Punteggiatura - Servizio di Hosting di Roma Tre

Verso una Teoria della Punteggiatura
Marco Svolacchia
Dip. di Scienze dell’Educazione – Roma Tre
Una componente fondamentale dello “scrivere bene” è la punteggiatura, che è intimamente
connessa con la sintassi in quanto necessaria per guidare il lettore alla corretta interpretazione
delle frasi e della relazione tra le frasi.
È essenziale rendersi conto che la punteggiatura non codifica direttamente qualche
elemento del linguaggio parlato (a differenza delle lettere, che codificano, più o meno congruentemente, i fonemi). Nel parlato ritmo e intonazione operano in conformità con la struttura
sintattica per esplicitarne alcune proprietà. Questi segnali vengono decodificati dall’ascoltare
come un ausilio per analizzare le frasi. Nello scritto le informazioni codificate dal ritmo e
dall’intonazione non sono codificate, ma sostituite dalla punteggiatura. In altre parole, la punteggiatura è un surrogato del ritmo e dell’intonazione.
Per capire questo basta qualche semplice esempio. Il punto esclamativo si utilizza in
frasi diverse, in cui codifica intonazioni diverse: in frasi imperative (“Va’ a casa!”), in frasi
esclamative (“Che freddo!”), in frasi desiderative (“Fosse la volta buona!”), in frasi “enfatiche”
(“L’ha detto lui, mica io!”), ecc. La stessa situazione si presenta per tutti gli altri punti. In non
pochi casi in cui essa è richiesta, alla virgola non corrisponde nessuna pausa nel parlato (p.e. in
“Vorrei del pane, del latte e del caffè.” non c’è nessuna pausa tra del pane e del latte).
La conclusione è che la punteggiatura è collegata solo indirettamente all’intonazioneritmo, in quanto entrambe sono collegate alla sintassi. L’apprendimento e l’uso della punteggiatura implica quindi un esercizio di traduzione, in piccola parte convenzionale (p.e. nelle
domande dirette, ma non in quelle indirette, è richiesto il punto interrogativo) e in gran parte
creativo, in quanto comporta l’utilizzo delle limitate risorse di cui la scrittura dispone al posto
delle ben più ricche risorse del parlato.
La conseguenza di tutto ciò è che non esiste un solo modo di punteggiare, in particolare
per quanto riguarda la virgola. In parte la variazione deriva dallo stile, minimalista, che tende
a evitare la virgola laddove non sia strettamente necessario (come è tipico della scrittura
giornalistica), o massimalista, che iperpunteggia, introducendo virgole anche quando sono ridondanti (per gli esempi v. avanti) o ricorrendo a punti forti invece che a punti deboli per enfasi.
In parte la variazione dipende dall’abilità dello scrittore di utilizzare creativamente la punteggiatura per guidare il lettore all’interpretazione voluta, particolarmente quando produce una
scrittura vicina per espressività alla lingua parlata.
D’altra parte, questo non significa che una punteggiatura valga l’altra, in quanto ci sono
sicuramente degli usi che risulterebbero inaccettabili a tutti. Ma come si può fondare scientificamente una teoria della punteggiatura, in un modo, cioè, che non sia banalmente normativa,
fondata su qualche presunta autorità, propria o altrui? La trattazione che segue è un tentativo in
questa direzione.1
1
Conformemente agli scopi dichiarati, non si intende dare un panoramica degli usi considerati normali o possibili
di tutti i segni di natura eterogenea che vanno sotto il nome di “punteggiatura”. Un manuale adatto a questo scopo
1.
CONFORMITÀ ALLA STRUTTURA
Una prima famiglia di criteri consiste nella conformità alla struttura sintattica. Questa è una
conseguenza diretta del fatto che la punteggiatura, come si ricorderà, codifica alcuni aspetti
della sintassi. Analiticamente parlando, la conformità alla struttura si articola nei due criteri
seguenti:
A. PRECISIONE DI PARSING
Un obiettivo minimo che una buona punteggiatura dovrebbe raggiungere è la precisione di
parsing,2 cioè la capacità di indirizzare il lettore verso la giusta interpretazione. In altre parole,
una punteggiatura che non evita l’ambiguità strutturale (per cui v. avanti) non è adeguata. Un
esempio di uso della punteggiatura a scopo di disambiguazione è il seguente:
1.
a. (?) La dieta: a pranzo carne e verdura, alla sera riso, insalata e frutta a volontà.
b. [[riso, insalata e frutta] a volontà].
c. riso, insalata e [[frutta] a volontà].
d. La dieta: a pranzo carne e verdura, alla sera riso, insalata, e frutta a volontà.
Nella frase in (1.a) il sintagma (“gruppo”) evidenziato ha portata ambigua (le parentesi quadrate delimitano i sintagmi): può riferirsi all’intero gruppo nominale, come in (1.b), o solo
all’ultimo nome, come in (1.c). In altre parole, che cosa esattamente si può mangiare a volontà?
Mentre la punteggiatura in (1.a) non chiarisce l’interpretazione, quella in (1.d) ha
un’interpretazione univoca: è solo la frutta che si può mangiare a volontà (in quanto poco calorica, con tutta probabilità). Pertanto, il criterio 1A valuta (1.a) come mal punteggiata e (1.d)
come corretta.
B. FACILITÀ DI PARSING
L’altro criterio correlato alla conformità alla struttura è quello che chiameremo facilità di
parsing. Una buona punteggiatura deve fare di più che evitare l’ambiguità, deve rendere la
scrittura facile da interpretare. Un esempio di applicazione di questo criterio è il seguente:
2. a. Il termine fissato,1 per la presentazione delle domande e della eventuale documentazione,2
che integra le domande già presentate è perentorio, e non si terrà conto alcuno delle domande, dei documenti, e dei titoli comunque presentati dopo la scadenza del termine
stesso.
b. Il termine fissato per la presentazione delle domande e della eventuale documentazione
che integra le domande già presentate è perentorio e non si terrà conto alcuno delle domande, dei documenti e dei titoli comunque presentati dopo la scadenza del termine
stesso.3
è B. Mortara Garavelli, (2003), Prontuario di punteggiatura, Laterza, Roma-Bari, molto compatto e chiaro, che
tiene conto sia della vulgata tradizionale sia di studi linguistici più recenti.
2
Il termine parsing è in uso in molte scienze del linguaggio nel significato di “analisi/decodifica (in tempo reale)
delle frasi/dei testi”. Lo useremo qui per comodità al posto di una lunga perifrasi.
3
Il testo è ulteriormente migliorabile nella punteggiatura: l’introduzione di un punto più forte al posto della virgola
dopo “perentorio” migliora il parsing della frase, che è troppo lunga. Particolarmente vantaggioso qui è l’uso dei
due punti, che esplicitano che la frase seguente è una conseguenza della prima:
Il termine fissato per la presentazione delle domande e dell’eventuale documentazione che integra le domande già presentate è perentorio: non si terrà conto alcuno delle domande, dei documenti e dei titoli presentati dopo la scadenza del termine stesso.
Un ulteriore passo possibile è di semplificare il parsing della prima frase principale che ha un soggetto pesantissimo (“il termine fissato per la presentazione delle domande e dell’eventuale documentazione che integra le
domande già presentate”) è di mettere in secondo piano l’informazione relativa al sintagma preposizionale congiunto, anch’esso pesante (“e dell’eventuale documentazione che integra le domande”), trattandolo come un inciso:
2
È evidente che la frase in (2.a) risulta meno facile da decodificare di quella in (2.b), nonostante
che esse differiscano unicamente per la punteggiatura. Specificatamente, (2.a) presenta le
quattro virgole evidenziate non presenti in (2.b). Le prime due sono quelle responsabili della
difficoltà di lettura (le ultime due sono solo ridondanti). La ragione è che non sono conformi alla
struttura sintattica: la virgola1 è errata perché interrompe una sequenza testa-complemento (“per
la presentazione delle . . .” è il complemento di “fissato”): la virgola2 è errata perché interrompe
una sequenza testa-modificatore (la frase relativa “che integra le domande già presentate”
modifica il sintagma “eventuale documentazione”; per la modificazione v. avanti). Questo
mostra chiaramente che iperpunteggiare non si traduce necessariamente in una maggiore facilità
di parsing. Al contrario, se la punteggiatura è applicata impropriamente il risultato è inverso.
2.
COERENZA
Se la conformità alla struttura sintattica è un criterio sostanziale, l’altro criterio che si intende
utilizzare è invece di tipo formale ed è legato alla coerenza. Con ciò si intende che qualsiasi sia
lo stile di punteggiatura adottato esso deve essere applicato in modo coerente: l’incoerenza
nell’applicare la punteggiatura denota insicurezza e improvvisazione. La coerenza può essere
espressa nel modo seguente:
Dn ⊃ D ≥ n
La formula significa: una distanza n (in cui ‘n’ sta per un valore qualsiasi) implica una distanza
uguale o maggiore. In altre parole: se si interpone un segno di interpunzione prima di un certa
costituente sintattico si deve interporre lo stesso segno di interpunzione prima di un altro costituente di pari o maggiore distanza sintattica. Gli esempi seguenti chiariranno il concetto
(l’asterisco indica che una frase è inaccettabile):
(3) a. Sara, però, è mia figlia. > b. *Sara comunque è mia figlia.
Nella frase (3.a) c’è un connettore avversativo, però, che è trattato come inciso (delimitato da
virgole); ciò implica che la frase in (3.b) è punteggiata incoerentemente, dato che presenta la
stessa struttura.
(4) a. Sara, però, è mia figlia. > b. *Sara come sapete è mia figlia.
Nella frase (4.a) si ha la stessa struttura precedente; ciò implica che la frase in (4.b) è punteggiata incoerentemente, dato che presenta un inciso ma pesante, essendo frasale.
(5) a. *Sara però, è mia figlia. > b.
*Sara, però è mia figlia.
Le frasi in (5) sono entrambe incoerenti perché il solito connettivo è trattato come un inciso ma
è virgolettato in modo incoerente: in (5.a) è applicata la virgola solo alla fine del costituente; in
(5.b) è applicata la virgola solo all’inizio del costituente.
Dall’applicazione dei criteri di cui sopra deriva la seguente scala di accettabilità della punteggiatura:
NECESSARIO – CONSIGLIABILE – FACOLTATIVO – SCONSIGLIABILE – ESCLUSO
Il termine fissato per la presentazione delle domande, e dell’eventuale documentazione che integra le domande già presentate, è perentorio: non si terrà conto alcuno delle domande, dei documenti e dei titoli presentati dopo la scadenza del
termine stesso.
La struttura diventa ancora più trasparente utilizzando parentesi tonde:
Il termine fissato per la presentazione delle domande (e dell’eventuale documentazione che integra le domande già presentate) è perentorio: non si terrà conto alcuno delle domande, dei documenti e dei titoli presentati dopo la scadenza del
termine stesso.
3
Nella trattazione che segue verranno applicati i criteri discussi, con particolare riferimento ai
casi più soggetti a errori e incertezze di punteggiatura.
3.
SOGGETTO E COMPLEMENTI: VALENZA
La relazione sintattica più stretta è quella che vige tra una testa e il suo complemento (o i suoi
complementi).4 I complementi vengono definiti in base alla valenza, la proprietà di alcune
parole, in particolare dei verbi (ma anche di nomi, aggettivi e preposizioni), di richiedere un
numero di partecipanti (“argomenti”). Ad esempio, nella colonna (1) vi sono due verbi entrambi intransitivi che hanno tuttavia proprietà intrinseche diverse: dormire implica logicamente un argomento, andare due. Nella colonna (2) vi sono due verbi transitivi che hanno
proprietà diverse: aggiustare implica logicamente due argomenti, dare tre argomenti:
1. INTRANSITIVI
a. dormire
b. andare
2. TRANSITIVI
X dorme
X va a/da Y
aggiustare
dare
X aggiusta Y
X dà Y a Z
Nel gergo specifico si dice che dormire è “monovalente” (o “monoargomentale”), andare e
aggiustare sono “bivalenti” (o “biargomentali”) e dare è trivalente (o “triargomentale”). Nella
tabella seguente vengono dati alcuni esempi di verbi ordinati per valenza:
a. 1 ARGOMENTO
(MONOVALENTE)
b. 2 ARGOMENTI
(BIVALENTE)
c. 3 ARGOMENTI
(TRIVALENTE)
d. Ø ARGOMENTI
(AVALENTE)
dormire, starnutire, sciogliersi, affondare (intr.)
aggiustare, mangiare, andare, venire
dare, consegnare, dire, promettere
piovere, tirare vento, fare freddo
Si noti la riga (d): riguarda i verbi “avalenti” (o “zeroargomentali”), quelli che non implicano
alcun argomento. Si tratta, come si vede, dei verbi atmosferici.
Va sottolineato che esistono verbi, detti “ergativi”, che hanno una doppia diatesi, transitiva e intransitiva, quindi doppia valenza, come gli esempi seguenti mostrano:
VERBI ERGATIVI
1. TRANSITIVO
a. I pirati hanno affondato la nave.
b. Il fuoco bruciò tutte le case.
2. INTRANSITIVO
La nave è affondata.
Tutte le case bruciarono.
I verbi intransitivi nella colonna 2 sono in realtà “medi”, hanno cioè alcune caratteristiche in
comune con i verbi passivi in quanto il soggetto ha il significato di “elemento che subisce
l’azione del verbo” (ha un significato analogo all’oggetto dell’equivalente frase transitiva nella
colonna 1).
Un ultimo aspetto da notare è che alcuni verbi ammettono di omettere uno o più argomenti richiesti dalla valenza, come gli esempi seguenti mostrano:
ARGOMENTI IMPLICITI
1.
a. Luca mangia come un caimano.
b. Sto mangiando/bevendo.
4
Parleremo per comodità di “complementi” di una testa, sebbene in senso stretto una testa possa avere un solo
complemento.
4
Gli argomenti, benché non espressi, sono implicati. Così le frasi precedenti hanno grosso modo
un’interpretazione come segue:
2.
a. Luca mangia (qualcosa) come un caimano.
b. Sto mangiando/bevendo (qualcosa).
Le frasi hanno cioè un’interpretazione generica (esistenziale). Come mostra l’esempio seguente
di minidialogo, un argomento implicito non può avere un’interpretazione referenziale (= non
può riferirsi a un’entità specifica), come in B1; per questa funzione è necessario una particella
pronominale, come in B2:
3.
A: “Hai mangiato la minestra?” B1: *“Non ho mangiato.” / B2: Non l’ho mangiata”.
Non tutti i verbi ammettono argomenti impliciti, p.e.:
4.
a. *Luca divora come un caimano.
b. *D’estate bisogna tracannare spesso.
La generalizzazione è che ammettono argomenti impliciti quei verbi dal significato molto generico, come p.e. mangiare o bere, non quelli meno generici, come p.e. divorare o tracannare,
che significano, rispettivamente, un modo di mangiare e bere più specifici.
Ora che il concetto di valenza, e quindi quello di argomento del verbo, è stato chiarito si può
passare alla sua applicazione alla punteggiatura. Si considerino gli esempi seguenti:5
5.
a. *Franco mangia, una mela.
b. *Franco, dorme.
In (5.a) è stata interposta una virgola tra il verbo e il suo complemento (cioè un suo argomento)6.
L’inaccettabilità di (5.b) è analoga: qui è interposta una virgola tra il soggetto (un argomento
del verbo) e il predicato (il sintagma verbale).7 Il risultato è agrammaticale, in qualunque stile
di punteggiatura, come è unanimemente riconosciuto. Intuizione e tradizione a parte,
l’agrammaticalità di (5) deriva dai principi enunciati in avvio: essendo la relazione tra testa e
complemento e, in seconda battuta, quella tra specificatore e testa le più strette della sintassi,
non ha alcun senso introdurre una pausa virtuale. In altre parole, applicando il criterio di coerenza alla frase (5.a) risulterebbe la seguente punteggiatura, in cui si frapporrebbe la virgola tra
ogni elemento della frase:
6. *Franco, mangia, una, mela.
5
Se non altrimenti specificato, tutti gli esempi che seguiranno hanno un’intonazione e ritmo (e quindi semantica)
neutri. Come si mostrerà avanti, le stesse frasi sarebbero accettabili con particolari effetti di quella che per il
momento chiameremo “enfasi”.
6
Nella grammatica tradizionale (“analisi logica”) non si fa distinzione tra (veri) complementi (argomenti del verbo)
e “circostanziali”, quei costituenti che aggiungono informazioni non necessarie (= non implicate dal verbo) e che
hanno proprietà sintattiche molto diverse.
7
Il soggetto è un argomento del verbo ma non è un suo complemento. Questo è riconosciuto dalla grammatica
tradizionale, che però si limita a dire quello che il soggetto non è (un complemento). Nella sintassi contemporanea
il soggetto intrattiene una relazione col verbo (o “ausiliare”) flesso diversa da quella dei complementi: è lo specificatore del “verbo flesso”. Semplificando la rappresentazione a scopo didattico, ogni sintagma ha la forma in (a)
seguente. Di conseguenza, il “sintagma verbale flesso” (o sintagma flessivo) ha quindi la forma in (b) seguente:
a. [SPECIFICATORE + [TESTA + COMPLEMENTO] ] SINTAGMA
b. [SOGGETTO [VERBO-FLESSO COMPLEMENTO] ] SINTAGMA FLESSIVO
La rappresentazione in (b) dice che il soggetto intrattiene una relazione con il verbo e il suo complemento (e non
con il solo verbo). Quindi la relazione tra il soggetto e il verbo (più in generale tra una testa e il suo specificatore)
è stretta ma meno di quella che intercorre tra il verbo e il suo complemento (o, informalmente parlando, i suoi
complementi).
5
In un sistema del genere la virgola sarebbe completamente ridondante, equivalendo
all’indicazione della divisione della frase in parole, funzione peraltro già assolta dallo spazio tra
una parola e l’altra. Naturalmente, errori del tipo appena esemplificato possono essere commessi normalmente solo da scrittori estremamente inesperti, tipicamente da parte dei bambini
nei primissimi anni di scuola. Tuttavia, gli stessi errori si riscontrano anche da parte di scrittori
di professione quando gli stessi costituenti ricorrono in forma più complessa:
7. a. *Il libro che stai cercando di leggere, è mio.
b. *Bere e mangiare troppo, fa male.
c. *Chi dorme, non piglia pesci.
d. *Chi la fa, l’aspetti.
8. a. *Franco ha detto, che Carlo sta arrivando.
b. *Lavora ormai da molti anni e con grande dedizione alla dimostrazione, che il clima sta
cambiando.
c. *Lavora ormai da molti anni e con grande dedizione, alla dimostrazione che il clima sta
cambiando.
Gli esempi in (7) hanno tutti la caratteristica di avere un soggetto “pesante” (evidenziato in
corsivo), cioè costituito da una frase (come in 7.b) o modificato da una frase (una relativa).
Quelli in (8) sono esempi di frasi con un complemento pesante, cioè frasale (evidenziato in
corsivo): in (8.a) il complemento è un’“oggettiva” (per usare il termine tradizionale); in (8.b) è
ancora un’oggettiva, ma retta da un nome (dimostrazione); in (8.c) il complemento evidenziato
è ancora retto dal verbo intransitivo lavora (che richiede la preposizione a per reggere il suo
complemento). Evidentemente, la ragione per cui anche scrittori molto esperti commettono
errori di questo tipo è che la complessità sintattica crea nello scrittore una certa opacità cognitiva.8
4. MODIFICATORI
L’altra relazione fondamentale tra elementi della frase è quella che esiste tra un costituente e un
suo modificatore. Il modificatore è un elemento della frase che non rientra nella valenza (p.e.
di un verbo) ma ha la funzione di restringere il riferimento di un altro costituente. Ad esempio,
in una frase come “Piero ha comprato un’auto elettrica.”, il costituente evidenziato modifica il
sintagma nominale “un’auto” restringendo la sua referenza (gli elementi del mondo a cui si
applica): la frase è vera solo se il Piero a cui ci si riferisce ha effettivamente acquistato un’auto
e questa ha un motore elettrico, non semplicemente se Piero ha acquistato un’auto. In altre
parole, “auto elettrica” è un sottoinsieme dell’insieme “auto”, cioè tutti gli oggetti a cui la parola “auto(mobile)” si riferisce. La tabella seguente mostra le possibili modificazioni (evidenziate in blu) delle due principali categorie lessicali (“parti del discorso”):
8
Questo fatto dimostra una volta di più quanto la lingua scritta sia diversa dalla lingua parlata. Nel parlato, a parità
di complessità sintattica, questo effetto di opacità cognitiva non si verifica se non in misura assai inferiore (naturalmente qui si fa astrazione dalla distrazione, da patologie specifiche o da situazioni particolari che inducono a
mancanza di lucidità). In particolare, è assai inverosimile che un parlante nativo sbagli l’assegnazione
dell’intonazione-ritmo nelle frasi appena esaminate, nello stesso modo in cui uno scrittore nativo sbaglia la punteggiatura nei modi visti. La conclusione è che leggere/scrivere non è un processo naturale come ascoltare/parlare
e richiede di conseguenza un certo grado di consapevolezza e, verosimilmente, di addestramento specifico, specie
per i casi più complessi.
6
1. NOME
2. VERBO
aggettivi
a. [SN [SN una casa] spaziosa]
avverbi
a. [SV [SV nuotare] velocemente]
circostanziali
b. [SN [SN un uomo] con cappellone]
circostanziali
b. [SV [SV nuotare] a rana]
c. [SV [SV nuotare] senza respirare]
relative
c. [SN [SN un uomo] che non conosco]
Come la rappresentazione tramite parentesi mostra, il modificatore espande il costituente a cui
si applica: in (1.a) “una casa” è un sintagma nominale e “una casa spaziosa” è anch’esso un
sintagma nominale, espanso (cioè più esteso) rispetto al precedente. È importante notare che
anche la relazione del modificatore con il costituente che espande è molto stretta, tale che non
avrebbe senso introdurre una pausa di punteggiatura tra i due elementi, proprio come non ce n’è
una nel linguaggio parlato. L’applicazione coerente della punteggiatura tra un sintagma e il suo
modificatore porterebbe a problemi ora di facilità di parsing, ora di precisione di parsing, come
l’esempio seguente, già visto precedentemente, mostra:
3.
a. La dieta: a pranzo, carne e verdura, alla sera, riso, insalata e frutta, a volontà.
b. La dieta: a pranzo carne e verdura, alla sera riso, insalata, e frutta a volontà.
È evidente che la punteggiatura in (3.a), con una virgola tra modificatore e sintagma modificato,
non facilita la decodifica della frase, né è in grado di indicare la corretta interpretazione del
sintagma “a volontà” (che cosa si può mangiare a volontà?). In altre parole, (3.a) è iperpunteggiato. Viceversa, (3.b), in cui una virgola è inserita tra “insalata” e “frutta”, ha
un’interpretazione univoca, quella intesa.
È fondamentale notare che il problema dell’ambiguità non è un’eventualità sporadica
ma normale in certe configurazioni sintattiche. Si consideri la frase seguente:
4.
a. Un ragazzo accompagna una bimba in bicicletta.
b. = = un ragazzo è in bici (e anche la bimba)
c. = = una bimba è in bici
La frase in (4.a) può avere le due letture parafrasate in (4.b) e (4.c). L’ambiguità è generata dal
sintagma preposizionale (SP) “in bicicletta”, che può avere portata (modificare, riferirsi a) o
sull’intero sintagma verbale (SV) “accompagna una bimba” (5.a) o sul solo sintagma nominale
(SN) “una bimba” (5.b), come è illustrato informalmente tramite il colore nella rappresentazione (5.a-b) seguente e formalizzato nella rappresentazione successiva (5i.a-b):
5.
a. Pierino accompagna una bimba in bicicletta .
b. Pierino accompagna una bimba in bicicletta .
5i. a. un ragazzo [ SV [ SV accompagna una bimba ] in bici ].
b. un ragazzo accompagna [ SN [ SN una bimba ] in bici ].
c. *[ SN [ SN un ragazzo] accompagna una bimba in bici ].
Si noti, invece, che non può riferirsi al sintagma nominale soggetto “un ragazzo” (come erroneamente potrebbe sembrare), cioè come nella rappresentazione in (5.c). La ragione è che il SP
“in bici” non è adiacente al SN soggetto, quindi non c’è alcuna possibilità che possa modificarlo. La semantica conferma questa deduzione: quando il modificatore segue il soggetto, come
in (6) sotto, l’interpretazione della frase è diversa da quella in (5.a) precedente, qui ripetuto
come (6.a):
7
6.
a. un ragazzo [SV [SV accompagna una bimba] in bici]. = il ragazzo è in bicicletta e forse anche la bimba
b. [SN [SN Un ragazzo] in bici] accompagna una bimba. = il ragazzo è in bicicletta (ma non la bimba)
Mentre in (6.a) la bimba può o meno essere anche lei in bici, in (6.b) la bimba non può essere in
bici. Questo consegue dal fatto che quando il SP “in bici” è situato a destra del soggetto, come
in (6.b), è adiacente solo al soggetto, quindi solo il soggetto ne viene modificato (= solo il ragazzo è in bici); viceversa, quando il SP “in bici” è in fine di frase è adiacente all’intero predicato (il SV) modifica l’intero predicato (= l’azione da parte del ragazzo di accompagnare una
bimba è avvenuto in bici; non è specificato se anche la bimba stesse o meno in bici). Questa
differenza di interpretazione semantica può essere più o meno chiara a seconda delle frasi.
Nella frase seguente, p.e., la differenza risulta più evidente:
7.
a. Un uomo [[osserva una bimba] con un cannocchiale]. = l’azione è effettuata col cannocchiale
b. [[Un uomo] con un cannocchiale] osserva una bimba. = l’azione può non essere effettuata col cannocchiale
La frase in (7.a) può solo significare che l’azione viene effettuata per mezzo del cannocchiale
(“l’azione di osservare una bimba da parte di un uomo è avvenuta con un cannocchiale”); la
frase in (7.b) è ambigua: può avere o lo stesso significato della frase precedente o può significare che l’uomo aveva un cannocchiale ma non l’ha usato per osservare la bimba (p.e. lo teneva al collo o in mano). Questo deriva dal fatto che il SP “con un cannocchiale” modifica in
(7.b) solo il soggetto (= l’azione di osservare una bimba è da parte di un uomo con un cannocchiale; non è specificato se l’uomo abbia utilizzato o meno il cannocchiale per compiere
l’azione in causa).
Una tecnica grafica utilizzata per rappresentare la struttura delle frasi, molto più chiara
per afferrare le relazioni tra i costituenti di quella con parentesi finora utilizzata, è quella tramite
diagrammi ad albero. Le due interpretazioni della frase in (6) sarebbero rappresentate come
segue (8.a = 6.a, 8.b = 6.b; F = frase, V = verbo):
8.
a.
F
SN
SV
SV
SP
V
Un ragazzo
8.
b.
SN
accompagna
una bimba
F
SN
SV
SN
V
SN
Un ragazzo
in bicicletta
accompagna
SP
una bimba
in bicicletta
Ora che è stato chiarito che cosa sono la modificazione e la portata, possiamo passare alle applicazioni alla punteggiatura. A proposito di costituenti non argomentali (= non richiesti dalla
8
valenza) il primo aspetto essenziale è distinguere tra modificatori e non modificatori. In breve
si parla di restrittivi vs appositivi. Un caso importante è rappresentato dalle relative. Si considerino le frasi seguenti:
9.
a. Ho letto il libro che mi hai consigliato.
b. Ho letto l’ultimo libro di Golden che ho trovato bellissimo.
Nella frase in (9.a) la relativa è restrittiva, in quanto restringe la referenza del sintagma nominale “il libro” (la frase è vera solo se il libro che io ho letto è quello che tu mi hai consigliato);
viceversa, nella frase in (9.b) la relativa è appositiva, in quanto non restringe la referenza del
sintagma nominale “il libro di Golden” (la frase è vera solo se il libro che io ho letto è l’ultimo
libro di Golden; il fatto che io l’abbia trovato bellissimo non ha nulla a che vedere con la
comprensione di quale libro sto parlando). Da queste osservazioni segue immediatamente la
punteggiatura adeguata: la virgola separerà l’appositiva ma non la restrittiva:
10. a. Ho letto il libro che mi hai consigliato.
b. Ho letto l’ultimo libro di Golden, che ho trovato bellissimo.
Questo è conforme alla struttura, come l’intonazione indica: mentre (10.a) è pronunciato come
un’unica melodia intonativa in (10.b) è facilmente percepibile una pausa intonativa (il tono cala
drasticamente dopo la parola “Golden” ma non dopo la parola “libro”). Una corretta interpunzione permette di discriminare tra sensi diversi di una frase ambigua, come la seguente:
11. Ieri Franco ha incontrato il portiere che gli ha detto di non lasciare la bicicletta sulle scale.
La frase in (11) è ambigua in quanto può significare:
11. a. (APPOSITIVA): nello stabile a cui ci si riferisce c’è un solo portiere (e F. l’ha incontrato);
b. (RESTRITTIVA): nello stabile a cui ci si riferisce c’è più di un portiere (e F. ne ha incontrato uno).
Dai principi dichiarati discende la corretta punteggiatura (12.a = 11.a; 12.b = 11.b):
12. a. Ieri Franco ha incontrato il Portiere, che gli ha detto di non lasciare la bicicletta sulle
scale.
b. Ieri Franco ha incontrato il portiere che gli ha detto di non lasciare la bicicletta sulle
scale.
La differenza tra costituenti restrittivi e appositivi non riguarda solo le relative, come gli esempi
seguenti illustrano (gli elementi pertinenti sono evidenziati):
13. a. Ho letto un libro di Tolkien, il grande scrittore inglese.
b. Passami il libro con la copertina blu.
c. Quanto è bello il sole, coi suoi raggi dorati!
d. la piccola Sara
e. Sara piccola
La frase in (13.a) contiene un SN non restrittivo, un’apposizione per l’appunto; in (13.b) il SP
“con la copertina blu” è restrittivo, mentre in (13.b) il SP “coi suoi raggi dorati” è appositivo; in
(13.d) l’aggettivo è appositivo, mentre in (13.e) è restrittivo (può ambiguamente significare:
Sara quella piccola o Sara quando era piccola).
5.
PORTATA E CATEGORIE IMPLICITE
La pertinenza dei modificatori per la punteggiatura non si esaurisce con i casi di ambiguità
interpretativa esaminati. Si considerino gli esempi seguenti:
9
1.
a. Gianni sta dormendo probabilmente.
b. Gianni sta dormendo profondamente.
Per quanto nella grammatica tradizionale le due frasi verrebbero analizzate in modo identico,
esse differiscono sostanzialmente. Una prima differenza è intonativa: mentre (1.b) è pronunciata con un’unica melodia intonativa, (1.a) è caratterizzato da due melodie intonative, come la
caduta di tono in coincidenza con “dormendo” mostra chiaramente. Questo fenomeno è detto
declinazione (nel senso di “abbassarsi”, come nella frase “Il sole sta declinando”) e si verifica
in modo del tutto regolare alla fine di una unità frasale se non altrimenti specificato (p.e. nel
caso di una interrogativa di tipo SÌ/NO, che richiede un tono alto in fine di frase). Il ritmo mostra
lo stesso fenomeno: mentre in (1.b) la prominenza accentuale è su “profondamente” (in conformità alla regola generale del ritmo in italiano, che assegna la prominenza all’ultimo costituente della frase), in (1.a) ci sono due elementi prominenti (in conformità al fatto che ci sono
due unità frasali diverse), come la rappresentazione seguente illustra (gli elementi sottolineati
hanno prominenza accentuale):
2.
a. [1 Gianni sta dormendo] [2 probabilmente].
b. [1 Gianni sta dormendo profondamente].
In conclusione, l’intonazione e il ritmo indicano una differenza strutturale tra le due frasi. Ma in
che cosa consiste esattamente questa differenza? Si noti una differenza tra le due frasi: mentre
avverbi come profondamente (un avverbio di modo) hanno una posizionabilità molto limitata
nella frase, avverbi come probabilmente (avverbi “epistemici”: esprimono l’atteggiamento del
parlante rispetto alla attendibilità di quanto detto) possono stare in altre posizioni, in particolare
in inizio di frase. Si contrasti (3.a), che è perfettamente accettabile, con (3.b), che è inaccettabile:9
3.
a. Probabilmente Gianni sta dormendo.
b. *Profondamente Gianni sta dormendo.
Questo contrasto posizionale indica chiaramente che i due avverbi hanno portata diversa, modificano cioè costituenti diversi; in particolare avverbi epistemici come probabilmente modificano un costituente superiore rispetto a quello modificato da avverbi di modo come profondamente. Questo è confermato dal fatto che le due frasi non sono parafrasabili nello stesso
modo:
4.
a. È probabile che Gianni stia dormendo.
b. *È profondo che Gianni stia dormendo.
Come si vede, solo l’avverbio epistemico permette di essere parafrasato come il predicato di
una frase principale che regge la frase “Gianni sta dormendo”. In altre parole, l’avverbio epistemico ha portata su tutta la frase in senso stretto. Questa è la ragione per cui questi avverbi
vengono anche chiamati “avverbi proposizionali”, in quanto equivalgono a una intera proposizione. Possiamo rappresentare la differenza strutturale tra i due tipi di avverbio come segue:
5.
a. [ [Gianni sta dormendo] probabilmente].
b. Gianni sta [ [dormendo] profondamente].
9
Si intende, come al solito, che la frase in (3.b) è inaccettabile se pronunciata con intonazione neutra, a differenza
di (3.a), che è accettabile comunque. Con particolari intonazioni “enfatiche” (3.b) diventa marginalmente accettabile:
a. Profondamente, Gianni sta dormendo. (come in risposta alla domanda: “Che cosa sta facendo Gianni profondamente?”)
b. PROFONDAMENTE, Gianni sta dormendo. (come in replica all’asserzione: “Gianni sta dormendo un sonno leggero.”)
10
Come si vede, profondamente modifica il SV dormendo (= la frase è vera solo se Gianni non
solo dorme ma anche profondamente); probabilmente modifica, informalmente parlando,
l’intera frase. Questo può essere formalizzato in modo più chiaro come segue tramite diagrammi ad albero:
5.ai.
5.bi.
F
F
SN
Gianni
SAvv
F
SV
SN
SV
SV
V
V
sta dormendo
probabilmente
Gianni
sta dormendo
SAvv
profondamente
Dalle differenze strutturali descritte discende la punteggiatura corretta secondo il criterio della
conformità alla struttura:
6.
a. Gianni sta dormendo profondamente.
b. Gianni sta dormendo, probabilmente.
Queste differenze di portata non sono limitate agli avverbi. Si considerino i casi seguenti:
7.
a. Gianni sta dormendo perché si è stancato moltissimo.
b. Gianni sta dormendo perché le finestre sono tutte chiuse.
Entrambe le proposizioni evidenziate sono causali. Tuttavia, le due frasi mostrano differenze
strutturali analoghe agli esempi precedenti:
8.
a. [ Gianni sta dormendo perché si è stancato moltissimo].
b. [1 Gianni sta dormendo] [2 perché le finestre sono tutte chiuse].
La frase in (8.a) è pronunciata come un’unica melodia intonativa e ha un solo elemento prominente, l’ultimo; la frase in (8.b), invece, è caratterizzata da due melodie intonative e, conformemente, ha due elementi prominenti, ciascuno alla fine della propria unità frasale. Anche
in questo caso le due frasi sono semanticamente molto diverse, come le parafrasi seguenti
mostrano:
9.
a. La causa del fatto che Gianni sta dormendo è che si è stancato moltissimo.
b. *La causa del fatto che Gianni sta dormendo è che le finestre sono tutte chiuse.
La frase in (9.a) ha più o meno questo significato: “G. sta dormendo e la causa del fatto è che
si è stancato moltissimo”. In altre parole, la proposizione causale ha portata sul predicato (il SV)
“sta dormendo”. La frase in (9.b) non ha lo stesso significato (* “G. sta dormendo e la causa del
fatto è che le finestre sono tutte chiuse.”). Da questo consegue che la causale non ha portata sul
predicato. Il significato di (9.b) è piuttosto il seguente:
10. La causa del fatto (che io affermo) che Gianni sta dormendo è che le finestre sono tutte
chiuse.
Analogamente agli avverbi epistemologici, la parafrasi in (10) suggerisce che la causale
“perché le finestre sono tutte chiuse” abbia portata su un costituente superiore. Informalmente
parlando, e analogamente a quanto detto in precedenza per gli avverbi epistemici, si potrebbe
affermare con buona approssimazione che la causale abbia portata sull’intera frase. Vale però
la pena di essere più precisi in questo caso: nella parafrasi compare un verbo correlato
all’affermare/dichiarare (o significati simili). Questo non è il frutto di una coincidenza ma discende direttamente da una caratteristica fondamentale delle frasi. Ogni frase è caratterizzata da
11
quello che viene chiamato “performativo”, che esprime la funzione fondamentale di una frase,
lo scopo per cui viene prodotta: descrizione di uno stato di cose del mondo (dichiarativa), richiesta di una descrizione dello stato di cose del mondo (interrogativa), richiesta di un comportamento da parte dell’interlocutore/degli interlocutori (imperativa), ecc. A seconda delle
lingue e dei casi il performativo può essere esplicito (p.e. in italiano colloquiale si utilizza “che”
per le domande dirette, come in “Che fa freddo?”) o implicito, come nelle dichiarative, di cui la
frase in (7.b) è un esempio. In altre parole, in (7.b) la causale ha portata sul performativo dichiarativo.10
In conformità con la struttura delle causali esaminate la punteggiatura corretta sarà
come segue:
13. a. Gianni sta dormendo, perché le finestre sono tutte chiuse.
b. Gianni sta dormendo perché si è stancato moltissimo.
Naturalmente il requisito di coerenza esclude le seguenti punteggiature, in quanto la distanza
strutturale tra la causale in (14.a) è maggiore di quella in (14.b):11
14. a. *Gianni sta dormendo perché le finestre sono tutte chiuse.
b. Gianni sta dormendo, perché si è stancato moltissimo.12
6.
COSTITUENTI EXTRAFRASALI
All’avvio di questa trattazione, e più volte nel proseguo, si è accennato al problema delle frasi
“marcate”, quelle frasi, cioè, che presentano particolari caratteristiche intonative e ritmiche e/o
sintattiche (relative all’ordine dei costituenti e, eventualmente, alla presenza di particolari
elementi). In questa rubrica rientrano diversi fenomeni, di diversa importanza e di difforme
comprensione, che hanno un impatto importante sull’argomento qui trattato. Quello che hanno
in comune sintatticamente è che si tratta di strutture che potremmo definire “extrafrasali”, vale
a dire di costituenti (più o meno pesanti) che si trovano al di fuori della frase in senso stretto,
definita in termini di predicazione e soggetto della predicazione.
6.1.
INCISI
Una prima categoria di questi costituenti è quella degli incisi. Con questa denominazione ci si
riferisce tradizionalmente a quei costituenti, sintagma o proposizioni, che vanno a interrompere
(o ad aggiungersi a) una frase di livello superiore. La fonologia caratterizza in genere questi
costituenti extrafrasali in modo chiaro, assegnando a essi una melodia intonativa autonoma. Ad
10
Gli avverbi epistemici non hanno esattamente la stessa portata ma modificano un costituente più basso, come si
deduce dalla loro parafrasabilità. La frase “Gianni sta dormendo probabilmente” non è parafrasabile come “È
probabile che io affermo che G. sta dormendo.”, ma come “Io affermo che è probabile che G. sta dormendo.”.
In altre parole, il performativo domina l’avverbio epistemico, non viceversa. Per l’esatta posizione di questi avverbi si rimanda al lavoro di Cinque, G. (1999), Adverbs and Functional Heads. A Cross-Linguistic Perspective,
Oxford University Press, New York.
11
Va notato, però, che la situazione non è del tutto chiara: mentre una punteggiatura come “Gianni sta dormendo,
perché si è stancato moltissimo.” (pronunciata con intonazione neutra) è errata, lo stesso non si può dire di
“Gianni sta dormendo perché le finestre sono tutte chiuse.”, che è accettabile.
12
È interessante notare che la nozione di performativo implicito risolve il cosiddetto paradosso di Moore. Questo
paradosso logico consiste nel fatto che una frase come la seguente è inaccettabile, pur non violando apparentemente il principio di non contraddizione:
a. *Carlo ha due lauree ma io non credo che le abbia.
Se si esplicita il performativo, tuttavia, la contraddittorietà della frase si svela:
b. (affermo che) Carlo ha due lauree ma io non credo che le abbia.
12
esempio, nella frase seguente l’inciso (evidenziato) è caratterizzato da una melodia intonativa
autonoma, che interrompe quella della frase principale:
1.
[1 Aldo [2 ne sono sicuro] partirà domani mattina].
Specificatamente, la frase in (1) ha, come è prevedibile, due declinazioni: la prima dopo “sicuro”, la seconda dopo “mattina” (in quanto sono gli elementi finali nella loro unità frasale). La
fonologia non delimita sempre gli incisi tramite l’intonazione-ritmo. Nell’esempio in (2.a)
seguente l’avverbio è normalmente integrato nella frase che interrompe:
2.
a. [1 Aldo certo partirà domani mattina].
b. [1 Aldo [2 certo] partirà domani mattina].
È anche possibile pronunciare l’avverbio come inciso, cioè con una sua melodia autonoma,
come in (2.b), nel qual caso risulta un effetto di enfasi. A queste diversi profili prosodici corrispondono diverse punteggiature:
3.
a. [1 Aldo certo partirà domani mattina].
b. [1 Aldo, [2 certo], partirà domani mattina].
Questo è uno di quei casi, appunto, in cui la punteggiatura rispecchia fedelmente la prosodia per
cui la scelta dipende dall’effetto prosodico che si vuole indurre nel lettore: una punteggiatura
come quella in (3.a) suggerisce una lettura veloce, senza enfasi; una punteggiatura come quella
in (3.b) suggerisce invece una lettura più lenta e enfatica. Si può dire che la scelta della punteggiatura in questi casi è una funzione dello stile recitativo.13
Naturalmente, il numero e la posizione delle virgole dipende da banali proprietà geometriche, come le frasi seguenti mostrano:
4.
a. Paolo, mi passi il sale?
b. Mi passi il sale, Paolo?
c. Mi fai la cortesia, Paolo, di passarmi il sale?
d. *Mi fai la cortesia Paolo, di passarmi il sale?
Il vocativo in (4.a) ha una sola virgola alla sua destra perché è in inizio di frase (non c’è alcun
elemento alla sua sinistra da cui sia necessario delimitarlo); in (4.b), al contrario, la virgola
precede il vocativo perché questo si trova in fine di frase; in (4.c), infine, il vocativo è delimitato da virgole in quanto ha elementi sia a sinistra sia a destra.
13
Naturalmente, questo significa solamente che, di fatto, questo è l’effetto che iperpunteggiare produce su chi
legge, non necessariamente che chi si avvale di questo effetto lo faccia intenzionalmente. Per valutare
l’intenzionalità e l’adeguatezza dell’iperpunteggiatura è necessario l’esame del contesto generale (l’intero testo e
la situazione comunicativa).
13