La responsabilità degli amministratori di società di capitali e la

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Capitolo Quarto
La responsabilità degli amministratori per le
irregolarità contabili, per gli errori di bilancio
e, in generale, per le falsità nei prospetti
di Francesco Aratari
Sommario: 1. La responsabilità degli amministratori nei confronti della società per le irregolarità contabili. Le irregolarità contabili come mezzo per realizzare ulteriori illeciti civili e come causa esclusiva di danno. – 2. La responsabilità degli amministratori
nell’ipotesi di sottoscrizione di azioni, quote od obbligazioni sociali e nell’ipotesi di
vendita di azioni proprie. – 3. (Segue) La determinazione del danno nell’ipotesi di
sottoscrizione di azioni, quote od obbligazioni sociali e nell’ipotesi di vendita di azioni
proprie. – 4. La responsabilità degli amministratori nell’ipotesi di negoziazione di
partecipazioni societarie tra soggetti terzi. – 5. La responsabilità degli amministratori
nell’ipotesi di forniture o erogazione di crediti in favore della società.
Legislazione: artt. 833, 1175, 1223, 1224, 1225, 1226, 1227, 1256, 1385, 1591, 2056, 2634, 2497 c.c.; 40,
41 c.p.
Bibliografia: Angeli, Bilancio d’esercizio, Responsabilità degli amministratori, direttori generali, sindaci e revisori dei conti di società, II, Milano, 1981; Bartalini, La responsabilità degli amministratori e dei direttori generali di società per azioni, Torino, 2000; Bianchi, Le clausole generali della
“chiarezza” e della rappresentazione “in modo veritiero e corretto”, in La disciplina giuridica del
bilancio di esercizio, a cura di Bianchi, Milano, 2001; Bonelli, Gli amministratori di società per
azioni, Milano, 1985; Bonelli, Violazioni in tema di bilancio e responsabilità degli amministratori,
in Giur. comm., 1975, I, 321; Bonelli, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento,
a cura di De Andrè, Milano, 1990; Cagnasso, Il bilancio d’esercizio e consolidato, in Le società per
azioni, di Abriani, Ambrosini, Cagnasso e Montalenti, in Trattato di diritto commerciale, diretto da
Cottino, Padova, 2010; Calvo, Il caso Isveimer: il principio di rappresentazione veritiera e corretta
nel bilancio di esercizio, in Soc., 2008, 1483; Carbone, Raggiri e artifizi nella compravendita di
azioni non quotate in borsa, in Soc., 1992, 763; Carnevali, La responsabilità civile degli amministratori per danno ai risparmiatori, in Contratto e impresa, 1981, 8; Cecchi, Gli amministratori di
società di capitali, Milano, 1988; Cecchi, Gli amministratori di società di capitali, in Il Diritto privato
oggi, serie a cura di Cendon, Milano, 1999, 478; Colombo, Il bilancio di esercizio, in Tratt. ColomboPortale, 7, Torino, 1994; D’Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, Milano, 2003; Fortunato, Limiti informativi del bilancio consolidato e tutela dei destinatari,
in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 1997, 603; Franzini, Brevi note in tema di azioni di responsabilità
individuale del socio e del terzo nella “nuova” srl, in Soc., 2008, 486; Galasso G., Azione di respon-
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sabilità contro gli amministratori, in Soc., 3, 1989, 270; Galasso A., Prova della responsabilità degli
amministratori, in Soc., 1989, 1034; Iorio, Struttura e funzioni delle clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, Milano, 2006; Nocella, Creazione e gestione di fondi extrabilancio e
responsabilità degli amministratori: si anticipa la lesività della condotta, in Giur. comm., 2007, 686;
Panzani, Responsabilità degli amministratori: rapporto di causalità fra atti di mala gestio e danno,
in Fallimento, 1989, 973; Pinto, La responsabilità degli amministratori per “danno diretto” agli azionisti, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da Abbadessa, Portale, 4, Torino, 2006, 904; Platania, Balzarini, Le conseguenze dell’annullamento del
bilancio per violazione del principio di competenza, in Soc., 2008, 53; Rizzini Bisinelli, Zuccato,
Danno da falso in prospetto, in Soc., 2004, 75; Salafia, Profili di responsabilità degli amministratori
e sindaci nella redazione dei bilanci, in Soc., 1, 1988, 9; Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007; Sasso, Irregolarità di bilancio e responsabilità di amministratori e
sindaci, Milano, 2000; Stassano G., Stassano M., Il falso in bilancio, Discrezionalità valutativa e
responsabilità degli amministratori, sindaci, direttori generali e società di revisione, Milano, 1996.
1. La responsabilità degli amministratori nei confronti della società per le
irregolarità contabili. Le irregolarità contabili come mezzo per realizzare
ulteriori illeciti civili e come causa esclusiva di danno.
La più comune violazione degli amministratori è costituita dalla irregolare tenuta della contabilità1, violazione che può assumere forme e rilievi
profondamente differenti.
1
Sul tema si veda anche Stassano G., Stassano M., Il falso in bilancio, Discrezionalità valutativa e responsabilità degli amministratori, sindaci, direttori generali e società di
revisione, Milano, 1996; Bianchi, Le clausole generali della “chiarezza” e della rappresentazione “in modo veritiero e corretto”, in La disciplina giuridica del bilancio di esercizio
a cura di Bianchi, Milano, 2001; Carnevali, La responsabilità civile degli amministratori
per danno ai risparmiatori, in Contratto e impresa, 1981, 8; Nocella, Creazione e gestione
di fondi extrabilancio e responsabilità degli amministratori: si anticipa la lesività della condotta, in Giur. comm., 2007, 686; Fortunato, Limiti informativi del bilancio consolidato e
tutela dei destinatari, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 1997, 603; Angeli, Bilancio d’esercizio, Responsabilità degli amministratori, direttori generali, sindaci e revisori dei conti di
società, II, Milano, 1981; Sasso, Irregolarità di bilancio e responsabilità di amministratori e
sindaci, Milano, 2000; Pinto, La responsabilità degli amministratori per “danno diretto” agli
azionisti, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto
da Abbadessa, Portale, 4, Torino, 2006, 904; Panzani, Responsabilità degli amministratori:
rapporto di causalità fra atti di mala gestio e danno, in Fallimento, 1989, 973; Bonelli,
Violazioni in tema di bilancio e responsabilità degli amministratori, in Giur. comm., 1975,
I, 321; Id., Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1985, 303; Salafia, Profili di
responsabilità degli amministratori e sindaci nella redazione dei bilanci, in Soc., 1, 1988,
9; Colombo, Il bilancio di esercizio, in Tratt. Colombo-Portale, 7, Torino, 1994; Bartalini,
La responsabilità degli amministratori e dei direttori generali di società per azioni, Torino,
2000, 59; Cecchi, Gli amministratori di società di capitali, Milano, 1988.
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
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Le irregolarità possono riguardare la sola tenuta della contabilità sociale,
ma, in una dimensione di progressiva rilevanza, possono anche comportare una
rappresentazione della situazione patrimoniale ed economica della società –
come esposta nelle situazioni patrimoniali periodiche o nel bilancio annuale
approvato dall’assemblea dei soci o, in genere, nei documenti che svolgono
una funzione informativa – complessivamente inveritiera e scorretta.
La presenza di irregolarità contabili, tuttavia, non implica necessariamente una responsabilità civile a carico degli amministratori né, ancor
prima, l’inadempimento degli amministratori all’incarico ricevuto.
Gli amministratori non rispondono, infatti, a titolo di responsabilità
oggettiva, ma, per configurare una loro responsabilità civile, è sempre necessario individuare un profilo soggettivo di colpa o dolo nell’agire.
Non si può escludere, cioè, che, pur in presenza di una iscrizione contabile scorretta, non ricorra tuttavia alcun profilo di colpa, alcuna violazione
da parte degli amministratori dei canoni di diligenza professionale richiesti
dalla natura dell’incarico, e ciò, ovviamente, anche qualora dall’iscrizione
contabile fosse derivato un danno per la società amministrata o per i terzi2.
A quanto sopra, si aggiunga che – poiché qualsiasi valutazione dell’operato dei componenti dell’organo amministrativo deve essere espressa
mediante un giudizio ex ante (si rinvia sul punto al precedente capitolo terzo,
§ 9) – debbono essere tenuti in considerazione solo gli elementi in possesso
al momento dell’assunzione della decisione, o quelli che avrebbero potuto
essere conosciuti, con conseguente irrilevanza, ai fini della espressione del
giudizio sulla condotta degli amministratori, sia degli elementi conosciuti ex
post sia dei risultati della decisione assunta.
Per le appostazioni contabili – ancor più per quelle che conseguono ad
un processo valutativo – l’errore, in via generale, assume rilievo soltanto ove
abbia una sua materialità, sia cioè rilevante (senza escludere che in ipotesi
particolari ed eccezionali anche un errore minimo possa, in teoria, determinare un pregiudizio patrimoniale).
Non potrà, così, essere ritenuto negligente l’amministratore che abbia,
ad esempio, errato nella iscrizione in bilancio del fondo svalutazione crediti
per valori di modesta entità a fronte di un monte crediti di milioni di euro,
appunto per mancanza di materialità.
2
Salafia, Profili di responsabilità degli amministratori e sindaci nella redazione dei
bilanci, in Soc., 1, 1988, 9.
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A quest’ultimo proposito va anche segnalato che lo stesso principio
generale contenuto nell’art. 2423 c.c., secondo cui nel bilancio deve essere
esposta con chiarezza e in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio,
conferma l’orientamento secondo il quale tutte le volte che l’irregolarità
contabile non altera e non maschera la situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’ente, la stessa non integra una condotta negligente
dell’amministratore3.
D’altra parte, il livello di diligenza richiesto agli amministratori, per
quanto elevato possa essere e per quanto si tenda sempre più ad avvicinarlo
3
Per Trib. Chiavari, 18.1.1993, in Soc., 1993, 823, con nota di Colombo, «solo le violazioni delle norme sulla redazione del bilancio che comportino la non veridicità della rappresentazione globale della situazione patrimoniale ed economica della società possono
dar luogo a responsabilità dell’amministratore ai sensi dell’art. 2395 c.c.».
Nel commentare la sentenza, Colombo, op. e luogo citt., rileva come, a suo giudizio, al
contrario di «quel che sembra pensare (ma che non potrà più pensare dopo l’attuazione
della IV direttiva CEE) la» Corte di Cassazione, «ogni – non irrilevante – violazione delle
norme sul bilancio» comporta «l’invalidità della delibera» che «deve avere per oggetto
un bilancio rispondente appieno alla funzione informativa voluta dalla legge, cioè ad una
funzione informativa sia sugli aspetti quantitativi sia su quelli qualitativi del patrimonio,
sia sull’entità sia sulle componenti di produzione del reddito». «Ove invece si discuta di
responsabilità verso il singolo socio o terzo direttamente danneggiato, rilevano solo quelle
violazioni che hanno concretamente cagionato un danno al soggetto male informato: e di
regola solo occultamenti di perdite o di utili, ovvero sopravvalutazioni o sottovalutazioni,
possono creare nel terzo o nel socio quella errata rappresentazione della realtà che lo
induce a tenere un comportamento pregiudizievole per il suo patrimonio».
Nello stesso senso si veda anche Platania, Balzarini, Le conseguenze dell’annullamento del bilancio per violazione del principio di competenza, in Soc., 2008, 53. Cagnasso,
Il bilancio d’esercizio e consolidato, in Le società per azioni di Abriani, Ambrosini,
Cagnasso e Montalenti, in Trattato di diritto commerciale diretto da Cottino, Padova, 2010,
933, ritiene che le deviazioni non assumano rilevanza, tanto sotto il profilo quantitativo
quanto sotto il profilo qualitativo, laddove esse siano «perfettamente decifrabili e comunque non tali da impedire una chiara e corretta informazione». L’autore sottolinea come i
principi sopra enunciati siano ormai acquisti anche dalla giurisprudenza di legittimità. Al
riguardo, si cfr. Cass., 5.1.2000, n. 27, in Vita notarile, 2000, 322; in Giur. it., 2000, 1141; Cass.,
3.9.1996, n. 8048, in Foro it., 1996, I, 2686; Cass., 18.3.1986, n. 1839, in Impresa, 1986, 1333; in
Riv. commercialisti, 1986, 628; in Soc., 1986, 722; in Foro it., 1987, I, 1232; in Giust. civ., 1987,
I, 926; in Foro padano, 1987, I, 31, con nota di Zucchellini.
Per Cass., 13.1.2012, n. 390, in Soc., 2012, con nota di Ferrari, «nelle spa la diligenza
richiesta agli amministratori in sede di redazione del bilancio non si estende alla verifica
analitica delle singole poste contabili in esso indicate, richiedendosi agli amministratori
soltanto il controllo della corrispondenza delle poste del conto economico con la contabilità sociale».
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
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alla perizia tecnica, non può arrivare al punto di far ritenere che soltanto la
contabilizzazione totalmente scevra da errori e irregolarità esoneri gli stessi
da ogni responsabilità.
In considerazione di ciò, la diligenza degli amministratori è spesso misurata
valutando gli strumenti di controllo e di analisi di cui hanno dotato la società.
Dunque, in linea di principio, in un sistema complesso quale quello normalmente assunto dalle moderne società di capitali, potrà essere ritenuto
negligente un amministratore che non abbia dotato la società di un sistema
informatico e di un personale di controllo idoneo e adeguato alla contabilizzazione delle fatture, degli incassi, ecc., ma difficilmente – pur in presenza
di errori contabili - potrà attribuirsi una negligenza all’amministratore che
abbia dotato la società di sistemi informatici e di personale di controllo di
elevatissimo standard.
Infine, va considerato che le iscrizioni contabili molto spesso non sono
frutto di un mero processo di raccolta dati e di una loro mera catalogazione, bensì, molto diversamente, di una attività valutativa complessa, come
si evince dalla stessa rubrica dell’art. 2426 c.c. che stabilisce i cc.dd. “criteri
di valutazione”.
Ed è facile intendere – come già anticipato – che le appostazioni che
dipendono da un processo valutativo si connotano inevitabilmente per un
margine di discrezionalità4.
Per tale ragione, laddove l’iscrizione contabile risultasse opinabile e non
pienamente rappresentativa della situazione patrimoniale della società, ma
fosse stata comunque compiuta nei limiti della discrezionalità consentita
dai criteri dettati dal legislatore, si dovrà escludere, in via di principio, la violazione di un obbligo di condotta che possa determinare una responsabilità
dell’amministratore5.
4
Ovviamente, come ha avuto modo di precisare Cass., 23.6.2008, n. 17033, in Fallimento, 2009, 565, con nota di Zamperetti; in Giust. civ., 2009, I, 2437, con nota di Brizzi, a
proposito dei criteri di valutazione dei crediti, «l’art. 2425 n. 6 c.c. (nella vecchia formulazione), disponendo che, ai fini dell’iscrizione nell’attivo del bilancio di società per azioni,
i crediti “devono essere valutati secondo il presumibile valore di realizzazione”, non attribuisce agli amministratori una discrezionalità assoluta, ma implica una valutazione fondata sulla situazione concreta, secondo principi di razionalità».
5
Si cfr. Calvo, Il caso Isveimer: il principio di rappresentazione veritiera e corretta nel
bilancio di esercizio, in Soc., 2008, 1483. Si legge nella nota: «[…] in via generale, l’inevitabile probabilismo in sede di previsioni rende ragionevoli più valutazioni; l’essere
le valutazioni condizionate dalle concezioni che si hanno delle possibilità operative
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Sulla questione dei «confini entro i quali può spaziare il potere discrezionale degli amministratori» e della «sindacabilità del suo corretto esercizio
da parte del giudice e del contenuto del potere di controllo», la giurisprudenza, ad esempio in riferimento al problema della valutazione dei crediti,
ritiene che siano «ormai lontane nel tempo le chiusure giurisprudenziali che
negavano la sindacabilità della valutazione»6.
Così, partendo dal presupposto che «i crediti costituiscono beni che
hanno un loro valore predeterminato certo ed oggettivo» e che, tuttavia,
è «la capacità economica e patrimoniale del debitore la variabile che condiziona il valore del bene ed è di essa che occorre tener conto», è stato
ritenuto che «l’amministratore è chiamato a formulare un giudizio di prevedibilità che consiste nel riscontrare i dati oggettivi, conosciuti o conoscibili,
idonei a modificare la condizione economico-patrimoniale del debitore e a
determinare, eventualmente, la necessità di svalutare il credito. In sostanza,
l’amministratore deve formulare un giudizio di probabilità quanto alla condotta futura del debitore, tenuto conto della sua solvibilità apparente. Compito del giudice è poi quello di verificare se, secondo l’id quod plerumque
dell’azienda, permette i ragionamenti più vari con la conseguenza che le valutazioni
potrebbero essere tutte vere anche se, in ipotesi, in un caso il discorso si articoli su
un piano di gestione prudenziale ed in un altro su una prospettiva rischiosa, trovando
luogo, in relazione ai criteri seguiti, valutazioni opposte, ma coerenti alle esigenze
attuali dell’impresa. Tuttavia, anche se le valutazioni sono il risultato di un procedimento del pensiero umano, il quale, pur ponendosi in atteggiamento di neutrale e non
prevenuta ricerca, non giunge se non a rappresentazioni soggettive della realtà oggettiva, la formula della rappresentazione veritiera e corretta si riferisce all’esigenza di
operare stime corrette – cioè corrispondenti alle funzioni del bilancio d’esercizio e alla
situazione dei componenti patrimoniali – e di riferirne il risultato senza deformazioni
o accomodamenti».
6
Trib. Salerno, 12.1.2010, in Fallimento, 2010, 1191, con nota di Signorelli. In effetti
si è assistito nella giurisprudenza al progressivo riconoscimento di un sindacato sempre
più stringente sulle valutazioni compiute dagli amministratori, soprattutto in ordine alla
appostazione di fondi.
Infatti, dalle iniziali posizioni che escludevano la possibilità di censurare la scelta
discrezionale degli amministratori, si è passati ad un orientamento secondo il quale, si cfr.,
ad esempio, Trib. Milano, 10.10.1991, in Soc., 1992, 665, con nota di Balzarini, «la discrezionalità dei competenti organi sociali» «non» potrebbe «essere censurata se non per
evidente arbitrarietà ed insufficiente illustrazione delle ragioni che hanno consigliato la
costituzione del fondo», sino a giungere alle attuali posizioni della giurisprudenza che
ammettono un sindacato della valutazione degli amministratori molto penetrante da parte
dell’autorità giudiziaria.
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accidit, i presupposti di fatto, esattamente individuati, potessero o meno
fondare le conseguenze ipotizzate dall’amministratore, senza possibilità di
valorizzare le circostanze sopravvenute, non conosciute, né conoscibili ex
ante». La valutazione non sarebbe, quindi, censurabile «se gli amministratori dimostrano con adeguata motivazione, di avere rispettato un criterio
prudenziale nella valutazione dei rischi, mentre lo è in ipotesi di assoluta
arbitrarietà ed insufficiente spiegazione delle ragioni addotte a conforto»
della valutazione compiuta7.
Molto spesso le irregolarità contabili costituiscono per gli amministratori il mezzo attraverso il quale viene realizzato un ulteriore illecito.
Si è già esposto al precedente capitolo terzo come la prosecuzione
dell’attività sociale dopo la perdita del capitale sociale ai sensi dell’art. 2447
c.c., in violazione degli artt. 2485 e 2486 c.c., presupponga frequentemente la
redazione della situazione patrimoniale o del bilancio con artifici contabili
che occultano la intervenuta perdita del capitale sociale.
La irregolare tenuta della contabilità può, cioè, costituire il presupposto
della illegittima prosecuzione dell’attività sociale dopo il verificarsi dello
scioglimento della società per perdita del capitale sociale e, quindi, della
7
Trib. Salerno, cit., che ha pure precisato: «La motivazione, esplicitata nella “nota
integrativa”, che costituisce parte integrante del bilancio, concretizza di significato la prudenza. Così, se non vi sono circostanze esterne percepibili che possano far dubitare della
piena esigibilità del credito, occorre che gli amministratori ne diano atto e la valutazione
al nominale risulterà pienamente coerente con la situazione esistente. Se sono, invece,
conoscibili circostanze tali da far dubitare della esigibilità del credito, allora esse necessariamente devono essere indicate. La “prudenza” e ragionevolezza della valutazione dei
crediti sociali è condizionata, dunque, dall’individuazione dei dati che alimentano una
prognosi sulla solvibilità dei debitori. Per questo, come già ritenuto, occorre tener conto
della particolare qualità del debitore, dell’andamento dei rapporti pregressi nei confronti
dello stesso soggetto, della regolarità dei pagamenti e di tutti quelli valutabili per accertare
l’insolvenza. La profonda diversità dei presupposti di fatto, necessariamente differenti da
debitore a debitore, dovrebbe fare escludere che il sindacato debba però essere operato
con riguardo alla globalità dei crediti».
La sentenza ha poi affermato che «nel caso in esame, giacché il Fallimento censura la valutazione della quota di accantonamento per crediti verso contribuenti per
interessi di mora nel bilancio […], individuando in tale arbitraria iscrizione rispetto al
valore reale la causa del dissesto della fallita società e del danno prodotto, il sindacato
del Tribunale deve essere sorretto probatoriamente dai dati che la stessa Curatela abbia
fornito per dimostrare l’erroneità o la falsità dell’appostazione, non essendo valorizzabili le censure meramente fondate su deduzioni di inverosimiglianza o astratta inattendibilità dei dati».
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232 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
responsabilità degli amministratori per il compimento di nuove operazioni
speculative. Al riguardo, si fa rinvio al capitolo terzo, § 10, ove è stato anche
richiamato, con osservazioni critiche, l’orientamento secondo il quale nella
ipotesi di irregolare tenuta della contabilità (più precisamente, di sostanziale inesistenza o irreperibilità della contabilità) si determinerebbe l’inversione dell’onere della prova sul quantum del risarcimento da prosecuzione
dell’attività, ovvero il giudice avrebbe la facoltà di procedere alla valutazione del danno in via equitativa.
Inoltre, le irregolarità contabili risultano spesso funzionali alla creazione
di fondi neri, fondi che sono poi utilizzati per il perseguimento dell’oggetto
sociale, ovvero, addirittura, per scopi extrasociali e, cioè, nell’interesse degli
amministratori, dei soci o di terzi8.
Le irregolarità contabili possono anche essere finalizzate alla emersione
di utili fittizi da distribuire ai soci o, al contrario, per simulare perdite che
consentano di evitare il pagamento delle imposte.
In tutte le ipotesi di illecito che hanno quale presupposto una irregolare tenuta della contabilità, le conseguenze pregiudizievoli della condotta
degli amministratori saranno apprezzate, giudicate e sanzionate sulla base
delle finalità che gli stessi si prefiggevano e, quindi, dell’illecito complessivamente commesso9.
In molti casi, però, come segnalato in precedenza, le irregolarità contabili non sono specificamente preordinate alla commissione di altri illeciti.
8
Con riferimento specifico alla creazione di fondi occulti, Cecchi, Gli amministratori
di società di capitali, in Il Diritto privato oggi, serie a cura di Cendon, Milano, 1999, 478 e
479, rileva come «l’occultamento di fonti ingenti determina un pregiudizio ed un danno
– per lo più potenziale ed in via mediata – in quanto indebolisce la consistenza patrimoniale della società – obbligandola al reperimento di risorse all’esterno attraverso onerose
operazioni finanziarie – ed un conseguente danno per i soci in sede di assemblea chiamata
a deliberare circa la distribuzione dei dividendi»; a questi, andrebbero aggiunti i pregiudizi
relativi agli «effetti nell’utilizzazione dei fondi occulti».
9
Cecchi, cit., 477, sottolinea come siano «frequenti le decisioni relative alla tenuta di
una doppia contabilità o ad altri artifici volti a rappresentare una situazione patrimoniale
non rispondente alla realtà o alla creazione di fondi occulti sottratti alla disponibilità della
società, utilizzabili anche per attività illecite» e che, tuttavia, «quando la giurisprudenza
ha affermato una responsabilità degli amministratori in relazione ad irregolarità contabili,
il danno è stato individuato in altre violazioni, solo agevolate dalla mancata o difettosa
tenuta delle scritture contabili».
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
233
Le mere irregolarità contabili senza ulteriori illeciti di solito non determinano una responsabilità civile degli amministratori10 nei confronti della
società perché, in linea generale, e salvo casi specifici, non cagionano alla
stessa alcun danno (mentre sono del tutto idonee, in astratto, a procurare
un danno nei confronti dei terzi, come si dirà avanti). Si consideri, per fare
un esempio, il caso in cui nell’attivo di bilancio fossero esposti crediti che,
invece, già all’atto della redazione dello stesso risultavano palesemente irrecuperabili: l’errore non procurerebbe alcun pregiudizio alla società; l’asset,
infatti, non faceva comunque parte del patrimonio della società indipendentemente dall’errore contabile.
La giurisprudenza ha, peraltro, precisato che in termini teorici «nulla
esclude che dette violazioni siano, di per sé stesse, causative di un danno»
e che possano costituire «concausa del dissesto della società11»; resta peraltro evidente che la sussistenza di un danno procurato da un mero errore
contabile costituisce una ipotesi non comune, che riguarda, di norma, casi
di modesta rilevanza, restando comunque necessario, come espressamente
ribadito anche dalla giurisprudenza richiamata, che la «particolare incidenza causale» sia «dimostrata»12.
La giurisprudenza è, quindi, ferma nel sostenere che le irregolarità contabili costituiscano certamente un comportamento inadempiente e censurabile, «ma non» siano «sufficienti ad integrare la fattispecie di responsabilità,
la quale richiede, altresì, l’allegazione e la prova, almeno presuntiva, di un
danno conseguente»13.
10
Bartalini, cit., 59 e ss., sottolinea come in alcuni casi la giurisprudenza, in caso di
irregolare tenuta della contabilità, abbia invece emesso pronunce di natura sostanzialmente sanzionatoria, come Trib. Milano, 8.2.1999, in Sole 24 Ore, Guida dir., 1999, 8, 84,
che «in un caso di irregolare tenuta della contabilità, ha stabilito il danno, in via equitativa,
nella misura del 2% del totale del passivo fallimentare».
11
Cass., 28.5.1998, n. 5287, in Foro it., 2000, I, 242, con nota di Delle Vergini; in Giust.
civ., 1998, I, 3113, con nota di Vidiri.
12
Cass., 28.5.1998, n. 5287, cit.
13
Si cfr. Trib. Roma, 18.11.2008, in Foro it. Merito extra, 2009, che ha respinto la
domanda proposta dal fallimento sostenendo che l’attore, restando «nell’ambito di una
assai generica imputazione di irregolare tenuta della contabilità e dei documenti societari»
non aveva allegato «circostanze dannose, che devono pur ricorrere in presenza di un disordine contabile altrimenti irrilevante ai fini risarcitori».
In senso conforme: Trib. Milano, 14.11.2006, in Soc., 2007, 864 con nota di Leone;
Trib. Milano, 16.1.1995, in Gius, 1995, 3572; Trib. Milano, 18.5.1989, in Soc., 1989, 163; Trib.
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234 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
Milano, 17.10.1988, in Soc., 1989, 274, con nota di Galasso; Trib. Milano, 3.6.1988, in Giur.
comm., 1989, II, 945, con nota di Lamberti; Cass., 28.5.1998, n. 5287, cit.; Cass., 28.4.1997,
n. 3652, in Resp. civ. e prev., 1998, 424, con nota di Balzarini; in Foro it., 1998, I, 3247; in Giur.
it., 1998, 287; in Vita notarile, 1998, 261; in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 1998, II, 13; in Riv.
notariato, 1998, 1027; App. Milano, 9.10.1984, in Soc., 1985, 177; Trib. Monza, 26.3.1985, in
Arch. civ., 1985, 1453; Trib. Roma, 19.1.1982, in Soc., 1983, 337; Cass., 29.7.1979, n. 4415, in
Giur. comm., 1980, II, 325; Cass., 14.5.1981, n. 3176, in Fallimento, 1981, 887; Trib. Milano,
20.9.1976, in Giur. comm., 1978, II, 288; Trib. Genova, 19.9.1988, in Foro padano, 1989, I, 158.
Per Trib. Catania, 18.2.1998, in Foro. it., 1998, I, 3248; in Dir. fall., 1998, II, 215, occorre
la «dimostrazione in concreto che, ove l’organo amministrativo avesse osservato i doveri
funzionali inerenti la regolare tenuta della contabilità, suoi propri e specifici, quel determinato danno dedotto in giudizio non si sarebbe verificato. […] Non può, pertanto, utilmente
esperirsi un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori laddove si alleghino le irregolarità contabili, ma manchi la allegazione di quale danno sia derivato dalle
stesse». Il Tribunale si è anche fatto carico di specificare che le «irregolarità nella tenuta
delle scritture contabili non possono determinare l’inversione dell’onere della prova relativamente al nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno».
Cass., 23.2.2005, n. 3774, in Giur. it., 2005, 1637, con nota di Iozzo, in un caso di irregolarità contabili commesse dall’amministratore idonee a celare un ammanco di cassa, riformando la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva condannato l’amministratore
al risarcimento dei danni quantificandoli appunto nell’ammanco di cassa esistente al
momento delle sue dimissioni, ha ritenuto che l’amministratore dovesse essere ammesso
a fornire la prova della esistenza dell’ammanco già al momento della sua nomina e che
qualora tale circostanza fosse risultata provata la società non avrebbe subìto alcun danno
direttamente collegabile alla irregolarità contabile commessa.
Conforme la dottrina assolutamente prevalente; si cfr. Panzani, cit., 973; Bonelli, Violazioni in tema di bilancio e responsabilità degli amministratori, cit., 321; Id., Gli amministratori di società per azioni, cit., 303.
Si rinvengono, peraltro, anche decisioni di segno opposto che ricollegano automaticamente il danno a violazioni di carattere formale; per Cass., 21.3.1974, n. 790, in Giur. comm.,
1974, II, 509, gli amministratori hanno «[...] il primario dovere di curare che l’amministrazione sia tenuta in modo da rendere possibile il controllo sotto il profilo contabile e
amministrativo, per cui la irregolare tenuta della contabilità e delle scritture, che rende
impossibile la ricostruzione a posteriori delle vicende della gestione sociale, è causa specifica ed autonoma di danni ai creditori sociali».
Cass., 19.12.1985, n. 6493, in Giur. comm., 1986, II, 813; in Soc., 1986, 505; in Giur. it.,
1986, I, 1, 374, ha osservato che «[…] l’amministratore che tenga i libri contabili in modo
sommario e non intellegibile [...] ovvero non si adoperi per eliminare il disordine esistente
nelle scritture lasciategli dal suo predecessore, pone in essere atti illeciti potenzialmente
idonei a produrre pregiudizio alla società e, quindi, tali da giustificare la condanna al risarcimento del danno a seguito di azione di responsabilità promossa dalla società stessa».
Per Cass., 4.4.2011, n. 7606, in Soc., 2011, 726, «la totale mancanza di contabilità sociale
o la sua tenuta in modo sommario e non intellegibile, è di per sé giustificativa della condanna dell’amministratore al risarcimento del danno in sede di azione di responsabilità
promossa dalla società a norma dell’art. 2392 c.c., vertendosi in tema di violazione da
parte dell’amministratore medesimo di specifici obblighi di legge, idonea a tradursi in un
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
235
La giurisprudenza più avvertita ha anche precisato che «la prova del
danno non può, in mancanza di altri indizi, essere presunta esclusivamente a
causa delle inosservanze di obblighi formali» e che, pertanto, «è onere di chi
agisce dimostrare che il comportamento degli amministratori ha causato,
per colpa, un effettivo depauperamento del patrimonio, provocato o per
effetto della sottrazione di beni sociali, o per effetto dell’incremento ingiustificato delle passività»14.
Quali ipotesi di danno della società, direttamente dipendenti dalla tenuta
irregolare della contabilità, sono stati indicati i costi ulteriori sostenuti per la
ricostruzione della contabilità sociale, oppure l’impossibilità per il curatore
di incassare un credito o di dimostrare l’avvenuto pagamento di un debito
sociale a causa del disordine contabile, o, ancora, il mancato pagamento di
pregiudizio per il patrimonio sociale». In senso conforme si vedano anche Cass., 4.4.1998,
n. 3483, in Soc., 1999, 62, con nota di Zucconi; in Giur. it., 1999, 324; in Dir. fall., 1999, 253,
con nota di Gismondi; in Giust. civ., 1999, 1809, con nota di Schermi; Cass., 19.11.1976,
n. 4338, in Mass. Foro it., 1976; Cass., 9.7.1979, n. 3925, in Dir. fall., 1979, II, 453; Trib. Roma,
19.11.1984, in Soc., 1985, 1175. Peraltro, anche tali pronunce sono poi “costrette” ad individuare un effettivo pregiudizio concreto conseguente alle irregolarità contabili da ascrivere
agli amministratori, come – ad esempio – quello costituito dalle sanzioni applicate per il
mancato corretto pagamento delle imposte, confermando in tal modo come la sola irregolarità contabile non possa costituire fonte del pregiudizio per la società e, quindi, della
responsabilità degli amministratori.
14
Trib. Milano, 2.3.1995, in Soc., 1996, 57, con nota di Morelli.
In senso parzialmente contrario, Trib. Milano, 17.9.1998, in Fallimento, 1999, 226,
secondo il quale la inesistenza delle scritture contabili che consente di occultare il compimento di operazioni economiche determina l’inversione dell’onere della prova a carico
degli amministratori.
Il principio è stato, in verità, più volte espresso in giurisprudenza, soprattutto
da sentenze più risalenti. Tuttavia, nella maggioranza dei casi si trattava di azioni di
responsabilità promosse da procedure concorsuali nei confronti di amministratori ai
quali era ascritta la responsabilità per aver illegittimamente proseguito nell’attività
sociale e aggravato il dissesto della società anche grazie alla irregolare tenuta – o addirittura alla inesistenza – della contabilità. Casi evidentemente diversi rispetto alle ipotesi di mere irregolarità contabili. Senza considerare che, come indicato al precedente
capitolo terzo, § 10, appare comunque non condivisibile anche l’orientamento che
ritiene equo – nella ipotesi in cui la procedura concorsuale abbia difficoltà ad individuare le operazioni dannose compiute o l’aggravamento del passivo determinatosi per
effetto della prosecuzione dell’attività sociale a causa della mancanza delle scritture
contabili imputabile agli amministratori – porre a loro carico un danno determinato
forfettariamente (molto spesso l’intero passivo fallimentare, o la differenza tra attivo
e passivo), senza correttivi.
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236 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
imposte e contributi15 con conseguente addebitabilità alla società di sanzioni
ed interessi altrimenti non dovuti16.
La dottrina ha formulato anche l’ipotesi della predisposizione di un
bilancio approvato con così gravi irregolarità da essere successivamente
annullato. In tal caso, agli amministratori potrebbero essere imputati, innanzitutto, i costi che la società deve sostenere per la rinnovazione dello stesso;
altro danno potrebbe essere costituito dai costi dissimulati e, quindi, indeducibili per la società.
15
È evidente, tuttavia, che in tale ipotesi il danno è determinato non dalla sola irregolare tenuta della contabilità, ma dalla ulteriore circostanza del mancato pagamento
delle imposte: è altresì evidente che l’ammontare del danno al quale gli amministratori
potranno essere tenuti non sarà pari a tutte le imposte che la società dovrà pagare, ma
soltanto ai maggiori importi da versare a titolo di sanzioni, interessi moratori, e così via.
Così, ad esempio, Trib. Roma, 19.11.1984, in Soc., 1985, 1175, con nota di Salafia, dopo
aver affermato che «la irregolare tenuta della contabilità e il mancato pagamento delle
imposte concretizzano atti illeciti dell’amministratore, idonei a produrre pregiudizio
alla società e quindi tali da giustificarne la condanna al risarcimento del danno», lo ha
correttamente quantificato in misura pari agli esborsi conseguenti alle sanzioni, ma non
all’importo delle imposte non pagate, che la società avrebbe sostenuto in ogni caso.
16
Si cfr. Trib. Roma, 18.11.2008, in Foro it. Merito extra, 2009; allo stesso modo, Trib.
Milano, 13.11.2006, n. 12339, in Soc., 2008, 79, con nota di Brutti, che, in una particolare
fattispecie ha rilevato che «l’operazione di appostazione di proventi non ancora maturati,
per quanto pervenuti nell’esercizio successivo, costituisce certamente una netta violazione
del principio di competenza che, però, non ha provocato alcun danno, né alla società, né
ai terzi investitori […], trattandosi di operazioni di compravendita di titoli azionari per le
quali la società attrice aveva funto realmente da intermediaria della società controllante,
ottenendo i proventi solo nell’anno successivo». La sentenza ha anche ravvisato un’altra
irregolarità contabile «derivata dal fatto che il credito non era ancora esistente ma solo
previsto», ma ha rilevato come dalla stessa comunque «non sarebbe conseguito alcun
danno per la società, che ha comunque realizzato il credito nell’esercizio successivo». Più
in generale, il Tribunale di Milano ha statuito che i bilanci, nonostante le irregolarità contabili, e «pur con le doverose correzioni», rappresentavano «in ogni caso un patrimonio
netto positivo superiore all’ammontare del capitale sociale» e che, pertanto, «la correzione
dei dati contabili riferiti alle effettive operazioni compiute e ai conferimenti effettuati non
aveva provocato alcun danno patrimoniale per la società».
In dottrina, Galasso G., Azione di responsabilità contro gli amministratori, in Soc.,
1989, 270, sottolinea come in effetti, «la decisione si pone sulla scia del costante orientamento della giurisprudenza, condiviso anche dalla dottrina, che considera le violazioni in
materia contabile di per sé non idonee a rendere responsabile l’amministratore. Si nota,
infatti, dall’analisi della ricca casistica giurisprudenziale in materia, che il riconoscimento
della responsabilità degli amministratori ex artt. 2392 e 2409, c.c., avviene sempre quando
le irregolarità sono accompagnate da altri inadempimenti, che determinano un danno alla
società».
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
237
È stato ancora ipotizzato un danno conseguente ad un accertamento
fiscale induttivo dell’imponibile giustificato dalla inattendibilità delle scritture e dei libri contabili.
«Infine, nel danno in esame potranno confluire gli eventi di lucro cessante, quali sono quelli consistenti nell’interruzione di trattative per operazioni economicamente vantaggiose per l’impresa, ovvero nell’interruzione
di rapporti di credito bancario, a causa delle negative informazioni desumibili dal bilancio manipolato sia pure a scopo esclusivamente fiscale»17.
Va poi considerato – quale ulteriore corollario - che «l’azione sociale
di responsabilità (e la richiesta di condanna al risarcimento conseguente)
non può essere accolta esclusivamente sulla base di un rischio o pericolo di
danno astratto»18; al fine di poter affermare la responsabilità degli amministratori occorre, cioè, provare la esistenza di un danno al patrimonio sociale
concreto ed attuale, non risultando sufficiente la prospettazione di un danno
futuro non certo.
2. La responsabilità degli amministratori nell’ipotesi di sottoscrizione di
azioni, quote od obbligazioni sociali e nell’ipotesi di vendita di azioni
proprie.
Non vi è dubbio che le irregolarità contabili possano costituire fonte di
nocumento per i terzi diversi dalla società, compresi i soci, con conseguente
responsabilità degli amministratori nei loro confronti.
17
Salafia, op. e luogo citt., dalla quale sono tratte anche tutte le altre ipotesi di danno
indicate nel testo. L’autore, riferendosi al tema della dissimulazione dei costi, osserva come
di solito la stessa si accompagni alla dissimulazione dei ricavi corrispondenti.
L’autore sottolinea ancora che «la consapevolezza dei soci, relativamente alle irregolarità a causa delle quali l’Autorità giudiziaria pronuncia la nullità del bilancio, costituisce
un rilevante elemento di concorso della società, per il tramite dell’assemblea, nella produzione dell’evento dannoso che, pur non scriminando la responsabilità dell’amministratore, tuttavia contribuisce ad imputare il danno essenzialmente alla società medesima ed a
quelli dei soci che hanno votato a favore dell’approvazione».
18
Trib. Milano, 17.10.1988, in Soc., 1989, 270; la sentenza ha stabilito che per affermare
la responsabilità degli amministratori occorre provare la esistenza di un danno al patrimonio sociale concreto ed attuale derivante dalle irregolarità contabili ed escluso che sia
sufficiente il «rischio» per la società «di sanzioni pecuniarie per irregolarità contabili o per
ritardi od omissioni nei versamenti dei contributi previdenziali».
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238 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
Le irregolarità contabili, infatti, soprattutto allorquando si riflettano in
documenti di rilevanza esterna (quali, ad esempio, i bilanci, le situazioni
patrimoniali e le relazioni destinate ad essere depositate o comunque diffuse presso terzi, i prospetti informativi, ecc.), possono di certo costituire
presupposti idonei ad integrare la fattispecie dettata dall’art. 2395 c.c.
Ovviamente, le irregolarità contabili debbono essere idonee a trarre in
errore il socio o il terzo – compreso il creditore – sulla situazione patrimoniale ed economica della società inducendolo a scelte destinate a produrgli
un pregiudizio che in mancanza delle suddette irregolarità sarebbe stato in
grado di evitare.
La responsabilità degli amministratori nei confronti dei soci e dei terzi
per irregolarità contabili è spesso rappresentata mediante l’individuazione
di ipotesi specifiche, vere e proprie ipotesi tipizzate.
Un primo caso tipico è quello nel quale i soci o i terzi, sulla base delle
risultanze della situazione patrimoniale della società, siano stati indotti a
sottoscrivere le azioni «a prezzo superiore al valore effettivo delle stesse»19.
Altra ipotesi specifica è rappresentata dalla fattispecie nella quale «il
socio ha sottoscritto un aumento di capitale senza che gli amministratori
avessero fatto risultare che il capitale era interamente perduto»20.
È stato, infatti, sottolineato che «nel caso in cui gli amministratori omettano di evidenziare tutte le perdite medio tempore verificatesi, si ingenera
nei soci e nei terzi fiducia nella “solidità” economica dell’impresa, che invece
è già minata dall’andamento della gestione, con ciò ben potendosi indurre
costoro a sottoscrivere un aumento di capitale il cui importo è già sostan-
19
Si veda Cass., 2.6.1989, n. 2687, in Soc., 1989, 1034, con nota di Galasso; Trib. Milano,
16.10.1989, in Soc., 1990, 902, con nota di Galasso; Trib. Milano, 23.9.1983, in Foro padano,
1983, I, 505.
Si cfr., seppure in una fattispecie in parte diversa, Trib. Milano, 17.7.1997, in Foro padano,
1998, I, 139, con nota di Meneghini, secondo cui «è ammissibile la domanda di risarcimento
del danno derivante da fatto illecito proposta dai soci di una società di capitali soggetta
a procedura concorsuale nei confronti degli amministratori e dei sindaci; costituisce fatto
illecito la redazione e la diffusione da parte degli amministratori e dei sindaci di un prospetto informativo falso, volto ad indurre i risparmiatori a sottoscrivere le quote di una
società; la domanda di risarcimento è fondata anche nei confronti dei sindaci responsabili ai sensi dell’art. 2043 c.c., indipendentemente dalla esperibilità nei loro confronti
dell’azione di responsabilità individuale ex art. 2395 c.c.».
20
Trib. Milano, 22.9.1986, in Soc., 1987, 162; sullo stesso tema si è anche pronunciato
Trib. Napoli, 16.6.1986, in Soc., 1986, 1345.
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
239
zialmente ed interamente perduto perché assorbito dai debiti dell’impresa.
In tal caso il danno è direttamente patito dai sottoscrittori, essendo questo
danno da loro direttamente risentito e non come effetto mediato di un danno
arrecato al patrimonio della società: anzi la sottoscrizione dell’aumento del
capitale giova al patrimonio della società, in quanto assicura i mezzi sia pure
limitati, per far fronte ai debiti sociali»21.
In queste ipotesi, l’accertamento della responsabilità risarcitoria degli
amministratori presuppone che si provi, oltre alla colposa o dolosa commissione delle irregolarità contabili per effetto delle quali sia risultata mascherata la situazione patrimoniale della società, che il socio o il terzo siano stati
indotti proprio dai dati irregolari a sottoscrivere le azioni alle condizioni
rivelatesi dannose22.
Per affermare la responsabilità degli amministratori, è pure necessario
che il socio o il terzo non fossero in grado, utilizzando la ordinaria diligenza,
di conoscere le effettive condizioni patrimoniali ed economiche della società
al momento della sottoscrizione dell’aumento di capitale o dell’acquisto delle azioni. Deve, infatti, ritenersi che, pur in presenza di bilanci che
non rappresentino correttamente la effettiva situazione patrimoniale della
società, sia esclusa una responsabilità risarcitoria degli amministratori ove
21
Trib. S.M. Capua Vetere, 10.10.2006, in Soc., 2008, 486, con nota di Franzini.
22
Trib. Napoli, 16.6.1986, in Soc., 1986, 1345, ha affermato: «Nell’esercizio dell’azione
di responsabilità ex art. 2395 contro gli amministratori e sindaci per falsa, omessa o insufficiente informazione ai soci sulla situazione patrimoniale ed economica della società in
occasione della deliberazione di aumento del capitale sociale, i soci attori sono tenuti ad
allegare e dimostrare il danno sofferto in conseguenza del comportamento ascritto agli
amministratori e ai sindaci, che dovranno essere assolti dalla domanda se quella prova
non sia fornita».
Cass., 25.2.2009, n. 4587, in Foro it., 2009, I, 3355, con riferimento alla responsabilità
della Consob per omessa vigilanza sui dati risultanti dal prospetto informativo predisposto
per la immissione sul mercato di titoli obbligazionari, ha espresso principi e orientamenti
utili anche con riferimento alla fattispecie in esame.
In particolare, ha condiviso la pronuncia di merito con la quale «la Corte territoriale –
facendo applicazione dei principi sulla conditio sine qua non e sulla causalità adeguata, di
cui agli artt. 40 e 41 c.p. – è pervenuta alla conclusione che un tempestivo e corretto esercizio dei poteri di vigilanza della Consob avrebbe dissuaso gli investitori dall’operazione,
orientandoli verso altre forme di investimento, e che, inoltre, ove la Commissione avesse
esercitato il potere, del quale pure essa disponeva, di vietare, data la presenza di gravi
anomalie e inesattezze del prospetto informativo, la sollecitazione all’investimento, l’operazione di sottoscrizione non avrebbe avuto neppure inizio e non avrebbe, quindi, causato
alcun danno ai risparmiatori-investitori».
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la situazione patrimoniale effettiva fosse facilmente conoscibile aliunde, ad
esempio dalle allarmanti notizie di stampa; in tal caso, infatti, viene meno il
necessario nesso di causalità tra la condotta colposa degli amministratori e
il pregiudizio patito dal socio o dal terzo. Questi ultimi, quindi, non avranno
accesso alla tutela risarcitoria, ovvero detta tutela dovrà tener conto del loro
concorso di colpa, qualora siano addivenuti alla conclusione del negozio
di sottoscrizione o di acquisto delle azioni senza usare la diligenza minima
necessaria23.
23
Cass., 25.2.2009, n. 4587, cit., richiamata alla nota precedente, sempre in tema di
responsabilità della Consob per omesso controllo del prospetto informativo, ha escluso
la sussistenza di un concorso di colpa degli investitori che «in un’operazione finanziaria di pubblica sottoscrizione […] compiono le loro scelte di investimento sulla base del
prospetto e ripongono fiducia nel fatto che le informazioni in esso contenute sono per
legge sottoposte ad un’attività di controllo, idonea, secondo la normativa ratione temporis
applicabile, a verificarne la completezza e la esattezza», deducendo che «le informazioni
contenute nel prospetto creano tra il pubblico una disponibilità all’investimento proposto» e che «il superamento del vaglio della supervising authority in ordine all’operazione
di sollecitazione del pubblico risparmio ingenera negli investitori il legittimo affidamento
che quelle informazioni contengano dati veritieri e sono realmente descrittive dei termini
dell’affare».
La Corte ha inoltre condiviso il principio espresso dal giudice di merito secondo il
quale «il risparmiatore legittimamente può fare affidamento sulla veridicità del prospetto
informativo relativo all’investimento finanziario, sottoposto al controllo della Consob, e
non può imporsi allo stesso una ulteriore verifica, gravosa per lo stesso e sostanzialmente
superflua, stante il controllo di veridicità del prospetto informativo spettante all’autorità
di vigilanza».
Ha, invece, ritenuto fondate le censure articolate dai ricorrenti sulla statuizione della
sentenza impugnata «che ha escluso la rilevanza della diffusione di notizie di stampa sul
carattere rischioso dell’operazione finanziaria in questione, sotto il profilo del concorso di
colpa dei danneggiati, messi sull’avviso, o del contegno degli stessi idoneo a produrre un
aggravamento del danno».
La Corte ha, cioè, stabilito che il giudice di secondo grado, in ossequio al principio
dettato precedentemente dalla stessa Cassazione nel medesimo giudizio (la pronuncia di
secondo grado oggetto dell’esame era stata emessa in un giudizio di rinvio conseguente ad
una precedente pronuncia rescindente), avrebbe dovuto «compiere un’analisi delle notizie di stampa, del loro contenuto e della loro consistenza (se, cioè, recanti soltanto mere
opinioni del giornalista o riportanti valutazioni suffragate da fatti obiettivi ed elementi
concreti), del loro grado di diffusione e della loro ripercussione sul mercato dei titoli in
questione»; ha poi precisato che «il giudice del rinvio ha […] finito con l’escludere, in
tesi e in assoluto, che le notizie giornalistiche tout court debbano o possano costituire
una fonte di informazione per l’attento risparmiatore; e, anziché procedere ad un’indagine
individualizzata in ordine al concorso di colpa di ciascun sottoscrittore anche in relazione
all’epoca dell’investimento, è pervenuto ad una conclusione uniforme e generalizzante,
senza distinguere le posizioni dei singoli investitori, né, pertanto, prendere in diversa con-
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
241
Alla ipotesi qui illustrata va equiparata quella nella quale oggetto di sottoscrizione non siano le azioni o quote sociali, ma le obbligazioni emesse
dalla società e sottoscritte da terzi investitori.
Le medesime considerazioni valgono poi per la ipotesi di vendita da
parte della società di azioni proprie.
Il terzo in questi casi conclude con la società, le cui azioni sono oggetto
di cessione, un contratto di vendita, e il danno dovrebbe consistere nell’aver
attribuito un valore alle azioni – e, quindi, nell’aver stabilito e preteso un
prezzo per il loro acquisto – sovrastimato rispetto all’effettivo valore della
partecipazione, mediante l’occultamento e la edulcorazione, con irregolarità contabili, della effettiva situazione patrimoniale della società.
Peraltro, nelle ipotesi sin qui illustrate, la fonte della responsabilità degli
amministratori non risiede – a rigore – esclusivamente nell’aver commesso
le irregolarità contabili, quanto piuttosto nell’operazione di aumento di
capitale sociale con l’offerta delle azioni di nuova emissione a terzi o nella
decisione di vendere le azioni proprie detenute dalla società o, ancora,
nella emissione di obbligazioni, il tutto a condizioni incongrue per eccesso
rispetto alla effettiva situazione patrimoniale ed economica della società.
L’azione risarcitoria diretta a far valere la responsabilità degli amministratori può essere esperita anche nei confronti della società a norma
dell’art. 2049 c.c. e la stessa potrà poi agire in regresso verso gli amministratori responsabili degli artifici contabili.
Ulteriore peculiarità della fattispecie, come emerge dai casi sottoposti
all’esame della giurisprudenza, consiste nel fatto che il terzo pregiudicato
dalle irregolarità contabili, nell’agire in giudizio per far valere la responsabilità risarcitoria degli amministratori ai sensi degli artt. 2395 c.c. (oltre
a quella degli organi di controllo: collegio sindacale, revisore, ed eventualmente Consob) di norma propone in via principale una domanda di annullamento del contratto di acquisto o di sottoscrizione nei confronti della
società venditrice o emittente.
La domanda di annullamento viene fondata su un preteso vizio del
consenso: il terzo assume di essere stato indotto in errore o coartato nella
siderazione la posizione di coloro che, senza porsi dubbi sull’attendibilità del prospetto
autorizzato, acquistarono quote nel periodo successivo alla diffusione delle notizie de quibus e di coloro che, avendo aderito ab origine all’operazione, avrebbero potuto, in ipotesi,
ridurre il danno attraverso una liquidazione delle quote acquistate».
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242 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
sua volontà con dolo, mediante il mascheramento della effettiva situazione
patrimoniale della società.
L’accoglimento della domanda di annullamento – è evidente – esclude
l’interesse a promuovere la domanda diretta a far valere la responsabilità degli amministratori ai sensi dell’art. 2395 c.c., a meno che, a seguito
dell’annullamento del contratto, non residuino per il contraente pregiudizi
che non possano essere richiesti alla società emittente o venditrice, ovvero
che le stesse non abbiano risarcito, ad esempio perché insolventi.
La giurisprudenza è, peraltro, molto cauta; raramente ha riconosciuto
che le false informazioni possano comportare l’annullamento del contratto
di vendita o di sottoscrizione.
In primo luogo, infatti, i «i Giudici di merito hanno per lo più respinto
l’annullamento per dolo della compravendita di azioni sotto il duplice profilo o del difetto probatorio degli artifici o raggiri o della inesistenza in concreto degli estremi dell’attività decettiva»24.
In secondo luogo, la giurisprudenza – chiamata a pronunciarsi in generale su trasferimenti di partecipazioni societarie25 –, sul presupposto che la
cessione di azioni o di quote di una società di capitali abbia come oggetto
immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota
parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta, ha sostanzialmente negato che detta cessione possa essere annullata per carenze o
vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale, salvo che l’attività del cedente sia caratterizzata da un vero e
proprio raggiro26.
24
Carbone, Raggiri e artifizi nella compravendita di azioni non quotate in borsa, in
Soc., 1992, 763.
25
La posizione è assunta dalla giurisprudenza con riferimento alle ipotesi di sottoscrizione delle azioni e di vendita di azioni proprie; stesso orientamento viene espresso nel
caso in cui la compravendita delle azioni avvenga tra terzi e il dolo si presuma posto in
essere non dalla parte venditrice, ma dagli amministratori della società le cui azioni sono
oggetto di trasferimento, che sono evidentemente terzi estranei rispetto al contratto di
compravendita.
26
Ovviamente, a diversa soluzione si deve pervenire ove il cedente abbia espressamente prestato garanzia in ordine alla consistenza patrimoniale della società. Si cfr. Cass.,
19.7.2007, n. 16031, in Giur. it., 2008, 365, con nota di Renna; in Nuova giur. civ., 2008, I,
188, con nota di Muccioli, in Giur. comm., II, 103, con nota di Tina e 2008, II, 1176, con
nota di Parmeggiani; in Dir. e prat. soc., 2008, 8, 52, con nota di Di Legami; in Giur. it.,
2007, 2751; in Vita notarile, 2007, 1206, per la quale «in caso di compravendita di azioni
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
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di una società, che si assume stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo
valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione
patrimoniale della società, il valore economico dell’azione non rientra tra le qualità di cui
all’art. 1429, n. 2, c.c. relativo all’errore essenziale. Pertanto, non è configurabile un’azione
di annullamento della compravendita basata su una pretesa revisione del prezzo tramite
la revisione di atti contabili per dimostrare quello che non è altro che un errore di valutazione da parte dell’acquirente, anche quando il bilancio della società pubblicato prima
della vendita sia falso e nasconda una situazione in forza della quale debbono applicarsi
le norme in materia di riduzione e perdita del capitale sociale, o che imponga la messa
in liquidazione della società»; «nella vendita di azioni, la disciplina giuridica si ferma
all’oggetto immediato e, cioè, all’azione oggetto del contratto, mentre non si estende alla
consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio. A meno che l’acquirente, per
conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un’espressa clausola di garanzia […]»;
«la compravendita di azioni può essere affetta dal vizio costituito dal dolo determinante,
ma il semplice mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società non
sono sufficienti; ricorre dolus malus solo se, tenuto conto delle circostanze di fatto e delle
qualità e condizioni dell’altra parte, il mendacio sia accompagnato da malizie ed astuzie
volte a realizzare l’inganno voluto ed idonee in concreto a sorprendere una persona di
normale diligenza». Si vedano anche App. Milano, 28.1.2009, in Soc., 2010, 339, con nota
di Scarpa; Cass., 13.12.2006, n. 26690, in Giur. comm., 2008, II, 948, con nota di Corallo;
Cass., 9.9.2004, n. 18181, in Mass. Foro it., 2004; Cass., 20.2.2004, n. 3370, in Contr., 2004, 687,
con nota di Carnevali; in Soc., 2004, 969, con nota di Bonavera; in Foro it., 2004, I, 2142; in
Giur. it., 2004, 997; in Vita notarile, 2004, 1031; Cass., 21.3.2001, n. 4020, in Foro it., 2001, I,
1520; Cass., 18.12.1999, n. 14287, in Riv. notariato, 2000, II, 993, con nota di Ghisalberti; in
Vita notarile, 2000, 347. Va anche sottolineato che la richiamata Cass., 20.2.2004, n. 3370,
cit., come, sostanzialmente, Cass., 9.9.2004, 18181, cit., si è pronunciata per l’ammissibilità
di garanzie implicite individuate mediante l’interpretazione complessiva del contratto di
cessione; la più recente, Cass., 19.7.2007, n. 16031, cit., sopra espressamente richiamata, presuppone, invece, come visto, che debbano essere predisposte espresse e specifiche clausole
di garanzia.
Carbone, Raggiri e artifizi nella compravendita di azioni non quotate in borsa, cit., ha
precisato che l’annullamento per dolo può essere invocato soltanto ove si dia la prova
«di un’effettiva volontà di raggirare i sottoscrittori o comunque della consapevolezza di
tale raggiro». Oltretutto, non si potrebbe neppure «invocare l’annullamento per errore
sulle qualità delle azioni sottoscritte, poiché, al di là dell’apprezzabilità dell’errore sotto il
profilo quantitativo, è pacifico che negli atti traslativi di azioni l’oggetto del contratto consiste esclusivamente nella partecipazione sociale, ossia nell’insieme di diritti e situazioni
giuridiche rientranti nello status di socio, mentre la quota parte del patrimonio sociale che
l’azione rappresenta viene acquisita dal socio come effetto mediato dell’atto acquisito,
con la conseguenza che, qualora si assuma che il corrispettivo di acquisto delle azioni
non corrisponda al loro reale valore economico, quest’ultimo non rientra le qualità di cui
all’art. 1429, n. 2 c.c., relativo all’essenzialità dell’azione […]; e questa conclusione deve
valere a maggior ragione in casi […] in cui il patrimonio netto della società rappresenta
solo uno degli elementi che concorrono a determinare il valore di mercato dell’azione, che
dipende anche dalla “storia” della società, dalle sue dimensioni, dal mercato in cui opera e
dalle sue prospettive di crescita».
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244 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
Sulla base delle stesse argomentazioni la domanda di annullamento di
un contratto di compravendita di azioni è stata respinta persino in un caso
nel quale il venditore ricopriva la carica di amministratore della società le
cui azioni erano oggetto del negozio27.
Va anche segnalato che, se è vero che l’annullamento del contratto
fa venire meno, in linea di massima, il danno del contraente, e, quindi, la
responsabilità civile degli amministratori nei suoi confronti, è altrettanto
vero che la società sarà legittimata ad agire in regresso nei confronti degli
amministratori, o comunque a far valere la loro responsabilità, per i pregiudizi che avesse subìto in conseguenza di detto annullamento.
3. (Segue) La determinazione del danno nell’ipotesi di sottoscrizione di
azioni, quote od obbligazioni sociali e nell’ipotesi di vendita di azioni
proprie.
Nelle ipotesi sin qui illustrate, il socio o il terzo, nel far valere la responsabilità in discussione, sono chiamati ad allegare e documentare che in
mancanza degli artifici contabili non avrebbero sottoscritto o acquistato le
Si cfr.no anche Bonelli, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento,
a cura di De Andrè, Milano, 1990; D’Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali
e tutela dell’acquirente, Milano, 2003, 13 e ss.; Iorio, Struttura e funzioni delle clausole di
garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, Milano, 2006; Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, 169.
27
Trib. Milano, 3.10.1991, in Soc., 1992, 4, 517, con nota di Liconti; in Foro it., 1992,
I, 1583, ha respinto la domanda di annullamento della vendita di partecipazioni sociali
affermando che il contratto in questione aveva «per oggetto il trasferimento del complesso dei diritti (patrimoniali, amministrativi) che costituiscono lo status di socio e non,
direttamente, i beni sociali; conseguentemente le eventuali diversità riscontrate nella
consistenza del patrimonio sociale (per effetto delle quali il valore del patrimonio stesso
risulti diminuito a seguito di sopravvenienze di passività o minusvalenze di cespiti attivi)
non costituiscono vizio rilevante per la risoluzione o l’annullamento del contratto, a meno
che l’alienante delle quote non abbia espressamente garantito un determinato valore del
patrimonio della società. […]. Pertanto, la differente consistenza dei beni patrimoniali
della società non incide sull’oggetto del contratto, o sulla qualità della partecipazione, e la
sopravvenienza di passività o la minusvalenza di cespiti attivi, per effetto dei quali il valore
del patrimonio sociale risulti diminuito, non possono costituire un vizio rilevante ai sensi
della disposizione prevista dall’art. 1490, c.c., qualora l’alienante non abbia espressamente
assunto la garanzia circa la consistenza del patrimonio sociale».
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
245
azioni dalla società, oppure le differenti condizioni alle quali sarebbero stati
disposti ad effettuare l’operazione.
In quest’ultimo caso, il danno sarà pari alla differenza tra il prezzo di
sottoscrizione o di acquisto delle azioni e quello che il socio o il terzo sarebbero stati disposti ad offrire in assenza del mascheramento della effettiva
situazione patrimoniale ed economica della società28; nel primo caso, invece,
i soci o il terzo avranno diritto di richiedere un danno pari all’ammontare
del capitale investito per sottoscrivere o acquistare le azioni.
Questo, ovviamente, sul presupposto che le azioni non conservino alcun
valore, neppure minimo.
Così, ad esempio, nella ipotesi di sottoscrizione di azioni conseguente
ad una delibera di aumento di capitale di una società per la quale emerga
successivamente – per le rettifiche apportate in seguito alla emersione delle
irregolarità contabili – che il capitale sociale della stessa era in realtà inferiore ai minimi di legge, qualora si alleghi e dimostri che in assenza degli illeciti contabili non si sarebbe proceduto alla sottoscrizione, si presentano due
diverse possibilità: quella nella quale l’aumento di capitale, anche attraverso
l’apporto del socio o del terzo, abbia consentito alla società di ritornare in
bonis, dunque con un patrimonio netto positivo, da quella nella quale, nonostante tale aumento di capitale, il patrimonio netto sia rimasto negativo per
effetto delle rettifiche contabili e la società non sia stata, quindi, in condizioni
di continuare ad operare o di portare a termine una liquidazione positiva.
28
App. Milano, 21.10.2003, in Giur. it., 2004, 643 e 2004, 800, con nota di Mignone; in
Soc., 2004, 52, con nota di Fanti; in Foro it., 2004, 564; in Contr., 2004, 329, con nota di Santucci; in Vita notarile, 2004, 357; in Dir. fall., 2004, II, 243; in Corriere giur., 2004, 933, con
nota di Tina; in Resp. civ. e prev., 2004 165, con nota di Caranta; in Nuova giur. civ., 2004, I,
203, con nota di Lucchini Guastalla, Andò, ha ritenuto che «il danno sopportato da ciascun
sottoscrittore» è «pari al prezzo pagato per l’acquisto della quota» ed «escluso che il valore
della quota» potesse «decurtarsi della somma pari alla differenza tra il valore nominale
e il valore effettivo della quota all’epoca dell’investimento, in quanto i sottoscrittori non
avrebbero acquistato le relative quote di valore inferiore al prezzo nominale ed in mancanza di prospettive serie di futuri utili».
Cass., 25.2.2009, n. 4587, cit., ha ritenuto corretta la prospettazione del danno fatta
dalla Corte di Appello di Milano, stabilendo che «il danno sopportato da ciascun sottoscrittore» potesse «coincidere con l’intero prezzo pagato per l’acquisto della quota», ma
sul presupposto, determinante, che «nessun valore, neppure minimo» avevano conservato
le «quote […] acquistate, non essendo stato recuperato alcunché dall’insinuazione al passivo delle procedure concorsuali alle quali sono state sottoposte le varie società promotrici
dell’operazione».
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246 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
In quest’ultima fattispecie il danno andrà commisurato all’ammontare
dell’apporto patrimoniale del socio o del terzo29. Nel primo caso, invece,
presumendo che le azioni in titolarità del socio dopo la intervenuta capitalizzazione conservino un loro valore, il danno risarcibile risulterà pari ad un
importo corrispondente all’apporto patrimoniale conferito dal socio o dal
terzo per sottoscrivere pro-quota l’aumento di capitale, detratto un ammontare pari al corrispondente valore delle azioni in titolarità del socio medesimo post aumento di capitale30.
Peraltro, sulla determinazione del danno la giurisprudenza non sempre
ha offerto soluzioni univoche (anche se va tenuto conto che spesso le pronunce hanno dovuto tener conto delle concrete prospettazioni delle parti in
causa e delle richieste formulate).
Così, ad esempio, in un caso nel quale un soggetto affermava di essere
stato indotto a sottoscrivere le azioni di nuova emissione sulla base delle
risultanze di un prospetto informativo di collocamento che non rappresentava la reale situazione patrimoniale della società, il Tribunale di Napoli,
facendo richiamo al principio della causalità adeguata, ha rilevato che nella
fattispecie sottoposta al suo esame un prospetto esente da irregolarità «non
avrebbe rappresentato ai soggetti interessati una situazione aziendale completamente diversa, e cioè una società con gravi perdite e nessuna possibilità
di recupero, bensì la situazione di una società delle medesime dimensioni e
29
In questo senso, Trib. Milano, 22.9.1986, in Soc., 1987, 162, che, in un caso nel quale la
società aveva deliberato un aumento di capitale sociale senza che gli amministratori avessero fatto risultare la perdita dello stesso, ha condannato gli amministratori, ex art. 2395
c.c., alla restituzione al socio dell’importo versato per la sottoscrizione delle azioni.
30
Franzini, Brevi note in tema di azioni di responsabilità individuale del socio e del
terzo nella “nuova” srl, in Soc., 2008, 486, sottolinea che nel caso sottoposto a Trib. S.M.
Capua Vetere, 10.10.1986, ivi riportata, lo stesso ha «liquidato l’importo del risarcimento in
una somma inferiore rispetto a quella richiesta nell’atto di citazione, non avendo l’attore
provato – a parere del collegio – di avere diritto alla restituzione dei finanziamenti eseguiti nel corso della vita della società e da lui utilizzati, per mezzo di rinunzia al connesso
credito restitutorio, proprio al fine di dare parziale copertura finanziaria all’aumento
di capitale sottoscritto». Il Tribunale ha, infatti, ritenuto che gli importi già versati alla
società, seppure a titolo di finanziamento soci, non potessero costituire per il socio stesso
un pregiudizio subìto per effetto della loro conversione in capitale, perché, tenuto conto
della situazione patrimoniale della società e della intervenuta perdita del capitale sociale,
il socio, anche se fosse stato reso correttamente edotto della effettiva situazione patrimoniale della compagine e non avesse accettato di convertire il credito in capitale, comunque
non avrebbe ottenuto la restituzione del credito.
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
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grandezza e pur sempre capace di una certa redditività», seppure con la
riduzione di alcune poste attive. Il Tribunale seguendo questa impostazione, ha ritenuto che l’investitore avrebbe comunque acquistato le azioni,
sebbene «ad un prezzo minore». Ha, quindi, ritenuto che il danno consistesse «nel surplus pagato […] per ciascuna azione, non avente un valore,
in termini di redditività, corrispondente a quello rappresentato dall’entità
degli utili»; pertanto, considerato che «la redditività di un’impresa è uno
degli indici da valutare ai fini di un investimento, insieme alla “storia” della
società, alle sue dimensioni, al suo patrimonio», ha «ragionevolmente e
prudenzialmente» fissato in una percentuale del prezzo pagato l’entità del
risarcimento dovuto31.
Una sentenza di poco successiva, del medesimo Tribunale e sulla stessa
vicenda societaria – in un giudizio proposto da altro investitore – sembra invece giungere a conclusioni opposte, ritenendo che dovesse «trovare applicazione il principio secondo il quale l’investitore doveva essere
risarcito dell’intero capitale impiegato in quanto, se avesse saputo, prima
dell’acquisto, delle falsità rappresentate nel prospetto, si sarebbe astenuto
del tutto dall’acquistare le azioni»32.
Il Tribunale non ha però enunciato un diverso principio di diritto, ha,
invece, valutato diversamente la situazione di fatto; ha, cioè, diversamente
interpretato le conseguenze causali prodotte dalla condotta illecita.
La sentenza in esame, infatti, ha anch’essa richiamato il «principio della
c.d. causalità adeguata o efficiente, in base al quale valutare se l’acquisto delle azioni [...] e l’azzeramento del valore delle stesse, costituiscano
gli effetti della falsità delle informazioni di cui al Prospetto informativo e
della situazione economica compromessa», ritenendo «che, avendo il Prospetto riportato dati inesatti circa la sussistenza di utili, che nella realtà non
31
Trib. Napoli, 25.9.2002, in Soc., 2004, 75, con nota di Rizzini Bisinelli, Zuccato; con
detto procedimento il Tribunale di Napoli è giunto, quindi, a ritenere che se l’investitore
fosse stato messo a conoscenza della reale situazione aziendale della società, comunque
non si sarebbe astenuto dall’effettuare l’investimento, e, sulla base di queste premesse –
stabilito altresì che «la differenza quantitativa tra la redditività (falsa) esposta nel prospetto informativo […] e la redditività (verosimile) ricostruita dalle perizie degli esperti,
tenendo conto delle false comunicazioni sociali,» dovesse essere «valutata nell’ordine del
10%,» – ha condannato il responsabile «a risarcire un danno pari al 10% della somma
investita, oltre a rivalutazione ed interessi».
32
Trib. Napoli, 4.4.2003, in Soc., 2004, 78, con nota di Rizzini Bisinelli, Zuccato.
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248 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
c’erano, abbia indotto in errore l’attore, creando nello stesso false aspettative circa la redditività dell’investimento effettuato». Al contrario dell’altra
pronuncia del Tribunale partenopeo, ha però valutato «oggettivamente presumibile che il risparmiatore [...] se avesse conosciuto l’effettiva situazione
[…] si sarebbe astenuto dall’acquisto delle azioni, orientando diversamente
il proprio investimento»33.
È anche interessante sottolineare come il Tribunale sia giunto a ritenere
che il danno subìto dall’investitore potesse essere determinato in misura
pari al capitale investito34 sulla base di precisi presupposti: e, cioè, che le
azioni acquistate non conservassero alcun valore e che l’azzeramento delle
stesse fosse riconducibile a vizi già esistenti al momento della pubblicazione
del prospetto e non, invece, all’influenza di fattori di mercato indipendenti
dall’entità del patrimonio aziendale.
Ha, cioè, ritenuto determinante che l’azzeramento del valore delle azioni
non fosse derivato da fattori successivi all’acquisto o indipendenti dalla
operatività della società, ma si fosse verificato esclusivamente per le effettive – ed occultate – condizioni patrimoniali ed economiche della società già
sussistenti al momento dell’acquisto delle azioni da parte dell’investitore35.
33
Rizzini Bisinelli, Zuccato, Danno da falso in prospetto, in Soc., 2004, 75, nel commentare la pronuncia, hanno poi sottolineto: «sostenere che l’investitore, se debitamente
informato sulla reale situazione […], si sarebbe astenuto dall’investimento, significa ritenere anche che le qualità delle azioni acquistate, descritte nel prospetto informativo e
determinate anche sulla base di una situazione economica complessiva dell’azienda e
delle relative proiezioni di crescita e sviluppo, è elemento idoneo ad incidere sulla formazione della volontà negoziale della parte acquirente. Dunque, se in questo caso l’attore
avesse agito per un rimedio di tipo contrattuale, il riconoscimento operato dal giudice
di una induzione in errore su una di quelle qualità essenziali avrebbe potuto condurre
all’annullamento del contratto. Ma nel caso in esame l’attore non ha agito in via contrattuale: dunque, nelle motivazioni della sentenza in esame, sebbene possa ritenersi che la
falsità del prospetto sia idonea a indurre in errore l’investitore, non si prende in considerazione la […] problematica dell’annullamento del contratto perché l’annullamento non era
stato richiesto da parte dell’attore».
34
Si cfr.no anche Trib. Milano, 11.1.1988, in Soc., 1988, 6, 598; App. Milano, 2.2.1990, in
Giur. comm., 1990, II, 755; in Banca borsa, 1990, II, 734; in Foro padano, 1990, I, 181.
35
Sulla questione degli interessi e della rivalutazione da riconoscere sulla somma
investita, si cfr. Cass., 25.2.2009, n. 4587, cit., che, con riferimento alla responsabilità della
Consob per mancata vigilanza su un’operazione di sollecitazione al pubblico risparmio,
ha stabilito: «L’obbligazione risarcitoria da fatto illecito extracontrattuale per le perdite
subite dal risparmiatore in conseguenza della omessa attivazione […] dei poteri di vigilanza […], costituisce un debito di valore. Né siffatta configurazione è destinata a mutare
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
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Laddove la sottoscrizione o l’acquisto delle azioni fossero stati effettuati
con finalità di investimento o speculative, non si può poi escludere che, oltre
al danno emergente costituito dall’ammontare del capitale investito, debba
essere riconosciuta a titolo di lucro cessante – oltre alla rivalutazione – una
somma corrispondente al saggio di interessi che l’investitore avrebbe tratto
se avesse impiegato il suo capitale in titoli di stato36 o in depositi bancari. Più
precisamente, si è ritenuto – con valutazione presuntiva – che l’investitore,
qualora non fosse stato indotto in inganno e non avesse, quindi, acquistato
o sottoscritto le azioni della società, avrebbe probabilmente destinato i suoi
risparmi per acquistare titoli o azioni almeno remunerativi come i titoli di
stato (sempre che gli stessi avessero assicurato un reddito maggiore rispetto
al tasso legale).
Ovviamente, il danneggiato potrà ottenere un risarcimento a titolo di
lucro cessante superiore al tasso di interessi assicurato dai titoli di stato, ove
per il fatto che l’evento dannoso coincide con la perdita della somma di danaro investita,
giacché nella responsabilità aquiliana – dove l’obbligazione risarcitoria mira alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato – ai fini del risarcimento del danno viene in rilievo la
perdita del valore, oggetto, nella specie, dell’operazione finanziaria di investimento, e ciò
che il danneggiante deve non è la corresponsione di una data somma di danaro ma l’integrale risarcimento del danno, di cui la somma originaria costituisce solo una componente
ai fini della relativa commisurazione».
La sentenza ha ulteriormente affermato che «trattandosi […] di obbligazione di valore,
non occorreva che gli investitori danneggiati si adoperassero a provare la svalutazione, in
quanto l’obbligazione di risarcimento del danno è sottratta al principio nominalistico e
deve, pertanto, essere quantificata dal giudice, anche d’ufficio, tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione», e che dovesse essere
liquidato «il nocumento finanziario (lucro cessante) […] subito a causa del ritardato
conseguimento del relativo importo, con la tecnica degli interessi, computati – non sulla
somma originaria né su quella rivalutata al momento della liquidazione – ma sulla somma
originaria rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma rivalutata in base ad un indice
medio».
36
In un caso nel quale è stata fatta valere la responsabilità della banca intermediaria
per i vizi del prospetto relativo all’offerta al pubblico di valori mobiliari, Trib. Milano,
6.11.1987, in Giur. it., 1988, I, 2, 796, con nota di Castellani; in Soc., 1988, 598, con nota di
Caramazza; in Nuova giur. civ., 1998, I, 499, con nota di Bazzani; in Giur. comm., 1988, II,
585, con nota di Ferrarini; in Riv. dir. civ., 1988, II, 513, con nota di Tencati; in Banca borsa,
1988, II, 532, ha stabilito che la banca dovesse «risarcire agli investitori i danni subiti per
aver confidato sulla veridicità dei dati pubblicati; il contenuto del cosiddetto interesse
negativo oggetto del risarcimento va individuato nel capitale perduto (danno emergente),
e nella remunerazione ottenibile sul mercato mediante l’impiego della somma corrispondente nella sottoscrizione di titoli di stato o in depositi bancari».
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250 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
fornisca la prova dell’investimento alternativo particolarmente remunerativo che avrebbe effettuato se si fosse astenuto da quello effettivamente
realizzato sulla base delle informazioni scorrette.
4. La responsabilità degli amministratori nell’ipotesi di negoziazione di partecipazioni societarie tra soggetti terzi.
Le stesse considerazioni valgono nella ipotesi di compravendita di azioni
tra soggetti diversi dalla società.
Infatti, qualora l’acquirente dimostri che in assenza degli artifici contabili non avrebbe acquistato le azioni, gli amministratori colpevoli delle
irregolarità contabili saranno tenuti a risarcire un danno pari al prezzo di
acquisto delle azioni.
Anche in questo caso, peraltro, sarà necessario valutare se le azioni conservino un residuo valore o, comunque, se sussista concretamente la possibilità di venderle a terzi con l’effetto di ridurre l’ammontare del risarcimento
del danno in misura corrispondente al plausibile valore attuale di mercato
delle azioni; rectius, il danno risarcibile sarà determinato dalla differenza tra
il prezzo di acquisto e il valore attuale, di mercato, delle azioni.
Peraltro, come già visto in precedenza, va necessariamente considerato
e accertato se sussistano fattori esogeni o sopravvenuti che abbiano inciso
negativamente e che abbiano comportato una diminuzione del valore delle
azioni indipendentemente dalle irregolarità contabili degli amministratori;
se invece detti fattori esogeni o sopravvenuti sussistessero, il risarcimento
del danno dovrà essere corrispondentemente ridotto o addirittura escluso.
Ove, al contrario, le azioni della società con un valore effettivo ridotto
rispetto al prezzo al quale sono state acquistate facendo affidamento sui dati
contabili e di bilancio irregolari subissero un apprezzamento e l’incremento
fosse determinato da fattori sopravvenuti o esogeni, di tale incremento si
dovrà tenere conto – secondo l’orientamento che si ritiene preferibile –
nella determinazione del danno risarcibile.
Una questione rilevante nella determinazione del danno risarcibile è
quella relativa all’obbligo del titolare delle azioni acquistate di partecipare
alla ricapitalizzazione della società che si rendesse necessaria per conservare un valore alle partecipazioni acquistate.
La giurisprudenza si è, cioè, chiesta se la diligenza a carico del creditore che agisca per far valere la responsabilità degli amministratori ai sensi
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
251
dell’art. 2395 c.c. e ottenere il risarcimento dei danni subìti a causa delle
irregolarità contabili sia tale da imporre allo stesso l’esborso di ulteriore
danaro per partecipare alla ricapitalizzazione della società al fine di tentare
di conservare un valore ai titoli acquistati e se, in mancanza di tale diligenza,
possa escludersi, in tutto o in parte, anche ai sensi dell’art. 1227 c.c., la risarcibilità dei danni lamentati.
In realtà, si ritiene che il principio di diligenza del creditore e l’obbligo di
cooperazione dettato dall’art. 1227 c.c. non possano spingersi al punto tale
da imporre a carico del creditore l’onere di investire ulteriore danaro per la
ricapitalizzazione della società.
Al riguardo, si veda quanto esposto al precedente capitolo primo, § 6.
Non si può, invece, escludere che, qualora l’acquirente, in buona fede e
diligentemente, avesse partecipato ad una operazione, rivelatasi fallimentare, di ricapitalizzazione della società confidando nella possibilità di recupero del valore delle azioni acquistate, possa aver diritto ad un risarcimento
del danno pari non soltanto al capitale inizialmente investito per l’acquisto
delle azioni, ma anche a quello successivamente versato per provvedere alla
ricapitalizzazione.
Non mancano poi precedenti nei quali è stata fatta valere la responsabilità degli amministratori deducendo che i bilanci falsi che esponevano una
situazione tranquillizzante della società abbiano indotto i soci ad astenersi
dal negoziare le azioni in loro possesso37.
In questo caso il danno dovrà essere commisurato al valore che i soci
avrebbero potuto trarre qualora avessero commercializzato le azioni,
detratto il valore residuo delle azioni medesime, calcolato sulla base della
effettiva situazione patrimoniale della società.
È ovvio, peraltro, che il socio non può limitarsi ad indicare la perdita di
una astratta possibilità di vendere le azioni, ma deve allegare e dimostrare
la effettiva intenzione di vendere le stesse, la esistenza concreta di potenziali acquirenti interessati, nonché l’ammontare del prezzo che detti acquirenti sarebbero comunque stati disposti ad offrire, indipendentemente dalla
situazione economico-patrimoniale della stessa.
37
Si cfr. Trib. Milano, 29.9.1983, in Banca borsa, 1984, II, 122, con nota di Mazzi; in
Foro it., 1984, II, 202; in Giur. comm., 1984, II, 42; in Resp. civ. e prev., 1984, 416; in Giur. di
Merito, 1984, 1180; la sentenza è stata pronunciata in un processo penale per imputazione
di bancarotta fraudolenta a carico degli amministratori.
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252 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
Gli amministratori convenuti potrebbero, infatti, efficacemente sostenere che, qualora non avessero commesso le irregolarità contabili e qualora
la effettiva situazione patrimoniale della società fosse stata evidente e nota
a tutti, i soci non avrebbero di certo reperito acquirenti disposti ad offrire
per le azioni il prezzo sulla base del quale hanno formulato la loro richiesta
risarcitoria.
Al contrario di quanto sin qui illustrato, le irregolarità contabili potrebbero anche determinare l’effetto di far risultare un patrimonio della società
inferiore a quello effettivo, con una corrispondente minore valutazione dei
titoli di partecipazione nella società stessa.
La giurisprudenza si è più volte occupata della questione.
In un caso, ad esempio, ha individuato la responsabilità degli amministratori per aver danneggiato il creditore pignoratizio38, altre volte per aver
danneggiato i soci della società che sulla base dell’«errato convincimento
sulla reale situazione patrimoniale della società» siano stati indotti «a svendere le proprie azioni»39.
Il danno reclamabile da parte del creditore pignoratizio è stato individuato nella minore percentuale di soddisfazione del proprio credito rispetto
a quella che avrebbe potuto trarre dal presumibile maggior valore di realizzazione delle azioni se la situazione patrimoniale fosse stata correttamente
esposta; ciò evidentemente fa presumere che il creditore pignoratizio sia
rimasto parzialmente insoddisfatto dalla vendita coattiva delle azioni40.
Non dissimile la posizione del socio che avesse svenduto le proprie
azioni: potrà richiedere quale danno la differenza tra il prezzo di vendita
e quello che avrebbe ottenuto qualora la situazione patrimoniale fosse
stata correttamente esposta e le azioni avessero avuto presso il mercato un
valore più alto e un maggiore appeal. Peraltro, poiché le azioni non hanno
un valore fisso sul mercato, a meno che la contrattazione non sia avvenuta
su mercati regolamentati o sulla base di clausole che stabiliscono il prezzo
mediante l’adozione di particolari meccanismi di determinazione ancorati
alla situazione patrimoniale della società, chi agisce per il risarcimento
38
Cass., 3.12.1984, n. 6300, in Nuova giur. civ., 1985, I, 437, con nota di Meli.
39
Trib. S.M. Capua Vetere, cit., che richiama anche Trib. Milano, 23.9.1983, in Foro
padano, 1983, I, 505.
40
In tale ipotesi, in realtà, ad essere danneggiato sarebbe anche, o forse soprattutto, il
socio debitore che abbia dato in pegno la sua partecipazione azionaria.
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
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dovrà allegare e dimostrare con particolare rigore il maggior prezzo al quale
effettivamente e concretamente avrebbe potuto vendere le azioni.
5. La responsabilità degli amministratori nell’ipotesi di forniture o erogazione di crediti in favore della società.
Altra ipotesi tipica di responsabilità connessa alla commissione di irregolarità contabili da parte degli amministratori è quella che si può configurare nei confronti dei fornitori della società, ovvero dei terzi finanziatori.
In questo caso le irregolarità contabili consentirebbero di occultare e travisare la reale situazione economica della compagine e potrebbero indurre
i terzi a concedere ed erogare crediti41, o ad effettuare forniture con pagamento del corrispettivo differito – o con altre pattuizioni sfavorevoli –, che,
invece, in presenza della esposizione della effettiva situazione patrimoniale,
non sarebbero stati concessi o effettuate, ovvero sarebbero stati concessi o
effettuate a condizioni diverse.
Anche in questo caso gli elementi costitutivi dell’azione risarcitoria sono
i medesimi già illustrati in precedenza per le altre ipotesi di responsabilità
per irregolarità contabili ex art. 2395 c.c. Il creditore o il fornitore dovranno,
cioè, allegare e dimostrare di aver concesso un credito o effettuato una fornitura, o pattuito particolari clausole, indotti dall’esame della “tranquillizzante” situazione patrimoniale della società – in realtà frutto delle colpose
irregolarità commesse dagli amministratori – e che, in assenza di detti artifici, non avrebbero concesso il credito o effettuato la fornitura, o, comunque,
non alle condizioni stabilite.
Alcune ulteriori precisazioni e puntualizzazioni appaiono, peraltro,
opportune. In primo luogo, anche in questo caso, il creditore e il fornitore
sono tenuti ad adottare la diligenza connaturata al tipo di attività svolta e
all’affare concluso; così, come già indicato in precedenza, la pretesa risarcitoria potrebbe essere paralizzata dal rilievo che la effettiva situazione
patrimoniale della società avrebbe potuto facilmente essere conosciuta dal
creditore o dal fornitore. Tale elemento acquista particolare rilevanza per
i finanziamenti concessi dalle banche, dal momento che di norma le stesse
sono in grado, prima di erogare il credito, di acquisire notizie approfondite
41
Cass., 28.3.1960, n. 669, in Foro it., 1961, I, 109.
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254 La responsabilità degli amministratori e la determinazione del danno
sulla situazione patrimoniale ed economica della società finanziata, senza
limitare le proprie indagini alle risultanze dei bilanci o agli altri documenti
ufficiali della società.
Ad ogni buon conto, il creditore o il fornitore dovranno fornire la prova –
come già accennato – di aver esaminato il bilancio e che dallo stesso non
emergeva la effettiva situazione di criticità nella quale versava la società.
Così, in un caso nel quale venivano contestati agli amministratori della
società debitrice gravi irregolarità nella compilazione dei bilanci che avevano indotto il creditore a stipulare un contratto di fornitura di merci con
la società debitrice, e veniva richiesto agli amministratori il risarcimento del
danno nella misura corrispondente all’intero credito insoddisfatto, la Corte
di Cassazione42, confermando la decisione dei giudici di merito, ha respinto
la richiesta sul presupposto che la grave crisi economica in cui si trovava la
42
Si cfr. Cass., 2.6.1989, n. 2687, in Soc., 1989, 1034, con nota di Galasso, che, nel definire la controversia, non si discosta sostanzialmente da quanto aveva stabilito la Corte di
Appello di Bologna e, in primo grado, il Tribunale di Parma. Il giudice di secondo grado
aveva, infatti, sostenuto che «qualora il terzo alleghi di essere stato indotto, indipendentemente dalla negatività del bilancio della società, a fornire merce (poi non pagata per
l’insolvenza della debitrice) perché dai bilanci risultavano circostanze non rispondenti al
vero che potevano indurre i fornitori a concedere ancora la loro fiducia nella possibilità di
una ripresa economica della società contraente, egli è tenuto a provare la specificità di tali
circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno».
La Corte d’Appello aveva anche ritenuto irrilevante l’«accertamento in generale
di irregolarità commesse» «dagli ex amministratori» «che potrebbero risultare anche
dall’esibizione dei libri e delle scritture contabili della stessa società e/o dalle indagini
di un consulente tecnico d’ufficio», visto che «tale accertamento avrebbe potuto essere
rilevante con riferimento all’altra azione di responsabilità ex art. 2394, c.c., originariamente proposta, ma non lo è con riguardo all’azione di responsabilità ex art. 2395, c.c.,
che, come si è detto, presuppone che la lesione del diritto individuale del socio o del terzo
sia in rapporto causale diretto con l’attività degli amministratori». Aveva poi stabilito che
l’appellante avrebbe dovuto fornire la prova idonea «a dimostrare, da un lato, che l’attuale
appellante ignorasse, al momento della fornitura di materiale, le cattive condizioni economiche e finanziarie della società […] e, dall’altro lato, che sia esistito un effettivo rapporto
di causalità tra il comportamento degli ex-amministratori (o di alcuno di essi) e la determinazione dell’attuale appellante di concludere quei contratti di fornitura», aggiungendo
inoltre: «come è stato osservato anche dalla dottrina che riconosce la sussistenza della
responsabilità degli amministratori nei confronti del terzo danneggiato allorché questi
sia indotto al compimento di un negozio giuridico che si rivela dannoso dal bilancio non
veritiero pure in mancanza di un concomitante comportamento persuasivo degli stessi
amministratori al compimento di detto negozio, per l’affermazione di tale responsabilità è
comunque necessario che il terzo dimostri che il bilancio non veritiero lo ha “determinato”
a compiere quel negozio giuridico».
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Capitolo Quarto – La responsabilità degli amministratori per le irregolarità contabili
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società al momento della stipulazione del contratto comunque emergeva in
modo evidente dalle risultanze dei bilanci relativi al periodo antecedente
alle forniture – indipendentemente dalla presenza di irregolarità –, escludendo, quindi, che potesse ritenersi provato il necessario rapporto causale
tra il comportamento degli amministratori e il danno subìto43.
Ovviamente, i presupposti della responsabilità mutano radicalmente
nella ipotesi in cui il terzo fornitore non contesti agli amministratori soltanto la sussistenza di irregolarità contabili che abbiano mascherato la reale
situazione patrimoniale della società, ma che tale mascheramento avrebbe
consentito alla stessa di continuare ad operare nonostante la integrale perdita del capitale sociale.
Il creditore frustrato nelle sue ragioni – come rappresentato al precedente
capitolo terzo, § 11 – potrebbe, cioè, sostenere che se gli amministratori avessero agito correttamente, in assenza delle irregolarità contabili si sarebbe
manifestata la perdita del capitale sociale della società e, quindi, la stessa,
in mancanza di ricapitalizzazione, sarebbe stata necessariamente messa in
liquidazione: conseguentemente non sarebbe stato concluso il contratto di
fornitura o il negozio di concessione del credito dai quali è derivato il danno.
In questa ipotesi, quindi, la prospettazione è più radicale: il creditore
deduce tout court che se l’amministratore avesse agito correttamente
avrebbe messo in liquidazione la società e, conseguentemente, egli non
avrebbe negoziato con la stessa.
Nella fattispecie ora illustrata – è evidente – il danno reclamabile dal fornitore o, in genere, dal creditore in via extracontrattuale ai sensi dell’art. 2395
c.c. dovrebbe corrispondere alla prestazione pecuniaria alla quale sarebbe
tenuta in via contrattuale la società e che la stessa, a causa della sua effettiva
situazione patrimoniale, non è in grado di adempiere44.
43
Galasso A., Prova della responsabilità degli amministratori, in Soc., 1989, 1034,
giunge a conclusioni non dissimili facendo richiamo al principio della «causalità diretta
o indiretta», sottolineando anche che «la prova del rapporto di causalità può risultare,
comunque, assai complessa e complicata: si pensi alle ipotesi di danni diffusi. Soltanto
nei casi più semplici si riesce a dimostrare che il comportamento doloso o colposo degli
amministratori è stato determinante ai fini della conclusione del contratto. Si dovrebbe
infatti verificare la rilevanza causale della specifica circostanza o complesso di circostanze
inesattamente rappresentate dagli amministratori per dolo o colpa».
44
In termini più generali va sottolineato che, nonostante i dubbi sollevati da alcune
pronunce di merito, la giurisprudenza ormai consolidata ritiene sicuramente cumulabile la
responsabilità extracontrattuale degli amministratori con quella contrattuale della società;
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Una parte della giurisprudenza e della dottrina ha, peraltro, valutato
inammissibile l’azione di responsabilità dei terzi nei confronti degli amministratori fondata su tali presupposti, ritenendo che il danno subìto dai terzi
stessi sarebbe il riflesso dell’insufficienza patrimoniale della società.
L’assunto non appare però condivisibile, e, più in generale, su dette questioni si fa rinvio al precedente capitolo terzo.
Infatti, sembra difficile escludere una tutela diretta del terzo verso gli
amministratori, ove il terzo non deduca una responsabilità degli stessi derivante dal mancato adempimento da parte della società della obbligazione
assunta, ma imputi ai medesimi che se avessero fatto emergere la effettiva
situazione patrimoniale della società con la intervenuta perdita del capitale
sociale, la stessa avrebbe cessato la propria attività e che ciò gli avrebbe di
fatto impedito di addivenire alla conclusione dei contratti.
D’altra parte, sebbene su presupposti diversi, prima della riforma del
diritto societario detta tutela poteva essere rinvenuta nell’art. 2449 c.c.; in
simmetria, appare, pertanto, corretto ritenere che oggi i pregiudizi subiti dal
terzo possano trovare adeguata tutela ai sensi degli artt. 2485 e 2486 c.c.
nulla impedisce, infatti, che rispetto ad un unico evento dannoso coesistano due titoli di
responsabilità, l’uno per violazione del contratto da parte del contraente, l’altro per violazione del dovere giuridico del neminem laedere da parte del terzo estraneo al contratto;
sebbene detta violazione, fonte di responsabilità non possa essere individuata – come
specificato al precedente capitolo terzo § 11 – nel semplice inadempimento della società
all’obbligazione assunta, richiedendosi, a norma dell’art. 2395 c.c., un comportamento
ulteriore dell’amministratore idoneo a danneggiare il contraente. Si veda App. Bologna,
5.5.1987, in Soc., 1987, 1156.
Così, Cass., 5.8.2008, n. 21130, in Giur. it., 2009, 875, con nota di Spiotta; in Giur.
comm., 2010, II, 240, con nota di Dal Soglio; in Foro it., 2009, I, 447, nell’accogliere il ricorso
dell’amministratore soccombente nei primi due gradi di giudizio, ha precisato che «l’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente, secondo la
previsione dell’art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale,
postula fatti illeciti imputabili in via immediata a comportamento doloso o colposo degli
amministratori medesimi; l’avverbio “direttamente” vale ad escludere che l’inadempimento della società e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti
a dare ingresso all’azione di responsabilità».
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