--- STELLA NERA ---
di
Luca Mancini
--- CAPITOLO 1 --- L’Esperimento -
“Scott, secondo te funzionerà?”
“Certo. Sai anche tu per quanto tempo ci abbiamo sbattuto la testa. Abbiamo ricontrollato tre volte ogni
singolo parametro.”
Il clima nel Laboratorio Primario diventava ogni istante sempre più teso. Mancava davvero poco ormai al
momento decisivo, quando tutti i tecnici e gli ingegneri del pianeta Lithion avrebbero avuto l’esito di dieci mesi di
sforzi. Era senza dubbio l’opera più grande e impegnativa mai portata a termine dai ricercatori dell’alleanza
Blacktron; forse rivoluzionaria. Persino il Ricercatore Capo del network intergalattico, il dott. Whitaker, era presente
per assistere al glorioso momento, e Lord Torvast, l’imperatore, sarebbe arrivato a breve.
Scott, tecnico con una carriera invidiabile nonostante la sua giovane età, osservava i monitor, sicurissimo di sé
come al solito. Jerry, a pochi passi da lui, era peggio che sulle spine. “Lo so, è che abbiamo creato un mostro
inimmaginabile e il minimo errore potrebbe…”
Il campanello dell’intercomunicante lo interruppe, insieme alla voce elettronica: “Tutto il personale si presenti
in sala conferenze. Sua Maestà Lord Torvast farà il punto della situazione”.
Nella grande stanza centrale, i presenti erano quindici, e nessuno poté evitare di sobbalzare a quell’annuncio.
L‘imperatore in persona li stava convocando tutti, a soli quaranta minuti dall’esperimento. Chi poteva immaginarlo?
Per un attimo si guardarono tutti, sbigottiti. Un momento dopo si diressero spediti verso la porta.
La sala conferenze, in fondo al lungo corridoio, si riempì all’istante. A questo punto, trentacinque assistenti in
alta uniforme, il loro caposquadra Johnson e il Ricercatore Capo Whitaker erano in attesa che la massima autorità
del pianeta entrasse ed esponesse quanto aveva di così importante da dire.
Lord Torvast, figura imponente nella sua considerevole altezza, entrò pochi minuti dopo. Non ritenne
necessario farsi seguire dalle sue guardie, visto che conosceva di persona gran parte del personale: era affascinato
dalla ricerca e trascorreva molto tempo nei laboratori.
Tutti si alzarono in piedi, in segno di rispetto, anche se sapevano che l’attuale imperatore di Lithion non dava
peso ai tradizionali formalismi. Semplicemente lui fece cenno con la mano, invitando i presenti a restare seduti.
“Oggi è un gran giorno” esordì, anche se vistosamente nervoso a sua volta. “Se siete tutti presenti, vi chiedo di
prestarmi la massima attenzione.”
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“Come sapete bene, fra trentatré minuti esatti, il nostro prototipo di Advanced-Rip - meglio rinominato come
Stella Nera - sarà in prossimità della luna del pianeta disabitato Taros, e tenterà di distruggerla con il suo cannone
energetico.” Il tono era solenne, la voce come al solito chiara e pulita.
“Qualunque sarà l’esito della missione, fin da ora vi esprimo le mie congratulazioni. Nessun impero, amico o
nemico, nella nostra galassia e forse nell’intero universo, è mai riuscito a progettare una nave di queste
proporzioni, e soprattutto a farla… volare.”
Jerry sussurrò a Scott: “Ci credo… è grande quasi il doppio di una Morte Nera”.
“…anche se chiamarla nave mi sembra quasi ridicolo” continuò Lord Torvast, ora con un mezzo sorriso.
“Ringrazio anche il dottor Whitaker, per aver scelto il nostro pianeta come sede principale di ricerca e sviluppo.”
Whitaker ne fu quasi imbarazzato. “Non deve ringraziarmi, signore” – anche lui sapeva che l’imperatore di
Lithion preferiva essere chiamato signore, e non sire – “Fin dall’inizio ho ritenuto Lithion il pianeta ideale per il
progetto, soprattutto grazie alla sua formazione geologica.”
In effetti, Lithion presentava una conformazione particolare: a causa di forze gravitazionali anomale, nel corso
dei millenni il nucleo del pianeta si è richiuso lentamente su sé stesso, mentre la crosta ne è rimasta pressoché
intatta. Di conseguenza, si sono aperte enormi cavità all’interno del pianeta, che sono state da sempre sfruttate
come protezione. Una volta nominato imperatore, Lord Torvast ordinò la costruzione di molti laboratori sotterranei,
per proteggerli da attacchi nemici. Inoltre, Lithion fu uno dei primi pianeti dell’alleanza Blacktron ad ottenere le
industrie nanotecnologiche, grazie alla dedizione dell’imperatore nei confronti delle ricerche.
Il problema principale, invece, consisteva nella produzione. Un pianeta così cavo nel suo interno offriva ben
poche risorse; metallo e cristallo scarseggiavano da sempre. Solo il deuterio era ben reperibile: le temperature
erano molto rigide essendo il dodicesimo pianeta del sistema solare.
Il progetto A-Rip (oppure Stella Nera) fu portato a termine quasi interamente nei laboratori più protetti e
nascosti di Lithion. E’ stato inoltre possibile costruire vaste parti della nave sotto terra - in tempi molto ridotti grazie
alla nanotecnologia - anche se i cantieri sotterranei erano in realtà rari. Le enormi quantità di risorse necessarie
furono trasportate dai pianeti più prosperosi dell’alleanza. Il tutto avvenne nella massima segretezza; quando si
tratta di costruire la nave spaziale più grande mai esistita, comprensiva di difese, hangar per navi da guerra e un
raggio energetico più potente del 75% di quello di una Morte Nera, la prudenza non è mai troppa.
Whitaker proseguì: “Devo anche dire che le vostre capacità sono notevoli. Al Network ci aspettavamo una
tempistica di almeno un anno, mentre l’A-Rip è ora in fase di collaudo dopo appena dieci mesi. Caposquadra
Johnson, unisco le mie congratulazioni a quelle di Sua Maestà.”
Mentre Johnson rispondeva, Scott era silenziosamente dubbioso. Il nostro imperatore ci ha convocati tutti qui,
tesi e nervosi, a pochi minuti dall’esperimento, solo per congratularsi con noi insieme al capo della ricerca? – pensò
– No, ci deve dire qualcos’altro, qualcosa di più importante, che innervosisce lui stesso.
Alcuni dei presenti iniziarono a guardare l’orologio. Mancava mezz’ora, non di più.
Lord Torvast si decise. “Il tempo stringe, è meglio che arrivo subito al dunque.” Attese quindi che tutti gli
sguardi si rivolgessero a lui.
“Dovete sapere che anche Lord Necron, il re della nostra alleanza, in questo momento si trova a bordo della
Stella Nera”.
Diverse paia di occhi si sgranarono. Nella sala si levò un sommesso brusio (“cosa??”)
“Ha creduto così tanto nel progetto, che ha voluto partecipare in prima persona al collaudo del cannone
energetico.” La voce esprimeva orgoglio.
Il tecnico Brian, disorientato, sbottò: “Ma… il capo supremo dei Blacktron si trova… sulla nostra nave?
Signore… io… noi… perché non ne siamo mai stati messi a conoscenza?”
L’imperatore replicò: “Sarò sincero con voi. Ho fiducia nella vostra riservatezza, ma supponiamo che una sola
parola vi fosse sfuggita. Immaginate se orecchie sbagliate, per caso, avessero sentito una notizia del genere. Sono
sicuro che mi capite.”
Il brusio in sala continuava. Scott non credeva alle sue orecchie, come molti altri suoi colleghi. Jerry era in
catalessi. Ma il capo Johnson lo sapeva?
Non proprio, visto che fu il successivo a prendere la parola: “Ma alla partenza, tre giorni fa, abbiamo
monitorato tutto, anche le tessere d’identità dell’equipaggio…”
“… eccetto quelle di Re Necron e delle sue guardie” lo interruppe Lord Torvast. “Ho fatto in modo che il loro
imbarco fosse top secret. Capisco che la cosa possa lasciarvi... di stucco, diciamo… ma credetemi: io sono in ansia
quanto voi.
“Re Necron voleva un’arma nuova, qualcosa di rivoluzionario, e ha sollecitato il Network di ricerca innumerevoli
volte, affinché sfornasse l’idea giusta (il dottor Whitaker lo sa meglio di me). Il progetto A-Rip lo ha entusiasmato a
tal punto che ha voluto esserne direttamente partecipe. Ha definito la Stella Nera come pianeta mobile. Ricordo
ancora le sue parole prima della partenza: ‘questa sarà l’arma definitiva, noi conquisteremo l’universo!’”
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Ma il dottor Whitaker, che sapeva tutto e che era presente anche in quell’occasione, pensò: non ha detto
proprio così. Ha parlato al singolare, conquisterò l’universo, non “conquisteremo”.
Lord Torvast guardò di sfuggita l’orologio. “Già la partenza della nave è stata un successo completo. Non si è
verificato nessun problema, e voglio che anche il cannone energetico funzioni alla perfezione. Soprattutto perché
sarà Lord Necron in persona a dare l’ordine di fuoco.
“Mi fido delle vostre capacità e non vi chiedo neanche se il nostro Re possa correre qualche rischio…”
Johnson intervenne, con formale ironia: “Quando i reattori si scalderanno, Sua Maestà Lord Necron avvertirà
un leggero aumento di temperatura. Abituato com’è al freddo del suo pianeta, spero che non voglia farci
riprogettare tutta la nave per questo increscioso inconveniente…”
Lord Torvast lo fulminò con uno sguardo.
“Scusi la battuta signore, ma la tensione qui è alta” si giustificò lui. “Piuttosto, Re Necron saprà bene che, per
quanto perfetta sia la nave, un certo margine di rischio è inevitabile!”
L’imperatore non trovò da obiettare. “Ora tornate pure ai vostri posti. Nei minuti che restano fate il possibile
per assicurarvi che tutto vada bene, e che Dio ci aiuti.”
La stanza centrale del Laboratorio Primario si ripopolò. Tutti i computer e gli apparecchi erano accesi, con
innumerevoli pulsanti, indicatori e manopole. I monitor visualizzavano dati e schemi grafici senza sosta, e tra questi
il più osservato della giornata era quello del conto alla rovescia, che indicava il tempo rimanente all’arrivo della
Stella Nera al suo obiettivo. In quel momento mostrava 00.14.35. Meno di un quarto d’ora.
Jerry riuscì a parlare di nuovo: “Vi rendete conto? Ma avete sentito? Il re è sull’A-Rip… e se succedesse
qualcosa? E se uno dei reattori esplodesse?”
“E se ti tappassi quella bocca?” sbottò Brian. “Vai al tuo posto e finiscila con le tue paranoie!”
Scott si intromise: “Ho sentito dire che i soldati vengono addestrati anche a controllare i nervi. Potresti
chiedere anche tu un bell’addestramento del genere, Jerry.” Sorrise.
Fu Johnson a interrompere la questione. Entrò di gran carriera nella stanza, e suddivise i compiti. “Ragazzi,
visto che è rimasto così poco tempo, diamo un’occhiata solo ai parametri dei quattro reattori, che sono le parti più
critiche. Scott, tu verifica l’accelerazione delle particelle. Brian, tu l’impianto di raffreddamento. Stan…” Si girò
verso l’altro lato della stanza, e finì di assegnare le direttive. Poco dopo aggiunse: “E tu, Jerry, assicurati che
l’alimentazione funzioni… sempre che tu riesca a digitare i tasti giusti, con quelle mani che tremano!”. Ci fu qualche
risata. Jerry non se la prese, era abituato ormai alle frecciate dei colleghi.
“Io sono di là nella stanza delle comunicazioni, insieme alle alte sfere. Vi chiamo dopo per la conferma. Quando
avete finito, accendete il maxischermo e godetevi lo spettacolo!” Detto questo, Johnson uscì.
Il maxischermo contro la parete era collegato ad una telecamera di estrema potenza, installata in precedenza
sulla superficie di Taros, il pianeta la cui luna sarebbe stata distrutta di lì a poco. La telecamera era puntata in
modo che riprendesse sia la Stella Nera che la luna, durante lo sparo del cannone. Prima del gran botto, nella
stanza delle comunicazioni sarebbe avvenuto un collegamento con il ponte di comando dell’A-Rip, per la conferma
dei dati da terra. Se i tecnici si fossero accorti di qualche problema avrebbero potuto correggerlo e inviare le
modifiche alla nave, perché la Stella Nera poteva essere persino controllata da terra, entro certi limiti.
I minuti scorrevano.
Dieci. Il laboratorio era in piena attività.
Cinque. Lassù staranno cominciando a scaldare i reattori, pensò Scott.
Il ponte di comando della nave spaziale più grande mai costruita, era altresì enorme. La parete più interna
rispecchiava la curvatura della nave; quella opposta era in realtà un pannello che mostrava lo spazio esterno,
tramite una telecamera mobile. Come da progetto, non esistevano né vetri né finestrini: l’intero guscio dell’A-Rip
era una solida corazza sferica, interrotta soltanto dai portelli degli hangar e dagli impianti di difesa, senza contare
l’immensa apertura circolare del cannone. Il ponte era la stanza più grande, con file di impianti computerizzati nei
lati, ed erano presenti più schermi di quanti ce ne fossero nella sala di controllo, al piano di sotto.
Lord Necron, re dell’alleanza Blacktron già da diversi anni, osservava la luna di Taros con impazienza. A causa
della sua altissima carica, erano ben pochi coloro che lo conoscevano da vicino, ma tutti erano concordi su un
determinato aspetto: pensavano di non aver mai conosciuto persona più inquietante di lui. Sempre vestito di nero,
frequenti sguardi torvi, ma era la sua voce in particolar modo a sconcertare. Non perché fosse cupa o rauca,
tutt’altro: Re Necron manteneva un tono pacato e serio, ma trovava sempre i modi e i ritmi per far pesare ogni
frase che pronunciava. Come il sacerdote di una setta satanica.
Ogni imperatore aveva a disposizione un massimo di sei guardie personali, di cui una era definita formalmente
‘primaria’ – e volgarmente ‘lecchino’ dal popolo – la quale aveva il compito di accompagnarlo in ogni suo
spostamento. Quella di Lord Necron, Charlie, si trovava ora di fianco a lui, al centro del ponte di comando. Nella
stanza erano inoltre presenti: il generale Steiner, veterano con molte battaglie vinte alle spalle, e tre tecnici che
monitoravano costantemente i computer.
“Preparazione reattori in corso” pronunciò una voce artificiale dall’altoparlante.
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Charlie sorrise. “Sire, la sua lunga attesa sta per giungere al suo scopo. Spero che abbia gradito la permanenza
a bordo…”
Re Necron distolse lo sguardo bramoso dal pannello e si voltò lentamente verso di lui. “La nave è un
capolavoro, ma dormire nelle camerate dell’equipaggio non è degno di me.”
“Lo so, sire, ma a bordo non ci sono stanze migliori. E’ un’immensa nave da battaglia in fondo…”
“Ne farò costruire un’altra come dico io, e sarà la mia base mobile.”
Come reagire di fronte ad una determinazione così sprezzante? Charlie ne era abituato, e riuscì a mantenere la
calma nonostante fosse il terzo giorno consecutivo di sopportazione. Aveva scortato il Re in tutte le stanze, nei
corridoi, aveva martellato gran parte dell’equipaggio con domande di ogni tipo per poi riferire, come da richiesta.
Per i successivi tre giorni, durante il ritorno, prevedeva incarichi meno pesanti.
Uno dei tecnici si voltò e disse: “Siamo arrivati. La luna è alla giusta portata del cannone.”
Il generale Steiner, impaziente quasi quanto Re Necron, si rianimò. “Bene. Siamo pronti a fare fuoco?”
“Prima dobbiamo ricevere le conferme dalla sala di controllo e da terra”. Il tecnico – che si chiamava Mick –
premette un tasto, poi parlò in un microfono: “Qui ponte. Attendiamo conferma per il fuoco. I reattori sono
pronti?”
Una voce uscì dall’altoparlante: “Sì tutto regolare. Vi inviamo i parametri”.
Sul monitor davanti a Mick apparve una serie di scritte. Lui diede un’occhiata a quelle più importanti:
1# REATTORE NORD - STATO: ATTIVO
2# REATTORE OVEST - STATO: ATTIVO
3# REATTORE EST - STATO: ATTIVO
4# REATTORE SUD - STATO: ATTIVO
- SINCRONISMO STABILITO CON SUCCESSO “Ora apriamo il collegamento con il laboratorio a terra”. Mick era rapido e preciso. Steiner lo osservava con
interesse.
Scott e i colleghi attivarono il maxischermo non appena il timer ebbe raggiunto lo zero, e spensero le luci.
Meglio che al cinema, pensò Scott con ironia.
Due piccole sfere apparvero a video. Quella di sinistra era bianca e non del tutto completa; quella a destra era
grigia con alcune scanalature. “Ci vuole un po’ di zoom” puntualizzò Brian, che subito dopo digitò una sequenza
sulla sua tastiera. Le sfere diventarono più grandi.
La luna offriva alla visuale la sua faccia più illuminata, come dai calcoli. La Stella Nera, minacciosa anche
guardandola dall’esterno, aveva pressappoco lo stesso diametro della luna, e questo fu uno dei motivi principali per
cui il satellite di Taros era stato scelto per l’esperimento: per i ricercatori, era più facile calcolare la potenza di
fuoco di una nave, se l’obiettivo ne aveva le stesse dimensioni. La luna si trovava ad una distanza di tre sistemi
solari, e l’A-Rip era in grado di spostarsi da un sistema all’altro nel giro di ventitré ore circa; in totale il viaggio
sarebbe durato quasi sei giorni tra andata e ritorno, non eccessivi considerando le proporzioni della nave, ma più
che sufficienti per testarne anche i motori.
Tutti i presenti guardarono lo schermo per due lunghi minuti, come ipnotizzati, finché l’altoparlante interno li
disincantò: “Qui Johnson. Confermate i parametri dei reattori?”
Fu Scott a rispondergli, ancora lui. E’ sempre così: in un gruppo, quando manca il capo, tutti fanno riferimento
al più affidabile, al più spigliato, al più bravo insomma. Tra l’altro Scott era un tipo che cercava le responsabilità, in
quanto ambizioso; nondimeno Johnson si aspettava proprio la sua voce in risposta. “Qui Scott. Parametri nella
norma. Tasso di errore 0,001%”.
“Ottimo. Chiudo.”
L’A-Rip era in grado di stabilire collegamenti olografici tridimensionali perfetti ad un sistema solare di distanza;
a due era ancora possibile, anche se le immagini ne sarebbero risultate distorte; a tre era praticamente
impossibile. Così, l’equipaggio dovette accontentarsi di un contatto a due dimensioni. Sullo schermo piatto di Mick
apparve Johnson a mezzo busto. “Confermiamo i parametri. Pronti al fuoco.”
Il generale Steiner annuì con soddisfazione. Innumerevoli volte aveva ordinato l’attacco, in aspre battaglie
all’ultimo sangue, prima a bordo della sua nave da guerra color nero petrolio, e in seguito, da quando era
aumentato di grado, sulla corazzata più temibile del pianeta RedSteel; battaglie spaziali da cui era rarissimo uscirne
soltanto feriti ed era troppo facile diventare parte dei detriti da riciclare; scontri in cui la vita e la morte
dipendevano da pochi attimi di esitazione più che dalle armi e dagli scudi. Ma stavolta non sarebbe stato lui a dare
l’ordine di fuoco; quel giorno l’onore spettava al Re. E sai che onore, rifletté Steiner, distruggere un’inerte luna che
aspetta solo il suo destino. Se fosse una battaglia vera, il re di tutti noi non avrebbe neanche messo il naso fuori
dalla sua fortezza, tanto meno dal suo pianeta Demaar. Naturalmente tenne per sé le sue considerazioni e
appoggiò la mano sul pulsante di fuoco dicendo: “Maestà, un suo ordine e la luna di fronte a noi sarà disintegrata.”
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“Molto bene.” Lord Necron osservò la luna attraverso il pannello, la fissò, la mangiò con gli occhi; intanto
compì qualche passo in avanti abbozzando mezzo sorriso. Il suo volto divenne orrendo e allucinante.
“FUOCO!”
In principio si udì un breve e lontano suono elettronico in tutte le stanze della nave. Poi ebbe inizio un rombo
progressivo, simile a quello di un cannone di Gauss durante il caricamento, ma di proporzioni gigantesche. Mentre
il rumore aumentava, sul pannello del ponte di comando – l’unico punto da cui era possibile vedere l’esterno –
iniziò ad apparire una luce gialla, proveniente dal bordo più basso, che in pochi secondi riempì l’intera visuale. Le
pareti vibrarono leggermente, la temperatura aumentò ancora di qualche grado, finché il rombo dei reattori
raggiunse l’apice e la luce gialla divenne bianca e abbagliante. A quel punto il rumore si interruppe di colpo e per
un attimo non accadde nulla, poi si sentì un forte sibilo prolungato, come laser proiettato all’ennesima potenza. Il
pannello era ancora completamente bianco e non mostrava niente.
Lord Necron non cambiò mai espressione. Continuò a fissare il pannello e attese che la luce si diradasse.
Visto dall’esterno, il processo di distruzione della luna con il raggio energetico fu spettacolare, e regalò anche
un paio di interessanti imprevisti.
I tecnici nel laboratorio, dapprima ipnotizzati di fronte al maxischermo, passarono in uno stato di stupore
progressivo, mentre si srotolava il filo degli eventi cruciali davanti ai loro occhi. Videro illuminarsi un lato della
Stella Nera, di una luce gialla che incrementava in modo circolare fino a diventare bianca e abbagliante davanti
all’imboccatura del cannone; videro scaturire il raggio cilindrico composto dalla stessa luce, che raggiunse la luna a
velocità supersonica ricoprendone l’intera superficie di bagliore bianco.
Fin qui tutto era stato calcolato. Nel minuto successivo, invece, iniziarono gli imprevisti.
La luna di Taros si increspò.
Ci fu un movimento strano, che durò pochi attimi, ma che non sfuggì a Scott e alla maggioranza dei suoi
colleghi: quando il raggio toccò la superficie perpendicolare della luna, la riempì di energia a tal punto che sembrò
un accecante sole bianco, e prima di disintegrarsi la sua circonferenza cambiò forma, subì una distorsione. Fu
come vedere il riflesso della luna nell’acqua, mentre qualcuno lancia un sasso e ne increspa l’immagine. Il
fenomeno fu di estrema importanza scientifica, e più avanti sarebbe stato oggetto di ampie discussioni nei
laboratori di Lithion, ma quando avvenne non ci fu tempo per pensarci, le sorprese non erano ancora finite.
La distruzione fu imminente. Enormi crepe e solchi si aprirono lungo la superficie bianca, milioni di frammenti
di luna vennero proiettati in tutte le direzioni. Per la vicina Stella Nera non ci furono problemi, visto che le difese
(composte da laser, cannoni ionici e persino cannoni al plasma, santo cielo) erano programmate per disintegrare
qualunque oggetto si avvicinasse ad una velocità pericolosa. La quantità di detriti fu naturalmente immensa, e una
considerevole flotta di navi riciclatrici era già pronta a partire dalla superficie opposta di Taros.
Sul maxischermo, una massa indistinta di detriti ora occupava gran parte della visuale. In particolare ci fu un
puntino strano. Poteva far parte dei detriti, ma anziché stare fermo oppure spostarsi di lato, questo si ingrandì, e
piuttosto velocemente; ai tecnici sembrò una grande roccia grigia, che ad un certo punto si riempì di fiamme,
divenne una palla di fuoco; continuò a ingrandirsi in misura esponenziale, finché parve quasi uscire dallo schermo;
tutti sobbalzarono sulle loro sedie… e la stanza cadde nel buio totale, interrotto solo da una scritta rossa a video:
‘CONNESSIONE INTERROTTA’.
Jerry riaccese la luce. Guardò allarmato i colleghi. “Ma… che cos’è successo?”
La mente rapida di Scott aveva già fornito una spiegazione a tutto. “Direi che siamo stati sfortunati. Avevamo
previsto che alcuni detriti sarebbero caduti su Taros, no?”
Molti lo fissarono con interesse.
“Beh… un pezzo di luna deve essersi schiantato proprio contro la telecamera” proseguì lui. “E ad una bella
velocità, a giudicare dall’estremo attrito con l’atmosfera. Sembrava una palla di fuoco!”
Brian batté il pugno contro l’altra mano. “Che sfiga! Quella telecamera era un gioiellino.”
In effetti fu un caso rarissimo. I detriti proiettati verso il pianeta dovevano essere ben pochi, e ancora meno
quelli sparati ad una velocità sufficiente per attraversare l’atmosfera. Per colpire una telecamera relativamente
piccola su un pianeta di medie dimensioni, ci voleva… beh, sì, una bella dose di sfortuna.
“Già, ora al suo posto ci sarà un piccolo cratere.” Scott non era superstizioso, ma alcuni dei colleghi pensarono:
è un segnale di malaugurio.
Stan intervenne: “Piuttosto, cosa mi dite di quello che è successo prima?”
Brian realizzò subito. “Vuoi dire la luna? Prima di esplodere?”
“Sì, quella era distorsione particellare, sono pronto a scommetterci. Se qualcuno può smentirmi, lo faccia
pure.”
“Cavoli, l’ho pensato anch’io, ma stiamo parlando di una luna intera! Com’è possibile? Il raggio energetico non
può raggiungere una tale potenza.”
“Io penso di sì.”
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Jerry era confuso. D’altronde era l’ultimo arrivato, e molti concetti familiari ai suoi colleghi gli erano ancora
sconosciuti. “Si può sapere di cosa state parlando?” chiese.
Scott spiegò, spedito: “La distorsione particellare è un fenomeno impossibile in natura, che siamo riusciti a
sperimentare ben poche volte. Adesso non c’è tempo per spiegarti nello specifico, ma il concetto è questo:
bombardando un corpo solido nel punto giusto, con un’energia elevatissima – il cui valore è dato da una formula
che ti spiegherò – tutte le molecole… si distorcono, cambiano forma per alcuni secondi. Quando si verifica,
l’oggetto sembra diventare liquido, ma è solo un’illusione visiva.”
Jerry non capì del tutto; ciononostante aveva notato anche lui lo strano effetto della luna nell’ultimo istante
prima della distruzione. Sarebbero tornati più avanti sull’argomento. “Comunque rivedremo la registrazione, magari
con Johnson” finì Scott.
A proposito, Johnson fece ritorno in quel momento. Entrò tutto contento nella stanza. “Ragazzi, direi che è
stato un successo completo, come piace dire al nostro imper…” Gli cadde l’occhio sul maxischermo,
inesorabilmente senza segnale, “Ma cos’è successo allo schermo?”
Brian rispose: “Ehm… abbiamo avuto un problema con la telecamera. Un colpo di sfiga, a dirla tutta.”
Johnson ascoltò con mezzo orecchio. Per gli altri fu una fortuna che Lord Torvast e il dottor Whitaker non
l’avessero seguito, perché una grande scritta ‘CONNESSIONE INTERROTTA’ su uno schermo che doveva essere
acceso non faceva una gran bella figura, sfiga o no.
“Ne parleremo poi. L’esperimento è riuscito benissimo e sono tutti soddisfatti. Avremo di che festeggiare!”
Il pannello dell’A-Rip, che poteva essere considerato l’equivalente del maxischermo a terra, non offrì invece
grandi eventi coreografici. La visuale fu sempre ostacolata dalla luce abbagliante del cannone, così Lord Necron
dovette accontentarsi di osservare solo i detriti, a botto finito.
“Eccellente. Peccato solo non aver visto la luna esplodere. Generale, dia ordine di tornare a casa. Sono
impaziente di sperimentare questo strumento di morte su obiettivi veri!” pronunciò il re dei Blacktron, nel suo tono
oscuro.
Mentre Steiner comandava di invertire la spinta dei motori, Charlie disse: “Sire, mi permetto di ricordarle che
prima di impiegare l’A-Rip in battaglia, occorre dichiararla al Consiglio Intergalattico.”
Re Necron sorrise. “Charlie, cerca di ragionare ogni tanto. Ti rendi conto della potenza di questa nave?”
“Sì, proprio per questo…”
“Secondo te dovremmo andare a chiedere al Consiglio ‘guardate, abbiamo l’arma più forte dell’universo,
possiamo usarla o no?’”
“Quello che voglio dire, Maestà, è che attaccare un qualunque pianeta con la Stella Nera comporterebbe un
genocidio di civili, non solo di militari. Il Consiglio deve esserne messo assolutamente a conoscenza!”
Re Necron non si scompose. “Charlie, io non ho intenzione di sterminare tutti i pianeti dell’universo. Mi basta
devastarne uno, tanto per dare l’esempio.” Sembrò divertito. “Un pianeta importante, che so, magari dei New
Paradigm. Lo attaccheremo di sorpresa, e quando lo raderemo al suolo, stai pur certo che i nostri nemici non
scherzeranno più con noi. Basterà minacciarli, e si arrenderanno uno dopo l’altro! Diventerò il dominatore della
galassia!”
Charlie rimase senza parole, e non fu di certo la prima volta dopo un dialogo con il Re, ma stavolta più che mai
perché le manie di grandezza di Lord Necron rischiavano di diventare troppo pericolose. Charlie non provò neppure
a ribattere che sì, ma quando le Guardie Supreme si presenteranno a palazzo con un mandato ufficiale del
Consiglio, nessuno potrà mandarle via senza risposte convincenti.
Il Consiglio Intergalattico costituiva l’organo più importante della galassia; in pratica era l’unico punto in
comune fra tutte le diverse alleanze, al di là di qualunque guerra o scontro. Vi partecipavano ministri eletti da ogni
alleanza, e la sua funzione principale era la più delicata che potesse esistere in uno spazio di imperi e conquiste:
una funzione di equilibrio. Il Consiglio stabiliva leggi e regolamenti per cercare di garantire una convivenza
perlomeno imparziale tra gli imperi (un piccolo esempio è il limite dei pianeti colonizzabili, all’epoca otto); deteneva
i registri ufficiali delle alleanze; censiva tutte le varietà di navi e difese. Proprio per quest’ultimo motivo, ad ogni
imperatore era fatto obbligo dichiarare le nuove scoperte belliche. Nel caso di sospette irregolarità, esisteva un
corpo speciale di guardie definite Supreme, le quali godevano di immunità totale e potevano indagare ovunque
ritenessero opportuno. Le funzioni e le decisioni del Consiglio erano state sempre rispettate ciecamente, fino ad
allora.
Fino ad allora.
Lord Torvast non aveva seguito il caposquadra Johnson nel laboratorio per complimentarsi con i tecnici, perché
poco prima gli era arrivata una chiamata urgente sul suo comunicatore da polso. Brutte notizie, già lo sapeva, in
quanto la chiamata proveniva dalla base militare di Terminal City.
“Qui generale Raynor, signore” uscì dal dispositivo, “Comunico che abbiamo subìto un attacco spia.”
“Dannazione!” sbottò l’imperatore, “Proprio in un momento così delicato. Situazione?”
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“Rilevate cinque sonde spia alle ore 19.05.43, in direzione Terminal City, provenienti dal pianeta LockStar
dell’alleanza New Paradigm, coordinate 5:253:8. Siamo riusciti a distruggerne due, mentre le altre erano già fuori
dalla portata delle difese.”
Dunque tre sonde nemiche erano riuscite nel loro intento. Lord Torvast calcolò mentalmente: ora saranno a
conoscenza delle nostre risorse, navi e difese. LockStar non ha un alto livello di spionaggio, quindi non credo che
abbiano visto di più, ma abbastanza per tentare un attacco. In fatto di navi e armamenti sono molto più
equipaggiati di noi, non avremmo molte probabilità di vincere una battaglia…
“…a meno che Lord Necron non ci permetta di utilizzare la Stella Nera”.
“Come dice, signore?” Il collegamento era ancora in corso.
“Niente. Grazie generale, chiudo.”
In effetti le sonde erano state inviate mentre l’A-Rip si trovava nel punto più lontano del suo viaggio, quindi
non avevano potuto rilevarla. Esistevano buone probabilità che Re Necron lasciasse la custodia nella nave proprio a
Lithion, in qualità di pianeta fulcro di sviluppo del progetto. Quale lo avrebbe meritato di più? Mancavano tre giorni
al rientro, e se le flotte di LockStar non avessero attaccato prima…
Ci voleva fortuna.
A Lord Torvast non restò che attendere.
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--- CAPITOLO 2 --- In Difesa -
Il locale, nella sua media grandezza, era un caleidoscopio di luci soffuse, attraversate dal fumo delle sigarette e
dall’alto volume di brani dance e house emessi a ripetizione. I tavoli e le sedie di legno conferivano all’ambiente
una parvenza di antico, nonostante fossero soprattutto gli under 25 a popolarlo ogni sera.
“Allora Klaus, la donna non ti ha fatto storie stasera?” chiese Lester, ironico.
Klaus appoggiò la sigaretta, e rispose: “Ma no, lo sai che mi lascia sempre venire al Silverado, soprattutto se sa
che esco con voi”. Guardò Lester, Mike e Jeff e proseguì: “Tra un po’ vi conosce meglio di me!”
“Beh, non così a fondo però…” proruppe Jeff, meritandosi così la poderosa gomitata di Klaus un secondo dopo.
Tutti risero. Klaus era riuscito a stabilire un solido equilibrio tra ragazza e amici, bisogna dargliene atto. Ridendo a
sua volta, ribatté: “Tu pensa a guardare la tua ballerina preferita, e taci!
“Piuttosto, parlando seriamente, questa potrebbe essere una delle ultime volte che possiamo uscire insieme.”
Klaus ora dimostrò preoccupazione.
Mike intervenne: “No, così non va, così non va! Lo abbiamo deciso fin dall’inizio, vietato pensare al peggio!”
“Lo so.” Klaus sbuffò di nervosismo. “Ma non è semplice. Noi siamo soldati, ragazzi. Ieri sera quelli di LockStar
ci hanno spiato, e le probabilità di attacco sono altissime, lo sapete anche voi. Le loro flotte sono pari al doppio
delle nostre (almeno basandosi sull’ultima nostra spiata) e i depositi di Lithion abbondano ancora di risorse, in
seguito all’ultima ricerca scientifica. Aspetto solo le sirene di allarme da un momento all’altro! Non ditemi che in
questo momento voi siete le persone più tranquille del mondo, perché non è vero.”
Mike rispose ansioso a sua volta: “Allora ti dico come la penso io. E’ il nostro lavoro, il nostro fottutissimo
lavoro, e non ci deve rovinare la vita… anche se potrebbe togliercela.” Pausa. “Non subiamo attacchi da oltre un
anno, ma ci siamo allenati tutti i giorni nelle esercitazioni virtuali, per non arrugginirci. Se dobbiamo batterci ci
batteremo fino alla fine… e se dobbiamo morire, moriremo con le dita consumate dal grilletto e le navi che sputano
fiamme!”
Bastarono queste poche parole per risollevare gli animi dei quattro amici, che, da bravi soldati, avevano
sempre bisogno di riprendere fiducia nelle loro capacità per andare avanti. Rimasero in silenzio per un intero
minuto, poi Lester appoggiò il suo boccale di birra scura e disse: “Ragazzi, il mio amico Brian mi ha dato notizie dai
laboratori.”
“Novità sulla Stella Nera?” chiese Jeff di getto.
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“Sì, ma abbassa la voce. Sembra che ieri sera abbiano testato il cannone contro la luna di un pianeta non
colonizzato, ed è stato un gran bel botto. Ora stanno tornando indietro, dopodomani saranno qui…”
Klaus drizzò le orecchie. “E… terremo noi l’A-Rip?”
“Questo non si sa.” Lester poi arrivò al punto: “Se sì, non avremmo più motivo di preoccuparci di eventuali
attacchi.”
“Comunque è ridicolo!” intervenne Mike, “Se tu non avessi il tuo contatto nei laboratori, noi non sapremmo
assolutamente niente. Nessuno ci dice nulla, però per rischiare la pelle ci siamo sempre!”
Jeff ribatté: “Mike, non ci pensare. Anche i cittadini non sanno niente, e anche loro rischiano la pelle se è per
questo. Non possiamo fare altro che aspettare gli eventi, e tenerci pronti per il momento in cui ci piomberanno
addosso.”
L’indomani mattina, Lester e Jeff furono di turno alla base, mentre Klaus e Mike li avrebbero raggiunti poco
dopo. In seguito ad attacchi spia, per i soldati di ogni pianeta era consuetudine sacrificare gran parte del loro
tempo libero a favore di allenamenti extra, in previsione di imminenti dure battaglie.
L’imperatore Lord Torvast, nel suo palazzo ultra-fortificato, aveva trascorso un’altra notte quasi del tutto
insonne. Non si aspettava una simile minaccia; in principio si chiese come abbia potuto un nemico tanto temibile
interessarsi al silenzioso Lithion. Temette una fuga di notizie riguardo il progetto A-Rip, ma non riuscì a capacitarsi
come. In ogni caso la battaglia era vicina, lo sentiva, e tutte le riflessioni portavano ad un’unica triste verità: il
nemico disponeva di una flotta troppo potente, che non lasciava grandi speranze. Solo la Stella Nera avrebbe
potuto scongiurare la rovina.
Così, l’imperatore si decise finalmente ad avvertire Re Necron. Almeno poteva togliersi un dubbio: quello di
sapere se avrebbe potuto disporre dell’A-Rip. Tuttavia non avrebbe mai implorato di possederla, questo mai e poi
mai, a qualunque costo. Ogni imperatore era forgiato di un codice d’onore non scritto, e Lord Torvast non faceva
eccezione.
Si posizionò davanti al suo computer e compose il messaggio ufficiale:
ALL’ATTENZIONE DI: SUA MAESTA’ RE NECRON
SEGNALO ATTACCO SPIA SUBITO CIRCA 38 ORE FA, PROVENIENTE DA PIANETA NEMICO LOCKSTAR 5:253:8,
ALLEANZA NEW PARADIGM.
RITENGO CORRETTO INFORMARVI A CAUSA DEL VOSTRO PROSSIMO SBARCO E DELLA PERICOLOSITA’ DI
UN EVENTUALE ATTACCO.
ONORE E VITTORIA
LORD TORVAST
IMPERATORE PIANETA LITHION 5:248:12
ALLEANZA BLACKTRON
Dal messaggio trasparì l’innato talento diplomatico di Lord Torvast: lui non chiedeva espressamente aiuto;
aveva girato la frase come se il pericolo dell’eventuale attacco fosse rivolto soltanto all’equipaggio dell’A-Rip in fase
di sbarco, ma allo stesso tempo trasmetteva l’implicito senso di preoccupazione. E’ il potere della scrittura.
Lord Torvast si collegò al Laboratorio Primario e da lì inviò il messaggio alla Stella Nera, assicurandosi di
criptarlo al massimo livello.
Lord Necron, invece, aveva dormito saporitamente bene. Il suo nuovo grande giocattolo di morte funzionava in
modo perfetto, e la soddisfazione gli permise di dimenticare perfino lo sdegno che ebbe provato le prime tre notti a
bordo, essendo costretto a dormire in uno dei letti dell’equipaggio. Ad ogni modo, i letti a castello intorno al suo
erano stati lasciati vuoti, per garantirgli un minimo di riservatezza.
In quel momento stava camminando nel corridoio antistante le camerate, quando il comunicatore da polso gli
squillò. Il generale Steiner. “Maestà, abbiamo un nuovo messaggio da parte dell’imperatore Lord Torvast, di
Lithion.”
“Va bene generale, arrivo sul ponte” rispose il Re.
Steiner si stupì di vedere arrivare Lord Necron senza nessuna delle sue guardie al seguito. Ma Charlie si fiondò
di corsa poco dopo nella stanza. “Buongiorno maestà, ha dormito be…”
“Taci. Mi diceva, generale?”
“Un messaggio alla sua attenzione, criptato al quinto livello. Se vuole lo proietto sul pannello, ma se è
privato…”
“Non importa, non ho segreti. Lo visualizzi pure.”
I tre presenti lessero le parole verdi luminose sul pannello, rimanendo in assoluto silenzio. Dopodiché Charlie
bisbigliò: “I dannati New Paradigm…”
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Re Necron rifletté a lungo, molto a lungo, poi alzò la voce:
“Generale Steiner.”
“Sì, altezza.”
“Lascerò la custodia della Stella Nera a Lithion per un mese, in modo che possa essere impiegata nell’eventuale
battaglia di difesa. So che le risorse di Lithion non sarebbero sufficienti per respingere l’attacco, e non ho
intenzione di lasciare Lord Torvast nei guai. Con l’A-Rip la vittoria è certa, e quelli di LockStar si beccheranno una
bella sorpresa… sempre se non attaccano prima del nostro arrivo.
“Generale, voglio che lei rimanga su Lithion durante questo periodo, e che sia lei a comandare l’equipaggio
della Stella Nera durante la battaglia, conoscendo già la nave. Con questo non voglio mettere in ombra il valoroso
generale Raynor di Lithion, sia ben chiaro.
“Trascorso un mese, se ancora le flotte di LockStar non si saranno fatte vedere, lei potrà tornare su RedSteel,
e io porterò l’A-Rip sul mio pianeta Demaar, come avevo progettato.
“E’ tutto chiaro, generale?”
“Sì, maestà. Come desidera.”
“Bene. Ora risponda pure a Lord Torvast, e lo metta a conoscenza.” Detto questo, Re Necron uscì dalla stanza,
con Charlie che lo seguì come sempre.
Il generale Steiner, mentre componeva il messaggio di risposta, pensò: così parla un re. Peccato che sia così…
oscuro.
Fu così che le flotte nemiche non diedero segnali di ostilità prima del ritorno della Stella Nera. Una fortuna
enorme, considerando che, di solito, non intercorre molto tempo tra gli attacchi spia e gli attacchi veri e propri. Tra
i soldati si andava affermando l’idea che “quelli di LockStar” avessero lasciato perdere.
Lord Torvast non fu di questo parere, ma si rincuorò abbastanza, prima nell’avere la conferma di poter disporre
dell’A-Rip, e il giorno dopo nel vederla sbarcare. Beh, non proprio sbarcare, visto che le dimensioni non
permettevano un contatto con il suolo: la Stella Nera doveva necessariamente rimanere al di fuori dell’atmosfera,
come una luna micidiale. L’equipaggio venne trasportato a terra mediante apposite navette.
Nel laboratorio, i tecnici di Johnson - Scott, Jerry, Brian e gli altri - monitorarono il rientro della nave,
dopodiché tutti festeggiarono. L’imperatore e il dottor Whitaker si aggregarono a loro. Re Necron non si trattenne
su Lithion, e neanche un’ora dopo lo sbarco ordinò il ritorno a Demaar; d’altronde il suo viaggio era top secret, e
pochi erano tenuti a sapere della sua presenza.
Nella base militare di Terminal City si festeggiò comunque, ma non il ritorno dell’A-Rip; piuttosto per il ritorno
del generale Steiner. Era già trascorso un anno dal suo aumento di grado, e dal suo trasferimento sul pianeta più
bellicoso RedSteel, ma tutti lo ricordavano come un leale e forte condottiero. Almeno per il momento, si sarebbe
trattenuto sul suo pianeta natale, come dagli ordini.
Purtroppo la pace non durò più di altri due giorni.
Il freddo pianeta Lithion conteneva soltanto due grandi città, poste pressappoco agli antipodi del globo:
Terminal City e Maeva. Entrambe comprendevano la maggioranza delle strutture più importanti, quali le basi
militari, i laboratori sotterranei, gli hangar per le navi, i depositi di risorse, i cantieri. Naturalmente vi erano
concentrati anche gli impianti di difesa e i rifugi sotterranei per i civili. Il resto del pianeta era desolato e arido; qua
e là si collocavano le poche miniere di metallo e cristallo, mentre sugli oceani abbondavano i sintetizzatori di
deuterio. In generale, l’organizzazione di Lithion poteva essere definita comune a molti altri pianeti: non era
pensabile costruire troppe città, in quanto le risorse non bastavano mai e qualunque imperatore con un minimo di
intelligenza preferiva impiegarle innanzitutto per strutture difensive e di attacco. Paradossalmente, un pianeta
molto popolato era spesso un pianeta molto debole.
Quando le sirene d’allarme si innescarono, entrambe le città, silenziose fino a quel momento, caddero nel caos
totale. Folle spaventate di civili si ammassarono nelle strade, in una fuga disordinata e confusionale, mentre voci
artificiali tuonavano a ripetizione:
“FLOTTE NEMICHE IN AVVICINAMENTO! TUTTI I CIVILI RAGGIUNGANO I RIFUGI AL PIU’ PRESTO! TUTTI I
MILITARI NON IN SERVIZIO SI PRESENTINO IMMEDIATAMENTE ALLA BASE! MANTENERE LA CALMA! FLOTTE
NEMICHE…”
Nessuno aveva più ascoltato queste parole da quando Lithion ebbe subito l’ultimo attacco dal pianeta Vertex,
l’anno prima, conclusosi con una seppur sofferta vittoria dei difensori; allora Klaus ebbe pensato: che schifo di
avvertimento! Lo cambieranno senz’altro.
Invece il messaggio non fu mai stato cambiato, e stavolta Klaus non ebbe il tempo di pensare a superflue
considerazioni: in quel momento si trovava nel centro di Terminal City, lontano dalla base, e soprattutto lontano
dalla sua navetta.
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Sì, perché ciascun soldato disponeva di un agile e rapidissimo veicolo monoposto, che assomigliava per certi
versi ad un caccia leggero rimpicciolito; utilissimo per ogni spostamento e di vitale importanza per raggiungere la
base in un attimo.
In pochi secondi Klaus fu circondato da cittadini terrorizzati, che si fiondavano come proiettili umani verso gli
ingressi dei rifugi. Raggiungere la navetta fu letteralmente un’impresa per lui: dovette schivare valanghe di
persone urlanti che si facevano sempre più consistenti e impazzite, alle volte sbraitando “Sono un soldato! Fatemi
passare!” senza però grandi benefici; le parole si perdevano nel baccano da fine del mondo.
Finalmente giunse alla navetta, posteggiata cinquecento metri più indietro. Per Klaus furono lunghi come
cinquecento chilometri. Vide che il veicolo era stato urtato più di una volta, ma ancora in condizioni quasi perfette.
Aprì lo sportello dell’abitacolo inserendo la mano nella fessura di scansione (la navetta era dotata di un antifurto a
controllo di DNA) e balzò subito dentro. Non appena si staccò da terra, Klaus si preoccupò di chiamare i suoi cari
tramite il comunicatore da polso; anche i suoi genitori e la sua ragazza Victoria si trovavano in mezzo alla
confusione, e a breve sarebbero giunti negli immensi spazi sotterranei ultra-protetti riservati ai civili. Naturalmente
erano loro ad essere più preoccupati per Klaus piuttosto che viceversa.
Klaus guidò la navetta a tutta velocità, districandosi fra gli alti palazzi. Anche nell’abitacolo, le snervanti voci
elettroniche di allarme gli martellavano le orecchie.
“FLOTTE NEMICHE IN AVVICINAMENTO!”
Le annienteremo.
“TUTTI I CIVILI RAGGIUNGANO I RIFUGI AL PIU’ PRESTO!”
Mamma, papà, Victoria, correte subito al sicuro.
“TUTTI I MILITARI NON IN SERVIZIO SI PRESENTINO IMMEDIATAMENTE ALLA BASE!”
Arrivo, arrivo, dannazione!
“MANTENERE LA CALMA!”
‘Fanculo.
Klaus giunse alla base in venti minuti, contando dalla prima sirena di allarme. Un tempo record, viste le
circostanze.
Una norma fondamentale contenuta nel Codice Militare dei Blacktron recitava: “In caso di allarme, tutti i
militari hanno l’obbligo di presentarsi nella sala riunioni della base di appartenenza. Il Generale (oppure l’ufficiale
più alto in grado disponibile) coordinerà e predisporrà le strategie di difesa.” Quel giorno, per la prima volta nella
storia di Lithion, a coordinare e predisporre le strategie erano presenti due generali: Steiner e Raynor.
La sala riunioni costituiva senza dubbio l’ambiente più grande della base di Terminal City, come da progetto
standard per tutte le basi militari. Le porte d’ingresso erano due, ai lati della stanza; al centro la cattedra con i
microfoni e, di fronte, le postazioni dei soldati. Queste ultime erano addirittura duecento e si strutturavano in
forma circolare su alte gradinate. Nel complesso, la sala riunioni di Terminal City somigliava a quella del Consiglio
Intergalattico.
Il grande schermo alle spalle dei generali mostrava il timer, vale a dire il tempo rimanente all’arrivo dei nemici
alla cupola-scudo di Lithion; nel momento in cui entrò Klaus indicava 1.45.27.
Klaus fu in ritardo ma non l’ultimo; ad ogni modo i generali iniziarono a parlare appena lui ebbe trovato un
posto in piedi, visto che i presenti superavano le sedie e non di poco, tra soldati e capitani.
“Esercito di Terminal City!” esordì Raynor. L’alto volume degli altoparlanti conferì alla voce un tono da giudizio
universale. “Ancora una volta siamo chiamati a difendere il nostro pianeta. I nostri potenti radar ci hanno
consentito di prevedere l’attacco con un margine di oltre due ore, ma in questi casi ogni secondo che trascorre è di
estrema importanza. Vi esorto ad ascoltare me e il generale Steiner con la massima attenzione.
“Innanzitutto la flotta nemica…” - pausa - “…è molto consistente.” Raynor, preoccupato, si spostò alla base
dello schermo, e premette un tasto. Il timer sparì e a video apparvero le scritte che tutti temevano:
- CONSISTENZA FLOTTA IN AVVICINAMENTO CORAZZATE: 2
NAVI DA GUERRA: 120
INCROCIATORI: 45
CACCIA PESANTI: 80
NAVI CARGO GRANDI: 55
NAVI CARGO PICCOLE: 65
- ULTIMA SCANSIONE RADAR ORE: 17.41.35 -
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Panico fu il primo tremendo stato d’animo generale. Si levò un forte brusio in sala, più intenso di quello
scaturito nella sala conferenze del Laboratorio Primario cinque giorni prima, quando Scott e colleghi ebbero
ricevuto la notizia della presenza di Re Necron a bordo dell’A-Rip.
Il brusio diventò un caos di voci. Volò qualche imprecazione. I generali si aspettavano una reazione del genere,
e non ordinarono il silenzio, perché non aveva senso reprimere sfoghi di preoccupazione così ampiamente
giustificabili. La flotta attaccante era spaventosa per un pianeta come Lithion.
Piuttosto, Raynor cercò di imporre sicurezza. Si avvicinò il più possibile ai microfoni e disse: “Capisco… capisco
molto bene come vi sentite. Tuttavia, questa volta abbiamo un asso nella manica: la Stella Nera, la nave più
devastante mai costruita nell’intero universo!” L’esagerazione era calcolata (anche se corrispondeva probabilmente
a verità), e la tensione nella stanza diminuì di qualcosa.
“Ma non perdiamo tempo, ora vi esponiamo subito la strategia di difesa. Premetto solo che abbiamo alte
probabilità di vittoria” finì Raynor.
Il generale Steiner ora prese la parola, e solo in quel momento il brusio cessò del tutto. Era estremo il rispetto
che i subalterni nutrivano nei suoi confronti.
“La battaglia di difesa avrà luogo in due fasi distinte.
“Nella prima fase, l’A-Rip sarà protagonista assoluta: spareremo il raggio energetico contro la flotta in arrivo, in
modo da distruggere a distanza più navi possibili. La precisione del colpo sarà di vitale importanza, perché
purtroppo non avremo modo di utilizzare il cannone una seconda volta, non in questa battaglia. Ci vogliono ore
intere per raffreddare e ricaricare i reattori, e nel frattempo le navi rimanenti saranno già qui.
“Esiste una piccola speranza che i nemici, spiazzati e disorientati dall’impatto del raggio, rinuncino all’attacco e
decidano la ritirata, ma lo ritengo molto improbabile. Conoscendo quelli di LockStar, sono così testardi da insistere
fino alla fine, dovessero anche rimanere con una sola cargo!
“Dovremo sparare il raggio in un momento strategico: le navi non devono essere né troppo vicine, altrimenti
inizierebbero a sparpagliarsi, né troppo lontane, perché l’energia distruttiva del cannone si attenua nelle lunghe
distanze. Non sarà facile. Ad ogni modo abbiamo già dato ordine ai tecnici di calcolare la posizione e il momento
giusto.
“Riteniamo che uno sparo perfetto possa distruggere circa la metà delle navi nemiche. Sarebbe un bel
risultato!”
Steiner riprese fiato. Tutti i presenti lo stavano ascoltando in religioso silenzio.
“La seconda fase” - proseguì - “si svolgerà a distanza ravvicinata. La Stella Nera avrà ancora un ruolo decisivo.
“Affronteremo da vicino tutte le navi restanti, ma cercheremo anche di sommare le difese di Terminal City a
quelle dell’A-Rip. Questo è possibile solo avvicinando la Stella Nera alla città, e di moltissimo. Si tratta di una
manovra davvero complicata; i piloti dovranno fare i conti con l’attrito dell’atmosfera e la gravità… non vi nascondo
che un piccolo errore in questa fase potrebbe radere al suolo Terminal City!”
Ecco, uno degli aspetti più apprezzabili del generale Steiner era la sincerità. Non usava mai giri di parole o frasi
mirate, e questa caratteristica incrementava la sua già ottima capacità di parlatore. Raynor lo sapeva, e lasciò che
fosse lui a continuare.
“Inoltre c’è un problema non trascurabile: per permettere l’avvicinamento dell’A-Rip saremo costretti a
disattivare la cupola-scudo.
“Terminal City sarà comunque ben difesa, ma il problema è Maeva, che rimarrebbe troppo scoperta. Ha poche
difese e poche navi, e se togliamo anche la cupola-scudo diventerebbe un appetitoso punto debole. Quindi, una
parte della nostra flotta dovrà unirsi alla loro. Non vi sappiamo ancora dire quante e quali navi, è ancora presto.”
Steiner si fermò e rifletté un attimo. Si voltò per dare un’occhiata rapida al timer (che nel frattempo era
riapparso a video al posto della terribile consistenza nemica), e si affrettò a concludere.
“Le truppe rimangono le stesse già stabilite fin dal principio. Io sarò al comando della Stella Nera, mentre il
generale Raynor condurrà le altre flotte.
“E questo è tutto, spero di essere stato chiaro… anzi, devo aggiungere un’ultima cosa.” Si fermò di nuovo,
come se gli pesasse quanto stava per proferire.
“Per esperienza diretta, io vi dico che i piani prestabiliti subiscono sempre dei cambiamenti, una volta in
battaglia. Conosco personalmente la maggior parte di voi e so che condividete.” Infatti, più della metà delle teste
annuirono. “Questa volta i cambiamenti potrebbero essere molto pericolosi, e vi prego di attenervi al piano di
difesa che vi ho esposto, nei limiti del possibile.”
L’attuale generale Raynor rimase impressionato dalla visibile stima che l’intero esercito di Terminal City nutriva
nei confronti del suo predecessore, così lasciò che fosse lui a concludere. Parecchio tempo più avanti, una volta
calmati gli animi, ripensando a quel giorno non potrà fare a meno di riflettere: la mia presenza è stata quasi
superflua. Credo che la mia intera vita non basterà per raggiungere un onore pari a quello del generale Steiner.
Nondimeno Steiner capì subito che Raynor non intendeva più prendere la parola.
“Sono stato chiaro?”
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“SI’, NOSTRO GENERALE!” risposero tutti, ad una voce sola. Ai presenti sembrò di tornare indietro nel tempo,
quando Steiner comandava le flotte dalla sua BS color nero petrolio e Raynor faceva ancora fatica a pilotare un
caccia pesante.
Ma subito dopo ci fu nostalgia pura e semplice, perché Steiner urlò, come ai vecchi tempi: “Allora andiamo a
piallarli tutti!!”
Mancava un’ora e mezza all’arrivo dei nemici, quando i soldati di Terminal City si precipitarono negli spogliatoi
per indossare le loro uniformi da battaglia, e subito dopo verso le loro postazioni. Sull’A-Rip sarebbero saliti gli
stessi soldati che avevano partecipato all’esperimento della luna di Taros, con una piccola aggiunta, per un totale
di circa un quarto delle truppe disponibili. I restanti tre quarti avrebbero occupato le loro navi abituali. Le
dislocazioni erano già state stabilite dal generale Raynor, fin dallo sbarco dell’A-Rip, in previsione dell’evento.
Per quanto riguarda Maeva, dall’altra parte del mondo, non esistevano scelte: tutti i soldati alle loro rispettive
navi, comandati dal capitano Delevan, più altre eventuali navi di supporto da Terminal City. Come sempre. Tutto si
sarebbe comunque stabilito in base al piano di attacco dei nemici.
Un altro aspetto critico fu il tempo di imbarco sulla Stella Nera, non indifferente, tramite le navette. Visto che
dovevano essere presenti alcuni tecnici a bordo, questi furono imbarcati prima dei soldati, durante il discorso dei
generali. Dopodiché venne imbarcato Steiner, che quindi trovò tutti i sistemi pronti, già avviati dai tecnici. In
seguito tutti gli altri, in un andirivieni di navette. Nel frattempo, chi non doveva salire aveva già raggiunto la
propria nave negli hangar. L’ottimizzazione del tempo era la chiave per la riuscita di una missione.
Solo a sessantacinque minuti dall’arrivo dei nemici, tutti si poterono considerare al proprio posto. Il timer era
trasmesso su tutti i monitor e i pannelli delle navi di Lithion, e non passava secondo che qualcuno non lo
osservasse con ansia.
Il generale Steiner, sul ponte di comando della Stella Nera, diede inizio alla prima fase. “Per prima cosa, ci
servono le coordinate ottimali per il cannone. Mick, mettimi in contatto con il Laboratorio Primario.”
“Subito, signore.” Sì, era lo stesso tecnico Mick che aveva preso parte alla missione di sperimentazione.
E questa volta, l’A-Rip era sufficientemente vicina per un collegamento a tre dimensioni. Al centro degli
impianti computerizzati, apparve il dottor Johnson. La precisione dell’ologramma era sconcertante, sembrava
proprio lì in carne e ossa. “Qui capotecnico Johnson. Abbiamo già i dati richiesti, signore.”
“Ottimo, trasmetteteli alla nave” ordinò Steiner. In effetti, Scott, Jerry e gli altri avevano già elaborato calcoli
precisi… ma solo fin quanto fu possibile, perché come spiegò Johnson: “Tengo a specificare, signore, che non
abbiamo calcoli perfetti sul momento in cui aprire il fuoco.”
“Cosa intende dire?”
“Le spiego. Per quanto riguarda le coordinate, abbiamo potuto calcolare il punto di massimo danno, in quanto
le flotte nemiche si avvicinano a velocità uniforme e in modo compatto. Però, non c’è modo di sapere quando le
navi inizieranno a sparpagliarsi. Questo dipende dalla strategia nemica… e scusi l’ironia, signore, ma la scienza non
è ancora arrivata al punto di leggere nelle menti altrui.
“Ciononostante, ci siamo basati sulle statistiche.” Johnson prese un foglio (dall’ologramma sembrò che il foglio
si trovasse a bordo, santo cielo che immagine perfetta!) e continuò: “Il 90% delle flotte, durante un attacco, rompe
la formazione compatta fra i trenta e i quindici minuti dall’arrivo a destinazione. Di conseguenza, dovrete sparare il
raggio a circa trentacinque minuti dal loro arrivo, per essere prudenti.
“Il danno massimo sarebbe del 49,3%” finì Johnson, che intanto aveva inviato le coordinate alla nave. Queste
apparvero sul monitor di fronte a Mick. Steiner aveva previsto giusto, avrebbero potuto disfarsi di circa metà
consistenza nemica, ma occorreva muoversi. Il cannone doveva sparare entro mezz’ora.
Pochi istanti dopo l’A-Rip iniziò a muoversi, lentissima, verso il punto migliore da cui proiettare il raggio
energetico. Le navi di LockStar erano ancora troppo lontane per accorgersi di una grande luna anomala, grigia e
minacciosa, che non era esattamente composta dai detriti di una battaglia con troppe navi distrutte. Anzi, questa
era in grado di creare quantità inimmaginabili di detriti. Bastava posizionare centinaia di navi alla giusta portata del
cannone, un grande cilindro di luce, e voilà! Provare per credere!
La manovra di spostamento ebbe termine mentre il timer indicava 41 minuti e 34 secondi. I tecnici sul ponte di
comando si misero in comunicazione con la sala di controllo, per inserire le coordinate di fuoco. Il tutto avvenne
davanti allo sguardo di ghiaccio del generale Steiner, il quale ascoltò il linguaggio troppo specifico dei tecnici,
comprendendo soltanto che le coordinate erano tre: X, Y e Z. Non di più.
“Parametri manuali accettati, reattori in stato attivo, sincronismo effettuato. Generale, siamo pronti al fuoco”
affermò infine Nathan, il collega alla destra di Mick.
Secondo il dottor Johnson, occorreva sparare quando il timer avrebbe raggiunto i 35 minuti, come stima
prudente. Steiner fu tentato di rischiare, vale a dire di attendere che i nemici fossero ancora più vicini per causare
più danni, ma abbandonò subito l’idea. Lui stesso si era raccomandato di rispettare i piani. Così diede l’ordine:
“Aprire il fuoco a trentacinque minuti dall’arrivo dei nemici.”
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“Ricevuto, signore.”
Il radar alla sinistra di Mick si illuminava ogni secondo di tanti puntini verdi quante erano le navi in
avvicinamento. Come previsto, i puntini erano tutti ammassati, in modo da formare una grande V che si spostava
pian piano verso il centro del quadrante. Di lì a poco, l’immagine sarebbe cambiata drasticamente.
Non appena il timer raggiunse 35.00, tutti trattennero il fiato, eccetto Steiner che urlò la parola fuoco in un
tono poco più umano di quello di Re Necron.
Il cannone energetico dell’A-Rip tuonò per la seconda volta, illuminando le profondità oscure dello spazio.
Silenzio.
Dopo il rombo dei reattori e la sequenza di luce, nelle stanze della Stella Nera non ci fu altro che silenzio.
Silenzio di morte e di anticipazione, per tre interminabili minuti.
Il generale Steiner si voltò per guardare il radar. La V luminosa non esisteva più. I puntini, visibilmente inferiori
rispetto a prima, componevano una forma astratta e piena di buchi.
Senza distogliere lo sguardo, ordinò: “Eseguite subito una scansione radar approfondita. Voglio sapere quante
e quali navi sono rimaste indenni.”
“Ricevuto. Il tempo… necessario è di… novanta secondi” faticò a pronunciare Mick, molto teso in seguito allo
sparo del cannone.
Dopo un minuto e mezzo, ecco il risultato che fu proiettato sul grande pannello:
- CONSISTENZA FLOTTA IN AVVICINAMENTO CORAZZATE: 1
NAVI DA GUERRA: 66
INCROCIATORI: 13
CACCIA PESANTI: 28
NAVI CARGO GRANDI: 42
NAVI CARGO PICCOLE: 37
- ULTIMA SCANSIONE RADAR ORE: 19.11.48 Steiner osservò prima il pannello con attenzione, poi tornò al radar. I puntini… continuavano ad avvicinarsi.
Poco tempo prima, il generale aveva sostenuto che quelli di LockStar sono così testardi da insistere fino alla
fine, dovessero anche rimanere con una sola cargo. Credeva di aver esagerato, ma a questo punto dovette
riflettere: il raggio energetico ha disintegrato quasi la metà delle loro navi, di sorpresa, in un tempo pari a quello
necessario per un semplice schiocco delle dita. Non sanno né cosa li abbia colpiti, né se possiamo colpirli di nuovo.
E nonostante tutto, i superstiti proseguono impassibili. Questa non è testardaggine, è follia allo stato puro. Steiner
ne rimase sbalordito, ma provò anche una punta di rispetto nei confronti di truppe tanto determinate.
“Va bene,” concluse, “procediamo con la seconda fase. Iniziamo subito con la manovra di avvicinamento a
Terminal City, e nel frattempo date conferma alla base per disattivare la cupola-scudo.”
I tecnici di prima linea sul ponte si attivarono immediatamente.
“Generale…” osò Nathan poco dopo, “ci risulta che la manovra di avvicinamento richiede dai quaranta ai
cinquanta minuti…”
Steiner capì al volo l’estensione del problema, il primo imprevisto. Il timer indicava 23.38.
“Maledizione! Non abbiamo così tanto tempo! C’è un modo per accelerare?”
Mick intervenne: “Purtroppo no, signore. L’unica cosa da fare sarebbe portare la manovra comunque a
termine, ma prima che questo avvenga, le difese della città non si sommeranno alle nostre.”
Il generale strinse i denti. Previde cosa sarebbe successo di lì a venti minuti: i piloti avrebbero dovuto compiere
la manovra lottando non solo contro la forza di gravità e l’attrito dell’atmosfera, ma anche contro le forze nemiche.
“Dobbiamo farcela. Mick, Nathan, Bob, comunicate a tutti i soldati a bordo di prepararsi ai controlli delle difese. Poi
mettetemi in contatto con il generale Raynor… ah, e dite ai piloti che, se riusciranno a completare la manovra, gli
assegnerò personalmente una medaglia al valore!”
Il generale Raynor attendeva paziente alla postazione di comando della sua BS, immobile nell’hangar. Fu
messo al corrente di tutto, a partire dalla sprezzante insistenza dei nemici al difficilissimo avvicinamento dell’A-Rip.
Riteneva che le forze complessive in difesa sarebbero comunque bastate per vincere la battaglia, anche se le cose
iniziavano a complicarsi.
Il timer scandiva crudelmente i suoi secondi. Fu quando raggiunse i 17 minuti, che le navi attaccanti iniziarono
a rompere il gruppo di partenza e a comporre tante formazioni minori. Senz’altro avevano già rilevato l’A-Rip, e
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c’era da chiedersi quale sarebbe stato il loro comportamento. Avrebbero cercato di evitarla, oppure di aggredirla in
massa?
Il radar rivelò che la maggior parte delle navi aveva scelto la seconda opzione. Solo una ristretta minoranza
cominciò a dirigersi verso Maeva. Tanto meglio per noi, pensò Raynor, non hanno speranze contro la Stella Nera.
Raynor attese ancora una manciata di minuti, fissando il radar sul pannello comandi, poi avvicinò la testa
all’altoparlante ed assegnò gli ordini:
“Qui Raynor a tutti. Partenza ai dieci minuti esatti di timer. Le flotte comprese tra B-05 e B-18 si uniranno a
quelle di Maeva. Tutte le altre si disporranno in difesa di Terminal City insieme all’A-Rip. Mantenere la formazione
standard uno, modificarla solo in caso di estrema necessità.
“Ricordo al gruppo di difesa Terminal City che i piloti dell’A-Rip si trovano in condizioni critiche. Quindi massima
attenzione, anche a non urtare la Stella Nera!”
Non ci fu risposta, perché soltanto ai capitani di un certo grado era consentito collegarsi alla BS del generale, e
per nient’altro che comunicazioni urgenti. Tra l’altro, Raynor era da solo a bordo, e la cosa non deve stupire.
In pratica funzionava così: una comune BS poteva essere perfettamente controllata da una sola persona,
nonostante ci fossero dieci posti disponibili. In caso di missioni che richiedevano un gran numero di navi, capitava
molto spesso che, a bordo di ciascuna BS, prendessero posto solo una o due persone.
11 minuti. I motori di tutte le navi aumentarono il loro fragore, che si moltiplicò nell’eco degli hangar.
10 minuti. “Partenza! Li distruggeremo tutti!” urlò il generale Raynor. “Andiamo a piallarli tutti!” capirono i
subalterni.
Come prevedeva la formazione Standard 1, fu Raynor ad uscire per primo. Le altre navi si scollarono da terra
poco dopo, e a breve si sarebbero unite per comporre le formazioni di difesa, ma i diversi equipaggi non poterono
evitare alcuni attimi di smarrimento, quando, appena fuori dagli hangar, guardarono sopra di loro.
L’A-Rip, in avvicinamento, occupava la maggior parte del cielo visibile.
Solo allora, tutti compresero l’importanza dell’avviso: “Non urtare la Stella Nera!”.
I caccia pesanti di Klaus, Lester, Mike e Jeff, sempre secondo il protocollo Standard 1, appartenevano alla
stessa piccola flotta, denominata C-19. In uniforme, era Klaus a comandare il gruppo, in quanto deteneva il grado
più elevato pur non raggiungendo ancora la qualifica di capitano.
I quattro si stavano precipitando a piena velocità verso uno dei fianchi dell’A-Rip, mantenendo la perfetta
formazione a diamante. In questa missione erano parte del gruppo di difesa Terminal City.
Klaus aprì il collegamento audio multiplo, in modo che tutti si potessero ascoltare, poi riprese saldamente il
comando della cloche. “Allora ragazzi, siamo pronti a far saltare un po’ di teste?”
“Sì, quelle che rimangono!” Mike era al massimo della carica. “Quella luna mancata sopra di noi ha l’aria di
voler distruggere l’universo prima ancora del nostro arrivo. Dubito che avremo da sparare molto.”
Lester: “Senza contare che dovremo stare buoni buoni all’ombra delle BS, come difesa. I nostri stupidi caccia
sono veloci ma scarsi…”
Klaus: “Pensa che a breve mi assegneranno una BS, e io vi dirò addio e divertitevi sui vostri trabiccoli!”
Mike: “Sì, sì, non fare tanto il gallo! Scommettiamo che non riesci neanche a usare il pilota automatico e ti
schianti in picchiata?”
Risate. Niente di meglio per stemperare la tensione. Ma all’appello mancava qualcuno che ancora non aveva
aperto bocca.
“Jeff, tutto ok?” chiese Klaus.
Jeff stentò a rispondere: “E’ che ho un brutto presentimento. Molto brutto.”
“Non essere pessimista. E’ già tanto se riusciamo a intravedere una sola nave nemica…”
Jeff non parlò più. Provava una sensazione strana, come ansia e anticipazione proiettate nel futuro, che non
sapeva spiegare. Poco tempo prima, aveva sentito parlare di una razza dotata di grandi poteri ESP, in grado di
intuire il corso degli eventi; gli parve di ricordare il nome Stylus. Ma Jeff non era uno Styliano, e i suoi
presentimenti valevano meno che niente. La sua era solo tensione… vero?
Se lo augurò vivamente.
Fu la corazzata ad arrivare per prima, la nave nemica più temibile fra le sopravvissute al cannone energetico.
La sua intenzione era chiaramente quella di attaccare la Stella Nera, insieme ad altre BS di supporto.
La corazzata iniziò l’attacco con una dose massiccia di plasma. Veloci sfere azzurre illuminarono lo spazio che
divideva gli scafi dell’attaccante e dell’A-Rip…
“Generale, scafo nord danneggiato da raffica di plasma! Entità danno totale lieve - 0,9% - ma aperta falla nello
strato più esterno!” urlò Mick tutto d’un fiato.
Steiner iniziò ad inquietarsi a sua volta: “Cosa stiamo aspettando a rispondere? Non dovrebbero attivarsi le
difese in automatico? E i soldati cosa stanno comb…”
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Fu interrotto da un altro lontano rumore fugace, e stavolta Mick cadde in preda al nervosismo totale: “Subiti
colpi di Gauss! Nello stesso punto di prima! Danneggiato anche il secondo strato di corazza! Danni totali 1,2%!! Le
difese automatiche non funzionano!!!”
Il generale non ci vide più. “COSA?? Fatemi parlare subito con i soldati alle difese!”
Mick era già fin troppo sconvolto, così fu Nathan ad aprire il collegamento alla velocità della luce.
Al piano sottostante il ponte di comando, si trovava la sala di controllo, dove la maggior parte dei parametri di
funzionamento scorreva incessantemente sui monitor. La stanza era presidiata solo da quattro soldati specializzati
in tecnologia, che al momento osservavano sorpresi su uno schermo la scritta: “PUNTAMENTO FALLITO –
VERIFICARE IMPIANTI”. Ma in quel momento i chiamati in causa non furono loro, bensì il plotone che si trovava al
piano ancora inferiore, nella sala di monitoraggio impianti difesa.
Da uno dei pannelli di questa stanza meno ampia, tuonò la voce del generale Steiner: “Cosa diavolo sta
succedendo??”
Rispose un deciso soldato tecnico: “Generale, le difese non riescono ad agganciare i nemici, ci stiamo
muovendo in modo troppo irregolare! Il puntamento è molto sensibile, e noi siamo soggetti a continui sbalzi,
mentre ci avviciniamo alla città! I piloti… i piloti fanno il possibile, ma dobbiamo fermarci assolutamente!” Aveva
esitato durante la spiegazione, perché l’A-Rip nel frattempo aveva subìto un altro colpo. Danni totali: 1,7%.
Steiner capì immediatamente. Nella sala di pilotaggio (che non coincideva con il ponte di comando), i piloti
stavano impazzendo nel mantenere il controllo della gigantesca nave, contro gravità, attrito, vento e Dio solo sa
cos’altro. Era impossibile non sbandare, seppur in misura impercettibile.
“E non solo” continuò il soldato, “dobbiamo anche ridurre la sensibilità del puntamento! Si può fare soltanto dal
ponte di comando, altrimenti non riuscirem…”
Il generale lo troncò subito, e montò di nuovo in collera: “Basta così, ho capito! Non potevate avvertire
prima??” Poi, rivolgendosi ai tre di prima linea: “Collegatemi subito con la sala di pilotaggio! Ci fermiamo a
mezz’aria, per il momento.”
Bob, di fianco a Nathan, eseguì.
La Stella Nera subì altri due attacchi prima di controbattere con le sue instabili ma letali difese. I piloti
arrestarono la manovra, con uno sforzo ugualmente estremo, mentre i tecnici di prima linea diminuirono la
sensibilità dei puntamenti. Prima di completare entrambe le procedure, l’A-Rip era indifesa quanto la luna che
aveva distrutto pochi giorni prima.
L’entità dei danni rimase relativamente bassa, e fu una fortuna che le BS nemiche ebbero tardato ad affiancarsi
alla corazzata. Quest’ultima sembrò averci preso gusto, e nei suoi martellanti attacchi si era anche avvicinata.
Avrebbe pagato caro l’affronto. L’A-Rip era tornata finalmente nel pieno delle sue forze.
I primi a rispondere furono i cannoni ionici, che nel loro giallo brillante tempestarono la corazzata alla velocità
della luce. L’elettronica della nave nemica impazzì, gli scudi si spensero al volo; subito dopo un’azione congiunta di
laser e plasma provocò numerose esplosioni da tutte le parti.
La Stella Nera parve riempirsi di vita propria; la temeraria nave attaccante sembrò diventare la vittima di
un’impazzita rabbia fuori controllo.
Nessuno aveva mai visto una corazzata crollare tanto in fretta.
Sul ponte di comando, il pannello aveva inquadrato interamente la scena, davanti agli occhi attoniti del
generale e dei tecnici.
Steiner esternò un “Notevole!” che suonò ironico alle sue stesse orecchie, perché definire ‘notevole’ la
disintegrazione di una corazzata nell’inaudito tempo di sedici secondi era un tantino eufemistico.
Superato l’incanto, tutti ripresero le redini della situazione. Il generale chiese a Mick: “Quanto siamo distanti
dalla città? Non possiamo restare fermi troppo a lungo.”
“A pieno regime, ci vorranno circa dieci minuti… generale, cinque BS in avvicinamento!”
Nessuno si scompose più di tanto, dopo aver assistito al miracolo distruttivo di poco prima, anche se questa
volta i soldati attaccanti dimostrarono un briciolo di astuzia in più: aprirono la loro formazione e si distanziarono,
per non essere colpiti in massa. Ma davvero speravano di sopravvivere? Cosa gli frullava in testa?
Al generale Steiner sorse un dubbio.
Stanno studiando le capacità difensive dell’A-Rip. Probabilmente sanno di andare incontro a morte certa, ma in
base a come verranno distrutti, le altre navi sapranno regolare la loro strategia. E’ un comportamento da kamikaze,
eppure non vedo altre spiegazioni. Se io fossi nei panni del loro condottiero (e se fossi ancora vivo), avrei già
ordinato la ritirata in almeno tre occasioni.
Era un’eventualità sconvolgente. Mentre Steiner rifletteva, le BS attaccanti presero posizione in perfetta
sincronia… e furono distrutte. Non nella stessa improbabile manciata di secondi impiegata con la corazzata;
stavolta trascorsero circa tre minuti, e nel frattempo le BS riuscirono anche a mandare a segno diversi colpi. Cioè,
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non che ci volesse tanto per mandare a segno i colpi, date le dimensioni dell’obiettivo; si può dire che i nemici
ebbero il tempo di sparare, piuttosto.
“Cinque BS nemiche distrutte. Totale danni subiti: 2,1%” sentenziò Nathan.
Intanto Mick, dando un’occhiata al radar, si accorse che molte navi avevano saggiamente deciso di evitare
l’affronto diretto. Gran parte dei puntini iniziò a cambiare direzione nell’intento di aggirare la Stella Nera, e questa
fu la strategia che Steiner e Raynor ebbero previsto fin dal principio.
Solo che l’A-Rip era ancora troppo in alto.
“Generale, cercano di aggirarci” avvertì Mick.
Steiner diede l’ordine: “Riprendere la manovra di avvicinamento!” Bob lo comunicò subito ai piloti già stremati,
poi il generale ebbe un’intuizione: “E’ possibile diminuire ancora di più la sensibilità dei puntamenti?”
Mick capì il ragionamento: “Sì, in modo da poter utilizzare le difese anche in movimento? Ci avevamo già
pensato. L’unico problema è che gran parte dei nostri colpi finirebbe a vuoto.”
“Non importa, è prioritario raggiungere la città e sommare le difese al più presto. Anche se qualche laser
mancasse gli obiettivi, avremmo un minimo di protezione durante la manovra. Eseguire!”
A questo punto, le flotte di LockStar dimostrarono una grande capacità strategica. L’esercito di Lithion non
aveva mai commesso l’errore di sottovalutarle, nonostante l’aiuto della nave più grande e potente in circolazione.
Nathan: “Dodici minuti all’arrivo.”
Il generale non lo ascoltò, perché sul radar vide qualcosa di strano. Un gruppo di puntini si mosse velocissimo,
ma anziché proseguire verso Terminal City, sembrò puntare verso la parte inferiore dell’A-Rip.
“Quelli sono caccia pesanti; solo i caccia possono raggiungere una tale velocità. Cos’hanno in mente ora?” si
meravigliò.
Non tardò a scoprirlo. I caccia nemici si proiettarono velocissimi sotto l’A-Rip; le difese si attivarono subito, ma
mancarono tutti gli obiettivi, instabili com’erano; così i laser, i cannoni ionici e i plasma proseguirono nella loro
direzione… per poi abbattersi sul pianeta.
“NO!!! NON E’ POSSIBILE! Così distruggiamo la città!! Fermate le difese, per l’amor di Dio!! SUBITO!!” sbraitò
Steiner.
Fermare le difese significava lasciare scoperta la Stella Nera, ma lasciarle attive significava devastare Terminal
City. Le flotte attaccanti erano riuscite ad ingannare i difensori, ritorcendogli contro le loro stesse difese. Sembrava
incredibile.
Due perfette linee di laser sezionarono tre grattacieli di Terminal City; un quarto crollò poco dopo sulla strada
rialzata sottostante; un raggio ionico sciolse tutte le infrastrutture in una vasta piazza; quattro sfere di plasma
rasero al suolo un intero isolato e fusero metà di quello a fianco.
Il generale Raynor cadde nel panico, così come tutte le flotte di cui era al comando; le navi in volo sciolsero le
loro formazioni (a dispetto del protocollo Standard 1) e si sparpagliarono disordinatamente; alcune non si
schiantarono per pochi centimetri; altre si fermarono addirittura. Dal cielo interamente oscurato dall’A-Rip caddero
altri laser; per fortuna alcuni di questi mancarono la città; un altro, invece, sfiorò il caccia di Klaus, il quale lottò per
mantenerne il controllo.
All’inizio era stata presa in considerazione l’idea che la Stella Nera avrebbe disorientato le flotte nemiche.
Invece stava accadendo esattamente il contrario.
Il concetto puro e semplice è questo: L’A-Rip non era stata progettata per difendere un pianeta, nonostante la
sua potenza eccezionale.
Mick, Nathan e Bob aumentarono di nuovo la sensibilità delle difese, con mani inevitabilmente tremanti,
ponendo fine alla catastrofe. Il loro primo pensiero ricadde sul fatto che, a questo punto, gli attaccanti avrebbero
concentrato il fuoco contro lo scafo dell’A-Rip, ora indifeso.
Però, un fattore giocava a favore di Lithion: il tempo. L’avvicinamento alla città stava per essere completato; le
navi di LockStar non avrebbero mai fatto in tempo a predisporsi per un’offensiva efficace contro la Stella Nera.
Infatti, mancavano solo due minuti al termine della manovra, quando il generale Raynor, sconcertato, dalla sua BS
contattò il ponte.
“C-che diavolo succ…” riuscì a biascicare, mentre Steiner, all’apice del nervosismo, lo interruppe:
“Generale Raynor, succede che quei bastardi hanno mandato in crisi le nostre difese, ora abbiamo ristabilito la
situazione, stiamo per completare la manovra, prepari le sue truppe, dobbiamo annientare ogni singola nave
nemica, non deve rimanerne neanche l’ombra!!!” Aveva pronunciato la frase ad una velocità folle, urlando le ultime
parole. Poche volte aveva perso il controllo di sé, tanto come in quell’occasione; dopotutto non gli era mai capitato
di comandare una nave le cui armi erano state indotte a colpire la sua città natale. Non si era mai sentito tanto
preso in giro in vita sua.
“Sì, g-generale Steiner. Li distruggeremo” concluse Raynor, confuso.
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Nell’arco dei due minuti successivi, i caccia nemici che sfrecciavano nello spazio sottostante l’A-Rip cercarono di
prendere il largo, ma molti di loro non ci riuscirono. Infatti, mentre eludevano i micidiali colpi dell’A-Rip, furono
costretti ad abbassarsi di quota, attivando finalmente le difese di Terminal City. I laser leggeri e pesanti furono
sufficienti per distruggerli al volo, come gigantesche zanzare; si innescò anche qualche cannone ionico,
relativamente inutile. Peccato che i soldati e i tecnici a bordo della Stella Nera non poterono assistere di persona
alla mattanza dei caccia, dopo essere stati giocati in modo tanto subdolo.
Intanto, Raynor tentò di ristabilire l’ordine delle sue flotte, le quali si erano sparpagliate in un caos eccessivo.
Tra l’altro, nessuna di loro aveva minimamente cercato di colpire i caccia nemici; forse erano state troppo
disorientate dall’inverosimile auto-bombardamento. La cosa era comprensibile, ma a questo punto occorreva
riprendere in pugno la situazione.
“Esercito di Terminal City!” iniziò il generale, aprendo il collegamento verso tutte le navi, “Poco fa, le difese
dell’A-Rip hanno colpito la città per errore, un errore provocato dai nemici stessi. Ora la situazione è sotto
controllo. Ricomponete immediatamente le formazioni, e non esitate a sparare a vista!”
Come intervento non fu niente di così eccezionale, ma a qualcosa servì. In quattro e quattr’otto, si poté tornare
a parlare di protocollo Standard 1.
Fu allora che la Stella Nera terminò la sofferta manovra di avvicinamento, e si arrestò a mezz’aria, creando una
sorta di soffitto sconfinato che ricopriva Terminal City.
“Per poco non finivi a pezzi, Klaus! Quel laser ti ha mancato per un pelo…” disse Jeff, che continuava a provare
l’ansia del suo presentimento.
Klaus, da parte sua, era amaramente seccato. “Preferirei essere catturato vivo dai nemici, piuttosto che essere
ucciso da una nostra stessa nave. Qualcuno mi dovrà dare spiegazioni più convincenti, una volta finito tutto.”
I quattro avevano ricomposto la formazione a diamante, continuando a dirigersi verso il lato est dell’A-Rip.
Durante i minuti successivi, i nemici non ebbero altri lampi di genio tali da mettere in seria difficoltà i difensori.
Le difese dell’A-Rip si erano ormai stabilizzate, ed erano altresì sommate a quelle ancora più stabili della città,
senza contare le navi di supporto che coprivano eventuali spazi indifesi ai lati dell’enorme scafo. Terminal City era
diventata una roccaforte inespugnabile.
Così, le flotte di LockStar, incapaci di progettare altre strategie efficaci, si lanciarono più o meno casualmente
da tutte le parti. Un piccolo gruppo di incrociatori sparò a raffica contro lo scafo superiore dell’A-Rip, riuscendo solo
a scalfirlo appena; in risposta incassò laser e plasma. Sei temerarie BS spinsero i motori al massimo e si
intrufolarono sotto la Stella Nera, ottenendo una pioggia di raggi ionici dall’alto e l’esordio dei cannoni di Gauss dal
basso. I piloti dovevano essere molto in gamba, in quanto riuscirono a danneggiare due Gauss nel frattempo, ma
la bravura non bastò per salvarli. Altre navi seguirono il loro esempio, cercando di penetrare nel ristretto spazio al
di sotto dell’A-Rip, alle volte con alcuni cargo al seguito; evidentemente puntavano sulla fortuna, non avendo modo
di localizzare i depositi di risorse.
Le difese congiunte svolgevano perfettamente il loro lavoro, tanto da lasciare pochissimo lavoro alle navi di
Lithion.
Eppure alcune di queste ultime caddero comunque.
Il caccia di Klaus mitragliò per la terza volta un incrociatore troppo resistente e dannatamente rapido.
Nonostante la copertura dei compagni, aveva dovuto spingere la sua agilità a livelli estremi per schivare i pressanti
proiettili, in attesa che le BS di supporto agganciassero il bastardo una volta per tutte. Lester, a sua volta, diede un
buon contributo mettendo a segno diversi colpi, e l’incrociatore, che era riuscito ad evitare la maggioranza delle
difese, si trovò in procinto di crollare. Purtroppo, le BS di supporto erano al momento impegnate con altre navi in
arrivo; evidentemente la zona non era molto coperta dalle difese.
Jeff prese il coraggio a due mani: schizzò dietro l’incrociatore con un’agile manovra ad arco, dal basso verso
l’alto; si voltò all’istante in modo da puntare il retro; infine sparò con tutta l’energia che aveva in corpo. La nave
nemica subì gravi danni ai motori, e finalmente precipitò in tutto il suo considerevole peso.
“Grandioso, Jeff! Un’azione da manuale, non c’è che di…” Klaus stava elogiando il compagno… ma la sorpresa
gli impedì di terminare la frase.
Sgranò gli occhi.
“DIETRO DI TE!! JEFF, ATTENTO!!”
Se l’azione di Jeff era “da manuale”, allora nel manuale avrebbero dovuto scrivere in chiare lettere: “Prima di
eseguire la manovra, prestare molta attenzione ad altre eventuali navi in arrivo!”
Presi com’erano dal confronto con l’incrociatore, nessuno dei quattro amici aveva più tenuto d’occhio il
quadrante radar sul pannello comandi dei loro caccia. Altrimenti si sarebbero accorti dell’arrivo di un altro
incrociatore… il cui muso era ormai appiccicato al caccia di Jeff.
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Jeff si accorse dell’inaspettata minaccia nel momento stesso in cui udì l’avvertimento di Klaus. La sua reazione
istintiva fu quella di buttarsi in picchiata… ma non ci riuscì. Non poteva riuscirci, ad una distanza tanto ravvicinata;
perlomeno non tutto intero.
L’incrociatore aprì il fuoco. La metà posteriore del caccia di Jeff fu crivellata senza pietà da una raffica di colpi,
che ridussero in pezzi parte della fusoliera e fecero sparire l’ala destra. In quel momento Jeff non era più un essere
umano; era una rapidissima macchina il cui unico scopo era sopravvivere. E’ incredibile quanto le emozioni possano
svanire del tutto, in circostanze troppo critiche.
Il braccio di Jeff scattò verso la maniglia di espulsione dall’abitacolo… ma neanche questa manovra gli riuscì.
Mentre precipitava, il caccia mostrò per un istante il vetro dell’abitacolo al nemico, e quest’ultimo sparò di nuovo
proprio in quel momento, quasi con rancore, centrandolo in pieno.
Jeff venne ucciso sul colpo.
Klaus strinse gli occhi in una smorfia, reprimendo un rantolo di dolore.
Lester urlò di disperazione: “JEFF!!! NOOOOOO!!!”
A Mike, invece, queste reazioni non bastarono. Con uno sguardo impensabile, spinse il suo caccia a manetta
verso il nemico, sparando all’impazzata e sbraitando come un forsennato. “BASTARDOOOO!!!”
Mike aveva perso completamente il controllo.
Ogni soldato dell’alleanza Blacktron, prima di essere dichiarato abile in battaglia, era soggetto a numerosi
addestramenti obbligatori. Tra questi, il generale Raynor prediligeva in particolare quello diretto ad insegnare le
cosiddette TCE (Tecniche di Controllo Emozionale). “Anche il miglior soldato del mondo vale meno di niente se non
è in grado di controllare le proprie emozioni” – sosteneva Raynor – “Una piccola crisi di nervi in battaglia può
essere fatale.”
L’addestramento TCE base, che prevedeva anche incontri con psicologi e persino sedute di meditazione, era
obbligatorio per tutti. Una volta portato a termine, solo una ristretta minoranza sceglieva di frequentare
l’addestramento TCE avanzato, il quale permetteva di raggiungere altissimi livelli di controllo sulle proprie emozioni
e sulla propria mente; di regola i soldati che ne uscivano erano destinati a diventare cecchini oppure diplomatici (in
caso di scelta, la maggior parte preferiva la prima opzione). Alcuni, al termine delle lezioni avanzate giuravano di
essere riusciti sporadicamente a muovere piccoli oggetti con la sola forza del pensiero o a prevedere eventi nel
futuro; tuttavia nessuno era mai riuscito a dimostrarlo.
Mike non credeva minimamente nell’utilità delle TCE e le disprezzava con tutto sé stesso. Aveva frequentato
l’addestramento base solo per costrizione, superandolo per il rotto della cuffia; riteneva che servisse solo per
“mandare a male il cervello”.
Avrebbe fatto meglio a ricredersi, quando era ancora in tempo.
La sua convinzione lo stava portando alla morte.
“Mike! Fermati! Ti farai solo ammazzare!!!” sbraitò Klaus da media distanza, ma le orecchie di Mike erano
tappate da furia sorda.
L’incrociatore, tra l’altro, subì pochissimi dei colpi che Mike stava mitragliando in maniera tanto scomposta (“TI
FARO’ A PEZZI!!! AAAAAAAAHHHH…”); sembrò non farci neanche caso. Non ebbe neanche bisogno di spostarsi: gli
bastò una leggera inclinazione per puntare il caccia rabbioso che procedeva noncurante verso di lui.
Lo aveva già agganciato.
“No Mike!! ANCHE TU NO!!”
Lo avrebbe colpito in pieno.
BOOOUM!!! Il fragore di uno sparo.
Fu una fortuna, soltanto pura fortuna il fatto che una BS riuscì a colpire la parte superiore dell’incrociatore una
frazione di secondo prima che quest’ultimo avesse avuto la possibilità di fare a pezzi Mike. Seguì un altro colpo, poi
un altro ancora, infine altri due. Quello che probabilmente era l’ultimo incrociatore superstite della flotta nemica fu
distrutto. In fiamme, precipitò per poi schiantarsi sul lembo periferico di Terminal City sottostante.
Era la BS del capitano Jeremy, la cui flotta pattugliava la stessa area assegnata a Klaus e compagni. “Scusate il
ritardo ragazzi, eravamo impegnati con alcune BS nemiche qui vicino.”
Klaus e Lester lo ascoltarono appena, duramente angosciati e provati. Mike non sentì ancora niente. Aveva
smesso di urlare nel vedere l’oggetto della sua furia precipitare distrutto; stava ancora respirando con affanno,
cercando finalmente di tornare in sé. Non sapeva neanche di essere stato salvato per miracolo.
La battaglia terminò all’incirca tre quarti d’ora dopo il triste duello contro gli incrociatori. Tra le flotte di Lithion
esisteva un metodo pratico per accertarsi della totale sconfitta dei nemici: l’equipaggio di ogni nave, dal momento
in cui il radar non mostrava più avversari nei paraggi, attendeva cinque minuti, dopodiché inviava la conferma di
“campo libero” al proprio capitano; egli, a sua volta, trasmetteva il messaggio di conferma alla nave del generale.
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Ottenute le conferme da parte di tutti i capitani attivi, il generale dichiarava ufficialmente conclusa la battaglia. Era
un metodo efficace negli scontri in difesa.
Per quanto riguarda Maeva, il capitano Delevan aveva già comunicato la vittoria al generale Raynor, parecchi
minuti prima. L’intervento delle navi aggiuntive di Terminal City era stato ad ogni modo determinante.
E così, la battaglia più particolare in assoluto mai affrontata dal pianeta Lithion si era appena conclusa. L’intero
personale militare, dopo lo sbarco negli hangar, rimase ancora per parecchio tempo nella base per riorganizzarsi,
nonostante Raynor avesse convocato la riunione ufficiale non prima della mattinata successiva.
La Stella Nera, in totale, aveva subito danni totali per un ammontare del 7% circa, dopotutto di scarsa
rilevanza. Il generale Steiner e il personale a bordo tardarono lo sbarco, poiché prima occorreva riportare la
gigantesca nave al suo punto di origine. I piloti non avrebbero mai rimpianto i disumani sforzi per mantenerne il
controllo durante le terribili manovre, ma Steiner sarebbe stato di parola: avrebbe conferito a ciascuno di loro la
promessa medaglia al valore, il giorno successivo.
Quanto a Terminal City, beh, riportò danni considerevoli, alcuni dei quali causati dall’A-Rip stessa nel momento
del paradossale auto-bombardamento. E’ da sottolineare un’ulteriore particolarità di questa battaglia: la maggior
parte delle navi nemiche era stata distrutta all’interno dell’atmosfera del pianeta, quindi i detriti precipitati sulla
città avevano contribuito a danneggiarla.
Circa un’ora dopo il termine delle ostilità, venne ordinato il “via libera” ai civili nei rifugi; fu allora che i soldati
tornarono a casa per riabbracciare i propri cari, e per riposarsi prima di un’altra dura giornata alla base. Klaus,
Lester e Mike, al di là della contentezza per la vittoria, non poterono evitare di pensare ai familiari di Jeff; pensiero
che riempì nuovamente di dolore i loro cuori.
L’indomani mattina, nella tetra atmosfera del palazzo imperiale sul pianeta Demaar, Re Necron attendeva con
particolare interesse l’esito della battaglia che aveva coinvolto direttamente la sua Stella Nera. Aveva comunque già
parlato con Lord Torvast subito dopo la conclusione dello scontro, ma il report avrebbe parlato con più precisione.
Charlie bussò alla porta della stanza centrale. “Maestà, è permesso?”
“Entra, Charlie. Sto aspettando” disse Necron, senza smettere di osservare tutto e niente fuori dalla finestra
laterale.
La porta lavorata si aprì con uno scricchiolio. Charlie, accaldato, si avvicinò alla massima autorità di Blacktron
con alcuni fogli in mano. “Sire, le consegno il report della battaglia di Lithion, appena stampato.”
Lord Necron afferrò gli stampati senza tanti complimenti e iniziò a scorrerli con gli occhi. Poco dopo esclamò,
abbozzando un brutto sorriso: “Bene! Non mi aspettavo niente di peggio. L’A-Rip non è in gravi condizioni, e può
già essere utilizzata per il mio progetto. Charlie…”
“Sì, maestà?”
“Domani mattina andremo su Lithion. Voglio parlare con il generale Steiner, dopodiché partiremo per la
missione di attacco.”
Charlie ne rimase sorpreso; già percepiva che gli eventi stavano prendendo una brutta piega. “Come dice?”
“Voglio dire che faremo una visitina al pianeta LockStar” disse il re, nel tono di chi spiega qualcosa a qualcuno
che non vuol capire. Intanto si voltò e camminò verso il suo trono. “LockStar sarà il primo pianeta ad assaggiare la
potenza del cannone energetico. Forse anche l’ultimo, se le alleanze nemiche avranno capito bene la lezione… ma
dubito. E’ probabile che saremo costretti a distruggere qualche pianeta in più!” Altro sorriso, ancora più disgustoso
del precedente. “E dobbiamo muoverci subito. Purtroppo l’effetto sorpresa è saltato; i nostri nemici ora conoscono
la Stella Nera, e la voce si spargerà per tutta la galassia fin troppo velocemente. Non c’è tempo da perdere.”
Lord Necron si sedette sul suo spaventoso trono (costruito apposta per incutere terrore, almeno così
pensavano tutti coloro che lo avevano visto), e continuò a spiegare, davanti al suo spaventato interlocutore:
“Io voglio essere a bordo della nave, quando LockStar verrà raso al suolo. Voglio vedere l’intero pianeta
illuminarsi di morte e distruzione, sotto la potenza della mia arma!
“Charlie, si sta avvicinando una nuova era. Io otterrò il pieno dominio sull’intera galassia, e l’unica scelta
concessa a tutti popoli sarà quella di servirmi! La Quinta Galassia assumerà un volto tutto nuovo, e quel volto sarà
il mio!!”
In moltissime occasioni Charlie si era sentito sbigottito di fronte a Sua Oscurità in persona, e ogni volta
pensava di non meravigliarsi più di niente. Ma stavolta fu una frase in particolare a sconvolgerlo nel profondo
dell’anima.
Voglio vedere l’intero pianeta illuminarsi di morte e distruzione.
Illuminarsi di morte e distruzione.
Illuminarsi…
“Charlie, mi stai ascoltando? Và in sala comunicazioni e manda un messaggio a Lord Torvast. Avvertilo del
nostro arrivo per domani mattina. Immagino che sarà già abbastanza impegnato per riorganizzare il suo pianeta
dopo la battaglia, quindi scrivigli che non mi aspetto alcuna cerimonia di benvenuto o accoglienze impegnative. Mi
basta vedere lui e il generale Steiner prima della partenza. Sono stato chiaro?”
“S-sì, maestà.”
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“Bene. Puoi andare.”
Charlie si voltò, quasi stordito, e si incamminò verso la porta. Si fermò a metà strada. Non poté evitare di porre
una certa domanda. Una domanda che andava oltre il timore di provvedimenti da parte del Consiglio Intergalattico,
su cui tanto aveva rimuginato.
“Sire…”
“Sì.”
“LockStar contiene una popolazione di oltre quaranta milioni di civili. Ne è a conoscenza?”
Lord Necron scosse la testa. “Beh, sì, all’incirca.”
“E non le importa niente del fatto che morirebbero tutti, vero?”
Il re dei Blacktron, dopo alcuni istanti di smarrimento, balzò in piedi. “Non ti è concesso fare supposizioni su
cosa penso io. Esci da questa stanza ed esegui i miei ordini! Fila!!”
E Charlie eseguì, come non poteva essere altrimenti. Nel richiudere la porta, pensò di nuovo a quelle parole, a
quelle dannatissime parole. Illuminarsi di morte e distruzione.
Non aveva mai sentito niente di più terribile in vita sua.
No, proprio mai.
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--- CAPITOLO 3 --- L’Attacco -
La leggenda, perché tale era ancora considerata dalla stragrande maggioranza dei popoli, narrava che, in
principio, fu il pianeta Terra ad originare il genere umano.
Come è risaputo, gli uomini hanno da sempre cercato di ampliare i propri confini. Conquistarono dapprima le
terre emerse, i mari, gli oceani, il cielo, per poi riuscire ad oltrepassare la frontiera più intrigante e misteriosa: lo
spazio. Nel corso dei secoli, l’uomo migliorò costantemente le tecnologie spaziali; esplorò pianeti sempre più lontani
e differenti; si stabilì nei sistemi solari che meglio si prestavano allo sviluppo della vita. Spesso dovette adattarsi a
particolari condizioni climatiche e ambientali, in un universo che sembrava non avere limite alle sorprese - per ogni
mistero svelato, ci si poneva altre decine di domande - tuttavia la sacrosanta legge della natura era sempre la
stessa, in qualunque angolo dell’esistenza: la razza che sopravvive è quella capace di adattarsi, non quella più
forte.
Era naturalmente impossibile che tutti gli uomini andassero d’accordo. Con gli anni nacquero imperi stellari,
alleanze, guerre, navi belliche e armi spaventose. Quando venne costruito il prototipo di una nave particolarmente
enorme e micidiale chiamata “Stella Nera”, ossia una versione più evoluta della comune ma temuta Morte Nera, il
genere umano era già riuscito ad espandersi nell’arco di ben cinque galassie, e proprio l’ultima, la Quinta, era
teatro dell’interminabile conflitto tra le alleanze Blacktron e New Paradigm.
“Interminabile” ancora per poco… almeno così riteneva Lord Necron, il re dei Blacktron, perché furono proprio i
ricercatori della sua alleanza a progettare la Stella Nera. Tramite una nave tanto potente, Necron ambiva non
soltanto a sconfiggere i New Paradigm, bensì ad imporre il suo dominio di terrore nell’intera Quinta Galassia. Per
cominciare, avrebbe devastato un pianeta nemico (“tanto per dare l’esempio”), puntando sull’effetto sorpresa.
Sappiamo tuttavia che le armate di LockStar, uno dei pianeti meglio organizzati tra i New Paradigm, si sono già
imbattute nella potenza distruttiva della Stella Nera - chiamata anche A-Rip - nello sferrare il massiccio ma
sfortunato attacco rivolto a Lithion, pianeta fulcro del progetto A-Rip. A questo punto LockStar conosce, suo
malgrado, la Stella Nera… e Lord Necron intende dare immediatamente inizio al suo terribile piano, prima che le
voci si diffondano troppo. Naturalmente, il pianeta scelto come primo bersaglio dell’A-Rip fu LockStar.
Restava da capire se le evolute tecnologie dei New Paradigm sarebbero bastate per contrastare l’avanzata della
Stella Nera.
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Ogni sistema - e per sistema si intende un gruppo di pianeti legati dalla stessa sovranità - era libero di
assumere qualunque forma di governo, indipendentemente dall’alleanza di cui faceva parte. Qualche secolo prima,
i governi interplanetari erano tutti di tipo imperiale; agli imperatori e alle imperatrici erano attribuiti i titoli di Lord e
Lady in segno di onorevole rispetto. La totalità dei venti sistemi Blacktron aveva scelto di mantenere questa
struttura.
L’alleanza New Paradigm comprendeva molti più sistemi - quarantacinque, per un totale di circa centoottanta
pianeti - avendo avuto origine diversi decenni prima, ed includeva diverse forme di governo, rendendo di gran
lunga complicato il lavoro del leader supremo: l’enigmatico X-28.
Per esempio, la Repubblica di LockStar, di tipo presidenziale, costituiva un caso sporadico. In realtà il sistema,
oltre all’omonimo pianeta, ne includeva altri due, Incypher e Frender - destinati rispettivamente alle produzioni di
cristallo e deuterio - ma le loro popolazioni erano talmente limitate da non avere un peso politico rilevante. Il
primo, troppo desertico, lasciava poco spazio alla vita, mentre il secondo era l’esagerazione opposta, composto
solo da ghiaccio e acqua.
Il presidente Kestral rilesse per la terza volta, allibito, il report della battaglia di Lithion. Svolgeva da ben sette
anni i suoi incarichi al vertice governativo di LockStar, impegnandosi al massimo e sacrificando tutto sé stesso;
nondimeno vantava da sempre il pieno appoggio del popolo. Pensando ai migliori presidenti che si erano
avvicendati nella storia di LockStar, senz’altro non potrebbe mancare il nome di Jameson Kestral. E ancora sarebbe
rimasto al potere, vincendo le successive elezioni, continuando a governare dalla prestigiosa ed enorme magione
nota come Silver House, dove abitava insieme alla moglie Alya (il cui nome deriva dalla città principale sul pianeta
Stylus)… e insieme alle sue tigri da giardino, Alian e Comes, mansuete ma inquietanti. La Silver House era
senz’altro l’abitazione più importante di NewSan, città sofisticata e capitale del pianeta.
“Era un folle!” sbottò il presidente, senza smettere di fissare gli stampati che reggeva con mani nervose. “Il
generale Tenovis era completamente pazzo, l’ho sempre saputo! Come si fa a non ordinare la ritirata di fronte ad
una nave così devastante, una… una nave che non sappiamo neanche cosa sia??”
Di fronte a lui, il Ministro degli Armamenti Herman Cooper tentò di aprire bocca, per poi richiuderla subito
dopo. Meglio lasciare che il presidente finisca di sbollire.
“Tutti quei ragazzi uccisi” continuò Kestral, ora coprendosi la fronte con una mano. “Centinaia di navi distrutte,
per non parlare dei milioni di detriti regalati al nemico. E’ la batosta più dura in sette anni di presidenza!
Probabilmente fallirò le prossime elezioni…” se ci saranno, pensò con estremo dolore, perché poco prima gli era
sorto un dubbio atroce.
Cooper si sentì in imbarazzo, non trovando il momento opportuno per iniziare a parlare. Per fortuna fu Kestral
a risolvergli la questione, interrogandolo: “Almeno siamo riusciti a capire che razza di diavoleria è quella nave? Una
Morte Nera?”
“No, signore” esordì Cooper. “Abbiamo studiato le registrazioni degli ultimi messaggi da parte dei soldati;
questa è più grande di una comune Rip. Si basa sullo stesso principio di funzionamento, ma il cannone energetico
è più potente del 75% circa. E’ persino equipaggiata di laser, plasma e cannoni ionici. Mi permetta l’espressione, è
una nave mostruosa.”
“Ha qualcosa di più interessante da riferirmi?” Kestral era seccato, reazione più che giustificabile.
“In realtà sì. Le confermo che la nave non appare nei registri ufficiali del Consiglio.”
“Vuole dire che il Consiglio Intergalattico non ne conosce l’esistenza?”
“Esattamente. In questo caso potremmo anche chiedere il rimborso di tutte le navi distrutte. Abbiamo già
denunciato il fatto, siamo in attesa di risposte…”
“Anche se nessuno ci restituirà le vite dei nostri ragazzi.”
Seguirono secondi di assoluto silenzio. Ma il presidente Kestral covava un dubbio terribile, che tra l’altro era la
ragione principale per cui aveva convocato Cooper nel suo ufficio.
“Qual è la velocità massima che può raggiungere quella nave?”
“Ci stiamo studiando, posso dirle con approssimazione che può spostarsi da un sistema solare all’altro nel giro
di un’intera giornata, non di meno.”
Kestral calcolò la distanza tra LockStar e Lithion. Cinque sistemi solari, quindi non meno di cinque giorni. “E
cosa accadrebbe se ci attaccasse?”
Cooper, dopo una pausa di silenzio, disse con sincerità:
“Non voglio usare giri di parole con lei, signore. In tutta probabilità sarebbe la fine del mondo.”
Nel frattempo, Lord Necron si trovò solo nel salone principale del palazzo imperiale su Lithion. Era sbarcato
alcune ore prima, insieme a Charlie e alle altre cinque guardie personali.
Subito dopo lo sbarco, il Re aveva voluto parlare con Lord Torvast, il quale, come previsto, era già fin troppo
occupato tra le cerimonie di premiazione, i funerali per i caduti, le missioni di recupero detriti e di ricostruzione
delle aree danneggiate; i giorni successivi ad una battaglia erano sempre terribilmente impegnativi per ogni
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pianeta. Non appena venne a conoscenza del piano che Lord Necron stava per intraprendere, l’imperatore di
Lithion si preoccupò abbastanza, pur non lasciandolo intendere; d’altronde cosa poteva mai interessare la sua
preoccupazione ad un sovrano disposto a sacrificare milioni di vite sulla strada verso il potere?
Re Necron, poco dopo, si era accordato per ricevere il generale Steiner nel palazzo di Lord Torvast, mentre lui
era richiesto alla base militare per sovrintendere le spedizioni di recupero detriti. Steiner arrivò di lì a breve. Il
sudore sulla fronte confermò che anche lui non restava propriamente con le mani in mano.
“Mi ha chiamato, altezza?”
“Generale Steiner, sono estremamente soddisfatto del suo lavoro a bordo dell’A-Rip. Mi auguro che lo sia
anche lei.” Il tono, il maledetto tono oscuro del Re, e il brutto accenno di sorriso tradirono un interesse solo
marginale. Steiner capì subito che l’oggetto del discorso era ben diverso.
“A dire la verità, abbiamo avuto alcuni problemi con gli impianti di difesa, e i piloti erano stremati dopo le
manovre. Comunque la Stella Nera non ha subito danni molto rilevanti.”
“Infatti. Arrivo subito al dunque, generale. Ho intenzione di assegnarle un'altra missione, e stavolta salirò
anch’io a bordo. Sarà una lunga spedizione.”
Steiner intuì; ciononostante rimase immobile come la pietra.
“La missione è di attacco” continuò Re Necron. “Faremo assaggiare al pianeta LockStar la potenza della Stella
Nera. I New Paradigm si pentiranno di essersi schierati contro di noi, e la distruzione di LockStar sarà di esempio
per tutti i nostri nemici! Generale, voglio ancora lei al comando della nave. Partiremo stasera stessa. Il viaggio
durerà circa cinque giorni, dieci considerando il ritorno, ma ne varrà la pena.”
Il generale Steiner rispose, per la prima volta (e soprattutto senza esitare): “No, signore.”
Lord Necron lo squadrò. “Come ha detto, generale?”
“Ho detto no. Non salirò a bordo.”
Nessun altro era presente nel salone, nessuno a udire le parole che altrimenti sarebbero passate alla storia.
Il generale Steiner si mosse. Compì alcuni passi decisi verso l’imperatore supremo dei Blacktron.
“L’arma principale della sua nave, maestà, è in grado di sterminare l’intera popolazione di un pianeta. Quella di
LockStar raggiunge quota quaranta milioni. Quaranta milioni di civili, di persone innocenti. Ora mi sta ordinando di
ucciderli tutti, tra l’altro con un’arma illegale, visto che lei non si degna neanche di registrarla ufficialmente. E io le
dico no, nossignore, mi rifiuto di portare a termine il suo sporco piano.”
Tra tutto quello che poteva aspettarsi, il rifiuto del generale Steiner mancava all’appello di Lord Necron.
Questo, senza parole, fece ciò che mai aveva previsto di fare in vita sua: arretrò. Steiner si era avvicinato ancora di
più, pieno di rabbia.
“Da sei anni sono al servizio dei Blacktron. Mi sono impegnato al massimo, su Lithion e su RedSteel, per
vincere le battaglie più dure, per portare a termine tutte le missioni. Ho rispettato qualunque ordine. Ho cercato
soprattutto di dare un senso alle parole onore e vittoria, il nostro motto da sempre…”
Stava quasi urlando.
“…Tutto questo per che cosa? Per sentirsi ordinare di compiere un genocidio, degno dei più orribili eventi
storici nell’intero universo? Beh, sa cosa le dico? Può andare al diavolo e si porti dietro le sue assurde manie di
grandezza!!”
Gli occhi sbarrati di Lord Necron, pieni di sorpresa, per un attimo lasciarono intravedere qualcosa di nuovo.
Qualcosa che assomigliava alla comprensione umana, nonostante tutto. Ma non durò più di pochissimi attimi.
“Non mi interessa quali saranno i suoi provvedimenti nei miei confronti” continuò il miglior generale mai esistito
nella storia dei Blacktron.
“Preferirei essere condannato a morte piuttosto che essere il responsabile di un olocausto, maestà!!”
Steiner, nonostante la furia, aveva notato il cambiamento nello sguardo di Re Necron, quei pochi attimi di
umanità che nessuno era mai riuscito a cogliere nei suoi occhi malvagi. Tuttavia la cosa non fu rilevante.
“Bene, generale Steiner” pronunciò Lord Necron, con voce priva di emozioni. “Comanderò io stesso
l’equipaggio dell’A-Rip. Lei può tornare su RedSteel.” Dopodichè, senza più guardare il suo interlocutore in faccia, si
diresse verso la porta del salone. “Al mio ritorno deciderò cosa fare di lei.”
Detto questo, uscì lasciando sbattere la porta.
Trascorsero due giorni, tesissimi per entrambe le fazioni.
Il presidente Kestral stava attraversando il suo peggior periodo in carica; d’altronde la preoccupazione era
estesa a livello planetario. Se i suoi sospetti erano fondati, allora si ritrovava per le mani il destino dell’intera
popolazione di LockStar… e il problema principale consisteva nel dilemma più vecchio del mondo: non sapeva cosa
fare. Temeva che la terribile nave fosse già in viaggio, e il Consiglio non si era ancora espresso. Evacuare quaranta
milioni di persone dal pianeta, era qualcosa di estremamente difficile se non impossibile. In alternativa, le truppe
già decimate sarebbero riuscite a respingere l’attacco?
I ricercatori di LockStar erano riusciti a comporre uno schema approssimativo della nave - la quale venne
battezzata Grande Rip - ma i risultati non rivelarono punti deboli. Cooper era preoccupato al pari del presidente.
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Così, Kestral elaborò un’idea, che almeno avrebbe confermato o meno il suo timore. Dal suo ufficio si collegò
alla base militare di NewSan, e ordinò l’invio di una sonda spia in direzione Lithion. Se la Grande Rip era già in
viaggio, la sonda l’avrebbe rilevata, oppure sarebbe stata distrutta; in entrambi i casi ne avrebbe svelato l’attuale
posizione. Nel caso la nave non fosse ancora in viaggio, un’altra sonda sarebbe stata inviata due giorni dopo, in
attesa di risposte da parte del Consiglio. Il generale Ethan, subentrato dopo Tenovis con l’approvazione di tutti,
fece eseguire immediatamente.
Non appena Kestral chiuse la comunicazione, ne ricevette un’altra. La sua segretaria Patricia.
“Signor Presidente, è in arrivo un messaggio con priorità massima dal Consiglio Intergalattico.”
Anche dalla parte Blacktron, la tensione era molto alta.
Lord Torvast, in particolare, era in uno stato di nervosa anticipazione. L’A-Rip era in viaggio da due giorni,
comandata da Re Necron in persona, e nessuno si era degnato di prepararlo agli eventi. Senza dubbio il Consiglio
era già stato avvertito dai nemici, e chi avrebbe dovuto rispondere alle Guardie Supreme? Lui, naturalmente, dal
momento che la Stella Nera ha avuto origine sul suo pianeta.
Beh, non gli restava che essere il più sincero possibile. Pensò che si sarebbe persino meritato un’eventuale
pena, colpevole di essersi unito ad un’alleanza il cui re pensava solo ad estendere il dominio a qualunque costo. Gli
altri alleati non osavano distaccarsi solo per paura nei confronti di Lord Necron, e con l’A-Rip in gioco non ci
avrebbero neanche più pensato.
Lord Torvast era convinto anche di questo.
Il tecnico di prima linea Mick Delgado contattò, di malavoglia, il nuovo comandante della nave. “Maestà,
rilevata sonda spia in avvicinamento.”
Abituato com’era a farsi rispettare ciecamente, anche a distanza, Lord Necron trascorreva pochissimo tempo
sul ponte di comando. Nelle prime cinquanta ore di viaggio aveva preferito girovagare per la nave, come se non ne
fosse stato mai abbastanza compiaciuto. Le sue guardie erano particolarmente attive, perché il Re si era
raccomandato di prestare molta attenzione al comportamento dell’equipaggio; già il generale Steiner aveva alzato
troppo la cresta, permettendosi persino di insultarlo, e la cosa non avrebbe dovuto ripetersi.
“Distruggetela. Sembra che si siano già accorti della nostra visita.” Al momento Lord Necron si trovava nella
sala di controllo. Non fece in tempo ad uscire dalla stanza, che il comunicatore squillò di nuovo. Nathan: “Sire, un
messaggio in arrivo da Lord Torvast.”
L’imperatore dei Blacktron sbuffò. “Cosa c’è ancora? Proiettatelo sul pannello, arrivo subito.”
Beh, “c’era ancora” che un vascello del Consiglio Intergalattico stava viaggiando verso Lithion. Le Guardie
Supreme, alla fine, si erano mobilitate per interrogare Lord Torvast. Solo le Guardie del Consiglio disponevano del
potere di interrogare la massima autorità di un pianeta senza preavvisi o giustificazioni, e di solito il ricorso a tale
procedura significava una questione di estrema rilevanza.
Lord Torvast aveva caricato intenzionalmente di preoccupazione il messaggio; tuttavia Re Necron lo lesse con
aria di sufficienza, appena giunto sul ponte.
“Non rispondete. Qualunque cosa possa dire Lord Torvast, ormai non c’è più nulla da temere!”
Anche il presidente Kestral aveva ricevuto un messaggio, ma dal Consiglio stesso, il quale “si riservava di
indagare a fondo e di intraprendere eventuali provvedimenti.” Queste parole misero a dura prova la proverbiale
pazienza di Kestral. Forse, a quelli del Consiglio non era ben chiaro il fatto che dai loro “provvedimenti”
dipendevano le vite di oltre quaranta milioni di persone, e, forse, avrebbero dovuto spiegarsi dannatamente meglio
e agire in fretta.
Qualche ora dopo, il presidente fu contattato dal generale Ethan per l’esito della missione sonda spia, e si sentì
mancare la terra sotto i piedi. La sonda era stata distrutta ad una distanza pari a tre sistemi solari, e le ultime
informazioni rilevate, manco a dirlo, si riferivano all’avvicinamento della Grande Rip. Sospetti fondati.
“Generale…” disse Kestral in preda allo sconforto, “raduni tutti i suoi uomini e tutte le navi, standard e
avanzate. Io contatto le basi delle altre città. L’unica nostra speranza è creare una flotta unica in difesa…”
“Ma signore” rispose Ethan, “quella nave è in grado di colpirci senza attivare le nostre difese, e le flotte non
sono suff…”
“LO SO! Non abbiamo scelta, generale. Proprio per questo motivo tenteremo di affrontare il nemico a distanza,
nello spazio aperto. Le flotte dovranno partire entro ventiquattro ore. Chiaro?”
“Chiarissimo, signore. Sappia solo che ci servirà un miracolo per farcela.”
“So anche questo. Lo dica ai suoi ragazzi.”
Il generale Ethan aveva recepito bene il messaggio: partenza entro ventiquattro ore.
Purtroppo, per organizzare una missione congiunta con le altre città, di ore ne trascorreranno circa
quarantotto.
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Il soldato Jason Dearborn, al pari dei suoi colleghi, aveva ben compreso la situazione: quella che il generale
Ethan stava spiegando con tanta foga sarebbe stata una missione suicida. Ma aveva anche capito che l’unica scelta
disponibile era: morire a bordo della propria nave oppure morire a terra poco più tardi. Ethan non fu così esplicito,
ma nelle vene di Jason scorreva un senso dell’onore tale da reprimere ogni altra emozione; se era destinato a
morire, si sarebbe sacrificato per primo pur di difendere il suo pianeta. Jason, ventitré anni di cui due trascorsi (con
orgoglio) nell’esercito, vantava un sentimento patriottico poco comune ai soldati della sua età. Non aveva molti
amici e non ne cercava di nuovi; i colleghi lo stimavano per le sue capacità ma non per il suo carattere
decisamente chiuso e riservato.
Non ebbe la minima esitazione mentre camminava spedito nei corridoi verso l’hangar, subito dopo il briefing.
Stavolta gli sarebbe spettata una vera e propria C-BS, il nuovo gioiello tecnologico di LockStar, cioè una nave da
guerra equipaggiata di ben due cannoni al plasma compresso. Già la scoperta del plasma compresso (o C-Plasma)
fu determinante di per sé, da quando i ricercatori avevano messo a punto un macchinario in grado di comprimere
le particelle di plasma aumentandone la potenza distruttiva, ma montare i meccanismi a bordo di una nave fu
ancora più complicato. Una nave molto interessante su cui morire! ironizzò Jason. Vediamo almeno di danneggiare
il più possibile quel mostro gigantesco.
Fu il primo a raggiungere la nave. Come dagli ordini, i suoi compagni a bordo sarebbero stati: il capitano
LeRoy, con cui già manteneva buoni rapporti, e Santos, suo parigrado. Ma trascorse molto tempo prima che i due
si facessero vedere.
Il fatto è che la base di NewSan cadde in un caos sconvolgente; Jason fu l’eccezione di una vera e propria
rivolta. I soldati si ribellarono e cercarono di fuggire, opponendosi ad una missione suicida; gli ufficiali li trattennero
ricordando che la loro vita, la loro fottuta vita era legata ai principi militari di LockStar e che tanto sarebbero
comunque morti; i soldati risposero che allora tanto vale morire a terra; qualcuno mise persino mano alle armi.
Jason salì a bordo della nave, volutamente sordo e indifferente al delirio esterno. Avviò i motori e i pannelli,
predispose tutto ciò che serviva per la partenza, poi si sedette sulla comoda sedia girevole del ponte di comando,
incrociando le mani dietro la nuca. Era unico nel suo genere, quel ragazzo. C’era chi lo considerava un genio e chi
un folle; mai una via di mezzo.
Venti minuti dopo vide arrivare i suoi compagni di viaggio. “Siete in ritardo!” fece notare sorridendo.
Il capitano LeRoy, viste le circostanze, non avrebbe accettato osservazioni simili da nessuno… eccetto da Jason
Dearborn. Sorrise a sua volta. “Là fuori si è scatenata una rivolta, e tu stai qui a riposarti?”
“Beh… sì, la cosa non mi riguarda. Partiamo?”
Come diavolo faceva ad essere così serafico, con una tale confusione all’esterno e una morte praticamente
certa davanti a lui, era un mistero. “Dobbiamo aspettare gli altri, lo sai. E la situazione è ancora molto calda…”
Infatti, il clima tornò stabile soltanto un’ora più tardi; la maggior parte dei soldati aveva accettato il proprio
destino. Non ci furono scontri a fuoco – altrimenti la situazione sarebbe tragicamente sfuggita di mano a tutti – e le
colluttazioni fisiche furono contenute. Restava il fatto che le truppe stavano per intraprendere la loro missione
peggiore. Nessuno avrebbe dato il meglio di sé.
Nessuno tranne una persona.
“A che distanza si trova la Grande Rip?” chiese Jason a LeRoy, mentre la C-BS procedeva nello spazio a media
velocità, in formazione.
“E’ a circa un sistema solare di distanza. Se non riuscissimo a fermarla, raggiungerà il pianeta in meno di
ventiquattro ore.”
Santos si intromise: “Non credo proprio che la fermeremo. Voi avete paura di morire?”
Alcuni secondi dopo, Jason pronunciò: “Non ti so rispondere. Non riesco a concepire la morte.”
Tutti si ammutolirono, pensierosi. Rimasero in silenzio per diversi minuti, ascoltando il distante ronzio dei
motori, finché Santos tentò di cambiare discorso: “Ho saputo da fonti attendibili che, due giorni fa, le Guardie
Supreme hanno interrogato Lord Torvast, l’imperatore di Lithion. Sempre per la questione della Grande Rip.”
“E com’è finita?” chiese LeRoy, seppur con scarso interesse. Ormai era troppo tardi.
“Beh, sembra che Lord Necron, il re dei Blacktron, abbia in mente di minacciare le altre alleanze, per
costringerle alla resa. La nave – che i Blacktron hanno battezzato Stella Nera – doveva restare in ombra fino
all’ultimo… ma noi abbiamo interferito con i loro piani. L’interrogatorio è durato due ore, ma il Consiglio sta
torchiando la persona sbagliata. Alla fine è Necron la chiave di tutto; Lord Torvast è solo un burattino nelle sue
mani.”
“Che vadano a prendere lui, allora.”
“Non possono… visto che ora si trova a bordo della Stella Nera.”
LeRoy e Jason trasalirono.
Neanche mezz’ora dopo, tutte le navi di LockStar raggiunsero l’enorme scafo della Stella Nera, segnando l’inizio
di una battaglia disperata. Le difese dell’A-Rip si trovavano pienamente a loro agio nello spazio aperto, non più
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soggette a sbandamenti vari. Inoltre, la Stella Nera disponeva di tre hangar per navi da guerra, dislocati
rispettivamente a nord, sud-ovest e sud-est; per l’occasione tutti e tre erano stati riempiti di BS, le quali iniziarono
ad uscire dai portelli.
I laser, i plasma e i cannoni ionici trovarono tutti i loro bersagli, senza mancarne uno.
La C-BS del capitano LeRoy subì due laser ben assestati. Gli scudi furono in procinto di cedere, quando Jason
riuscì a sparare tre sfere di C-Plasma a ripetizione; purtroppo non ne vide l’effetto perché un raggio ionico aveva
distrutto definitivamente gli scudi e i visori esterni. Subito dopo divenne impossibile persino aprire il fuoco, visto
che i puntamenti smisero di funzionare insieme ai visori.
“Abbandoniamo la nave!” urlò LeRoy, molto prima del previsto; dopodiché corse in direzione delle capsule di
salvataggio insieme ai mortificati Jason e Santos. Incredibile, era già finita?
In quel momento la nave sbandò pericolosamente, colpita da una sfera di plasma. Danni rilevanti allo scafo e
ad alcune parti interne.
“Non funzionano! Il sistema di mantenimento capsule è danneggiato, maledizione!”
“Allora dobbiamo…” Santos esitò a finire la frase.
“Sì. Espulsione di emergenza, muoviamoci! Jason, Santos, i miei migliori auguri!!” finì LeRoy, e queste furono
le sue ultime parole.
L’espulsione di emergenza, cioè la procedura più estrema, consisteva in un tuffo nello spazio aperto, subito
dopo aver indossato casco e bombola di ossigeno.
Nel caso di Jason, non ci fu neanche il tempo di recuperare tali oggetti indispensabili… perché una nuova
raffica di plasma si accanì contro la C-BS. Primo colpo: la nave sbandò con violenza; si attivò l’allarme rosso; LeRoy
volò lungo un corridoio, si schiantò contro la parete opposta e svenne. Secondo colpo: le luci si spensero
definitivamente; la nave si inclinò; Jason e Santos tentarono di aggrapparsi a qualcosa, ma Santos scivolò e
scomparve. Terzo colpo: alcune delle poche stanze si depressurizzarono; Jason, sentendo i polmoni in gola, cercò
di reggersi… ma fu risucchiato da una delle diverse falle.
Jason fu costretto ad un’espulsione di emergenza senza ossigeno.
Durante il breve volo nello spazio infinito, non capì niente. Non poteva capire nulla, come non è possibile
concepire il nulla stesso.
Il corpo di Jason, spinto dall’ultima aria residua nella C-BS, fu proiettato in una direzione (quale? impossibile
saperlo), ad una velocità altrettanto imprecisata: Jason non poteva valutare l’idea di spostamento in un ambiente
assolutamente privo di attrito. Se è per questo non poteva neanche respirare, né udire, né capire se era ancora in
vita.
Ciò nonostante, riuscì a decidere di tenere gli occhi chiusi. Tutto buio… eppure gli parve di scorgere una luce
fugace, all’esterno delle palpebre. Un laser o un raggio ionico. Subito dopo, avvertì qualcosa di voluminoso
passargli davanti (davanti?). Una nave, probabilmente. Allora era ancora in grado di comprendere qualcosa. Ma era
ancora vivo? E cos’era quella luce che gli era apparsa davanti alle palpebre? Stavolta non sparì subito: il riverbero
rimase lì dov’era. Forse era davvero l’inizio della fine.
Un attimo dopo si sentì precipitare, fino a sbattere la schiena contro una superficie piana.
Contemporaneamente, i polmoni gli si riempirono d’aria… com’era possibile? Dopodiché la luce si fece più forte;
Jason trattenne di nuovo il respiro perché si sentì cadere per la seconda volta. Urtò un’altra superficie con la spalla
destra, e rotolò di lato per poi ritrovarsi disteso su quello che sembrava un pavimento, dopo un ultimo urto.
E respirava! Respirò profondamente, a bocca aperta, senza ancora osare aprire gli occhi.
Dove sono?
Aprì lentamente gli occhi. Luce bianca.
Sono morto?
La luce sembrava artificiale. Impiegò pochi secondi per abituare gli occhi. Vide un alto soffitto grigio.
Tutto dolorante, si alzò in piedi a stento… e guardandosi in giro, si accorse di trovarsi in una stanza enorme. Le
pareti erano interamente lisce, così come il pavimento, solo che per terra vide alcune strisce distanti tra loro, come
per delimitare diverse sezioni rettangolari. All’interno degli spazi erano impressi dei numeri. Più interessante
ancora… c’era una nave da guerra, posteggiata alle sue spalle.
Sembrava… anzi, era un hangar.
Jason abbandonò definitivamente l’idea di essere morto. Credeva in una vita dopo la morte, ma non gli
risultava che l’aldilà, paradiso o inferno che fosse, potesse essere simile ad un hangar per navi spaziali. E poi
provava forti dolori alla schiena e alle spalle, uniti alla sensazione di nausea (più che lecita dopo alcune capriole
nello spazio aperto)… era sicuro di essere ancora nel suo corpo. Considerò allora il fatto di essere svenuto e
recuperato da qualcuno, ma scartò subito anche questa ipotesi: nessuno, amico o nemico, lo avrebbe lasciato solo
nel bel mezzo di un hangar.
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In piena confusione, pensò di dare un’occhiata alla livrea della BS. Era interamente di colore blu scurissimo,
quasi nero; sul fianco era impresso un ottagono dal perimetro verde brillante, con una B maiuscola all’interno. Lo
stemma dei Blacktron.
Improvvisamente capì, sentendosi quasi mancare.
Jason era finito a bordo della Stella Nera.
Non appena ebbe cognizione di trovarsi in territorio nemico, fece scattare istintivamente la mano verso la sua
fondina ermetica. La pistola laser c’era. Bene. Gli tornarono in mente le parole del suo rude istruttore Fargo: la
pistola deve essere parte di voi. Fin da quando indossate l’uniforme, deve incollarsi alla fondina e restarci sempre.
Non potete mai sapere cosa accadrà in battaglia.
Inoltre gli si acuirono improvvisamente tutti e cinque i sensi, e la cosa fu un bene… perché in lontananza, oltre
al ronzio del vicino reattore, udì un rumore di passi in avvicinamento.
Jason impugnò la pistola alla velocità della luce (mi hanno già individuato?), guardandosi in giro. All’inizio non
vide nessun punto efficace dove nascondersi… poi ne trovò uno. Si buttò a terra – ahi, la spalla faceva ancora male
– e rotolò sotto la BS, nello spazio tra carrello e scafo, appena in tempo prima che la porta dell’hangar venisse
aperta.
Entrarono tre soldati Blacktron, che si diressero spediti verso la BS. Jason trattenne il respiro – se erano venuti
per lui, si era messo in trappola da solo – ma questi non sembrarono interessati a guardare sotto lo scafo. Uno alla
volta, salirono a bordo della nave. Jason realizzò al volo di essere diventato un infiltrato, suo malgrado; nessuno si
era accorto di lui, e non aveva ancora capito come diavolo era finito lì, anche se iniziava a formulare qualche idea.
I soldati stavano per avviare i motori. Finirò carbonizzato dai propulsori se non mi tolgo subito da qui, pensò
Jason, che seppur titubante rotolò fuori dal lato opposto a quello da cui era entrato, augurandosi che i soldati non
avessero qualche motivo per guardare giù. Fortunatamente non ne ebbero.
Osservando la BS sollevarsi da terra, Jason rimase sdraiato, pressappoco nella stessa posizione in cui si era
ritrovato all’inizio. Credo di capire, rifletté. Sono passato attraverso il portello dell’hangar, proprio nel momento in
cui stava uscendo una nave. Mi sarei rotto tutte le ossa se questa BS non avesse attutito la caduta. Sono vivo per
miracolo; forse lassù qualcuno mi ama. A questo pensò mentre la BS, l’ultima presente, uscì tramite il portello
lasciando l’hangar completamente vuoto. Prima di rialzarsi, Jason aveva notato qualcosa di strano: sulla parete di
fronte, ad un’altezza poco visibile, era impressa la lettera G inscritta in un quadrato, e il numero 2 sotto di esso. Ma
non aveva tempo da perdere con certe inutilità; era in campo nemico e occorreva muoversi.
Un pensiero continuava a martellargli nella testa, il più importante:
Devo fermare questa nave.
Corse e si appiccicò di schiena alla parete di fianco all’ingresso, impugnando la pistola davanti al petto. Non
aveva scorto telecamere, almeno nell’hangar; tra l’altro il fatto che i soldati non sapessero nulla lasciava supporre
che non ce ne fossero. Per il momento Jason se l’era cavata.
Non udì altri rumori all’esterno. Compì un passo di lato; la porta si aprì subito (dunque funziona a sensori),
dopodiché uscì nel massimo silenzio puntando la pistola davanti a sé. Una missione stealth, pensò. Non mi ero
preparato… mi servirà anche fortuna. Spero di non averla già esaurita tutta.
Un corridoio terminava verso due porte che dovevano essere quelle di un ascensore. A destra, una scala
portava verso i piani inferiori; a sinistra, un’altra porta indicava “REATTORE ALA NORD – RICHIESTO PASS
LIVELLO 3”. Jason intuì che doveva essere una delle stanze più importanti della nave, ma non l’unica. Ci dovevano
essere altri reattori per alimentare una simile nave. Ma come arrivarci?
Si mosse a passi felpati verso le scale. Ancora nessuna anima viva. Prima di scendere pensò al suo problema
principale: non sapeva la sua destinazione. Le sue conoscenze tecniche gli permisero di considerare diversi sistemi
per sabotare una nave, ma quella era una nave anomala, tanto grande quanto letale, e soprattutto sconosciuta.
Le due brevi rampe di scale terminavano a lato di un altro corridoio. Jason esitò prima di esporsi oltre l’angolo,
e rimase schiacciato contro la parete ad ascoltare eventuali rumori; precauzione fondamentale… perché stavolta
qualcuno nel corridoio c’era davvero.
Klaus si stava dirigendo verso l’armeria di quella diabolica nave, sentendosi duramente abbattuto. Aveva
appena ricevuto una terribile notizia: uno dei suoi compagni era stato ucciso nella battaglia esterna. Prima Jeff, ora
Mike. Lui e la sua impulsività! lamentò tra sé e sé. Da quando esiste questa fottuta nave, tutto ha cominciato ad
andare storto!
L’armeria si trovava di fronte ad uno dei piccoli magazzini dislocati nell’A-Rip. Quando Klaus fu davanti alla
porta d’ingresso, udì un rumore proveniente dal fondo del corridoio, dove faceva angolo.
“Chi è là? C’è qualcuno?”
Proseguì per scoprire chi fosse, più per curiosità che per sospetto.
Non poteva immaginare che dietro l’angolo si nascondesse un soldato in uniforme nemica.
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Jason si rese conto di aver commesso un errore: troppo rumore di passi nello scendere le scale e
nell’appoggiarsi contro la parete, e il soldato nel corridoio se ne era accorto. Gli rimase una magra consolazione:
capì che il soldato in avvicinamento era solo.
Ebbe l’idea di scattare nel corridoio e di sparargli immediatamente, di sorpresa; fu invece bloccato dal timore di
sbagliare mira. Avrebbe avuto un colpo solo a disposizione, poi il suo avversario avrebbe reagito…
Poi pensò ad una tecnica più brutale: avrebbe atteso che il malcapitato si fosse avvicinato e gli avrebbe
sferrato un poderoso pugno in faccia, con tanto di pistola. Subito dopo lo avrebbe ucciso. Poteva funzionare.
Klaus raggiunse l’angolo; Jason fece partire di rovescio la mano che impugnava la pistola, con tutte le sue
forze. Ma il colpo mancò il suo obiettivo… perché Klaus, con un istintivo scatto rapidissimo, riuscì a scansare la
testa all’ultimo momento. Il pugno che gli avrebbe sicuramente rotto il naso slittò invece lungo la guancia sinistra,
sfregandogliela con la canna della pistola. Jason non poteva sapere che il suo avversario era l’attuale campione di
DEXTER, l’addestramento virtuale preferito dai soldati di Lithion, vale a dire un entusiasmante prova di destrezza.
Jason incespicò in avanti, sbilanciato dal colpo andato a vuoto; Klaus gli si avventò contro, in preda a stupore e
rabbia. Ma… è un New Paradigm! Com’è possibile?
Fu Jason a subire un diretto sulla guancia; subito dopo Klaus cercò di attivare il comunicatore da polso, non
riuscendoci. Jason gli fu di nuovo addosso; purtroppo gli era persino scivolata la pistola dalle mani durante la
mancata aggressione, e doveva assolutamente evitare che il suo avversario impugnasse la sua… per non parlare
del comunicatore. Non doveva dargli tregua.
Ne risultò una violenta colluttazione, nella quale i due avversari furono quasi sempre appiccicati. L’obiettivo di
Jason consisteva nel recuperare la pistola… ma non appena riusciva ad avvicinarsi, Klaus lo strattonava via;
analogamente, Jason riusciva ad impedire che Klaus afferrasse la sua arma o il comunicatore.
Tutto questo finché Klaus gli sferrò un potente calcio al petto. Jason lo subì in pieno… finendo dritto e disteso
lungo il corridoio.
A questo punto niente impedì a Klaus di afferrare la pistola.
La puntò verso il suo nemico, che per chissà quale fottuta ragione era finito lì.
Jason lo stava osservando da terra.
Klaus premette il grilletto… ma non abbastanza per sparare. Ebbe alcuni lunghi attimi di esitazione.
Perché lo stava guardando negli occhi.
Mio Dio, ma chi è?
Klaus vide, nell’uomo che stava per uccidere, qualcosa che mai aveva percepito prima, in nessun altro soldato,
amico o nemico. Vide un’assoluta mancanza di paura. Vide qualcosa che poteva essere delusione, o disprezzo… nei
suoi confronti.
Jason non aveva paura di morire.
Jason aveva solo paura di lasciar morire il suo pianeta, e Klaus lo stava permettendo. Per questo lo
disprezzava.
Klaus capì… ma si decise a volerlo uccidere comunque.
In quella, Jason pronunciò la domanda che indubbiamente gli salvò la vita:
“Perché vuoi sterminare il mio pianeta?”
Klaus sentì gli occhi inumidirsi. Sentì anche allentarsi la pressione del dito sul grilletto.
“Io non voglio sterminare nessuno” disse in tono meccanico, inclinando la testa verso il basso. Reggeva
sempre la pistola, ma con un braccio titubante. Poi continuò: “Ho visto morire uno dei miei compagni sotto il fuoco
di un incrociatore. Ho appena saputo che un altro è stato ucciso, qua fuori. Non voglio… sterminare… uccidere…
nessuno.”
Abbassò definitivamente la pistola, vagamente conscio del brutale paradosso che aveva appena menzionato.
Lui era un soldato, e un soldato che non vuole uccidere non serve a nessuno. Eppure Klaus aveva ucciso, in
parecchie occasioni, ma in questo caso erano in gioco le vite di un intero pianeta. Il gioco valeva ancora la
candela?
Klaus e Jason erano nemici.
Perchè non gli ho sparato?
Stella Nera… LockStar… Blacktron… New Paradigm…
…Fanculo a tutto!
Jason non aveva ancora mosso nessun muscolo. Gli parve strano udire: “Alzati.”
Klaus ripose di scatto la pistola nella fondina e camminò spedito verso il magazzino. Transitò a pochi centimetri
da Jason, il quale avrebbe potuto facilmente spezzargli le gambe, eppure rimase ancora immobile. Klaus, giunto
davanti alla porta, sbottò a voce bassa: “Ti ho detto di alzarti. Vieni qui.”
Jason, confuso, ubbidì… e appena gli fu di fronte, gli disse subito ciò che più gli stava a cuore, stupendosi lui
stesso delle sue parole:
“Ferma la nave. Ti prego.”
29
“No. Questo non lo posso fare.”
“Non ho mai implorato nessuno, ma per il mio pianeta sono disposto anche a questo, se serve.”
“Ti ho detto che non posso!!” Entrambi parlavano a bassa voce; Klaus stava tuttavia per alterarsi. Jason intuì
che il meccanismo scattato nella mente del suo avversario doveva essere molto delicato. Se si fosse spezzato, i due
avrebbero ricominciato a combattere.
Klaus: “Mi chiuderai a chiave qui dentro. Se mi dovessero trovare, dirò che mi hai tramortito e rinchiuso.
Naturalmente ti porterai via il comunicatore e la mia chiave personale.”
“Ma perché non…” mi lasci semplicemente andare? avrebbe voluto continuare, ma l’altro lo interruppe, avendo
già intuito la domanda.
“Non posso lasciarti andare come se niente fosse; non voglio correre rischi!” Detto questo, si tolse rapidamente
il comunicatore dal polso, schiaffandoglielo in mano. Fece lo stesso con la chiave personale, la quale consisteva in
una tessera magnetica capace di aprire e chiudere le porte per cui era abilitata. Subito dopo entrò nel magazzino,
con fare sbrigativo. Temeva l’arrivo di qualcun altro, oppure temeva di cedere e accanirsi di nuovo contro il suo
nemico, come imponevano i suoi obblighi?
“Ci sono altri con te? Come siete riusciti a salire a bordo?”
“Sono da solo. Diciamo che ho avuto… un colpo di fortuna.”
“Ora vai, dannazione. Chiudimi a chiave.”
“Come posso fermare la nave?” Niente per Jason aveva più importanza di questo.
Klaus inclinò di nuovo la testa, titubante. “L’autodistruzione…”
L’autodistruzione. Anche l’A-Rip includeva questa estrema procedura.
“E come faccio a innescarla?”
“Non ne ho idea. Forse dal ponte di comando.”
“Ci sono telecamere o sensori a bordo?”
“Niente telecamere né sensori.”
Jason ne fu stupito; probabilmente i Blacktron erano così sicuri di non ricevere visite sgradite, che non avevano
ritenuto necessario piazzare telecamere a bordo. In realtà, fin dall’inizio era prevista una rete di telecamere interne,
ma i tecnici di Lithion avevano declinato il progetto, sostenendo che “le interferenze avrebbero disturbato gli
impianti della nave”. La questione non convinceva molto; tuttavia fu abbandonata.
“E adesso che direzione devo…”
“Basta, ti ho già detto troppo. Chiudi la porta e vattene!”
Jason osservò Klaus ancora per alcuni secondi, poi chiuse a chiave tramite la tessera.
Allacciandosi al polso il comunicatore (che comunque mai avrebbe usato), Jason notò la scritta “ARMERIA”
sulla porta di fronte. Molto bene! Chissà se questa chiave funziona. Ad ogni modo recuperò immediatamente la sua
pistola, ripromettendosi di serrarla più saldamente.
Sulla tessera-chiave di Klaus era impresso: “LIV.2”, più che sufficiente per aprire l’armeria. Una volta
all’interno, Jason si guardò in giro con attenzione, ed ebbe visione delle tipiche armi a disposizione dei soldati
Blacktron; non tutte di queste gli erano familiari.
Vide anche un particolare che, per chissà quale ragione, gli rimase impresso: la lettera M sulla parete, nello
stesso carattere già visto nell’hangar. Anche questa era inscritta in un quadrato, e c’era un numero sottostante: il
4. Mah.
Non poté evitare di sorridere; non era trascorso molto tempo dall’involontario approdo su quel mostro spaziale,
e già aveva trovato la stanza delle meraviglie. Si mise immediatamente a rovistare tra gli scaffali. Avrebbe voluto
portarsi via tutto ciò che gli capitava a tiro… ma doveva adattarsi a qualcosa di rapido e leggero, o perlomeno tale
da consentirgli una certa agilità.
Gli cadde l’occhio su un’arma da fuoco di cui non ricordava il nome, ma che conosceva abbastanza, pur non
essendo mai stata in dotazione ai New Paradigm. Poco più piccola di un fucile d’assalto, semiautomatica e
funzionante ad energia, si adattava bene all’impugnatura di Jason e non pesava molto. Scelse questa, insieme a tre
granate stordenti.
Ancora nessuno all’esterno… eccetto il soldato che, per un incredibile esame di coscienza, si era fatto
rinchiudere di propria volontà nel magazzino di fronte. Questo aveva parlato di autodistruzione, forse attivabile da
un ponte di comando. Jason, oltre a qualche nuova arma, aveva quindi anche una destinazione.
Uscì di gran carriera dall’armeria e proseguì lungo il corridoio. Anche questo terminava con un ascensore e con
due rampe di scale sulla destra… scale che non riuscì a prendere. Erano in arrivo altri soldati Blacktron, i quali, per
quanto ne sapeva Jason, non erano ben disposti a farsi rinchiudere a loro volta nel magazzino.
Riuscì a non farsi vedere, rimandando la celebrazione dei primi colpi con la sua nuova arma, ma fu costretto a
buttarsi nell’ascensore, cosa che avrebbe preferito evitare. Un ascensore non è mai un luogo sicuro dove
nascondersi, tuttavia stavolta gli servì. Per sua fortuna, l’ascensore era fermo allo stesso piano, con le porte già
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spalancate. Fu anche costretto a premere un tasto a caso; non ebbe tempo per guardare a che piano si stava
dirigendo.
Le porte si richiusero, mentre Jason si rese conto di aver premuto il tasto più basso (e mentre sperava due
cose: che i soldati non scovassero il loro compagno nel magazzino e che non si accorgessero della mancanza di
alcuni aggeggi dall’armeria).
Si appiattì di fianco alle porte. Quando finalmente queste si riaprirono, Jason fu ancora solo, ma non gli ci volle
molto per capire che non si trattava del piano giusto. Non gli sembrava possibile che il ponte di comando si
trovasse al piano più inferiore in assoluto. Doveva quindi risalire, ma avrebbe assolutamente evitato l’ascensore.
Altro corridoio, all’esterno, molto simile a quello in cui si era ritrovato appena fuori dall’hangar. Le scale erano
puntualmente di fianco all’ascensore… ma dannazione, altri rumori di passi!
Chi scendeva le scale doveva essere solo, e sinceramente Jason fu tentato di seccarlo al volo. Evitò invece il
proposito, e preferì correre lungo il corridoio il più silenziosamente possibile.
Finì davanti ad una porta, funzionante a sensori, che si aprì subito mostrando un ambiente familiare: un altro
hangar! Completamente vuoto. Evidentemente tutte le navi erano ancora impegnate là fuori. L’hangar si
differenziava dal precedente soltanto per l’iscrizione sulla porta (“HANGAR SUD-OVEST”)… e per la lettera sulla
parete. Stavolta era una O con il numero 1.
Il nemico che aveva evitato poco prima stava per diventare un problema; sembrò essersi accorto di lui.
"Alt! Farsi riconoscere!" udì Jason, aggrappato alla sola consolazione di non essere stato ancora visto. Infatti
era prudentemente entrato nell'hangar, precludendo la visuale a quella che era una delle guardie di Lord Necron in
persona. Jason non poteva saperlo, anche se, dalla voce imponente, riconobbe nel nemico qualche grado in più
rispetto ad un soldato semplice; tuttavia non c'erano più scuse: era davvero giunto il momento di utilizzare la
nuova arma, chiunque fosse il suo avversario.
Si allontanò leggermente dai sensori in modo da lasciar chiudere le porte, poi puntò la canna. Alcuni lunghi
secondi, e non appena le porte si riaprirono, il Railgun 15-B Forze Speciali (solo in quel momento Jason ne ricordò
il nome) esordì con un potentissimo raggio energetico blu... il quale trapassò da parte a parte il petto della guardia,
facendola sbalzare con violenza all'indietro.
Fu un lavoro "pulito" e silenzioso; Jason stesso si meravigliò dell'azione. Sapevo che il Railgun è in grado di
perforare blindature leggere... ma è stucchevole vederlo all'opera! Sapeva anche che non sarebbe trascorso molto
tempo prima di far tuonare di nuovo il gingillo. Doveva muoversi, non c'era tempo per i compiacimenti.
Innanzitutto il cadavere... decise di lasciarlo dov'era, non trovando efficaci nascondigli in zona. Qui però compì
un errore: si mise a correre lungo il corridoio da cui era venuto, nell'intento di ritornare alle scale... ma in maniera
troppo scomposta, eccitato e carico di adrenalina dovuta alla recente azione, e finì per sbagliare strada. Prese un
bivio di cui prima non si era accorto, continuando a correre, incurante di eventuali nemici - dopo il primo, si sentiva
in grado di sterminare tutti i soldati a bordo, provassero solo a farsi avanti! - per poi terminare di fronte ad
un'ulteriore porta a sensori. Per fortuna, senza altri incontri.
Jason aveva raggiunto suo malgrado l'ultimo hangar, quello di sud-est. Ma quanti hangar ci sono su questa
nave? si chiese, subito dopo essersi imposto di calmarsi. Temette persino di essere tornato indietro per sbaglio, ma
l'hangar in questione non era lo stesso di prima, innanzitutto perché non vide il cadavere della sua prima vittima...
e la lettera sulla parete era diversa: A con il numero 3.
In quel momento, le navi Blacktron stavano iniziando il rientro.
Vedendo la primissima nave transitare attraverso il portello, Jason realizzò al volo che non avrebbe più avuto il
lusso di trovare stanze e corridoi tanto deserti. La nave stava per ripopolarsi.
Abbandonò immediatamente il terzo e ultimo hangar per dirigersi finalmente verso le scale, quando gli sorse
un’idea: forse prendere l’ascensore non era poi così sbagliato, date le circostanze. Il ponte di comando doveva
essere ai piani alti, e lui si trovava al più basso; inoltre gli era parso di vedere una decina di pulsanti nella cabina
dell’ascensore. Come poteva percorrere a piedi tutti quei piani, mentre la nave si riempiva sempre più velocemente
di temibili soldati Blacktron?
Si liberò di ogni dubbio ed entrò rapidamente nella cabina. Dunque: lui proveniva dal piano più alto, quindi da
scartare; il quarto gli parve una buona media. In quel momento, Jason si sentì più come un ospite in visita turistica
(che piano visitiamo oggi?) piuttosto che un infiltrato nel disperato tentativo di salvare il suo pianeta, ma la calma
avrebbe potuto tornare a suo vantaggio. Ormai l’adrenalina si era consumata, insieme al suo eccitante effetto.
Premette il quarto pulsante dall’alto, puntando subito dopo il Railgun verso le porte.
Il quarto piano della Stella Nera si strutturava in questo modo: un corridoio (di nuovo), al cui termine trovava
posto una doppia porta ad apertura elettronica, e altre stanze non meglio precisate lungo i due lati. La struttura del
piano inquietò Jason, il quale temeva che qualcuna delle molteplici porte si aprisse di colpo; cosa che non avvenne.
Almeno per ora.
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Sicuramente la doppia porta sul fondo portava in una stanza importante. Forse il ponte di comando? Possibile
che Jason fosse così fortunato?
Non si trattava del ponte, bensì della sala di controllo, come mostrava l’insegna soprastante. Jason immaginò
che questa stanza poteva contenere informazioni estremamente utili, chissà, forse persino su come innescare
l’autodistruzione. Per accedere occorreva una chiave di livello 2, che già possedeva; tuttavia si pentì di non aver
perquisito il cadavere della guardia uccisa poco prima, che era sicuramente in possesso di una chiave di livello
superiore.
In quel momento strinse più saldamente il Railgun, un po’ per la tensione, un po’ perché… dall’altra parte
provenivano alcune voci. Lo attendeva un’altra sparatoria.
Prese la tessera-chiave e lentamente la allungò verso il sensore della porta, ascoltando le ultime frasi dei suoi
nemici. Dovevano essere in tre. Troppi? No, se colti di sorpresa da un Jason Dearborn armato di Railgun e di
granate stordenti. Proprio una di queste ultime faceva al caso suo.
“Cosa? E’ stata uccisa una guardia del Re?”
“Ma come… cosa sta succedendo?”
“Che diavolo…”
Le porte si aprirono. I tre soldati tecnici si voltarono di scatto, per vedere soltanto una mano che scagliava
qualcosa di rotondo verso di loro. Fu l’ultima cosa che videro. Un istante dopo si strinsero le mani contro la faccia.
La granata liberò un’intensissima vampata di luce, con un sommesso sibilo; pochi secondi dopo Jason si fece avanti
per non lasciare anima viva. Il Railgun sparò a ripetizione, senza pietà, fendendo l’aria con il blu elettrico dei suoi
raggi, per mietere altre tre vittime.
Jason, una volta dentro la sala di controllo, richiuse le porte a chiave. Precauzione poco utile, ma sempre
meglio che niente.
“Controllo, rispondete! Qui ponte a controllo, passo! Cosa succede? Pronto!” Le parole provenivano a
ripetizione dalla console centrale. L’intervento di Jason aveva interrotto una comunicazione, e qualcuno armato di
tutto punto si sarebbe senz’altro fatto vivo di lì a poco. Non c’era più tempo.
Jason vide parecchi monitor saturi di codici e di schemi grafici, senza comprendere nulla. Anche le console e gli
impianti gli erano sconosciuti… eccetto un pannello, vicino all’amplificatore della console. Questo gli sembrò molto
simile a quelli standard utilizzati a bordo delle comuni navi da guerra. Aveva utilizzato spesso pannelli del genere,
dai quali era possibile eseguire diversi tipi di funzioni.
Non incontrò grossi problemi nel familiarizzare con la tastiera, anch’essa coincidente allo standard. Riuscì a
visualizzare il menu principale, ritenendo poco probabile il fatto di scoprire informazioni riguardo l’autodistruzione.
Ciononostante ci tentò lo stesso; almeno intendeva dare un senso alla sua rumorosa irruzione.
Fu così che Jason trovò non soltanto informazioni; bensì la procedura stessa di autodistruzione. Gli fu persino
relativamente facile. Fin troppo facile. Senza dubbio ci sarà qualche complicazione, rifletté, visto che gli bastò
evidenziare la scritta “AUTODISTRUZIONE” a video, in preda a totale stupore.
Premette il tasto ENTER, scarsamente fiducioso. Se fosse bastato spingere un solo tasto per distruggere l’intera
nave, allora a chi l’aveva progettata doveva mancare qualche rotella.
Infatti, sul piccolo schermo piatto apparve, in verde luminoso:
ACCESSO NEGATO - INSERIRE PASSWORD
Già, ci vuole una password. Sicuramente la conosceranno solo i vertici più alti. Jason non se ne stupì. Che fare
ora? Digitare tasti a caso sarebbe stato inutile, con il rischio di attivare blocchi di sicurezza.
Posizionò di nuovo le mani sulla tastiera per tornare al menu principale… ma si bloccò quando sullo schermo
vide qualcosa di strano.
Sì, non si era sbagliato: nell’angolo in basso a destra era apparsa un’altra scritta, in carattere talmente piccolo
da rendere le parole quasi illeggibili. Jason dovette avvicinare moltissimo la testa per leggere:
CERCA LE 5 LETTERE
Esattamente.
Aveva visto scritto:
CERCA LE 5 LETTERE.
Sulle prime gli parve un errore del sistema… eppure la frase aveva senso.
Quali cinque lettere? gli chiese la parte più razionale del suo cervello.
Gli rispose un’altra voce interiore:
Ma io ho visto delle lettere… in alcuni punti della nave. Sulle pareti… più o meno a quest’altezza…
Alzò lo sguardo verso la parete, all’altezza a cui gli sembrava aver visto certe lettere in giro per la nave…
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E trovò la quinta.
Nella sala di controllo, vide la E. Sotto, c’era il numero 5.
Rimase pietrificato. Possibile che… quelle lettere, che gli erano rimaste impresse per chissà quale motivo,
avessero un’attinenza con… con…
La password?
Guardò di nuovo le scritte a video: ACCESSO NEGATO – INSERIRE PASSWORD e, in basso, CERCA LE 5
LETTERE.
Si sarebbe posto le sue sinistre domande più tardi. Invece si sforzò per ricordare le lettere. Davanti a lui c’era
la E. Ricordava molto bene la prima, la G, che aveva visto nell’hangar da cui si era involontariamente infiltrato. Poi
la seconda… dov’era? Nell’armeria. Una M. Fece molta fatica per ricordarsi le due successive, rispettivamente negli
hangar a sud-ovest e sud-est; d’altronde le aveva viste solo di sfuggita. Gli sembrava fossero O e A.
Infatti erano cinque. Le aveva trovate tutte: E… G… M… O… A…
Forse vanno riordinate…
“OMEGA!!” tuonò Jason, eccitatissimo. Certo, le lettere compongono OMEGA!
La conclusione poteva suonare plausibile, ma Jason non aveva tenuto conto di un altro fattore importante.
Digitò la sequenza sulla tastiera… ma, nel premere ENTER, apparve a video:
PASSWORD NON VALIDA – PROCEDURA ANNULLATA
Dannazione!
Guardò di nuovo la E sulla parete. Sentì di essere sulla strada giusta, ma cosa aveva sbagliato?
Poi capì.
Ci sono dei numeri sotto le lettere.
E’ un enigma?
Ne dedusse che i numeri indicavano l’ordine in cui le lettere dovevano essere digitate. Quindi ‘OMEGA’ era
sbagliato…
Solo che ricordarsi tutti i numeri fu un’impresa per Jason. C’era un 5 sotto la E. Si ricordò il numero 2 riferito
alla G…
Dopo un enorme sforzo di memoria, durato oltre due minuti (a cui si era aggiunta l’ansia della fretta), Jason ne
concluse la soluzione:
‘OGAME’.
Rientrò nella procedura di autodistruzione a tempo di record, per poi digitare la misteriosa password - una
strana parola che Jason non aveva mai visto né sentito prima - e premette ENTER senza esitare.
Il risultato che apparve a video fu:
- PASSWORD CONFERMATA IN ATTESA PASSWORD DA LOCAZIONE SECONDARIA
TEMPO: 10 SECONDI
Il 10 diventò 9, poi 8...
Dovevo immaginarlo, realizzò. Queste procedure estreme sono programmate in modo da non poter essere
attivate da una sola persona. Occorre inserire la password da un altro terminale, probabilmente dal ponte di
comando, entro dieci secondi... solo che ci vogliono almeno due persone.
Jason, abbattuto, osservò l'inesorabile conto alla rovescia... mentre la coda dell'occhio lo riportò a guardare
nell'angolo in basso a destra.
Incredibilmente, trovò una nuova microscopica scritta:
PREMI BLOCK
Cosa... "BLOCK"? Guardò sulla tastiera, e... per tutti i diavoli dell'universo, il tasto BLOCK c'era davvero!
Assolutamente terrorizzato, Jason lo premette un secondo prima che il conto alla rovescia raggiungesse lo 0.
La schermata si bloccò immediatamente, lasciando il contatore dei secondi a 1. In pratica, il limite di dieci
secondi era stato annullato. Jason avrebbe potuto inserire la password dalla "locazione secondaria" senza limiti di
tempo.
Ma che... che diavolo... cosa sono quelle scritte??
Chi mi sta... aiutando??
Gli tornò in mente il soldato che aveva rinchiuso nel magazzino… ma non poteva essere lui; come poteva
interfacciarsi ad uno schermo, e in un modo tanto sinistro come quello? Tra l’altro rimaneva il mistero delle cinque
lettere, che non erano state scritte a mano, ma sembravano piuttosto parte integrante delle pareti.
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Possibile che la nave contenesse un segreto, tale da portare alla sua distruzione?
Jason smise improvvisamente di martellarsi di domande senza risposta. All’esterno udì rumore di porte che si
aprivano.
Strinse saldamente il Railgun. Non lo avrebbero fermato. Non ora, a pochi passi dal suo obiettivo finale.
A quasi cinque sistemi solari di distanza, sul pianeta di partenza Lithion, il viaggio della Stella Nera veniva
costantemente monitorato dai tecnici nel Laboratorio Primario.
Tra questi spiccava la figura di Scott, uno tra i migliori e più promettenti tecnici, invidiato ma sempre
apprezzato dai suoi diretti colleghi. Scott si era sempre sforzato di mantenere i suoi alti valori etici nel lavoro; era
rimasto sempre dell’idea che la ricerca avrebbe risolto molti problemi e comportato numerosi vantaggi, per il bene
di tutti. Questi valori, uniti alla dedizione e all’obbedienza nei confronti del suo pianeta, gli avevano aperto la strada
verso una grandiosa carriera.
Accadde che, circa dieci mesi prima, dal Network di ricerca giunse l’ordine di progettare una gigantesca nave,
dalla potenza inaudita. Non appena Scott vide la bozza del progetto “Stella Nera”, capì che si sarebbe dovuto
impegnare nel realizzare un’arma talmente potente da poter spazzare via intere civiltà.
L’umanità non era pronta per una simile arma.
Scott sapeva, perché sapeva, che si sarebbe reso complice di un attentato ai danni dell’intera galassia,
accettando di collaborare al progetto. Eppure era il suo imperatore, Lord Torvast, a volerne la realizzazione, su
ordine del Re. Scott non poteva opporsi, o avrebbe compromesso la sua promettente carriera.
Fu così che gli sorse un’idea, rileggendo per la seconda volta l’elenco dei lavori da realizzare. Un’idea pazzesca,
ma non impossibile.
Innanzitutto riuscì a farsi assegnare, fra i tanti, anche i lavori per la procedura di autodistruzione. Non gli fu
difficile, visto che il caposquadra Johnson contava proprio di assegnarli a lui, in quanto abilissimo e preciso;
l’autodistruzione era una delle procedure più critiche in assoluto. Gli fu persino concesso il privilegio di scegliere la
password di attivazione. Tanto meglio: questo avrebbe semplificato le cose.
La seconda parte del piano fu la più delicata. Scott conosceva bene uno degli operai addetti alla costruzione
dell’A-Rip; tramite lui riuscì ad ottenere il nome del responsabile della costruzione. Scott, inoltre, era stato
l’ideatore di una rete segreta, che collegava i terminali del laboratorio al mondo esterno eludendo i controlli
informatici – scoperta che gli aveva garantito la qualifica di “genio” dai suoi colleghi.
Si servì della rete segreta per inviare un messaggio al responsabile di costruzione, spacciandolo per un
comunicato ufficiale del Re, nel quale si ordinava di posizionare certe lettere sulle pareti di alcune aree strategiche
della nave – i tre hangar, l’armeria e la sala di controllo – con determinati numeri sotto di esse. Le lettere e i
numeri dovevano fungere come “segnalazioni”, e il tutto avrebbe dovuto assolutamente rimanere top secret (Scott
ironizzò pensando: e non è proprio una menzogna!)
Nell’inviare il messaggio, in un raro momento di solitudine nel laboratorio, incrociò le dita.
L’ultima parte del suo piano, vale a dire preparare scritte microscopiche da far comparire sulle schermate di
interfaccia, non fu in realtà così complicata. Si preoccupò di codificarne i codici sorgenti, per non farle scoprire dai
colleghi o dal caposquadra. Nessuno se ne accorse.
Scott aveva realizzato la sua personale procedura di autodistruzione, con alcuni piccoli aiuti per facilitarne
l’attivazione. Questi “aiuti” gli erano costate lunghe notti insonni - si era anche portato a casa il duro lavoro - ma
ne fu soddisfatto.
Tutto questo perché? Ovviamente non poteva aspettarsi che fosse un intruso a servirsene, ma sperava che
qualcuno dell’equipaggio, prima o poi, “aprisse gli occhi” e cercasse di distruggere la Stella Nera, prima di causare
l’apocalisse nella Quinta Galassia.
L’arduo lavoro di Scott non bastò, tuttavia, per farlo sentire in pace con sé stesso. C’era il rischio che nessuno
avrebbe mai cercato di fermare l’A-Rip… e allora, solo Dio avrebbe potuto compiere il miracolo.
Perché, nonostante tutto, Scott aveva partecipato al più grande scandalo dell’universo.
La Stella Nera doveva essere fermata.
Si era preparato di fianco alle porte, reggendo il Railgun con una mano e toccando una granata stordente con
l’altra. La sua posizione era stata individuata, da quando aveva interrotto la comunicazione dei soldati, e non
poteva più contare su facili nascondigli.
Jason non provò neanche a fare una stima dei soldati che si stavano avvicinando. Erano tanti, maledizione; lo
sentiva dal baccano nel corridoio.
Strinse con forza la granata, e, non appena le porte si aprirono di colpo, la scagliò facendo appello a tutto il
sangue freddo che gli restava, per poi coprirsi il volto un istante dopo. Fu un’azione tremendamente difficile,
considerando che il primo nemico gli era quasi addosso, eppure bastò per disorientare tutti. Ma non era ancora
finita.
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La violenta luce si stava diradando, e Jason fu costretto a calcolare il tempo giusto per attaccare senza finire
stordito o abbagliato a sua volta. A occhi socchiusi, puntò di scatto il Railgun e aprì il fuoco verso la testa
dell’obiettivo più vicino, che si stava dimenando a un passo di distanza. Ne risultò un orrore.
Il cadavere con la testa spappolata ostruiva parte dell’ingresso, impedendo la chiusura delle porte; Jason fece
capolino e sparò a tutto spiano, seguendo il suo istinto carburato da adrenalina e odio.
Subito dopo prese il coraggio a due mani… e si mise a correre lungo il corridoio, senza finire mai di sparare.
Altri soldati sbucarono dalle porte laterali; alcuni di loro riuscirono a rispondere al fuoco, mancando l’intruso per
non più di pochi millimetri. Erano ben addestrati, non c’è che dire.
Jason finalmente si buttò nell’ascensore, schivando i proiettili sempre più frequenti. Premette il tasto del piano
superiore, convinto che quella sarebbe stata la sua destinazione.
Con una determinazione d’acciaio, lasciata trasparire dallo sguardo saturo di rabbia, Jason puntò di nuovo il
Railgun verso le porte che lentamente si stavano riaprendo.
Si ritrovò in una stanza enorme, popolata solo da… tre persone. Dal loro abbigliamento, capì che dovevano
essere tecnici, e quando questi trasalirono, capì che non erano minimamente preparati al combattimento. Si
trovavano davanti agli impianti centrali di quello che era il ponte di comando, inoffensivi e (forse) disarmati, ma
Jason restò impassibile. I corpi di Mick, Nathan e Bob caddero urlanti, trapassati da una nuova raffica di raggi blu.
Nessuna pietà. Non in questa situazione.
Subito dopo gli sembrò incredibile trovarsi solo, in una delle stanze più importanti della nave… i suoi nemici
erano totalmente disorganizzati in fatto di intrusioni. D’altronde, chi poteva aspettarsi una visita per direttissima
attraverso il portello di un hangar? Tuttavia sapeva che, a brevissimo, sul ponte di comando sarebbe piombato un
arsenale contro di lui.
Non perse un solo secondo. Le console che si ergevano da terra mostravano display e pulsanti labirintici, e
trovare il pannello giusto non fu affatto semplice. Scovò tuttavia il piccolo schermo, identico a quello che aveva
utilizzato nell’altra stanza, con relativa tastiera.
Le dita di Jason volavano sui tasti. Innescò la procedura di autodistruzione, identica e facile come la
precedente - ormai fu certo di essere stato aiutato da qualcuno, pur non capacitandosi come - e digitò la
misteriosa password, OGAME.
Nel momento stesso in cui premette ENTER…
“FERMO!! BUTTA QUELL’ARMA E ALZA LE MANI!!”
Alle sue spalle era improvvisamente comparso l’arsenale che si aspettava. Più di una decina di soldati gli
puntarono addosso ogni sorta di armi, in prevalenza fucili laser. Ma Jason non poté ancora accorgersene: si
immobilizzò, continuando a guardare davanti a lui.
Silenzio assoluto, interrotto soltanto dal secco rumore del Railgun, che lasciò cadere a terra prima di alzare le
mani.
Ancora non succedeva null’altro.
“VOLTATI!”
E Jason si voltò, lentissimo.
E’ finita?
Un sinistro rumore elettronico si diffuse in tutti i locali della Stella Nera. In contemporanea, le luci si
abbassarono e assunsero una tinta rossastra, lampeggiante.
La voce elettronica colse tutti di sorpresa.
“PROCEDURA DI AUTODISTRUZIONE ATTIVATA. TEMPO RIMANENTE: TRENTA MINUTI.”
I soldati Blacktron, disorientati, si guardarono in giro, distogliendo lo sguardo dall’intruso.
Sì, è finita finalmente!
Una lacrima affiorò sul viso di Jason… che, all’improvviso, colse l’attimo e seguì l’istinto di sopravvivenza.
Approfittando della momentanea confusione, spiccò un balzo all’indietro, per poi finire oltre la console; quindi
si buttò subito a terra. I nemici, vedendo l’improvviso movimento del loro obiettivo, aprirono istintivamente il
fuoco, quasi in contemporanea.
Ne risultò un caos di proiettili… che distrussero buona parte della console. Jason trasalì, rannicchiato ma ben
protetto dalla struttura di metallo.
“Fermi!” udì, da quello che doveva essere il capitano o comunque il superiore. “Quel bastardo ha attivato…
chissà come… l’autodistruzione! Tutti alle capsule di salvataggio, e massima priorità al Re!”
Jason rimase immobile. L’ultima frase che sentì dire dalla stessa voce, prima che tutti sgombrassero la stanza,
fu: “Lasciatelo perdere, tanto è morto comunque!”
Anche nel Laboratorio Primario di Lithion scoppiò il caos, non appena i tecnici ebbero ricevuto un segnale che
parlava di “autodistruzione”.
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Scott osservò il suo monitor, e, incurante di tutte le domande a cui avrebbe dovuto rispondere in qualità di
responsabile della procedura, sorrise.
Qualcuno ci è riuscito.
Jason si ritrovò di nuovo solo, per l’ultima volta, cosciente di aver portato a termine il suo compito… ma non
poté ancora darsi pace; non finché non avrebbe visto con i propri occhi la distruzione della più grande minaccia
mai affrontata dal suo pianeta.
E prima che questo accadesse… sarebbe poi riuscito a fuggire dalla nave?
Si alzò e recuperò il Railgun, per poi dirigersi spedito verso la porta principale, mentre le luci illuminavano la
stanza di rosso intermittente. Infilò la tessera-chiave nel relativo alloggiamento… e non accadde nulla. Provò e
riprovò; niente da fare.
L’unica altra via di fuga era la stessa da cui era arrivato: l’ascensore. Si precipitò davanti alle porte… per poi
trovarle chiuse. Anche il tasto di chiamata non sortì alcun effetto.
Mi hanno chiuso dentro!
Come in risposta, tuonò di nuovo la voce elettronica:
“VENTICINQUE MINUTI ALL’AUTODISTRUZIONE.”
Tornò di corsa davanti alla porta d’ingresso, e sparò diverse volte con il Railgun, nel tentativo di aprirsi un
varco, ma il metallo oppose una forte resistenza ai raggi. Forse sarebbe riuscito a sfondarne una parte sufficiente
per uscire… ma di sicuro non entro mezz’ora.
Un istante dopo Jason comprese il significato delle parole “tanto è morto comunque”, pronunciate poco prima
dal caposquadra nemico.
Sono condannato a morire insieme alla nave.
Se è così che deve essere, così sia.
Il mio pianeta è salvo, e questa è l’unica cosa che conta.
Perso nei suoi profondissimi pensieri, Jason fece fatica a percepire uno stentato segnale sonoro che proveniva
dalla console, o perlomeno da quello che ne rimaneva. Sembrava una comunicazione in arrivo. La maggior parte
dei comandi era stata completamente distrutta; tuttavia Jason riuscì ad aprire il collegamento in qualche modo.
L’audio ne uscì pressoché integro.
“Sono il colonnello Maverick, divisione esecutiva del Consiglio Intergalattico. Vi ordino di fermare
immediatamente la nave e di lasciar salire a bordo le mie truppe!”
E così quelli del Consiglio si erano finalmente decisi a mandare un vascello. Siete in ritardo, stronzi! pensò
Jason, che ovviamente rispose in altro modo:
“Qui Jason Dearborn, soldato semplice New Paradigm, dal pianeta LockStar, matricola numero 41566. Ho
attivato l’autodistruzione! Tra venti minuti questa nave sarà distrutta!”
L’interlocutore ne fu piuttosto disorientato. “Come… autodistruzione? New Paradigm? Può gentilmente
ripresentar…”
“Sono Jason Dearborn, dei New Paradigm!! Mi sono… infiltrato, diciamo… e ho attivato l’autodistruzione. Tutto
l’equipaggio nemico sta evacuando, dovreste vederli uscire!”
Pausa di silenzio.
“Signor Dearborn, abbiamo modo di recuperarla?”
“No, non credo, mi hanno rinchiuso sul ponte di comando. Non posso uscire!”
“Ci dica come poss…”
Forti scariche elettriche interruppero il contatto. L’impianto di comunicazione, già duramente danneggiato dalla
precedente raffica di spari, cedette del tutto.
Almeno è servito per far conoscere il mio intervento qui. Non avrebbero comunque potuto fare nulla per me.
“VENTI MINUTI ALL’AUTODISTRUZIONE.”
Jason si stava sacrificando per il suo pianeta. Aveva compiuto il suo obiettivo, il suo destino.
Gli restava solo una cosa da affrontare.
Poco tempo prima, a bordo della C-BS, aveva risposto a Santos di non riuscire a concepire la morte… eppure
ora, tagliato fuori da tutto e tutti, ma soprattutto cosciente della sua fine inevitabile, gli sembrò un concetto fin
troppo elementare. Rimaneva solo una dannata voce elettronica a scandire i suoi ultimi minuti.
In passato aveva sentito dire che, in punto di morte, la propria vita si srotola davanti agli occhi come un film a
scorrimento rapido. Non si era mai chiesto se la cosa corrispondesse a verità o meno.
Si sedette sul pavimento, con la schiena appoggiata al freddo metallo della console, e chiuse gli occhi.
La sua mente tornò indietro.
Casa. Tanti anni prima, in un periodo meno travagliato.
“Jason, cosa vuoi fare da grande?”
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“Voglio fare l’eroe!” rispose, mentre giocava sul tappeto con i suoi modellini di caccia e navi da guerra, nella
meravigliosa ingenuità dei suoi sette anni. “Come te, papà!”
Richard Dearborn, allora capitano di fanteria con diversi riconoscimenti al valore, sorrise. Verrà ucciso sei anni
più tardi, durante una difficile missione di salvataggio, quando il ministro della Difesa verrà rapito dai nuovi nemici
Blacktron, ma fino ad allora resterà il fondamentale modello di riferimento per il piccolo Jason.
“Io non sono un eroe.”
“Ma hai ucciso tanti cattivi!”
“Jason, per essere un eroe, non basta uccidere tanti cattivi” disse, accarezzandogli la testa.
“QUINDICI MINUTI ALL’AUTODISTRUZIONE.”
“Vieni con me.”
“Dove?” chiese Lilia, nella sua voce dolce, che Jason adorava. Amava tutto di lei.
“Fidati” disse lui, sorridendo. La prese per mano, e la condusse in un posto meraviglioso che aveva scoperto
poco tempo prima. Ai margini della città iper-tecnologica di NewSan, esisteva un piccolo capolavoro naturale:
l’asfalto lasciava spazio ad un vasto prato, attraversato da un lungo sentiero che si inoltrava attraverso un bosco di
pini e salici. Poco distante, un ruscello percorreva parte di quell’ormai raro lembo di natura. Jason adorava questa
bellissima contraddizione: in riva al ruscello era possibile vedere il bosco sconfinato, ma girandosi indietro, la vista
cadeva di nuovo sugli altissimi palazzi della città, pur non udendo più i rumori stordenti del caos cittadino.
Sembrava un luogo di transizione, in mezzo a due dimensioni diverse; un luogo speciale, dove aveva finalmente
deciso di portare la ragazza di cui era innamorato.
“Jason, è bellissimo qui!”
Lui la prese tra le braccia. “Lilia…”
Si guardarono negli occhi, e sembrarono dirsi più cose di quante le parole possono esprimere, in quel
semisconosciuto angolo di paradiso; e infine si baciarono, illuminati dall’ultimo sole pomeridiano, ormai persi in una
meravigliosa dimensione in cui esistevano solo loro.
Ma alcune lacrime rigarono il volto di Lilia, e Jason capì che non si trattava di gioia. Lo capì subito perché,
almeno per quei pochi istanti, erano diventati una cosa sola.
“Non andare… nell’esercito. Sono tempi molto brutti per i soldati.”
Jason si rattristò; ciononostante la strinse più forte. “Devo. E’ sempre stato il mio sogno, capisci? Sento che è…
il mio destino.”
Lilia lo guardò di nuovo, stringendogli le mani.
“Sarai il mio eroe?”
“DIECI MINUTI ALL’AUTODISTRUZIONE.”
L’istruttore Fargo aveva sempre mantenuto un comportamento rude, tanto da riuscire a farsi odiare da molti
dei suoi allievi; eppure i suoi duri metodi erano serviti per addestrare e temprare alla perfezione la maggioranza dei
nuovi soldati. Non a caso, i migliori erano tutti passati da Fargo. Alcuni sarebbero diventati eroi.
“Forza con quelle gambe! Datevi slancio, pappemolli!” Quel giorno, nella grande palestra della base di NewSan,
era in corso un allenamento di destrezza: gli allievi, a turno, partivano dal retro di un materasso in verticale e
dovevano saltare di lato, per raggiungere il retro di un altro materasso. Mentre si trovavano in aria, nella parte
scoperta, dovevano sparare ad un bersaglio posto sulla parete di fronte. Esercizio per niente facile, considerando
che la distanza tra i materassi era abbastanza considerevole e il bersaglio era molto piccolo.
“Voglio vedere almeno tre centri da ciascuno di voi, chiaro? Dearborn, ricomincia!”
E Jason, timorosissimo, riprese coraggio e si lanciò di nuovo, ma la sua performance fu ancora peggio della
precedente: premette il grilletto della pistola da addestramento troppo in ritardo, tanto da colpire il secondo
materasso anziché il disco del bersaglio. “Maledizione!”
“Che ‘maledizione’, imbranato! Allora non c’è proprio speranza per te? Vediamo se ti svegli dopo cinquanta
flessioni. Fila!”
Jason prima lo guardò con occhi saturi di odio, poi si voltò e lentamente si diresse verso l’altro lato della
palestra, per la sua punizione. Ma Fargo lo raggiunse in un attimo, imponendogli di girarsi.
“Guardami, ragazzo” gli disse a bassa voce. “Non è me che devi odiare. Conserva quello sguardo per chi ti
vorrà far schizzare via gli occhi dalla faccia, una volta in battaglia. Anche l’odio e la rabbia sono armi preziose, e
anch’esse devono essere usate con criterio. Perché io ti ho capito, sai? Tu puoi fare strada. Impara, ragazzo,
impara!” Subito dopo lo spinse con forza, e Jason fu ben attento a non incespicare, sapendo che Fargo lo avrebbe
valutato anche su questo.
“CINQUE MINUTI ALL’AUTODISTRUZIONE.”
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Jason non aveva mai riaperto gli occhi. Diverse lacrime gli scorrevano lungo le guance. La sua mente gli aveva
mostrato alcuni dei ricordi più importanti, comprensivi di dettagli che non credeva di ricordare. Non fu proprio
come un film, ma quasi.
Casa sua, la mamma così dolce e premurosa, e suo padre. Quanto lo aveva ammirato! Le sue parole, i suoi
insegnamenti… Lilia, la sua ragazza, che da molto tempo non rivedeva… persino Fargo, quella spietata macchina
da guerra, sempre così rude, ma che sapeva insegnare.
Infine la nave infernale, che sembrava essere animata di una diabolica vita propria, uccidendo i ricordi e le
emozioni con la sua apatica e insensibile voce elettronica, prima di portarsi via anche la vita di chi era riuscito a
fermarla.
“SESSANTA SECONDI ALL’AUTODISTRUZIONE.”
Sono un eroe? E’ così che sarò ricordato? Ma non è questo che conta… eppure il destino mi ha portato fin qui…
ho impedito un olocausto, un’altra macchina di morte è stata fermata, ma non sarà l’ultima… esisterà mai la pace,
in qualche angolo dell’universo?
“TRENTA SECONDI.”
La mia gente è salva, almeno per ora, e solo questo mi importa… la mia vita per tutte le altre… ha un senso
tutto questo?
“DIECI SECONDI.”
Vi rivedrò tutti lassù… lassù oltre l’universo…
“CINQUE.”
Mamma…
“QUATTRO.”
Papà…
“TRE.”
Lilia…
“DUE.”
Popolo di LockStar…
“UNO.”
…VI AMO TUTTI!!
Diverse crepature si aprirono nello scafo sferico della Stella Nera, lasciando trapelare un’accecante luce bianca.
Subito dopo le fenditure iniziarono ad espandersi, dando l’impressione che enormi coltelli stessero incidendo il
guscio dall’interno, in maniera quasi geometrica, fino a suddividere lo scafo in tante parti, le quali si schiacciarono
le une sulle altre. In pratica, l’autodistruzione era stata concepita come una gigantesca implosione, provocata dal
sovraccarico calcolato dei quattro reattori.
Il processo continuò fino a far scomparire del tutto il metallo dello scafo. A breve distanza dal pianeta LockStar,
rimase un’enorme sfera fortemente luminosa, in lenta attenuazione. Più tardi, quando il fenomeno di luce si sarà
attenuato del tutto, resterà solo una grande quantità di detriti… e sugli schermi delle ormai svuotate stanze delle
basi militari su LockStar, apparirà la scritta:
“L’immensa quantità di detriti forma un satellite lunare che orbita attorno al pianeta.”
Nessuna altra sconvolgente arma, nessuna altra evolutissima nave, nessun invincibile esercito erano serviti per
fermare la più grande minaccia mai affrontata nella Quinta Galassia.
Soltanto il puro coraggio umano aveva fermato la Stella Nera.
Così era morto il soldato Jason Dearborn: da eroe e con parole d’amore in bocca. Così come aveva sempre
desiderato.
“Non è possibile… NOOOO!!!”
Lord Necron, a bordo della capsula di salvataggio ormai alla deriva, osservava la distruzione del suo più ambito
gingillo attraverso l’oblò. Il suo sguardo si era riempito di rassegnazione, sensazione mai provata prima.
Charlie era di fianco a lui. “Maestà, io…”
Lo interruppe uno sbalzo anomalo: la capsula era stata colpita da quello che si definiva “raggio traente”, di cui
erano equipaggiati solo i vascelli del Consiglio, come proprietà esclusiva. La navicella venne catturata e condotta
lentamente all’interno di una nave.
Lord Necron intuì cosa stava succedendo, e, come gli era capitato sempre più spesso ultimamente, rimase
senza parole. Charlie, una volta assicuratosi che l’aria esterna fosse respirabile, aprì il portello della capsula.
La scena che si presentò davanti a entrambi fu questa: decine di soldati nella speciale uniforme del Consiglio
erano dislocati lungo i lati della grande stanza, ciascuno armato fino ai denti. Al centro, un altro illustre
personaggio camminò verso di loro, con due guardie al seguito, munite di manette.
La voce del colonnello Maverick risuonò imponente:
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“Lord Necron, ex re dell’alleanza Blacktron, in nome della legge del Consiglio Intergalattico, la dichiaro in
arresto.”
Alcuni giorni dopo, sul pianeta LockStar, si celebrò il funerale del soldato semplice Jason Dearborn. Mai erano
stati attribuiti tanti onori ad un solo militare, negli eserciti New Paradigm. Il discorso del presidente Kestral in
persona, davanti ad una folla interminabile di cittadini nella piazza principale di NewSan, sarebbe entrato nella
storia.
“Popolo di LockStar, oggi ricordiamo un eroe, il cui coraggio ha salvato il nostro intero pianeta dalla minaccia
più sporca e micidiale mai perpetrata nella galassia, e forse nell’intero universo. I nostri nemici hanno oltrepassato
un limite inviolabile, architettando uno scandalo le cui vittime sarebbero state incalcolabili! Quante vite innocenti si
sarebbero presi? Dopo LockStar, quanti altri pianeti avrebbero sterminato, nella strada verso il potere?
“Ma un solo valido soldato li ha fermati, mettendo in gioco tutto sé stesso, tanto da sacrificare la vita per il suo
popolo. Quest’uomo tanto forgiato da valori patriottici, è il soldato Jason Dearborn!”
Uno scroscio di applausi, tra tanti volti commossi.
“Il suo coraggio e la sua determinazione sono bastati per distruggere la micidiale nave, che i nostri nemici
chiamavano ‘Stella Nera’, prima che portasse via il nostro pianeta. Il nostro esercito è ormai decimato per colpa di
quella stessa nave. Ma siamo ancora vivi, ritorneremo forti, e ci sforzeremo di trasmettere ai nuovi soldati gli stessi
valori che hanno reso Jason Dearborn un eroe!”
Nuova ondata di applausi, più forte.
“Voglio che tutti voi riflettiate sul pericolo che abbiamo corso. D’ora in poi le nostre notti sono illuminate da
una nuova luna, e ogni volta che la guarderemo, ci ricorderemo di questo momento. Un tempo esisteva una Stella
Nera, simbolo di morte e distruzione; ora esiste una Luna Bianca, simbolo di vittoria e pace!”
La notte successiva, Lilia tornò al margine della città, sulla riva del ruscello dove Jason l’aveva baciata per la
prima volta diversi anni prima. Il posto speciale, come entrambi lo consideravano; un magico punto di transizione
nello spazio e nel tempo.
Guardò la luna, piena e splendida nel limpido cielo stellato, desiderando che anche il suo eroe fosse lì a
guardarla con lei… ma le sembrò più probabile che fosse lui ad osservare lei, dall’interno della stessa luna. Il suo
corpo ne era rimasto intrappolato dentro, e perché non la sua anima? Forse Jason era diventato un’immortale
sentinella, che proteggeva il pianeta dalla sua luna d’argento.
La luce bianca sembrò accarezzare il volto di Lilia, facendo scintillare le lacrime che lentamente le scorrevano
sulle guance.
Forse, in futuro, anche la luna di LockStar sarà sfruttata per scopi bellici, con basi lunari e falangi sensoriali,
perché è così che va sempre a finire. La pace è un obiettivo troppo lontano da poter considerare; la storia deve
fare il suo corso. Ma quella notte il tempo si era fermato.
Era una notte che valeva per sempre.
--- FINE --39
- NOTA DELL’AUTORE (postata nel forum di OGame.it)
E così siamo arrivati alla fine del mio primo racconto, che mi ha tenuto impegnato nell’arco di ben cinque mesi. Chi
l’avrebbe mai detto? Io stesso mi sono stupito dalla lunghezza complessiva: il progetto di partenza prevedeva
capitoli più brevi, e soprattutto più omogenei… invece il secondo capitolo è risultato il doppio del primo, e ho
dovuto limitare il terzo per non farlo diventare ancora più lungo dei primi due messi insieme.
Diciamo che ci ho preso gusto. Ho scoperto che mi piace scrivere, e per quanto bello o brutto possa essere riuscito
questo racconto (definirlo “romanzo” mi sembra troppo azzardato), mi ha lasciato questa importante eredità.
Voglio ringraziarvi ancora tutti, per l’ennesima volta. I vostri commenti, pignoli o meno, sono tutti serviti a darmi
slancio, a spronarmi, a portare a termine il lavoro insomma. Sono particolarmente contento anche per un altro
motivo: io nella vita faccio tutt’altro. Ventitreenne diplomato in ragioneria, lavoro come impiegato tecnico e sono
un patito (diciamo pure drogato) di computer e internet. Cosa c’entro con la scrittura?
Ve lo dico subito: mi è sempre piaciuto leggere, libri e qualunque altra cosa sia formata da lettere. Mi sono reso
conto che la scrittura rivela e coinvolge molto più di quanto un dialogo possa riuscire a fare. Volevo tentare di
scrivere qualcosa, e quando ho notato la sezione “Racconti” di questo forum, mi sono posto la domanda più
coraggiosa del mondo: perché no?
Le idee mi sono piombate in testa alla velocità della luce. Avevo un intero universo davanti a me, e dopo qualche
tempo ho realizzato che scrivere è un po’ come pilotare un piccolo aereo (o un caccia leggero, se preferite): si
possono fare tutte le acrobazie possibili e immaginabili, ad una sola condizione: che si mantenga il controllo del
mezzo. Se siete troppo prudenti, volate in modo perfetto, ma non siete interessanti e nessuno vi guarda. Se
viceversa vi ammazzate tra contorsioni e capovolte, tutti vi guarderanno, ma sarà molto facile schiantarsi. Mi
sembra una buona metafora. Per scrivere serve una pazienza estrema, e, se posso dare un consiglio, siate pronti a
spendere anche due ore per un solo paragrafo, o tre quarti d’ora per una singola frase (come mi è capitato diverse
volte).
Ma adesso è meglio che arrivo al sodo, al motivo di queste note finali: mi sembra corretto citare tutti i riferimenti
che ho usato nel racconto. Sono più di quanti sembrano.
Innanzitutto è scontato dire che l’intera storia si basa sull’universo di OGame, il riferimento principale, da cui ho
preso la stragrande maggioranza delle armi e delle tecnologie.
Più nello specifico… ah, Lord Torvast. Mi veniva quasi da ridere ogni volta che lo scrivevo: il Torvast è… un
medicinale contro il colesterolo, che prende mio padre. Mi sembrava un nome azzeccato per un imperatore
spaziale!
I nomi delle città, Terminal City, Maeva e NewSan, li ho copiati da un vecchissimo gioco per pc: MegaRace. Non so
se qualcuno lo conosce.
Il nome del pianeta Lithion l’ho inventato io, ma non nego che la somiglianza con Latios non è casuale. Dal
racconto di Latios ho preso anche riferimenti più chiari, come il pianeta Stylus e il Railgun, l’arma di Jason a bordo
della Stella Nera. Da Kahen ho preso il nome “OMEGA”, sinistro anagramma di “OGAME”.
Non vi so dare un riferimento preciso al nome Blacktron, ma sono sicuro che esiste già. Chissà perché, mi ricorda i
mattoncini Lego. Mah.
Quanto a New Paradigm, esiste in un videogame chiamato “Warzone 2100”, in cui alcune alleanze spaziali
collaborano per ricostruire il pianeta Terra. Una di loro ha lo stesso nome.
Necron e Steiner, li ho copiati dal bellissimo Final Fantasy 9 - sono rispettivamente il penultimo nemico e uno dei
protagonisti. Raynor, come avevo già specificato, l’ho preso da StarCraft. Molto più difficile Demaar, copiato da un
gioco di ruolo per Playstation fin troppo sconosciuto (se volete saperlo, si chiama “The Granstream Saga”).
Vi sembreranno curiosi i nomi Incypher (colonia di LockStar) e Alian e Comes (le tigri da giardino del presidente
Kestral): Incypher è il nome di un applicativo che usiamo sui pc in ufficio, mentre Alian e Comes sono nomi di due
piastre in una centrale telefonica pubblica. Sappiate che, quando fate una telefonata, riuscite a sentire il vostro
interlocutore anche grazie a loro - e ormai avrete capito dove lavoro, giusto?
Gli altri nomi, sono praticamente tutti inventati da me. Ci sono anche lontani riferimenti a Guerre Stellari, a Star
Trek e – perché no? – a Metal Gear Solid nell’infiltrazione di Jason (e qualcuno aveva persino citato Blade
Runner…)
E così, mescolando il tutto, otteniamo questo racconto, strapieno di aggettivi dimostrativi, di avverbi di modo, di
ma e di se… avrò sicuramente sbagliato la grammatica di alcune frasi. Ma soprattutto ho dato motivo di ampie
discussioni, quando ho violato le sacrosante leggi della fisica… sono sicuro che alcuni di voi si staranno ancora
chiedendo: ma quanto è grande questa Stella Nera? E poi, l’improbabile volo di Jason nello spazio aperto… beh,
non cercherò altre giustificazioni. Mi sono preso troppe libertà per far quadrare il tutto.
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Qualcuno mi aveva chiesto: continuerai a scrivere? Sì. Certo. Ho un Progetto da cominciare insieme ad alcuni di
voi, e poi contavo di buttare giù qualcosa di non attinente alla fantascienza.
Per intanto, se volete il mio racconto in formato Word, ben impaginato e con alcune correzioni, mandatemi pure un
PM o una mail. Sarò ben felice di inviarvelo (protetto da scrittura naturalmente!)
Ancora GRAZIE a tutti voi!
Luca Mancini
Milano, 20/06/2006
Ultima revisione: 01/10/2007
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