1 INNOCENZO III E LA SANTA ROMANA REPUBBLICA All`inizio del

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5° incontro 2008: Innocenzo III e la Santa Romana Repubblica
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INNOCENZO III E LA SANTA ROMANA REPUBBLICA
All’inizio del XIII secolo, per breve tempo sembrò che il papato potesse guidare i popoli
cristiani riuniti sotto l’ideale di una Santa Romana Repubblica che garantiva la pace tra i
cristiani per volgere le armi solamente contro i nemici della fede. Il papa sembrava poter
mediare tutte le situazioni di conflitto anche ricorrendo agli eserciti, ma col passare del tempo
ci si accorse che con le armi non si ottengono conversioni.
Innocenzo III
Il cardinale Lotario dei Conti di Segni, quando divenne papa col nome di
Innocenzo III (1198-1216), aveva solamente trentasette anni e veniva dopo una serie di
pontefici che avevano subito l’iniziativa della corte imperiale. Ciò significa che gli elettori
intendevano affidargli problemi molto seri da risolvere. Nel frattempo l’impero tedesco era
divenuto vacante per la morte di Enrico VI di appena ventisei anni. Anche la vedova,
Costanza d’Altavilla, morì presto e il piccolo Federico di Svevia fu affidato al papa che
doveva fargli da tutore, per impedire l’usurpazione dei suoi diritti all’impero.
Il panorama politico europeo
Alla fine del XII secolo l’Europa appariva trasformata
rispetto a un secolo prima. La colonizzazione interna aveva conquistato molte foreste per
ridurle a campi coltivati, rendendo il paesaggio agrario del nostro continente molto simile
all’aspetto attuale. Nelle città tutti gli abitanti concorrevano alla costruzione delle mirabili
cattedrali in stile gotico, tenute in piedi dalla fede e dalla scienza dei costruttori operanti in
perfetta armonia. La popolazione era cresciuta; artigianato e commercio avevano raggiunto
una dimensione mai toccata in precedenza; le università erano in piena espansione e ormai
appariva prossimo l’incontro con la filosofia greca; la letteratura nelle lingue volgari aveva
generato una serie di poemi che incantavano il pubblico delle fiere e dei mercati; i mercantiimprenditori stavano scrivendo la loro epopea e ogni anno superava il precedente per il
numero e la qualità dei prodotti esibiti alle fiere della Champagne e delle Fiandre, divenute
l’arteria pulsante dell’economia europea. Era concreto il pericolo che tutto ciò accadesse
dimenticando quanta parte delle novità che si stavano realizzando era accaduta per impulso
della Chiesa.
I nuovi equilibri di potenza In Spagna il riflusso islamico appariva evidente e nel 1212 a
Las Navas de Tolosa fu stroncata ogni possibilità di riscossa degli emirati del sud. I cristiani
occuparono Siviglia e le isole Baleari. Nel 1214, dopo la battaglia di Bouvines, l’Inghilterra e
l’Impero tedesco dovettero ammettere l’egemonia francese sul continente. Tra i vincitori di
Bouvines c’era anche Federico II di Svevia che decise di non soggiornare in Germania, bensì
nell’Italia meridionale che in quel momento sembrava in piena espansione economica. La
Puglia in particolare, essendo il principale porto di imbarco dei crociati, divenne un fiorente
mercato di frumento, olio e vino a seguito di una ventina di fattorie modello create dai
cistercensi. Svezia, Norvegia e Danimarca sembravano inserite nella Santa Romana
Repubblica, ossia nella cristianità occidentale che Innocenzo III desiderava rendere
fermamente unita, per scongiurare la guerra tra cristiani, deviandola semmai contro i nemici
della fede cristiana.
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La Quarta crociata
A noi ora risulta difficile immaginare un papa alle prese con
preparativi bellici, tuttavia occorre fare uno sforzo per ricordare che la società di allora era
composta nei ceti più elevati da uomini che consideravano la guerra come la più specifica
attività dei sovrani e degli uomini liberi (e sarà così ancora per molto tempo). Gerusalemme
era ancora in mano al sultano d’Egitto e tutti ritenevano inevitabile effettuare la crociata per
liberarla. Venezia aveva una flotta imponente e i crociati stipularono col governo della
Serenissima un regolare contratto di locazione delle navi, col fieno e i viveri necessari per il
tempo della traversata. Nel 1202 i crociati si presentarono con forze e denari molto ridotti
rispetto a quanto era stato convenuto. Il doge Enrico Dandolo propose un mutamento delle
clausole contrattuali di dubbia moralità, ossia catturare Zara sulla costa dalmata che aveva
come unica colpa quella di esistere, impedendo il completo monopolio veneziano della
navigazione commerciale nell’Adriatico. All’insaputa del papa i crociati accettarono quella
transazione chiaramente immorale (Zara apparteneva al regno d’Ungheria che partecipava alla
crociata) e perciò furono scomunicati. In seguito le cose andarono anche peggio. Infatti a
Costantinopoli aveva preso il potere Alessio III dopo aver spodestato l’imperatore precedente
e fatto esiliare l’erede presunto. Costui, di nome Alessio, si recò al campo crociato e propose
la deviazione della flotta fino a Costantinopoli, per rimettere al potere il padre e lui stesso, con
promessa di ripianare il debito dei crociati nei confronti di Venezia. I crociati ritennero di
dover accettare anche questa transazione e fecero vela verso Costantinopoli. Nel 1204 la città
fu espugnata e abbandonata a un orribile saccheggio che ancor oggi fa sanguinare la coscienza
bizantina, alimentando un risentimento che appare inestinguibile. Fu fondato un poco vitale
Impero Latino d’Oriente, in larga misura egemonizzato dai Veneziani che perciò risultarono i
maggiori beneficiari dell’operazione. Fu annunciata la riunione tra la Chiesa d’oriente e la
Chiesa di Roma, mai divenuta effettiva. Dopo pochi anni avvenne la rinascita dell’Impero
bizantino d’oriente con capitale Nicea, aiutato dai Turchi che anelavano a liberarsi dagli odiati
cavalieri dell’occidente. Infelice decisione fu l’aver scelto come patriarca latino un
personaggio duro come Pelagio, incapace di comprendere la peculiare psicologia bizantina.
La crociata in Provenza Ancora più drammatica la crociata diretta contro gli eretici della
Provenza e Linguadoca, chiamati Catari o Albigesi, dal nome della città di Albi dove erano in
maggioranza. Le relazioni che giungevano dai vescovi della regione al papa apparivano
drammatiche. Interi paesi si rifiutavano di seguire il culto, riunendosi in ambienti di fortuna
per ascoltare dei predicanti che annunciavano la riprovazione operata da Dio dell’antica
Chiesa ormai caduta in balia dell’anticristo. Il clero era rifiutato perché ritenuto ricco, colluso
coi potenti, incapace di comprendere le sofferenze dei poveri. Le abbazie erano giudicate
alberghi di lusso per crapuloni e gaudenti, ben provvisti di cibo e abiti caldi. Il papa dette
incarico all’abate cistercense Pietro di Castelnau di ricondurre all’ovile gli erranti
nominandolo legato papale, ma gli eretici lo uccisero nel 1208. Raimondo VI, conte di Tolosa,
un personaggio dalla vita molto discutibile, appariva totalmente dalla parte degli eretici. Il
papa Innocenzo III, rimasto impressionato dagli avvenimenti, ritenne in pericolo la cristianità
e ascoltò l’appello a una crociata guidata dai feudatari della Francia settentrionale, desiderosi
di ritagliarsi un dominio nella regione famosa per i suoi canti, per la sua musica, per i suoi
costumi cavallereschi che apparivano i più raffinati. Quando
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i crociati entrarono in Provenza, Raimondo VI fece conoscere la sua disponibilità alla
conversione, ma era troppo tardi. Avvennero massacri e inutili persecuzioni che rivelano la
difficoltà che si incontra a utilizzare mezzi repressivi nei confronti di reati che riguardano fatti
spirituali e religiosi. Il progetto del papa di guidare da Roma le vicende europee si rivelava
superiore alle sue forze. Come già era avvenuto a Costantinopoli, anche in Provenza le
decisioni dei legati papali si dimostrarono troppo influenzate da coloro che detenevano il
potere militare. Per una serie di circostanze che difficilmente potevano ripetersi, i regni di
Aragona, di Inghilterra e di Ungheria furono proclamati feudi della Chiesa, concessi ai sovrani
che li reggevano e perciò soggetti a tributo. Ciò ha fatto sorgere l’idea che il papa progettasse
una specie di teocrazia: l’accennata Santa Romana Repubblica rimane un progetto ideale, non
qualcosa di pratico per il quale il papa avrebbe brigato.
La nascita degli Ordini mendicanti
Innocenzo III aveva ben chiaro che i problemi di
natura religiosa possono essere risolti solamente col ricorso a mezzi religiosi. Lo dimostra la
pronta accoglienza dimostrata verso la più clamorosa trasformazione avvenuta in seno agli
Ordini religiosi, compiuta da due santi riformatori come san Francesco d’Assisi e san
Domenico de Guzman. Quando san Francesco si presentò la prima volta a Roma con alcuni
compagni, chiedendo al papa di approvare oralmente il loro genere di vita comprendente
povertà assoluta, predicazione itinerante in luoghi pubblici come le piazze e i mercati, nessuna
dotazione di terre ed edifici, stava avvenendo la più profonda trasformazione degli Ordini
religiosi da quando erano sorti in occidente al tempo di san Benedetto sette secoli prima.
Anche i cambi di terminologia sono importanti. I compagni di san Francesco sono frati, non
monaci; le loro dimore si chiamano conventi e non monasteri; i conventi sono ubicati nelle
città, non in campagna come i monasteri; i frati non fanno promessa di stabilità in un luogo,
bensì si recano dovunque li chiamino i problemi da risolvere; vivono guadagnandosi il pane
col loro lavoro svolto nelle città accettando le offerte dei fedeli quando manca il lavoro,
perché non hanno una dotazione di terre dalle quali ricavare il vitto. Quando Domenico de
Guzman, col vescovo Diego di Osma, si reca dal papa per avere il mandato di evangelizzare i
Cumani dell’Ungheria orientale, il papa lo consiglia di recarsi in Provenza per convertire gli
Albigesi. E così avvenne. Poiché gli eretici rimproveravano ai prelati inviati in precedenza gli
abiti caldi, le cavalcature comode, il cibo abbondante, i primi compagni di Domenico decisero
di non avere tutte quelle cose e di vivere come vivevano i predicanti Albigesi. Appare davvero
incredibile il successo degli Ordini mendicanti nel volgere di qualche anno. Ancora più
interessante l’incontro con l’alta cultura del tempo. I Domenicani, riconosciuti come Frati
predicatori, vollero apprendere la teologia da mettere a fondamento della loro predicazione nel
modo più rigoroso e perciò si iscrissero alle nascenti università dove subito divennero gli
allievi più promettenti e poi i maestri più acclamati. Anche Francesco, che all’inizio non
desiderava per i suoi frati la cultura superiore, convinto che anche la cultura potrebbe essere
una specie di ricchezza che insuperbisce il possessore, alla fine si lasciò convincere, anche per
la presenza nel suo Ordine di Antonio da Padova, un vero genio della teologia e della
predicazione, e ammise che i più dotati potessero impegnarsi nello studio. Appare un segno
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dei tempi il fatto che nella seconda metà del secolo XIII i più grandi teologi e filosofi siano
stati due francescani, Bonaventura da Bagnoregio e Duns Scoto, e due domenicani, Alberto
Magno e Tommaso d’Aquino.
La riforma della Curia romana
All’inizio del secolo XIII tutti gli Stati europei avevano
operato la trasformazione degli organi di governo permessa dagli sviluppi culturali dell’epoca.
I governi avevano deciso di avere una capitale definitiva per dirigere la politica nazionale. Il
tesoro e la zecca dovevano avere officine stabili per controllare le questioni monetarie. La
burocrazia aveva bisogno di archivi ben ordinati per ricordare i precedenti giuridici. Gli uffici
esigevano aree di competenza ben definite entro le quali operare, per evitare dannosi conflitti
di competenza. Soprattutto occorrevano chiare direttive finanziarie per sapere entro quali
limiti si potevano effettuare le spese. Infine occorreva che il personale impiegato non
divenisse pletorico per ovvi motivi. Tutti gli storici sanno che i documenti papali sono
abbondanti e bene ordinati solamente a partire dal tempo di Innocenzo III, autore della più
importante riforma della Curia di Roma avvenuta prima della crisi del XVI secolo. La Curia
fu suddivisa in Cancelleria destinata a risolvere gli affari correnti, in Camera che doveva
affrontare i problemi finanziari, e in Tribunali che dovevano occuparsi delle causae maiores,
ossia come tribunali di appello rispetto ai tribunali diocesani che furono potenziati per evitare
il troppo frequente ricorso a Roma da parte di chi aveva interesse a non risolvere la causa in
tempi brevi. Da Roma furono cacciati molti chierici e procacciatori di affari che non avevano
incarichi ufficiali e fu potenziato l’ufficio che doveva procedere all’invio delle bolle e di altri
documenti ufficiali per impedirne la falsificazione.
Il concilio Lateranense quarto
Il capolavoro di Innocenzo III fu la realizzazione del
concilio Lateranense quarto, indetto nel 1213 e realizzato nel corso di un mese nel novembre
1215 con tre sessioni bene ordinate, nonostante il fatto che i padri conciliari fossero più di
ottocento. Come fonte per il diritto canonico questo concilio occupa il secondo posto per
importanza dopo quello di Trento. Per la sensibilità del tempo, il canone principale riguardava
l’indizione della crociata, prevista per il 1° giugno 1217. Per chi sceglieva il viaggio per mare
era previsto il raduno in Sicilia. Erano stabilite le indulgenze per i crociati e per i finanziatori,
e anche le modalità di riscossione dei contributi della cristianità. Si riafferma che la Chiesa di
Cristo è unica, ammettendo la liceità di riti diversi come quello orientale. Si riafferma la
centralità dell’Eucaristia proclamando che in essa Cristo è sacerdote e vittima che si immola.
Il suo corpo e il suo sangue sono veramente contenuti nel sacramento dell’altare sotto le
apparenze del pane e del vino, che permangono inalterate anche dopo il mutamento della
realtà di pane e di vino. Nessuno può operare questo sacramento all’infuori del sacerdote
debitamente ordinato, secondo il potere delle chiavi appartenente alla Chiesa. Fu fondato il
Tribunale dell’Inquisizione presieduto da un maestro di teologia che doveva vigilare sulla
presenza di eretici in ogni diocesi. Furono stabilite le pene per gli eretici. La pena di morte fu
inflitta solamente più tardi, quando il reato di eresia fu equiparato al crimen lesae maiestatis
ossia alto tradimento, analogamente a quanto avveniva nel
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diritto romano. Peraltro la pena capitale era inflitta solo in caso di recidiva, perché all’eretico
pentito e confessante l’ortodossia venivano imposte alcune pene canoniche di minore entità. Si
comprende che nel corso del concilio siano affiorate riserve e gelosie nei confronti dei frati
appartenenti agli Ordini mendicanti da poco istituiti. La mobilità dei frati era un fatto inedito e
perciò la loro predicazione aveva notevole successo popolare che li accompagnava da una
diocesi all’altra. Molti vescovi sentivano minacciata la loro autorità e perciò votarono un
canone vietante la fondazione di nuovi Ordini, con la singolare motivazione che le regole
erano sufficientemente numerose per tutti i gusti e che non occorreva aggiungerne di nuove. I
Domenicani perciò non ebbero regola propria, finendo per adottare la regola dei canonici
regolari agostiniani, anche se ormai avevano consuetudini proprie facenti la funzione di
regola. I Francescani apparivano una novità così singolare da indurre Onorio III, il successore
di Innocenzo III, ad approvare la regola francescana in deroga al canone appena votato dal
concilio. Come segno della maturità raggiunta dalla filosofia del tempo si deve ricordare un
asserto che solamente nel XX secolo è stato riconosciuto in tutta la sua importanza, ossia
l’affermazione che l’analogia di somiglianza che si può stabilire tra Dio e l’uomo non è mai
tanto grande che non si possa stabilire una ancor maggior dissomiglianza esistente tra il
Creatore e la creatura.
L’eredità di Innocenzo III Il papa morì qualche mese dopo la fine del concilio. La crociata
fu rimandata di qualche anno e quando fu effettuata si rivelò un disastro. Per qualche tempo,
nel 1219, fu presente anche san Francesco a Damietta sul delta del Nilo, evidentemente non
per combattere, ma per cercare la conversione degli islamici. Secondo le fonti francescane ci
fu un incontro col sultano al-Kamil che avrebbe mostrato interesse al cristianesimo, sebbene
obiettasse che il giorno della sua conversione sarebbe stato ucciso dai suoi. Sempre secondo le
stesse fonti san Francesco avrebbe promesso che nel giorno della sua morte due frati gli
avrebbero impartito il battesimo. In ogni caso, la rinuncia francescana di ricorrere alle armi ha
comportato che esso sia stato l’unico Ordine religioso cattolico ammesso ad operare nei paesi
musulmani. Perciò non è la crociata il lascito più importante di Innocenzo III. Molto più
significativa appare l’approvazione degli statuti dell’università parigina della Sorbona che
aveva conseguito l’eccellenza per gli studi di teologia. La mole di studio profusa dai membri
degli Ordini mendicanti è la vera eredità di Innocenzo III. I risultati conseguiti appaiono
straordinari. Il XIII secolo ci appare come un’epoca che per la prima volta è più vicina a noi
piuttosto che ai Romani o ai Greci. In esso è avvenuto un cambiamento che per la cultura
italiana ha significato il Cantico delle creature di san Francesco, la comparsa della filosofia di
san Tommaso d’Aquino, la pittura di Giotto, la scultura di Nicola Pisano, la poesia di Dante
Alighieri che alla fine del secolo ha riassunto nella sua opera tutte le acquisizioni avvenute in
quel secolo stupendo. Chi non ama la Chiesa e la sua cultura celebra, al contrario, la figura di
Federico II di Svevia, dominatore degli avvenimenti politici italiani tra il 1220 e il 1250. Fu
chiamato stupor mundi a causa del suo attivismo, della sua manipolazione dei dati di fatto
nelle lotte sostenute contro il papa e contro i comuni. Condusse una crociata mentre era
scomunicato, ma senza combattere a differenza del nonno di cui portava il nome. Alla fine del
suo regno lasciò l’Italia meridionale spossata dal prelievo fiscale, un regno indebolito nelle
strutture produttive che da allora non ha fatto altro che
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perdere sempre più il confronto con la parte superiore della penisola. Federico II perdette
anche la corona tedesca e la sua dinastia si estinse. Il crollo dell’Impero tedesco coinvolse
anche la Chiesa, costretta a trasferire in Francia ad Avignone, la sua residenza. E con ciò
finirono i due principi sopranazionali che avevano informato la storia medievale ossia l’idea di
un impero comprendente tutti i popoli d’Europa, e una Chiesa che doveva fornire il motivo
per rimanere uniti. Dal XIV secolo in poi ha dominato il principio del nazionalismo, ossia
l’esaltazione dell’eccellenza di ogni nazione anche a scapito della giustizia, con tentativi di
egemonia che si sono tradotti in guerre interminabili.
Per ironia della sorte, da quando l’Europa ha deciso di porre termine ai propri dissensi interni,
ossia dall’istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) avvenuta
nel 1950, in nome dello Stato laico, dall’Europa è stato bandito il cattolicesimo che con ogni
probabilità potrebbe essere l’unico motivo per mantenere l’unità europea.
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