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Lezione n° 4:
«NON HO PAURA DI DIRTI DI NO»
Vicenza, Ente Fiera, mercoledì 6 dicembre 2006
Relatore: prof. Osvaldo Poli
Il primo limite dell’essere autorevoli siamo proprio noi stessi con i nostri dubbi e le nostre
incertezze che sono percepite dai figli, soprattutto dai più piccoli. I nostri figli devono imparare
cos’è la fatica e la sofferenza, perché solo così li aiuteremo a diventare indipendenti e autonomi. Ma
per fare ciò bisogna che prima scopriamo il nostro carattere, spesso “attaccato” da dei “virus”.
Ogni generazione di genitori ha delle glorie e delle debolezze, la nostra gloria è che mai
nessuna precedente generazione di genitori è stata così vicina - dal punto di vista emotivo- ai propri
figli. Mai i genitori in passato sono stati tanto attenti ai mutamenti emotivi dei loro ragazzi come
accade oggi. E se questa è una gloria è però anche una debolezza perché mina la fermezza educativa
che fa leva sull’ «avere polso». Il nostro stile educativo infatti non è impositivo (e per alcuni versi è
meglio così) perché siamo deboli, perché non usiamo la fermezza necessaria. Mancando questa
fermezza allevare ed educare i figli diventa un compito improbo, difficile, e comporta un carico di
fatica pesantissimo. Quante volte sentiamo dire, quando non lo diciamo noi stessi, «Le ho provate
tutte», «Sono stressata», «Non si può dare la disdetta da genitori?». Solo gestendo la fatica e usando
fermezza riusciremo a far diventare i nostri figli grandi, liberi e forti; altrimenti diventeranno
ingestibili e affettivamente deboli. E’ un sacrificio che dobbiamo affrontare serenamente.
Certo gli errori educativi si commettono sotto il velo dell’inconsapevolezza, quindi per
diventare dei genitori sufficientemente buoni bisogna accendere la luce della consapevolezza,
ovvero conoscersi come genitori in maniera realistica e non come ci piacerebbe essere.
Indubbiamente, conoscersi vuol dire anche andare incontro a delle delusioni, scoprire i propri difetti
e i propri limiti, ma i risultati non mancheranno: i genitori che sbagliano meno sono quelli che
conoscono bene le proprie debolezza affettive e se ne sanno difendere. In caso contrario, queste
debolezze si rafforzeranno sempre più con il risultato che si diventerà dei genitori che non avremmo
mai voluto essere: quelli che lasciano correre perché è più facile. E invece per essere dei buoni
genitori qualche volta si deve andare contro al proprio carattere, solo così faremo l’interesse dei
nostri figli: questo è il vero amore.
L’amore è infatti soprattutto decisione, il sentimento ne è solo ancella, che significa fare
l’interesse dell’altro sia che ciò venga accompagnato da esultanza emotiva (momenti di gioia) che
da pesantezza emotiva (momenti di sofferenza). Non cadiamo nell’errore di credere che l’intensità
emotiva coincida con l’autenticità del valore: dopo anni di matrimonio quando vedete il
marito/moglie svenite, rimanete incantati, non capite più nulla? Penso proprio di no, ma questo non
significa che il vostro affetto verso di lui/lei sia diminuito.
L’ingrediente essenziale di ognuno di noi è l’eredità emotiva e quei punti deboli che ci fanno
commettere gli errori. I genitori devono essere consapevoli di ciò, indagarsi, interrogarsi, per far
emergere i propri “virus” e poi “resettarsi”. Per fare tutto questo serve una grande dose di buona
volontà altrimenti il concetto di fermezza diventa un mero esercizio intellettuale che non porta a
nulla. Dunque, prima domanda: quali sono le mie debolezze emotive? Sono verità scomode e
pericolose perché si mostrano solo a chi vuole realmente vederle.
Se non ce la facciamo da soli possiamo sempre contare su un anti-virus naturale che è il nostro
partner. E’ indubbio, infatti, che ognuno di noi si fa del proprio compagno un’idea di che genitore
sia (e ciò vale anche nella direzione opposta) e se si nota qualcosa che “non va” tacere è la peggior
cosa che si possa fare perché entrambi abbiamo una responsabilità educativa verso i figli e perché il
silenzio non aiuta né il partner, né tanto meno i figli, a migliorare. Possiamo poi contare su un altro
anti-virus che sono i nostri figli. In particolare le figlie, raggiunta una certa età, sono in grado di fare
una schermografia psicologica incredibile ai propri genitori e sono in grado di leggere tra le righe in
maniera sorprendente. I maschi invece pare si accorgano delle cose più tardi.
Non importa se attraverso noi stessi, con l’aiuto del partner, o attraverso gli occhi dei figli, la verità
di noi stessi deve essere comunque svelata. Amare i figli significa fare il loro bene educativo e non
provare e farsi trascinare dai sentimenti. Ecco un primo virus: il legame affettivo morboso. E’ un
virus che attacca spesso le mamme incapaci di “lasciare andare” i loro bambini, di concedere loro
degli spazi propri, con il risultato che questi figli non crescono mai.
Amiamo per come siamo fatti, ma dobbiamo imparare a resettare il nostro carattere e averne cura.
Conoscere i nostri punti deboli ci evita di fare cose poco utili per la crescita dei nostri figli. Ma
indagarsi, prendere consapevolezza di noi stessi, individuare i virus, resettare il sistema per
riavviarlo, costa non poca fatica. Ricordiamoci però che di fronte ai nostri figli siamo come di
fronte ad uno spartito meraviglioso e che, se vogliamo interpretalo con armonia, dobbiamo usare lo
strumento adatto accordandolo nel modo giusto. Ecco, lo strumento è il nostro carattere e su questo
dobbiamo far leva se vogliamo “eseguire bene” la nostra opera (crescere bene i figli).
Per essere dei buoni genitori, che è già sufficiente, non ci sono delle regole, delle ricette, si deve
solo saper leggere e interpretare il proprio cuore.
Ecco allora alcuni “virus” – tra i più comuni- che attaccano i genitori.
Vorrei qui aggiungere una considerazione. Il maschile e la colpa non vanno d’accordo, mentre il
femminile e la colpa vanno d’accordissimo. Di sensi di colpa è pieno il cuore di ogni donna,
figuriamoci quello di una mamma. Perciò molti virus attecchiscono meglio sulle mamme, pur non
lasciando del tutto immuni i papà. E allora, mamme, chiedetevi «Perché faccio così?», altrimenti
farete cose (causa questo subdolo virus) che non avreste mai voluto fare.
•
Apprensività. Una madre apprensiva “attacca la flebo” delle paure al figlio facendolo
crescere nell’idea che il mondo sia pieno di insidie e pericoli. Alla fine il ragazzo diventerà
come la madre, e non è piacevole. Sicuramente il genitore affetto da questo virus, così come
di altri, non si accorge di ciò che sta facendo perché il virus prospera nelle zone d’ombra e lì
si nutre. Al contrario, vediamo tutti bene i virus di cui sono affetti gli altri. E allora serve
un’operazione verità, che necessita di forza e coraggio, per penetrare in noi stessi, per
raggiungere le paure più profonde e sconfiggerle.
•
Accontentare troppo i figli
•
Fare loro la serva (perché è tipico delle mamme). Questo comportamento però porta a
crescere figli prepotenti e viziati. E poi vedete questi ragazzoni sposati? Riproporranno con
la moglie le dinamiche affettive che avevano con la madre e toccherà quindi alla compagna
rieducarli.
•
Avere il dubbio di essere genitori trascuranti. Si tratta di un virus strisciante e pesantissimo
perché questi dubbi irrisolti agiscono come certezze nell’inconscio e creano non pochi
danni. La sensazione di essere in debito con i figli (perché magari li si lascia troppo tempo
dai nonni a causa degli impegni lavorativi) mina la fermezza. Si entra così in un circolo
vizioso – pensando di aver fatto soffrire ingiustamente il figlio si compensa con alcune
concessioni- che condizionano anche l’educazione. Si tratta di un virus che attacca
soprattutto le mamme-lavoratrici ma che colpisce sempre più anche i papà. Il babbo, magari
fuori tutto il giorno per lavoro, quando rientra arriva in casi estremi a comportarsi (come lo
ha definito la mamma) quasi come “un animatore di un villaggio turistico”. Ma ciò
comporta che i papà non hanno più la libertà morale e psicologica di essere autoritari.
•
Se non gli compro questo si sentirà inferiore agli altri; penserà che siamo poveri; non si
impegnerà a scuola. L’impegno scolastico e le successive scelte formative sono un “dovere”
per i figli. Ho visto genitori studiare inglese perché così poi possono aiutare i loro ragazzi
quando hanno i compiti in lingua, o mamme stramazzare stanche al termine dell’anno
scolastico. Ricordiamoci bene: il peso della scuola è dei figli e non nostro, loro devono
responsabilizzarsi e rispondere delle scelte fatte, loro devono essere interessati a migliorare
e a scoprire la propria “personalità scolastica”. Gli errori, le decisioni (anche sbagliate),
aiutano a crescere. Attenzione: i genitori non sono padroni della vita dei propri figli, non
sono onnipotenti e perciò non possono evitare che i figli commettano degli errori o che
trovino degli ostacoli (anche perché altrimenti i futuri insuccessi saranno sempre “colpa
degli altri”). E poi i “titoli”, interessano più ai genitori o ai figli?
Non si deve avere fretta perché c’è molto amore nell’attesa. Dove sta scritto, infatti, che i
genitori devono essere dei rompiscatole che incalzano continuamente: Hai studiato? Che
scuola superiore hai scelto? A quale facoltà pensi di iscriverti?…
•
Ho paura che non capisca che è per il suo bene. Rincorrere il figlio quando gli si è detto un
“no” per spiegarli il perché, significa implicitamente chiedergli scusa e giustificarsi di tanta
“cattiveria”.
•
Ho paura che non mi racconti più nulla. Davvero si pensa che un buon rapporti si “misuri”
da quanto i figlio ci parlano? Davvero vorremmo sapere tutto, ma proprio tutto, quel che fa
la propria figlia diciottenne? Ci sono dei genitori che si vantano del rapporto “confidenziale”
che hanno con i propri figli facendoci sentire in colpa, o sbagliati, se Aristide non ci
racconta nei minimi dettagli anche la cosa più banale (è la botta finale «Ma come, il tuo non
ti ha detto nulla?»). A questi genitori ricordo che spesso le confidenze servono proprio a loro
per continuare a esercitare il controllo sulla vita dei figli, e che minano enormemente la
fermezza perché così facendo in qualche modo si “comprano” le confidenze dei figli
annullando anche la “coscienza morale” che quando volta porterebbe a dire “no”, “ti sbagli”.
•
Ho paura delle conseguenze. Ovvero che se lo punisco oggi faccia delle sciocchezze
domani: questo è il miglior presupposto perché le sciocchezze le faccia post-domani quando
ormai è un adulto.
•
Ho paura delle sue reazioni, di cui magari ti resta il rimorso tutta la vita. E così alla fine di
troviamo a convivere con dei figli immaturi e invivibili che hanno 20/22, o più, anni.
Questi accennati non sono comportamenti dettati dall’amore. La fermezza è amore. A volte poi,
per il loro bene, ai figli bisogna dire la verità che li riguarda, con modo, ma senza sconti. Anche
questo li aiuta a crescere. Troviamo il coraggio di dire ad Aristide «Lo sai perché nessuno viene a
giocare con te il pomeriggio? Non crederai che le loro mamme tengano i tuoi amici segregati in
casa, o che siano sempre pieni di compiti? Non vengono perché tu non li degni di uno sguardo e
vuoi solo che vedano quanto sei bravo con la play station, perché non li fai giocare con i tuoi
giocattoli…». Aristide rimarrà un po’ male ma sarà una lezione che lo aiuterà a crescere. Invece
spesso si usano comportamenti diametralmente opposti giustificandoli con la parola «amore» (non
farlo soffrire, non contraddirlo…).
Ma pensiamo a cosa significa realmente amore. Due sono le componenti fondamentali:
valorizzare l’altro ma anche reputarlo degno di verità e giustizia ovvero dirgli cosa si pensa di lui
anche se ciò può non piacergli. Amore implica offrirsi liberamente al dolore dell’incomprensione,
altrimenti si è solo e semplicemente degli egoisti. I maschi sono specialisti nel creare/alimentare i
sensi di colpa e così tu alla fine ti senti sbagliato quando invece è l’altro ad essere affetto dal virus
dell’egoismo.
I nostri figli sono degli specialisti nel vedere i nostri punti deboli e in questo modo ci tengono in
pugno, acquisiscono così un potere relazionale immenso perché sanno quali invisibili fili tirare per
farci cedere e quindi fare quel che gli pare e piace. Ma questo non è amore, cedendo non li
aiutiamo. Dobbiamo perciò scantarci, uscire dall’incantesimo (dettato dall’affetto che proviamo
verso i nostri bimbi che ci porta a “credere” a cose non vere), cambiare rotta, riconquistare la libertà
superando le paure. In questo senso i papà sono più smaliziati e disincantanti.
E allora prendiamo coraggio e iniziamo a dire ai nostri figli «La colpa (di un compito andato male,
di una brutta faccenda) è tua», è inutile sentirsi in colpa se l’interrogazione è andata male perché
non la si è ripetuta insieme: è dovere del figlio studiare, noi gli facciamo solo il piacere di ascoltare
il suo ripasso..sia chiaro questo. Non si deve avere paura che i figli non sopportino la verità, lo solo
forti e lo sanno, e capiscono quando mentiamo o non mentiamo.
Altra cosa: anche i nostri figli hanno difetti. Lo so che per le mamme è difficile accettare ciò,
perché si immedesimano psicologicamente e moralmente nei loro bimbi, ma bisogna guardare in
faccia la realtà per aiutarli a vedere le pecche del loro carattere che possono essere migliorate.
Questo perché i nostri figli hanno il dovere (parola poco usata ma davvero importante) di diventare
persone migliori e di amare i loro genitori (il che significa non tiranneggiarli, dimostrare l’affetto
anche con piccoli gesti, sostenere qualche piccola fatica al posto loro).
Dobbiamo trasmettere ai figli delle dinamiche affettive che permettano loro di amare gli
altri, se crescono con la convinzione che “tutto il mondo giri attorno a loro” diventeranno delle
persone infantili e immature che non saranno in grado di relazionarsi con gli altri (non amandoli) e
non saranno in grado di affrontare le difficoltà (anche le più banali). Quindi anche i figli devono
imparare a resettarsi e questo lo possono insegnare i genitori anche non negando loro alcune
scomode verità e dicendo qualche “no”. Le relazioni amorose infatti esigono reciprocità, quindi
fatica, disciplina e sacrificio. Sono queste parole “forti” e “vere” che sono però poco usate. Manca
spesso, infatti, nei genitori la fermezza di queste verità, invece bisogna essere consapevoli che la
fatica vive alla luce della reciprocità. Non possono esistere dei rapporti “buoni” solo per lo sforzo di
un membro della famiglia, lo sforzo deve essere di tutti i componenti del nucleo familiare e perciò
anche i figli debbono imparare a fare la loro parte nel rispetto dell’altro.
Per fare la cosa giusta non basta l’affetto, la famiglia affettiva è solo una bella favola, i genitori
devono imparare a superare tutti i “se” e i “ma” per il bene dei loro figli. L’amore infatti non
prescrive il dover annullarsi ma solo di fare sacrifici.
E ciò vale anche per i figli: la fatica serve loro per crescere bene. Il che non significa far di tutto
perché nella vita si realizzino solo a livello scolastico o professionale, ma far di tutto perché
divengano degli esseri migliori capaci di voler bene e di essere amati. Questa è la vera partita della
vita, sono questi i rapporti veri anche nei nostri rapporti fraterni: di fronte al fratellino/sorellina si
impara a rinunciare ad alcune egoistiche pretese a godere nell’avere un fratello o una sorella con cui
condividere giochi e tempo.
Quella della verità è una “medicina spettacolare”, dire ai figli quel che si pensa di loro è
importante sebbene alcuni filtri culturali possano fare percepire ciò come una cosa “brutta”. Il vero
dramma oggi è che la figura paterna è sbiadita perché proprio il padre è portatore di verità e
giustizia, è lui ad operare quella “ferita”, quel distacco dalla figura materna così accogliente, tanto
utile per la crescita. L’amore intelligente infatti è quello che “tiene gli occhi aperti”, in grado di
correggere la rotta. Sul serio pensiamo che “far finta di nulla” sia amore? Aiuti i figli a crescere?
Se per amore dei nostri figli arriviamo a sovra-scrivere la nostra coscienza, i figli faranno quel che
gli pare e piace reputandolo – erroneamente- la cosa migliore per se stesso.
Il padre nell’operare la necessaria e giusta “circoncisione psicologica” del figlio gli offrirà gli
strumenti per accettarsi con i propri limiti e i propri difetti e ad accettare gli altri (con i loro limiti e i
loro difetti).
Altro problema oggi è che l’immaturità non è più repressa (certo con questo non si vuole
certo auspicare ad un ritorno ai metodi educativi repressivi, altrettanto dannosi). Così, i ragazzi
accettano la vita solo alle loro condizioni e guai che accada il contrario. Pare quasi che si aspettino,
perché così accade se abituati da piccoli, che qualcuno tolga/rimuova gli aspetti dolorosi della vita e
non “giocano” con quel che la vita gli ha offerto.
Vivere secondo il principio del piacere nel sonno dell’immaturità: ecco l’atteggiamento dominante
in tanti giovani che non comprendono che il loro desiderio non è la legge della vita. Non basta
infatti vivere rapinando i beni, il tempo e gli affetti degli altri. La pretesta che la realtà si adatti ai
desideri è “legge materna” (garantire piacere a spese degli altri) ma il mondo invece è regolato dalla
“legge paterna”.
Nel crescere i figli serve fermezza educativa ovvero la capacità di prendere decisioni
emotivamente difficili, ma che sono nell’interesse reale dei figli, e resistere nelle proprie scelte. I
nemici della fermezza sono la debolezza (interna e invisibile e per questo ancor più pericolosa) e le
reazioni emotive dei figli (che con i loro sguardi, con una certa inflessione nella voce, con domande
apparentemente innocenti, operano in noi una sorta di “incantesimo” che ci fa desistere da quelle
decisioni che noi sentiamo e riteniamo giuste e conformi alla loro educazione).
Non si deve mai dubitare delle nostre parole, non bisogna cedere alle “suppliche”, perché ai figli
(soprattutto ai maschi) basta spesso uno sguardo al nostro viso o fare attenzione all’intonazione
della nostra voce per capire che stai vacillando (anche se tu e loro sapete che hai ragione). Quindi
saper dire di “no”, o “arrangiati”, e tener duro nelle proprie decisioni può sì creare una sofferenza
nei figli ma è una sofferenza che sapranno superare benissimo, quasi una prova nel loro percorso di
crescita. Nella vita infatti troveranno ben altri e più importanti “no” e dovranno saperli gestire da
persone mature e indipendenti.
I genitori insomma debbono rafforzare il loro buon senso che naturalmente li guida al meglio per i
propri figli.