che consiste in una rinuncia ad un introito economico, paragonabile ad un materiale trasferimento di risorse finanziarie. Inoltre, il vantaggio ottenuto dalle imprese europee avrà come ulteriore conseguenza la concreta possibilità di inficiare la concorrenza e gli scambi degli Stati membri dell’UE. Difatti i vantaggi competitivi che la scelta di un regime nazionale, alternativo a quello italiano, può garantire alle imprese europee rispetto a quelle italiane, operanti in contesti internazionali, o rispetto a quelle imprese che operano in altri Stati membri dell’UE, differenti dall’Italia, ma che sono soggette ad un livello di tassazione simile a quello cui sono ordinariamente 17 | n° 7 - Luglio 2011 | soggette le imprese italiane, costituiscono un vero e proprio ostacolo alla concorrenza, soprattutto in base al concetto di mercato unico europeo dove i singoli mercati nazionali si fondono in uno solo[5]. Così facendo, si va ad intaccare l’essenza del mercato dell’UE, inteso come il luogo d’incontro tra domande ed offerta, in cui le imprese, poste sullo stesso piano, producendo medesimi beni o servizi, soddisfano le esigenze della Comunità. Ma ciò difficilmente potrà accadere in quanto, proprio la minor leva fiscale, che dovrebbe caratterizzare, inizialmente, l’attività delle imprese europee rispetto a quelle nazionali, falserà la concorrenza e quindi i rapporti economici fra gli Stati membri dell’UE. Infine, il criterio della selettività è integrato proprio nella condizione soggettiva richiesta dal decreto: infatti potranno accedere al regime di attrazione solo società europee, e non italiane, che avviano una nuova attività in Italia. Alla luce di quanto supra affermato, è possibile sostenere che, essendo il regime fiscale di attrazione europea una disciplina border-line, caratterizzata da punti di presunta illegittimità, una volta entrata in vigore, non si esclude un possibile intervento da parte della Commissione europea, volta ad accertare la conformità della disciplina in questione con il sistema europeo in quanto sembra avere tutte le caratteristiche proprie di un regime di aiuti di Stato. A tal proposito, la risposta dell’organo esecutivo dell’UE sarà molto importante anche per valutare se possa sussistere la possibilità di poter proporre, nei confronti dell’Italia, un ricorso per infrazione per violazione del principio di leale cooperazione (articoli 258 e 260 TFUE). Difatti quest’ultimo prevede un divieto assoluto, per gli apparati statali, di porre in essere atti che vadano a compromettere la realizzazione di obiettivi comunitari. L’Italia, con tale disciplina, sembra proprio aver violato tale obbligo in quanto il regime fiscale dell’attrazione europea si porrebbe come un ostacolo concreto al raggiungimento del mercato interno dell’UE che è non solo un obiettivo dell’UE ma anche uno strumento per garantire la realizzazione di un sistema di concorrenza perfetta. 4. Considerazioni conclusive La disciplina dell’attrazione europea, allo stato dell’arte, rappresenta un ingegnoso meccanismo giuridico per attrarre capitali esteri in Italia. Dando la possibilità agli investitori non nazionali di rimanere vincolati al regime fiscale dello Stato di appartenenza o, addirittura, di scegliere quello più vantaggioso a livello europeo, si favorirà la creazione di un canale preferenziale per le imprese estere che potranno “alleggerire”, almeno temporaneamente, la pressione fiscale italiana attraverso una legge emanata dallo stesso Parlamento italiano. L’esercizio dell’opzione da parte dell’impresa estera comporta un duplice vantaggio per la stessa: • la possibilità di poter applicare regole fiscali già conosciute alla nuova iniziativa produttiva, ponendosi al riparo da possibili modifiche legislative nazionali che potrebbero o aumentare le aliquote di imposizione o ampliare la base imponibile, con il rischio di destabilizzare l’impresa in fase di start-up; • l’opportunità di poter elaborare un vantaggioso tax planning per l’impresa e per i relativi dipendenti e collaboratori, con l’obiettivo di dar vita ad un business solido sia a livello italiano che internazionale. Nonostante ciò la norma, come ampiamente illustrato, presenta diversi aspetti critici che si manifestano sia sul piano pratico che su quello giuridico. Orbene, se i problemi di compliance potrebbero essere arginati attraverso una modifica del sistema che si pone a fondamento della fase dichiarativa dei redditi, quindi con appositi modelli di denuncia dei redditi e un aggiornamento dei sistemi informatici della Pubblica amministrazione, i problemi relativi alla fase di accertamento e di contenzioso saranno di più difficile soluzione. 18 | n° 7 - Luglio 2011 | Difatti, tutto l’organigramma della Pubblica amministrazione dovrà letteralmente cimentarsi su i diversi sistemi fiscali degli Stati membri dell’UE, comprendere le logiche sottostanti ed essere in grado di far rispettare le normative sovranazionali, complicando di non poco il sistema fiscale italiano già di per sé molto articolato e complesso. Inoltre anche la realtà del mondo professionale sarà coinvolta: i professionisti dovranno destreggiarsi non solo con il diritto tributario italiano ma anche con altri 26 sistemi fiscali, situazione che ad oggi sembra ardua da fronteggiare, già dalla fase di semplice comprensione e traduzione linguistica delle diverse normative tributarie. Da un punto di vista giuridico, i problemi legati al possibile riconoscimento da parte della Commissione europea della creazione di un regime di aiuti di Stato per le imprese non italiane rendono particolarmente pericolosa la normativa dell’attrazione europea, soprattutto per i risvolti negativi che potrebbero verificarsi sia per quanto riguarda la distorsione del mercato nazionale e di quello interno dell’UE, nonché per le possibili misure che potrebbero essere adottate qualora venisse attribuita all’Italia una condotta in contrasto con il diritto europeo. Alla luce di quanto affermato è possibile sostenere che l’obiettivo ultimo della disciplina mal si concilia con gli strumenti previsti per la relativa realizzazione. Sebbene il regime di favore potrebbe avere grande successo nel mondo imprenditoriale, sarà necessario verificare l’applicazione pratica di tale sistema e vedere se le problematiche poc’anzi descritte si manifesteranno, ma soprattutto quale sarà la valutazione dell’agevolazione sul piano comunitario e la compatibilità con il regime degli aiuti di Stato e con la regolamentazione del mercato interno. Per maggiori informazioni: Ballancin Andrea; Lo shopping italiano delle regole fiscali, Novità fiscali, luglio 2010, pagina 18 e seguenti, in: http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/ NovitaFiscali_luglio.pdf [20.07.2011] Ministero dell’Economia e delle Finanze; Regime fiscale di attrazione europea, Bozza del decreto attuativo, 6 aprile 2011, in: http://www.mef.gov.it/primo-piano/primo-piano. asp?ppid=26642 [20.07.2011] Elenco delle fonti fotografiche: http://ec.europa.eu/avservices/photo/photoDetails.cfm?s itelang=en&ref=P-013967/00-03 [20.07.2011] http://ec.europa.eu/avservices/photo/photoDetails.cfm?s itelang=en&ref=P-019077/00-02 [20.07.2011] http://www.oipamagazine.eu/public/immagini/ foto/2273.jpg [20.07.2011] Andrea Ballancin Professore a contratto di Diritto Tributario presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale Note: 1) La disposizione stabilisce che “Alle imprese residenti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia che intraprendono in Italia nuove attività economiche, nonché ai loro dipendenti e collaboratori - per un periodo di tre anni - si può applicare, in alternativa alla normativa tributaria statale italiana, la normativa tributaria statale vigente in uno degli Stati membri dell’Unione europea”. 2) Cfr. Ballancin Andrea; Lo shopping italiano delle regole fiscali, in: Novità fiscali, luglio 2010, pagina 18 e seguenti. 3) Il suddetto interpello dovrà essere presentato secondo la procedura di cui all’articolo 8 del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito, con modificazioni dalla Legge n. 326 del 24 novembre 2003. Trattasi di ruling internazionale per il quale è previsto che “[…] 1. Le imprese con attività internazionale hanno accesso ad una procedura di ruling di standard internazionale, con principale riferimento ai prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties. 2. La procedura si conclude con la stipulazione di un accordo, tra il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate e il contribuente, e vincola per il periodo d’imposta nel corso del quale l’accordo è stipulato e per i due periodi d’imposta successivi, salvo che intervengano mutamenti nelle circostanze di fatto o di diritto rilevanti al fine delle predette metodologie e risultati dall’accordo sottoscritto dai contribuenti. 3. In base alla normativa comunitaria, l’amministrazione finanziaria invia copia dell’accordo all’autorità fiscale competente degli Stati di residenza o di stabilimento delle imprese con i quali i contribuenti pongono in essere le relative operazioni. 4. Per i periodi d’imposta di cui al comma 2, l’Amministrazione finanziaria esercita i poteri di cui agli articoli 32 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, soltanto in relazione a questioni diverse da quelle oggetto dell’accordo. 5. La richiesta di ruling è presentata al competente ufficio, di Milano o di Roma, della Agenzia delle Entrate secondo quanto stabilito con provvedimento del direttore della medesima Agenzia. 6. Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto. 7. Agli oneri derivati dal presente articolo, ammontati a 5 milioni di euro a decorre dal 2004, si provvede a valere sulle maggiori entrate derivanti dal presente decreto”. 4) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 15 marzo 1994, Banco Exterior de Espana, C-387/92, in: Racc. I-977; ordinanza 25 marzo 1998, FFSA, C-174/97, in: Racc. I-1303. 5) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 5 maggio 1982, Schul, C-15/81, in: Racc. I-1409. Diritto tributario internazionale e dell’UE La politica dell’Italia in materia di scambio di informazioni: recenti sviluppi Esame del Peer Review Report dell’OCSE e dei recenti accordi conclusi con alcuni Stati contenenti lo standard dell’OCSE in materia di trasparenza fiscale 1. Introduzione La recente pubblicazione del Peer Review Report relativo all’Italia a cura del Global Forum on Taxation (ribattezzato, a seguito del meeting tenutosi a Città del Messico nel 2009, Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes; di seguito Global Forum), nonché la recente conclusione di accordi conformi allo standard internazionale con Stati già considerati non cooperativi, rendono opportuna e attuale una panoramica dello stato dell’arte con riferimento ai più recenti sviluppi della politica dell’Italia in materia di cooperazione amministrativa in materia fiscale. 2. L’aderenza agli standards OCSE in materia di scambio di informazioni da parte dell’Italia: le risultanze del recente Peer Review Report a cura del Global Forum L’Italia, in quanto Stato membro dell’OCSE ha partecipato fin dal principio alle attività del Global Forum. Tra le più recenti iniziative promosse all’interno del predetto Global Forum quella più significativa è l’opera di cosiddetta “peer review” da esso avviata, volta a monitorare come e in che misura gli Stati e territori partecipanti al Global Forum (nonché altri Stati e territori i quali, ancorché non membri, desiderino sottoporsi a tale verifica) si attengano al cosiddetto “standard internazionale in materia di scambio di informazioni” esemplificato, ancorché con una qualche approssimazione, dall’ultima versione dell’articolo 26 del Modello OCSE e dal Model Agreement on Exchange of Information on Tax Matters OCSE (di seguito Model Agreement) del 2002. A seguito della verifica di peer review alla quale si è sottoposta, l’Italia risulta avere conseguito risultati più che soddisfacenti, suffraganti la sua piena adesione allo standard internazionale in materia di trasparenza e scambio di informazioni. I principali appunti mossi all’Italia in tale sede, da inquadrarsi in un contesto comunque pienamente positivo, hanno fatto leva sulla lentezza con la quale l’Italia ratifica gli accordi internazionali[1] e la 20 | n° 7 - Luglio 2011 | difficoltà con la quale l’Italia adempie a richieste di scambio informativo entro il termine, individuato quale best practice dal Global Forum, di novanta giorni dalla formulazione della richiesta[2]. 3. L’applicazione dello standard internazionale in materia di scambio di informazioni e l’ampliamento/ revisione del treaty network dell’Italia: i recenti sviluppi L’Italia risulta ad oggi avere ratificato ottantacinque accordi bilaterali contenenti clausole atte a consentire lo scambio di informazioni ed esplicanti effetti nei confronti di novantuno Stati e territori[3]. Tutti gli accordi predetti si qualificano come convenzioni contro le doppie imposizioni. Per altro verso, vero e proprio primum per l’Italia, si registrano negoziati in fase avanzata aventi ad oggetto la conclusione di Tax Information Exchange Agreement (di seguito TIEA). Quest’ultimo strumento giuridico, ad oggi non preso in considerazione dall’Italia, si è reso necessario al fine di garantire un’applicazione dello standard internazionale di scambio di informazioni anche nei confronti di Stati o territori privi di significativi legami economici con l’Italia e nei confronti dei quali la conclusione di convenzioni contro le doppie imposizioni non appare giustificata alla luce di concrete possibilità di doppia imposizione internazionale. In particolare, ancorché nessun TIEA sia stato concluso dall’Italia, consta dal relativo Peer Review Report che due accordi siano prossimi alla conclusione e altri otto accordi siano in fase di parafatura[4]. È stato inoltre divulgato che l’Italia ha avviato negoziati per la conclusione di TIEA, con le Isole del Canale Jersey e Guernsey, l’Isola di Man e il Brunei. Risulta inoltre che tutti gli accordi in oggetto sono informati al Model Agreement OCSE[5]. Rispetto alle attività di conclusione di nuovi accordi (convenzioni contro le doppie imposizioni e TIEA), le energie dell’Italia si stanno tuttavia attualmente concentrando sulla “ristrutturazione” del proprio treaty network, così da assicurare una piena adesione allo standard internazionale di tutte le clausole in materia di scambio informativo ivi reperibili. Detto indirizzo in materia di treaty policy conosce tuttavia alcune eccezioni, quali, in particolare, la recente conclusione di una convenzione contro le doppie imposizioni con Panama[6]. L’articolo 25 della Convenzione con Panama, disposizione governante lo scambio di informazioni, presenta un dettato sostanzialmente conforme all’articolo 26 del Modello OCSE; al contempo, il Protocollo ad essa relativo incorpora alcune previsioni proprie del Model Agreement OCSE nella misura in cui vengono fornite indicazioni circa i requisiti che una richiesta di assistenza debba presentare; tali requisiti sono in larga parte analoghi a quelli previsti dal quinto paragrafo dell’articolo 5 del citato Model Agreement, salvo che per l’illustrazione delle ragioni per le quali si ritiene che l’informazione richiesta sia a disposizione delle autorità fiscali adite o da essa acquisibile e, dall’altro lato, per l’esigenza di indicare il periodo di imposta con riferimento al quale si richiedono le informazioni. Inoltre, il medesimo Protocollo, alla lettera d esclude esplicitamente lo scambio di informazioni automatico. Detta forma di assistenza amministrativa non rientra, per stessa ammissione del Global Forum, tra le determinanti dello standard internazionale in materia di scambio di informazioni e, ancorché contemplato in via ipotetica dal Commentario OCSE all’articolo 26, non risulta prescritto come obbligatorio[7], tant’è che viene solitamente praticato[8] sulla base di strumenti giuridici diversi dalle convenzioni contro le doppie imposizioni[9]. Il protocollo alla Convenzione con Panama reca altresì una clausola che parrebbe apparentemente incorporare nel dato pattizio un indiretto[10] divieto di porre in essere “fishing expedition” così come recato dal primo paragrafo del Commentario OCSE all’articolo 26, nonché l’esplicita previsione del principio di sussidiarietà, in base al quale la possibilità di formulare una richiesta di assistenza è condizionata al preventivo esperimento delle modalità di acquisizione delle informazioni contemplate dalle norme procedurali interne dell’ordinamento dello Stato rogante. Vengono inoltre fatte salve le garanzie procedurali a favore del contribuente recate dal diritto interno dello Stato rogato. A tal proposito giova rilevare come, allo stato attuale, degli ottantacinque trattati attualmente applicabili, solo due, i trattati conclusi con Malta e Cipro, contemplano una disposizione in materia di scambio informativo del tutto aderente alla più recente versione dell’articolo 26 del Modello OCSE, ossia recanti un riferimento allo scambio di informazioni avente ad oggetto le informazioni “prevedibilmente rilevanti” ai fini dell’applicazione del diritto interno dello Stato rogante e includenti un’esplicita esclusione dalle cause di diniego dello scambio di informazioni della tutela del segreto bancario. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, una revisione delle clausole pattizie non si renderebbe particolarmente urgente alla luce della considerazione che conclusioni analoghe possono essere raggiunte per via interpretativa (per mezzo di “ambulatory interpretation”), nella misura in cui l’altro Stato contraente sia uno Stato membro dell’OCSE e non presenti norme interne ostanti ad una piena applicazione dello standard. Infatti, per stessa previsione 21 | n° 7 - Luglio 2011 | del Commentario OCSE all’articolo 26, la nozione di informazioni “prevedibilmente rilevanti” non deve comunque intendersi quale standard ulteriore rispetto a quella di “informazioni necessarie”[11]. Allo stesso modo, il Commentario OCSE all’articolo 26 del Modello OCSE chiarisce che il relativo quinto paragrafo introdotto nel 2005 non deve far concludere che lo scambio di informazioni bancarie fosse da intendersi precluso sulla base di precedenti versioni della citata disposizione modello[12]. Le problematiche principali si pongono per contro per quegli Stati e territori con i quali sono in vigore clausole in materia di scambio di informazioni che divergono di molto dal più recente standard OCSE (ad esempio, poiché recanti una “narrow exchange of information clause”, per la quale lo scambio di informazioni è unicamente finalizzato all’applicazione delle disposizioni convenzionali) o che siano state concluse con Stati per i quali l’adesione agli standard internazionali si sia rilevata ad oggi in qualche modo problematica. Rientrano in tale novero, segnatamente, le Convenzioni con l’Austria, il Belgio, il Brasile, il Lussemburgo, la Malesia, Mauritius, Singapore e la Svizzera. In questo frangente si possono tuttavia segnalare alcuni sviluppi. Si può in particolare menzionare l’apposizione di protocolli alle convenzioni contro le doppie imposizioni già stipulate con Mauritius e Singapore. Sia il Protocollo concluso con Singapore, siglato il 24 maggio 2011 e non ancora in vigore sia il Protocollo concluso con Mauritius il 9 dicembre 2010, parimenti non ancora in vigore, sostituiscono le relative disposizioni in materia di scambio di informazioni con disposizioni pattizie del tutto aderenti al dettato dell’articolo 26 del Modello OCSE. In assenza di ulteriori specificazioni, non risulterebbe quindi in questo caso a priori esclusa la possibilità di scambiare informazioni su base automatica, così come consentito dal Commentario OCSE all’articolo 26. Affinché tuttavia detta procedura di cooperazione possa essere effettivamente espletata, parrebbe tuttavia rendersi quantomeno necessario un accordo amministrativo tra le Autorità fiscali dell’Italia e dei due Stati summenzionati. Giova a tal proposito rilevare che, mentre sulla base del Peer Review Report di Mauritius, detto Stato risulta aver già avviato la pratica dello scambio di informazioni automatico con alcuni treaty partner[13], non sussistono analoghi riscontri con riferimento a Singapore. Per maggiori informazioni: In conclusione al presente contributo, si segnala che tra le negoziazioni avviate con Stati limitrofi che risultano al momento essere in una fase di stasi, potrebbero emergere sviluppi circa i rapporti con San Marino. Infatti, nella Repubblica del Titano, in data 30 giugno 2011, è stato approvato dalla Commissione Consiliare Permanente Finanze, Bilancio e Programmazione costituita in seno al Consiglio Grande e Generale un progetto di legge volto a colmare alcune delle lacune già evidenziate nella sede del Peer Review Report a cura del Global Forum avente ad oggetto San Marino, così da assicurare la piena aderenza del contesto normativo di detto Stato agli standard internazionali in materia di trasparenza e scambio di informazioni. In via ulteriore, il progetto di legge porrebbe le basi per consentire all’Autorità fiscale sanmarinese di porre in essere lo scambio di informazioni automatico a partire dal periodo di imposta cominciato il 1. gennaio 2011. Inoltre, si verrebbe a costituire una base giuridica per poter scambiare informazioni in ottemperanza agli standard internazionali e con riferimento al periodo di imposta cominciato il 1. gennaio 2011 e successivi con quegli Stati con i quali siano state almeno parafate convenzioni contro le doppie imposizioni ovvero accordi in materia di scambio di informazioni. Tale precisazione, recata dall’articolo 2 del Progetto di Legge sarebbe tale da sortire effetti immediati nei confronti dell’Italia, Stato con il quale San Marino aveva concluso nel 2002 una convenzione contro le doppie imposizioni, non conforme agli standard internazionali per quanto riguarda la cooperazione amministrativa e che costituisce oggi, di per sé, lettera morta, dal momento che l’Italia non intende ratificarla. Tuttavia, detto accordo potrebbe, attenendosi ad un’interpretazione letterale del provvedimento in fase di approvazione, costituire presupposto per l’applicazione del citato articolo 2 del medesimo. Inoltre, l’adozione del provvedimento in commento potrebbe integrare la condizione necessaria posta dall’Italia all’avvio di nuovi negoziati per la conclusione di una convenzione contro le doppie imposizioni con San Marino. http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/ cartolina_segreto_bancario.pdf [20.07.2011] 22 | n° 7 - Luglio 2011 | Garbarino Carlo/Turina Alessandro; L’Accordo sullo scambio di informazioni fiscali elaborato dall’OCSE, in: Vorpe Samuele (a cura di), Il segreto bancario nello scambio di informazioni fiscali, SUPSI, Manno 2011, pagine 55-84: Martino Enrico; The Future of International Tax Cooperation in a Barrier Free Market: Recent Developments Regarding Italian Tax Treaties, in: Bulletin for International Taxation VIII - 2010 pagina 437 e seguenti OCSE; Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, Peer Review Reports, in: h t t p : // w w w . o e c d . o r g / d o c u m e n t / 2 3 / 0 , 3 7 4 6 , en_21571361_43854757_46969623_1_1_1_1,00.htm [20.07.2011] Testo della Convenzione tra Italia e Panama; in: h t t p s : // w w w . d g i . g o b . p a / d o c u m e n t o s / d o b l e _ tributacion/DOBLE%20IMP%20ITALIA%20ENG.pdf [20.07.2011] Testo del Protocollo alla Convenzione tra Italia e Singapore, in: http://www.iras.gov.sg/pv_obj_cache/pv_obj_id_2BF6 4163A36485B7595692482EBFB33188790000/filename/ Protocol%20amending%20Singapore-Italy%20DTA%20 (Not%20in%20force)%20(24%20May%202011).pdf [20.07.2011] Testo (non ufficiale) degli “Emendamenti al Progetto di Legge concernente l’assistenza in materia fiscale civile e penale attraverso lo scambio di informazioni” (San Marino), in: http://www.libertas.sm/cont/comunicato/legge-sulloscambio-delle-informazioni-fra-san-marino-ed-altristati/47180/1.html [20.07.2011] Elenco delle fonti fotografiche: h t t p : // w w w . o e c d . o r g / v g n / i m a g e s / p o r t a l / cit_731/49/29/48080863italy.jpg [20.07.2011] http://www.owitalia.org/schede/immagini/foto/ singapore4.jpg [20.07.2011] http://www.thelongwells.com/files/imagefield_images/ Panama%20100.jpg [20.07.2011] Alessandro Turina Carlo Garbarino Professore di diritto tributario, Università Commerciale “Luigi Bocconi”, Milano Visiting Professor University of Michigan Law School Note: 1) Cfr. OCSE; Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, Peer Review Report. Combined Phase 1 + Phase 2. Italy, Parigi 2011, pagina 72. 2) Cfr. OCSE; Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, Peer Review Report. Combined Phase 1 + Phase 2. Italy, Parigi 2011, pagina 79. 3) Alcuni degli accordi individualmente stipulati con Stati attualmente non più facenti parte della Comunità internazionale continuano in alcuni casi ad esplicare i loro effetti nei confronti degli Stati a questi succeduti. 4) OCSE; Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, Peer Review Report. Combined Phase 1 + Phase 2. Italy, Parigi 2011, pagina 74. L’Italia, secondo una prassi diffusa, non divulga le controparti con le quali accordi internazionali siano in via di conclusione. 5) Per un esame dei contenuti essenziali di detto accordo modello sia consentito rimandare a Garbarino Carlo/Turina Alessandro; L’Accordo sullo scambio di informazioni fiscali elaborato dall’OCSE, in: Vorpe Samuele (a cura di), Il segreto bancario nello scambio di informazioni fiscali, SUPSI, Manno 2011, pagine 55-84. 6) La Convenzione è stata siglata a Panama City il 30 dicembre 2010. 7) Si confronti il paragrafo 9 del Commentario OCSE all’articolo 26 del Modello OCSE. 8) Ancorché, sulla base delle risultanze del Peer Review Report, si sono registrati anche casi nei quali l’Italia abbia scambiato informazioni in via automatica sulla base di una convenzione contro le doppie imposizioni. Cfr. a tal proposito OCSE; Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, Peer Review Report. Combined Phase 1 + Phase 2. Italy, Parigi 2011, pagina 66. 9) In primis, nel novero degli Stati membri dell’UE (con l’eccezione di Austria e Lussemburgo), sulla base della Direttiva 48/2003/CE in materia di fiscalità del risparmio nonché sulla base di accordi paralleli conclusi con Anguilla, Aruba, le Isole Cayman, Guernsey, Jersey, l’Isola di Man, Montserrat, Turks e Caicos e le Isole Vergini Britanniche. Constano Dottorando in diritto internazionale dell’economia, Università Commerciale “Luigi Bocconi”, Milano “Ernst Mach” Visiting Scholar, Institute for Austrian and International Tax Law, Wirtschaftsuniversität Wien comunque ipotesi di scambio di informazioni automatico praticato sulla base di convenzioni contro le doppie imposizioni e definito nella sede di specifici accordi tra Amministrazioni finanziarie. 10) Il testo del Protocollo non menziona esplicitamente la nozione di “fishing expedition” ma prevede, con effetti presumibilmente analoghi, che “the administrative assistance provided for in Article 25 does not include (i) measures aimed only at the simple collection of pieces of evidence, or (ii) when it is improbable that the requested information will be relevant for controlling or administering tax matters of a given taxpayer in a Contracting State”. 11) Cfr. il paragrafo 5 del Commentario OCSE all’articolo 26 del Modello OCSE. 12) Cfr. il paragrafo 19.10 del Commentario OCSE all’articolo 26 del Modello OCSE. 13) Segnatamente, India, Oman e Pakistan. Cfr. OCSE; Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, Peer Review Report. Combined Phase 1 + Phase 2. Mauritius, Parigi 2011, pagina 61. IVA e imposte indirette L’IVA sulle prestazioni a soggetti collegati Il problema della determinazione della base imponibile nell’ordinamento IVA svizzero • le imprese legate (per esempio per appartenenza ad uno stesso gruppo o in base a relazioni contrattuali, economiche o personali); • il personale con partecipazioni determinanti all’impresa, ossia con una quota di voti superiore al 20%; • In caso di vantaggi ricorrenti, gli amici, i conoscenti, i familiari e gli altri parenti delle persone con partecipazioni nella ditta o del personale impiegato. 1. Introduzione L’IVA è generalmente calcolata sulla controprestazione effettivamente ricevuta, ossia sul valore patrimoniale che il destinatario, o un terzo in sua vece, impiega per ottenere in cambio una prestazione (articoli 24 capoverso 1 e 3 lettera f della Legge federale del 12 giugno 2009 concernente l’imposta sul valore aggiunto, di seguito LIVA). Tuttavia la legge prevede una serie di casi particolari, per i quali la determinazione della base imponibile avviene diversamente. Tra questi casi si trova anche quello delle prestazioni a soggetti correlati, oggetto del presente contributo. 2. La normativa in vigore fino al 31 dicembre 2009 La problematica della determinazione della base imponibile in caso di prestazioni a soggetti collegati e al personale era già stata affrontata dal vecchio ordinamento giuridico che, all’articolo 33 della Legge federale del 2 settembre 1999 concernente l’imposta sul valore aggiunto (di seguito vLIVA), prevedeva in entrambi i casi un correttivo. 2.1. Le prestazioni a persone prossime (incluso il personale con partecipazioni determinanti all’impresa) In caso di prestazioni a persone cosiddette prossime valeva quale controprestazione il valore che sarebbe stato convenuto fra terzi indipendenti. La definizione di persone prossime non era contenuta nella legge e si fondava sulla prassi sviluppata dall’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC), che vi ricomprendeva[1]: • le persone con partecipazioni in una ditta (per esempio gli azionisti, i soci); 24 | n° 7 - Luglio 2011 | Il concetto di persone prossime era dunque interpretato in modo piuttosto estensivo dall’AFC, con un conseguente elevato rischio per il contribuente che, in un rapporto di scambio di prestazioni, l’AFC considerasse la controparte quale persona prossima, con possibile correzione della base imponibile. 2.2. Le prestazioni al personale (senza partecipazioni determinanti all’impresa) In caso di prestazioni al personale occorreva innanzitutto distinguere tra prestazioni a titolo oneroso e prestazioni gratuite, ritenuto che una prestazione sulla quale il personale aveva una pretesa giuridica (per esempio in virtù del contratto di lavoro) era sempre considerata come effettuata a titolo oneroso, trattandosi di un elemento del salario[2]. La base di calcolo per determinare l’imposta dovuta sulle prestazioni a titolo oneroso al personale era secondo la vLIVA la controprestazione effettivamente pagata dal personale, tuttavia il contribuente doveva dichiarare almeno l’imposta che sarebbe stata dovuta in caso di consumo proprio (articolo 33 capoverso 3 vLIVA). Il significato della norma è ben comprensibile con un esempio: poniamo il caso della ditta X, che nel novembre 2009 ha venduto un veicolo aziendale usato al proprio dipendente per 15’000 franchi (IVA esclusa). Il veicolo era stato acquistato nel 2007 per 30’000 franchi (IVA esclusa). L’imposta calcolata sul prezzo pagato dal dipendente era pari a 1’140 franchi (e cioè 15’000 franchi x 7.6%), mentre l’imposta dovuta in caso di consumo proprio sarebbe stata pari a 1’368 franchi (e cioè 30’000 franchi x 7.6% x 60%[3]). Nel rendiconto del quarto trimestre 2009, la ditta X ha dunque dovuto dichiarare un’imposta pari a 1’368 franchi e non di 1’140 franchi. 3. Le modifiche introdotte dalla nuova LIVA 3.1. Le prestazioni a persone strettamente vincolate Come già previsto dalla vLIVA, anche il nuovo diritto prevede che in caso di prestazioni a persone strettamente vincolate si consideri quale base di calcolo non la controprestazione effettivamente ricevuta, bensì il valore che sarebbe stato convenuto fra terzi indipendenti (articolo 24 capoverso 2 LIVA). Tuttavia la LIVA, in vigore dal 1. gennaio 2010, non solo ha introdotto una terminologia diversa rispetto alla precedente legge, ma è anche dotata di una definizione della cerchia di persone a cui si applicano le norme speciali per soggetti collegati. Giusta l’articolo 3 lettera h LIVA valgono quali persone strettamente vincolate i titolari di partecipazioni determinanti in un’impresa o persone a loro vicine. Una partecipazione è considerata determinante se supera i valori soglia previsti dall’articolo 69 LIFD[4]. Questa nuova definizione legale di persone strettamente vincolate si differenzia sensibilmente dalla vecchia definizione di persone prossime sviluppata dalla prassi dell’AFC. L’introduzione del criterio della detenzione di partecipazioni determinanti quale elemento distintivo, oltre a semplificare notevolmente la delimitazione tra persone strettamente vincolate e terze persone, restringe il campo di applicazione della norma speciale dell’articolo 24 capoverso 2 LIVA. L’importanza di questo cambiamento è evidente se si pensa che a partire dal 1. gennaio 2010 l’AFC non può più operare correttivi (ai fini IVA) sulla controprestazione pattuita ad esempio tra una società e la sua fondazione di previdenza o tra società sorelle, in quanto in assenza di un rapporto partecipativo qualificato non sussiste la base legale per scostarsi dalla controprestazione effettivamente ricevuta. 3.2. Le prestazioni al personale senza partecipazioni determinanti nell’impresa Diversamente dalla vLIVA l’attuale legge non contiene alcuna norma speciale per la determinazione della base di calcolo in caso di prestazioni al personale. Il trattamento IVA delle prestazioni al personale è approfondito nell’articolo 47 dell’Ordinanza del 27 novembre 2009 concernente l’imposta sul valore aggiunto (di seguito Ordinanza IVA), che si fonda sostanzialmente sulla seguente distinzione: • Prestazioni eseguite dietro pagamento di un compenso In questi casi il datore di lavoro generalmente o fattura la prestazione al dipendente o deduce il compenso dovuto dal salario versato a quest’ultimo. Ai fini IVA, indipendentemente da come avviene l’addebito del compenso, ha luogo una prestazione a titolo oneroso del datore di lavoro al dipendente. La base di calcolo è costituita dalla controprestazione effettivamente ricevuta. • Prestazioni per le quali il dipendente non deve pagare alcun compenso Si tratta di prestazioni che non sono né fatturate né in altro modo addebitate al dipendente. Se tali prestazioni vanno dichiarate nel certificato di salario, sono comunque considerate effettuate a titolo 25 | n° 7 - Luglio 2011 | oneroso e l’imposta va calcolata sulla base dell’importo determinante per le imposte dirette. Le prestazioni che non devono essere dichiarate nel certificato di salario sono invece effettivamente considerate come effettuate gratuitamente. Una correzione a titolo di consumo proprio non è comunque di norma necessaria, poiché si presuppone vi sia un motivo imprenditoriale sotteso all’erogazione della prestazione. 3.3. Le prestazioni al personale con partecipazioni determinanti nell’impresa Le prestazioni senza compenso a persone strettamente vincolate che lavorano nell’azienda sono trattate in modo del tutto analogo a quanto indicato per il personale senza partecipazioni determinanti nell’impresa. In caso di prestazioni per le quali il personale con partecipazioni determinanti nell’impresa deve pagare un compenso, si deve invece tener presente che la base di calcolo non è la controprestazione effettivamente ricevuta dal datore di lavoro ma il prezzo che sarebbe stato convenuto fra terzi indipendenti. 4. Uno sguardo oltreconfine 4.1. La disciplina nell’UE In ambito europeo, la regola generale contenuta all’articolo 73 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (di seguito “Direttiva”) prevede quale base imponibile tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore. In altre parole, anche all’interno dell’UE, il corrispettivo sul quale calcolare l’imposta è di principio lasciato alla libera volontà delle parti. Cionondimeno l’articolo 80 della Direttiva prevede che, allo scopo di prevenire l’elusione o l’evasione fiscale, nei seguenti tre casi gli Stati membri dell’UE possono considerare quale base imponibile il valore normale, se tra le parti sussistono legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici quali definiti dallo Stato membro: • • il corrispettivo pattuito è inferiore al valore normale e l’acquirente/destinatario non ha interamente diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti (rispettivamente sulle importazioni)[5]; il corrispettivo pattuito è inferiore al valore normale • e il cedente/prestatore non ha interamente diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti (rispettivamente sulle importazioni) e l’operazione è esente[6]; il corrispettivo pattuito è superiore al valore normale e il cedente/prestatore non ha interamente diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti (rispettivamente sulle importazioni). L’articolo 80 paragrafo 1 comma 2 della Direttiva precisa che i summenzionati vincoli giuridici possono comprendere il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente, la famiglia del lavoratore dipendente o altre persone strettamente collegate al lavoratore dipendente. La rilevanza dell’articolo 80 della Direttiva è duplice: • • il corrispettivo pattuito è inferiore al valore normale e si tratta di un’operazione esente effettuata da un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato; il corrispettivo è superiore al valore normale e si tratta di un’operazione imponibile o di un’operazione assimilata a quelle imponibili agli effetti del diritto alla detrazione effettuate da un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato. Relativamente alle prestazioni al personale dipendente, la normativa italiana prevede l’utilizzazione del valore normale quale base di calcolo dell’imposta nel caso di messa a disposizione di auto e/o telefoni cellulari. innanzitutto gli Stati membri dell’UE non possono prevedere altri casi di applicazione del valore normale oltre a quelli contemplati dalla Direttiva; in secondo luogo, gli Stati membri dell’UE che non hanno recepito l’articolo 80 della Direttiva nella propria normativa nazionale non sono autorizzati a rettificare la base imponibile sulla base del valore normale. Si osserva infine che, all’articolo 72, la Direttiva contiene una definizione di valore normale avente carattere imperativo: per valore normale si deve intendere l’intero importo che l’acquirente o il destinatario, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione o prestazione, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente nel territorio dello Stato membro in cui l’operazione è imponibile per ottenere i beni o servizi in questione al momento di tale cessione o prestazione. 4.2. La disciplina in Italia In Italia l’articolo 80 della Direttiva è stato recepito dall’articolo 13 comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972. La base imponibile determinante per l’imposizione di operazioni effettuate nei confronti di società che direttamente o indirettamente controllano il soggetto cedente/prestatore, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla il predetto soggetto, è costituita dal valore normale se: • • • il corrispettivo pattuito è inferiore al valore normale e si tratta di un’operazione imponibile effettuata nei confronti di un soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato; 26 | n° 7 - Luglio 2011 | 5. Conclusione Di norma l’IVA è calcolata sulla controprestazione effettivamente ricevuta. Sia in Svizzera che all’interno dell’UE, questa regola generale non è tuttavia applicabile in caso di prestazioni a soggetti collegati, la cui base di calcolo è determinata in base a regole speciali. La legge in vigore dal 1. gennaio 2010 fornisce una base legale uniforme per il calcolo dell’imposta in caso di prestazioni a persone strettamente vincolate, la cui cerchia è definita in modo esaustivo dalla LIVA stessa. Per quanto attiene invece alle prestazioni al personale, i criteri impositivi introdotti dall’Ordinanza IVA appaiono ancora moderatamente complessi, nonostante lo sforzo fatto per allinearsi alle imposte dirette. Per maggiori informazioni: Elenco delle fonti fotografiche: AFC; Istruzioni 2008 sull’IVA, in: http://www.lerch-treuhand.ch/uploads/pics/MWST.jpg [20.07.2011] h t t p : // w w w . e s t v . a d m i n . c h / m w s t / d o k u m e n t a tion/00130/00219/index.html?lang=it [20.07.2011] AFC; Info IVA 07 Base di calcolo e aliquote d’imposta, in: http://www.estv.admin.ch/mwst/ dokumentation/00130/00947/00948/index. html?lang=it [23.05.2011] http://www.exportblog.ch/it/sites/default/files/imagecache/node_image/Fotolia_1258484_Subscription_L_ MWST_photoGrapHie_5.jpg [20.07.2011] http://www.sparschwein-umzug.de/images/2403126.jpg [20.07.2011] AFC; Info IVA 08 Quote private, in: h t t p : // w w w . e s t v . a d m i n . c h / m w s t / d o k u m e n t a tion/00130/00947/00948/index.html?lang=it [20.07.2011] Baumgartner Ivo P./Clavadetscher Diego/Kocher Martin; Vom alten zum neuen Mehrwertsteuergesetz, Langenthal 2010, pagina 180 e seguenti Frei Benno; Das neue Mehrwertsteuergesetz, 4a edizione, Muri/Berna 2010, pagina 74 e seguenti Portale Renato; Imposta sul valore aggiunto. IVA comunitaria. Tutte le novità in vigore dal 2011, Milano 2011, ad articolo 13 rispettivamente ad articolo 14 Elisa Antonini Avvocato Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law Bär & Karrer SA, Lugano Note: 1) Cfr. Istruzioni 2008 sull’IVA, numero marginale 430 e seguenti. 2) Per completezza si rileva che, a seguito della modifica della prassi introdotta dal 1. gennaio 2007, determinate prestazioni al personale (per esempio abbonamenti dei trasporti pubblici, messa a disposizione di parcheggi pubblici) erano soggette ad un trattamento fiscale speciale. 3) Calcolo del valore attuale. L’ammortamento per gli anni 2007 e 2008 corrisponde al 40%. 4) Partecipazione di almeno il 10% al capitale azionario o sociale, partecipazione di almeno il 10% agli utili e alle riserve, oppure diritti di partecipazione pari a un valore venale di almeno 1 milione di franchi. 5) Secondo la terminologia svizzera: deduzione dell’imposta precedente. 6) Secondo la terminologia svizzera: esclusa. Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano Il trust deve scontare l’imposta di donazione quando riceve il bene dal disponente oppure quando lo devolve ai beneficiari? Sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, del 25 ottobre 2010, numero 108/09/10, in: http://www.businessjus.com/contributi/CONTRI155.pdf [20.07.2011] Imposte indirette – Successioni e donazioni ex articolo 2 decreto legge n. 262/2006 - Atto istitutivo del Trust - Trust Autodichiarato - Esclusione dall’imposta di donazione 1. Ritenuto in fatto In relazione all’atto 27/97/2009, n. 60734/15776 di rep, reg. il 7 agosto 2009, n. 15213, l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Treviso, faceva notificare al Notaio F. L., l’avviso in epigrafe argomentando che l’atto partecipava della imposta proporzionale del 6% prevista dall’articolo 2, comma 49, decreto legge del 3 ottobre 2006, n. 262, convertito nella Legge del 24 novembre 2006, n. 286; l’importo totale liquidato e dovuto, detratta la somma corrisposta a titolo di tassa fissa, ammontava ad 3’432 euro. Avverso il precisato provvedimento si opponeva con tempestivo ricorso avanti questa Commissione il dottor L. F. domiciliato in Treviso, [Omissis], rappresentato e difeso per mandato a margine del ricorso dal dottor P. B. e dall’avvocato M. M., elettivamente domiciliato presso lo Studio del primo in Pieve di Soligo (TV), via [Omissis], instando a che, in base alle argomentazioni esposte, la Commissione dichiarasse la illegittimità dell’impugnato avviso, annullandolo e disponendo altresì il rimborso delle somme eventualmente nelle more corrisposte, maggiorate degli interessi maturati e maturandi fino alla data del rimborso. Spese e competenze di lite rifuse. Il ricorso conteneva istanza di discussione della causa in pubblica udienza. 28 | n° 7 - Luglio 2011 | Dopo una formale costituzione in cui concludeva per il rigetto del ricorso e per la condanna del ricorrente al pagamento delle somme portate dall’avviso, oltre che alla corresponsione delle spese e competenze di lite, l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Treviso, costituitasi in giudizio in persona del Direttore p.t. dottor R. M., con memoria 25 giugno 2010 approfondiva le sue controdeduzioni con maggiori argomentazioni instando per esse conformemente al suo primo su ricordato atto difensivo. All’udienza odierna di discussione, il Giudice Relatore illustrava il contenuto degli atti; quindi venivano ammessi alla discussione per il ricorrente il dottor P. B., nonché per l’Ufficio il dottor N. C. 2. Motivi della decisione Oggetto dell’impugnato avviso di liquidazione è l’atto istitutivo di Trust, denominato Ziitrust, stipulato in data 27 luglio 2009 registrato in Treviso in data 7 agosto 2009, al n. 15213. Con detto atto la Disponente o Settlor ha nominato se stessa Trustee, con assunzione dei relativi obblighi di amministrare e con tutti i conseguenti impegni, mentre oggetto del trust sono tutti i diritti di nuda proprietà di un appartamento e pertinenze, già gravato di diritto di abitazione, sito in Tarquinia; i beneficiari del trust sono nominati, a partire dagli attuali titolari del diritto di abitazione, nell’ordine in cui risulta dal rogito. È espressamente stabilita la durata in anni trenta del trust, mentre la legge regolatrice del trust è quella di Jersey (Trust Jersey Law 84 as emended 2006). Tutta la vertenza ruota quindi intorno alla esatta individuazione e qualificazione giuridica nella legislazione italiana del trust e, conseguentemente, sulle sue conseguenze giuridiche nel sistema italiano. Invero se v’è una certezza è, nel generale, che nella ricerca della tipicità negoziale (basta esaminare la convenzione dell’Aja del 1. luglio 1985, recepita integralmente nella Legge del 16 ottobre 1989, n. 364 dallo Stato Italiano) si giunge alla conclusione che il trust non rientra in nessuno degli schemi giuridici tipici del nostro tradizionale vivente diritto. Di origine anglosassone infatti e convenuto per regolare una grande quantità di rapporti senza predefinizione di un determinato modello in quanto simile negozio, per sua natura a titolo gratuito, è teleologicamente destinato a soddisfare le più varie finalità, ovviamente lecite anche in relazione alla legislazione propria dello Stato contraente, per trust si intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente, con atto tra vivi, qual è il presente, o mortis causa, su dei beni posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico; può essere liberamente scelta la legge che regola l’atto, come nel caso di specie, purché non in contrasto con il diritto dello Stato. Anche nell’atto in esame si ravvisano gli elementi testé precisati che caratterizzano l’istituto edittale del Trust, posto che da un lato il costituente è anche il Trustee, dall’altro è espresso lo scopo del trust, con questo negozio viene nominato il guardiano, vengono determinati i poteri e gli obblighi del trustee, si dispone la segregazione dei beni nell’atto puntualizzati e si specifica la loro distinzione e separazione dai beni del trustee, viene regolata la messa a conoscenza di terzi della avvenuta costituzione del trust e delle correlate attività (per esempio istituzione di un conto bancario) in modo che anche queste, al pari dei beni, non siano aggredibili dai creditori del Disponente né da quelli del Trustee. Né appare possibile nella specie invocare un trasferimento di proprietà nel senso tradizionalmente inteso nel diritto italiano - nel caso inoltre Settlor e trustee si identificano, ripetesi, nella medesima persona fisica -: il trustee rimane proprietario del bene in trust ed è basilarmente vincolato nell’esercizio del proprio diritto dalle disposizioni di amministrazione fiduciaria contenute nell’atto istitutivo e dettate nell’interesse dei beneficiari: in breve il diritto di proprietà comunque è represso dai vincoli anche di amministrazione che sono stati apposti al trustee a favore di soggetti che sono stati riconosciuti allo stato titolari di sole aspettative. Né il trust risulta tra gli atti e le cause impositive una volta reintrodotta la imposta sulle successioni e sulle donazioni con decreto legge del 3 ottobre 2006, n. 263, convertito nella Legge del 24 novembre 2006, n. 286 che richiama le disposizioni di cui al decreto legislativo del 31 ottobre 1990, n. 346 nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001 manifestandosi da ciò la volontà normativa della esclusione di detto istituto dalla precisata imposta. Peraltro si osserva, a conferma di questa conclusione, che appare netta la carenza attuale dell’animus donandi, anche per la inequivoca puntualizzazione del Disponente che ai beneficiari - e tra questi non è dato conoscere a chi - il fondo apparterrà solo alla scadenza del termine del trust, mentre tale elemento della volontaria liberalità è per contro essenziale al fine di giuridicamente invocare la donazione cui si richiama l’Ufficio nel non esatto tentativo di inquadrare il trust relegandolo in questo tipico istituto codicistico. Infine anche a voler comunque ed in ogni caso esaminare l’istituto del trust sotto la veste di una donazione condizionata, la conclusione da trarsi in relazione a tale ipotesi non può essere che ancora una volta negativa per quanto riguarda l’avviso qui impugnato mancando l’individuazione attuale di chi tra i vari soggetti indicati nel rogito - e finanche tra questi, quelli di cui all’articolo 29 n. 3 odiernamente neppure determinabili - sarà alla scadenza del trust e non solo, ma anche a superare ciò, comunque la ritenuta donazione è sottoposta a condizione sospensiva e l’atto che contempla simile fattispecie va registrato a tassa fissa - articolo 58, comma 5, decreto legislativo n. 346/1990, articolo 27 decreto legislativo n. 131/1986 –, rimanendo all’Ufficio salva la facoltà di pretendere l’imposta piena al verificarsi della condizione. Per questi motivi di conseguenza, il ricorso deve essere accolto ed annullato l’avviso di liquidazione opposto. Stante la complessità della materia e la facoltà di distinta ermeneutica sulla questione in esame, si ritiene giusto compensare le spese e competenze di lite. Per questi motivi: La Commissione accoglie il ricorso. Spese compensate. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.churchtechy.com/wp-content/uploads/2010/07/trust.jpg [20.07.2011] http://www.trustcommerciale.it/wp-content/uploads/ tassazione-del-trust.jpg [20.07.2011] Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE La clausola giustificativa che ammette la norma fiscale discriminatoria è concessa solo se è rispettato il principio di proporzionalità Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (Quarta Sezione), procedimento C-10/10, del 16 giugno 2011, in: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ. do?uri=CELEX:62010J0010:IT:HTML [20.07.2011] Inadempimento di uno Stato - Libera circolazione dei capitali - Deducibilità di donazioni effettuate in favore di istituti incaricati di attività di ricerca e di insegnamento Limitazione della deducibilità alle sole donazioni effettuate in favore di istituti stabiliti nel territorio nazionale 1. Contesto normativo e fattispecie L’articolo 4 della legge del 7 luglio 1988 relativa all’imposta sul reddito austriaca (Einkommensteuergesetz, di seguito EStG) considera l’ammontare dell’utile come base per il calcolo dell’imposta sul reddito. Tale articolo stabilisce che i costi di gestione vengono dedotti dall’utile. Il n. 4 del medesimo articolo precisa, in particolare, che determinate voci di spesa specificamente menzionate sono in ogni caso costi di gestione. L’articolo 4a, punto 1, della citata legge, come modificato dalla legge di riforma tributaria del 2009 (di seguito EStG modificato) e riguardante le donazioni effettuate con il capitale di gestione, elenca una serie di donazioni che devono essere parimenti considerate come costi di gestione. Sono in particolare le donazioni che vengono effettuate per consentire lo svolgimento di attività di ricerca o attività di insegnamento intese alla formazione degli adulti, relative a materie scientifiche o artistiche e conformi alla legge sull’Università del 2002, nonché per permettere l’elaborazione delle relative pubblicazioni e documentazioni scientifiche, e che vengono erogate a favore di un elenco esaustivo di istituti di formazione e di ricerca. Il valore venale delle donazioni è deducibile nella misura in cui esso non superi il 10% dell’utile dell’esercizio immediatamente precedente. Con lettera del 12 maggio 2005 la Commissione europea ha chiesto al Ministero federale delle Finanze della Repubblica d’Austria di precisare se i beneficiari delle donazioni ai sensi dell’articolo 4a, punto 1, dell’EStG modificato potessero essere soltanto gli istituti stabiliti in Austria, oppure se potesse trattarsi anche di analoghi istituti stabiliti in altri Stati membri dell’UE o dello Spazio 30 | n° 7 - Luglio 2011 | economico europeo (di seguito SEE). Il Ministero federale delle Finanze ha risposto, con una lettera del 5 settembre 2005, confermando che beneficiari delle donazioni di cui all’articolo 4a, punto 1, dell’EStG modificato potevano essere soltanto gli istituti austriaci. In una lettera di diffida prima, e in un parere motivato poi, la Commissione europea è giunta alla conclusione che l’Austria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 56 del Trattato sulla Comunità europea (di seguito TCE, ora articolo 63 del Trattato sull’Unione europea) e dell’articolo 40 dell’Accordo SEE, sulla libera circolazione dei capitali, avendo consentito la deduzione fiscale delle donazioni effettuate in favore di istituti incaricati di attività di ricerca e di insegnamento unicamente nel caso in cui questi fossero stabiliti in Austria. Per questo motivo la Commissione europea ha invitato l’Austria a presentare le proprie osservazioni al riguardo. Nella sua risposta l’Austria ha negato l’esistenza di qualsivoglia violazione della libera circolazione dei capitali. Alla luce di tali fatti, la Commissione europea ha quindi deciso di proporre un ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee (di seguito la Corte). 2. Il ricorso 2.1. Gli argomenti delle parti Secondo la Commissione europea una tale disposizione della normativa austriaca sarebbe vietata, in linea di principio, dall’articolo 56 TCE e dall’articolo 40 dell’Accordo SEE e non potrebbe trovare giustificazione. Emergerebbe chiaramente dal tenore letterale della disposizione nazionale sopra citata, nonché dagli argomenti esposti dall’Austria nel corso del procedimento precontenzioso che la disposizione in questione opera una distinzione basata su criteri puramente geografici, vale a dire sul fatto che il beneficiario delle donazioni abbia o meno la propria sede in Austria. La Repubblica d’Austria ammette che la sua normativa interna distingue, in una certa misura, tra gli istituti stabiliti in Austria e quelli stabiliti in altri Stati membri dell’UE, ma essa non ritiene che tale disposizione costituisca una restrizione alla libera circolazione dei capitali. In primo luogo, essa ritiene che gli istituti di ricerca e di insegnamento menzionati nell’articolo non siano oggettivamente comparabili agli analoghi istituti stabiliti in altri Stati membri dell’UE, a motivo del fatto che soltanto i primi sono esposti all’influenza dei pubblici poteri da parte della Repubblica d’Austria. In secondo luogo, l’Austria ritiene che, nei limiti in cui venga dimostrata una restrizione alla libera circolazione dei capitali, questa sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale. In particolare, la limitazione della deducibilità fiscale alle sole donazioni in favore degli istituti menzionati corrisponderebbe all’obiettivo, nell’interesse generale della collettività nazionale, di mantenere e promuovere il ruolo dell’Austria quale polo culturale e scientifico. La limitazione della deducibilità fiscale alle donazioni effettuate in favore degli istituti di ricerca e di insegnamento citati all’articolo 4a, punto 1, lettere a-d, dell’EStG modificato sarebbe idonea e necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo perseguito. L’estensione di tale deducibilità agli istituti stabiliti in Stati membri dell’UE diversi dall’Austria non potrebbe garantire gli stessi obiettivi, poiché essa avrebbe la conseguenza che una parte delle donazioni in questione, deducibili per un importo fino al 10% degli utili del donatore, andrebbe a vantaggio di istituti che perseguono obiettivi non rientranti nell’interesse generale dell’Austria, con una conseguente diminuzione delle risorse a disposizione degli istituti stabiliti in tale Stato membro. 2.2. Il giudizio della Corte Innanzitutto, secondo la Corte, è opportuno ricordare che, per giurisprudenza costante, anche se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri dell’UE, questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione. (consid. 23) L’articolo 56, n. 1, TCE vieta tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri dell’UE, nonché tra Stati membri 31 | n° 7 - Luglio 2011 | dell’UE e Paesi terzi. Le donazioni figurano nella sezione XI, dal titolo “Movimenti di capitali a carattere personale”, dell’allegato I della direttiva del Consiglio 88/361/CEE. Come riconosciuto dall’Austria nel corso del procedimento precontenzioso, i beneficiari delle donazioni della relativa norma interna possono essere soltanto gli istituti aventi sede in tale Stato. Di conseguenza, la Corte rileva che il regime delle deduzioni fiscali in questione comporta, per i contribuenti che effettuano donazioni agli istituti di ricerca e di insegnamento stabiliti in uno Stato membro dell’UE diverso dall’Austria, un onere fiscale più gravoso rispetto a quello in cui incorrono coloro che effettuano donazioni agli istituti menzionati dalla normativa. Poiché la possibilità di ottenere una deduzione fiscale può incidere in misura considerevole sulla generosità del donatore, la non deducibilità delle donazioni accordate ad istituti stabiliti in uno Stato membro dell’UE diverso può dissuadere i contribuenti dall’effettuare donazioni a loro vantaggio. L’articolo 4a, punto 1, lettere a-d, dell’EStG modificato costituisce dunque una restrizione ai movimenti di capitali vietata, in linea di principio, dall’articolo 56, n. 1, TCE. (consid. 27) Dalla giurisprudenza della Corte risulta che, perché una normativa fiscale nazionale quale quella in esame possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, occorre che la differenza di trattamento riguardi situazioni che non sono oggettivamente paragonabili o sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale. Inoltre, per essere giustificata, tale differenza di trattamento non deve eccedere quanto è necessario perché sia raggiunto l’obiettivo perseguito dalla normativa in questione. (consid. 29) Sulle argomentazioni esposte dall’Austria la Corte rileva che, se certo gli Stati membri dell’UE sono liberi di decidere quali siano gli obiettivi di interesse generale che vogliono promuovere, essi devono però esercitare tale potere discrezionale in conformità al diritto dell’Unione. Se è vero che le autorità nazionali dispongono di mezzi aggiuntivi che consentono loro di controllare e di influire sulla condotta degli istituti stabiliti nel territorio austriaco in modo più incisivo che non nei confronti degli istituti stabiliti in un altro Stato membro dell’UE, resta nondimeno il fatto che la Repubblica d’Austria non ha dimostrato che un siffatto intervento nella gestione degli istituti in questione sia necessario per garantire il raggiungimento degli obiettivi di interesse generale che tale Stato membro dell’UE intende promuovere. La Corte continua che, nel caso di specie, l’Austria dichiara che l’obiettivo di interesse generale perseguito dalla normativa è la promozione del suo ruolo quale polo scientifico e formativo. Tale obiettivo è definito in maniera tale che vi rispondono quasi tutti gli istituti di ricerca e di insegnamento che hanno la loro sede in Austria, mentre qualsiasi istituto corrispondente stabilito in un altro Stato membro dell’UE è automaticamente escluso dal beneficio dell’agevolazione fiscale in questione. Ne consegue che l’unico criterio idoneo a determinare una distinzione tra i contribuenti che effettuano donazioni agli istituti con sede in Austria e quelli che effettuano donazioni agli istituti corrispondenti stabiliti in un altro Stato membro dell’UE è in realtà costituito dal luogo in cui è stabilito il beneficiario della donazione. Per definizione, un tale criterio non può costituire un criterio valido per valutare l’oggettiva comparabilità delle situazioni e, quindi, per stabilire una differenza oggettiva tra le stesse. La Corte respinge quindi l’argomentazione dell’Austria, secondo la quale gli istituti menzionati dalla normativa e i corrispondenti istituti stabiliti in altri Stati membri dell’UE non si trovano in una situazione oggettivamente paragonabile, e secondo la quale è dunque giustificata la differenza di trattamento dei contribuenti soggetti all’imposta sul reddito in Austria in funzione del luogo di collocamento del loro capitale. (consid. 36) Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento vertente sull’esistenza di un motivo imperativo di interesse generale, la Corte ammette che la promozione della ricerca e dello sviluppo può costituire un siffatto motivo, essa ha tuttavia ritenuto che una normativa nazionale che riservi il beneficio di un credito d’imposta soltanto alle attività di ricerca realizzate nello Stato membro interessato sia direttamente contraria allo scopo della politica dell’Unione nel settore della ricerca e dello sviluppo tecnologico. Conformemente all’articolo 163, n. 2, TCE, tale politica è volta, in particolare, all’eliminazione degli ostacoli fiscali alla cooperazione nel settore della ricerca e non può pertanto essere attuata attraverso la promozione della ricerca e dello sviluppo a livello nazionale. La Corte ammette anche che l’obiettivo dichiarato dallo Stato austriaco di promuovere la formazione nazionale potrebbe costituire un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare una restrizione alla libera circolazione dei capitali, ma resta il fatto che una misura restrittiva, per poter essere giustificata, deve rispettare il principio di proporzionalità. A tal proposito l’Austria non ha fornito alcun argomento che consenta di dimostrare che l’obiettivo da essa perseguito in tale settore non potrebbe essere realizzato senza la disposizione controversa e con l’utilizzo di mezzi meno restrittivi sotto il profilo della possibilità per i contribuenti austriaci di scegliere i beneficiari delle donazioni che essi intendono effettuare. (consid. 38) La Corte conclude infine che, relativamente alle risorse finanziarie che gli istituti austriaci beneficiari delle donazioni perderebbero, se la disposizione fosse estesa anche alle donazioni in favore di istituti stabiliti in altri Stati, da una giurisprudenza costante risulta che l’esigenza di prevenire riduzioni del gettito fiscale non rientra tra i motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione ad una libertà sancita dal Trattato. Ne consegue che la restrizione alla libera circolazione dei capitali risultante dal regime controverso non può essere giustificata dai motivi dedotti dalla Repubblica d’Austria. (consid. 41) Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’articolo 4a, punto 1, lettere a-d, dell’EStG modificato, nella parte in cui limita la deducibilità delle donazioni ai fini dell’imposta sul reddito a quelle versate agli istituti con sede in Austria, costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali sancita dall’articolo 56 TCE e dall’articolo 40 dell’Accordo SEE. La Corte ha quindi accolto il ricorso della Commissione europea giungendo alla conclusione che l’Austria, consentendo la deduzione fiscale delle donazioni effettuate in favore di istituti incaricati di attività di ricerca e di insegnamento unicamente nel caso in cui questi siano stabiliti nel suo Stato, ha violato gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 56 TCE e dell’articolo 40 dell’Accordo SEE. (consid. 44) Elenco delle fonti fotografiche: http://www.parlament.gv.at/LI/B/PG/DE/XXIV/NRSITZ/ NRSITZ_00021_NRSITZ00021__165183_image002.jpg [20.07.2011] http://ec.europa.eu/avservices/photo/photoDetails.cfm?s itelang=en&ref=P-012683/00-05 [20.07.2011] Pubblicazioni Banche e imprese nel procedimento penale Strategie di diritto penale, civile, bancario, fiscale e rogatoriale Da decenni rispondo alle domande di colleghi, di banche, di altri imprenditori e dei loro clienti, ma anche di studenti e giornalisti. Cerco, e talvolta trovo, le risposte nel mio archivio dei casi. Per accedere più in fretta l’ho riordinato e aggiornato: il libro “Banche e imprese nel procedimento penale” è il mio archivio professionale, mi serve tutti i giorni. Comincio dall’elenco delle parole chiave (pagina 749 e seguenti); se la questione è semplicissima, bastano le “Avvertenze” (pagina 611 e seguenti), una definizione più contestualizzata che quella di Google si trova nelle “Schede” (pagina 531 e seguenti), una situazione a rischio viene descritta nelle “Schede tematiche” (pagina 625 e seguenti). Poi si approfondisce: diritti e doveri nel procedimento penale e civile adesivo, (Prima Sezione) nelle procedure rogatoriali di tutti i tipi (Seconda Sezione), fino al groviglio del cumulo contemporaneo di procedimenti di natura diversa (Terza Sezione); meglio starne alla larga, e allora può servire un po’ di prevenzione (Quarta Sezione). Di seguito viene riportata la scheda del libro: Banche, fiduciari, gestori patrimoniali ed altri intermediari finanziari nonché imprese in genere, vengono coinvolti spesso in procedimenti penali, non solo relativi alla criminalità economica, ma anche di altra natura, e ciò prevalentemente a scopo di perquisizione, sequestro di documenti e di averi patrimoniali, audizioni testimoniali, sorveglianza di conti bancari. Frequente è anche il coinvolgimento come vittima e parte lesa. Pertanto, necessita un’analisi del nuovo Codice svizzero di procedura penale, ormai uguale per tutti i procedimenti penali federali e cantonali, focalizzata sui diritti e sugli obblighi collegati al coinvolgimento nel procedimento penale di imprese bancarie, finanziarie, fiduciarie e commerciali. Nella Prima Sezione vengono descritte le fasi del processo, l’acquisizione delle prove, i provvedimenti coercitivi e le facoltà di ricorso. Nella Seconda Sezione si descrivono coinvolgimenti e connessioni con le rogatorie straniere penali, civili, amministrative e fiscali, mentre la Terza Sezione analizza i collegamenti fra il procedimento penale e quello civile, bancario, fallimentare, amministrativo, prudenziale, disciplinare e fiscale riguardo allo scambio di informazioni e alle collisioni fra sequestri concorrenti, in base alla tendenza attuale di sovrapposizione di procedimenti di natura 33 | n° 7 - Luglio 2011 | diversa riguardo ad un medesimo caso. Infine, la Quarta Sezione tratta il procedimento penale come fonte di rischi legali e reputazionali che vanno obbligatoriamente individuati e padroneggiati. I temi vengono trattati sulla base di casi concreti della giurisprudenza, anche con l’aiuto di 30 schede didascaliche, di 50 schede riassuntive di situazioni a rischio e di 50 tabelle sinottiche; così i problemi sono più facilmente accessibili non solo ai giuristi ma anche a banchieri, assicuratori, gestori patrimoniali, fiduciari e revisori. Se poi lo diffondete, ci guadagna la Fondazione Pro Juventute. E, per favore, mandatemi critiche e suggerimenti: un libro non è mai finito! 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