regista. Dopo la laurea in lettere, ha esordito come

Bolchi Sandro (Voghera, Pavia, 1924) regista. Dopo la laurea in
lettere, ha esordito come attore al teatro «Guf» di Trieste, esperienza che ha proseguito anche dopo il trasferimento a Bologna,
dove ha iniziato l'attività giornalistica e approfondito quella di regista. Nel 1950 ha fondato con alcuni amici divenuti poi celebri
(Lamberto Sechi, Vittorio Vecchi. Luciano Damiani, Giuseppe Partirei, Giorgio Vecchietti) uno dei primi teatri stabili d'Italia, «La
Soffitta», che ha avuto però vita breve (fu chiuso nel 1952) a causa
di difficoltà finanziarie. Ha ottenuto i primi successi come regista
teatrale allestendo L'imperatore Jones di O'Neill e L'avaro di Molière.
Nel 1956 ha esordito come regista televisivo con la commedia Frana
allo Scalo Nord di Ugo Betti. Da allora ha diretto per la TV un gran
numero di sceneggiati, per lo più tratti dai capolavori della
letteratura ottocentesca, e per cinque anni è stato premiato quale
miglior regista italiano. Nel 1963 si è cimentato nella trasposizione
televisiva de Il mulino del Po. tratto dal romanzo di Riccardo
Bacchelli e sceneggiato insieme all'autore, che Bolchi considererà
sempre come il suo più importante lavoro televisivo: nello stesso
anno ha realizzato Demetrio Pianelli, dal romanzo di Emilio De
Marchi. Nel 1964 ha diretto I miserabili da Victor Hugo, nel 1967 I
promessi sposi da Alessandro Manzoni, nel 1968 Le mie prigioni da
Silvio Pellico, nel 19691 I fratelli Karamazov da Dostoevskij, l'anno
successivo Il cappello del prete da Emilio De Marchi, nel 1972 I
demoni da Dostoevskij, nel 1973 Puccini, una biografia del
musicista, nel 1974 Anna Karenina da Tolstoj, nel 1976 Camilla, da
un romanzo di Fausta Cialente, nel 1978 Disonora il padre, dal
romanzo di Enzo Biagi, nel 1979 Bel Ami, nel 1984 Melodramma, nel
1988 La coscienza di Zeno e nel 1989 Solo. Soprannominato dagli
amici il «regista dei mattoni», per il carattere serio delle sue opere,
Bolchi resta certamente l'autore più rappresentativo dei tentativi di
conferire alla televisione la stessa dignità riconosciuta al cinema e al
teatro. Convinto assertore della funzione pedagogica del mezzo
nuovo, ha contribuito attraverso i suoi numerosi sceneggiati a divulgare la conoscenza di grandi opere della letteratura. Per questo
motivo è stato accusato di mancare di una certa levità e di
esprimere nei confronti dell'originale una fedeltà troppo umile e
quasi ossessiva. Ma la sua trasposizione dei Promessi sposi, se
paragonata a quella di Nocita del 1989, appare a distanza di molti
anni stilisticamente più controllata e meno esposta alle mode del
consumo.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.
80-81)
Bollini Flaminio (Milano 1924 - Roma 1978) regista. Frequentò i
corsi di regia all’Accademia nazionale di arte drammatica di Roma e
fu aiuto regista di Visconti e Strehler. A rivelare le sue doti di estro,
sottile ironia e grande eleganza fu però la TV. Tra gli spettacoli di
prosa e gli sceneggiati diretti si possono ricordare Una famiglia di
cilapponi (1960) di Carlo Dossi, La granduchessa e il cameriere
(1962) di A. Savoir, la Serata shawiana (tre atti unici di G. B. Shaw,
1962), Sabrina (1963) di S. Taylor, La zitella (1965), Il delitto
(1967) e La gibigianna (1969) di C. Bertolazzi, La carriera (1973) di
G. Cesarano e G. Raboni, e Doppia indagine (1978). Fu anche
l'autore del soggetto del Segno del comando, diretto con grande
successo di pubblico da Daniele D'Anza.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
81)
Bongioanni Gianni (Torino 1928) regista. Assunto in RAI nel 1952,
si è occupato a fianco di Sergio Pugliese dell'organizzazione del
settore cinematografico dell'azienda. Le sue prime prove come
regista televisivo sono state nel 1956 Filo d'erba, segnalato al
Premio Italia, e nel 1959 La svolta pericolosa, considerato il primo
telefilm italiano. In seguito ha girato una serie di inchieste: nel 1962
II futuro delle Puglie, nel 1967 I rotoli della Bibbia e La coltivazione
del deserto, neli 1969 L'alimentazione del futuro. Nel 1971 con
Dedicato a un bambino ha affronto il problema dei ragazzi
diseredati, attraverso dialoghi dal vero e interviste a esperti,
ottenendo alti indici di gradimento. Nel 1977 ha sceneggiato e
diretto l'autobiografico romanzo della Aleramo, Una donna. Nel 1981
con Mia figlia ha tentato di raccontare il dramma di una madre di
fronte alla figlia adolescente colpita da una malattia mentale; nel
1989 con il film per la TV Piange al mattino il figlio del cuculo ha
affrontato il dramma delle «madri in affitto». Regista quasi
esclusivamente televisivo, se si eccettua un'unica esperienza
cinematografica nel 1964 con il film Tre per una rapina, ha cercato
di portare alla luce realtà dolorose, spesso dimenticate. Attraverso il
tipico taglio da inchiesta, l'uso della presa diretta e la partecipazione
di attori non professionisti, è riuscito a dar vita a un vero e proprio
neorealismo televisivo.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
83)
Cortese Leonardo (Roma 1916-84) regista. Esordì come attore
specializzato nei ruoli romantici ed ebbe il suo momento di gloria nel
cinema e nel teatro degli anni '40. Per la televisione recitò da
protagonista ne Il delitto di Lord Saville, Il bacio davanti allo specchio e L'osteria della posta; fu Mercuzio nella prima edizione
televisiva di Romeo e Giulietta (1954), il marchese di Bruyères in
Capitan Fracassa (1958) per la regia di Anton Giulio Majano e il
signor Trelawney ne L'isola del tesoro (1959). Dopo un'esperienza
come conduttore di Siamo tutti improvvisatori, che restò unica, si
dedicò con impegno costante e definitivo alla regia firmando La
ragazza di Tucnah e Sera d'autunno (entrambi del 1961);
Mezzanotte con l'eroe (1962); La maestra di canto, L'arma segreta,
I cari mobili (1963); La lepre finta (1964); La figlia del capitano
(1965); Luisa Sanfelice (1966); Oltre il buio (1967). Nel 1967
diresse la serie Sheridan, squadra omicidi e l'anno successivo La
donna di quadri e Intermezzo domenicale. Seguirono: II diritto
dell'uomo e Donna di cuori (1969); Un certo Harry Brent (1970);
Donna di picche (1972); Così per gioco (1979); Gelosia (1980);
L'Andreana (1982).
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.
171-172)
Cottafavi Vittorio (Modena 1914 - † ?) regista. Dopo aver
frequentato il Centro sperimentale di cinematografia, ha iniziato la
carriera come aiuto regista e sceneggiatore, girando nel 1943 il suo
primo film, I nostri sogni. I suoi lavori, privi di connotazione
ideologica, non incontravano molti favori nell'acceso clima politico
del dopoguerra. Dopo una serie di film commerciali, che
mantenevano comunque una certa cura formale e contenutistica, ha
deciso nel 1957 di rivolgere le sue attenzioni alla neonata
televisione e, con Sette piccole croci, da un romanzo di Simenon, ha
dato il via a una lunghissima serie di produzioni (più di cinquanta)
marcate da un personale uso estetico del mezzo. Come regista ha
dato prova di grande eclettismo affrontando testi letterari e opere
teatrali, autori classici e moderni: del 1958 sono Casa di bambola di
Ibsen e Umiliati e offesi di Dostoevskij. Nel 1962 di nuovo
Dostoevskij con Le notti bianche, nel 1963 Tennessee Williams con
Lo zoo di vetro, Nozze di sangue di Garcia Lorca, Mille franchi di
ricompensa di Victor Hugo. Nel 1965 ha affrontato lo sceneggiato
storico con Vita di Dante, seguito da Crìstoforo Colombo e Olivier
Cromwell (1968) e da Ritratto di un dittatore (1969). Una certa vena umoristica gli ha permesso di portare sullo schermo nel 1970 I
racconti di Padre Brown con Renato Rascel. Nel 1972 ha tentato un
genere nuovo per la TV, la fantascienza, con lo sceneggiato A come
Andromeda. L'anno successivo è tornato a Pirandello con Vestire gli
ignudi e ha proposto La scuola delle mogli di Molière. Nel 1975 ha
curato la sceneggiatura e la regia di un programma sul tema
«Scrittori e potere nella Russia zarista» e Gente delle Langhe, un
ciclo di racconti tratti da Pavese, Fenoglio e Lajolo. Nel 1979 ha
diretto Con gli occhi dell'Occidente e nel 1981 ha girato la storia di
Maria Zef, dal romanzo di Paola Drigo. Particolarmente significative
restano le sue trasposizioni dei classici greci: Antigone (1958), Le
Troiane (1967,1971) e I Persiani (1975).
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.
173-174)
D'Anza Daniele (Milano 1922 - Roma 1984) regista. Nelle storie del
cinema si dice che una cinematografia è grande quando si può
permettere grandi artigiani: Daniele D'Anza è stato un grande
artigiano della storia della televisione italiana. Con Landi ed
Enriquez, apparteneva alla «mitica» generazione dei primi registi
sperimentali della RAI. La sua solida formazione professionale gli
consentì di attraversare con disinvoltura diversi generi - dallo
sceneggiato al teatro tragico, dalla commedia all'originale, al musical - e di inventare nuove formule, come il primo contenitore
televisivo (Il mattatore. 1959), la ricostruzione del mondo di un autore attraverso i suoi racconti (// novelliere, 1967) o la realizzazione
di un giornale elettronico (II giornalaccio, 1962). D'Anza è stato
capace di confrontarsi anche con generi nuovi per il pubblico, come
il «fantastique» del Segno del comando (1971) e il «thrilling
morale» dei racconti di Durrenmatt, Il giudice e il suo boia e Il
sospetto (1972). Oltre ai lavori già ricordati, diresse numerose commedie, drammi, sceneggiati e serie televisive: La carrozza del SS.
Sacramento (1952); Viaggio verso l'ignoto (1953); Nodo stradale
(1954); Vacanze ai quartieri alti (1956); Orgoglio e pregiudizio,
Capitano tutte a me, La signora delle camelie (1957); Donne in ermellino, Le avventure di Nicola Nickleby, Aprite polizia, La bisbetica
domata (1958); Sammy (1959); Vita col padre e con la madre
(I960); Paura per Janet (1963); Fine d'anno sulle scale, II
Sempione strizza l'occhio al Fréjus, Perché non mi hai fatto più alto,
Io e lui (1964); Questa sera parla Mark Twain, Scaramouche
(1965); La coscienza di Zeno, Melissa (1966); Abramo Lincoln
(1967); Non cantare, spara! (1968); Giocando a golf, una mattina
(1969); Coralba, Antonio Meucci, cittadino toscano, contro il
monopolio Bell (1970); La casa di Bernarda Alba (1971); Joe
Petrosino (1972); ESP (1973); Ho incontrato un'ombra, Accadde a
Lisbona (1974); L'amaro caso della baronessa di Carini (1975);
Extra (1976); L'ultimo aereo per Venezia (1977); Madame Bovary
(1978); Racconti fantastici (1979); tre episodi della serie Orient
Express (1980); II punto d'osservazione (1981); La sconosciuta. Tre
colpi di fucile (1982); Piccolo mondo moderno, La ragazza dell'addio
(1984).
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.
188-189)
De Matteis Maria (Firenze 1912 - ivi 1988), costumista e
scenografa. Inizia la sua attività come illustratrice di fiabe, per
dedicarsi al teatro prima come assistente di Sensani, poi come
costumista. Dopo alcuni fortunati allestimenti (Alceste di Gluck,
regia di G. Salvini, 1936; Il deserto tentato di A. Casella, Maggio
musicale 1937; Vita col padre di Lindsay e Crouse, regia di G.
Guerrieri, 1947), disegna i costumi per Troilo e Cressida di
Shakespeare diretto nel 1949 da L. Visconti: nella Troia turrita
ideata dalle scene di F. Zeffirelli si muovono personaggi leggendari e
fiabeschi; come gli eroi dei codici miniati medioevali, i troiani hanno
colori squillanti, i greci i toni dell'acciaio: l'attenzione all'intero
complesso dello spettacolo le permette di ottenere raffinate fusioni
di colore. Le sue preferenze vanno in effetti alle opere con
importanti scene d'insieme, come Gigi di Colette e Loos (regia di G.
De Lullo, 1955), Ifigenia in Tauride di Euripide (regia di M. Ferrero,
Taormina 1957), L'avaro di Molière (regia di O. Costa, 1952). Negli
ultimi anni preferisce lavorare per il cinema (spesso con lo
scenografo Mario Chiari), disegnando i costumi per alcune pellicole
(Un colpo di pistola di R. Castellani, 1942; La carrozza d'oro di J.
Renoir, 1952; La Bibbia di J. Huston, 1956).
(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano
1998, p. 326)
Donati Danilo (Suzzara 1926), scenografo e costumista. Inizia la
sua carriera come assistente di P. Zuffi, lavorando poi con L.
Visconti per il Il crogiuolo di Miller (1955) che, rievocando
fedelmente i dipinti di Hals, Vermeer e Rembrandt, già evidenzia il
suo amore per la ricostruzione colta. Successivamente, per L.
Squarzina si occupa di Anna dei miracoli di W. Gibson (Milano,
Teatro alla Scala 1960), e per F. Zeffirelli di un discusso Amleto di
Shakespeare (1963), in cui, nella simbolica ambientazione
progettata dal regista (funzionale, ma scarna, con una scena
composta da un piano a cerchi concentrici che muta secondo
l'incidenza delle luci), i costumi tingono i protagonisti di colori decisi,
neri profondi e candidi bianchi, mentre i personaggi minori sfilano in
secondo piano, vestiti di grigi spenti e bruni terrosi. Con la scaligera
Traviata di Verdi (1965) rafforza il suo rapporto con il regista
toscano, con il quale successivamente lavora anche per il cinema
(La bisbetica domata, 1967; Romeo e Giulietta, 1968), a cui si
dedica ormai quasi esclusivamente (torna al teatro con G. Ferrara
per Trovarsi di L. Pirandello, Milano, Teatro Carcano 1981 e, più di
recente, con M.M. Giorgetti per Edipo re di Sofocle, Vicenza, Teatro
Olimpico 1995), collaborando anche con Pasolini (Il Vangelo secondo
Matteo, 1964; Edipo Re, 1967; Decameron, 1971; Il fiore delle mille
e una notte, 1973) e Fellini (Satyricon, 1969), con cui divide un
Oscar per Casanova (1976).
(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano
1998, p. 345)
Fenoglio Edmo (Torino 1928-96) regista. Diplomatosi all'Accademia
nazionale d'arte drammatica, iniziò la carriera in teatro mettendo in
scena testi di Sofocle, Buzzati, Pinter, Miller, Dostoevskij e Cechov.
Debuttò come regista televisivo nel 1956 con un giallo di Gastone
Tanzi, L'istantanea sotto l'orologio. Nel 1960 realizzò Le buone
occasioni,nel 1961 Guerra in tempo di bagni e, per la serie Racconti
dell'Italia di ieri, II maestro dei ragazzi e I coniugi Spazzoletti. Nel
1962 riuscì a conquistare il grande pubblico con I giacobini di
Federico Zardi, cui fece seguito Una burla riuscita. Nel 1963 curò la
regia de Le anime morte e nel 1964 de Le gocce; nel lo stesso anno
l'intesa fra il regista e Zardi si rinnovò per I grandi camaleonti. Nel
1965 Fenoglio mise in scena un classico del teatro piemontese,
Come le foglie, di Giuseppe Giacosa e gli sceneggiati I giocatori, II
padrone del villaggio e II marito geloso, tutti e tre adattamenti di
testi di Dostoevskij. Nel 1966 portò sullo schermo Il conte di
Montecristo, nel 1968 Tartarino sulle Alpi di Daudet e Piccoli
borghesi di Gor'kij. L'anno dopo andò in onda il suo allestimento di
Una serata fuori di Harold Pinter. Nel 1971 I Buddenbrook di Th.
Mann gli offrirono l'occasione per un vasto affresco storico e per uno
studio psicologico dei personaggi; seguirono nel 1972 II marchese di
Roccaverdina di Luigi Capuana e nel 1973 II calzolaio di Vigevano
dal romanzo di Lucio Mastronardi. Dopo La bufera (1975), scrisse e
realizzò la serie La patria in minore dal 1870 al1945 (1982).
Fenoglio è stato sicuramente un raffinato e delicato narratore di
storie, anche se è rimasto un po' prigioniero della «sacralità» dei
romanzi che ha messo in scena; le sue opere più riuscite sono quelle
in cui il testo di riferimento non è di un autore consacrato.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.
263-264)
Ferrero Mario (Firenze 1922) regista. Formatosi in ambito teatrale,
ha firmato la regia del primo originale scritto appositamente da Ugo
Buzzolan per la televisione, La domenica di un fidanzato, andato in
onda nel 1954 durante il primo mese di programmazione. Regista
descrittivo, puntigliosamente fedele al testo, attento a dare il
massimo risalto all'ambientazione e alla recitazione degli attori, ha
dedicato una parte rilevante della sua attività alla televisione,
dividendosi soprattutto tra l'allestimento di spettacoli di prosa e la
realizzazione di sceneggiati. Nel 1954 ha messo in scena Candida di
G.B. Shaw, nel 1955 Assassinio nella cattedrale di Th.S. Eliot, nel
1957 Teresa la ninfa fedele, dal romanzo di Margaret Kennedy. Nel
1959 ha curato la regia di un varietà, Le divine, con Franca Valeri,
Monica Vitti e Vittorio Caprioli. Nel 1960 ha affrontato Ibsen,
mettendo in scena Il costruttore Solness; nel 1961 è tornato a Shaw
con La professione della signora Warren e ha girato lo sceneggiato
Graziella, riduzione dell'omonimo romanzo di A. de Lamartine; sono
seguiti Il potere e la gloria (1965), dal romanzo di Graharn Green;
Amarsi male (1966) da Francis Mauriac; un'ottima edizione de le
Sorelle Materassi (1972), dal romanzo di Palazzeschi. Nel 1974 ha
diretto Paolo Stoppa nei primi quattro episodi de Il commissario De
Vincenzi, cui ne sono seguiti altri tre nel 1977. Nel 1978 ha messo
in scena In memoria di una signora amica di Giuseppe Patroni Griffi
e Un lungo grido di libertà, da un romanzo di Federico Garcìa Lorca;
nel 1980 La tela del ragno, pièce teatrale di Agatha Christie, e La
Velia, dal romanzo di Bruno Cicognani.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
265)
Fino Claudio (Torino 1914) regista. Grande artigiano della radio, è
stato uno dei primi registi della nascente TV. Anche se non ha
ottenuto i riconoscimenti di altri suoi colleghi (Vaccari, Majano,
Bolchi, Fenoglio), ha firmato numerose trasposizioni, dimostrando
versatilità e mestiere: Eravamo giovani (1955, originale di Ugo
Buzzolan), L'inseguimento (1956, originale di Riccardo Bacchelli),
Mont Oriol (1958, da Guy de Maupassant), Primo amore (1962, da
Turgenev), I polli di Enrico IV (1964, originale di Vladimiro Cajoli),
Le vie di fatto (1964, originale di Belisario Randone), Oblomov
(1966, da Goncarov, secondo alcuni critici la sua miglior regia),
Dove è finito Hermann Schneider? (1969, di Lunari). Nel 1960 ha
inaugurato il terzo ciclo delle «Grandi produzioni di prosa» con Le
Troiane di Euripide.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
467)
Ghelli Ferdinando (Firenze 1920) scenografo. Per molti anni
ordinario di Scenografia all'Accademia di belle arti di Firenze, ha
realizzato molti allestimenti per i teatri della sua città e per il Maggio
Musicale Fiorentino. Intensa anche la sua attività televisiva come
curatore delle scene di numerosi e drammi e commedie tra cui:
Nozze di sangue, II malato immaginario, Elisir d'amore, Boris
Godunov, I fratelli Castiglioni, In prima pagina, Laura, I lupi, Vestire
gli ignudi, Luisa Miller, Le nozze difficili, Mata Hari, Testa o croce, I
diari, Esami di maturità, La vita di San Benedetto.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
313)
Guglielminetti Eugenio (Asti 1921) scenografo. Diplomatesi in
pittura all'Accademia Albertina di Torino, si è dedicato dal 1953 al
teatro. L'incontro con la televisione è avvenuto dieci anni dopo con
la messa in scena de L'avaro (19j53) di Molière e con // gabbiano
(1964) di Cechov, per la regia di Orazio Costa. Le potenzialità del
mezzo televisivo hanno esaltato l'arte di Guglielminetti, che ha
incominciato a studiare scenografie mobili ideate appositamente per
il piccolo schermo e integrate dagli effetti elettronici. Nel 1973 in
Moby Dick, per la regia di Quartucci, ha studiato un allargamento
dello spazio scenico attraverso l'uso del chroma key. Nello stesso
anno ha incominciato a collaborare con Ugo Gregoretti, con cui ha
realizzato Le tigri di Mompracem (1973) e Viaggio a Goldonia
(1982).
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
345)
Landi Mario (Messina 1920 - Roma 1992) regista. Pioniere della
regia televisiva in Italia, arrivò alla professione dopo essersi
diplomato in regia teatrale all'Accademia ed essere stato giornalista,
collaboratore di riviste letterarie, regista teatrale (mise in scena al
circolo culturale Diogene di Milano una sessantina di commedie, su
testi di Pirandello, Capuana, Moravia, De Benedetti) e
cinematografico (Canzoni per le strade; Siamo tutti milanesi; Due
sergenti, come sceneggiatore). Nel 1952 fu assunto in RAI, dove il
ruolo di regista televisivo era ancora tutto da inventare. Dopo un
viaggio a Londra compiuto per documentarsi, si lanciò nella nuova
avventura, ispirandosi al teatro, al cinema, alla radio, al varietà per
ideare originali moduli narrativi. Con Landi incominciò la grande
stagione della prosa e degli sceneggiati televisivi. La sua prima regia
fu nel 1952 una riduzione dell'Orso di Cechov. Seguirono nel 1954
Io sono Gionata Scrivener, nel 1956 Cime tempestose, in cui ricorse
per la prima volta all'uso del rumore fuori campo per rendere l'idea
del sottofondo atmosferico del romanzo della Brönte nel 1957 Il
bambino da un soldo, nel 1958 Canne al vento, nel 1959 Il romanzo
di un maestro e Gli oggetti d'oro, nel 1960 Ragazza mia. Nel 1963
diresse la serie in sei episodi Ritorna il tenente Sheridan e dal 1964
al 1972 tutte le serie delle famose Inchieste del commissario
Maigret, capolavori di finezza psicologica, attenzione ai dettagli,
gusto del racconto popolare. Nel 1967 realizzò Questi nostri figli e
Dossier Mata Hari, mentre l'anno successivo firmò I racconti del
maresciallo. Ricca anche la produzione degli anni '70: diresse nel
1973 Nessuno deve sapere, uno sceneggiato sulla mafia, e Serata al
gatto nero, nel 1979 Accadde ad Ankara e la serie La vedova e il
piedipiatti. Landi allestì inoltre per la TV un centinaio di commedie
(da Turgenev a Pirandello, da Ibsen a Cocteau) e fu anche uno dei
migliori registi di varietà della RAI, dotato di un irriverente gusto
dell'ironia sempre temperato però da un'istintiva misura; portavano
la sua firma Un, due, tre (1954-59) con Tognazzi e Vianello; Casa
Cugat (1955), con Xavier Cugat e Abbe Lane; l'edizione 1960 di
Canzonissima. Nel corso della carriera ottenne numerosi
riconoscimenti, tra cui la Maschera d'Argento, il Microfono d'Argento
e il Premio Napoli.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.
385-386)
Lodovici Carlo (Pistoia 1912 - Parma 1982), attore, regista e
autore. Fu uno dei principali esponenti del teatro Veneto, che
dimostrò di preferire a quello in italiano. Debuttò come attore nella
compagnia di C. Baseggio, dove restò dal 1927 al 1936,
frequentando soprattutto il repertorio goldoniano. Successivamente
recitò con la compagnia del Teatro di Venezia e con S. Tofano. Nel
dopoguerra esordì nella regia e riscosse notevoli consensi con gli
spettacoli diretti per il festival di Venezia. Come autore vanno
ricordate le sue commedie E Giuditta aprì gli occhi! (1949) e Gente
alla finestra (1952).
(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano
1998, p. 629)
Macchi Eros (Milano 1920) regista. Insieme a Daniele D'Anza, Mario
Landi, Franco Enriquez, Piero Turchetti e Guglielmo Morandi è stato
uno dei primi registi della televisione italiana. Dopo essersi dedicato
alla cinematografia (dal 1949) con una serie di documentali, è
passato alla televisione realizzando nel periodo delle trasmissioni
sperimentali il rotocalco d'informazione Avvenimenti d'oggi;ha
inoltre curato la rubrica di musica leggera Orchestra delle 15,
presentata da Febo Conti e andata in onda il giorno dell'inizio
ufficiale delle trasmissioni (3 gennaio 1954). Si è cimentato in tutti i
generi televisivi, dimostrando grandi capacità inventive. Fin dal
1955, con Via delle sette note e Un due e tre si è accostato al
varietà: ha firmato diverse edizioni di Canzonissima ('61, 71, '74),
dal 1963 al 1966 i varietà serali di cui era protagonista Dorelli,
Johnny 7 e Johnny sera, Adriano Clan (1964), il gioco a premi
condotto da Corrado Su e giù (1968), Doppia coppia (1969) con
Alighiero Noschese e Bice Valori, Signore e signora (1970) con
l'«amore litigarello» di Delia Scala e Lando Buzzanca, Formula due
(1973), in cui ha tenuto a battesimo Loretta Goggi come soubrette;
e ancora, Settimo anno (1978), Luna park (1979), Zim Zum Zam
(1981), Le regine (1982), Io a modo mio (1985), sorta di riedizione
del Mattatore costruita sulle performance di Gigi Proietti. Per
Retequattro (nel periodo in cui l'emittente era controllata da
Mondadori) ha curato la regia di Un milione al secondo, game show
condotto da Pippo Baudo. Nella fiction, dopo alcuni polizieschi L'arma del delitto (1958), Sospetto (1959) - si è distinto per la
messa in scena di importanti testi della letteratura mondiale: se si
eccettua la versione un po' edulcorata di Tom Jones (1960), si è
trattato sempre di trasposizioni rigorose che rendevano pienamente
la forza comunicativa delle opere da cui erano tratte. Tra le prove
migliori: La tua mano (1962) da Tennessee Williams, La luna è
tramontata (1962) da Steinbeck, La bella addormentata (1963) da
Feydeau, Erano tutti figli miei (1965) da Arthur Miller, È mezzanotte
dottor Schweitzer (1966) da Cesbron, Candida (1969) da Shaw. Ha
affrontato anche testi meno impegnativi, come Invito a pranzo e
Sheila si sposa (1958), Capitano
tutte a me (1960), Tutto da
rifare pover'uomo (1961), La volpe fortunata (1963), Le buffe
solitudini (1976), La superspia (1977).
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
418)
Majano Anton Giulio (Chieti 1912 - Roma 1994) regista. Impegnato
nella resistenza, nell'ultima fase del conflitto organizzò a Bari un
programma radiofonico, L'Italia combatte, che mandò in onda fino a
liberazione avvenuta, spostandone la redazione verso il Nord col
progredire del fronte. Nel dopoguerra, dopo diversi anni di attività
giornalistica e radiofonica, girò alcuni film (Vento d'Africa, 1949; I
fratelli còrsi, 1963). All'avvento della televisione «inventò» e
realizzò, con Piccole donne (1955) da L.M. Alcott, il teleromanzo a
puntate, un nuovo genere di spettacolo destinato a un immediato e
straordinario successo. Da allora in poi i teleromanzi di Majano si
susseguirono numerosi, segnando tappe decisive nella storia della
televisione italiana: L'alfiere (1956), Jane Eyre (1957), Capitan
Fracassa (1958), L'isola del tesoro (1959), I figli di Medea (1959),
Ottocento (1959), Una tragedia americana (1962), Delitto e castigo
(1963), La cittadella (1964), David Copperfield (1965), La fiera delle
vanità (1967), La freccia nera (1968), E le stelle stanno a guardare
(1971), Marco Visconti (1975), Il signore dì Ballantrae (1979),
L'eredità della priora (1980), L'amante dell'Orsa Maggiore (1982).
Fu anche il regista della fortunata serie d'azione Qui squadra mobile
(1973 e '76). «Al caldo consenso che il pubblico - ha scritto Italo
Moscati - ha riservato ai teleromanzi di Majano si è spesso
accompagnato il dissenso della critica; o almeno, di quella che suol
definirsi "più esigente", che rimprovera al regista una certa
tendenza a far vibrare un po' troppo la corda del sentimento. È una
critica dalla quale Majano non si lascia turbare; e alla quale,
volendo, avrebbe da opporre validi argomenti. Narrare a un pubblico
di milioni di persone, e perciò quanto mai eterogeneo, non è come
narrare a ristrette platee di iniziati. Sottolineare i grandi sentimenti
che circolano in una storia: che peccato è? Quanto allo stile e al
linguaggio, il regista dissente da quanti vedono nel racconto
televisivo niente altro che cinema da piccolo schermo». Ha
dichiarato Majano: «Io ritengo che il teleromanzo debba avere il
ritmo, l'ampiezza, l'apertura analitica del libro. Confrontare il
teleromanzo con un film è una sciocchezza: i veri fumetti sono
proprio certi film, che delle opere letterarie fanno sintesi ridicole».
Majano è stato l'interprete più fedele di quella televisione delle
origini che sognava di trasformare il nuovo mezzo in una sorta di
«seconda scuola», in una biblioteca illustrata attraverso cui far
conoscere tutte «le grandi firme» della letteratura mondiale. Con
uno sguardo al sentimentalismo ottocentesco (le cui atmosfere
vengono evocate attraverso sapienti dettagli, struggenti giochi
narrativi ed enfatici finali) e con feconde intuizioni linguistiche (con
cui realizza, spesso con mezzi artigianali, prodigiosi quadri
televisivi), Majano rappresenta felicemente l'ortodossia della regia
televisiva nel teleromanzo codificando quello che sarà per molto
tempo un sicuro modello di riferimento.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
425)
Mammì Maurizio (Roma 1929) scenografo. Dopo alcuni anni di
lavoro in teatro, nel 1958 è entrato in RAI dove ha realizzato gli
allestimenti di un gran numero di romanzi sceneggiati. Già nel 1959
si è distinto per le accurate ambientazioni (fino alla ricstruzione dello
studio e della poltrona di Cavour) di Ottocento, diretto da Majano;
nello stesso anno ha lavorato alle scenografie del Romanzo di un
maestro di De Amicis e della tragedia shakespeariana Giulio Cesare,
diretta da Sandro Bolchi, che ha affiancato anche nella commedia di
Kleist La brocca rotta (1961), in Demetrio Pianelli (1963), nei
Miserabili (1964) e nei Demoni (1972). È stato lo scenografo di Le
colonne della società (1960) diretto da Paolo Giuranna, Peppino
Girella (1963) di Eduardo De Filippo, Faust a Manhattan (1965),
opera lirica di Mario Nascimbene, Qualcuno tra voi di Diego Fabbri,
cimentandosi anche nelle ambientazioni di varietà come Il mattatore
(1959, per alcune puntate), Discoring e del contenitore domenicale
di Raiuno Domenica in. Sostenitore della possibilità di costruire gli
esterni in studio e ideatore di fondali utilizzabili per situazioni e
ambientazioni diverse (come nella Vita di Michelangelo, firmato da
Blasi nel 1964), ha realizzato con esiti apprezzabili anche spazi che
prescindessero dal vincolo del realismo, come le scene del Processo
di Kafka (1978).
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
427)
Marzot Vera (Milano 1931), costumista. Compie gli studi classici,
all'Università internazionale di studi sociali di Roma e vince una
borsa di studio per la sezione costume del Centro sperimentale di
cinematografia. Inizia l'attività professionale nel cinema come
assistente ai costumi con P. Zuffi nel 1959 per il film Il Generale
della Rovere di R. Rossellini. Per alcuni anni a partire dal 1962 è
assistente di P. Tosi con cui inizia una lunga collaborazione lavorando a film come Il Gattopardo di Visconti. Il suo esordio nel
teatro lirico avviene quando Visconti le affida i costumi per il Don
Carlos di Verdi (Opera di Roma 1965); seguiranno altre produzioni
come Rosenkavalier di Strauss (1966) sempre all'Opera e Traviata
di Verdi (Covent Garden di Londra). Trascura sempre più il cinema
dedicandosi al teatro, instaurando un'interessante collaborazione
con il regista L. Ronconi, creando i costumi per numerosi spettacoli
di prosa tra cui L'anitra selvatica di Ibsen (Stabile di Genova, 1976),
L'uccellino azzurro di Maeterlinck (Teatro Regio di Reggio Emilia,
1979), Ignorabimus di Holtz (Prato Teatro Regionale Toscano,
1986), Il mercante di Venezia di Shakespeare (Comédie-Francaise,
1987), L'uomo difficile di Hofmannsthal (Stabile di Torino, 1990),
Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (coproduzione Teatro
di Roma, Expo Lisbona, 1998). Inoltre disegna i figurini per Aida di
Verdi (Teatro alla Scala, 1985), spettacolo in cui i costumi hanno
una parte dominante nell’illusione scenica. Qui alla ricerca minuziosa
del dettaglio e al sensibile uso del colore, abbina una grande abilità
e fantasia nell'uso dei tessuti e dei materiali. E ancora per il teatro
d'opera il Fetonte di Jommelli (1988), Oberon di Weber (1989),
Lodoiska di Cherubini (1991), Tasca di Puccini (1996), tutte opere
progettate per il Teatro alla Scala con la regia di L. Ronconi. Sempre
con il medesimo regista fra gli altri cura i costumi di Giro di vite di
Britten al Teatro Regio di Torino (1995), L'Orfeo e Il ritorno di Ulisse
in patria di Monteverdi nel 1998.
(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano
1998, p. 682)
Mercuri Mariano (Ancona 1928) scenografo. Sotto l'egida del
maestro Guido Ballo, nel 1953 è stato scelto con altri tre scenografi
per costituire il primo gruppo di supporto agli spettacoli della RAI di
Milano. Utilizzando le suggestioni dell'arte contemporanea e i
materiali offerti dalle nuove tecnologie, ha saputo nelle sue
scenografie ricostruire il fantastico nel reale. Esempi significativi di
questa sua capacità sono le fanta-scientifiche scene di A come
Andromeda, il gusto realistico che domina il Trittico milanese e
l'ironia borghese che è esaltata sul palcoscenico della Commediante
di Venezia. Ha continuato con successo a lavorare per il teatro
anche dopo l'inizio dell'attività televisiva. Il suo lavoro ha ottenuto
riconoscimenti internazionali e la Scala gli ha affidato l'allestimento
delle ambientazioni per centinaia di opere teatrali classiche e
moderne.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.
449-450)
Molinari Vito (Sestri Levante 1929) regista. Dopo un inizio di
carriera avvenuto in teatro, dal 1954 si è dedicato quasi esclusivamente alla regia televisiva, cominciando con i varietà Un, due, tre
(1954), Ti conosco mascherina (1955) e l'operetta No, no, Nanette
(1955), di cui ha curato anche le edizioni del 1961 e 1974, e
proseguendo con La via del successo (1958), con Walter Chiari,
Valentina (1958), firmata con Marchesi e Metz, e L'amico del
giaguaro (1961). Nel 1962 ha diretto l'edizione di Canzonissima,
rimasta memorabile per la censura di uno sketch di Dario Fo e
Franca Rame da parte dei vertici della RAI. Regista e coautore di
Macario più nel 1978, ha curato nel 1981 l'omaggio della televisione
all'indimenticabile Gilberto Govi. Versatile e intuitivo, Molinari non
ha trascurato la prosa, cimentandosi con l'impegnativo Annuncio a
Maria (1957) e con la riduzione de I nervi di Cechov (1962). Nel
1986 ha firmato un (insipido) sceneggiato sul mondo delle riviste di
moda, Atelier. È stato anche regista del varietà Macario Uno e Due
(1992) e curatore di uno special con Paolo Poli su Radiodue (1994).
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
467)
Morandi Guglielmo (Roma 1913) regista. Dal suo esordio nel 1938,
appena venticinquenne, con il Fuenteovejuna di Lope de Vega, ha
firmato più di mille regie in teatro, radio e televisione. Considerato
uno dei pionieri della televisione, regista meticoloso e colto, si è
cimentato in numerosi generi, dalla prosa al giallo, dalla commedia
al dramma. Ha diretto: Il sogno dello zio da Dostoevskij (1956),
Omicidio in biblioteca e Padri e figli di Turgenev (entrambi nel
1958), II fuggiasco, La casa delle sette torri e Il vicario di Wakefield
nel 1959; nel 1960 ha curato la regia di Appuntamento con la morte
e la terza serie di Giallo club. Invito al poliziesco di cui l'anno
successivo ha firmato altri otto episodi. Con la compagnia «I nuovi»,
affidatagli dalla RAI, ha girato tra il 1961 e il 1962 le commedie Tre
maschi e una femmina, Addio giovinezza e Giorni felici. Sempre del
1961 è lo sceneggiato Compagno di viaggio, mentre nel 1962 (e
negli anni successivi) si è occupato di numerose puntate della lunga
serie Vivere insieme. Nel 1965 ha diretto Marianna Sirca, dal
romanzo della Deledda, e nel 1968 i racconti della serie Sherlock
Holmes. Nel 1971 è stata la volta di Giallo di sera (di cui ha curato
anche l'adattamento), di due episodi della rassegna dedicata a
Paddy Chayefsky e dello sceneggiato Il laccio rosso di Edgar
Wallace; nel 1977, infine, ha firmato Don Giovanni in Sicilia.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.
471-472)
Passalacqua Tommaso (Roma 1936) scenografo. Entrato in RAI nel
1961, ha collaborato con i più grandi registi televisivi, realizzando
ambientazioni d'epoca per gli sceneggiati, scene essenziali per il
dramma classico, allestimenti fantasiosi per il varietà. Sue sono le
scene del fortunato Giornalino di Gian Burrasca (1964), diretto da
Lina Wertműller, e di Mixer (1980), il programma giornalistico di
Giovanni Minoli. Tra i più importanti lavori di fiction o di prosa per i
quali ha curato le scenografie vanno ricordati La sciarpa (1961), per
la regia di Morandi, Filumena Marturano (1962) e Sabato domenica
e lunedi (1963), diretti da E. De Filippo, La bisbetica domata (1963)
di Enriquez, Paura per Janet (1963) di D'Anza, Gli equivoci d'una
notte (1963) e La verità sospetta (1964) di Fenoglio, Cosi è (se vi
pare) (1963) di Cottafavi, La porta chiusa (1964) di Morandi, Tra
vestiti che ballano (1965) di Colli-Lilioni-Macchi, Del vento fra i rami
del sassofrasso (1967) di Bolchi, La donna di quadri (1968) di Cortese, La parigina (1969) di Montemurri, La miliardario (1972),
Giovanni Cena (1978) e Gli ospiti (1980) di Berlinguer, Gli irreperibili (1976) di Nocita, Delitto all'isola delle capre (1977) di Colosimo, Il
giorno dell'attacco (1979) di Pino Passalacqua.
(Enciclopedia della Televisione Garzanti, Garzanti Editore, Milano
1996, pag. 530)
Pizzi Pierluigi (Milano 1930), scenografo, costumista e regista.
Dopo aver frequentato la facoltà di architettura inizia la sua carriera
nel 1951 al Teatro Stabile di Genova. Nel 1957 incontra il regista G.
De Lullo con il quale instaura una intensa collaborazione destinata a
protrarsi negli anni successivi, nell'ambito del teatro di prosa e
lirico. Collabora con De Lullo alla Compagnia dei Giovani allestendo
numerosi spettacoli tra cui La notte dell'Epifania di Shakespeare
(Verona 1961), e nel 1963 il memorabile Sei personaggi in cerca
d'autore di Pirandello e Il malato immaginario di Molière al Festival
di Spoleto, dove conferma il fertile sodalizio con G. De Lullo e R.
Valli. Per il teatro d'opera realizza numerosi spettacoli, tra cui
l’Alceste di Gluck (Maggio musicale fiorentino 1966), I vespri siciliani
di Verdi, entrambi per la regia di De Lullo (Teatro alla Scala 1970).
Interessante è la collaborazione con L. Ronconi, per il celeberrimo
Orlando furioso nel 1969 e in seguito per discussa edizione del Ring
wagneriano. Le sue scenografie raffinate ed eleganti costruiscono un
discorso visuale tendente al preziosismo; gli oggetti di scena
diventano parte essenziale della scenografia, sino a determinarne
l'essenza. Debutta come regista nel 1977 con il Don Giovanni di
Mozart (Teatro Regio di Torino). Una segnalazione particolare
meritano il suo interesse e la sua passione per la messinscena di
opere barocche: un percorso iniziato con l'Orlando furioso di Vivaldi
(Verona, Teatro Filarmonico 1978) e sviluppato con la Semiramide
(Aix-en-Provence 1980) e il Tancredi di Rossini (Festival di Pesare
1982). In questi allestimenti predomina il colore bianco nella
scenografia; la plasticità e i costumi, costruiti come forme e volumi
(colonne, capitelli), si accostano e si integrano nell'architettura di
scena, per la sintesi nel dettaglio e la scelta cromatica. La sua
attività di regista scenografo e costumista si sviluppa negli anni '80
producendo interessanti spettacoli, dove lo stile barocco viene
esaltato nelle sue caratteristiche linee decorative, ottenendo
impianti scenici di estremo rigore architettonico, a volte usando
macchine e trucchi teatrali tipici del teatro sei-settecentesco. Tra le
sue produzioni Ippolito e Aricia di Rameau (Festival di Aix-enProvence 1983), Ariodante e Rinaldo di Handel (Parigi, Teatro
Chàtelet 1985), Alceste di Gluck (Roma, Teatro dell'Opera 1985), La
passione secondo san Giovanni di Bach (Venezia, Teatro la Fenice
1984), Armide di Gluck come apertura di stagione al Teatro alla
Scala (1996). Collabora frequentemente con il Rossini Opera
Festival a Pesare; tra le sue messinscene ricordiamo Mosè in Egitto
(1983), Comte Ory (1984), Maometto II (1985), Guglielmo Tell
(1996). Il suo stile eclettico e personale si integra anche con il
melodramma ottocentesco, come Capuleti e Montecchi (1987), I
vespri siciliani (1990), entrambe al Teatro alla Scala, Don Carlos
(Maggio fiorentino 1989). Inaugura il Teatro dell'Opéra-Bastille di
Parigi con Les Troyens di H. Berlioz.
(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castaldi, Milano
1998, pagg. 849-850)
Rubertelli Nicola (Napoli 1937) scenografo. Dagli anni '60 ha
curato allestimenti sia per il teatro (Riccardo III, diretto da Calenda;
Il mondo della luna, per la regia di Ferrero) sia per la televisione.
Per quest'ultima ha realizzato di preferenza le ambientazioni per
spettacoli di prosa - tra cui Il padre, diretto da Giorgio Pressburger,
Leocadia, messa in scena da Ferrero, La putta onorata e La buona
moglie dirette da Ronconi - e per sceneggiati: La fiera delle vanità
(1967) di Majano, Il segno del comando (1971) di D'Anza, Il
marchese di Roccaverdina (1972) di Fenoglio, La morte al lavoro
(1979) girato da Amelio. Distintosi per i suoi allestimenti
particolarmente elaborati, ha dimostrato di aver ben compreso la
valenza segnica del linguaggio scenografico, vero e proprio codice
espressivo capace di raccontare per immagini.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
637
Salvini Guido (Firenze 1893 - ivi 1964), regista e scenografo.
Studiò giurisprudenza e musica all'università e al Conservatorio di
Padova. Tra il 1925 e il 1927 collaborò con il Teatro d'Arte di Roma
diretto da Pirandello; tra l'altro, guidò la compagnia in una fortunata
tournée all'estero, e successivamente (a Praga, Vienna e Budapest)
allestì con attori locali testi di Pirandello e Bontempelli. Al ritorno in
Italia firmò regie di spettacoli di prosa, lirica e balletto, curando
spesso anche la scenografia. Nel 1930 costituì una compagnia di
giovani (formata da R. Ricci, C. Ninchi, E. Biliotti, B. Starace Sainati,
P. Cei) con cui mise in scena la prima versione italiana di Questa
sera si recita a soggetto. Nel 1933 fu direttore dell'allestimento
scenico e responsabile del settore prosa alla prima edizione del
Maggio musicale fiorentino, invitando, per la prima volta in Italia,
Max Reinhardt e Jacques Copeau. Organizzatore di grandi spettacoli
all'aperto in luoghi particolarmente suggestivi (Giardino di Boboli),
sostenne la creazione di un teatro nazionale e di teatri stabili,
istituzioni ritenute in grado di formare adeguatamente gli attori
italiani. Tra il 1938 e il 1944 insegnò regia all'Accademia d'arte
drammatica e, dal 1950 al 1952, diresse la compagnia del Teatro
Nazionale. Salvini, oltre a curare il repertorio classico, fu attento
valorizzatore della drammaturgia contemporanea. I suoi allestimenti
furono molto apprezzati anche all'estero.
(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano
1998, p. 958)
Scaglione Massimo (Garessio, Cuneo, 1931) regista. Entrato in RAI
nel 1955, ha lavorato per 37 anni nella sede di Torino come regista;
nel frattempo collaborava con il Teatro Stabile di Torino e fondava
(1958) II Teatro delle Dieci. In televisione si è occupato prevalentemente di prosa, mostrando un particolare gusto per lo
svelamento della rappresentazione e cercando di portare in scena la
diversità degli stili e dei linguaggi; ha diretto anche programmi
culturali e spettacoli di intrattenimento. Tra le sue principali regie Il
teatro di Arlecchino (1966), I giovedì della signora Giulia (1970),
Una nuvola d'ira con Gipo Farassino (1982), Grand Hotel Folies
(1982), su testi di Guido Davico Bonino, Storie naturali, dai racconti
di Primo Levi. Nel 1990 ha pubblicato Il dizionario del teatro.
Divertimento intorno al mondo dello spettacolo.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
653)
Scandella Mischa (Mario S.; Venezia, 1921 - ivi 1983), scenografo
e costumista. Il suo esordio al Teatro Universitario di Padova gli
consente di collaborare con G. Poli (con cui realizza più avanti L'amore delle tre melarance di Prokof’ev, Torino, Teatro Regio,
stagione 1977-78, con una singolare piattaforma scorrevole sulla
quale poggiano tre grandi melarance arancioni) e G. De Bosio, con
cui in seguito dirige il Teatro Ruzante. Considerato infatti un esperto
di spettacoli ruzantiani (e goldoniani), il suo repertorio scenografico
rimane caratteristicamente legato alla cultura veneziana con uno
stile tradizionale, particolarmente adeguato all'allestimento delle
opere dei due drammaturghi. Tuttavia, la prolifica attività degli anni
della maturazione e di quelli più recenti, lo conduce a confrontarsi
con successo con i moderni (Brecht, Moravia, Anouilh), con il teatro
d'opera (Macbeth di Verdi, Torino, Teatro Regio, stagione 1977-78;
Ernani di Verdi, Trieste, Teatro Verdi, 1979) ed il balletto (La cimice
di Majakovskij).
(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano
1998, p. 977)
Sequi Sandro (Roma 1933 - presso Konya, Turchia, 1998), regista.
Si laurea in lettere all'Università di Roma nel 1956 e nello stesso
anno entra all'Accademia d'arte drammatica 'S. D'Amico' (corso di
regia), diplomandosi nel 1959 con lo spettacolo-saggio II giuoco
delle parti di Pirandello. Già durante l'università svolge attività di
critico, collaborando alla realizzazione dell'Enciclopedia dello
spettacolo e assumendo la rubrica di danza nel quotidiano romano
"II Tempo". Dal 1960 al 1962 è assistente di F. Enriquez alla
direzione artistica del Teatro stabile di Napoli, dove debutta come
regista di prosa con la novità di Aldo Nicolaj Il soldato Piccicò
(protagonista Gian Maria Volonté); allestisce anche una serie di atti
unici italiani (di Guaita, Flaiano e Wilcock) al Festival di Spoleto.
Inizia la sua attività nel campo della regia lirica, che lo porterà nei
maggiori teatri europei (Covent Garden, Opera, Scala) e americani
(Metropolitan di New York). Nella prosa, nel 1969 dirige l'attività del
Teatro Flaiano (allora Teatro Arlecchino) per il Teatro Stabile di
Roma, mettendo in scena due novità assolute: Faust '67 di Landolfi
e Soluzione finale di Augias. Nel 1970 forma una compagnia con la
Brignone e Santuccio per una riuscita edizione de Il matrimonio di
Figaro di Beaumarchais (con Proietti, Adriana Asti e Sergio Fantoni)
e di un'importante Danza di morte di Strindberg con le scene di E.
Colombotto Rosso; in tv dirige, nel corso degli anni 70, una ventina
di commedie. Nel 1980 fonda a Roma la Cooperativa Teatromusica,
per la quale presenta, nei suoi tre anni di vita, tre spettacoli basati
sull'idea di un teatro di alto valore poetico: Stella di Goethe,
Britannico di Ra-cine e Olimpiade di Metastasio. Lavora in seguito
quasi sempre in strutture pubbliche, come Veneto Teatro (I
pettegolezzi delle donne di Goldoni, 1982; Elettra di Hofmannsthal e
Il campiello di Goldoni, 1983; I pitocchi fortunati di Gozzi, 1984; La
sorpresa dell'amore di Marivaux, 1989), il Teatro stabile di Catania
(Bellini di Isgrò, 1986; La vita che ti diedi di Pirandello, 1987;
Rapacità di Gor'kij, 1988; Stelle del firmamento di Puig, 1989), il
Teatro di Roma (La bella selvaggia di Goldoni, 1987). Poche le
collaborazioni con compagnie private: Molto rumore per nulla di
Shakespeare con la Moriconi e Micol, Il malinteso di Camus (1985) e
A porte chiuse da Sartre e Mishima (1987) con la compagnia ValliMalfatti. Dal 1989 al 1996 è direttore artistico del Centro teatrale
bresciano; il primo progetto di lavoro da lui avviato, dedicato alla
cultura russa, inizia con I villeggianti di Gor'kij (1989-90) e si
conclude nella stagione 1990-91 con Hotel des àmes di Enrico
Groppali e Anfissa di Andreev. Con la stagione 1991-92 inizia il
progetto dedicato al teatro francese, nell'ambito del quale mette in
scena Britannico e Berenice di Racine (in un'unica serata) e Vittime
del dovere di lonesco. Nella stagione 1992-93 allestisce una novità
assoluta per l'Italia, Non c'è domani di Julien Green, e
successivamente (1993-94) A mosca cieca di Groppali. Dalla
stagione successiva iniziano i 'Percorsi di teatro anglosassone':
Sequi propone la prima rappresentazione in Italia di La sposa di
campagna di Wycherley e, nella stagione 1995-96, Ali di Kopit e
Macbeth di Shakespeare. Fra i maggiori successi in campo lirico,
l'Ifigenia in Tauride di Gluck con le scene e i costumi di G. Manzù
(Firenze 1981) e il Rigoletto di Verdi (Vienna 1983), entrambi diretti
da Riccardo Muti, e la prima mondiale del Saint Francois d'Assise di
Messiaen (Parigi 1983). L'ultimo suo lavoro, prima dell'incidente
automobilistico in cui ha perso la vita, è stato Il barbiere di Siviglia
di Rossini, che ha debuttato all'Opera del Cairo nel marzo 1998.
(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano
1998, pag. 998)
Spadaro Ottavio (Catania 1922 - Roma 1996), regista, critico e
autore drammatico. Laureatosi in giurisprudenza, fondò nel 1942 il
Teatro universitario di Bolzano. Nel 1948 si diplomò all'Accademia
nazionale d'arte drammatica con un allestimento del Cane del
giardiniere di Lope de Vega. Tra le sue molte regie vanno ricordate
quelle legate al teatro pirandelliano, quella di Corruzione al Palazzo
di Giustizia di U. Betti (1956) e quelle di testi contemporanei. Nei
suoi spettacoli dedicò un'attenzione particolare alla cura della recitazione, considerandola l'elemento primo e fondante di ogni messa
in scena. Scrisse anche alcuni importanti saggi sul teatro di Betti.
(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano
1998, pag. 1024)
Voglino Emilio (Asti 1929) scenografo. Ha iniziato a collaborare con
la RAI nel 1954; da quel momento ha firmato gli allestimenti di
decine di sceneggiati e commedie, nonché di serie poliziesche (Qui
squadra mobile) e di teleromanzi a sfondo storico, come L'affare
Dreyfus (1968) e Oliver Cromwell (1969), che richiedevano un
notevole realismo nella ricostruzione degli ambienti. Di lui si
ricordano in particolare le scenografie di Piccole donne (1955), //
Vicario di Wakefield (1959), La Pisana (1960), Canne al vento
(1961), David Copperfield (1965), E le stelle stanno a guardare
(1971), nei quali si è distinto per la fedeltà agli ambienti descritti nei
testi letterari.
(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.
844)