Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
Dipartimento scienze aziendali e sociali
Centro di competenze tributarie
Novità fiscali
L’attualità del diritto tributario
svizzero e internazionale
n° 7 - Luglio 2011
Indice
Diritto tributario svizzero
Le leggi federali sono pronte per un primo restauro ........................................... 2
La deduzione per “altre spese professionali”: quale relazione
con i rimborsi spese forfettari versati dal datore di lavoro? ............................. 6
Diritto tributario italiano
La determinazione del fondo di dotazione
della stabile organizzazione italiana di una banca estera ................................ 9
Il regime fiscale di attrazione europea:
una disciplina in fase di attuazione ................................................................................. 15
Diritto tributario internazionale e dell’UE
La politica dell’Italia in materia di scambio di informazioni:
recenti sviluppi .................................................................................................................................. 20
IVA e imposte indirette
L’IVA sulle prestazioni a soggetti collegati ................................................................. 24
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano
Il trust deve scontare l’imposta di donazione quando riceve il bene
dal disponente oppure quando lo devolve ai beneficiari? ................................. 28
Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE
La clausola giustificativa che ammette la norma fiscale discriminatoria
è concessa solo se è rispettato il principio di proporzionalità ........................ 30
Pubblicazioni
Banche e imprese nel procedimento penale .............................................................. 33
Offerta formativa
Corsi di diritto tributario ......................................................................................................... 34
www.fisco.supsi.ch
Diritto tributario svizzero
Le leggi federali sono pronte
per un primo restauro
Dal 1. gennaio 2013 le disposizioni riguardanti la tassazione biennale praenumerando
saranno finalmente espunte dalla legge
Ad esempio l’imposta da prelevare per il periodo fiscale X e
X+1 secondo il sistema praenumerando biennale si determina
sulla base di una dichiarazione fiscale allestita nell’anno X
e relativa al periodo di tassazione della medesima durata.
Come base di calcolo si prende in considerazione il biennio
precedente, X-2 e X-1, ed il relativo reddito medio annuo
conseguito.
1. La soluzione del 1990: il legislatore federale
si concede un periodo di osservazione
Sono ormai trascorsi più di vent’anni da quando
l’Assemblea federale approvò la Legge federale sull’imposta
federale diretta (di seguito “LIFD”) e la Legge federale
sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei
Comuni (di seguito “LAID”). Il 14 dicembre 1990, accettando
le due leggi federali, le Camere decisero di rinunciare ad
uniformare le basi temporali applicabili alle persone fisiche,
permettendo ai Cantoni una certa libertà tra la scelta del
sistema di tassazione biennale praenumerando e quello
di tassazione annuale postnumerando. Questa soluzione
aveva il vantaggio di non costringere i Cantoni favorevoli
alla tassazione annuale postnumerando a rinunciarvi
e concedeva agli altri Cantoni, i quali applicavano la
tassazione biennale praenumerando, un sufficiente tempo
di riflessione. L’aspetto particolare di questa soluzione
era quello di ammettere, ai fini dell’imposta federale
diretta, l’applicazione parallela di due (differenti) sistemi
di basi temporali per l’imposizione delle persone fisiche.
Ad esempio sia per l’imposta cantonale sia per l’imposta
federale diretta nel Canton Basilea Città veniva applicato il
sistema annuale postnumerando, mentre nel Canton Ticino
veniva applicato il sistema biennale praenumerando.
2. Definizione di sistema biennale praenumerando
e sistema annuale postnumerando
Il sistema di tassazione biennale praenumerando è
caratterizzato dal fatto che l’imposta è calcolata prima
della fine del periodo fiscale biennale in modo che, per
il calcolo dell’imposta dovuta, si fa riferimento ai dati del
biennio precedente presumendo che tale reddito rispecchi
ancora la situazione esistente nel biennio successivo.
2
| n° 7 - Luglio 2011 |
X-2 e X-1
X e X+1
Periodo di calcolo
Periodo fiscale
Periodo di tassazione
Diversamente, il sistema annuale postnumerando si
caratterizza per il fatto che l’imposta dovuta è calcolata
alla fine del periodo fiscale cui si riferisce. In questo caso
periodo fiscale e periodo di calcolo si sovrappongono.
L’imposta viene calcolata alla fine del periodo fiscale
sulla base del reddito effettivamente realizzato (reddito
conseguito). Ad esempio il reddito conseguito nel periodo
fiscale X serve di base per il calcolo dell’imposta dovuta
per l’anno X. La procedura di tassazione non potrà essere
avviata che nell’anno successivo (X+1) ovvero dopo la
scadenza del periodo fiscale.
X
X+1
Periodo di calcolo
Periodo fiscale
Periodo di tassazione
3. Il rapporto del 2002: l’esecutivo federale
si esprime al termine del periodo di osservazione
Al Consiglio federale fu dunque affidato il compito di
redigere un rapporto da indirizzare alle Camere federali
alla scadenza del termine di otto anni dall’entrata in
vigore della LAID, stabilita il 1. gennaio 1993, con il quale si
sarebbe proposta l’uniformazione delle basi temporali per
le persone fisiche (articoli 70 LAID e 219 LIFD).
Se il vantaggio della soluzione transitoria prospettata
dall’Assemblea federale era soprattutto quello di
monitorare la situazione nei 26 Cantoni e di esaminare,
solo successivamente, quale dei due sistemi adottare,
lo svantaggio, più che altro di carattere formale, era
quello che le leggi dovevano prevedere delle disposizioni
sulle basi temporali delle persone fisiche riguardanti sia
la tassazione praenumerando che quella postnumerando.
Entrambe le leggi prevedevano pertanto due possibilità:
(i) il sistema di tassazione praenumerando su un periodo
fiscale biennale e (ii) il sistema di tassazione postnumerando
su un periodo fiscale annuale.
Quanto alle basi temporali delle persone giuridiche le
Camere federali, già il 14 dicembre 1990, decisero invece
di utilizzare, ai fini dell’imposta sull’utile e sul capitale, il
sistema di tassazione annuale postnumerando.
Nel rapporto del Consiglio federale del 9 gennaio 2002 si
mette in risalto come il sistema di tassazione postnumerando
sia da preferire rispetto a quello praenumerando poiché (i)
evita lacune d’imposizione alla fine dell’assoggettamento
e sopprime le tassazioni intermedie, (ii) è applicabile senza
difficoltà all’inizio dell’assoggettamento e (iii) facilita le
ripartizioni intercantonali e internazionali. Il Consiglio
federale ricorda però che il maggior svantaggio dato dal
sistema annuale è dato dal fatto che, rispetto a quello
biennale, il contribuente è chiamato ogni anno a redigere
la dichiarazione d’imposta, così come nell’obbligo da parte
dell’ente statale di riscuotere nel corso del periodo fiscale
gli acconti stabiliti su redditi presunti.
Nonostante ciò il Consiglio federale ricorda come la crisi
economica abbia accentuato i limiti e i vantaggi del sistema
di tassazione biennale praenumerando, considerando che
l’utilizzo del sistema annuale postnumerando presenta
l’enorme vantaggio di ridurre considerevolmente il tempo
trascorso tra l’acquisizione del reddito e la riscossione
dell’imposta, evitando in tal modo che l’imposizione
fiscale aggravi ulteriormente gli effetti negativi della crisi
economica.
Se sino al 1990 solo Basilea Città utilizzava il sistema
postnumerando, a metà degli anni novanta parecchi
Cantoni decisero di cambiare il sistema di basi temporali
e uniformarsi a quello già in uso nel Canton Basilea
Città. Gli ultimi Cantoni a mantenere il sistema biennale
praenumerando furono Ticino, Vaud e Vallese, che decisero
di passare al sistema annuale postnumerando nel 2003.
Il Consiglio federale, preso atto che tutti i Cantoni passarono
o decisero di passare al sistema annuale postnumerando,
nel rapporto del 9 gennaio 2002 comunicò alle Camere
federali che la LAID e la LIFD avrebbero dovuto essere
modificate affinché la tassazione annua postnumerando
potesse diventare il solo sistema di basi temporali per
l’imposizione delle persone fisiche.
Si sarebbe dunque dovuto procedere ad un adeguamento
formale delle due leggi federali, al fine di eliminare
tutte quelle disposizioni legate al sistema biennale
praenumerando. Ne conseguì, sempre secondo il Consiglio
federale, che l’unificazione sul piano legale del sistema
delle basi temporali di imposizione delle persone fisiche
avrebbe potuto essere ipotizzata a partire dal periodo
fiscale 2005.
4. Il disegno di legge del 6 aprile 2011
del Consiglio federale
L’adeguamento formale prospettato dal Consiglio federale
per il 2005 è slittato di qualche anno quando, lo scorso 6
aprile, è stato (finalmente) presentato il Messaggio numero
11.026 concernente la legge federale sull’adeguamento
formale delle basi temporali per l’imposizione diretta delle
persone fisiche.
Con tale disegno di legge si vogliono finalmente abrogare
3
| n° 7 - Luglio 2011 |
quelle disposizioni, ormai divenute superflue e obsolete,
del sistema di tassazione biennale praenumerando,
tuttora presenti nella LAID e nella LIFD, senza tuttavia
apportare modifiche materiali alle leggi federali. Finora,
infatti, la sistematica delle leggi era alquanto imprecisa
poiché si ritrovavano le norme della tassazione annuale
postnumerando nel titolo quarto “Disposizioni transitorie”.
La modifica formale delle leggi si avvia dunque nella
direzione di abrogare complessivamente 30 articoli, dei
quali 10 nella LAID e 20 nella LIFD.
Gli unici effetti ravvisabili nel cosiddetto restyling della
LIFD riguardano l’imposizione secondo il dispendio di cui
all’articolo 14 LIFD. Infatti, il relativo capoverso 3, rimanda
per il calcolo dell’imposta del contribuente e della sua
famiglia alle aliquote previste dall’articolo 36 LIFD, ovvero
alle aliquote riferite alla tassazione biennale praenumerando,
le quali sono più elevate rispetto alle aliquote riferite alla
tassazione annuale postnumerando (articolo 214 LIFD).
Siffatto cambiamento comporterà, secondo il Consiglio
federale, una perdita fiscale stimata in circa 7-8 milioni di
franchi.
5. Come cambiano le leggi
Nella seguente tabella vengono presentate le disposizioni
prima e dopo la modifica formale decisa dall’esecutivo
federale, con entrata in vigore stabilita per il 1. gennaio
2013, con riferimento alla:
a) LIFD; b) LAID; c) Legge federale su l’imposta preventiva
(di seguito “LIP”).
a) Le modifiche alla LIFD
Articolo
abrogato
Articolo
nuovo
Titolo
dell’articolo
Deduzione delle
perdite
Osservazioni
Il rinvio all’articolo 209
è sostituito dal rinvio
all’articolo 40 (Periodo
fiscale, anno fiscale)
211
31
capoverso 1
212
capoverso 1
33
capoverso 1
lettera g,
capoverso 1bis
212
capoverso 2
33 capoverso 2
212
capoverso 3
33 capoverso 3
Deduzione per la cura
prestata da terzi ai figli
213
capoversi 1 e 2
35
capoversi 1 e 2
Deduzioni sociali
Figli e persone bisognose
a carico, coniugi (lettere
a, b, c del capoverso 1).
Al capoverso 2 viene
indicato il momento
determinante per
assegnare la deduzione,
cioè la fine del periodo
fiscale (articolo 40)
214
36
Tariffe
Adeguamento annuale
delle tariffe (articolo 39)
Deduzione sui premi
assicurativi e gli interessi
dei capitali a risparmio
Interessi su debiti
e altre deduzioni
Deduzione per i coniugi
con doppio reddito
a) Le modifiche alla LIFD
Articolo
abrogato
Articolo
nuovo
38
capoversi
1bis e 2
-
209
210
43-48
216
220a
4
Prestazioni
in capitale
provenienti dalla
previdenza
Sostituisce il testo
dell’articolo 48 (che viene
abrogato) secondo cui le
imposte sulle prestazioni
in capitale provenienti
dalla previdenza sono
fissate per l’anno
fiscale durante il quale i
proventi corrispondenti
sono stati conseguiti.
Il capoverso 2 rimanda
all’utilizzo delle tariffe
previste dall’articolo
36 capoverso 1 e 2
per l’imposizione
dei proventi tassati
separatamente
41
Determinazione
del reddito
-
Tassazione
in caso di
matrimonio o
scioglimento del
matrimonio
Disposizioni relative
al periodo fiscale nel
sistema della tassazione
annuale postnumerando
Determinante la
situazione familiare alla
fine del periodo fiscale.
Prima questa regola era
prevista all’articolo 5
dell’Ordinanza sulle basi
temporali per le persone
fisiche (RS 642.117.1)
Abrogati
Disposizioni riguardanti il
sistema della tassazione
biennale praenumerando
che vengono dunque
abrogate
Appartenenza
personale
Disposizione sulla
competenza territoriale
delle autorità cantonali.
I capoversi 1 e 2
dell’articolo 105 vengono
sostituiti dai capoversi
1 e 2 dell’articolo 216. Il
capoverso 3 è identico
sia nell’articolo 105
che nel 216 (persone
giuridiche).
Il capoverso 4
(nuovo) riguarda la
competenza territoriale
in caso di modifica
dell’assoggettamento
per prestazioni in
capitale tassate
secondo l’articolo 38
LIFD (disposizione che
corrisponde all’articolo
4b LAID [nuovo])
Articolo
abrogato
Articolo
nuovo
Da 208 a 220
-
Abrogati
Osservazioni
Disposizioni transitorie
del Capitolo 3 che
riguardano la tassazione
annuale facoltativa
vengono abrogate
Soppressione
dell’articolazione in
capitoli del titolo terzo
“Basi temporali” (titoli
capitoli da 1 a 4 sono
abrogati)
b) Le modifiche alla LAID
Articolo
abrogato
68
Articolo
nuovo
4b (nuovo)
Titolo
dell’articolo
Osservazioni
Modifica
dell’assoggettamento
Disposizione
sulla modifica
dell’assoggettamento
all’interno della Svizzera
in base all’appartenenza
personale (capoverso
1) ed economica
(capoverso 2)
67
capoverso 1
10
capoverso 2
Deduzione
delle perdite
Il capoverso 2
dell’articolo 67 è già
contenuto al capoverso
4 dell’articolo 10.
L’articolo 67 viene
abrogato
63
15
Periodo fiscale
Disposizioni relative
al periodo fiscale nel
sistema della tassazione
annuale postnumerando
64
16
Determinazione
del reddito
Disposizioni sul calcolo
del reddito nel sistema
della tassazione annuale
postnumerando
66
17
Determinazione
della sostanza
Disposizioni sul calcolo
della sostanza nel
sistema della tassazione
annuale postnumerando
Tassazione in caso
di matrimonio
o scioglimento
del matrimonio
Determinante la
situazione familiare alla
fine del periodo fiscale.
Prima questa regola non
era prevista dalla LAID
Abrogati
Disposizioni Titolo
settimo: “Tassazione
annua per le persone
fisiche” che riguardano
la tassazione annuale
vengono abrogate
Adeguamento delle
legislazioni cantonali
Riserva in favore
dell’articolo 16
(Periodo fiscale annuo
facoltativo) viene
abrogata
Abrogato
Abrogazione articolo 69
determina abrogazione
articolo 78b poiché tutti
i Cantoni utilizzano il
sistema della tassazione
annuale postnumerando
Modifica dell’articolo 18
Disposizione sulla
competenza territoriale
delle autorità cantonali.
L’articolo 217 viene
integrato nell’articolo 106
Da 62 a 70
-
Abrogato
Disposizione si riferisce
all’articolo 47 e viene
dunque abrogata
Modifica dell’articolo 72
capoverso 1
205d (nuovo)
Disposizione
transitoria
relativa alla
modifica del 20
marzo 2008
Disposizione deve essere
anteposta siccome il
Capitolo 3 del Titolo
quarto delle “Disposizioni
transitorie” viene
abrogato
| n° 7 - Luglio 2011 |
Titolo
dell’articolo
Abrogazione dei titoli da 1 a 4 del titolo terzo
Appartenenza
economica
106
161 capoverso
3 lettera b
Osservazioni
Periodo fiscale
105
217
Titolo
dell’articolo
40
Modifica dell’articolo 42
a) Le modifiche alla LIFD
78b
-
-
Per maggiori informazioni:
Consiglio federale; Messaggio numero 83.043 a sostegno
delle leggi federali sull’armonizzazione delle imposte dirette
dei Cantoni e dei Comuni e sull’imposta federale diretta
(Messaggio sull’armonizzazione fiscale), del 25 maggio 1983,
in:
c) Le modifiche alla LIP
Articolo
abrogato
29
capoversi 3 e 4
Articolo
nuovo
29
capoverso 3
Titolo
dell’articolo
Esercizio
del diritto
al rimborso
Osservazioni
Modifiche formali a
causa dell’unificazione
delle basi temporali:
• il matrimonio quale
motivo per il rimborso a
titolo preventivo viene
meno (capoverso 3)
• decadenza del
rimborso provvisorio
senza previa istanza
(capoverso 4, abrogato)
6. Considerazioni conclusive
La revisione delle leggi federali (LIFD, LAID e LIP) voluta
dal Consiglio federale, seppur con qualche anno di
ritardo, mira ad abrogare tutte le disposizioni rese
obsolete dal passaggio dal sistema di tassazione biennale
praenumerando a quello annuale postnumerando.
Delle leggi più concise e più agevoli alla lettura,
come
sottolineato
dall’esecutivo,
miglioreranno
considerevolmente la loro trasparenza e porteranno
almeno una ventata d’aria nuova ad una fiscalità che fa
fatica a restare al passo con i tempi.
L’unificazione delle basi temporali ne è un esempio
concreto: dalla decisione del 2002 del Consiglio federale
volta a proporre le necessarie modifiche formali di
legge sono passati ben nove anni prima di intravvedere
un disegno di legge, il quale sarà senza alcun dubbio
approvato integralmente dall’Assemblea federale.
Ora si attendono però riforme materiali e non solo
formali: al prossimo disegno di legge!
http://www.amtsdruckschriften.bar.admin.ch/showHome.do
[20.07.2011]
Consiglio federale; Messaggio numero 11.026 concernente la
legge federale sull’adeguamento formale delle basi temporali
per l’imposizione diretta delle persone fisiche, del 6 aprile 2011,
in:
http://www.admin.ch/ch/i/ff/2011/3279.pdf
[20.07.2011]
Consiglio federale; Rapporto del Consiglio federale
sull’uniformazione delle basi temporali delle imposte dirette
delle persone fisiche, del 9 gennaio 2002, in:
http://www.admin.ch/ch/i/ff/2002/1978.pdf
[20.07.2011]
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.parlament.ch/d/service-presse/fotogalerie/dreieidgenossen/PublishingImages/drei-eidenossen-04-g.jpg
[20.07.2011]
http://www.parlament.ch/d/service-presse/fotogalerie/nrsaal/PublishingImages/nationalratssaal-09-g.jpg
[20.07.2011]
http://estb.msn.com/i/EA/735D7E247E385FA2519435246187B0.
jpg
[20.07.2011]
Samuele Vorpe
Docente-ricercatore SUPSI
La deduzione per “altre spese professionali”:
quale relazione con i rimborsi spese forfettari
versati dal datore di lavoro?
Considerazioni sulla giurisprudenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello
2. Le “altre spese professionali”
1. Considerazioni introduttive
In caso di attività lucrativa dipendente, le spese professionali
deducibili dal reddito sono esaurientemente disciplinate
dagli articoli 25 capoverso 1 della Legge tributaria ticinese
(di seguito LT) e 26 capoverso 1 LIFD.
Esse riguardano:
•
•
•
•
le spese di trasporto necessarie dal domicilio al luogo di
lavoro (lettera a),
le spese supplementari necessarie per pasti fuori
domicilio o in caso di lavoro a turni (lettera b),
le altre spese necessarie per l’esercizio della professione
(lettera c),
le spese inerenti al perfezionamento e alla riqualificazione
connessi con l’esercizio dell’attività professionale (lettera d).
In due sentenze del 28 ottobre 2009 e del 19 ottobre 2010,
la Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello (di
seguito CDT) si è occupata da vicino della deduzione
per “altre spese professionali” e della sua relazione con
le indennità forfettarie versate dai datori di lavoro a
copertura delle spese sostenute dai propri dipendenti
nell’ambito della loro attività professionale.
Nel primo caso si trattava di un dipendente di una
ditta di costruzioni, nel secondo di un funzionario di
banca. Entrambi i contribuenti svolgevano una funzione
dirigenziale e già beneficiavano di un rimborso forfettario
per spese di rappresentanza, che la ditta/banca versava
loro sulla base di uno specifico regolamento spese
approvato dall’autorità fiscale ticinese.
Ciononostante, entrambi i contribuenti facevano valere,
nella propria dichiarazione d’imposta, la deduzione per
“altre spese professionali” (nel primo caso sotto forma di
forfait, nel secondo in base ai costi effettivi), sostenendo
fondamentalmente che si trattava di una categoria di
spese ben distinta da quella già rimborsata dal datore di
lavoro.
6
| n° 7 - Luglio 2011 |
Conformemente all’articolo 8 del decreto esecutivo
concernente l’imposizione delle persone fisiche
(promulgato di anno in anno dal Consiglio di Stato), che
riprende la definizione delle altre spese professionali
contenuta nell’articolo 7 dell’Ordinanza federale del 10
febbraio 1993 sulla deduzione delle spese professionali delle
persone esercitanti un’attività lucrativa dipendente ai fini
dell’imposta federale diretta, fra le altre spese necessarie
per l’esercizio della professione rientrano in particolare
gli attrezzi e strumenti di lavoro, l’hardware e il software
informatico, la letteratura specialistica, l’uso di una camera
privata a scopi professionali, i vestiti da lavoro (compresa
l’usura particolare delle scarpe e degli abiti) così come i
contributi alle associazioni di categoria e ai sindacati.
La lista non è esaustiva. Di principio, il lavoratore dipendente
può dedurre tutte le spese necessarie all’esercizio della
sua professione. Secondo la giurisprudenza del Tribunale
federale, il concetto di necessità va peraltro interpretato in
senso ampio: non occorre dimostrare che il contribuente
non potrebbe assolutamente realizzare il proprio reddito
senza la spesa in questione né tanto meno è richiesto che
quest’ultima sia effettuata in virtù di un obbligo legale. La
sua necessità va ammessa se, in base ad una valutazione
economica, si può ritenere che la spesa favorisce
l’acquisizione del reddito e se non è ragionevolmente
esigibile che il contribuente vi rinunci. Da ciò non può
comunque venir concluso che tutti i costi in qualche
modo in relazione con l’acquisizione del reddito siano, dal
profilo fiscale, illimitatamente deducibili. Non possono in
particolare venir dedotte le spese prese a carico dal datore
di lavoro o da terzi, le spese per il mantenimento del
contribuente e della sua famiglia nonché le spese private
causate dalla posizione professionale del contribuente, i
cosiddetti costi per il tenore di vita.
Il contribuente può scegliere se far valere i costi effettivi
oppure la deduzione forfettaria. La concessione di
una deduzione forfettaria ha prevalentemente ragioni
pratiche: da un lato, solleva il contribuente dall’obbligo
di raccogliere e conservare i giustificativi dei più piccoli
dispendi e, dall’altro, agevola i compiti dell’autorità di
tassazione, che in questo modo non deve esaminare nel
dettaglio le singole spese.
3. Le indennità per spese forfettarie
versate dal datore di lavoro
Tra le indennità accordate dal datore di lavoro rientrano
tutte le spese che derivano al lavoratore dipendente
nell’ambito della sua attività professionale. Per quanto
concerne in particolare le spese di rappresentanza, oggetto
delle due decisioni della CDT, si tratta di quelle spese che
sostengono dipendenti di solito dirigenti nell’esercizio
della loro attività lavorativa, in considerazione della loro
posizione particolare, nei rapporti con clienti o collaboratori,
e per le quali la presentazione di giustificativi sarebbe
possibile tutt’al più con un dispendio sproporzionato. Tra
queste rientrano, per esempio, le spese per inviti di clienti
e partner commerciali al ristorante o al domicilio privato,
ma anche le piccole spese per regali in occasione di inviti
di amici commerciali, spuntini consumati durante un
tragitto, mance, telefonate professionali da apparecchi
privati, inviti e regali ai dipendenti, contributi ad istituzioni
o associazioni, spese accessorie, piccole spese in occasione
di colloqui e riunioni, biglietti (tram, bus, taxi), tasse di
parcheggio, viaggi di lavoro con l’automobile privata nel
raggio locale, spese per il portabagagli e il guardaroba,
spese postali e telefoniche, così come le spese per la
pulizia dei vestiti (cfr. modello di regolamento spese della
Conferenza fiscale svizzera).
Il datore di lavoro può scegliere se rimborsare le spese
dietro presentazione dei giustificativi (rimborso delle
spese effettive) oppure sotto forma di forfait. Per le spese
di rappresentanza, le aziende fanno solitamente capo ad
uno specifico regolamento allestito sulla base del modello
della Conferenza fiscale svizzera e approvato dall’autorità
fiscale (cfr. Istruzioni per la compilazione del certificato di
salario rispettivamente dell’attestazione delle rendite della
Conferenza fiscale svizzera e dell’Amministrazione federale
delle contribuzioni, Modulo 11). Un simile regolamento ha,
infatti, il pregio di essere di principio riconosciuto da tutti
i Cantoni.
4. Due categorie di spese ben distinte?
A prima vista, le nozioni di “altre spese professionali”
e di “indennità per spese forfettarie versate dal datore
di lavoro” non si sovrappongono, ma rappresentano
due categorie di spese concettualmente ben distinte.
Le prime sono delle cosiddette spese professionali, che
il dipendente sostiene al di fuori dell’orario di lavoro
effettivo. Se rimborsate dal datore di lavoro, esse vanno
pertanto computate al reddito imponibile, in quanto
costituiscono un’integrazione di salario (il dipendente
potrà eventualmente dedurle, quali spese professionali,
nella dichiarazione d’imposta). Le seconde sono invece
7
| n° 7 - Luglio 2011 |
delle spese che derivano ai dipendenti nell’ambito
dell’attività professionale. Il loro rimborso ai lavoratori
rientra pertanto fra gli obblighi del datore di lavoro
(articolo 327a del Codice delle obbligazioni). Esse vanno
comunque indicate sul certificato di salario, affinché se
ne possa verificare la giustificazione commerciale, per
il fatto che se superano i costi effettivi del dipendente
costituiscono integrazione dello stipendio.
Nella pratica, tuttavia, è spesso difficile tracciare una
linea di demarcazione tra le due categorie di spese. La
domanda sorge quindi spontanea: un contribuente che
già beneficia di un rimborso spese forfettario dal proprio
datore di lavoro può ancora far valere la deduzione
aggiuntiva a titolo di “altre spese professionali”?
In una sentenza del 23 settembre 2008 (cfr. RDAF 2008
II 520), il Tribunale federale, chiamato a giudicare il caso
di un funzionario di banca che beneficiava di un cospicuo
rimborso forfettario per spese di rappresentanza, ha
chiaramente affermato che in simili casi i contribuenti
non possono dedurre dal reddito imponibile le
“altre spese professionali”. Pur trattandosi di due
nozioni concettualmente diverse, l’Alta Corte sembra
implicitamente ammettere che nel rimborso spese annuo,
versato dal datore di lavoro sulla base di un regolamento
approvato dall’autorità fiscale, rientri pure una parte di
cosiddette spese professionali, che per ragioni di praticità
si rinuncia ad integrare nel salario lordo del dipendente,
ma che nel contempo non si ammette in deduzione dal
reddito dell’attività dipendente.
In definitiva, la conclusione del Tribunale federale,
per quanto discutibile, rappresenta una soluzione
pragmatica al problema della relazione esistente tra le
“altre spese professionali” e le spese di rappresentanza
versate ai dipendenti. Nelle due sentenze del 28 ottobre
2009 e del 19 ottobre 2010, la CDT vi ha quindi fatto
esplicito riferimento, respingendo i ricorsi presentati dai
contribuenti.
Per maggiori informazioni:
Decisione CDT n. 80.2009.140 del 28 ottobre 2009, in:
www.sentenze.ti.ch
[20.07.2011]
Decisione CDT n. 80.2010.59 del 19 ottobre 2010, in:
www.sentenze.ti.ch
[20.07.2011]
Decisione del Tribunale federale n. 2C_326/2008 del 23
settembre 2008, pubblicata in:
RDAF 2008 II 520
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.advantas.ch/images/Taschenrechner.jpg
[20.07.2011]
http://www.advantas.ch/images/PersonalCoaching.jpg
[20.07.2011]
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4f/Credit-cards.jpg
[20.07.2011]
Rocco Filippini
Avvocato
Vicecancelliere della
Camera di diritto tributario
del Tribunale d’appello
Diritto tributario italiano
La determinazione del fondo di dotazione
della stabile organizzazione italiana di una banca estera
Un breve commento della sentenza n. 475 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano
del 1. dicembre 2010
1. Introduzione
2. La disciplina del TUIR e gli orientamenti di prassi
Il presente articolo intende fornire un breve commento
alla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (di
seguito CTP) di Milano, sezione I, n. 475 del 1. dicembre
2010.
Il caso sottoposto alla Commissione milanese riguardava
un avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione
finanziaria aveva proceduto alla rideterminazione del
reddito imponibile di una stabile organizzazione localizzata
in Italia di una banca residente nel Regno Unito. Con
riferimento alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo
d’imposta 2004, la Direzione Regionale (di seguito DRE)
Lombardia aveva ritenuto non deducibili gli interessi
passivi pagati alla casa madre relativi ad un finanziamento
erogato ad integrazione del patrimonio di vigilanza in
applicazione degli articoli 151 e 152 del Testo Unico delle
Imposte sui Redditi (di seguito TUIR) e dell’articolo 7 della
Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra
Italia e Regno Unito. Secondo l’ufficio, le disposizioni citate
richiedono che, ai fini fiscali, ad una stabile organizzazione
italiana, operante nel settore bancario, sia assegnato un
ammontare di disponibilità finanziarie a titolo di capitale di
rischio (fondo di dotazione) almeno pari a quello richiesto
dalla Banca d’Italia nei confronti di una banca residente
indipendente, nella misura definita dalla circolare n.
229/1999.
I giudici della CTP accolgono l’accertamento
dell’Amministrazione finanziaria e ne sottolineano la
conformità sia con i precedenti orientamenti dell’Agenzia,
sia con le tesi espresse dall’OCSE.
Di seguito è mia intenzione presentare una breve
ricostruzione del quadro normativo nel quale si inserisce il
pronunciamento dei giudici milanesi; in primo luogo, con
riferimento alla disciplina rinvenibile presso l’ordinamento
italiano e, in secondo luogo, con riferimento a quella
risultante dai documenti normativi di rango internazionale
così come interpretati alla luce degli orientamenti
dell’OCSE.
Le indicazioni di diritto positivo che possono trarsi dalle
disposizioni contenenti la disciplina delle imposte sui
redditi, per quanto riguarda il tema che ci occupa, sono
alquanto scarne.
Invero, l’unica disposizione rilevante è rappresentata
dall’articolo 152 TUIR, il quale dispone che il reddito
attribuibile alle stabili organizzazioni di società non
residenti nel territorio dello Stato deve essere determinato
“secondo le disposizioni della sezione I del capo II del titolo II”
del TUIR. Per effetto di tale rinvio, si dovranno applicare
ai redditi attribuibili alle stabili organizzazioni le regole
di determinazione del reddito d’impresa ordinariamente
applicabili alle società ed enti residenti nel territorio dello
Stato.
Con specifico riguardo alla disciplina della deducibilità
fiscale degli interessi passivi, da tale norma è desumibile
il seguente corollario: una volta che gli interessi passivi
siano stati correttamente iscritti nel conto economico
dell’esercizio nel quale, secondo il principio di competenza
economica, sono stati sostenuti, la loro deducibilità
può essere sindacata solo in applicazione di specifiche
disposizioni del TUIR, i. e., per i periodi di esercizio in
corso dal 1. gennaio 2004 al 31 dicembre 2007, la disciplina
risultante dagli articoli 96, 97 e 98 TUIR così come introdotti
dalla riforma del 2003; mentre, per i periodi d’imposta che
hanno inizio a partire dal 1. gennaio 2008, quella risultante
dall’articolo 96 TUIR così come introdotto dalla Legge n.
244/2007.
9
| n° 7 - Luglio 2011 |
Il tema della deducibilità degli interessi passivi pagati
dalla stabile organizzazione alla sua casa madre era stato
oggetto, sino al 2006, di un unico pronunciamento di
prassi. Nel capitolo VI della circolare n. 32 del 22 settembre
1980 si afferma che “sotto il profilo fiscale […] la stabile
organizzazione assume una sua autonomia riconosciuta sia dal
diritto interno che da quello convenzionale”; dall’affermazione
di tale principio consegue sia l’applicabilità della disciplina
dei prezzi di trasferimento ai rapporti tra casa madre e
stabile organizzazione, sia la possibilità che l’attribuzione
di liquidità fatta dalla casa madre a favore della sua stabile
organizzazione italiana possa essere qualificata come
l’attribuzione di capitale a titolo di mutuo e, quindi, fonte
di interessi passivi.
Con risoluzione n. 44 del 30 marzo 2006, l’Agenzia è
intervenuta nuovamente sulla questione a chiarimento
di quanto sostenuto nella succitata circolare. L’Agenzia
avvia la propria analisi riportando il principio secondo cui
la stabile organizzazione, pur essendo giuridicamente una
mera diramazione amministrativa della casa madre, dal
punto di vista fiscale, alla luce della normativa tributaria
interna, deve essere considerata come se fosse un’
“entità autonoma e distinta”. Tale diverso approccio, che
contraddistingue il diritto tributario rispetto agli altri
rami del diritto, “è finalizzato a consentire allo Stato in cui la
stabile organizzazione è localizzata di esercitare i propri diritti
impositivi sul reddito prodotto nel proprio territorio”. Infatti,
la sottocapitalizzazione della stabile organizzazione
rispetto alla struttura patrimoniale e all’attività esercitata
può determinare un eccessivo indebitamento e, di
conseguenza, un trasferimento di reddito a beneficio dello
Stato di residenza della casa madre.
In conclusione, la corretta determinazione del reddito
attribuibile alla stabile organizzazione presuppone che
alla stessa sia attribuito un fondo di dotazione che sia
congruo rispetto all’attività esercitata e ai rischi assunti
analogo all’ammontare di capitale di rischio di cui risultano
titolari imprese residenti che svolgono attività analoghe
in condizioni analoghe. Conclude, infine, sancendo il
seguente punto di diritto: “in tale ottica, potranno essere
considerati deducibili, in quanto corrispondenti agli interessi
passivi che un’impresa indipendente avrebbe sostenuto, solo
quelli derivanti da finanziamenti che sarebbero stati accesi se
la stabile organizzazione avesse potuto disporre di un fondo di
dotazione adeguato”.
La risoluzione in questione viene espressamente richiamata
dalla sentenza in commento che ne sposa pienamente
le tesi e le motivazioni, e ne costituisce una prima e - a
quanto mi risulta - unica conferma giurisprudenziale.
A conclusione di questa breve sintesi del quadro normativo
nel quale si colloca la sentenza in commento mi preme
sottolineare che la rilevanza pratica del problema della
determinazione del fondo di dotazione della stabile
organizzazione risulta drasticamente ridimensionata a
seguito delle modifiche apportate dalla Legge finanziaria
per il 2008 (n. 244/2007) alla disciplina della deducibilità
degli interessi passivi. Infatti, dal momento che il soggetto
non residente dotato di una stabile organizzazione nel
territorio italiano è tenuto a redigere un conto economico
rappresentativo della gestione della stessa e che il
nuovo articolo 96 TUIR stabilisce una soglia massima di
deducibilità degli interessi passivi calcolata come quota
percentuale del reddito operativo lordo emergente
da tale scrittura contabile, non sembra possibile per
l’Amministrazione finanziaria sostituire a tale disciplina un
autonomo calcolo del rapporto tra indebitamento e mezzi
propri.
Il problema invece mantiene la sua rilevanza per tutte
quelle stabili organizzazioni che operano, come nel caso in
commento, nel settore bancario. Infatti, i commi 5 e 5-bis
dell’articolo 96 TUIR stabiliscono che le banche e gli altri
soggetti finanziari, in deroga a quanto disposto negli altri
commi dello stesso articolo, possono dedurre dal proprio
reddito il 96% dell’ammontare degli interessi passivi.
10 | n° 7 - Luglio 2011 |
Invero, mentre la regola del 30% del risultato operativo
lordo (di seguito ROL) dovrebbe offrire, quantomeno
nelle intenzioni del legislatore, una forfetizzazione del
fabbisogno fisiologico di liquidità di una società operativa,
la deroga prevista per le banche e le società finanziarie
sembra avere l’unica funzione di sottrarre tali operatori
dall’ambito di applicazione di una norma che è costruita con
riferimento alle caratteristiche delle società “commerciali”.
3. La disciplina convenzionale
e gli orientamenti dell’OCSE
La disciplina convenzionale applicabile al caso in esame
e richiamata dalla sentenza è contenuta nell’articolo
7 paragrafo 2 della Convenzione contro le doppie
imposizioni tra Italia e Regno Unito stipulata il 21
ottobre 1988 e ratificata con la legge del 5 novembre
1990, n. 329, il quale risulta identico al testo dell’articolo
7 paragrafo 2 del Modello di Convenzione dell’OCSE
precedente le modifiche del luglio 2010. In base a
tale articolo, “quando un’impresa di uno Stato contraente
svolge la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo
di una stabile organizzazione ivi situata, in ciascuno Stato
contraente vanno attribuiti a detta stabile organizzazione gli
utili che si ritiene sarebbero stati da essa conseguiti se si fosse
trattato di una impresa distinta e separata svolgente attività
identiche o analoghe in condizioni identiche o analoghe e in
piena indipendenza dall’impresa di cui essa costituisce una
stabile organizzazione”.
L’orientamento dell’OCSE in merito all’applicazione della
disposizione citata al problema della deducibilità degli
interessi passivi relativi ad un finanziamento concesso
dalla casa madre alla sua stabile organizzazione è
contenuta nel Commentario all’articolo 7, così come
modificato da ultimo nel luglio 2010 e nel Report on the
attribution of profits to permanent establishments (di seguito
“Rapporto”) approvato nella sua versione definitiva nel
luglio del 2008 (modificato nel 2010 per adeguarlo alle
modifiche nel frattempo apportate all’articolo 7).
Prima di illustrare le direttive interpretative contenute
nel Commentario è necessario ricordare che nel luglio
del 2010 sono state apportate significative modifiche
allo stesso, in concomitanza con le modifiche apportate
all’articolo 7 del Modello di Convenzione dell’OCSE allo
scopo di allineare quanto ivi previsto alle conclusioni
raggiunte nel Rapporto. A seguito di tali modifiche,
allo stato attuale, il Commentario presenta, dopo il
commento al nuovo testo dell’articolo 7, la versione del
Commentario risultante dopo le modifiche del 2008
che rappresenta la versione di riferimento tutte le volte
in cui il trattato da applicare sia conforme al Modello
di Convenzione antecedente il 2010. Nel seguito farò
pertanto riferimento a tale versione per ricostruire
l’orientamento dell’OCSE.
La scelta di esaminare il pronunciamento dei giudici
milanesi con riferimento alla versione del 2008 del
Commentario mi sembra l’opzione preferibile per una
serie di ragioni. In primo luogo essa riflette l’orientamento
dell’OCSE in merito alla portata delle modifiche del 2008;
si ricorda, infatti, che la versione citata accoglie tutte
quelle conclusioni contenute nel Rapporto che secondo
l’OCSE sono compatibili con il testo dell’articolo 7 ante
2010. Se questo è vero e dal momento che l’articolo 7
paragrafo 2 della Convenzione tra Italia e Regno Unito
del 1988 è conforme all’articolo 7 paragrafo 2 del Modello
di Convenzione dell’OCSE antecedente il 2010, sembra
lecito concludere che le indicazioni del Commentario
2008 forniscano un’interpretazione conforme al testo
della Convenzione da applicare.
Il fatto che le modifiche in questione siano intervenute
dopo il periodo fiscale in relazione al quale era
stata presentata la dichiarazione dei redditi oggetto
dell’accertamento (i. e. 2004) non sembra togliere validità
alla posizione sopra assunta. La questione è affrontata
anche nella sentenza in esame: uno degli argomenti
difensivi del contribuente consisteva nel rilievo secondo
cui la necessità di attribuire un fondo di dotazione alla
stabile organizzazione era stata contemplata per la
prima volta nel Rapporto il quale, tuttavia, nel 2004,
esisteva solo in forma di bozza.
La CTP giustamente rileva che tale obbligo trova
la propria base giuridica nelle norme del TUIR e
nell’articolo 7 della Convenzione citata; in tale ottica,
le indicazioni contenute nel Rapporto non hanno il
rango di norme cogenti, “semmai di supporto scientifico,
di opinione condivisa, di criteri da applicare omogeneamente
nei vari Stati, ma non certamente di norma fiscale, che non
potrebbe trovare applicazione retroattiva”.
Prima di proseguire mi sembra opportuno evidenziare
11
| n° 7 - Luglio 2011 |
che la differenza principale che è possibile desumere dal
raffronto tra il nuovo Commentario e la sua precedente
versione risiede nel diverso grado di indipendenza
riconosciuto alla stabile organizzazione: mentre il
Commentario 2008, pur ispirandosi alle indicazioni del
cosiddetto Authorised OECD Approach contenute nel
Rapporto, riconosce un limitato livello di indipendenza
alla stabile organizzazione, il nuovo articolo 7 e il relativo
Commentario ne accolgono pienamente le implicazioni
e pertanto trattano la stabile organizzazione come se
fosse un’impresa “completamente” autonoma e distinta.
Uno degli aspetti della disciplina della determinazione
del reddito in cui è possibile riscontrare tale diversità di
approccio è dato, appunto, dal tema della deducibilità
degli interessi passivi pagati dalla stabile organizzazione
alla casa madre.
In merito alla deducibilità degli interessi passivi relativi a
finanziamenti interni il Commentario 2008 non si discosta
dalla versione antecedente. Il paragrafo 41 afferma che
deve continuare ad applicarsi, quale regola generale, il
divieto di deducibilità degli interessi pagati dalla stabile
organizzazione in relazione a finanziamenti “interni”, vale
a dire stipulati dalla stabile con la sua casa madre. Tale
divieto soffre di due sole eccezioni: esso non si applica
(i) qualora la stabile organizzazione sia la diramazione
di un’impresa bancaria oppure finanziaria e (ii) qualora
il finanziamento sia stato stipulato dalla casa madre
in parte o esclusivamente nell’interesse della stabile
organizzazione e, pertanto, sia alla stessa - almeno in
parte - “attribuibile” nel senso fatto proprio dall’articolo 7.
In tale ultima circostanza, infatti, la corretta applicazione
della disciplina della determinazione del reddito della
stabile organizzazione pone il problema della corretta
allocazione degli interessi passivi fra le diverse parti della
medesima entità giuridica.
La soluzione proposta dall’OCSE per risolvere il
problema dell’individuazione degli interessi passivi
deducibili da reddito riferibile alla gestione della stabile
organizzazione che si pone nelle due ipotesi suesposte è
illustrata al paragrafo 45 del Commentario; ivi si afferma
che, in forza dell’arm’s length principle - che, si ricorda,
ispira e presiede alla disciplina convenzionale della
determinazione del reddito di cui all’articolo 7 paragrafo
2 - una stabile organizzazione deve essere dotata di
una quantità di capitale proprio che sia sufficiente per
sostenere le funzioni che essa svolge, i beni che le sono
attribuiti e i rischi assunti.
L’attribuzione alla stabile organizzazione di un arm’s
length amount di interessi passivi presuppone quindi
la corretta determinazione del fondo di dotazione ad
essa attribuito alla casa madre. Infatti, solo dopo aver
calcolato l’ammontare di tale fondo è possibile stabilire
il fabbisogno finanziario della stabile organizzazione
in una misura analoga a quella riscontrabile presso
un’impresa comparabile.
I paragrafi successivi, inseriti nel 2008, si concentrano
sui problemi di doppia imposizione derivanti dalla
determinazione dell’ammontare del fondo di dotazione.
In proposito, il Commentario riconosce che, dal
momento che nel Rapporto sono previsti più criteri per
il calcolo del fondo di dotazione, tutti ritenuti idonei al
fine di attribuire alla stabile organizzazione un reddito
conforme all’arm’s length principle, ben può accadere che
le autorità fiscali dei due Stati contraenti pervengano a
diverse quantificazioni a causa dell’applicazione di due
differenti criteri (paragrafo 47). Il successivo paragrafo
48 è dedicato ad illustrare i meccanismi per ovviare alla
doppia imposizione conseguente a tale circostanza.
Poiché la sentenza della CTP di Milano non affronta tali
problemi di doppia imposizione, mi sembra superfluo
rendere conto in questa sede dell’orientamento
dell’OCSE. Mi sembra, invece, opportuno riportare in
estrema sintesi i metodi previsti nella seconda parte
del Rapporto con specifico riguardo al problema della
determinazione del fondo di dotazione delle stabili
organizzazioni di imprese non residenti esercenti
attività bancaria:
• Capital allocation approach: l’ammontare delle
disponibilità finanziarie di capitale proprio che deve
essere attribuito alla stabile organizzazione si calcola
come quota parte del capitale di rischio complessivo
dell’impresa corrispondente alla proporzione tra i
beni e i rischi (assets and risks) attribuiti alla stabile
organizzazione e i beni e i rischi complessivi (paragrafi
99-106).
• Thin capitalization approach: prevede che alla stabile
organizzazione sia attribuito un ammontare di
capitale di rischio pari a quello rinvenibile presso un
soggetto indipendente che sia dotato dei medesimi
beni, assuma i medesimi rischi e operi nelle medesime
condizioni della stabile organizzazione (paragrafi
108-112).
Come si legge nel paragrafo 114, entrambi i metodi
indicati sono ritenuti conformi al cosiddetto Authorised
OECD Approach in quanto idonei a fornire una
quantificazione at arm’s length del fondo di dotazione
della stabile organizzazione. In aggiunta l’OCSE ha
12
| n° 7 - Luglio 2011 |
contemplato la possibilità di applicare, quale safe-harbour
approach, un terzo metodo denominato Quasi-thin
capitalization approach ritenuto tuttavia non compatibile
con l’Authorised OECD Approach. In base a tale ultimo
metodo, alla stabile organizzazione dovrebbe essere
attribuito un fondo di dotazione di ammontare almeno
pari al capitale sociale minimo richiesto ad una banca
residente incaricata del medesimo volume di affari quale
condizione per lo svolgimento dell’attività bancaria (si
vedano i paragrafi 113-116). Il suo utilizzo non sarebbe
in grado di fornire un risultato conforme all’arm’s length
principle perché trascurerebbe talune circostanze
relative alle condizioni di mercato in cui si trova ad
operare la stabile organizzazione di una banca estera
che ne escluderebbero la comparabilità con le banche
residenti. La circostanza più rilevante sarebbe nello
specifico rappresentata dal fatto che il merito creditizio
della stabile organizzazione non sarebbe diverso da
quello della casa madre in quanto solo quest’ultima
sarebbe chiamata a rispondere, in base ai principi di
diritto comune, per le obbligazioni giuridiche assunte
dalla propria stabile organizzazione.
Alla luce di queste considerazioni, l’OCSE ritiene
che i risultati restituiti dall’applicazione del Quasithin capitalization approach possano essere accettati
fintantoché essi non comportino, in concreto,
l’attribuzione alla stabile organizzazione di un reddito
superiore a quello che alla stessa sarebbe stato
attribuito applicando uno degli altri due metodi. In
ogni caso, conclude il paragrafo 115, al contribuente
deve essere concessa la possibilità di dimostrare che
l’ammontare di mezzi propri in concreto necessari alla
stabile organizzazione in rapporto ai rischi assunti, ai
beni posseduti e alle funzioni svolte è inferiore.
4. Osservazioni conclusive
Fatta questa breve ricostruzione della disciplina italiana
e dell’orientamento dell’OCSE in merito al trattamento
fiscale degli interessi passivi pagati da una stabile
organizzazione operante nel settore bancario alla sua
casa madre possiamo formulare alcune conclusioni con
riferimento alle posizioni assunte dai giudici milanesi
nella sentenza in commento.
Il primo aspetto da rilevare è dato dalla circostanza
che l’orientamento accolto dalla CTP, così come quello
conforme espresso dall’Agenzia nella risoluzione n.
44/2006, risultano pienamente aderenti alle indicazioni
del Commentario e del Rapporto con riferimento alla
necessità di determinare l’ammontare del fondo di
dotazione per calcolare correttamente il fabbisogno
finanziario della stabile organizzazione e, quindi,
l’ammontare degli interessi passivi deducibili.
Un altro profilo degno di rilievo e, a prima vista,
critico della sentenza è dato dal metodo adottato
dall’Amministrazione finanziaria e avallato dalla CTP
per il calcolo del fondo di dotazione. Come riportato
in apertura, l’accertamento della DRE aveva previsto
il recupero a tassazione di un ammontare di reddito
imponibile pari agli interessi passivi indebitamente
dedotti in quanto relativi ad un finanziamento erogato
dalla casa madre britannica ad integrazione del fondo
di dotazione della stabile organizzazione. Il presupposto
sul quale si posa tale accertamento è dato dal fatto che,
ai fini fiscali, la stabile organizzazione italiana di una
banca non residente deve risultare assegnataria di un
capitale proprio proporzionato agli affari conseguiti
nel territorio nazionale così come calcolato in base alle
direttive impartite dalla Banca d’Italia nella circolare n.
229/1999 poiché tali direttive consentono di individuare,
“sul piano fiscale, i rischi massimi che un competitor avrebbe
potuto assumere e, quindi, il reddito che avrebbe potuto
conseguire”.
L’Amministrazione finanziaria applica quindi un metodo
di calcolo conforme al Quasi-thin capitalization approach.
Dalla lettura della sentenza non è dato desumere
indicazioni in merito al fatto che le condizioni richieste
dall’OCSE ai fini della sua valida applicazione siano state
rispettate; l’assenza di una decisione nel merito della
compatibilità dell’accertamento con l’Authorised OECD
Approach sembra sia, tuttavia, da attribuire all’assenza di
contestazioni di parte sul punto. In proposito, è possibile
osservare che il Quasi-thin capitalization approach, come
riconosciuto dall’OCSE stessa (cfr. paragrafo 114),
rappresenta il meccanismo amministrativamente più
semplice per procedere al calcolo del fondo di dotazione;
a ben vedere, esso rappresenta addirittura l’unico
metodo esperibile dall’Amministrazione finanziaria in
sede di accertamento nel caso in cui il contribuente
non abbia provveduto autonomamente al calcolo del
medesimo fondo in base ad uno dei due altri metodi come sembra essere avvenuto nel caso esaminato dalla
CTP. Invero, in tale circostanza, non sembra ragionevole
richiedere all’Amministrazione finanziaria la raccolta
dei dati necessari all’applicazione di uno degli altri due
metodi che, per la loro natura, sono accessibili solo al
contribuente; piuttosto, sembra verosimile che ogni
accertamento relativo al fondo di dotazione sia intrapreso
con riferimento ad un ammontare predeterminato del
13
| n° 7 - Luglio 2011 |
fondo già disponibile all’Amministrazione perché esatto
da altri rami dell’ordinamento a fini diversi da quelli
fiscali. In ogni caso, successivamente, al contribuente
dovrà essere concessa la possibilità di discostarsi da tale
quantificazione, tramite la dimostrazione che, in base
alle circostanze rilevanti per l’applicazione del Capital
allocation approach o del Thin capitalization approach,
l’ammontare dei mezzi propri proporzionato alla
struttura patrimoniale e all’attività svolta dalla stabile
organizzazione è, in concreto, inferiore.
Infine, un ultimo punto della sentenza meritevole di
condivisione è dato dal fatto che, come già in precedenza
affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione
n. 44/2006, l’attribuzione di un fondo di dotazione alla
stabile organizzazione può anche essere meramente
“figurativa”; riprendendo le parole della Commissione, “la
questione non è se esista o meno una norma che imponga alle
banche estere che hanno una stabile organizzazione in Italia
un fondo di dotazione pari al patrimonio di vigilanza richiesto
dalla Banca d’Italia […] ma come devono essere trattati gli
interessi passivi dedotti dalla stabile organizzazione, quando
risulti acclarato che - per la mancanza di adeguato fondo
di dotazione e per il conseguente elevato indebitamento l’attività bancaria svolta in Italia è possibile solo grazie ai
capitali erogati dalla casa-madre”.
In altre parole, la stabile organizzazione non costituisce
un autonomo soggetto passivo d’imposta ma un
criterio di localizzazione del reddito che consente di
ripartire la potestà impositiva tra due Stati qualora
un’attività d’impresa sia svolta nel territorio di entrambi
da un medesimo soggetto giuridico, essa non è quindi
“un’impresa distinta e separata” ma deve essere trattata, in
sede di calcolo del reddito imponibile presso lo Stato della
fonte, come se lo fosse. In questo contesto, l’attribuzione
alla stabile organizzazione di un adeguato fondo di
dotazione è solo uno dei gradini che compongono il
meccanismo di determinazione del reddito della stabile
organizzazione; la rilevanza giuridica di tale attribuzione
è limitata al corretto calcolo del reddito imponibile e
non deve necessariamente riflettere un’attribuzione
patrimonialistica.
Per maggiori informazioni:
Elenco delle fonti fotografiche:
Agenzia delle Entrate;
Risoluzione n. 44 del 30 marzo 2006, in:
http://www.corriereinformazione.it/images/stories/sentenza.jpg
[20.07.2011]
http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/daf67600426e08b783609bc065cef0e8/RISOLUZIONE_44.pdf?
MOD=AJPERES&CACHEID=daf67600426e08b783609b
c065cef0e8
[20.07.2011]
Ministero delle finanze; Circolare n. 32 del 22 settembre
1980, in:
http://def.finanze.it/DocTribFrontend/getPrassiDetail.
do?id={41F1271E-D6D1-46E9-BBD7-62F7E021BE9B}
[20.07.2011]
OCSE; Report on the Attribution of Profits to Permanent
Establishments, 22 luglio 2010, in:
http://www.oecd.org/dataoecd/23/41/45689524.pdf
[20.07.2011]
OCSE; The 2008 Update to the OECD Model Tax
Convention, 18 luglio 2008, in:
http://www.oecd.org/dataoecd/20/34/41032078.pdf
[20.07.2011]
OCSE; The 2010 Update to the OECD Model Tax
Convention, 22 luglio 2010, in:
http://www.oecd.org/dataoecd/23/43/45689328.pdf
[20.07.2011]
Gabriele Colombaioni
Dottore in Scienze giuridiche
http://toptourismdestination.com/wp-content/uploads/2011/02/London_Skyline_At_Evening_London_England_3.jpg
[20.07.2011]
http://www.atuttovolume.org/joomla/images/stories/
old-books.jpg
[20.07.2011]
http://www.crossed-flag-pins.com/Friendship-Pins/
Italy/Flag-Pins-Italy-England.jpg
[20.07.2011]
Il regime fiscale di attrazione europea:
una disciplina in fase di attuazione
L’ingegnoso meccanismo giuridico per attrarre capitali esteri in Italia è compatibile con il regime degli aiuti di
Stato e con la regolamentazione del mercato interno dell’UE?
1. Introduzione
Il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, così come
emendato dalla Legge di conversione del 30 luglio
2010, n. 122 (cosiddetta “Manovra correttiva 2010”), ha
introdotto, all’articolo 41[1] il cosiddetto regime fiscale
di attrazione europea, il quale prevede per le imprese
residenti in uno Stato membro dell’UE diverso dall’Italia,
che danno vita a nuove attività economiche in Italia,
l’opportunità di poter scegliere, per un periodo di tre
anni, la disciplina fiscale di uno dei 27 Stati membri
dell’UE, in alternativa a quella nazionale.
Sebbene tale fenomeno di “shopping fiscale” era stato
già analizzato in occasione della promulgazione del
suddetto decreto legge[2], risulta opportuno prendere in
considerazione nuovamente la tematica dell’attrazione
europea alla luce della bozza del decreto attuativo
pubblicato, in data 6 aprile 2011, sul sito del Ministero
dell’economia e delle finanze. Si tratta di atto provvisorio
di natura non regolamentare, suddiviso in 9 articoli,
aperto ad ogni forma di suggerimento o modifica, che
ha come fine quello di specificare e, quindi, chiarire, i
presupposti e gli effetti del regime di attrazione di
investimenti esteri in Italia.
2. Le caratteristiche del decreto
Le imprese, nonché le persone fisiche o qualsiasi ente
considerato persona giuridica ai fini dell’imposizione,
svolgenti un’effettiva attività di impresa ai sensi della
normativa tributaria dello Stato membro dell’UE di
appartenenza, potranno intraprendere nuove attività
economiche in Italia, optando, in alternativa alla
normativa tributaria italiana delle imposte sui redditi,
per le regole di determinazione della base imponibile e
le aliquote di imposta di uno dei Paesi membri dell’UE.
15
| n° 7 - Luglio 2011 |
Dal punto di vista soggettivo il decreto chiarisce che il
concetto di residenza dovrà essere riferito alla nozione
della stessa recata dalla specifica Convenzione per
evitare le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con lo
Stato membro di residenza dei soggetti che usufruiranno
di tale agevolazione (articolo 1, comma 3 del decreto).
Lo speciale regime impositivo, valido per il periodo
d’imposta in cui sarà presentata l’apposita istanza e per i
due successivi, riguarderà tutti i soggetti sopra menzionati,
residenti da almeno 24 mesi in uno Stato membro dell’UE
che, successivamente all’entrata in vigore del decreto
in questione, daranno vita a nuove realtà economiche
mediante il trasferimento della residenza fiscale o
attraverso la costituzione di una stabile organizzazione
e/o di una società direttamente controllata o collegata,
ai sensi dell’articolo 2359 del Codice civile. Ciò avrà
l’inevitabile conseguenza che, a partire dal quarto periodo
d’imposta, quindi, al momento dello spirare del triennio
di agevolazione, si renderanno applicabili, ai fini della
determinazione della base imponibile e della relativa
aliquota di imposizione, le disposizioni della normativa
tributaria statale italiana. A tal fine i valori patrimoniali e
reddituali di partenza dell’azienda si assumeranno negli
importi risultanti dalla normativa fiscale estera applicata
nel precedente periodo di favore.
Si deve sottolineare che non potranno essere considerate
nuove attività economiche quelle già svolte in Italia e
acquisite direttamente dai soggetti esteri attraverso
l’acquisto di partecipazioni o operazioni straordinarie,
anche per il tramite di società controllate o collegate
(articolo 2, comma 4 del decreto).
La particolarità della disciplina in esame è che i soggetti
interessati potranno scegliere il regime impositivo di uno
degli Stati membri dell’UE e non, necessariamente, quello
del proprio Stato di appartenenza. Questo permetterà di
adottare il sistema tributario più favorevole alle proprie
attività imprenditoriali.
economica, le acquisizioni di aziende o rami di di azienda
nel territorio dello Stato comporteranno l’interruzione
tout court del regime agevolativo.
Si evidenzia che, proprio per garantire un effettivo
radicamento della nuova attività economica estera in
Italia, troveranno applicazione le disposizioni in materia
di liquidazione, accertamento, sostituzione d’imposta,
dichiarazioni, riscossione e contenzioso previste per le
imposte sui redditi vigenti nell’ordinamento domestico.
A ciò si aggiunga che nel primo periodo di imposta
successivo alla scadenza o all’interruzione dell’accordo gli
acconti da versare saranno calcolati - ove venga utilizzato
il criterio storico - assumendo come imposta del periodo
precedente quella che si sarebbe determinata applicando
la normativa fiscale italiana.
3. I punti critici della disciplina
Per poter usufruire di questa particolare regolamentazione
si dovrà presentare, entro 30 giorni dalla data del
trasferimento della residenza fiscale o della costituzione
della stabile organizzazione o della società controllata
o collegata, un’apposita istanza di interpello[3] al
competente Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate,
al fine di dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti
richiesti dalla suddetta normativa. In particolar modo,
si dovrà dare prova dell’effettiva operatività dell’attività,
o meglio, si dovrà presentare adeguata e copiosa
documentazione che attesti che l’impresa estera non
rappresenti una costruzione di puro artificio.
La scelta del regime impositivo è irrevocabile dal
momento della presentazione dell’istanza e vincola i
soggetti che hanno presentato la richiesta per il periodo
di agevolazione supra menzionato.
Si sottolinea che con la suddetta domanda si potrà
ottenere l’estensione del regime tributario prescelto
anche per i dipendenti e i collaboratori assunti in
Italia presso il soggetto estero che abbia trasferito la
residenza fiscale o presso la stabile organizzazione o la
società partecipata, salvo la possibilità per gli stessi di
optare per l’applicazione della normativa fiscale italiana.
Naturalmente l’estensione del regime a dipendenti o
collaboratori resta valida fino al periodo d’imposta in
cui terminerà o si interromperà il regime per il datore di
lavoro (articolo 8 del decreto).
Il decreto, inoltre, contempla anche il problema
dell’interruzione del regime agevolativo. Difatti, all’articolo
6 del suddetto provvedimento non regolamentare, si
chiarisce che qualora i requisiti richiesti per la fruizione
dell’agevolazione vengano meno nel corso del triennio, il
regime impositivo prescelto non sarà più valido a partire
dal periodo d’imposta in cui si paleseranno le modifiche
dei presupposti applicativi. Ciò avrà come immediata
conseguenza l’applicazione della disciplina tributaria
italiana.
Si specifica, inoltre che, nell’ambito della nuova attività
16
| n° 7 - Luglio 2011 |
Sebbene il regime fiscale di attrazione europea sia una
misura innovativa nel panorama dell’UE, lo stesso, però,
presta il fianco ad una serie di spunti critici che non
possono essere trascurati.
In primis, se da un lato il decreto ha chiarito alcuni
dubbi nati in sede di decreto legge come quello della
residenza, del significato da attribuire alle locuzioni
“nuova attività economica” e “normativa tributaria vigente
in uno degli Stati membri dell’Unione europea”, dall’altro
non sono stati presi in considerazione i risvolti pratici
della suddetta disciplina, come quello dell’effettività
dei controlli e degli accertamenti tributari, e le relative
conseguenze. Nonostante, si affermi che, per tali
questioni, si dovrà prendere in considerazione la
disciplina italiana, sarà necessario analizzare l’effettività
della richiamata normativa interna nel momento in cui
vi sarà il confronto con fattispecie ispirate a legislazioni
estere. Difatti, con riferimento agli obblighi dichiarativi,
si dovranno predisporre appositi format, uno per ogni
Stato membro dell’UE.
A ciò si aggiunga che anche la fase dell’accertamento e
del successivo ed eventuale contenzioso sarà coinvolta
dalla nuova disciplina. I funzionari dell’Amministrazione
finanziaria nonché gli organi della Giustizia tributaria
dovranno “cimentarsi” con legislazioni estere che molto
spesso sono caratterizzate da logiche e principi diversi
da quelli del sistema tributario italiano. Ciò potrebbe
comportare non solo errori nella fase di accertamento
ma anche e soprattutto un concreto rallentamento
dell’iter giurisdizionale in quanto i collegi giudicanti,
a qualunque livello, dovranno utilizzare norme e
disposizioni nazionali per realtà che saranno ancorate a
logiche sovranazionali, dando vita a palesi incongruenze.
Ulteriori problemi nascono nel momento in cui dal piano
nazionale si passa a quello europeo. Difatti, valutando
il regime fiscale di attrazione europea alla luce della
normativa degli aiuti di Stato, disciplinata nel Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito
TFUE) è possibile ravvisare molteplici profili di criticità.
L’articolo 107 TFUE stabilisce che “a livello europeo risultano
incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui
incidono sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli
Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma
che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o
minaccino di falsare la concorrenza”.
Com’è possibile notare, l’incompatibilità delle misure
nazionali, anche a carattere fiscale, si fonda sull’esistenza
congiunta di quattro circostanze fondamentali:
1. si deve appurare la concessione di un vantaggio diretto
o indiretto alle imprese;
2. il vantaggio deve provenire da risorse statali o
concretizzarsi in eventuali esoneri o agevolazioni
tributarie[4];
3. il beneficio deve essere idoneo, in atto o in potenza, a
falsare e ad incidere sugli scambi tra Stati membri;
4.il vantaggio deve essere selettivo, cioè concesso solo a
talune imprese o specifiche produzioni.
Analizzando la disciplina dell’attrazione fiscale europea
e le relative conseguenze pratiche, è possibile sostenere
che la regolamentazione agevolativa italiana integri
i requisiti previsti dall’ordinamento europeo in tema di
aiuti di Stato.
Con riferimento alla concessione di un vantaggio
diretto o indiretto, la possibilità offerta alle imprese
europee di scegliere una qualunque disciplina fiscale
dei Paesi membri dell’UE, alternativa a quella italiana,
permetterà alle aziende di prendere in considerazione un
vantaggio fiscale, come una minore aliquota, garantito
da altri regimi impositivi. Difatti è giocoforza pensare
che un’impresa opti per un sistema tributario che non sia
quello italiano solo ed esclusivamente per ottenere un
risparmio d’imposta: difatti “sfruttando” la legge italiana,
viene garantito un vantaggio tutt’altro che indiretto od
implicito.
A questo si lega una conseguenza inevitabile. Nel
momento in cui verrà scelta una disciplina fiscale che
permetta un risparmio di imposta considerevole, ciò
si tramuterà, almeno per il triennio agevolativo, in un
processo di sottrazione di base imponibile e, quindi, in
un minor gettito erariale conseguito dallo Stato. Ecco
quindi ravvisare quella situazione di esonero tributario
che consiste in una rinuncia ad un introito economico,
paragonabile ad un materiale trasferimento di risorse
finanziarie.
Inoltre, il vantaggio ottenuto dalle imprese europee avrà
come ulteriore conseguenza la concreta possibilità di
inficiare la concorrenza e gli scambi degli Stati membri
dell’UE. Difatti i vantaggi competitivi che la scelta di
un regime nazionale, alternativo a quello italiano, può
garantire alle imprese europee rispetto a quelle italiane,
operanti in contesti internazionali, o rispetto a quelle
imprese che operano in altri Stati membri dell’UE,
differenti dall’Italia, ma che sono soggette ad un livello
di tassazione simile a quello cui sono ordinariamente
17
| n° 7 - Luglio 2011 |
soggette le imprese italiane, costituiscono un vero e
proprio ostacolo alla concorrenza, soprattutto in base al
concetto di mercato unico europeo dove i singoli mercati
nazionali si fondono in uno solo[5]. Così facendo, si va
ad intaccare l’essenza del mercato dell’UE, inteso come il
luogo d’incontro tra domande ed offerta, in cui le imprese,
poste sullo stesso piano, producendo medesimi beni o
servizi, soddisfano le esigenze della Comunità. Ma ciò
difficilmente potrà accadere in quanto, proprio la minor
leva fiscale, che dovrebbe caratterizzare, inizialmente,
l’attività delle imprese europee rispetto a quelle nazionali,
falserà la concorrenza e quindi i rapporti economici fra gli
Stati membri dell’UE.
Infine, il criterio della selettività è integrato proprio
nella condizione soggettiva richiesta dal decreto: infatti
potranno accedere al regime di attrazione solo società
europee, e non italiane, che avviano una nuova attività
in Italia.
Alla luce di quanto supra affermato, è possibile sostenere
che, essendo il regime fiscale di attrazione europea una
disciplina border-line, caratterizzata da punti di presunta
illegittimità, una volta entrata in vigore, non si esclude
un possibile intervento da parte della Commissione
europea, volta ad accertare la conformità della disciplina
in questione con il sistema europeo in quanto sembra
avere tutte le caratteristiche proprie di un regime di aiuti
di Stato.
A tal proposito, la risposta dell’organo esecutivo dell’UE
sarà molto importante anche per valutare se possa
sussistere la possibilità di poter proporre, nei confronti
dell’Italia, un ricorso per infrazione per violazione del
principio di leale cooperazione (articoli 258 e 260 TFUE).
Difatti quest’ultimo prevede un divieto assoluto, per
gli apparati statali, di porre in essere atti che vadano a
compromettere la realizzazione di obiettivi comunitari.
L’Italia, con tale disciplina, sembra proprio aver violato
tale obbligo in quanto il regime fiscale dell’attrazione
europea si porrebbe come un ostacolo concreto al
raggiungimento del mercato interno dell’UE che è non
solo un obiettivo dell’UE ma anche uno strumento per
garantire la realizzazione di un sistema di concorrenza
perfetta.
4. Considerazioni conclusive
La disciplina dell’attrazione europea, allo stato dell’arte,
rappresenta un ingegnoso meccanismo giuridico per
attrarre capitali esteri in Italia. Dando la possibilità agli
investitori non nazionali di rimanere vincolati al regime
fiscale dello Stato di appartenenza o, addirittura, di
scegliere quello più vantaggioso a livello europeo, si
favorirà la creazione di un canale preferenziale per le
imprese estere che potranno “alleggerire”, almeno
temporaneamente, la pressione fiscale italiana
attraverso una legge emanata dallo stesso Parlamento
italiano.
L’esercizio dell’opzione da parte dell’impresa estera
comporta un duplice vantaggio per la stessa:
• la possibilità di poter applicare regole fiscali già
conosciute alla nuova iniziativa produttiva, ponendosi
al riparo da possibili modifiche legislative nazionali che
potrebbero o aumentare le aliquote di imposizione o
ampliare la base imponibile, con il rischio di
destabilizzare l’impresa in fase di start-up;
• l’opportunità di poter elaborare un vantaggioso
tax planning per l’impresa e per i relativi dipendenti e
collaboratori, con l’obiettivo di dar vita ad un business
solido sia a livello italiano che internazionale.
Nonostante ciò la norma, come ampiamente illustrato,
presenta diversi aspetti critici che si manifestano sia sul
piano pratico che su quello giuridico. Orbene, se i problemi
di compliance potrebbero essere arginati attraverso una
modifica del sistema che si pone a fondamento della
fase dichiarativa dei redditi, quindi con appositi modelli
di denuncia dei redditi e un aggiornamento dei sistemi
informatici della Pubblica amministrazione, i problemi
relativi alla fase di accertamento e di contenzioso saranno
di più difficile soluzione.
18
| n° 7 - Luglio 2011 |
Difatti,
tutto
l’organigramma
della
Pubblica
amministrazione dovrà letteralmente cimentarsi
su i diversi sistemi fiscali degli Stati membri dell’UE,
comprendere le logiche sottostanti ed essere in grado di
far rispettare le normative sovranazionali, complicando
di non poco il sistema fiscale italiano già di per sé molto
articolato e complesso.
Inoltre anche la realtà del mondo professionale sarà
coinvolta: i professionisti dovranno destreggiarsi non
solo con il diritto tributario italiano ma anche con altri
26 sistemi fiscali, situazione che ad oggi sembra ardua da
fronteggiare, già dalla fase di semplice comprensione e
traduzione linguistica delle diverse normative tributarie.
Da un punto di vista giuridico, i problemi legati al possibile
riconoscimento da parte della Commissione europea
della creazione di un regime di aiuti di Stato per le
imprese non italiane rendono particolarmente pericolosa
la normativa dell’attrazione europea, soprattutto per i
risvolti negativi che potrebbero verificarsi sia per quanto
riguarda la distorsione del mercato nazionale e di quello
interno dell’UE, nonché per le possibili misure che
potrebbero essere adottate qualora venisse attribuita
all’Italia una condotta in contrasto con il diritto europeo.
Alla luce di quanto affermato è possibile sostenere che
l’obiettivo ultimo della disciplina mal si concilia con gli
strumenti previsti per la relativa realizzazione. Sebbene
il regime di favore potrebbe avere grande successo
nel mondo imprenditoriale, sarà necessario verificare
l’applicazione pratica di tale sistema e vedere se le
problematiche poc’anzi descritte si manifesteranno, ma
soprattutto quale sarà la valutazione dell’agevolazione
sul piano comunitario e la compatibilità con il regime
degli aiuti di Stato e con la regolamentazione del mercato
interno.
Per maggiori informazioni:
Ballancin Andrea; Lo shopping italiano delle regole
fiscali, Novità fiscali, luglio 2010, pagina 18 e seguenti,
in:
http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/
NovitaFiscali_luglio.pdf
[20.07.2011]
Ministero dell’Economia e delle Finanze; Regime fiscale
di attrazione europea, Bozza del decreto attuativo, 6
aprile 2011, in:
http://www.mef.gov.it/primo-piano/primo-piano.
asp?ppid=26642
[20.07.2011]
Elenco delle fonti fotografiche:
http://ec.europa.eu/avservices/photo/photoDetails.cfm?s
itelang=en&ref=P-013967/00-03
[20.07.2011]
http://ec.europa.eu/avservices/photo/photoDetails.cfm?s
itelang=en&ref=P-019077/00-02
[20.07.2011]
http://www.oipamagazine.eu/public/immagini/
foto/2273.jpg
[20.07.2011]
Andrea Ballancin
Professore a contratto
di Diritto Tributario presso
l’Università degli Studi
del Piemonte Orientale
Note: 1) La disposizione stabilisce che “Alle imprese
residenti in uno Stato membro dell’Unione europea
diverso dall’Italia che intraprendono in Italia nuove attività
economiche, nonché ai loro dipendenti e collaboratori - per
un periodo di tre anni - si può applicare, in alternativa alla
normativa tributaria statale italiana, la normativa tributaria
statale vigente in uno degli Stati membri dell’Unione
europea”. 2) Cfr. Ballancin Andrea; Lo shopping italiano
delle regole fiscali, in: Novità fiscali, luglio 2010, pagina
18 e seguenti. 3) Il suddetto interpello dovrà essere
presentato secondo la procedura di cui all’articolo
8 del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003,
convertito, con modificazioni dalla Legge n. 326 del
24 novembre 2003. Trattasi di ruling internazionale
per il quale è previsto che “[…] 1. Le imprese con attività
internazionale hanno accesso ad una procedura di ruling
di standard internazionale, con principale riferimento ai
prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle
royalties. 2. La procedura si conclude con la stipulazione
di un accordo, tra il competente ufficio dell’Agenzia delle
Entrate e il contribuente, e vincola per il periodo d’imposta
nel corso del quale l’accordo è stipulato e per i due periodi
d’imposta successivi, salvo che intervengano mutamenti
nelle circostanze di fatto o di diritto rilevanti al fine delle
predette metodologie e risultati dall’accordo sottoscritto
dai contribuenti. 3. In base alla normativa comunitaria,
l’amministrazione finanziaria invia copia dell’accordo
all’autorità fiscale competente degli Stati di residenza
o di stabilimento delle imprese con i quali i contribuenti
pongono in essere le relative operazioni. 4. Per i periodi
d’imposta di cui al comma 2, l’Amministrazione finanziaria
esercita i poteri di cui agli articoli 32 e seguenti del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
600, soltanto in relazione a questioni diverse da quelle
oggetto dell’accordo. 5. La richiesta di ruling è presentata
al competente ufficio, di Milano o di Roma, della Agenzia
delle Entrate secondo quanto stabilito con provvedimento
del direttore della medesima Agenzia. 6. Le disposizioni
del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in
vigore del presente decreto. 7. Agli oneri derivati dal presente
articolo, ammontati a 5 milioni di euro a decorre dal 2004,
si provvede a valere sulle maggiori entrate derivanti dal
presente decreto”. 4) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 15
marzo 1994, Banco Exterior de Espana, C-387/92, in:
Racc. I-977; ordinanza 25 marzo 1998, FFSA, C-174/97,
in: Racc. I-1303. 5) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 5
maggio 1982, Schul, C-15/81, in: Racc. I-1409.
Diritto tributario internazionale e dell’UE
La politica dell’Italia in materia di scambio di informazioni:
recenti sviluppi
Esame del Peer Review Report dell’OCSE e dei recenti accordi conclusi con alcuni Stati
contenenti lo standard dell’OCSE in materia di trasparenza fiscale
1. Introduzione
La recente pubblicazione
del Peer Review Report
relativo all’Italia a cura del
Global Forum on Taxation
(ribattezzato, a seguito
del meeting tenutosi a
Città del Messico nel
2009, Global Forum on
Transparency and Exchange
of Information for Tax
Purposes;
di
seguito
Global Forum), nonché
la recente conclusione
di accordi conformi allo
standard
internazionale
con Stati già considerati
non cooperativi, rendono opportuna e attuale una
panoramica dello stato dell’arte con riferimento ai più
recenti sviluppi della politica dell’Italia in materia di
cooperazione amministrativa in materia fiscale.
2.
L’aderenza agli standards OCSE in materia di
scambio di informazioni da parte dell’Italia: le
risultanze del recente Peer Review Report a cura
del Global Forum
L’Italia, in quanto Stato membro dell’OCSE ha partecipato
fin dal principio alle attività del Global Forum. Tra le più
recenti iniziative promosse all’interno del predetto Global
Forum quella più significativa è l’opera di cosiddetta
“peer review” da esso avviata, volta a monitorare come
e in che misura gli Stati e territori partecipanti al Global
Forum (nonché altri Stati e territori i quali, ancorché non
membri, desiderino sottoporsi a tale verifica) si attengano
al cosiddetto “standard internazionale in materia di
scambio di informazioni” esemplificato, ancorché con una
qualche approssimazione, dall’ultima versione dell’articolo
26 del Modello OCSE e dal Model Agreement on Exchange
of Information on Tax Matters OCSE (di seguito Model
Agreement) del 2002.
A seguito della verifica di peer review alla quale si è
sottoposta, l’Italia risulta avere conseguito risultati più
che soddisfacenti, suffraganti la sua piena adesione
allo standard internazionale in materia di trasparenza e
scambio di informazioni. I principali appunti mossi all’Italia
in tale sede, da inquadrarsi in un contesto comunque
pienamente positivo, hanno fatto leva sulla lentezza con
la quale l’Italia ratifica gli accordi internazionali[1] e la
20 | n° 7 - Luglio 2011 |
difficoltà con la quale l’Italia adempie a richieste di scambio
informativo entro il termine, individuato quale best practice
dal Global Forum, di novanta giorni dalla formulazione della
richiesta[2].
3.
L’applicazione dello standard internazionale in
materia di scambio di informazioni e l’ampliamento/
revisione del treaty network dell’Italia: i recenti
sviluppi
L’Italia risulta ad oggi avere ratificato ottantacinque
accordi bilaterali contenenti clausole atte a consentire lo
scambio di informazioni ed esplicanti effetti nei confronti
di novantuno Stati e territori[3].
Tutti gli accordi predetti si qualificano come convenzioni
contro le doppie imposizioni. Per altro verso, vero e
proprio primum per l’Italia, si registrano negoziati in
fase avanzata aventi ad oggetto la conclusione di
Tax Information Exchange Agreement (di seguito TIEA).
Quest’ultimo strumento giuridico, ad oggi non preso in
considerazione dall’Italia, si è reso necessario al fine di
garantire un’applicazione dello standard internazionale
di scambio di informazioni anche nei confronti di Stati o
territori privi di significativi legami economici con l’Italia
e nei confronti dei quali la conclusione di convenzioni
contro le doppie imposizioni non appare giustificata
alla luce di concrete possibilità di doppia imposizione
internazionale. In particolare, ancorché nessun TIEA sia
stato concluso dall’Italia, consta dal relativo Peer Review
Report che due accordi siano prossimi alla conclusione
e altri otto accordi siano in fase di parafatura[4]. È stato
inoltre divulgato che l’Italia ha avviato negoziati per
la conclusione di TIEA, con le Isole del Canale Jersey e
Guernsey, l’Isola di Man e il Brunei. Risulta inoltre che tutti
gli accordi in oggetto sono informati al Model Agreement
OCSE[5].
Rispetto alle attività di conclusione di nuovi accordi
(convenzioni contro le doppie imposizioni e TIEA),
le energie dell’Italia si stanno tuttavia attualmente
concentrando sulla “ristrutturazione” del proprio treaty
network, così da assicurare una piena adesione allo
standard internazionale di tutte le clausole in materia di
scambio informativo ivi reperibili.
Detto indirizzo in materia di treaty policy conosce
tuttavia alcune eccezioni, quali, in particolare, la
recente conclusione di una convenzione contro le
doppie imposizioni con Panama[6]. L’articolo 25 della
Convenzione con Panama, disposizione governante
lo scambio di informazioni, presenta un dettato
sostanzialmente conforme all’articolo 26 del Modello
OCSE; al contempo, il Protocollo ad essa relativo
incorpora alcune previsioni proprie del Model Agreement
OCSE nella misura in cui vengono fornite indicazioni
circa i requisiti che una richiesta di assistenza debba
presentare; tali requisiti sono in larga parte analoghi
a quelli previsti dal quinto paragrafo dell’articolo 5 del
citato Model Agreement, salvo che per l’illustrazione delle
ragioni per le quali si ritiene che l’informazione richiesta
sia a disposizione delle autorità fiscali adite o da essa
acquisibile e, dall’altro lato, per l’esigenza di indicare il
periodo di imposta con riferimento al quale si richiedono
le informazioni.
Inoltre, il medesimo Protocollo, alla lettera d esclude
esplicitamente lo scambio di informazioni automatico.
Detta forma di assistenza amministrativa non rientra, per
stessa ammissione del Global Forum, tra le determinanti
dello standard internazionale in materia di scambio di
informazioni e, ancorché contemplato in via ipotetica dal
Commentario OCSE all’articolo 26, non risulta prescritto
come obbligatorio[7], tant’è che viene solitamente
praticato[8] sulla base di strumenti giuridici diversi dalle
convenzioni contro le doppie imposizioni[9]. Il protocollo
alla Convenzione con Panama reca altresì una clausola
che parrebbe apparentemente incorporare nel dato
pattizio un indiretto[10] divieto di porre in essere “fishing
expedition” così come recato dal primo paragrafo del
Commentario OCSE all’articolo 26, nonché l’esplicita
previsione del principio di sussidiarietà, in base al quale
la possibilità di formulare una richiesta di assistenza è
condizionata al preventivo esperimento delle modalità di
acquisizione delle informazioni contemplate dalle norme
procedurali interne dell’ordinamento dello Stato rogante.
Vengono inoltre fatte salve le garanzie procedurali a
favore del contribuente recate dal diritto interno dello
Stato rogato.
A tal proposito giova rilevare come, allo stato attuale,
degli ottantacinque trattati attualmente applicabili, solo
due, i trattati conclusi con Malta e Cipro, contemplano
una disposizione in materia di scambio informativo del
tutto aderente alla più recente versione dell’articolo 26 del
Modello OCSE, ossia recanti un riferimento allo scambio
di informazioni avente ad oggetto le informazioni
“prevedibilmente rilevanti” ai fini dell’applicazione del
diritto interno dello Stato rogante e includenti un’esplicita
esclusione dalle cause di diniego dello scambio di
informazioni della tutela del segreto bancario. Tuttavia,
nella maggior parte dei casi, una revisione delle clausole
pattizie non si renderebbe particolarmente urgente
alla luce della considerazione che conclusioni analoghe
possono essere raggiunte per via interpretativa (per
mezzo di “ambulatory interpretation”), nella misura in cui
l’altro Stato contraente sia uno Stato membro dell’OCSE
e non presenti norme interne ostanti ad una piena
applicazione dello standard. Infatti, per stessa previsione
21
| n° 7 - Luglio 2011 |
del Commentario OCSE all’articolo 26, la nozione di
informazioni “prevedibilmente rilevanti” non deve
comunque intendersi quale standard ulteriore rispetto a
quella di “informazioni necessarie”[11]. Allo stesso modo,
il Commentario OCSE all’articolo 26 del Modello OCSE
chiarisce che il relativo quinto paragrafo introdotto
nel 2005 non deve far concludere che lo scambio di
informazioni bancarie fosse da intendersi precluso sulla
base di precedenti versioni della citata disposizione
modello[12].
Le problematiche principali si pongono per contro per
quegli Stati e territori con i quali sono in vigore clausole
in materia di scambio di informazioni che divergono di
molto dal più recente standard OCSE (ad esempio, poiché
recanti una “narrow exchange of information clause”, per la
quale lo scambio di informazioni è unicamente finalizzato
all’applicazione delle disposizioni convenzionali) o che
siano state concluse con Stati per i quali l’adesione
agli standard internazionali si sia rilevata ad oggi in
qualche modo problematica. Rientrano in tale novero,
segnatamente, le Convenzioni con l’Austria, il Belgio, il
Brasile, il Lussemburgo, la Malesia, Mauritius, Singapore
e la Svizzera.
In questo frangente si possono tuttavia segnalare alcuni
sviluppi. Si può in particolare menzionare l’apposizione di
protocolli alle convenzioni contro le doppie imposizioni
già stipulate con Mauritius e Singapore.
Sia il Protocollo concluso con Singapore, siglato il 24
maggio 2011 e non ancora in vigore sia il Protocollo
concluso con Mauritius il 9 dicembre 2010, parimenti non
ancora in vigore, sostituiscono le relative disposizioni
in materia di scambio di informazioni con disposizioni
pattizie del tutto aderenti al dettato dell’articolo 26 del
Modello OCSE. In assenza di ulteriori specificazioni,
non risulterebbe quindi in questo caso a priori esclusa
la possibilità di scambiare informazioni su base
automatica, così come consentito dal Commentario
OCSE all’articolo 26. Affinché tuttavia detta procedura
di cooperazione possa essere effettivamente espletata,
parrebbe tuttavia rendersi quantomeno necessario un
accordo amministrativo tra le Autorità fiscali dell’Italia
e dei due Stati summenzionati. Giova a tal proposito
rilevare che, mentre sulla base del Peer Review Report di
Mauritius, detto Stato risulta aver già avviato la pratica
dello scambio di informazioni automatico con alcuni
treaty partner[13], non sussistono analoghi riscontri con
riferimento a Singapore.
Per maggiori informazioni:
In conclusione al presente contributo, si segnala che tra
le negoziazioni avviate con Stati limitrofi che risultano
al momento essere in una fase di stasi, potrebbero
emergere sviluppi circa i rapporti con San Marino. Infatti,
nella Repubblica del Titano, in data 30 giugno 2011, è stato
approvato dalla Commissione Consiliare Permanente
Finanze, Bilancio e Programmazione costituita in seno al
Consiglio Grande e Generale un progetto di legge volto
a colmare alcune delle lacune già evidenziate nella sede
del Peer Review Report a cura del Global Forum avente ad
oggetto San Marino, così da assicurare la piena aderenza
del contesto normativo di detto Stato agli standard
internazionali in materia di trasparenza e scambio di
informazioni. In via ulteriore, il progetto di legge porrebbe
le basi per consentire all’Autorità fiscale sanmarinese di
porre in essere lo scambio di informazioni automatico
a partire dal periodo di imposta cominciato il 1. gennaio
2011. Inoltre, si verrebbe a costituire una base giuridica
per poter scambiare informazioni in ottemperanza agli
standard internazionali e con riferimento al periodo di
imposta cominciato il 1. gennaio 2011 e successivi con
quegli Stati con i quali siano state almeno parafate
convenzioni contro le doppie imposizioni ovvero accordi
in materia di scambio di informazioni. Tale precisazione,
recata dall’articolo 2 del Progetto di Legge sarebbe tale
da sortire effetti immediati nei confronti dell’Italia, Stato
con il quale San Marino aveva concluso nel 2002 una
convenzione contro le doppie imposizioni, non conforme
agli standard internazionali per quanto riguarda la
cooperazione amministrativa e che costituisce oggi, di
per sé, lettera morta, dal momento che l’Italia non intende
ratificarla. Tuttavia, detto accordo potrebbe, attenendosi
ad un’interpretazione letterale del provvedimento in fase
di approvazione, costituire presupposto per l’applicazione
del citato articolo 2 del medesimo. Inoltre, l’adozione
del provvedimento in commento potrebbe integrare la
condizione necessaria posta dall’Italia all’avvio di nuovi
negoziati per la conclusione di una convenzione contro
le doppie imposizioni con San Marino.
http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/
cartolina_segreto_bancario.pdf
[20.07.2011]
22 | n° 7 - Luglio 2011 |
Garbarino Carlo/Turina Alessandro; L’Accordo sullo
scambio di informazioni fiscali elaborato dall’OCSE,
in: Vorpe Samuele (a cura di), Il segreto bancario nello
scambio di informazioni fiscali, SUPSI, Manno 2011, pagine 55-84:
Martino Enrico; The Future of International Tax Cooperation
in a Barrier Free Market: Recent Developments Regarding
Italian Tax Treaties, in:
Bulletin for International Taxation VIII - 2010
pagina 437 e seguenti
OCSE; Global Forum on Transparency and Exchange of
Information for Tax Purposes, Peer Review Reports, in:
h t t p : // w w w . o e c d . o r g / d o c u m e n t / 2 3 / 0 , 3 7 4 6 ,
en_21571361_43854757_46969623_1_1_1_1,00.htm
[20.07.2011]
Testo della Convenzione tra Italia e Panama; in:
h t t p s : // w w w . d g i . g o b . p a / d o c u m e n t o s / d o b l e _
tributacion/DOBLE%20IMP%20ITALIA%20ENG.pdf
[20.07.2011]
Testo del Protocollo alla Convenzione tra Italia e Singapore, in:
http://www.iras.gov.sg/pv_obj_cache/pv_obj_id_2BF6
4163A36485B7595692482EBFB33188790000/filename/
Protocol%20amending%20Singapore-Italy%20DTA%20
(Not%20in%20force)%20(24%20May%202011).pdf
[20.07.2011]
Testo (non ufficiale) degli “Emendamenti al Progetto di
Legge concernente l’assistenza in materia fiscale civile
e penale attraverso lo scambio di informazioni” (San
Marino), in:
http://www.libertas.sm/cont/comunicato/legge-sulloscambio-delle-informazioni-fra-san-marino-ed-altristati/47180/1.html
[20.07.2011]
Elenco delle fonti fotografiche:
h t t p : // w w w . o e c d . o r g / v g n / i m a g e s / p o r t a l /
cit_731/49/29/48080863italy.jpg
[20.07.2011]
http://www.owitalia.org/schede/immagini/foto/
singapore4.jpg
[20.07.2011]
http://www.thelongwells.com/files/imagefield_images/
Panama%20100.jpg
[20.07.2011]
Alessandro Turina
Carlo Garbarino
Professore di diritto tributario,
Università Commerciale
“Luigi Bocconi”, Milano
Visiting Professor
University of Michigan
Law School
Note: 1) Cfr. OCSE; Global Forum on Transparency
and Exchange of Information for Tax Purposes, Peer
Review Report. Combined Phase 1 + Phase 2. Italy,
Parigi 2011, pagina 72. 2) Cfr. OCSE; Global Forum
on Transparency and Exchange of Information for
Tax Purposes, Peer Review Report. Combined Phase
1 + Phase 2. Italy, Parigi 2011, pagina 79. 3) Alcuni
degli accordi individualmente stipulati con Stati
attualmente non più facenti parte della Comunità
internazionale continuano in alcuni casi ad esplicare i
loro effetti nei confronti degli Stati a questi succeduti.
4) OCSE; Global Forum on Transparency and Exchange
of Information for Tax Purposes, Peer Review Report.
Combined Phase 1 + Phase 2. Italy, Parigi 2011, pagina
74. L’Italia, secondo una prassi diffusa, non divulga le
controparti con le quali accordi internazionali siano
in via di conclusione. 5) Per un esame dei contenuti
essenziali di detto accordo modello sia consentito
rimandare a Garbarino Carlo/Turina Alessandro;
L’Accordo sullo scambio di informazioni fiscali
elaborato dall’OCSE, in: Vorpe Samuele (a cura di), Il
segreto bancario nello scambio di informazioni fiscali,
SUPSI, Manno 2011, pagine 55-84. 6) La Convenzione
è stata siglata a Panama City il 30 dicembre 2010. 7)
Si confronti il paragrafo 9 del Commentario OCSE
all’articolo 26 del Modello OCSE. 8) Ancorché, sulla
base delle risultanze del Peer Review Report, si sono
registrati anche casi nei quali l’Italia abbia scambiato
informazioni in via automatica sulla base di una
convenzione contro le doppie imposizioni. Cfr. a tal
proposito OCSE; Global Forum on Transparency
and Exchange of Information for Tax Purposes, Peer
Review Report. Combined Phase 1 + Phase 2. Italy,
Parigi 2011, pagina 66. 9) In primis, nel novero degli
Stati membri dell’UE (con l’eccezione di Austria e
Lussemburgo), sulla base della Direttiva 48/2003/CE in
materia di fiscalità del risparmio nonché sulla base di
accordi paralleli conclusi con Anguilla, Aruba, le Isole
Cayman, Guernsey, Jersey, l’Isola di Man, Montserrat,
Turks e Caicos e le Isole Vergini Britanniche. Constano
Dottorando in diritto
internazionale dell’economia,
Università Commerciale
“Luigi Bocconi”, Milano
“Ernst Mach” Visiting Scholar,
Institute for Austrian and
International Tax Law,
Wirtschaftsuniversität Wien
comunque ipotesi di scambio di informazioni
automatico praticato sulla base di convenzioni
contro le doppie imposizioni e definito nella sede di
specifici accordi tra Amministrazioni finanziarie. 10) Il
testo del Protocollo non menziona esplicitamente la
nozione di “fishing expedition” ma prevede, con effetti
presumibilmente analoghi, che “the administrative
assistance provided for in Article 25 does not include (i)
measures aimed only at the simple collection of pieces of
evidence, or (ii) when it is improbable that the requested
information will be relevant for controlling or administering
tax matters of a given taxpayer in a Contracting State”. 11)
Cfr. il paragrafo 5 del Commentario OCSE all’articolo
26 del Modello OCSE. 12) Cfr. il paragrafo 19.10 del
Commentario OCSE all’articolo 26 del Modello OCSE.
13) Segnatamente, India, Oman e Pakistan. Cfr.
OCSE; Global Forum on Transparency and Exchange
of Information for Tax Purposes, Peer Review Report.
Combined Phase 1 + Phase 2. Mauritius, Parigi 2011,
pagina 61.
IVA e imposte indirette
L’IVA sulle prestazioni a soggetti collegati
Il problema della determinazione della base imponibile nell’ordinamento IVA svizzero
• le imprese legate (per esempio per appartenenza ad
uno stesso gruppo o in base a relazioni contrattuali,
economiche o personali);
• il personale con partecipazioni determinanti all’impresa,
ossia con una quota di voti superiore al 20%;
• In caso di vantaggi ricorrenti, gli amici, i conoscenti,
i familiari e gli altri parenti delle persone con
partecipazioni nella ditta o del personale impiegato.
1.
Introduzione
L’IVA è generalmente calcolata sulla controprestazione
effettivamente ricevuta, ossia sul valore patrimoniale
che il destinatario, o un terzo in sua vece, impiega
per ottenere in cambio una prestazione (articoli 24
capoverso 1 e 3 lettera f della Legge federale del 12
giugno 2009 concernente l’imposta sul valore aggiunto,
di seguito LIVA). Tuttavia la legge prevede una serie di
casi particolari, per i quali la determinazione della base
imponibile avviene diversamente. Tra questi casi si
trova anche quello delle prestazioni a soggetti correlati,
oggetto del presente contributo.
2.
La normativa in vigore fino al 31 dicembre 2009
La problematica della determinazione della base
imponibile in caso di prestazioni a soggetti collegati
e al personale era già stata affrontata dal vecchio
ordinamento giuridico che, all’articolo 33 della Legge
federale del 2 settembre 1999 concernente l’imposta sul
valore aggiunto (di seguito vLIVA), prevedeva in entrambi
i casi un correttivo.
2.1. Le prestazioni a persone prossime (incluso il personale con
partecipazioni determinanti all’impresa)
In caso di prestazioni a persone cosiddette prossime
valeva quale controprestazione il valore che sarebbe
stato convenuto fra terzi indipendenti. La definizione
di persone prossime non era contenuta nella legge e
si fondava sulla prassi sviluppata dall’Amministrazione
federale delle contribuzioni (di seguito AFC), che vi
ricomprendeva[1]:
• le persone con partecipazioni in una ditta (per esempio
gli azionisti, i soci);
24 | n° 7 - Luglio 2011 |
Il concetto di persone prossime era dunque interpretato
in modo piuttosto estensivo dall’AFC, con un conseguente
elevato rischio per il contribuente che, in un rapporto di
scambio di prestazioni, l’AFC considerasse la controparte
quale persona prossima, con possibile correzione della
base imponibile.
2.2. Le prestazioni al personale (senza partecipazioni
determinanti all’impresa)
In caso di prestazioni al personale occorreva innanzitutto
distinguere tra prestazioni a titolo oneroso e prestazioni
gratuite, ritenuto che una prestazione sulla quale il
personale aveva una pretesa giuridica (per esempio in
virtù del contratto di lavoro) era sempre considerata
come effettuata a titolo oneroso, trattandosi di un
elemento del salario[2].
La base di calcolo per determinare l’imposta dovuta sulle
prestazioni a titolo oneroso al personale era secondo la
vLIVA la controprestazione effettivamente pagata dal
personale, tuttavia il contribuente doveva dichiarare
almeno l’imposta che sarebbe stata dovuta in caso di
consumo proprio (articolo 33 capoverso 3 vLIVA).
Il significato della norma è ben comprensibile con un
esempio: poniamo il caso della ditta X, che nel novembre
2009 ha venduto un veicolo aziendale usato al proprio
dipendente per 15’000 franchi (IVA esclusa). Il veicolo era
stato acquistato nel 2007 per 30’000 franchi (IVA esclusa).
L’imposta calcolata sul prezzo pagato dal dipendente era
pari a 1’140 franchi (e cioè 15’000 franchi x 7.6%), mentre
l’imposta dovuta in caso di consumo proprio sarebbe
stata pari a 1’368 franchi (e cioè 30’000 franchi x 7.6%
x 60%[3]). Nel rendiconto del quarto trimestre 2009, la
ditta X ha dunque dovuto dichiarare un’imposta pari a
1’368 franchi e non di 1’140 franchi.
3.
Le modifiche introdotte dalla nuova LIVA
3.1. Le prestazioni a persone strettamente vincolate
Come già previsto dalla vLIVA, anche il nuovo
diritto prevede che in caso di prestazioni a persone
strettamente vincolate si consideri quale base di calcolo
non la controprestazione effettivamente ricevuta, bensì il
valore che sarebbe stato convenuto fra terzi indipendenti
(articolo 24 capoverso 2 LIVA).
Tuttavia la LIVA, in vigore dal 1. gennaio 2010, non solo
ha introdotto una terminologia diversa rispetto alla
precedente legge, ma è anche dotata di una definizione
della cerchia di persone a cui si applicano le norme
speciali per soggetti collegati.
Giusta l’articolo 3 lettera h LIVA valgono quali persone
strettamente vincolate i titolari di partecipazioni
determinanti in un’impresa o persone a loro vicine. Una
partecipazione è considerata determinante se supera i
valori soglia previsti dall’articolo 69 LIFD[4].
Questa nuova definizione legale di persone strettamente
vincolate si differenzia sensibilmente dalla vecchia
definizione di persone prossime sviluppata dalla prassi
dell’AFC. L’introduzione del criterio della detenzione di
partecipazioni determinanti quale elemento distintivo,
oltre a semplificare notevolmente la delimitazione
tra persone strettamente vincolate e terze persone,
restringe il campo di applicazione della norma speciale
dell’articolo 24 capoverso 2 LIVA. L’importanza di questo
cambiamento è evidente se si pensa che a partire dal 1.
gennaio 2010 l’AFC non può più operare correttivi (ai fini
IVA) sulla controprestazione pattuita ad esempio tra una
società e la sua fondazione di previdenza o tra società
sorelle, in quanto in assenza di un rapporto partecipativo
qualificato non sussiste la base legale per scostarsi dalla
controprestazione effettivamente ricevuta.
3.2. Le prestazioni al personale senza partecipazioni
determinanti nell’impresa
Diversamente dalla vLIVA l’attuale legge non contiene
alcuna norma speciale per la determinazione della base
di calcolo in caso di prestazioni al personale.
Il trattamento IVA delle prestazioni al personale è
approfondito nell’articolo 47 dell’Ordinanza del 27
novembre 2009 concernente l’imposta sul valore
aggiunto (di seguito Ordinanza IVA), che si fonda
sostanzialmente sulla seguente distinzione:
•
Prestazioni eseguite dietro pagamento di un compenso
In questi casi il datore di lavoro generalmente o fattura
la prestazione al dipendente o deduce il compenso
dovuto dal salario versato a quest’ultimo. Ai fini IVA,
indipendentemente da come avviene l’addebito del
compenso, ha luogo una prestazione a titolo oneroso
del datore di lavoro al dipendente. La base di calcolo
è costituita dalla controprestazione effettivamente
ricevuta.
•
Prestazioni per le quali il dipendente non deve pagare
alcun compenso
Si tratta di prestazioni che non sono né fatturate né in
altro modo addebitate al dipendente.
Se tali prestazioni vanno dichiarate nel certificato di
salario, sono comunque considerate effettuate a titolo
25 | n° 7 - Luglio 2011 |
oneroso e l’imposta va calcolata sulla base dell’importo
determinante per le imposte dirette.
Le prestazioni che non devono essere dichiarate
nel certificato di salario sono invece effettivamente
considerate come effettuate gratuitamente. Una
correzione a titolo di consumo proprio non è
comunque di norma necessaria, poiché si presuppone
vi sia un motivo imprenditoriale sotteso all’erogazione
della prestazione.
3.3. Le prestazioni al personale con partecipazioni determinanti
nell’impresa
Le prestazioni senza compenso a persone strettamente
vincolate che lavorano nell’azienda sono trattate in modo
del tutto analogo a quanto indicato per il personale senza
partecipazioni determinanti nell’impresa.
In caso di prestazioni per le quali il personale con
partecipazioni determinanti nell’impresa deve pagare
un compenso, si deve invece tener presente che la base
di calcolo non è la controprestazione effettivamente
ricevuta dal datore di lavoro ma il prezzo che sarebbe
stato convenuto fra terzi indipendenti.
4.
Uno sguardo oltreconfine
4.1. La disciplina nell’UE
In ambito europeo, la regola generale contenuta
all’articolo 73 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del
28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta
sul valore aggiunto (di seguito “Direttiva”) prevede quale
base imponibile tutto ciò che costituisce il corrispettivo
versato o da versare al fornitore o al prestatore. In altre
parole, anche all’interno dell’UE, il corrispettivo sul quale
calcolare l’imposta è di principio lasciato alla libera
volontà delle parti.
Cionondimeno l’articolo 80 della Direttiva prevede che,
allo scopo di prevenire l’elusione o l’evasione fiscale,
nei seguenti tre casi gli Stati membri dell’UE possono
considerare quale base imponibile il valore normale,
se tra le parti sussistono legami familiari o altri stretti
vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà,
finanziari o giuridici quali definiti dallo Stato membro:
•
•
il corrispettivo pattuito è inferiore al valore normale
e l’acquirente/destinatario non ha interamente diritto
alla detrazione dell’imposta sugli acquisti
(rispettivamente sulle importazioni)[5];
il corrispettivo pattuito è inferiore al valore normale
•
e il cedente/prestatore non ha interamente diritto alla
detrazione dell’imposta sugli acquisti (rispettivamente
sulle importazioni) e l’operazione è esente[6];
il corrispettivo pattuito è superiore al valore normale
e il cedente/prestatore non ha interamente diritto alla
detrazione dell’imposta sugli acquisti (rispettivamente
sulle importazioni).
L’articolo 80 paragrafo 1 comma 2 della Direttiva
precisa che i summenzionati vincoli giuridici possono
comprendere il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore
dipendente, la famiglia del lavoratore dipendente o altre
persone strettamente collegate al lavoratore dipendente.
La rilevanza dell’articolo 80 della Direttiva è duplice:
•
•
il corrispettivo pattuito è inferiore al valore normale e si
tratta di un’operazione esente effettuata da un
soggetto per il quale l’esercizio del diritto alla detrazione
è limitato;
il corrispettivo è superiore al valore normale e si tratta
di un’operazione imponibile o di un’operazione
assimilata a quelle imponibili agli effetti del diritto
alla detrazione effettuate da un soggetto per il quale
l’esercizio del diritto alla detrazione è limitato.
Relativamente alle prestazioni al personale dipendente,
la normativa italiana prevede l’utilizzazione del valore
normale quale base di calcolo dell’imposta nel caso di
messa a disposizione di auto e/o telefoni cellulari.
innanzitutto gli Stati membri dell’UE non possono
prevedere altri casi di applicazione del valore normale
oltre a quelli contemplati dalla Direttiva;
in secondo luogo, gli Stati membri dell’UE che non
hanno recepito l’articolo 80 della Direttiva nella propria
normativa nazionale non sono autorizzati a rettificare
la base imponibile sulla base del valore normale.
Si osserva infine che, all’articolo 72, la Direttiva contiene
una definizione di valore normale avente carattere
imperativo: per valore normale si deve intendere l’intero
importo che l’acquirente o il destinatario, al medesimo
stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la
cessione o prestazione, dovrebbe pagare, in condizioni
di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore
indipendente nel territorio dello Stato membro in cui
l’operazione è imponibile per ottenere i beni o servizi in
questione al momento di tale cessione o prestazione.
4.2. La disciplina in Italia
In Italia l’articolo 80 della Direttiva è stato recepito
dall’articolo 13 comma 3 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 633/1972.
La base imponibile determinante per l’imposizione
di operazioni effettuate nei confronti di società che
direttamente o indirettamente controllano il soggetto
cedente/prestatore, ne sono controllate o sono
controllate dalla stessa società che controlla il predetto
soggetto, è costituita dal valore normale se:
•
•
•
il corrispettivo pattuito è inferiore al valore normale
e si tratta di un’operazione imponibile effettuata nei
confronti di un soggetto per il quale l’esercizio del
diritto alla detrazione è limitato;
26 | n° 7 - Luglio 2011 |
5.
Conclusione
Di norma l’IVA è calcolata sulla controprestazione
effettivamente ricevuta. Sia in Svizzera che all’interno
dell’UE, questa regola generale non è tuttavia applicabile
in caso di prestazioni a soggetti collegati, la cui base di
calcolo è determinata in base a regole speciali.
La legge in vigore dal 1. gennaio 2010 fornisce una base
legale uniforme per il calcolo dell’imposta in caso di
prestazioni a persone strettamente vincolate, la cui
cerchia è definita in modo esaustivo dalla LIVA stessa.
Per quanto attiene invece alle prestazioni al personale, i
criteri impositivi introdotti dall’Ordinanza IVA appaiono
ancora moderatamente complessi, nonostante lo sforzo
fatto per allinearsi alle imposte dirette.
Per maggiori informazioni:
Elenco delle fonti fotografiche:
AFC; Istruzioni 2008 sull’IVA, in:
http://www.lerch-treuhand.ch/uploads/pics/MWST.jpg
[20.07.2011]
h t t p : // w w w . e s t v . a d m i n . c h / m w s t / d o k u m e n t a tion/00130/00219/index.html?lang=it
[20.07.2011]
AFC; Info IVA 07 Base di calcolo e aliquote d’imposta, in:
http://www.estv.admin.ch/mwst/
dokumentation/00130/00947/00948/index.
html?lang=it
[23.05.2011]
http://www.exportblog.ch/it/sites/default/files/imagecache/node_image/Fotolia_1258484_Subscription_L_
MWST_photoGrapHie_5.jpg
[20.07.2011]
http://www.sparschwein-umzug.de/images/2403126.jpg
[20.07.2011]
AFC; Info IVA 08 Quote private, in:
h t t p : // w w w . e s t v . a d m i n . c h / m w s t / d o k u m e n t a tion/00130/00947/00948/index.html?lang=it
[20.07.2011]
Baumgartner Ivo P./Clavadetscher Diego/Kocher Martin; Vom
alten zum neuen Mehrwertsteuergesetz, Langenthal 2010,
pagina 180 e seguenti
Frei Benno; Das neue Mehrwertsteuergesetz, 4a edizione,
Muri/Berna 2010, pagina 74 e seguenti
Portale Renato; Imposta sul valore aggiunto. IVA comunitaria.
Tutte le novità in vigore dal 2011, Milano 2011, ad articolo 13
rispettivamente ad articolo 14
Elisa Antonini
Avvocato
Master of Advanced Studies
SUPSI in Tax Law
Bär & Karrer SA, Lugano
Note: 1) Cfr. Istruzioni 2008 sull’IVA, numero
marginale 430 e seguenti. 2) Per completezza si rileva
che, a seguito della modifica della prassi introdotta
dal 1. gennaio 2007, determinate prestazioni al
personale (per esempio abbonamenti dei trasporti
pubblici, messa a disposizione di parcheggi pubblici)
erano soggette ad un trattamento fiscale speciale.
3) Calcolo del valore attuale. L’ammortamento
per gli anni 2007 e 2008 corrisponde al 40%. 4)
Partecipazione di almeno il 10% al capitale azionario
o sociale, partecipazione di almeno il 10% agli utili
e alle riserve, oppure diritti di partecipazione pari
a un valore venale di almeno 1 milione di franchi.
5) Secondo la terminologia svizzera: deduzione
dell’imposta precedente. 6) Secondo la terminologia
svizzera: esclusa.
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano
Il trust deve scontare l’imposta di donazione quando riceve il
bene dal disponente oppure quando lo devolve ai beneficiari?
Sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di
Treviso, del 25 ottobre 2010, numero 108/09/10, in:
http://www.businessjus.com/contributi/CONTRI155.pdf
[20.07.2011]
Imposte indirette – Successioni e donazioni ex articolo 2
decreto legge n. 262/2006 - Atto istitutivo del Trust - Trust
Autodichiarato - Esclusione dall’imposta di donazione
1.
Ritenuto in fatto
In relazione all’atto 27/97/2009, n. 60734/15776 di rep, reg.
il 7 agosto 2009, n. 15213, l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di
Treviso, faceva notificare al Notaio F. L., l’avviso in epigrafe
argomentando che l’atto partecipava della imposta
proporzionale del 6% prevista dall’articolo 2, comma 49,
decreto legge del 3 ottobre 2006, n. 262, convertito nella
Legge del 24 novembre 2006, n. 286; l’importo totale
liquidato e dovuto, detratta la somma corrisposta a titolo
di tassa fissa, ammontava ad 3’432 euro.
Avverso il precisato provvedimento si opponeva con
tempestivo ricorso avanti questa Commissione il dottor
L. F. domiciliato in Treviso, [Omissis], rappresentato e
difeso per mandato a margine del ricorso dal dottor P. B.
e dall’avvocato M. M., elettivamente domiciliato presso
lo Studio del primo in Pieve di Soligo (TV), via [Omissis],
instando a che, in base alle argomentazioni esposte, la
Commissione dichiarasse la illegittimità dell’impugnato
avviso, annullandolo e disponendo altresì il rimborso
delle somme eventualmente nelle more corrisposte,
maggiorate degli interessi maturati e maturandi fino alla
data del rimborso. Spese e competenze di lite rifuse.
Il ricorso conteneva istanza di discussione della causa in
pubblica udienza.
28 | n° 7 - Luglio 2011 |
Dopo una formale costituzione in cui concludeva per
il rigetto del ricorso e per la condanna del ricorrente al
pagamento delle somme portate dall’avviso, oltre che
alla corresponsione delle spese e competenze di lite,
l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Treviso, costituitasi
in giudizio in persona del Direttore p.t. dottor R. M.,
con memoria 25 giugno 2010 approfondiva le sue
controdeduzioni con maggiori argomentazioni instando
per esse conformemente al suo primo su ricordato atto
difensivo.
All’udienza odierna di discussione, il Giudice Relatore
illustrava il contenuto degli atti; quindi venivano ammessi
alla discussione per il ricorrente il dottor P. B., nonché per
l’Ufficio il dottor N. C.
2.
Motivi della decisione
Oggetto dell’impugnato avviso di liquidazione è l’atto
istitutivo di Trust, denominato Ziitrust, stipulato in data
27 luglio 2009 registrato in Treviso in data 7 agosto 2009,
al n. 15213.
Con detto atto la Disponente o Settlor ha nominato se
stessa Trustee, con assunzione dei relativi obblighi di
amministrare e con tutti i conseguenti impegni, mentre
oggetto del trust sono tutti i diritti di nuda proprietà di
un appartamento e pertinenze, già gravato di diritto
di abitazione, sito in Tarquinia; i beneficiari del trust
sono nominati, a partire dagli attuali titolari del diritto
di abitazione, nell’ordine in cui risulta dal rogito. È
espressamente stabilita la durata in anni trenta del trust,
mentre la legge regolatrice del trust è quella di Jersey
(Trust Jersey Law 84 as emended 2006).
Tutta la vertenza ruota quindi intorno alla esatta
individuazione e qualificazione giuridica nella legislazione
italiana del trust e, conseguentemente, sulle sue
conseguenze giuridiche nel sistema italiano.
Invero se v’è una certezza è, nel generale, che nella
ricerca della tipicità negoziale (basta esaminare
la convenzione dell’Aja del 1. luglio 1985, recepita
integralmente nella Legge del 16 ottobre 1989, n. 364 dallo
Stato Italiano) si giunge alla conclusione che il trust non
rientra in nessuno degli schemi giuridici tipici del nostro
tradizionale vivente diritto. Di origine anglosassone
infatti e convenuto per regolare una grande quantità
di rapporti senza predefinizione di un determinato
modello in quanto simile negozio, per sua natura a titolo
gratuito, è teleologicamente destinato a soddisfare le più
varie finalità, ovviamente lecite anche in relazione alla
legislazione propria dello Stato contraente, per trust si
intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il
costituente, con atto tra vivi, qual è il presente, o mortis
causa, su dei beni posti sotto il controllo di un trustee
nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico;
può essere liberamente scelta la legge che regola l’atto,
come nel caso di specie, purché non in contrasto con il
diritto dello Stato.
Anche nell’atto in esame si ravvisano gli elementi testé
precisati che caratterizzano l’istituto edittale del Trust,
posto che da un lato il costituente è anche il Trustee,
dall’altro è espresso lo scopo del trust, con questo negozio
viene nominato il guardiano, vengono determinati i poteri
e gli obblighi del trustee, si dispone la segregazione dei
beni nell’atto puntualizzati e si specifica la loro distinzione
e separazione dai beni del trustee, viene regolata la messa
a conoscenza di terzi della avvenuta costituzione del trust
e delle correlate attività (per esempio istituzione di un
conto bancario) in modo che anche queste, al pari dei
beni, non siano aggredibili dai creditori del Disponente né
da quelli del Trustee.
Né appare possibile nella specie invocare un trasferimento
di proprietà nel senso tradizionalmente inteso nel diritto
italiano - nel caso inoltre Settlor e trustee si identificano,
ripetesi, nella medesima persona fisica -: il trustee rimane
proprietario del bene in trust ed è basilarmente vincolato
nell’esercizio del proprio diritto dalle disposizioni di
amministrazione fiduciaria contenute nell’atto istitutivo
e dettate nell’interesse dei beneficiari: in breve il diritto
di proprietà comunque è represso dai vincoli anche di
amministrazione che sono stati apposti al trustee a favore
di soggetti che sono stati riconosciuti allo stato titolari di
sole aspettative.
Né il trust risulta tra gli atti e le cause impositive una
volta reintrodotta la imposta sulle successioni e sulle
donazioni con decreto legge del 3 ottobre 2006, n. 263,
convertito nella Legge del 24 novembre 2006, n. 286 che
richiama le disposizioni di cui al decreto legislativo del
31 ottobre 1990, n. 346 nel testo vigente alla data del 24
ottobre 2001 manifestandosi da ciò la volontà normativa
della esclusione di detto istituto dalla precisata imposta.
Peraltro si osserva, a conferma di questa conclusione, che
appare netta la carenza attuale dell’animus donandi, anche
per la inequivoca puntualizzazione del Disponente che
ai beneficiari - e tra questi non è dato conoscere a chi
- il fondo apparterrà solo alla scadenza del termine del
trust, mentre tale elemento della volontaria liberalità è
per contro essenziale al fine di giuridicamente invocare
la donazione cui si richiama l’Ufficio nel non esatto
tentativo di inquadrare il trust relegandolo in questo
tipico istituto codicistico.
Infine anche a voler comunque ed in ogni caso esaminare
l’istituto del trust sotto la veste di una donazione
condizionata, la conclusione da trarsi in relazione a tale
ipotesi non può essere che ancora una volta negativa
per quanto riguarda l’avviso qui impugnato mancando
l’individuazione attuale di chi tra i vari soggetti indicati
nel rogito - e finanche tra questi, quelli di cui all’articolo
29 n. 3 odiernamente neppure determinabili - sarà alla
scadenza del trust e non solo, ma anche a superare
ciò, comunque la ritenuta donazione è sottoposta a
condizione sospensiva e l’atto che contempla simile
fattispecie va registrato a tassa fissa - articolo 58, comma
5, decreto legislativo n. 346/1990, articolo 27 decreto
legislativo n. 131/1986 –, rimanendo all’Ufficio salva la
facoltà di pretendere l’imposta piena al verificarsi della
condizione.
Per questi motivi di conseguenza, il ricorso deve essere
accolto ed annullato l’avviso di liquidazione opposto.
Stante la complessità della materia e la facoltà di distinta
ermeneutica sulla questione in esame, si ritiene giusto
compensare le spese e competenze di lite.
Per questi motivi:
La Commissione accoglie il ricorso. Spese compensate.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.churchtechy.com/wp-content/uploads/2010/07/trust.jpg
[20.07.2011]
http://www.trustcommerciale.it/wp-content/uploads/
tassazione-del-trust.jpg
[20.07.2011]
Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE
La clausola giustificativa che ammette la norma fiscale
discriminatoria è concessa solo se è rispettato il principio
di proporzionalità
Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee
(Quarta Sezione), procedimento C-10/10, del 16 giugno
2011, in:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.
do?uri=CELEX:62010J0010:IT:HTML
[20.07.2011]
Inadempimento di uno Stato - Libera circolazione dei
capitali - Deducibilità di donazioni effettuate in favore di
istituti incaricati di attività di ricerca e di insegnamento Limitazione della deducibilità alle sole donazioni effettuate
in favore di istituti stabiliti nel territorio nazionale
1.
Contesto normativo e fattispecie
L’articolo 4 della legge del 7 luglio 1988 relativa all’imposta
sul reddito austriaca (Einkommensteuergesetz, di seguito
EStG) considera l’ammontare dell’utile come base per
il calcolo dell’imposta sul reddito. Tale articolo stabilisce
che i costi di gestione vengono dedotti dall’utile. Il n. 4 del
medesimo articolo precisa, in particolare, che determinate
voci di spesa specificamente menzionate sono in ogni
caso costi di gestione.
L’articolo 4a, punto 1, della citata legge, come modificato
dalla legge di riforma tributaria del 2009 (di seguito
EStG modificato) e riguardante le donazioni effettuate
con il capitale di gestione, elenca una serie di donazioni
che devono essere parimenti considerate come costi di
gestione.
Sono in particolare le donazioni che vengono effettuate
per consentire lo svolgimento di attività di ricerca o
attività di insegnamento intese alla formazione degli
adulti, relative a materie scientifiche o artistiche e
conformi alla legge sull’Università del 2002, nonché per
permettere l’elaborazione delle relative pubblicazioni e
documentazioni scientifiche, e che vengono erogate a
favore di un elenco esaustivo di istituti di formazione e di
ricerca.
Il valore venale delle donazioni è deducibile nella misura
in cui esso non superi il 10% dell’utile dell’esercizio
immediatamente precedente.
Con lettera del 12 maggio 2005 la Commissione europea
ha chiesto al Ministero federale delle Finanze della
Repubblica d’Austria di precisare se i beneficiari delle
donazioni ai sensi dell’articolo 4a, punto 1, dell’EStG
modificato potessero essere soltanto gli istituti stabiliti
in Austria, oppure se potesse trattarsi anche di analoghi
istituti stabiliti in altri Stati membri dell’UE o dello Spazio
30 | n° 7 - Luglio 2011 |
economico europeo (di seguito SEE).
Il Ministero federale delle Finanze ha risposto, con una
lettera del 5 settembre 2005, confermando che beneficiari
delle donazioni di cui all’articolo 4a, punto 1, dell’EStG
modificato potevano essere soltanto gli istituti austriaci.
In una lettera di diffida prima, e in un parere motivato poi,
la Commissione europea è giunta alla conclusione che
l’Austria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti
in forza dell’articolo 56 del Trattato sulla Comunità
europea (di seguito TCE, ora articolo 63 del Trattato
sull’Unione europea) e dell’articolo 40 dell’Accordo SEE,
sulla libera circolazione dei capitali, avendo consentito la
deduzione fiscale delle donazioni effettuate in favore di
istituti incaricati di attività di ricerca e di insegnamento
unicamente nel caso in cui questi fossero stabiliti in
Austria. Per questo motivo la Commissione europea ha
invitato l’Austria a presentare le proprie osservazioni al
riguardo. Nella sua risposta l’Austria ha negato l’esistenza
di qualsivoglia violazione della libera circolazione dei
capitali. Alla luce di tali fatti, la Commissione europea ha
quindi deciso di proporre un ricorso alla Corte di giustizia
delle Comunità europee (di seguito la Corte).
2.
Il ricorso
2.1. Gli argomenti delle parti
Secondo la Commissione europea una tale disposizione
della normativa austriaca sarebbe vietata, in linea di
principio, dall’articolo 56 TCE e dall’articolo 40 dell’Accordo
SEE e non potrebbe trovare giustificazione. Emergerebbe
chiaramente dal tenore letterale della disposizione
nazionale sopra citata, nonché dagli argomenti esposti
dall’Austria nel corso del procedimento precontenzioso
che la disposizione in questione opera una distinzione
basata su criteri puramente geografici, vale a dire sul fatto
che il beneficiario delle donazioni abbia o meno la propria
sede in Austria.
La Repubblica d’Austria ammette che la sua normativa
interna distingue, in una certa misura, tra gli istituti stabiliti
in Austria e quelli stabiliti in altri Stati membri dell’UE, ma
essa non ritiene che tale disposizione costituisca una
restrizione alla libera circolazione dei capitali.
In primo luogo, essa ritiene che gli istituti di ricerca e
di insegnamento menzionati nell’articolo non siano
oggettivamente comparabili agli analoghi istituti stabiliti in
altri Stati membri dell’UE, a motivo del fatto che soltanto i
primi sono esposti all’influenza dei pubblici poteri da parte
della Repubblica d’Austria.
In secondo luogo, l’Austria ritiene che, nei limiti in cui
venga dimostrata una restrizione alla libera circolazione
dei capitali, questa sia giustificata da un motivo imperativo
di interesse generale. In particolare, la limitazione della
deducibilità fiscale alle sole donazioni in favore degli istituti
menzionati corrisponderebbe all’obiettivo, nell’interesse
generale della collettività nazionale, di mantenere e
promuovere il ruolo dell’Austria quale polo culturale e
scientifico. La limitazione della deducibilità fiscale alle
donazioni effettuate in favore degli istituti di ricerca e di
insegnamento citati all’articolo 4a, punto 1, lettere a-d,
dell’EStG modificato sarebbe idonea e necessaria per il
raggiungimento dell’obiettivo perseguito. L’estensione
di tale deducibilità agli istituti stabiliti in Stati membri
dell’UE diversi dall’Austria non potrebbe garantire gli
stessi obiettivi, poiché essa avrebbe la conseguenza che
una parte delle donazioni in questione, deducibili per un
importo fino al 10% degli utili del donatore, andrebbe a
vantaggio di istituti che perseguono obiettivi non rientranti
nell’interesse generale dell’Austria, con una conseguente
diminuzione delle risorse a disposizione degli istituti
stabiliti in tale Stato membro.
2.2. Il giudizio della Corte
Innanzitutto, secondo la Corte, è opportuno ricordare
che, per giurisprudenza costante, anche se la materia
delle imposte dirette rientra nella competenza degli
Stati membri dell’UE, questi ultimi devono esercitare tale
competenza nel rispetto del diritto dell’Unione. (consid. 23)
L’articolo 56, n. 1, TCE vieta tutte le restrizioni ai movimenti
di capitali tra Stati membri dell’UE, nonché tra Stati membri
31
| n° 7 - Luglio 2011 |
dell’UE e Paesi terzi. Le donazioni figurano nella sezione
XI, dal titolo “Movimenti di capitali a carattere personale”,
dell’allegato I della direttiva del Consiglio 88/361/CEE.
Come riconosciuto dall’Austria nel corso del procedimento
precontenzioso, i beneficiari delle donazioni della relativa
norma interna possono essere soltanto gli istituti aventi
sede in tale Stato.
Di conseguenza, la Corte rileva che il regime delle
deduzioni fiscali in questione comporta, per i
contribuenti che effettuano donazioni agli istituti di
ricerca e di insegnamento stabiliti in uno Stato membro
dell’UE diverso dall’Austria, un onere fiscale più gravoso
rispetto a quello in cui incorrono coloro che effettuano
donazioni agli istituti menzionati dalla normativa. Poiché
la possibilità di ottenere una deduzione fiscale può
incidere in misura considerevole sulla generosità del
donatore, la non deducibilità delle donazioni accordate
ad istituti stabiliti in uno Stato membro dell’UE diverso
può dissuadere i contribuenti dall’effettuare donazioni
a loro vantaggio. L’articolo 4a, punto 1, lettere a-d,
dell’EStG modificato costituisce dunque una restrizione
ai movimenti di capitali vietata, in linea di principio,
dall’articolo 56, n. 1, TCE. (consid. 27)
Dalla giurisprudenza della Corte risulta che, perché una
normativa fiscale nazionale quale quella in esame possa
essere considerata compatibile con le disposizioni del
Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, occorre
che la differenza di trattamento riguardi situazioni che
non sono oggettivamente paragonabili o sia giustificata
da motivi imperativi di interesse generale. Inoltre, per
essere giustificata, tale differenza di trattamento non
deve eccedere quanto è necessario perché sia raggiunto
l’obiettivo perseguito dalla normativa in questione.
(consid. 29)
Sulle argomentazioni esposte dall’Austria la Corte rileva
che, se certo gli Stati membri dell’UE sono liberi di
decidere quali siano gli obiettivi di interesse generale che
vogliono promuovere, essi devono però esercitare tale
potere discrezionale in conformità al diritto dell’Unione.
Se è vero che le autorità nazionali dispongono di mezzi
aggiuntivi che consentono loro di controllare e di influire
sulla condotta degli istituti stabiliti nel territorio austriaco
in modo più incisivo che non nei confronti degli istituti
stabiliti in un altro Stato membro dell’UE, resta nondimeno
il fatto che la Repubblica d’Austria non ha dimostrato
che un siffatto intervento nella gestione degli istituti in
questione sia necessario per garantire il raggiungimento
degli obiettivi di interesse generale che tale Stato membro
dell’UE intende promuovere.
La Corte continua che, nel caso di specie, l’Austria dichiara
che l’obiettivo di interesse generale perseguito dalla
normativa è la promozione del suo ruolo quale polo
scientifico e formativo. Tale obiettivo è definito in maniera
tale che vi rispondono quasi tutti gli istituti di ricerca e di
insegnamento che hanno la loro sede in Austria, mentre
qualsiasi istituto corrispondente stabilito in un altro Stato
membro dell’UE è automaticamente escluso dal beneficio
dell’agevolazione fiscale in questione.
Ne consegue che l’unico criterio idoneo a determinare
una distinzione tra i contribuenti che effettuano donazioni
agli istituti con sede in Austria e quelli che effettuano
donazioni agli istituti corrispondenti stabiliti in un altro
Stato membro dell’UE è in realtà costituito dal luogo in cui
è stabilito il beneficiario della donazione. Per definizione,
un tale criterio non può costituire un criterio valido per
valutare l’oggettiva comparabilità delle situazioni e, quindi,
per stabilire una differenza oggettiva tra le stesse.
La Corte respinge quindi l’argomentazione dell’Austria,
secondo la quale gli istituti menzionati dalla normativa
e i corrispondenti istituti stabiliti in altri Stati membri
dell’UE non si trovano in una situazione oggettivamente
paragonabile, e secondo la quale è dunque giustificata
la differenza di trattamento dei contribuenti soggetti
all’imposta sul reddito in Austria in funzione del luogo di
collocamento del loro capitale. (consid. 36)
Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento
vertente sull’esistenza di un motivo imperativo di interesse
generale, la Corte ammette che la promozione della ricerca
e dello sviluppo può costituire un siffatto motivo, essa ha
tuttavia ritenuto che una normativa nazionale che riservi
il beneficio di un credito d’imposta soltanto alle attività
di ricerca realizzate nello Stato membro interessato sia
direttamente contraria allo scopo della politica dell’Unione
nel settore della ricerca e dello sviluppo tecnologico.
Conformemente all’articolo 163, n. 2, TCE, tale politica è
volta, in particolare, all’eliminazione degli ostacoli fiscali
alla cooperazione nel settore della ricerca e non può
pertanto essere attuata attraverso la promozione della
ricerca e dello sviluppo a livello nazionale.
La Corte ammette anche che l’obiettivo dichiarato dallo
Stato austriaco di promuovere la formazione nazionale
potrebbe costituire un motivo imperativo di interesse
generale idoneo a giustificare una restrizione alla libera
circolazione dei capitali, ma resta il fatto che una misura
restrittiva, per poter essere giustificata, deve rispettare il
principio di proporzionalità. A tal proposito l’Austria non ha
fornito alcun argomento che consenta di dimostrare che
l’obiettivo da essa perseguito in tale settore non potrebbe
essere realizzato senza la disposizione controversa e
con l’utilizzo di mezzi meno restrittivi sotto il profilo
della possibilità per i contribuenti austriaci di scegliere i
beneficiari delle donazioni che essi intendono effettuare.
(consid. 38)
La Corte conclude infine che, relativamente alle risorse
finanziarie che gli istituti austriaci beneficiari delle
donazioni perderebbero, se la disposizione fosse estesa
anche alle donazioni in favore di istituti stabiliti in altri
Stati, da una giurisprudenza costante risulta che l’esigenza
di prevenire riduzioni del gettito fiscale non rientra tra i
motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare
una restrizione ad una libertà sancita dal Trattato.
Ne consegue che la restrizione alla libera circolazione dei
capitali risultante dal regime controverso non può essere
giustificata dai motivi dedotti dalla Repubblica d’Austria.
(consid. 41)
Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta
che l’articolo 4a, punto 1, lettere a-d, dell’EStG modificato,
nella parte in cui limita la deducibilità delle donazioni ai
fini dell’imposta sul reddito a quelle versate agli istituti
con sede in Austria, costituisce una restrizione alla libera
circolazione dei capitali sancita dall’articolo 56 TCE e
dall’articolo 40 dell’Accordo SEE.
La Corte ha quindi accolto il ricorso della Commissione
europea giungendo alla conclusione che l’Austria,
consentendo la deduzione fiscale delle donazioni
effettuate in favore di istituti incaricati di attività di ricerca
e di insegnamento unicamente nel caso in cui questi
siano stabiliti nel suo Stato, ha violato gli obblighi ad essa
incombenti in forza dell’articolo 56 TCE e dell’articolo 40
dell’Accordo SEE. (consid. 44)
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.parlament.gv.at/LI/B/PG/DE/XXIV/NRSITZ/
NRSITZ_00021_NRSITZ00021__165183_image002.jpg
[20.07.2011]
http://ec.europa.eu/avservices/photo/photoDetails.cfm?s
itelang=en&ref=P-012683/00-05
[20.07.2011]
Pubblicazioni
Banche e imprese nel procedimento penale
Strategie di diritto penale, civile, bancario, fiscale e rogatoriale
Da decenni rispondo alle
domande di colleghi, di banche,
di altri imprenditori e dei loro
clienti, ma anche di studenti
e giornalisti. Cerco, e talvolta
trovo, le risposte nel mio archivio
dei casi. Per accedere più in fretta
l’ho riordinato e aggiornato:
il libro “Banche e imprese nel
procedimento penale” è il mio
archivio professionale, mi serve
tutti i giorni. Comincio dall’elenco
delle parole chiave (pagina 749
e seguenti); se la questione è semplicissima, bastano
le “Avvertenze” (pagina 611 e seguenti), una definizione
più contestualizzata che quella di Google si trova nelle
“Schede” (pagina 531 e seguenti), una situazione a rischio
viene descritta nelle “Schede tematiche” (pagina 625 e
seguenti).
Poi si approfondisce: diritti e doveri nel procedimento
penale e civile adesivo, (Prima Sezione) nelle procedure
rogatoriali di tutti i tipi (Seconda Sezione), fino al groviglio
del cumulo contemporaneo di procedimenti di natura
diversa (Terza Sezione); meglio starne alla larga, e allora
può servire un po’ di prevenzione (Quarta Sezione).
Di seguito viene riportata la scheda del libro:
Banche, fiduciari, gestori patrimoniali ed altri
intermediari finanziari nonché imprese in genere,
vengono coinvolti spesso in procedimenti penali, non
solo relativi alla criminalità economica, ma anche di altra
natura, e ciò prevalentemente a scopo di perquisizione,
sequestro di documenti e di averi patrimoniali, audizioni
testimoniali, sorveglianza di conti bancari. Frequente
è anche il coinvolgimento come vittima e parte lesa.
Pertanto, necessita un’analisi del nuovo Codice
svizzero di procedura penale, ormai uguale per tutti i
procedimenti penali federali e cantonali, focalizzata sui
diritti e sugli obblighi collegati al coinvolgimento nel
procedimento penale di imprese bancarie, finanziarie,
fiduciarie e commerciali.
Nella Prima Sezione vengono descritte le fasi del
processo, l’acquisizione delle prove, i provvedimenti
coercitivi e le facoltà di ricorso. Nella Seconda Sezione
si descrivono coinvolgimenti e connessioni con le
rogatorie straniere penali, civili, amministrative e
fiscali, mentre la Terza Sezione analizza i collegamenti
fra il procedimento penale e quello civile, bancario,
fallimentare, amministrativo, prudenziale, disciplinare
e fiscale riguardo allo scambio di informazioni e alle
collisioni fra sequestri concorrenti, in base alla tendenza
attuale di sovrapposizione di procedimenti di natura
33 | n° 7 - Luglio 2011 |
diversa riguardo ad un medesimo caso. Infine, la Quarta
Sezione tratta il procedimento penale come fonte di
rischi legali e reputazionali che vanno obbligatoriamente
individuati e padroneggiati.
I temi vengono trattati sulla base di casi concreti
della giurisprudenza, anche con l’aiuto di 30 schede
didascaliche, di 50 schede riassuntive di situazioni a
rischio e di 50 tabelle sinottiche; così i problemi sono
più facilmente accessibili non solo ai giuristi ma anche
a banchieri, assicuratori, gestori patrimoniali, fiduciari e
revisori.
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Prefazione di Daniel Zuberbühler, Vicepresidente della
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all’Università di San Gallo
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Diritto tributario internazionale
Durata: 200 ore, Calendario: 9 settembre 2011, Termine d’iscrizione: 31 agosto 2011
Iscrizioni e informazioni: http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/CAS_DirTributInt.pdf
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