1. IL TERRITORIO DELL`ALTO FERRARESE 1.1. EVOLUZIONE

1. IL TERRITORIO DELL’ALTO FERRARESE
1.1. EVOLUZIONE AMBIENTALE E ANTROLOPOGICA
L’analisi condotta si rivolge agli insediamenti rurali tradizionali nella pianura
compresa fra il Po, il Po di Primaro, il Panaro ed il Reno per conoscere le
caratteristiche tipologiche delle corti rurali, per individuare i caratteri di sostenibilità
delle costruzioni e per definire criteri di intervento compatibile.
Si tratta di un’area influenzata dalle continue variazioni di assetto delle maggiori
linee di deflusso del Po e delle sue diramazioni, che producono la formazione di una
vasta piattaforma deltizia e lasciano molte zone paludose. Gli etruschi furono i primi
a realizzare opere di regimentazione delle acque, ma poi anche i romani furono
artefici di grandi opere idrauliche, generalmente rivolte più alla navigazione interna
che alla bonifica. Dissesti geologici nell’alto medio evo condizionano la geometria
del grande cordone litoraneo che separa il mare dalla terra ferma, mentre acque
salmastre entrano nelle aree più ribassate dalla subsidenza.
L’analisi dell’evoluzione del suolo è una prima fase importante per comprendere il
rapporto fra l’ambiente, l’attività primaria dell’agricoltura e l’insediamento stabile
dell’uomo in un territorio.
Si ritiene utile, di conseguenza, ripercorrere gli episodi salienti delle modificazioni del
territorio per individuare alcuni dei tratti caratteristici dell'evoluzione storica
dell’antropizzazione di un territorio e dello sviluppo di una civiltà.
Si tratta di fenomeni lenti ai quali l’uomo si adatta e nei quali introduce quei
cambiamenti che gli consentono di applicare la propria operosità ed il proprio
ingegno per svolgere le attività per la sopravvivenza: la caccia, la pesca,
l’agricoltura e tutte le altre attività integrative come la raccolta di erbe e bacche
selvatiche, la lavorazione di giunchi e vimini, l’uso di rami e di fusti per ricavare
materiali per utensili e travi adatte alla costruzione di ricoveri per gli animali e di
abitazioni per la famiglia.
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Con la colonizzazione romana comincia l’organizzazione sistematica del territorio: la
centuriazione suddivide il terreno in una scacchiera di poderi cadenzata da una
rete ordinata di scoli, fossi, canali e da una rete gerarchica di strade, i disboscamenti
liberano il terreno per usi agricoli, i sistemi di scolo raccolgono ordinatamente le
acque superficiali, le bonifiche prosciugano aree paludose, la viabilità consente
spostamenti veloci. L’organizzazione centuriale sul terreno rimane anche nel periodo
medioevale in cui la palude ed il bosco riconquistano ampi spazi, e da essa si riparte
con l’intervento di colonizzazione dei conventi sorti nel frattempo ai quali i re barbari
prima e gli imperatori successivamente, affidano il compito di riportare i territori in
condizioni vivibili.
I terreni incolti e degradati idrograficamente cominciano ad essere bonificati e
disboscati dai primi abitanti e tale attività riceve impulso dai monaci Benedettini che
effettuano opere di bonifica con la costruzione di argini, di canali e di chiaviche. I
monaci dell’Abbazia di Nonantola, fondata nel 752, diffondono la loro attività fino
nell’alto ferrarese (anche in forza di elargizioni imperiali), mentre nel basso ferrarese
sono molto attivi i monaci dell’Abbazia di Pomposa già prima del IX secolo. i grandi
possedimenti terrieri cominciano ad essere suddivisi in unità più piccole e affidati ai
contadini con la clausola “ad meliorandum”, cioè con l’obbligo di apportare
miglioramenti ed in particolare modo di prosciugare le terre, dissodare l campi,
disboscare aree silvane e mettere a coltura le terre assegnate. Si diffondono
contratti tipici adatti a territori con presenza di terreni boschivi, paludosi od incolti,
come il contratto enfiteutico, con il quale il contadino si obbliga a migliorare il
campo del proprietario e a pagare un canone annuo (in natura o in denaro), ed il
contratto livellare, che, rispetto al primo, consente la continuità agli eredi di godere
dei vantaggi di una colonizzazione e di una bonifica lenta e faticosa.
E’ con l’intervento delle comunità di monaci benedettini e cistercensi che si diffonde
la forma di concessione collettiva di terre da bonificare che conosciamo come
Partecipanze agrarie (Cento, Pieve, Persiceto, Sant’Agata e Villa Fontana).
Tutto questo fervore fa confluire sul territorio lavoratori e famiglie che cominciano a
costruire i primi agglomerati e la bonifica diventa un fatto collettivo in cui tutti
lavorano per formare una fittissima rete di canali per allontanare le acque superflue,
ed avere il controllo del territorio. Controllo che diventa anche ricchezza perché i
fiumi e i canali sono le principali vie di trasporto delle merci e di uomini e l’acqua
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costituisce una formidabile fonte energetica per la forza motrice che sa trasmettere
a mulini, filatoi, gualchiere.
Nei documenti del XII secolo la casa rurale comincia ad apparire nella normativa
giuridica (fino ad allora si trovano riferimenti al podere e non all’abitazione), e,
quindi, acquisisce un valore come bene economico. I documenti dei periti
agrimensori cominciano a descrivere gli edifici indicando i materiali da
costruzione (muratura, paglia, vimini, fango, coppi).
Si differenziano anche i contratti di locazione dei fondi agricoli. Nel ‘300 appare
predominante il contratto di mezzadria con il quale il mezzadro ed i suoi famigli sono
obbligati a risiedere sul fondo ed a lavorare il podere con la definizione del processo
produttivo da parte del proprietario (tipi di colture e ordine delle lavorazioni) e con
la divisione dei prodotti della terra. E’ un contratto diffuso nelle cosiddette terre alte,
come dossi o paleoalvei, che erano più fertili e sicure dalle alluvioni. Verso il ‘500 si
diffonde il contratto di boaria, soprattutto nelle terre basse, meno fertili e più
soggette ad allagamenti; si fondava su un rapporto di lavoro dipendente del boaro
che lavorava poderi di ampie dimensioni (il “versuro”, di circa 25-30 ettari) e che
poteva anche prendere una quota parte dei prodotti agricoli. Il boaro, come il
mezzadro, non pagava l'affitto per l'alloggio, il porcile, il pollaio e l’orto.
Nel VII secolo d.C. il principale ramo del Po (il Padoa) va estinguendosi ma una rotta
presso Ferrara porta alla nascita di due nuovi rami: il Po di Primaro e il Po di Volano
mentre ad est si consolida il cordone litoraneo che da Massenzatica si estende fino
al Delta del Po di Volano.
Una delle numerose esondazioni del Primaro e del Volano, corsi ormai pensili, porta
alla Rotta di Ficarolo (1152) e alla nascita del ramo del Po di Ficarolo (attualmente
Po di Venezia) ed al declassamento del ramo ferrarese. Il Po di Primaro e il Po di
Volano sboccano rispettivamente a nord e a sud delle valli di Comacchio.
Il Po di Ariano, una diramazione del Po di Ficarolo passante per Ariano (oggi Po di
Goro), tra il XIII e il XVI secolo si divide in due rami di foce: quello detto di Goro, verso
nord, e quello dell’Abate verso sud; fra di essi viene compresa l’isola di Mesola.
Gli Estensi verso la fine del ‘500 cercano di consolidare la loro presenza alla foce del
Po (a Mesola costruiscono un castello e prevedono di realizzare un vero centro
fortificato dedito all’attività del commercio fluviale) e di controllare il commercio
lungo il fiume tramite la deviazione del ramo de Po verso nord con un sistema
rivelatosi inefficace (come per altro sosteneva G.B. Aleotti), ed a questa mossa i
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Veneziani rispondono (1604) con l’efficace opera del Taglio del Po delle Fornaci
(conosciuto come Taglio di Porto Viro) che apre un nuovo letto di deflusso più breve
al mare.
L’opera ha conseguenze devastanti sul territorio ferrarese e sulle opere della
cosiddetta Grande Bonificazione Estense: il Porto e la Chiavica dell’Abate che
regolava le acque alte vengono rapidamente interrati, mentre il Porto di Volano e la
chiavica di Volano, che regolava le acque basse, vengono sommersi dalle acque
marine. Lo scolo delle acque a mare diventa inefficiente e successivi fenomeni
alluvionali per il peggioramento dl clima e di subsidenza del territorio annullano le
opere di bonifica.
Anche l’idrografia dell’Alto Ferrarese presenta un andamento tormentato.
A nord le intemperanze del canale di Burana vengono regolate (1281) con la
costruzione della Chiavica della Bova, che trasforma il cavo di Burana da asse di
navigazione a canale di bonifica e regola il deflusso delle acque dalla Burana al Po
di Ferrara (poi Panaro).
Il fiume Panaro, che un tempo si univa al Po di Ferrara viene successivamente
collegato al Po di Ficarolo, divenuto ramo principale, andando ad occupare
l’antico alveo interrito, e, di fatto, incanalandosi in modo innaturale verso monte. Le
acque di scolo che defluivano verso il Po attraverso il canale di Burana ora tornano
al Po alle porte di Ferrara.
Il Reno, fiume torrentizio che passava per i territori bolognesi, ferraresi e ravennati
aveva frequenti rotture degli argini e le polemiche e le accuse reciproche sono
continue.
Nel 1450 il Reno rompe a Pieve di Cento e si fa strada per sboccare nel Panaro. Nel
1459 la rotta di Cento allaga territori di influenti famiglie bolognesi che si lamentano,
contrariamente ai ferraresi che, invece, vedono che la grande quantità di detriti
portati dal Reno a sud della città fa innalzare i loro terreni (ogni espansione
depositava 1,5-2 cm. di terreno fertile) e non finire ad intasare il Po e a danneggiare
la navigazione interna fino al mare e a Ravenna, e soprattutto non penalizzano il
commercio fluviale di rivestiva grande importanza economica per gli estensi. Nel
1497 il Reno cambia corso e si scarica nella valle Sammartina che viene interrata.
Nel 1521 il Reno rompe vicino a Cento e dilaga nelle valli di Galliera.
Nel 1522 si trova finalmente l’accordo di condurre il Reno nel Po di Primaro
realizzando un alveo artificiale da Vigarano Mainarda a Cassana ed i bolognesi si
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accollano il costo. Tale opera risulta disastrosa: a fronte di un forte interrimento del
Po di Ferrara in 20 anni si riscontrano oltre 4 rotte del Reno.
Il Ducato Estense torna sotto il Papato che nel 1600 fa condurre uno studio a sei
esperti romani per capire se il Po di Ferrara può interrire con l’immissione di Reno e
Panaro: solo Aleotti vede il pericolo e consiglia di immetterli in Po Grande (di
Venezia). La “Bonifica Maggiore” o ”Clementina” ottiene il risultato di togliere il
Reno dal Po di Primaro (che era più alto di 25 piedi) e di immetterlo nella
Sammartina che viene colmata in pochi decenni. La conseguenza è che il
problema dell’acqua si sposta a sud e l’espansione delle valli di Marrana e Poggio
minaccia le campagne del bolognese. D’altra parte era impensabile scavare gli
alvei del Volano e del Primaro.
Nel 1617 il Panaro viene immesso nel Po di Ferrara mediante un canale (Canale
Serra), che poi si rivela inadeguato, perché il Panaro trova comunque migliore sfogo
verso il Po Grande.
Urbano VIII (1623-1644) viene molto coinvolto nella bonificazione del territorio e, nel
1625, viene riproposta l’idea di riportare il Reno nel Po grande ma, nel 1630 vicende
belliche ed epidemia di peste fermano i lavori.
Nei decenni successivi, motivi di ragion di Stato, cavilli burocratici e guerre
dinastiche lasciarono la situazione in totale immobilismo e nel 1705 a queste tragedie
si aggiunge una tremenda inondazione.
Nei decenni successivi ancora guerre e problemi di Stato bloccano le bonifiche e
Benedetto XIV (1740-1758) comprende che nell’impossibilità di effettuare un
programma di prosciugamento e riequilibrio idraulico complessivo, sarebbe stato
meglio prendere provvedimenti parziali. Uno di questi riguarda l’Idice, di cui viene
ripresa una rotta; nel frattempo, nel 1742, inizia lo scavo di un canale per
convogliare le acque del Reno unito a torrenti minori (tra cui l’Idice stesso)
portandole nel Po di Primaro: il taglio viene effettuato nel 1744 aprendo il Cavo
Benedettino. L’opera è fallimentare per i danni arrecati a entrambe le province.
Nel 1750 la rottura del Reno presso S.Agostino (in destra alla Panfilia) suggerisce di
piegare il fiume secondo un angolo retto e di congiungerlo al Cavo Benedettino
presso Passo Segni. In quello stesso periodo l’Idice, allora affluente destro del
Primaro, rompe nel 1731, ed inizia a colmare le valli fra S. Maria Codifiume, Spiazzino
e Passo Segni.
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Clemente XIII (1758-1768), successore di benedetto XIV, decide di dare una scossa
finale e una risoluzione a problemi di due secoli: accogliendo le richieste dei
bolognesi e senza ascoltare le lamentele dei ferraresi, si decide di portare il Reno al
mare, attraverso il Cavo benedettino restaurato e il Primaro. I ferraresi pagano subito
le conseguenze con due rotte nel 1767 a Filo e nel 1772 a Traghetto. Ma nel 1775 il
collegamento è completo.
Vengono intanto rinforzati (1767-1769) gli argini del Po di Primaro per impedire il
passaggio al Polesine di S. Giorgio, avente una quota altimetrica media molto
inferiore, ed evitare le alluvioni derivanti dalle rotte del Reno. Il Po di Primaro viene
trasformato in un canale di scolo che intercetta e separa nettamente le acque delle
valli “alte” a sud di Ferrara da quelle basse del Polesine di S. Giorgio. Tale intervento
richiede un ulteriore innalzamento dell’alveo del Reno e la chiusura del
collegamento, a Traghetto, tra Reno e Primaro. Con questi lavori si rende possibile la
bonifica e lo sfruttamento agricolo delle vaste valli di Poggio, Marrara, Malalbergo e
Argenta. Ulteriori lavori (1782)sono effettuate per raddrizzare il corso del Reno ed
agevolare l’efflusso delle acque. L’elemento di rischio permanente si riscontra con le
rotte disastrose del 1842, del 1864 e del 1896 che hanno sommerso i territori alla
sinistra del suo nuovo alveo. Si riesce a regolare le esondazioni del Reno con una
certa sicurezza solo tramite opere continue di innalzamento degli argini, di
costruzione di uno scolmatore di piena e di lavori di svaso. Sono stati, inoltre, creati
tanti piccoli bacini con proprie macchine di sollevamento (bacini di Tenore, Tersalo,
Bevilacqua, Trava, Benvignante, Sabbiosola, Montesanto, Campocieco) per
garantire il prosciugamento meccanico dei terreni nel Polesine di S. Giorgio.
Dopo l’occupazione napoleonica iniziata nel 1796, i bolognesi pensano di
approfittare della mutata condizione politica: vogliono portare il Reno al Po grande
come nel progetto di molti anni prima e Napoleone li accontenta iniziando i lavori
per lo scavo del Cavo Napoleonico, iniziato nel 1808 e interrotti nel 1811 per il
mutare delle condizioni. La presenza di un potere (quello francese) superiore a quelli
di tipo localistico sembra poter imporre una visione complessiva dei problemi
idraulici del Reno, del Panaro, del Burana e del Po. Il Cavo napoleonico e la Botte di
Burana si configurano come una soluzione di ampio respiro al disordine idraulico
della zona ed ai danni ingenti lamentati dalle popolazioni locali: devastazioni,
allagamenti, perdite di animali e di messi, malattie ed epidemie, persistenza di valli
e di acquitrini.
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La bonificazione si diffonde e si consolida con l’introduzione nel 1870 di pompe
meccaniche per il prosciugamento dei terreni e il sollevamento delle acque che
consente l’arrivo in modo stabile di capitali di rischio italiani e stranieri
i quali
sostengono gli investimenti per la cosiddetta Grande Bonificazione Ferrarese che si
rivolge sia ai terreni del basso ferrarese (come, ad esempio, nelle zone di Codigoro,
Tresigallo, Formignana), sia a quelli del medio ferrarese (come, ad esempio, bonifica
e prosciugamento meccanico dei bacini di Denore,
Benvignante, Montesanto,
Martinella e di altri comprensori), sia, infine, ai territori dell’alto ferrarese, come, ad
esempio, nella bonifica del Burana, territorio immenso a cavaliere di tre province
(Mantova, Modena e Ferrara).
Nel 1899 viene inaugurata la Botte del Burana che sottopassa il fiume Panaro: i due
fiumi continuano a defluire separati nel Po come nel passato.
Nel primo dopoguerra iniziano le opere di prosciugamento delle valli di Comacchio
(Valli Pega, Rillo, Ponti, ecc.) e nel secondo dopoguerra vengono interessati dalla
bonificazione zone dei comuni di Mesola e Goro e l’area del Mezzano con l'avvento
dell'Ente di bonificazione.
Si tratta di operazioni imponenti che modernizzano l’agricoltura, danno lavoro a
migliaia di braccianti agricoli giornalieri presenti nel ferrarese ed anzi attirano nuova
manodopera (la provincia ferrarese ha 135.000 abitanti nel 1800, 230.000 abitanti nel
1880, 310.000 abitanti nel 1910), incentivano la nascita di industrie di trasformazione
agricola sul territorio (zuccherifici, canapifici, essiccatoi, ecc.) ed introducono una
valenza pubblica e sanitaria interrompendo lo stretto rapporto fra palude e malaria.
Nel 1875 oltre il 50% del territorio si presenta improduttivo perché occupato da valli
dolci e salse e da prati a pascolo ed il 47% (100.000 ettari) risulta destinato a
seminativo mentre il resto era a orti, giardini e frutteti, risaie e boschi. Un secolo dopo,
nel 1980, 160.000 ettari sono a seminativo, 30.000 a frutteto, 36.000 ad altre colture,
10.000 occupati da aree vallive mentre sono totalmente scomparsi il prato e il
pascolo.
Il secondo dopoguerra vede una profonda trasformazione del territorio agricolo, da
un lato a causa del lento ripristino della base produttiva danneggiata dagli eventi
bellici (distruzioni di zone industriali, di ponti, di ferrovie, ecc.), e dalla fine della
produzione della canapa e della filiera industriale ad essa collegata, mentre,
dall’altro, vede
l’applicazione
di
non solo
nuove
una
forte
tecniche
di
meccanizzazione
sistemazione
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dell’attività agricola,
dei
campi,
l’aumento
dell’apparato idrovoro con canalizzazioni e arginature diffuse, ma anche
l’inurbamento di molti contadini e il trasferimento nelle aree industriali.
Il risultato finale è la scarsa utilizzazione o l’abbandono di molte corti coloniche, di
scuole, di torri colombaie, di chiese, di conventi.
1.2. Il paesaggio agrario nell'Alto Ferrarese
Il paesaggio europeo è per secoli il risultato della convivenza dell’attività agricola
che produce sostentamento per gli uomini con le attività silvo-pastorali che
producono da una parte combustibile e materiali da costruzione (legnami, pali,
resine, ecc.) e dall’altra producono biomasse alimentari utilizzabili dagli animali
(erbe da pascolo, ghiande, ecc.) e dagli uomini (frutti selvatici, castagne, ecc.).
L’economia contadina si impadronisce della foresta sia per strappare terreno
boschivo e creare nuove aree seminative, sia per usarlo come riserva di combustibile
e di legname d’opera, sia, infine, per integrare le pratiche di fertilizzazione
utilizzandola come riserva di materia organica vegetale.
L’area mediterranea presenta un clima secco o semiarido che lo rende meno fertile
dell’area
centro-europea
che
ha
terreni
di
grande
fertilità
sostenuta
dall’abbondante disponibilità di acqua e dalla rapida ricostruzione del manto
forestale. Presenta un ecosistema fortemente eterogeneo ma molto fragile che, a
fronte di una alterazione dell’equilibrio originale non reintegra facilmente la fertilità
del territorio ma, anzi, presenta fenomeni di degrado della copertura vegetale per
sovraccarico pascolivo e per l’ampliamento delle superfici coltivate.
La valle del Po presenta un caso ancora diverso poiché ha un clima continentale,
abbondanti acque freatiche e di superficie, condizioni ambientali favorevoli allo
sviluppo di alberi ad alto fusto ed a foreste di pioppo bianco, di ontano, di frassino,
di salice, di olmo.
Foreste ed acque stagnati costituiscono una presenza costante nell’area deltizia del
Po e l’antropizzazione del territorio porta alla regimentazione delle acque, alla difesa
del bosco e della sua funzione di pascolo per gli animali
combustibile.
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e di fornitura di
La lenta distruzione delle aree boschive all’avanzare dell’agricoltura e delle
bonifiche idrauliche impone all’uomo una “riforestazione artificiale ordinata”, cioè la
ricostruzione della presenza di alberature per assolvere alla funzione del bosco. Si
diffonde il “sistema della piantata” di alberi e viti collocate ai bordi delle aree
seminative e le essenze arboree vengono scelte con cura: salici e pioppi per
asciugare terreni e fornire pali e fascine; olmi, aceri e frassini per fornire foraggio ai
buoi e sostegno alle viti; gelsi per le foglie necessarie all’allevamento dei bachi da
seta; noci per produrre olio e legname per mobili; farnie per fare travi e legnami da
opera.
Le piantate (dette anche “strenne”) si diffondono velocemente fra il ‘400 e il ‘500 e
nei contratti di lavorazione delle terre (mezzadri, affittuari, ecc.) viene sempre
previsto l’obbligo di piantare gli alberi forniti dal proprietario, di sostituire gli alberi
morti con nuove piante, di potare gli alberi con almeno tre anni, e viene imposto il
divieto di tagliare alberi verdi.
Gli storici documentano che nel Polesine di Casaglia, a nord ovest della città di
Ferrara, la bonifica di oltre 1000 ettari di un terreno degli Estensi ha previsto l’invio di
ventun famiglie di lavoratori con l’obbligo di effettuare opere idrauliche e di
piantare alberi (oltre 50.000 in nove anni) per dotare di viti ed alberi degli
appezzamenti di terreni organizzati con fossi, capezzagne e collettori per lo scolo
delle acque.
Il paesaggio agricolo padano, non solo del ferrarese e delle terre emilianoromagnole ma anche del mantovano, del rodigino, del basso veronese e del basso
padovano, è, in sintesi, caratterizzato dai tre elementi agricoli della campagna: la
vite, l’alberatura di sostegno e la superficie coltivata a granaglie (cereali, piante da
foraggio e piante da rinnovo). La stabilità colturale rispecchia la stabilità sociale ed
economica che vede la continuità di una economia poderale di sussistenza,
soprattutto in terreni di qualità limitata.
La regolarità di impianto degli appezzamenti è conseguente ad un sistema ordinato
di regimentazione idraulica e all’organizzazione di opere scolanti che favoriscono
una efficace lavorazione della terra. L’agricoltura poderale viene ottimizzata dalla
regolarità dei campi arativi alternati ai filari arborati e vitati e la sistemazione
permanente dei campi regolati con viottoli, cavedagne, scoline e fossati consente
di raggiungere alti valori commerciali. Alberature e viti maritate forniscono non solo
vino, frutta, fascine, legna da ardere, da costruzione e da opera, ma anche
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biomassa fresca per sfamare il bestiame tagliando il rigoglioso fogliame dell’olmo ed
in parte quello della vite.
Merita ricordare che la vite maritata è un sistema di coltura dei vigneti già usata
dagli Etruschi e diffusa in molta parte del territorio italiano fino a metà del ‘900: la
coltivazione della vite prevede la presenza di un tutore per cui le viti, legate ad
alberi disposti in filari (la piantata), sviluppano i loro rami lungo funi legate tra i rami di
due alberi successivi. La vite, spesso piantata di fianco al fusto dell’albero, veniva
innalzata verso i ramoscelli dello stesso albero e fatta sviluppare lungo i fili, che
spesso erano sostenuti in mezzeria da pali secchi per portare il peso dei grappoli, ma
in alcuni casi (come nelle terre romagnole) si usava anche la tecnica di pali secchi
(di due o tre metri) collegati perpendicolarmente all’albero a circa 2 metri di altezza
che sostenevano i fili lungo cui si svolgeva la vite.
La soluzione della vite maritata, inoltre, consentiva di sfruttare aree marginali del
territorio agricolo per non intralciare la coltivazione dei campi, soprattutto lungo i
fossi di raccolta delle acque o lungo i confini delle proprietà. I trattatisti bolognesi
prevedevano una piantata semplice (con passo degli alberi di circa 3,00-3,80 metri)
o doppia con due filari ai bordi opposti del fossato di scolo.
Il passo dei filari variava a seconda delle diverse zone agricole: 35 m. circa nel
padovano con 20-30 piante per campo per filari semplici e 45 per filare doppio
(densità 50-80-116 piante per ettaro); 35-50 m. nel basso Polesine, e fino a 90 piante
per campo (densità 130-180 alberi/ha); 40-50 m. nell’alto Polesine, con 50-70 piante
per campo (densità oltre 200 alberi/ha).
Ultimo elemento caratterizzante dell’agricoltura poderale sono gli insediamenti rurali
sparsi costituiti dalla cosiddetta “corte aperta”, cioè da una corte costituita da una
abitazione per la residenza dei coltivatori, da una stalla per ospitare i buoi da lavoro,
da eventuali edifici minori come la casella ed il forno e da unità poderali organizzate
in appezzamenti regolari delimitati da filari di alberi e viti per consentire
un’autosufficienza agro-alimentare ed energetica del nucleo familiare insediato.
Alberature piantate di viti ad esse maritate forniscono vino, frutta, legna da ardere,
pali di sostegno e biomassa vegetale fresca per il bestiame (come le foglie dell’olmo
o il fogliame delle viti) da sfamare in primavera e dopo la raccolta delle messi
quando scarseggiano i foraggi freschi.
Già nel ‘300 il paesaggio delle piantate viene descritto nei trattati agrari (Pier de’
Crescenzi) e a partire dal ‘600 vengono pubblicati trattati che diffondono l’arte
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dell’innesto e della potatura dei fruttiferi da giardino ma contengono anche norme
per
gestire
correttamente
la
piantagione
degli
alberi,
per
controllare
l’ombreggiatura eccessiva, per evitare espansione di radici verso l’area seminativa,
per allevare e potare le viti, per curare salici, pioppi e olmi, alberi tipici della piantata
padana.
Vengono indicate anche le distanze fra due piantate successive (fra i 30 e i 40 metri
a seconda dei diversi agrimensori) e il passo degli alberi. La piantata poteva essere
semplice o doppia con due filari ai bordi opposti del fossato di scolo.
Nella “possessione” tipica ferrarese (il “versuro”) secondo alcuni studi si prevedevano
circa 100 alberi per ettaro, quantità che poteva salire fino oltre 200 nell’alto Polesine.
Le alberature, fra l’altro, costituivano un rendimento economico per la produzione di
pali, di fascine forti e dolci, di zocche dolci da ardere, la cui rendita contribuiva alla
rendita totale del podere e che, comunque, contribuivano alla cottura dei cibi ed al
riscaldamento invernale. Per non parlare del vino che ha grande diffusione nel
periodo rinascimentale, ed assume grande importanza sia sociale che economica,
tanto che la viticoltura si diffonde anche su terreni ritenuti oggi inadatti e gli enti
benefici distribuivano agli indigenti anche il vino insieme al pane, considerandolo
come un bene di prima necessità.
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2. INDAGINE TIPOLOGICA SUGLI INSEDIAMENTI RURALI
2.1. STRUMENTI DI ANALISI DEI CARATTERI TIPOLOGICO-MORFOLOGICI
Gli strumenti di lettura e di analisi messi a punto nel corso dello studio sugli
insediamenti rurali di interesse architettonico documentale dell’Alto Ferrarese sono
costituiti da schede di rilevamento e di catalogazione dei caratteri tipologici
riscontrati in organismi edilizi ed architettonici rappresentativi della realtà costruita,
integrati da schede di analisi dei caratteri rilevabili in sito per gli edifici rurali analizzati
nei vari Comuni.
Rilevamento e schedatura sono condotti secondo le diverse scale di lettura, in
modo da evidenziare i rapporti a livello edilizio tra gli edifici raccolti attorno ad una
stessa corte, i caratteri elementari dei singoli organismi architettonici relativi
all'organizzazione spaziale-distributiva, geometrico-formale, fruitivo-funzionale ed alle
soluzioni tecnologico-materiche, fino ad individuare singole cellule edilizie e le
modalità di aggregazione nei tipi base.
L’analisi degli insediamenti rurali tradizionali nella pianura compresa fra il Po, il Po di
Primaro, il Panaro ed il Reno è condotta allo scopo di conoscere le caratteristiche
tipologiche delle corti rurali, per individuare i caratteri di sostenibilità delle costruzioni
e per definire criteri di intervento compatibile.
2.2. CARATTERI TIPOLOGICI DEGLI INSEDIAMENTI RURALI
2.2.1 La struttura delle corti
Nell’Alto Ferrarese, come in tutto il territorio provinciale, sebbene non manchino
esempi di grandi estensioni terriere di proprietà di un’unica famiglia (tuttora la terra
rappresenta l’elemento di maggiore ricchezza di un territorio che altrimenti non
possiede molte altre risorse economiche), la dimensione e la tipologia degli
insediamenti agricoli non raggiungono la complessità compositiva e funzionale della
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corte lombarda, i cui echi architettonici lambiscono il territorio preso in esame senza
però contaminarlo, se non in piccolissime zone dei Serragli.
La classica corte padana è espressione di un’agricoltura ricca per livelli elevati di
produttività nella coltura dei campi e nell’allevamento del bestiame (emblema di
perfetta rispondenza fra una razionale organizzazione della grande e media
proprietà terriera e le strutture abitative e produttive), mentre nelle zone analizzate
l’instabilità delle acque, la relativa fertilità dei terreni, la articolazione delle proprietà
e la diffusione di contratti che non vedono in prima persona il proprietario insediarsi
nel fondo e coltivarlo direttamente, comportano l’affermarsi dei complessi rurali di
dimensioni minori.
L’insediamento agricolo si raccoglie attorno ad una “corte aperta”, cioè a un vuoto
organizzato come un “sistema” costruito con una precisa gerarchia, al vertice della
quale si trovano gli spazi produttivi (aia, stalla), ed in second’ordine gli spazi di
servizio (forno, casella, porcilaia), e le abitazioni.
L'organismo edilizio della corte aperta ad elementi separati si presenta come una
struttura complessa, dove i singoli fabbricati posti su di un’unica direttrice, oppure
sistemati a scacchiera su tre lati si distribuiscono attorno ad uno spazio denominato
“aia” secondo aggregazioni diverse e si configurano come elementi autonomi sul
piano formale, nella concezione strutturale e nella destinazione d’uso.
L’aia è un grande spazio aperto posto in posizione centrale quale elemento di
unione e raccolta per tutte le attività aziendali (forse da qui nasce il termine “corte”
per l’insediamento agricolo) ed è costituita da uno spazio erboso entro il quale è
collocato un piano quadrato di mattoni, detto “aia”: i mattoni, posti di piatto o di
lista, sono montati con pendenza sui quattro lati e sui bordi erano collocati di punta
a formare un perimetro alto. Alcune interruzioni dei muretti posti sul bordo (i mattoni
talvolta sono squadrati ma talvolta anche arrotondati in sommità) consentivano
l’allontanamento dell’acqua piovana. L’aia era destinata alla trebbiatura dei
cereali e a mantenere le granaglie esposte al sole per garantirne l’essiccazione
prima dell’immagazzinamento.
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TIPOLOGIE A CORTE APERTA
1. Tipologia ad elementi giustapposti allineati secondo un asse laterale o mediamo.
2. Tipologia ad elementi separati allineati secondo un asse laterale o mediamo.
3. Tipologia a corte aperta con numerosi corpi di fabbrica: abitazione, stalla, casella,
forno, porcile
L'accorpamento lineare dell'abitazione con la stalla, rivolte a sud nei casi esaminati,
presenta un corpo unico dove abitazione e stalla non presentano sporgenze, né in
pianta né in alzato (almeno negli edifici più antichi); tale corpo unico risulta
separato da un muro a due teste che spesso emerge dal tetto per costituire una
linea taglia fuoco.
L’accorpamento di stalla e abitazione può avvenire secondo disposizioni differenti:
l'accesso all'abitazione è, di solito, posto sul lato lungo della costruzione ed è rivolto
verso l’aia allo stesso modo della stalla, ma nella zona dell’alto ferrarese si sono
rilevati anche casi con l’accesso sul lato corto dell'edificio, differenziandosi
nettamente dall'accesso alla stalla che rimane sempre sul lato lungo. In quest'ultimo
caso l'abitazione risulta rivolta costantemente verso ovest e riprende una
disposizione diffusa nell'area rurale bolognese.
Quando l’edificio produttivo comincia ad acquistare sempre maggiore importanza il
corpo unico si spezza e si ha separazione fra abitazione e stalla, che assume
proporzioni maggiori e si arricchisce di portici aperti. Si tratta certamente di
un’evoluzione tipologica spontanea operata dagli stessi contadini, ma l’evoluzione
tecnica degli elementi separati viene fortificata dalle scuole agronomiche del ‘700,
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che applicano valutazioni di carattere aziendale dando maggiore importanza alla
stalla, all’allevamento del bestiame, alle colture estensive e prative oltre che alle
tradizionali colture intensive.
2.2.1.a. Sintesi dell’aggregazione a elementi giustapposti
Il tipo di aggregazione più antica, che caratterizza i fondi agricoli di minore
estensione, in cui la coltivazione della terra serviva originariamente quasi solo al
sostentamento della famiglia, è quello a elementi giustapposti, in cui le funzioni
abitative e produttive vengono aggregate in un unico fabbricato. Nella maggior
parte dei casi la funzione a supporto dell’abitazione è quella di stalla-fienile, ma non
mancano gli esempi in cui lo stesso edificio viene caricato anche delle destinazioni
di forno, porcile, deposito per gli attrezzi.
La consuetudine costruttiva prevede in questa tipologia una pianta rettangolare e
compatta, con il fronte principale lungo quasi il doppio del lato corto e disposto di
norma e sud, per garantire il massimo soleggiamento dei locali di abitazione, mentre
quelli di deposito e dispensa trovano posto a nord. La porzione dedicata
all’abitazione si trova generalmente a est, mentre quella produttiva a ovest, per
sfruttare la funzione dei venti dominanti di disperdere così l’odore del bestiame.
La stalla-fienile è quasi sempre dotata di portico, su uno o due lati, la cui estensione
verticale va dal piano di calpestio alla gronda.
Con l’incremento dell’esperienza costruttiva, la parte residenziale e quella
produttiva, pur rimanendo a contatto, sono state fisicamente separate soprattutto
per evitare che eventuali incendi negli ambienti abitativi (il fuoco serviva
regolarmente per cucinare cibi e riscaldarsi nel periodo invernale) si propagassero al
foraggio depositato al piano superiore della stalla ed alle strutture lignee portanti:
sono stati così realizzati, a seconda dei casi, il muro tagliafuoco e la porta morta.
La prima soluzione, molto più frequente nelle campagne ferraresi, consiste nella
separazione dei due organismi tramite una parete piena a due o tre teste, spesso
emergente rispetto alla copertura per 40-50 cm.; la seconda, invero poco presente
nelle zone esaminate ma molto efficace, consta in un corpo di fabbrica centrale
rispetto ai due principali formato da un androne passante al piano terra – che serve
anche da ricovero per i carri – e da stanzette di filtro al piano superiore.
Esiste un tipo di aggregazione a elementi giustapposti poco frequente e presente
soprattutto nei territori della Partecipanza Agraria, che prevede la collocazione della
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stalla a nord dell’edificio, con la presenza di un tetto a tre falde con il timpano sulla
facciata principale e corrispondente alla porzione residenziale del fabbricato.
Questa disposizione è poco usata perché, non sfruttando i venti per disperdere
l’odore del bestiame, risulta insalubre.
In questo come negli altri schemi di aggregazione individuati nella campagna
dell’Alto Ferrarese, i materiali utilizzati per la costruzione degli edifici sono quelli
tradizionali: mattoni pieni legati con malta di calce per le murature portanti a due
teste e per quelle interne a una testa o in foglio, struttura lignea a doppia orditura
per i tetti coperti con manto di coppi ferraresi sorretto da un piano di tavelle di
cotto, legno (raramente voltine in foglio) per i solai intermedi, pavimentati in
ammattonato. Le pareti esterne possono essere sia faccia a vista sia intonacate, ma
quest’ultima finitura è – almeno originariamente – più diffusa: l’intonaco è una
superficie di sacrificio e aiuta a proteggere le murature dalle aggressioni endogene.
Le dimensioni dei vani interni, piuttosto piccoli, si adattano alla morfologia degli
elementi utilizzati.
2.2.1.b. Sintesi della corte agricola aperta a elementi separati
L’aumento delle dimensioni dei fondi agricoli e la necessità di incrementare il
numero dei capi di bestiame, non solo per il sostentamento personale ma anche per
la lavorazione di aree di terra sempre più estese, dal XVIII secolo rende sempre più
importante la parte produttiva della corte, che diventa un fabbricato indipendente
e di dimensioni significative, destinato a ospitare al piano terra il bestiame e al piano
superiore il foraggio.
Maggiori sono le dimensioni e la complessità della corte, più numerosi sono i corpi di
fabbrica che la compongono: in molti casi sono presenti anche il porcile, il pollaio, il
forno separato dall’abitazione e la “casella”, ossia il deposito per gli attrezzi agricoli,
che in corti particolarmente ricche assume la dignità della “barchessa”, molto più
diffusa però in territorio lombardo-veneto.
I modelli di aggregazione della corte aperta sono essenzialmente due: nel primo gli
edifici sono allineati secondo una delle facciate o secondo l’asse mediano, con gli
ingressi principali orientati a sud; nel secondo i fabbricati sono più di due e sono
raccolti attorno a uno spazio centrale rettangolare, ossia l’aia, che funge da spazio
esterno per il lavoro e che ancora oggi, anche in taluni casi di corti abbandonate,
conserva la pavimentazione originaria in ammattonato.
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Molto più raramente si hanno aggregazioni non compiutamente classificabili, in cui
gli edifici assumono posizioni varie.
Nel Ferrarese, l’aggregazione degli edifici della corte non raggiunge mai una
complessità e una ricchezza tali da giustificare la presenza di corti chiuse a formare i
veri e propri borghi che caratterizzano il paesaggio della campagna lombarda,
mentre non mancano sporadici esempi di ville suburbane con barchesse
simmetriche rispetto al corpo centrale residenziale, numerose invece nel Veneto.
2.2.2. Tipologie e composizione della stalla-fienile
La centralità della struttura produttiva della vita contadina è sottolineata dalla
gerarchia dei volumi costruiti, fra i quali emerge appunto la stalla-fienile: si tratta di
un edificio imponente costituito da una grande tettoia elevata, a due o quattro
acque, sotto cui si distinguono due spazi, il portico e la stalla, sopra la quale insiste il
fienile.
Il portico, spazio di ricovero di carri e di attrezzi agricoli, può svilupparsi su uno, due o
tre lati dell'edificio oppure su due lati paralleli; solo nell’ultimo caso l’accesso alla
stalla, sempre rivolta a sud, non è situato sotto il portico, mentre nelle altre
disposizioni il portico è in corrispondenza dell'accesso dei bovini alla stalla, per
consentire anche l'abbeveramento del bestiame al riparo anche durante le
intemperie ed i mesi freddi.
La tipologia più frequente prevede la presenza del portico su un solo lato,
preferibilmente posto a ovest, ma sono presenti frequenti casi di portici su due o tre
lati, tipico,quest’ultimo, degli edifici di grandi dimensioni destinati a molti capi di
bestiame; il portico è sempre tamponato a nord, per riparare i capi di bestiame e le
attrezzature dai venti di tramontana.
L’importanza nella corte agricola della stalla-fienile è dovuta non solo all’imponente
mole, ma anche al ruolo che riveste nella vita dei conduttori del fondo agricolo:
l’allevamento dei bovini è fondamentale sia per la produzione di latte e carne, sia
perché essi sono l’unico efficace mezzo di traino per gli attrezzi agricoli fino
all’avvento della Rivoluzione Industriale. Parimenti, è essenziale la presenza di un
grande ambiente per la conservazione del foraggio per alimentare gli animali.
Le dimensioni delle stalle-fienili sono rilevanti. In linea generale si può affermare che
quelle con il portico su uno e su due lati si concentrano su una superficie di almeno
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360-400 m2 ma alcune arrivano fino a 560-600 m2 con lati di almeno 17-18 m. sul
fronte e di 17-20 m. sul prospetto trasversale. Lo studio delle dimensioni mostra anche
un altro dato significativo: il rapporto fra i lati indica una buona concentrazione di
stalle a pianta quadrata o quasi quadrata (infatti il rapporto a/b risulta variabile da
0,8 a 1 nella maggioranza dei casi).
Al pianterreno dell’edificio produttivo è di norma presente un ambiente unico,
rettangolare, sul cui asse maggiore sono presenti due porte che si fronteggiano per
garantire l’aerazione dell’ambiente e, a fianco di queste, due piccole aperture
simmetriche (a lunetta o rettangolari). Il grande vano è suddiviso in tre corsie: quella
centrale distribuisce due serie di poste.
Il portico può essere su un lato, su due contigui, su due paralleli, su tre lati.
La stalla è organizzata secondo una regola fissa: un corridoio centrale di accesso ed
una serie di "poste" ai due lati per accogliere i bovini a due a due. Un accesso
secondario contrapposto a quello principale, in corrispondenza del corridoio
centrale, consente una rapida aerazione, un percorso breve per il trasporto del
letame che viene accumulato all’esterno sul lato nord ed anche una via di fuga
supplementare
in
caso
di
incendio.
Due
piccole
aperture
simmetriche,
generalmente a lunetta, poste ai lati degli accessi, garantiscono una aerazione
costante della stalla anche in corrispondenza delle poste.
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Lo spazio funzionalmente tripartito della stalla è cadenzato da una serie di pilastri
che suddividono il corridoio dalle poste (con passo mediamente compreso fra 2,50 e
2,75 m.) e che sorreggono il solaio del fienile.
Le poste, ossia le postazioni per i bovini, sono separate da muretti bassi e provviste di
mangiatoie: sono dimensionate per contenere due bovini per posta e per consentire
il loro ingresso e l’uscita e sono tendenzialmente quadrate per cui hanno larghezza
2,50-2,75 m. La prima posta, spesso quello a destra, è parzialmente occupata da un
locale chiuso con un cancelletto: da un’apertura del solaio veniva calato dal fienile
il foraggio da distribuire nelle mangiatoie.
Al piano superiore è presente il grande ambiente del fienile, circondato dai pilastri
che sorreggono la copertura; la ventilazione è garantita dalla completa apertura
dell’ambiente sul portico a doppia altezza e dalla frequente presenza di aperture,
che a seconda della zona geografica possono essere piccole finestre ma più spesso
gelosie, formate da mattoni disposti a griglia o, più recentemente, da pezzi speciali
in cotto.
La copertura, con manto di coppi ferraresi, ha struttura portante lignea la cui
complessità dipende dall’ampiezza delle luci: si possono avere travi principali tra loro
parallele o capriate, semplici o palladiane.
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Essendo la fabbrica più importante della corte, la stalla-fienile ha un’architettura
curata e un’impostazione planimetrica che ne garantisce la solidità, benché il punto
debole siano i pilastri che talvolta appaiono troppo snelli.
L’altezza utile del vano “stalla” è limitata per favorire il carico del fieno e per
contenere le dispersioni di calore prodotte dagli animali: le stalle, infatti, costituivano
l’unico ambiente caldo ove i contadini trovavano riparo dal freddo invernale e
potevano condurre attività produttive (filatura, lavorazione del legno per produrre
attrezzi, ecc.) o ricreative.
La successiva evoluzione della stalla con destinazione ad allevamento di bovini da
latte o da carne (abbastanza frequente nell’alto ferrarese) porta a realizzare
ulteriormente sotto la stessa copertura un’altra fila di poste o una ulteriore doppia fila
di poste che raddoppia la capienza di bovini.
Il fienile corrisponde al volume posto sopra la stalla, la quale, chiusa superiormente
da un solaio, fornisce il piano di appoggio del foraggio per il sostentamento del
bestiame nel periodo invernale. Lo spazio destinato a fienile veniva proporzionato in
base al prevedibile fabbisogno di foraggio durante i mesi invernali.
La stalla-fienile presenta un impianto imponente sia che il portico sia posto su uno o
due lati contigui, sia soprattutto che arrivi ad estendersi su due lati paralleli o su tre
lati. La maglia strutturale delle stalle, cioè la griglia ortogonale che individua gli assi
della struttura portante discontinua, è caratterizzata da pilastri di laterizio che
sorreggono la copertura e che sono disposti, oltre che lungo il perimetro esterno
della costruzione, anche all’interno in modo da circondare la vera e propria stalla,
cioè il vano destinato ad ospitare gli animali.
La costante ripetitività di questa disposizione consente di individuare, nella direzione
perpendicolare alla facciata principale, due, tre o quattro assi (rispettivamente per
stalle senza portico, con uno o due portici laterali), che individuano una o due o tre
campate, di cui una, quella che contiene la stalla, ha, come detto, dimensioni
rilevanti (7,50-8,25 m. di interasse). In direzione trasversale, invece, non esiste una
regolarità di tessitura, ma si rilevano tre, quattro, cinque campate talvolta a passo
costante ed altre volte con dimensioni molto diverse (variabili con punte, in
corrispondenza del portico anteriore, di oltre 6,00 m.) ed i pilastri sono disposti spesso
più raffittiti in modo da rendere più frequenti i punti di trasmissione a terra dei carichi
permanenti ed accidentali della copertura e di quelli derivanti dal fieno posto sopra
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il solaio della stalla, che solo parzialmente sono sostenuti dai pilastrini interni alla stalla
stessa che cadenzano la sequenza delle “poste”.
La stalla-fienile era la "fabbrica agricola" del passato, cioè il cuore del processo
produttivo dell’agricoltura perché conteneva le “macchine” (i bovini) ed il
“carburante” (il fieno). La sua importanza, oltre che dalle altezze dei pilastri
(raramente la linea di gronda è meno di 7 m.) e dall’imponenza dei volumi, è
sottolineata anche da un altro segno: verso la sommità dei pilastri in oltre due terzi
dei casi si trova un rilievo realizzato con una o più file di mattoni sporgenti rispetto al
filo inferiore che richiamano i capitelli delle colonne classiche e sottolineano la
snellezza e l'importanza statica del pilastro.
2.2.3. Tipologie e composizione dell’edificio di abitazione
L’unità minima per la composizione dell’abitazione è il cassero, ossia un locale di
forma pressoché quadrata, con possibilità di avere aperture su tutti i fronti. La luce
del solaio che lo chiude superiormente dipende dalla lunghezza massima delle travi
lignee che ne compongono l’orditura principale e di norma non supera i cinque
metri. L’operazione meno onerosa e più razionale per ampliare il cassero è
raddoppiarlo in altezza, costituendo due locali collegati da una scala ripida e spesso
lignea: in questo caso il piano terra funge da cucina e quello superiore da stanza da
letto, poiché essendo posto a una quota superiore a quella del terreno, è protetto
dalle eventuali allagamenti. Il raddoppio laterale è il passo successivo per dar luogo
alla tipologia più semplice di abitazione, ossia quella detta del bracciante, con
quattro locali utilizzabili, almeno due dei quali dotati di camino.
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Edificio abitativo di due piani fuori terra, a cui, talvolta, si aggiunge un piano
di sottotetto.
Tuttavia, per raggiungere la tipologia residenziale più diffusa nel territorio dell’Alto
ferrarese bisogna operare il raddoppio in profondità: due doppi casseri affiancati
simmetricamente a un androne centrale passante (detto portico) formano la casa
mezzadrile, con almeno due ambienti dotati di camino (i vani anteriori laterali) e il
vano scala ampliato e ospitato tra due dei casseri laterali. Le aperture finestrate,
due per vano, si trovano agli spigoli degli ambienti interni e sono dotate di sguinci
per favorire l’ingresso della luce solare; gli infissi vetrati sono lignei come gli scuri
pieni.
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L’abitazione mezzadrile è a tre casseri. L’ingresso è nel cassero centrale.
La pianta a tre casseri con ingresso centrale (il portico) quando si raddoppia in
profondità (tipologia b) presenta la scala posizionata generalmente fra due vani.
La stereometria della copertura può essere a due o a quattro falde; quando queste
sono due, la gronda corrisponde ai prospetti principali, tranne nelle case della
Partecipanza agraria, dove le facciate principali sono in corrispondenza del colmo e
sono quindi dotate di timpano su cui spesso si apre un oculo tondo centrale.
Di norma, se le abitazioni non hanno subito modificazioni nel tempo, non sono
dotate di latrine, che si trovano all’esterno della corte e, nei locali al piano terra
adibiti a magazzini e cantine, il pavimento è spesso più basso del piano di
campagna.
Il vano scala è a due rampe, in legno a vista o con struttura lignea pavimentata in
ammattonato; più raramente, per non sottrarre troppo spazio agli ambienti di
abitazione, la scala è a rampa unica, molto stretta, ed è posta in cucina o lungo
uno dei lati del portico.
Gli ambienti al piano superiore sono identici a quelli del piano terra, con la differenza
che non sempre sono chiusi superiormente da solai, ma spesso da semplici arellati
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per evitare che il calore si disperda attraverso il tetto. Se invece il sottotetto
dell’abitazione funge da granaio ed è quindi utilizzabile e dotato di piccole finestre, i
solai sono presenti per reggere il peso delle granaglie e il vano scala si prolunga,
anche se le rampe sono più anguste e quasi sempre di legno a vista.
La casa mezzadrile è la tipologia più diffusa, ma esistono anche aggregazioni più
complesse, destinate a ospitare più famiglie o progettate per essere vere e proprie
residenze di campagna: in questo caso vengono spesso aggiunte ali laterali o, se la
struttura rimane a blocco, si utilizzano travi lignee più lunghe per aumentare la
dimensione dei vani interni, la tessitura muraria è più accurata e sono presenti
decorazioni sia come marcapiano, sia in gronda.
Non mancano infine gli esempi di abitazioni affiancate da piccoli oratori di famiglia,
costruite sovente in corti di dimensioni ragguardevoli.
Se si fa riferimento alla gestione economica dell’azienda agricola l’abitazione può
ricondursi a due tipi fondamentali: l’una, la casa per braccianti, organizzata
secondo due cellule sovrapposte, talvolta raddoppiate in profondità, con accessi
sui due lati dell'edificio per creare unità abitative indipendenti, e accorpate in linea
in modo da costruire edifici seriali di dimensione trasversale costante: le famiglie dei
braccianti erano più piccole di quelle dei mezzadri perché sopravvivevano a fatica
con il salario del lavoro stagionale e, vivendo in affitto, occupavano uno o due vani.
L’altro tipo di abitazione, la casa per mezzadri o fattori (famiglie numerose
organizzate in modo patriarcale), più articolata ma ancora con pianta a forma
rettangolare, è costituita da tre cellule base (cassi o casseri) affiancate
longitudinalmente: nel cassero centrale è collocato l'ingresso (con accesso da sud)
che si caratterizza come un connettivo orizzontale, detto "portico" già nel periodo
estense (denominazione che si trova sui documenti degli agrimensori ferraresi e
modenesi); ai due lati si collocano i vani abitabili, di cui almeno uno è adibito a
cucina con il camino posto tra le due finestre esposte a sud. Il portico è uno spazio
comune in cui si svolgono attività domestiche come la tessitura.
Quando il modulo "vano-connettivo-vano" (tre casseri) viene raddoppiato in
profondità (oltre i due terzi dei casi esaminati), i vani posti a nord vengono adibiti
quasi sempre a spazi di servizio, quali legnaie, deposito degli attrezzi agricoli,
ricovero per animali domestici. Sono vani esposti a nord che frequentemente non
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presentano una sola finestra per limitare, con ogni probabilità, le dispersioni
termiche.
Non di rado si riscontra un affiancamento alla casa “mezzadrile” di moduli a cellule
sovrapposte destinati ad accogliere i “famigli” (famiglie congiunte di fratelli
coniugati, ad esempio) che affiancavano il mezzadro nella conduzione del fondo, e
successivamente, con l’introduzione del contratto di bovaria, destinati ai salariati
che prestavano la forza lavoro per la conduzione della “possessione”.
La copertura delle abitazioni è spesso a due acque e su tutte le facciate si rilevano
cornicioni aggettanti realizzati con due o tre corsi di mattoni sfalsati fra loro e
sporgenti rispetto al piano del paramento murario esterno.
2.2.4. Cenni agli edifici accessori
Accanto all’abitazione e alla stalla-fienile, gli edifici più importanti della corte, sono
presenti altri fabbricati di dimensioni minori, ossia il complesso di porcile, pollaio e
forno. Non sempre si sono conservati nel tempo, a causa dell’abbandono delle corti
agricole e alla debolezza delle strutture.
Talvolta il complesso dei proservizi si trova giustapposto all’abitazione o a essa
addossato, oppure isolato e disposto attorno all’aia. La forma costruttiva più
semplice è quella costituita da un edificio unico, in cui il forno ha la bocca rialzata
dal piano di campagna, sotto il quale è presente il vano per la legna affiancato al
porcile cui si sovrappone il pollaio; il piccolo fabbricato è dotato di una tettoia o un
portico antistante e, talora, è interessante dal punto di vista architettonico per la
presenza di elementi decorativi. Nelle forme più complesse è presente un piano
rialzato, accessibile da una scaletta esterna, che ospita la colombaia. In alcuni casi
il forno e il complesso porcile-pollaio sono separati.
Nelle corti di maggiore ampiezza e di funzionamento più complesso è presente
anche la casella, ossia un deposito per gli attrezzi e le balle di fieno; essa non
raggiunge quasi mai, come detto, le dimensioni e l’importanza che assume la
barchessa nel territorio lombardo-veneto.
La casella è un fabbricato rettangolare, su pilastri, con campata unica sul lato corto
e due o più campate sul lato lungo; il lato nord è quasi sempre tamponato per
riparare l’edificio dai venti e la costruzione è in mattoni, con pilastri a tre o più teste
legati con malta. La copertura, di solito a due acque, è realizzata con travi lignee o
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con capriate, ed ha il sottomanto in tavole lignee o tavelle e coperto in coppi
ferraresi.
2.2.5. Materiali e tecnologie costruttive
I materiali fondamentali sono due: il legno locale per le strutture orizzontali (solai) e
inclinate (coperture) e i laterizi, prodotti in numerose fornaci sparse sul territorio ed
anche nelle golene.
Il legno impiegato per le strutture orizzontali e quelle inclinate di copertura è di
modeste qualità meccaniche (sugli argini dei fiumi abbondavano il pioppo, il salice,
il rovere, le querce di pianura) e di limitato sviluppo del fusto con sezione
abbastanza costante, per cui in molte zone le luci coperte delle abitazioni sono di
dimensioni contenute, attorno ai 4,20-4,60 m. ma talvolta possono raggiungere
anche i 5,00 m.
I solai intermedi sono strutturati a doppia orditura, con le travi principali, due o anche
più, poste parallelamente alla facciata dell'edificio, in modo da insistere sulle
murature con minori aperture rispetto a quelle che delimitavano le facciate
principali (due finestre per vano), i travetti secondari avevano un passo differente in
funzione della soluzione adottata per il piano di calpestio: con le tavelle di cotto
(mattoni ferraresi più sottili) si aveva un passo di circa 30 cm. mentre con l’assito
regolare (meno diffuso perché più oneroso) il passo aumentava. Stessa tecnologia
veniva usata per la realizzazione delle coperture: da una serie di travi
monodirezionali, parallele alla facciata principale, sormontate da travetti secondari
raffittiti per portare le tavelle di cotto che costituivano il piano di appoggio continuo
del manto di copertura in coppi, o, più raramente, posti a distanza maggiore e
sormontati da un assito con tavole lignee più o meno regolari.
Nelle abitazioni le murature continue sono costantemente di due teste, almeno nelle
membrature perimetrali, mentre si rilevano casi anche di una sola testa nelle
murature interne.
Pochi e semplici erano gli elementi di decoro: il davanzale era talora realizzato con
un corso di mattoni inclinato verso l’esterno ed il cornicione presentava una
sporgenza di due o tre corsi di mattone (di circa 4-5 cm. dal filo della muratura per
ogni corso) in modo che i coppi sporgessero a loro volta facendo cadere l’acqua
un po’ lontano dalla muratura.
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Anche nelle stalle il laterizio assume un ruolo importante sia per realizzare i pilastri che
si stagliano snelli, sia per realizzare le murature di chiusura della stalla o di altri vani
accessori, sia per realizzare le gelosie.
I pilastri della stalla-fienile sono posti ad interasse molto variabile (fra i 3,60 a i 5,80
m.); il vano destinato a stalla è chiuso sui quattro lati da muratura a due teste posta
fra i pilastri interni posti sul perimetro del vano che ospita gli animali. La copertura del
fienile, a causa delle luci sostenute fra i pilastri, viene realizzata con travi di legno di
sezione notevole. E' abbastanza frequente il ricorso a capriate nelle coperture a
padiglione per mantenere la pendenza omogenea della copertura, ma sono
sempre in numero limitato (una, al massimo due) e possono talvolta presentare
saettoni.
Le membrature verticali di laterizio non si presentano mai organizzate secondo una
tessitura regolare, e mentre i piani delle commessure orizzontali sono abbastanza
regolari risultano, invece, totalmente casuali gli sfalsamenti verticali: tale irregolarità
è imputabile, con ogni probabilità, sia a ragioni economiche (alto costo dei mattoni)
che imponeva anche l’impiego di mattoni spezzati o irregolari che venivano forniti
dalle numerose fornaci sparse nel territorio circostante, sia alla conoscenza del fatto
che le murature continue lavorano staticamente “a massa” e non sono certo le
piccole aperture (porte, finestre) lasciate con regolarità nella muratura che possono
mettere in crisi tale funzionamento.
Una perfetta regolarità di tessitura, infatti, si rileva invece nei pilastri, come quelli dei
portici della stalla-fienile, che sono di sezione quadrata di quattro o cinque teste. Il
trattamento costantemente diverso della tessitura della muratura continua
(irregolare), e delle strutture puntiformi (regolari), consente di affermare che non era
carente la conoscenza delle risposte prestazionali del materiale laterizio alle
sollecitazioni meccaniche verticali, ma si faceva affidamento sull'effetto massa solo
nel caso di comportamento a struttura continua, mentre la concentrazione dei
carichi su un'area limitata come quella di un pilastro di mattoni (si può
tranquillamente parlare di carichi concentrati dell’ordine di 5-7 tonnellate in funzione
dell’area di influenza di ciascun pilastro), imponeva un'accurata posa in opera dei
mattoni stessi secondo criteri di sfalsamento regolare dei giunti, che creavano, a
causa della loro posizione, un legame forte e duraturo in tutto lo sviluppo verticale
dell'elemento tecnico costruito. A conferma di quanto esposto si rileva diffusamente
una tessitura irregolare nelle murature a due teste che costituiscono l’involucro del
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vano stalla: la muratura irregolare veniva messa a ridosso della muratura a tessitura
regolare dei pilastri.
Si trovano, infine, soluzioni di pilastri doppi in corrispondenza dell’ingresso alla stalla:
sono raddoppiati sia i pilastri sul bordo esterno del portico sia quelli interni in
corrispondenza della muratura della stalla. Non di rado questi pilastri sono uniti alla
base ed in sommità da muratura munita, talvolta, di eleganti soluzioni a muratura
curva.
In certe zone dell’Alto Ferrarese, specialmente nel territorio di Poggio Renatico,
vengono usate travi incurvate di dimensioni ragguardevoli, ricavate da alberi
appositamente coltivati, chiamate cavalle. Esse sostengono una serie concentrica
di travi secondarie e infine il piano sottomanto, che può essere in tavole di legno o
tavelle.
Il solaio, costruito sulle murature perimetrali e su pilastri o colonne fiancheggianti la
corsia centrale: in alcuni casi si trova ancora la doppia orditura lignea, ma spesso è
realizzato con profili di acciaio e voltine in foglio, a botte o a cupola ribassata: la
presenza di laterizi e travi metalliche al posto del legno garantisce, oltre a una
maggiore portanza, anche un riparo per i bovini contro eventuali incendi che
dovessero propagarsi nel fienile.
La maggior parte dei fienili nel territorio dell’Alto Ferrarese ha prospetti semplici,
senza elementi decorativi, ma sono frequenti anche gli edifici in cui il portico è
arricchito da archi – a tutto sesto o a sesto ribassato – o con pilastri accoppiati,
dotati di piccoli capitelli geometrici o a doppio ordine. Anche la cornice di
coronamento, che di norma è costituita da un dormiente ligneo, talvolta è
scalettata o con file di mattoni disposti a spina di pesce. Sono presenti anche
esempi di fienili intonacati con decorazioni in stucco: maggiore è l’importanza della
corte e più ricco il territorio, maggiore è la cura con cui le stalle-fienile sono
progettate.
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2.3 LE SCHEDE DI RILEVAMENTO
2.3.1. Analisi dei contenuti
Per meglio individuare i caratteri tipologici delle corti e dei singoli edifici presi in
considerazione, nel tempo e grazie a studi già effettuati sulle corti agricole di diverse
zone del territorio ferrarese, sono state elaborate alcune tabelle tematiche che
sintetizzano i caratteri tipologici rilevanti dell’architettura rurale.
Le categorie prese in considerazione per la descrizione delle corti e dei fabbricati
sono diverse e coprono diversi ambiti distributivi e costruttivi degli organismi.
Alcune delle specificità evidenziate si riferisce sia all’edilizia abitativa che produttiva,
mentre altre caratteristiche ineriscono solo a una delle due.
2.3.1.a. Considerazioni – Organismo edilizio – architettonico
Tale caratteristica tipologica prende in considerazione l’organizzazione planimetrica
della corte e dell’edificio, e l’impianto geometrico del fabbricato: le categorie
graficizzate negli schemi semplificati derivano dai lunghi studi svolti sull’architettura
rurale, sia dal punto di vista bibliografico, sia grazie all’osservazione diretta dei
contesti e al rilievo speditivo effettuato su un certo numero di manufatti.
Come si può vedere dai grafici, l’impianto distributivo complessivo è comune ad
architettura residenziale e produttiva e identifica la disposizione degli edifici nella
corte, mentre differenti sono gli schemi distributivi delle singole tipologie edilizie che,
come si è detto in precedenza, corrispondono ai più comuni tipi aggregativi.
Per la casa di abitazione, si hanno il cassero semplice, il cassero doppio, la casa del
bracciante e quella del mezzadro e altri schemi meno comuni ma rintracciabili sul
territorio. Per il fienile, invece, la distinzione tra l’impianto si fa sul numero e la
posizione del portico.
Dal punto di vista altimetrico-volumetrico vengono individuate le tipologie più
diffuse; in particolare, nel fienile ha un ruolo la presenza di un solaio intermedio.
2.3.1.b. Considerazioni – Sistemi costruttivi
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Il fabbricato preso in esame può essere analizzato dal punto di vista dei sistemi
costruttivi, ossia degli elementi che costituiscono le strutture portanti orizzontali e
verticali.
La tradizione costruttiva del territorio alto-ferrarese, ma anche di tutta la zona
padana che storicamente non ha a disposizione cave di materiali lapidei né boschi
di legno pregiato, ha nel laterizio l’elemento basilare della cultura costruttiva delle
strutture portanti verticali, mentre per i solai e le coperture è tradizionalmente usato il
legno di pioppo.
Oltre alla tipologia dei materiali utilizzati, molto importante è il modo in cui sono usati
per la costruzione degli edifici rurali: in questa parte dello schema sinottico vengono
perciò distinte le fondamentali caratteristiche degli schemi costruttivi, suddivisi in
elementi di fabbrica portanti verticali (setti murari e pilastri) e orizzontali (solai e
coperture).
Per quanto concerne i sistemi costruttivi verticali, si sono presi in considerazione la
tessitura muraria delle pareti portanti – tradizionalmente a due teste e più raramente
a tre teste – e lo spessore dei pilastri portanti, presenti prevalentemente nei portici
delle stalle-fienili e nelle caselle.
Riguardo i sistemi portanti orizzontali, essi si suddividono in solai e copertura. Riguardo
i solai, tradizionalmente la suddivisione è tra strutture in laterizio e strutture di legno.
Le prime sono caratteristiche dei solai a voltine o a volte, tipici delle stalle, mentre
l’orditura lignea è maggiormente riscontrabile nella tipologia residenziale. In epoche
più recenti sono stati maggiormente usati i solai di laterocemento o altri materiali
non
pertinenti
l’architettura
storica,
che
sono
anch’essi
presenti
nella
schematizzazione proposta.
La copertura, fatti salvi i casi in cui siano stati effettuati interventi recenti, è
tradizionalmente composta da un’orditura lignea portante, su cui viene impostato il
piano di posa del manto di copertura, che può essere di tavelle in cotto o tavolato
di legno.
Se per l’edilizia residenziale, date le luci limitate, è frequente che l’orditura portante
sia composta di travi principali e travetti secondari, nei fienili non di rado si trovano
capriate semplici o con saettoni, per coprire campate maggiori.
2.3.1.c. Considerazioni – Sistemi distributivi funzionali
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L’edilizia
residenziale
rurale
è
caratterizzata,
oltre
che
dalla
distribuzione
planimetrica, anche dall’impianto altimetrico: raramente essa supera i tre piani e
solo in rari casi, quelli in cui l’edificio sia una residenza di importanza rilevante,
l’ultimo piano ha una funzione abitativa. Molto spesso infatti esso era adibito a
granaio, con la copertura a vista e piccole finestre senza telai a vetri che avevano
la funzione di garantire la ventilazione, per evitare che le granaglie marcissero.
Vi sono inoltre elementi di fabbrica puntuali, sempre presenti nel fabbricato, che
connotano gli interni e che hanno posizioni diverse a seconda della tipologia: essi
sono il corpo scale e i camini. Il primo, nella tipologia più comune della casa
mezzadrile, occupa uno degli ambienti affiancati al portico passante, mentre negli
impianti più semplici è a giorno e situato in una delle stanze di abitazione.
Il camino, dato che nella maggior parte dei casi le finestre si trovano agli spigoli
degli ambienti, occupa la porzione centrale di muratura ed è addossato alle
facciate principali; nel territorio di Poggio Renatico, che subisce l’influenza dei tipi
edilizi bolognesi, non è infrequente invece che le stanze siano illuminate da una
singola finestra centrale: in questi casi il camino occupa le pareti laterali ed è
sempre centrale rispetto al perimetro del vano.
2.3.1.d. Considerazioni – Sistemi morfologico - funzionali
Scendendo maggiormente nel dettaglio dell’impianto architettonico, nell’edilizia
rurale sono presenti elementi puntuali, formali e funzionali, che identificano i tipi
edilizi, siano essi a vocazione residenziale che produttiva.
Grande importanza assume la forma degli accessi pedonali e carrabili, distinguibili
dalla forma rettangolare o con arco soprastante, che di norma è a tutto sesto o a
sesto ribassato (ma non mancano aperture di forma ogivale, specie negli edifici sorti
o restaurati a fine Ottocento).
Caratterizzanti sono anche le bucature delle finestre e delle aperture di piccole
dimensioni per dare luce e aria agli interni: le finestre delle abitazioni hanno spesso
una proporzione simile alla sezione aurea, anche se è difficile dire se esista un
pensiero progettuale dietro questa circostanza o se l’armonia delle dimensioni di
larghezza e altezza sia frutto dell’esperienza costruttiva. Importante è la presenza di
gelosie nei fienili, ossia di piccole aperture disposte a grata e ricavate con l’uso
decorativo dei mattoni o, più recentemente, con formelle di cotto appositamente
prodotte.
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Altri elementi formali e funzionali importanti sono la stereometria della copertura, la
presenza e la forma dello sporto di gronda, la presenza di basamenti e la morfologia
dei portici.
2.3.1.d. Considerazioni – Elementi costruttivi di base
Dov’è possibile accedere all’interno dei fabbricati e osservarne gli aspetti di cultura
materiale più minuta, è interessante annotare la finitura delle chiusure verticali, l’uso
dei materiali di pavimentazione e di copertura. Essendo, come già visto, i materiali
tradizionali di costruzione il cotto e il legno, si troveranno essenzialmente finiture che li
utilizzano
2.3.2. I criteri di analisi impiegati
I criteri di studio analitico riportati al punto precedente relativi alla organizzazione
delle corti e delle tipologie edilizie sviluppati per un’analisi approfondita sono stati
riorganizzati in modo sintetico per poter essere agevolmente utilizzati per la
definizione dei caratteri tipologici degli insediamenti di valore architettonico e
storico-testimoniale dell’architettura rurale dell’Alto Ferrarese.
Sono stati pertanto elaborati alcuni strumenti di lavoro che consentono di
individuare le corti sul territorio, classificarle secondo le loro caratteristiche
identificative e quindi raggrupparle per distribuzione geografica ed elementi
distintivi; allo stesso tempo, vengono analizzati i singoli edifici che compongono le
corti prese in esame evidenziando i caratteri tipologici distintivi e schematizzandoli in
una tabella che li individua con schemi grafici.
Per semplicità, sono state prese in considerazione solo alcune delle caratteristiche
costruttive tipiche dell’architettura rurale, non dimenticando che i fabbricati sono da
analizzare caso per caso nella loro unicità; tuttavia l’estensione del territorio, il
numero di corti e la necessità di prenderle in considerazione per la loro futura tutela
impongono di semplificare e sistematizzare gli elementi di maggiore importanza per
garantire una lettura più possibile esauriente del patrimonio architettonico rurale
dell’area esaminata.
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Il rilevamento dei caratteri tipologici e tecnologici degli edifici è avvenuto tramite
l’uso di una scheda organizzata che consente di individuare facilmente tipo e
connotazioni della costruzione.
La scheda è divisa in due parti per evidenziare le connotazioni caratteristiche dei
due edifici principali (produttivo e residenziale):
A – Organismo edilizio architettonico – comprende informazioni su:
ƒ
ƒ
impianto planimetrico e altimetrico
-
a livello edilizio (organizzazione della corte rurale)
-
a livello architettonico (organizzazione degli spazi interni)
-
a livello altimetrico (suddivisione in funzione dei piani fuori terra)
elementi di fabbrica portanti
-
portanti continui (tipi di murature)
-
portanti discontinui (tipi di pilastri)
B – Sistemi morfologico funzionali – comprende informazioni su:
ƒ
elementi di fabbrica puntuali (posizione scala e camino),
ƒ
elementi di fabbrica formali e funzionali (accessi, aperture, stereometria delle
coperture).
La scheda, volutamente sintetica, è differenziata per edifici produttivi e per
edifici residenziali: le differenze riguardano aspetti specifici dei due edifici e delle
rispettive destinazioni d’uso.
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SCHEDA DI RILEVAMENTO – EDIFICI PRODUTTIVI
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SCHEDA DI RILEVAMENTO – EDIFICI RESIDENZIALI
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2.4. SCOMPOSIZIONE DEI CARATTERI TIPOLOGICI RILEVATI
ESPLICAZIONE DELLA GRAFICA CONTENUTA NELLE SCHEDE
A. ORGANISMO EDILIZIO-ARCHITETTONICO
A.1. Impianto planimetrico della corte colonica
Corte rurale aggregata o a scacchiera: edificio produttivo, edificio residenziale,
edifici di servizio (casella, forno, porcile).
Aggregazione a elementi giustapposti con allineamento laterale.
Aggregazione a elementi separati con allineamento laterale.
Aggregazione a elementi giustapposti con allineamento assiale.
Aggregazione a elementi separati con allineamento assiale.
Aggregazione con elementi a disposizione diversificata.
Edificio produttivo (stalla-fienile) isolato (attualmente).
Abitazione isolata (attualmente).
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A. ORGANISMO EDILIZIO-ARCHITETTONICO
A.2. Impianto planimetrico degli edifici residenziali
Cellula base (cassero) con ingresso su un lato del fronte. Larghezza del
cassero mediamente non superiore a 5 m.
Sull’altro lato del vano è collocata una finestra.
Cellula base raddoppiata sul linea longitudinale (due casseri).
Il modulo senza porte ha due finestre ai lati.
Accoppiamento di cellula base con mezza cellula (un cassero e mezzo).
Il modulo senza porte ha due finestre ai lati.
Due cellule base con mezza cellula centrale (due casseri e mezzo). Accesso
dal mezzo cassero centrale. La casa mezzadrile presente tre casseri affiancati.
I due moduli senza porte hanno due finestre ai lati.
Due cellule base con accesso sul fronte trasversale.
Soluzione di raddoppio in profondità della cellula base.
Raddoppio di due cellule e mezzo in profondità. L’accesso è realizzato nel
mezzo cassero da cui si accede ai vani laterali. Di solito c’è una porta
secondaria opposta all’accesso per comunicare con lo spazio aperto
retrostante.
Raddoppio in profondità dei tre casseri. Si accede alla casa dal cassero
centrale (portico) che ha anche una porta posteriore.
E’ la tipologia della casa mezzadrile più diffusa.
Soluzione poco diffusa che riprende tipologie dell’area bolognese.
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A. ORGANISMO EDILIZIO-ARCHITETTONICO
A.3. Impianto planimetrico degli edifici produttivi
Edificio produttivo (stalla-fienile) con portico laterale.
Edificio produttivo (stalla-fienile) con portici su due lati paralleli.
Edificio produttivo (stalla-fienile) con portici su tre lati.
Edificio produttivo di servizio (casella).
Edificio produttivo (stalla-fienile) con portici su due lati contigui.
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A. ORGANISMO EDILIZIO-ARCHITETTONICO
A.4. Impianto altimetrico degli edifici produttivi
Edificio produttivo (stalla-fienile) con portici a tutt’altezza.
Edificio produttivo (stalla-fienile) con un portico a tutt’altezza e ed uno
suddiviso da solaio intermedio.
Edificio produttivo (stalla-fienile) con un portico a tutt’altezza.
Edificio produttivo (stalla-fienile) con solaio crollato, totalmente o parzialmente.
Edificio produttivo costruito con criteri funzionali e tecnologici del ‘900.
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A. ORGANISMO EDILIZIO-ARCHITETTONICO
A.5. Impianto altimetrico degli edifici residenziali
Edificio residenziale a due piani.
Edificio residenziale composito: una parte ad un piano ed una parte a due
piani.
Edificio residenziale a un piano.
Edificio residenziale a tre pian o a due piani e sottotetto.
Edificio residenziale composito: una parte ad due piani ed una parte a tre piani.
Edificio residenziale a due piani ma con andamento differenziato del tetto.
Edificio residenziale contenuto nell’edificio produttivo.
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A. ORGANISMO EDILIZIO-ARCHITETTONICO
A.6. Elementi di fabbrica portanti – Elementi verticali continui
Muratura portante ad una testa.
Si può trovare come struttura di divisione di spazi interni negli edifici
residenziali.
Muratura portante a due teste a tessitura regolare.
Raramente rilevabile nelle costruzioni rurali tradizionali.
Muratura portante a due teste a tessitura irregolare.
Tessitura diffusa sia negli edifici residenziali che negli edifici produttivi.
Muratura intonacata.
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A. ORGANISMO EDILIZIO-ARCHITETTONICO
A.7. Elementi di fabbrica portanti – Elementi verticali discontinui
Pilastro ligneo (collocazione nella stalla a sorreggere solaio del fienile).
Si può trovare sollevato dal piano di appoggio tramite alcuni corsi di mattoni.
Pilastro di mattoni a due teste, di solito a sezione quadrata ma non di rado
realizzato con mattoni a lunetta (collocazione nella stalla a sorreggere solaio
del fienile). Talvolta è intonacato e presenta spigoli smussati. Spesso è ornato
con capitelli.
Pilastro di mattoni a tre teste.
Pilastro di mattoni a quattro teste.
Sono i pilastri più diffusi. Sono spesso ornati con capitelli realizzati con uno o
più corsi di mattoni sporgenti.
Pilastro di mattoni a cinque teste.
Sono sempre ornati con capitelli realizzati con uno o più corsi di mattoni
sporgenti.
Pilastro di mattoni a sei teste.
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B. SISTEMI MORFOLOGICO-FUNZIONALI
B.1. Elementi di fabbrica puntuali – Copertura
Copertura lignea con travi principali parallele alla facciata (soluzione diffusa in
tutta la pianura).
Si rileva nella abitazione e nelle caselle.
Copertura a capriata.
Si rileva nelle stalle.
Copertura a triangolo indeformabile.
Si rileva negli edifici produttivi (raramente).
Copertura a doppia orditura con travi grezze non sagomate.
Dettaglio costruttivo.
Copertura di portico con struttura triangolare negli edifici produttivi.
Copertura di edificio produttivo con capriata centrale e doppia orditura sui
portici.
Copertura di edificio produttivo con capriata centrale e doppia orditura sul
portico.
Copertura di casella con capriata.
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B. SISTEMI MORFOLOGICO-FUNZIONALI
B.2. Elementi di fabbrica formali e funzionali – Accessi
Accesso all’edificio residenziale con piattabanda.
Accesso all’edificio residenziale con lunetta.
Accesso all’edificio produttivo con architrave.
Accesso all’edificio produttivo con arco a sesto ribassato.
Soluzione rilevata con grande frequenza.
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B. SISTEMI MORFOLOGICO-FUNZIONALI
B.3. Elementi di fabbrica formali e funzionali – Aperture
Finestre rettangolari (abitazioni).
Si trovano edifici in cui il rapporto fra altezza e larghezza è riconducibile al
rapporto aureo della classicità (rapporto di circa 1,61)
Le finestre al piano primo delle abitazioni vengono raramente rimaneggiate.
Finestre rimaneggiate.
Di solito si trovano al piano terra delle abitazioni.
Finestre molto rimaneggiate in larghezza.
Aperture in corrispondenza delle poste nelle stalle.
La soluzione è a piattabanda leggermente arcuata.
Aperture in corrispondenza delle poste nelle stalle.
La soluzione è a piattabanda orizzontale.
Aperture in corrispondenza delle poste nelle stalle.
La soluzione è a lunetta.
Muratura esterna dei fienili realizzata con aperture a gelosia.
Proteggono il fieno dalle intemperie (e dai rischi di fermentazione) e nel
contempo consentono la aerazione del vano.
Aperture nel sottotetto: possono essere rettangolari o ellittiche o , più
raramente, rotonde.
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B. SISTEMI MORFOLOGICO-FUNZIONALI
B.4. Elementi di fabbrica formali e funzionali – Stereometria delle coperture
Copertura a due acque simmetrica.
Copertura a due acque asimmetrica.
Copertura a quattro acque.
Edifico a corpi giustapposti. Copertura a tre acque della stalla e copertura a
due acque nell’abitazione.
Copertura a padiglione.
Copertura a tre acque.
Copertura a quattro acque con spiovente pronunciato su un lato corto.
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3. ANALISI DEGLI INSEDIAMENTI DI VALORE ARCHITETTONICO E STORICO-TESTIMONIALE
3.1. Schede di analisi delle corti nei vari territori comunali
La scomposizione degli elementi caratteristici delle costruzioni rurali, frutto di anni di
esperienza di studio dell’edificato diffuso nel territorio ferrarese ha portato, come si è
visto, all’individuazione di numerose caratteristiche morfologiche, che sono state
graficamente sintetizzate.
L’analisi effettuata sulle corti dell’Alto Ferrarese ha preso in considerazione centinaia
di insediamenti rurali ed è stato necessario semplificare le tabelle di individuazione
degli elementi costruttivi, riducendo il numero di evidenze prese in considerazione e
Tabella delle caratteristiche costruttive degli edifici di abitazione
suddividendo gli schemi per tipologia insediativa: se la prima parte relativa
all’impianto della corte è comune, differenti invece sono le aree dedicate
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all’organismo architettonico e ai sistemi funzionali, suddivise in abitazione ed edifici
produttivi.
La tabella di individuazione degli elementi architettonico-costruttivi è la parte più
importante della scheda di individuazione e analisi delle corti e degli edifici rurali
nell’Alto Ferrarese.
La scheda infatti si compone di diversi elementi, che permettono di collocare corte
e fabbricato sul territorio indicandone il Comune in cui si situa, l’indirizzo, il toponimo
Esempio di scheda di analisi dell’architettura rurale dell’Alto Ferrarese
se esiste, la posizione catastale. Vengono poi inserite due immagini per identificare
l’edificio: la foto aerea e una foto d’insieme. Infine, sono presenti la scheda di analisi
e sintesi e una breve descrizione dello stato di fatto: è interessante notare che
questa parte di scheda contiene già considerazioni che vanno oltre la semplice
descrizione poiché contengono un giudizio sullo stato di conservazione, sulla
presenza
di
elementi
caratteristici
dell’architettura
tradizionale,
sul
valore
architettonico e testimoniale del fabbricato.
Si tratta perciò di un elemento di novità rispetto a una tradizionale schedatura, per
due ragioni: graficizza le caratteristiche precipue dell’architettura che si prende in
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esame ed esprime un giudizio di merito, che può abbozzare le prime indicazioni
progettuali e di conservazione per tutelare i beni censiti.
3.2 Tavole di distribuzione degli elementi tipologici sul territorio
Le corti incluse nel censimento sono state individuate grazie al documento
preliminare del PSC dell’Associazione intercomunale dell’Alto Ferrarese, che include i
Comuni di Bondeno, Cento, Mirabello, Poggio Renatico, Sant’Agostino e Vigarano
Mainarda.
Le corti censite sono quelle che hanno valore architettonico e valore storicotestimoniale. Le prime, che sono numericamente la minoranza, hanno maggiore
importanza dal punto di vista distributivo, storico e decorativo mentre le seconde,
presenti in numero molto più elevato, hanno valore in quanto testimonianza della
tradizione costruttiva e insediativa.
Accanto alla schedatura dei singoli edifici facenti parte delle corti agricole, si è
ritenuto di notevole interesse sintetizzare la distribuzione tipologica e morfologica di
corti e fabbricati sul territorio, attraverso la stesura di tavole grafiche di sintesi,
ottenute sulla base delle Carte Tecniche Regionali.
Come si è visto, molteplici sono i caratteri distintivi dell’architettura rurale e sarebbe
stato impossibile dare a ognuna una rappresentazione grafica perciò si è proceduto
a semplificazioni dell’analisi che consentono comunque di distribuire le corti
secondo i loro principali elementi distintivi.
Nel caso in cui nella stessa corte siano presenti più edifici aventi la medesima
funzione, sia residenziale sia produttiva, è stato individuato il fabbricato che svolge la
funzione in maniera principale: a questi edifici vanno riferite le caratteristiche
morfologiche da analizzare e in base alla loro disposizione spaziale reciproca viene
determinata la tipologia di corte.
Allo stesso scopo, per determinare la tipologia degli alzati, si prende in esame la sola
facciata principale, intendendo per tale generalmente quella sud, sia per gli edifici
residenziali sia produttivi o, per questi ultimi, quella con il portico.
Non vengono invece prese in considerazione la stereometria delle coperture, né la
disposizione e funzione dei locali interni, i materiali costitutivi e la collocazione dei
camini. Tali caratteristiche sono infatti presenti nelle schede analitiche delle singole
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fabbriche, ma risultano ridondanti per la distribuzione statistica delle corti sul territorio
alto-ferrarese.
Riconosciuti gli edifici principali bisogna ricondurli all’archetipo originale, depurando
l’analisi dalle eventuali modifiche morfologiche e strutturali avvenute nel tempo,
tanto più evidenti quanto più lungo e intensivo è stato l’uso delle fabbriche.
L’operazione è possibile grazie all’osservazione dei materiali costituenti gli edifici: ad
esempio, nei fabbricati a vocazione produttiva si riconoscono quelli di recente
utilizzo a tamponamento dei portici e quale sia la tipologia originaria.
Non di tutte le corti sono stati individuati con precisione la tipologia e la distribuzione
originari: in caso di pesanti ristrutturazioni o di abbandono con crolli parziali, la lettura
viene compromessa.
Le tavole grafiche sono composte dalla planimetria del Comune cui sono riferite, da
alcune schede di sintesi delle caratteristiche distributive delle corti e dei singoli
fabbricati, dai diagrammi che sintetizzano le statistiche di distribuzione degli edifici
sul territorio e da una legenda.
La schedatura viene condotta secondo differenti criteri di lettura: i rapporti spaziali e
distributivi tra gli edifici appartenenti alla stessa corte sono evidenziati da una
codifica cromatica, i caratteri elementari dei singoli organismi da una codifica
alfanumerica.
La codifica cromatica utilizza i seguenti colori:
-
GIALLO, per la disposizione definita “a corte aperta”, quando l’edificio
residenziale è posto ortogonalmente rispetto quello produttivo ed entrambi
affacciano su un medesimo spazio, ossia l’aia;
-
ROSA, quando non c’è ortogonalità tra gli edifici e l’aia presenta una forma
irregolare; questa disposizione “a corte aperta” risulta “casuale”;
-
VERDE, quando l’edificio residenziale, separato da quello produttivo, si
presenta allineato ad esso rispetto a uno dei fronti principali;
-
VIOLA , quando gli edifici principali sono allineati su assi di simmetria
preferenziali col lato maggiore sempre orientato a meridione;
-
ROSSO, per un unico edificio a elementi giustapposti, aventi funzione di
abitazione e stalla, i cui accessi sono allineati sul fronte principale;
-
BLU, per un unico edificio a elementi giustapposti, aventi funzioni di abitazione
e stalla, i cui accessi sono ortogonali tra loro;
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-
AZZURRO, per un edificio isolato nella corte, che svolge un’unica funzione,
residenziale o produttiva.
GIALLO
ROSA
VERDE
BLU
ROSSO
VIOLA
AZZURRO
La codifica alfanumerica è differente per gli edifici residenziali e per quelli produttivi.
Edifici residenziali:
-
R1, per abitazioni di dimensioni pari a un “cassero” sia nella forma singola sia
nella composizione ottenuta dal “raddoppio laterale” di due o più moduli
base; questi edifici sono costruiti per ospitare in ogni singola unità una famiglia
di braccianti;
-
R2, per abitazioni a tre moduli aventi una loggia centrale di larghezza pari a
mezzo “cassero” e le stanze laterali di larghezza pari a un “cassero”;
contraddistinte dallo sviluppo su tre piani, tali abitazioni sono adatte a
contenere famiglie di coltivatori;
-
R3, per abitazioni a tre moduli nella composizione “cassero”- mezzo “cassero”“cassero” utilizzate come alloggio per la famiglia del mezzadro;
-
R4, per abitazioni a due moduli che presentano una stanza di larghezza pari a
un “cassero” abbinata ad un corridoio laterale di larghezza pari a mezzo
“cassero”; mediante un “raddoppio laterale” (con varianti nella disposizione
degli ambienti) si ottengono edifici adatti ad ospitare due famiglie distinte;
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-
R5, per abitazioni a tre moduli tutti di dimensioni pari a un “cassero” aventi
una loggia centrale di larghezza uguale a quella degli ambienti laterali;
possono presentare l’aggiunta di un piano nel sottotetto caratterizzato da
finestre ribassate.
Tutti gli edifici residenziali hanno un primo piano ottenuto mediante il “raddoppio in
altezza” per favorire le condizioni di salubrità degli ambienti dove dormire.
Per ogni tipologia sopra elencata esistono due varianti, “a” e “b”, contraddistinte
dal fatto che avvenga o meno il “raddoppio in profondità” dei moduli base. La
tipologia “a” presenta profondità degli edifici pari a un “cassero” (casa
bracciantile), quella “b” pari a due “casseri” (casa mezzadrile). Si ottengo perciò
dieci combinazioni possibili.
Edifici produttivi:
-
P1, per stalle-fienili sprovviste di portico;
-
P2, per stalle-fienili con un portico laterale presente sul lato maggiore
dell’edificio;
-
P3, per stalle-fienili con un portico frontale davanti all’ingresso dell’edificio;
-
P4, per stalle-fienili con due portici laterali presenti su entrambi i lati maggiori
dell’edificio;
-
P5, per stalle-fienili con portico a “L”, ottenuto dalla combinazione di portico
frontale e laterale;
-
P6, per stalle fienili con portico a “C”, ottenuto dalla combinazione di portico
frontale e doppio laterale.
Tale classificazione, ottenuta considerando solo la planimetria degli edifici produttivi,
necessita di uno studio sugli elementi architettonici che caratterizzano il portico.
Si completa la precedente suddivisione planimetrica con la seguente suddivisione
altimetrica degli edifici produttivi:
-
A, quando il portico è composto da pilastri semplici;
-
B, quando il portico presenta “doppi pilastri” cioè composto da coppie di
pilastri ravvicinati tra loro;
-
C, quando il portico è costituito da “doppi pilastri” marcati da archi sia a tutto
sesto sia a sesto ribassato; talvolta lo spazio tra i pilasti viene tamponato
lasciando la tipica apertura a forma di ovale allungato;
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-
D, quando il portico è caratterizzato da arcate sia a tutto sesto sia a sesto
ribassato.
Si ottengono pertanto ventiquattro combinazioni.
Gli edifici a elementi giustapposti vengono classificati analizzando sia la parte
residenziale sia quella produttiva come fossero fabbricati separati: unicamente la
codifica cromatica definisce la loro disposizione in un solo corpo edilizio.
3.3 Le frequenze tipologiche nei vari territori comunali
Per ogni comune si rappresentano con grafici a torta la disposizione della corte, le
tipologie residenziali, quelle produttive (nelle suddivisioni planimetrica e altimetrica);
con grafici a barre le loro possibili combinazioni.
Bondeno
Nel comune di Bondeno, che è il maggiore in estensione dei Comuni facenti parte
dell’associazio
ne
dell’Alto
Ferrarese,
sono
state
individuate
115 corti.
Quasi un terzo
di esse è a
scacchiera,
con gli edifici
raccolti attorno all’aia; è interessante notare tuttavia un particolare non presente
nella cartografia, ma che distingue il territorio bondenese da quello degli altri
Comuni: se la generalità della zona geografica è caratterizzata da una povertà
insediativa diffusa, dovuta al fatto che il Ferrarese è sempre stato invaso dalle acque
e l’uomo ha dovuto lottare costantemente per strappare metro a metro la terra
dalle inondazioni, almeno parte di Bondeno – comunque anch’esso sorto dalle
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bonifiche – risente dell’influenza di zone geografiche più ricche: propaggini del
Comune si insinuano infatti nei territori di Mantova e Modena, storicamente più ricchi
e più stabili dal punto di vista idrogeologico. La premessa è necessaria per osservare
come, a differenza della maggior parte delle corti a scacchiera presenti nell’Alto
Ferrarese, composte prevalentemente di due o tre edifici, nella zona di Bondeno
non è raro trovare corti più grandi e più ricche, in cui spesso ogni edificio è distinto
per funzione: si trovano qui la maggior parte dei forni ancora conservati, dei porcili,
delle caselle.
Tuttavia, si osserva che in questo Comune, come negli altri, sono presenti in gran
numero corti dalla disposizione più semplice e povera: più di due terzi degli
insediamenti si suddividono tra edifici a elementi giustapposti (con netta prevalenza
di quelli giustapposti frontalmente), corti con fabbricati allineati secondo l’asse
mediano o la facciata principale, corti con disposizione casuale ed edifici isolati.
Riguardo la diposizione planimetrica degli edifici residenziali, la metà del campione
è del tipo R3, ossia la tipica casa mezzadrile con loggia di larghezza metà dei casseri
addossati; il 21% è del tipo R4, ossia la casa mezzadrile con ingressi gemelli, mentre
gli edifici rimanenti si suddividono in percentuali simili tra le tipologie R1, R2 e R5.
La distribuzione dei tipi nelle corti vede, ovviamente, una prevalenza di R2 in ogni
tipologia insediativa; la proporzione non vede comunque picchi particolari, ma una
distribuzione pressoché equanime degli impianti distributivi nelle diverse corti.
Riguardo alla suddivisione planimetrica dei fabbricati a vocazione produttiva, si
osserva che il 61% delle stalle-fienili appartiene ai tipi P2 o P3, divisi equamente: si
può certamente affermare che il tipo P3 sia presente nei fabbricati a elementi
giustapposti. La maggioranza degli edifici produttivi è quindi di tipo semplice, con
portico su un solo lato, anche se nel territorio bondenese le dimensioni delle stallefienili è di norma maggiore rispetto a quella riscontrata negli altri Comuni. Il resto del
campione si suddivide in modo piuttosto omogeneo tra le tipologie rimanenti.
L’altimetria degli edifici produttivi è invece varia, con una netta prevalenza dei tipi A
e D, ossia il più semplice e quello relativamente più complesso. Il 15% degli edifici
produttivi è caratterizzato dal portico con doppi pilastri intervallati da aperture a
oculo, mentre l’11% con pilastri raddoppiati: questi tipi caratterizzano le costruzioni
più ricche dal punto di vista decorativo, com’è tipico del Comune.
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Anche per quanto concerne il rapporto tra l’abitazione e la stalla-fienile, si osserva
una distribuzione molto varia dei tipi edilizi riscontrati, segno di una certa varietà
costruttiva.
Si può pertanto affermare che, per la sua posizione geografica e per l’estensione
territoriale, il Comune di Bondeno sia quello che offre la campionatura più
interessante di corti ed edifici.
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Cento
Nel comune di Cento sono state individuate 15 corti.
Studiando come sono disposti gli elementi nella corte, si osserva una netta
maggioranza, con ben
il 60% sul totale, di
edifici con formazione
a
corte
quinto
aperta;
del
un
totale
è
invece occupato da
corti nelle quali edifico
residenziale
fienile
e
stallasono
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giustapposti frontalmente; il restante viene suddiviso quasi equamente tra edifici
singoli, corti aperte con elementi a disposizione casuale e corpi giustapposti
longitudinalmente. Non compaiono casi di corti ad elementi separati sia nella
disposizione allineati sul fronte sia in quella allineati sull’asse.
La prevalenza così massiccia di corti a scacchiera è tipica dell’appoderamento
della Partecipanza Agraria, in cui gli appezzamenti di terreno sono piccoli e le corti
sono composte da edifici di modeste dimensioni ma con la rigorosa distinzione tra
fabbricati residenziali e immobili a vocazione produttiva.
Per quanto riguarda gli edifici residenziali oltre la metà dei casi analizzati,
precisamente il 53%, è della tipologia R3; il 20% è composto dalla tipologia R5; il 13%
da quella R4 mentre i casi R1 ed R2 compaiono entrambi solo per il 7% del totale.
Tutti gli edifici residenziali analizzati presentano la comune caratteristica nell’avere
profondità pari a due “casseri”.
Per gli edifici produttivi il 43% è costituito dalla classificazione P1 tutti della tipologia
A; le classificazioni P2, P3, P5 e P6 occupano ciascuna il 14% del totale mentre della
classificazione P4 non compare alcun caso. Risulta P2 unicamente di tipologia A, P3
composto solo da tipologia D e P6 da
quella B, infine P5 diviso in ugual maniera
tra la tipologia A e quella D.
La classificazione P1 è presente nel 44%
delle
corti
aperte;
P2
e
P3
sono
ugualmente divise tra corti aperte e quelle con edifici giustapposti frontalmente; P5
e P6 compaiono solo in corti aperte. Il 100% dei casi B sono presenti in corti aperte,
così pure i 2/3 della tipologia A che da sola occupa il 64% del totale dei casi
esaminati, mentre gli edifici produttivi con profilo altimetrico D il 21% sempre del
totale. Insistono su corti aperte con elementi a scacchiera 5/8 delle tipologie
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residenziali R3 e 2/3 di quelle R5; la totalità dei casi R4 sono giustapposti frontalmente
con una stalla-fienile. Tutte le corti dove compaiono edifici produttivi P5 e la metà
dei casi delle corti con P1, presentano abitazioni della tipologia R3; proprio
quest’ultima combinazione R3-P1 costituisce il 21% del totale esaminato.
Altre combinazione rilevanti sono quelle tra corti aperte e P1, e quelle tra corti
aperte e R3, che corrispondono rispettivamente al 29% e al 33% del totale dei casi.
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Mirabello
Nel comune di Mirabello vengono analizzate 17 corti. Studiando come sono disposti
gli elementi nella corte, si osserva che gli edifici con formazione a corte aperta sono
il 47%; il 29% sono corti a elementi giustapposti frontalmente; il 12% sono corti a
elementi separati allineati sul fronte, mentre il restante viene suddiviso equamente
tra corti a elementi giustapposti longitudinalmente ed edifici singoli.
Non compaiono casi di corti a elementi separati allineati sull’asse.
Per quanto riguarda gli edifici residenziali la maggioranza è data della tipologia R3,
con il 41% del totale, a seguire le tipologie R4, R1 ed R5 rispettivamente con il 29%,
18% e 12%; mentre della tipologia R2 non è presente alcun caso.
Tutti gli edifici residenziali analizzati presentano la comune caratteristica di avere
profondità pari a due “casseri”.
Per gli edifici produttivi la quota maggiore, cioè il 31%,
è costituita dalla
classificazione P2 tutti della tipologia D; proprio questa altimetria occupa
esattamente il 50% dei casi analizzati.
Un quarto degli edifici produttivi appartiene alla classificazione P4 mentre, con il
13%, sono presenti P1, P3 e P6. Prospetti della tipologia A sono prevalenti nelle
classificazioni P1 e P4.
La combinazione P2-D costituisce il 31% del totale.
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Si osserva che i 4/5 dei casi P2 e ben la metà dei casi D, sono presenti in corti a
elementi giustapposti frontalmente; mentre i 3/4 dei casi P4 e i 3/5 dei casi A,
compaiono in corti aperte con disposizione a scacchiera. La tipologia residenziale
R1 si presenta al 67% in corti a elementi giustapposti frontalmente e con la
medesima percentuale
è abbinata a edifici
produttivi classificati P2.
In
corti
aperte
si
possono ritrovare il 71%
dei casi della tipologia
R3
mentre
residenziali
R5
edifici
sono
unicamente presenti in
corti a elementi separati allineati sul fronte. Il 75% degli edifici produttivi P4 è
abbinato a residenziali della tipologia R3; la combinazione R3-P4 corrisponde al 19%
del totale dei casi esaminati.
Sia 2/5 degli edifici residenziali della tipologia R4 sia 2/3 di quella R1, compaiono
assieme a produttivi classificati P2; entrambe le combinazioni corrispondono al 13%
del totale.
Sia un edificio produttivo della classificazione P2 sia uno della tipologia D appaiono
nella disposizione a elementi giustapposti frontalmente nel 25% del totale dei casi,
mentre un edificio residenziale R3 è presente in una corte aperta nel 29% dei casi.
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Poggio Renatico
Nel comune di Poggio Renatico sono state individuate 84 corti.
Analizzando la disposizione degli edifici nella corte non si osservano maggioranze
significative; la formazione con edifico produttivo e residenziale giustapposti
frontalmente, occupa, con il 29%, il maggior numero dei casi. Altre disposizioni
rilevanti
sono
quella
a
corte aperta, che occupa
il 23% del totale, quella a
elementi separati allineati
sul fronte con
il 20% e
quella a edifici singoli con
il 14%. Corti a elementi
separati allineati sull’asse,
corti
con
giustapposti
edifici
lateralmente
e corti aperte con edifici a disposizione casuale occupano rispettivamente il 7%, 5%
e 2%.
Per gli edifici residenziali la quota maggiore, con il 49%, è rappresentata dalla
tipologia R3; il 18% da R1; il 15% sia dalla tipologia R4 sia da R5, mentre solo il 3% dai
casi da R2. Sono rari gli edifici residenziali analizzati che hanno profondità di un solo
“cassero” e corrispondono al 5% del totale.
Per gli edifici produttivi il 41% è costituito dalla classificazione P2; rispettivamente il
27% e 23% del totale sono costituiti dalle classificazioni P4 e P1; P3 compare nel 7%
dei casi mentre la classificazioni P5 e P6 compaiono entrambi solamente nell’1% dei
casi. La tipologia A, che costituisce il 58% dei produttivi analizzati, è presente nell’89%
dei casi P1 e nel 72% dei casi P2; la tipologia B, che costituisce il 35% del totale, è
presente nel 71% dei casi P4; infine i 3/5 della classificazione P3 ha caratteristiche
altimetriche della tipologia D.
La combinazione P2-A risulta essere la più frequente costituendo il 29% delle
tipologie produttive analizzate.
Un terzo degli edifici produttivi classificati P1 è presente sia nella disposizione a
elementi giustapposti frontalmente sia in quella a corte aperta; il 71% dei produttivi,
giustapposti frontalmente nella corte, sono P2 e quest’ultima combinazione
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rappresenta il 22% del totale. Le classificazioni P3 e P4 sono composte da elementi
separati allineati sul fronte rispettivamente nei 4/5 e 1/3 dei casi e gli edifici produttivi
isolati presentano caratteristiche planimetriche P4. Edifici produttivi classificati P3 e
P4 sono presenti in corti a elementi separati allineati sul fronte rispettivamente
nell’80% e nel 33% dei casi; gli edifici
produttivi
isolati
presentano
caratteristiche planimetriche P4.
La tipologia A è presente nel 58% dei casi delle corti aperte, nel 75% dei casi delle
corti ad elementi giustapposti frontalmente e nella totalità dei casi di quelli
giustapposti lateralmente; il 75% dei casi della tipologia D compare in corti a
elementi separati allineati sul fronte, mentre quella B risulta quasi equamente
distribuita rispetto alle varie disposizioni.
Degli edifici residenziali giustapposti frontalmente le tipologie R1 e R3 occupano
entrambe 1/3 dei casi. Il 67% degli edifici residenziali isolati presenta caratteristiche
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della tipologia R3, essa compare inoltre nel 71% dei casi della disposizione a
elementi separati allineati sul fronte. Quest’ultima combinazione risulta essere
presente nel 15% rispetto al totale dei casi esaminati.
Alla tipologia residenziale R3 viene abbinato il 33% dei produttivi P1, il 43% dei P2 e il
65% di quelli P4; il 67% della tipologia R4 è abbinato a produttivi classificati P2, infine
il 38% dei casi R1 è associato sia alla classificazione P1 che a quella P2. La
combinazione R3-P2 costituisce il 18% del totale analizzato.
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Sant’Agostino
Nel comune di Sant’Agostino vengono studiate 28 corti.
Analizzando la disposizione degli edifici nella corte, si osserva una composizione così
distribuita: la formazione a corte aperta, che rimane la più numerosa, occupa il 32%
del totale; il 21% è occupato da corti con elementi giustapposti frontalmente; l’11%
sia da corti ad elementi separati, allineati sul fronte, sia da corti aperte con
disposizione
casuale
e ben il 18% da edifici
singoli.
Una
percentuale minima,
rispettivamente
del
3% e 4%, è occupata
da corti dove edificio
residenziale
produttivo
e
sono
giustapposti
longitudinalmente e da corti ad elementi separati allineati sull’asse.
Per gli edifici residenziali la quota maggiore, con il 42%, è rappresentata dalla
tipologia R3; il 19% sia dalla tipologia R2 sia da R4; il 16% da R5 mentre solo il 4% dei
casi da R1. Sono molto rari gli edifici residenziali con profondità di un solo “cassero”,
presenti con percentuale inferiore all’1%.
Per gli edifici produttivi il 24% è rappresentato sia dalla classificazione P2 sia da P4;
rispettivamente il 20%, 16% e 12% del totale sono occupati dalle classificazioni P5, P1
e P6 mentre la classificazione P3 compare solo nel 4% dei casi. La tipologia A, che
occupa il 64% delle corti analizzate, compare nella totalità dei casi di P1 e P3, nei
5/6 dei casi P2 e nei 2/3 di P4 e P6. Edifici produttivi classificati P5 presentano
prevalentemente le altimetrie B e C.
In corti ad elementi separati allineati sul fronte sono presenti 2/3 dei casi di P6; la
metà dei casi, sia di P1 sia di P2, sono in corti con elementi giustapposti frontalmente.
Il 44% degli edifici produttivi della tipologia A è presente in corti aperte, mentre il 31%
degli stessi insistono su corti con elementi giustapposti frontalmente. I casi della
tipologia C sono presenti unicamente in corti aperte, sia con disposizione a
scacchiera sia casuale; quelli D in corti ad elementi sperati, sia nella disposizione
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allineati sul fronte sia in quella allineati sull’asse, mentre la tipologia B è quasi
equamente presente nelle varie disposizioni della corte.
Degli edifici residenziali presenti in corti aperte, il 45% dei casi sono della tipologia R3
e la metà della tipologia R5; invece ben il 60% dei casi della tipologia R4 è presente
in corti con elementi giustapposti frontalmente. Residenziali della tipologia R2 sono al
40% edifici isolati nella corte, mentre per il restante 60% vengono indifferentemente
abbinati a edifici produttivi della classificazione P4, P5 e P6. Infine nella metà delle
corti aventi un residenziale della tipologia R5 si trova un produttivo classificato P4.
Combinazioni che prevedono un edifico residenziale R3 oppure un produttivo A
presenti su corti aperte corrispondono rispettivamente al 19% e 28% sul totale delle
corti esaminate.
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Vigarano Mainarda
Nel comune di Vigarano Mainarda sono state individuate 26 corti.
Il primo parametro da considerare è la disposizione degli edifici nella corte: la
distribuzione prevalente è quella a corte aperta, che rappresenta il 35% del totale
delle corti, mentre il 33% è composto da edifici giustapposti perpendicolarmente. La
presenza di un numero così elevato di fabbricati a elementi giustapposti si spiega
ricordando la storia del territorio di Vigarano, confinante e in parte incluso nella
Diamantina, zona di bonifica estense e, quindi, di un appoderamento molto antico.
Gli appezzamenti
in concessione ai
coltivatori
di
erano
piccole
dimensioni
perché
sorgevano
sui
dossi bonificati, e
servivano
quasi
esclusivamente
alla sussistenza della famiglia contadina.
Il 16% del totale è rappresentato da corti con elementi allineati rispetto a uno dei
fronti, il 7% da edifici allineati rispetto all’asse di simmetria, il 7% da edifici isolati e il 2%
da corti a elementi sparsi. Non sono presenti corti in cui il fabbricato a elementi
giustapposti longitudinalmente.
Riguardo alla tipologia degli edifici residenziali, la grande maggioranza – 63% – è
costituita da fabbricati di tipo mezzadrile, con la distribuzione cassero-mezzo
cassero-cassero; il 18% è rappresentata dalla categoria R4, mentre il 18% dalla
tipologia R3. Solo il 5% sul totale appartiene al tipo R5, ossia la casa mezzadrile con
loggia centrale di larghezza pari a un cassero. In generale, quindi, le abitazioni sono
di dimensioni modeste e servivano corti di dimensioni non troppo estese.
Riguardo la disposizione planimetrica degli edifici produttivi, il 50% dei fabbricati si
suddivide equamente tra il tipo P2 e P3, mentre il restante 50% si distribuisce in modo
pressoché paragonabile tra le tipologie P1, P4 e P5. Non sono presenti fienili dalla
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planimetria di tipo P6, segno che le corti hanno edifici produttivi modesti: vale quindi
lo stesso ragionamento degli edifici residenziali.
In merito alla distribuzione altimetrica, quasi la metà dei fabbricati è di tipo A, mentre
i tipi B e C sono rispettivamente il 29% e il 21%. Solo il 4% è di tipo D. Anche
nell’impianto altimetrico si nota pertanto una prevalenza di tipi edilizi semplici, segno
di una modestia costruttiva, che rifletteva la relativa povertà dei tenutari dei fondi.
Il rapporto planialtimetrico negli edifici produttivi mostra una come per i tipi P1 e P2
prevalga una disposizione altimetrica di tipo A: alla semplicità in pianta si
accompagna quindi un’analoga essenzialità altimetrica; più variamente distribuite
in altezza sono invece le tipologie P3, P4 e P5: a maggiore ricchezza planimetrica
corrisponde una maggiore complessità degli alzati.
Distribuite in modo del tutto equo sono invece le categorie altimetriche e
planimetriche dei fienili nelle differenti categorie di corte; allo stesso modo non c’è
una netta prevalenza di corrispondenza tra il tipo residenziale e quello produttivo.
Per il Comune di Vigarano, pertanto, si può concludere che la caratteristica
preponderante è la semplicità degli insediamenti, corrispondente alla modesta
estensione degli antichi poderi e all’evoluzione storica del territorio, che è tra quelli
che maggiormente hanno dovuto combattere contro l’acqua che invadeva le
aree poi bonificate.
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4.
CONSIDERAZIONI
SUI
PARAMETRI
AMBIENTALI
E
TIPOLOGICI
PER
UNA
PROGETTAZIONE SOSTENIBILE
4.1. LA COMPLESSITÀ DELLA CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO RURALE ESISTENTE
La caratterizzazione degli insediamenti rurali nella campagna ferrarese, costituiti da
corti agricole con abitazioni e stalle imponenti, sparsi sul territorio in modo
apparentemente casuale, connota fortemente il paesaggio e testimonia la storia
sociale ed economica del nostro passato. La conservazione di un vasto patrimonio
come questo richiede la definizione di una politica che sappia mediare fra il
mantenimento dei caratteri tipologici degli organismi costruiti e la possibilità di
apportare trasformazioni adeguate al cambiamento di destinazione d’uso e che
riesca a identificare i gradi di libertà che devono essere lasciati nel ridefinire gli
aspetti spaziali e tecnologici del nuovo progetto.
Si tratta certamente di un problema complesso, che varia da contesto a contesto, e
che richiede una coerente metodologia nell’acquisire la conoscenza del contesto
naturale e costruito e la definizione di un percorso progettuale e di una corretta
interpretazione delle prescrizioni normative.
La conoscenza della realtà naturale e costruita si acquisisce tramite lo studio dei
caratteri ambientali del contesto, condotto attraverso l’interazione “lettura-analisisintesi” alle diverse scale di intervento, e consente sia di comprendere il processo
collettivo di formazione, sia di conoscere come il singolo organismo architettonico
sia stato partecipe delle dinamiche evolutive dell’insediamento viste nel rapporto fra
ambiente, spazio costruito e tipologie edilizie.
I vincoli progettuali devono rappresentare le regole capaci di tracciare linee per un
progetto compatibile, cioè di coniugare in modo equilibrato il mantenimento dei
caratteri tipologici salienti dell’edilizia rurale di un’area omogenea con le esigenze
della conduzione di una vita moderna in modo da evitare che regole troppo rigide
inducano all’abbandono degli edifici esistenti e alla moltiplicazione di costruzioni
avulse dal contesto costruito che tradizionalmente unisce i caratteri spaziali e
distributivi alla cultura abitativa e i caratteri tecnologico-materici alla cultura
costruttiva.
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Dal punto di vista normativo l’evoluzione legislativa regionale ha apportato recenti
innovazioni di rilievo.
L’analisi tipologica degli insediamenti rurali, dei materiali e delle tecniche costruttive
consente di vedere come la “corte agricola” si evolve con l’organizzazione
agronomica dell’azienda stessa e dei suoi rapporti di produzione e gestione.
Gli insediamenti più antichi presentano soluzioni con fabbricati a blocco cioè con la
disposizione della stalla adiacente all’abitazione ed entrambi con gli ingressi posti sul
lato lungo, rivolti a sud. La separazione fisica fra i due ambienti viene realizzata con
un muro continuo, detto tagliafuoco, perché sporge oltre la copertura ed ostacola
la propagazione degli incendi. Viene spesso realizzato un porticato anteriore per
proteggere l’accesso alla stalla.
Si costruiscono, in origine, edifici ad un solo piano, di forma rettangolare, con
struttura lignea o con mattoni crudi, poi, con il miglioramento del rendimento dei
terreni le abitazioni diventano di due piani, le stalle aumentano di volume anche in
funzione dell’aumento delle dimensioni dei poderi.
Gli edifici residenziali sono caratterizzati da un modulo base dell’abitazione (il
“casso” o cassero), di forma generalmente quadrata (dell’ordine di circa 5 m.)
accorpato in modo da formare una composizione di due casseri e mezzo spesso
raddoppiati in profondità; il cassero o il mezzo cassero centrale è destinato ad
androne passante (detto “portico”) e presenta l’accesso principale all’abitazione e
l’uscita sul retro: sul portico si aprono gli accessi alle camere laterali (due o quattro)
e la scala di collegamento alle camere da letto poste al piano superiore.
La stalla è costituita da un nucleo centrale che ospita gli animali da tiro collocati a
due a due (“poste”) ai lati con un corridoio di accesso comune che dall’esterno
consente di portare gli animali alle poste laterali. La stalla è suddivisa da pilastri
interni cadenzati col passo delle poste e sono deputati a sostenere il solaio su cui si
appoggia il solaio che sostiene il foraggio alloggiato nel fienile.
Il miglioramento delle condizioni produttive consente una variazione nella
disposizione degli edifici che si distaccano fra loro e si collocano a scacchiera
attorno all’aia, uno spazio aperto di servizio alla conduzione del fondo per
l’essiccazione delle granaglie e per lo svolgimento di attività di lavorazione dei
prodotti.
Si rafforza la suddivisione dell’abitazione in tre casseri, eventualmente arricchita di
ulteriori casseri laterali per i prestatori d’opera che affiancano il mezzadro o il
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bovaro, mentre la stalla, di forma tendenzialmente quadrata, si amplia per ospitare
più animali da tiro ed è caratterizzata da un portico di rilevante profondità per
proteggere il fronte di accesso, che può anche svilupparsi sul fronte e su un lato, ma,
negli edifici più recenti, si rilevano anche soluzioni con portici che circondano
l’edificio su tre lati oppure casi in cui il portico si sviluppa solo sui due lati lunghi.
4.2. LE NORMATIVE COGENTI DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
La recente gestione del territorio agricolo fa tesoro dell’esperienza della normativa
regionale n. 47 del 7-12-1978 “Tutela ed Uso del territorio”, emanata a seguito del
passaggio di competenza fra stato e regioni, che prevedeva una suddivisione del
territorio comunale in zone funzionalmente omogenee e che, per le Zone E destinate
prioritariamente agli usi agricoli, demandava ai Piani Regolatori Comunali la
promozione dello sviluppo della produzione agricola per favorire le esigenze della
popolazione e delle attività connesse a tale produzione e si concretizza in una
nuova legge regionale.
L’approvazione della legge n. 6 del 30-01-1995, prende atto della trasformazione
produttiva del territorio e prevede che il Comune, in sede di formazione del PRG,
effettui il censimento degli insediamenti e degli edifici nelle zone E che presentano le
caratteristiche di bene culturale o di interesse storico-testimoniale, disciplini il
recupero di tali edifici secondo le categorie d'intervento e possa consentire anche
destinazioni d'uso non connesse con l'esercizio di attività agricole, purché
compatibili con le caratteristiche tipologiche degli edifici stessi e con il contesto
ambientale.
La disciplina comunale degli interventi ammissibili sul restante patrimonio edilizio
esistente nelle zone E deve definire le condizioni ed i limiti per il recupero degli edifici
non più funzionali all'esercizio dell'attività agricola, e, in particolare, per gli edifici con
originaria funzione abitativa, deve prevedere la possibilità di recupero per uso
residenziale,
anche
non
connesso
con
l'esercizio
di
attività
agricole,
ed
eventualmente per gli altri usi compatibili con la tipologia dell'immobile, mentre per
gli edifici con originaria funzione diversa da quella abitativa, può consentire soltanto
interventi di recupero che risultino compatibili con le attuali caratteristiche
tipologiche degli edifici stessi e per gli usi compatibili con il contesto.
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Qualora venga consentito il recupero per funzioni non connesse con l'esercizio di
attività agricole di edifici precedentemente asserviti ad unità poderali agricole, non
è possibile realizzare nuovi edifici abitativi, e, in caso di stipula di una convenzione
per interventi di recupero il proprietario deve impegnarsi a realizzare opere
necessarie alla tutela e riqualificazione ambientale (opere di sistemazione delle aree
di pertinenza, manutenzione dei drenaggi, opere di consolidamento idrogeologico,
demolizione di eventuali corpi di fabbrica accessori incongrui con la valorizzazione
del contesto ambientale, opere di igienizzazione degli scarichi) in modo da
contenere l’aumento di carico urbanistico conseguente al recupero dei fabbricati
agricoli.
La pianificazione comunale deve basarsi su un censimento necessario al
riconoscimento
ed
alla
tutela
dei
fabbricati
di
valore
storico–testimoniale
classificando tali fabbricati secondo le modalità di intervento del restauro scientifico,
del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia, che vengono
modulate sull’esperienza degli interventi sugli insediamenti storici.
La legge regionale n. 20 del 24-03-2000, che rinnova la normativa urbanistica
regionale articolando il tradizionale Piano Regolatore Generale comunale in diversi
strumenti urbanistici entro i quali vengono trattati i contenuti della pianificazione e la
definizione e degli specifici ambiti tematici, prevede la tutela dei fabbricati e delle
infrastrutture storiche presenti nel territorio rurale estendendo la definizione di bene
storico da tutelare oltre che agli edifici, anche alle strade, alle opere idrauliche, agli
elementi vegetali e a tutto quanto caratterizzi il paesaggio agrario della regione,
come le forme storiche di gestione della campagna quali le partecipanze o le
università agrarie.
La Regione Emilia Romagna ha infine promulgato la Legge del 30 novembre 2009, n.
23, con cui la Regione si è dotata di una politica per il paesaggio con l’obiettivo di
migliorare la qualità del territorio, delle città, delle periferie e delle aree degradate.
La nuova legge ha la peculiarità di affiancare alla tradizionale attività di tutela
(attuata dal Piano Territoriale Paesistico Regionale già introdotto con le precedenti
normative) un percorso progettuale teso alla valorizzazione delle specificità
paesaggistiche che connotano il territorio regionale, e al recupero delle aree
compromesse e degradate.
La legge prevede anche il monitoraggio delle trasformazioni, da realizzarsi attraverso
l´Osservatorio regionale per la qualità del paesaggio.
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Pertanto, con i criteri stabiliti dalle leggi via via emanate dalle Regione, il Piano
Territoriale Regionale (PTR) definisce gli obiettivi per assicurare, fra l’altro, la
riproducibilità, la qualificazione e la valorizzazione delle risorse sociali ed ambientali; il
Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) specifica i valori paesaggistici,
ambientali e culturali del territorio regionale e provvede all'individuazione delle
risorse storiche, culturali, paesaggistiche e ambientali del territorio regionale ed alla
definizione della disciplina per la loro tutela e valorizzazione; il Piano Territoriale di
Coordinamento Provinciale (PTCP) procede all’individuazione dei principali elementi
del patrimonio storico e la definizione degli indirizzi generali per la loro tutela; il Piano
Strutturale Comunale (PSC) provvede al completamento dell’indagine su tale
patrimonio e alla definizione di una specifica disciplina; mentre spetta al Piano
Operativo Comunale (POC) l’eventuale azione di valorizzazione di elementi
particolarmente meritevoli. Dalla norma scompaiono specifiche indicazioni sulle
categorie d’intervento ammissibili o sulla compatibilità degli usi al tipo edilizio, che
vengono affidate ad autonome valutazioni delle amministrazioni comunali.
Al Regolamento Urbanistico ed Edilizio (RUE), invece, spetta la definizione sia delle
modalità di recupero del patrimonio edilizio esistente e le possibilità di realizzare
nuovi fabbricati, sia degli indirizzi per la sistemazione degli spazi di pertinenza e delle
opere di mitigazione ambientale.
La norma suddivide il territorio rurale sulla base di alcune caratteristiche prevalenti in
funzione del ruolo ambientale che può assumere, ed individua diverse tipologie di
aree.
Le “Aree di valore naturale ed ambientale” e gli “Ambiti agricoli di rilievo
paesaggistico” rappresentano, con diverso grado, le aree di maggior valore
naturalistico e paesaggistico, per cui risulta determinante, all’interno delle prime,
definire i criteri di tutela per il recupero dei fabbricati esistenti secondo le
caratteristiche originarie, mentre al Comune viene demandata la regolamentazione
dei nuovi interventi edilizi negli ambiti di pregio paesaggistico, da qualificare con
servizi per il tempo libero.
Gli “Ambiti ad alta vocazione produttiva agricola”, invece, sono le aree senza
particolari qualità ambientali, ma di grande valore agronomico, e per essi si
prescrivono gli obiettivi di ridurre al minimo l’erosione dei suoli fertili da parte della
crescita urbana, limitando alle necessità delle aziende agricole la possibilità di
realizzare nuovi interventi edificatori.
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Gli “Ambiti agricoli periurbani” sono quelli posti a margine dei principali centri abitati,
e per essi viene sostenuta la funzione agricola e si consente di poter incrementare il
ruolo ricreativo e di compensazione ambientale per le popolazioni urbane, per cui si
auspica l’insediamento di attività per il tempo libero e di equipaggiamenti collettivi,
demandandone la disciplina al RUE.
Per gli edifici non connessi all’attività agricola, infine, viene confermata la possibilità
di recupero dei fabbricati esistenti mantenendo un uso compatibile sia alle
caratteristiche tipologiche degli edifici che al contesto ambientale. Viene anche
consentita, sulla base di obiettivi di miglioramento dei caratteri ambientali e della
produttività agricola, la demolizione di fabbricati esistenti e la ricostruzione della
volumetria, con diversa tipologia e destinazione d’uso, in nuove aree che risultino
maggiormente idonee rispetto all’esistente.
4.3. LE NORMATIVE LOCALI
Nei recenti provvedimenti legislativi regionali si può affermare che obiettivo
fondamentale della pianificazione del territorio rurale diventa la tutela ambientale
degli spazi extraurbani per i quali si propone la valorizzazione della funzione di
equilibrio ambientale degli spazi rurali, anche con interventi di sostegno alle aree più
marginali dal punto di vista economico per salvaguardare gli aspetti tradizionali del
paesaggio agrario che vengono intesi come importante componente dell’identità
culturale regionale.
I Comuni aggregati nell’Associazione dell’Alto Ferrarese hanno accolto e posto in
essere la normativa regionale citata e vigente al momento attuale, proponendone
modifiche che spesso vanno in senso restrittivo, poiché in territori così particolari e nei
quali l’equilibrio idro-geologico è una delle variabili più importanti da tenere in
considerazione, la tutela del costruito è basilare per la conservazione del paesaggio.
Il Comune di Bondeno, ad esempio, ha emanato un documento – guida per la
Commissione di Qualità Architettonica in cui viene specificato l’indirizzo di
salvaguardare i caratteri distintivi di alcune delle più importanti unità di paesaggio
ossia, citando il documento:
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“Valorizzazione e rispetto dei caratteri paesaggistici del territorio attraverso la lettura
delle Unità di Paesaggio del PTCP della Provincia di Ferrara, e più precisamente:
-
Unità di Paesaggio n.1 “dei Serragli” che interessa significativamente la parte
nord-occidentale della provincia e ricade interamente nel territorio di
Bondeno,
-
Unità del Paesaggio n.3 “delle Masserie” che corrisponde ad aree soggette
alle antiche bonifiche estensi di Casaglia, della Diamantina (ad est) e quindi
alla grande Bonifica di Alfonso II (ad ovest),
-
Unità di Paesaggio n.10 “degli ambiti naturali fluviali”, che coincide col
tracciato del Po grande ed al suo immediato ambito morfologico, e si
candida come specifico elemento di valore naturalistico, da un lato, e di
progetto per quanto riguarda il problema del risanamento delle acque del
fiume stesso e quindi del bacino dell’Adriatico.
Tutela e salvaguardia del contesto agricolo con particolare attenzione alle frange di
contatto con il costruito; salvaguardia degli aspetti morfologici, tipologici e formali
delle costruzioni nel territorio agricolo, con particolare attenzione alla qualità dello
spazio libero tra i fabbricati (corti)”.
Il Comune di Cento, accogliendo la Legge Regionale 6/2009, con delibera del 17
settembre 2009, pone alcune restrizioni sugli articoli 53 e 54, ossia quelli inerenti
l’ampliamento e la demolizione e ricostruzione dei fabbricati: sono esclusi dalla
possibilità di intervento radicale gli immobili già sottoposti a tutela ambientale e
quelli situati in zone di rispetto fluviale e aree golenali, nella zona agricola “del fiume
Reno”, in particolari aree territoriali di interesse paesaggistico e in tutto il paesaggio
della Partecipanza agraria.
4.4. L’APPROCCIO PROGETTUALE: DALLA CONOSCENZA AL PROGETTO
Le normative locali recepiscono gli indirizzi culturali che si sono consolidati da tempo
e che richiedono un’analisi tipologica sull’esistente, a livello di corte rurale e di singoli
edifici, per consentire di mettere in evidenza come il processo di formazione
dell’insediamento sia partecipe di un processo progettuale e costruttivo su ampia
scala territoriale che è la sintesi della conoscenza dei problemi della conduzione
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produttiva del fondo agricolo, della costruzione di edifici adeguati alle funzioni che
devono assolvere, dei materiali e delle tecniche costruttive che consentono tali
costruzioni.
Gli edifici sono calibrati sulle esigenze e sulle potenzialità produttive e presentano
gradi di persistenza delle variabilità tipologica e tecnologica che consentono di
mettere in evidenza persistenze e variazioni dei caratteri formali e fruitivi, materici e
tecnologici afferenti alla configurazione del tipo edilizio esplicitando il linguaggio
architettonico locale.
Tali conoscenze mettono in condizione di scegliere i livelli di priorità ed il grado di
modificazione dei caratteri tipologici che si ritiene vadano salvaguardati e, quindi,
individuare i criteri progettuali che siano di guida negli interventi di recupero non
solamente della corte rurale ma anche del singolo edificio, in modo da costituire un
quadro di riferimento progettuale che sia di incentivo economico degli investimenti
edilizi senza snaturare il patrimonio dei tessuti urbani consolidati.
Uno studio più approfondito all’interno di un quadro generale di riferimento
consente di individuare i caratteri salienti delle configurazioni tipologiche, di
effettuare una valutazione qualitativa dell’esistente in base a tali parametri di
riferimento e di specificare i criteri progettuali dell’intervento nel rispetto del
linguaggio architettonico locale.
Lo studio dell’esistente deve essere affrontato in modo articolato e completo per
garantire tutti gli elementi di conoscenza necessari allo sviluppo della fase di
progettazione; esso richiede la definizione di uno schema metodologico di
intervento, che si può considerare organizzato secondo la sequenza di attività
relative al rilievo critico accurato del sito e degli immobili supportato da una
indagine storica, all’analisi tipologica degli immobili ed al rilievo ed all’analisi dei
materiali e delle tecniche costruttive.
Alla luce di queste informazioni si è in grado di valutare l’importanza dei gradi di
persistenza e di variabilità dei caratteri studiati, di identificare i livelli di priorità da
attribuire, di selezionare i valori ritenuti “primari” e, quindi, da salvaguardare ed,
infine, di definire le caratteristiche dell’intervento.
L’approccio progettuale si configura, quindi, come un processo decisionale che si
propone di preservare una identità culturale che difficilmente è conciliabile con il
massimo sfruttamento economico delle superfici e dei volumi pur senza farsi
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condizionare dal desiderio di mantenere edifici minori come fossero oggetti privi di
nuove funzioni.
La fase conoscitiva dello stato di fatto, basata su tutte le informazioni di tipo storico,
documentale, geometrico-dimensionale, strutturale, materico che si possono trarre
da un’indagine accurata, diventa strumento indispensabile per la qualificazione
progettuale, riduce le incognite o i rischi di intervento e riporta il rilievo alla funzione
fondamentale per l'intero processo costruttivo. Sarebbe addirittura auspicabile che
la fase di rilievo fosse oggetto di una specifica voce di capitolato con un costo
definito per consentire, anzi per valorizzare, una preventiva attività di indagine
condotta dal progettista in collaborazione con l’impresa.
La formulazione di un progetto preliminare manifesta tutte le scelte progettuali di
fondo, che devono convivere con le possibilità reali di adattamento dell'organismo
architettonico e le esigenze espresse dal committente nel rispetto delle indicazioni
emerse nella fase di rilievo. In questa fase, in particolare, vengono effettuate le
scelte relative a:
-
funzioni compatibili con la distribuzione e conformazione degli spazi, evitando
in ogni caso usi intensivi e di eccessiva frammentazione delle funzioni;
-
conservazione dei pieni e dei vuoti che spesso caratterizzano gli edifici rurali
oppure introduzione di piccole modifiche alla forometria che siano sufficienti
a garantirne la leggibilità;
-
tecniche costruttive e dei materiali da conservare, distinguendoli da tecniche
e
materiali
aggiunti
nel
tempo
e
non
necessariamente
degni
di
conservazione;
-
tecniche di consolidamento non distruttive;
-
eventuale completamento delle strutture (se e ove necessario) con tecniche
non mimetiche ma compatibili, anche dal punto di vista estetico, con
l’esistente;
-
inserimento impianti e servizi igienici e tecnologici in modo non invasivo, nel
rispetto delle caratteristiche distributive e tipologiche degli edifici;
-
esecuzione delle finiture attraverso manutenzione dei materiali storici e scelta
di nuovi materiali in sintonia con quelli storici evitando elementi mimetici, fintoautentici o in stile;
Pagina 79 di 87
-
uso di serramenti non invasivi, evitando ove possibile l’uso di produzioni
progettate per tipologie di edifici completamente diverse da quelle rurali,
con preferenza per soluzione del problema caso per caso;
-
cura e finitura degli esterni in sintonia con le caratteristiche degli spazi rurali,
evitando frammentazioni e pavimentazioni tipiche di spazi urbani.
Il progetto definitivo (spaziale e tecnologico) trasforma le scelte di fondo in scelte
progettuali operative che possono confrontarsi con gli organi di controllo
dimostrando la coerenza degli assunti di principio che informano la progettazione.
Linee guida di questo processo decisionale possono, allora, diventare anche uno
strumento normativo; si potrebbe, anzi, pensare come uno strumento che indica
requisiti di carattere volontario a testimonianza che una buona progettazione non
solo salvaguarda il patrimonio edilizio esistente per il bene della collettività ma
addirittura consente l’aumento del valore dell’investimento di quel proprietario che,
non di rado consigliato da un progettista superficiale, pensa che solo sfruttando al
massimo la sua proprietà riuscirà ad ottenere il maggiore profitto.
4.5.
CONSIDERAZIONI
SUI
PARAMETRI
AMBIENTALI
E
TIPOLOGICI
PER
UNA
PROGETTAZIONE SOSTENIBILE
La consapevolezza del valore e dell'importanza del “progetto” è premessa
irrinunciabile di ogni intervento di trasformazione del territorio, per cui ogni proposta
deve rispettare le esigenze di una corretta utilizzazione del territorio come risorsa,
deve stimolare l’approfondita conoscenza dei caratteri morfologici, ambientali,
tipologici e storico – testimoniali della città e del territorio, e deve, a sua volta,
diventare strumento di verifica di casi concreti per consentire l’aggiornamento del
quadro normativo di riferimento.
La proposta di linee guida per una progettazione compatibile, quindi, deve porsi
l’obiettivo non solo di favorire la qualità della progettazione a tutte le scale di
intervento e, attraverso questa, la qualità urbana e ambientale, ma anche deve
imporsi di garantire la massima attenzione ai problemi della salvaguardia dei valori
storici, culturali, ambientali del territorio pur consentendo di valorizzare la creatività
progettuale anche attraverso forme di sperimentazione motivata.
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Una prima proposta di approfondimento dei contenuti progettuali da perseguire nel
territorio analizzato si può concretizzare nella specificazione di alcuni criteri
programmatici in grado di costituire validi strumenti per lo sviluppo progettuale
dell’intervento:
a) Salvaguardia dei caratteri dell’ecosistema agricolo e del rapporto tra
l’ambiente e la corte agricola: riguarda il paesaggio agrario tipico delle zone
tradizionalmente emerse, delle bonificazioni, del sistema irriguo, ecc. in
rapporto alle corti agricole sparse sul territorio;
b) Salvaguardia dei caratteri tipo-morfologici: riguarda la conservazione
dell’impianto della corte, delle alberature, dei volumi, del rapporto fra pieni e
vuoti, dei nuovi fabbricati in rapporto alla corte, la riconoscibilità della corte
originaria e dell’impianto spaziale degli edifici;
c) Salvaguardia dei caratteri costruttivi, architettonici e decorativi: riguarda il
mantenimento
della
vocazione
dell’edificio
per
quanto
riguarda
la
destinazione d’uso, il rispetto dell’armonia compositiva anche in relazione
all’addizione di nuovi volumi (ad esempio per impianti tecnologici), la
conservazione dell’apparato decorativo delle costruzioni e l’inserimento di
nuove soluzioni (tetti piani, terrazze in falda, ecc.), l’uso di materiali e di
tecnologie tradizionali;
d) Garanzia dell’idoneità funzionale e del benessere ambientale: riguarda
l’adeguamento dell’intervento su
un immobile ai requisiti di sicurezza, di
benessere, di igiene e di accessibilità.
Per quanto riguarda il patrimonio rurale del territorio dell’alto ferrarese, oggetto dello
studio, i contenuti degli indirizzi progettuali, potrebbero, in prima analisi, essere
organizzati attorno ad ambiti tematici come di seguito riportato.
a. Salvaguardia dei caratteri dell’ecosistema agricolo e del rapporto tra
l’ambiente e la corte agricola
a.1. Salvaguardia degli elementi di paesaggio e dell’eco-sistema agricolo. E’ relativa
alla regolamentazione delle modalità di:
ƒ
consolidamento e qualificazione dei percorsi storici;
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valorizzazione
ƒ
della
viabilità
storico-paesaggistica
e
della
viabilità
panoramica (nelle zone E le nuove costruzioni devono rispettare una
distanza di m. 20 dalla viabilità suddetta, fatta salva l'opportunità di
uniformarsi ad allineamenti esistenti);
conservazione della rete scolante ed irrigua, delle arginature, degli spalti,
ƒ
dei maceri e degli specchi d’acqua;
conservazione delle alberature autoctone o comunque consolidate, per le
ƒ
quali è obbligatorio richiedere l’autorizzazione all’abbattimento di piante
che non rientri nelle normali operazioni colturali.
a.2. Salvaguardia del rapporto tra l’ambiente e la corte agricola. E’ relativa
all’impianto urbanistico originario (la corte, il borgo) e mira al recupero e alla
valorizzazione dell’unità urbanistica di partenza in modo da garantire la
leggibilità del tipo insediativo originario attraverso la regolamentazione delle
modalità di:
ƒ
frazionamento della corte agricola mediante recinzioni o elementi, anche
di tipo naturale, che consentano la leggibilità dell’’insediamento originario
con recinzioni lungo il perimetro esterno;
ƒ
definizione dell’accesso carrabile alla corte originaria (accesso che
tradizionalmente è unico):
ƒ
modifica
dell’originaria
planarità
del
piano
di
campagna
che
tradizionalmente non prevede terrapieni o rilevati, pur ammettendo
pendenze dei terreni atti a raccordare diverse quote per valori modesti
(ad esempio non superiori al 6%);
ƒ
accettazione o rifiuto della possibilità di recupero a fini abitativi di tettoie,
baracche ed ogni altro manufatto precario.
a.3. Salvaguardia della riconoscibilità percettiva degli spazi interni ed esterni. E’
relativa alla verifica ed alla adeguata valutazione di:
ƒ
conservazione dei caratteri originari degli spazi esterni, la riconoscibilità
della corte originaria, che potrà essere recintata lungo il perimetro
esterno;
ƒ
conservazione, il recupero e la valorizzazione, negli spazi esterni, dei
caratteri propri del paesaggio agrario tradizionale;
Pagina 82 di 87
ƒ
conservazione, il recupero e la valorizzazione, negli spazi interni, del
“portico”, degli accessi tradizionali propri della tradizione locale.
b. Salvaguardia dei caratteri morfologici dell’insediamento rurale e degli edifici.
b.1. Salvaguardia dei caratteri morfologici dell’insediamento. E’ relativa alla
regolamentazione delle modalità di:
ƒ
rispetto della conformazione plano-volumetrica degli edifici;
ƒ
rispetto dell’impianto strutturale della corte e degli edifici;
ƒ
conservazione degli elementi porticati e ripristino di quelli che risultano
tamponati; possono essere comunque ammessi tamponamenti con
“gelosie” in muratura o infissi particolari in modo tale che
rimanga
chiaramente leggibile il sistema dei vuoti e dei pieni originario;
ƒ
conservazione dei prospetti: il loro mantenimento ed il loro ripristino deve
avvenire nel rispetto delle caratteristiche originarie, mentre eventuali
aperture possono essere consentite quando non siano presenti elementi di
pregio.
b.2. Salvaguardia dei caratteri morfologici dell’insediamento in rapporto agli
strumenti urbanistici. E’ relativa alla possibilità di attivare strumenti urbanistici che
offrano la possibilità di:
ƒ
recuperare volumi incongrui rispetto alla tipologia originaria accorpandoli agli
edifici da conservare o sostituendoli con nuovi edifici, di pari volumetria, purché
riconducibili a modelli tipici; la riconducibilità a tali modelli diventerà oggetto di
valutazione della Commissione per la qualità Architettonica e per il Paesaggio;
ƒ
costruzione di autorimesse in rapporto agli edifici residenziali della corte,
secondo gli standard di parcheggio privato previsto per le abitazioni;
ƒ
costruzione di nuovi edifici ove ammessi, esterni alla corte con distanza congrua
dal perimetro della stessa (ad esempio, non inferiore a metri 30).
c. Salvaguardia dei caratteri costruttivi, architettonici e decorativi
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c.1. Salvaguardia dei caratteri costruttivi . E’ relativa all’impiego dei materiali e delle
tecnologie tradizionali, per cui deve provvedere:
ƒ
c.1.1.
alla
regolamentazione
o
almeno
alla
raccomandazione
del
mantenimento di:
ƒ
strutture orizzontali di legno, prevedendo che la sostituzione, ove
necessaria, avvenga nel rispetto di eventuali caratteristiche di pregio e
ammettendo gli spostamenti delle strutture orizzontali in legno per
adeguare anche le soffitte ai requisiti minimo igienico;
ƒ
strutture verticali e tamponamenti secondo le tecniche tradizionali
locali;
ƒ
coperture e solai secondo le tecniche e materiali tradizionali
mantenendone la forma e la pendenza originaria;
ƒ
manto di copertura originario in cotto;
ƒ
cornicioni di pregio, che vanno conservati e restaurati, e che, quando
ciò non sia possibile per ragioni statiche, vanno ricostruiti con tecniche
conformi all’originale;
ƒ
colorazioni esterne compatibili con le caratteristiche dell’edificio e del
contesto, prevedendo, comunque, che la colorazione esterna venga
concordata con l’Ufficio Tecnico della Amministrazione Comunale;
ƒ
c.1.2. all’ammissione di:
ƒ
soppalchi a struttura leggera di superficie utile adeguata (ad esempio,
non superiore al 50% del locale in cui sono inseriti);
ƒ
eventuali nuove aperture in falda, quando strettamente necessarie
all’illuminazione ed aerazione;
ƒ
eventuali recinzioni con siepe viva o con eventuale rete interposta;
ƒ
portoni, scuri, inferiate, comignoli, soglie, bancali, pavimentazioni
esterne con materiali, forme e colori tradizionali, da concordarsi con
l’Ufficio Tecnico della Amministrazione Comunale;
ƒ
c.1.3. al divieto di coperture in fibrocemento o altro materiale atipico.
c.2. Salvaguardia dei caratteri architettonici e decorativi. E’ relativa, nell’intervento
sugli edifici abitativi, produttivi e di servizio (casella, porcilaia, forno, ecc.), al
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mantenimento
dell’apparato
decorativo
delle
costruzioni,
per
cui
vanno
regolamentate le modalità di:
ƒ
tamponamento del perimetro esterno in edifici adibiti a stalle o fienili a tipologia
a porticato aperto su più lati; possono essere ammessi tamponamenti con
elementi vetrati (con esclusione di metrature a specchio e di infissi metallici non
verniciati) arretrati rispetto al filo del fabbricato;
ƒ
costruzione di terrazze in falda, esclusivamente sui fronti secondari dell’edificio
(con esclusione degli edifici soggetti a restauro scientifico e restauro e
risanamento conservativo di tipo A con limitazioni, che, ad esempio, possono
essere del tipo: a) estensione massima non superiore a mq. 8; b) numero
massimo non superiore a uno per unità abitativa; c) altezza minima dal punto
più basso di m. 1.20; d) altezza massima dal punto più alto di m. 2.50; e)
larghezza non superiore al doppio della profondità;
ƒ
realizzazione di logge e porticati, da attuarsi tramite la riutilizzazione di elementi
di portico preesistente, al ripristino di portici se storicamente documentabili o
riproposizione di elementi a portico se storicamente coerenti alla tipologia di
edificio (in tutti gli altri casi sono vietati);
ƒ
costruzione di autorimesse in adeguamento alla L. 122/89 e costruzione di edifici
proservizi, per ricovero di attrezzi o piccoli allevamenti, qualora, ad esempio, non
esistano edifici da recuperare a tali usi, nella misura massima complessiva non
superiore a quella delle rispettive abitazioni e indipendentemente dagli indici
previsti nelle varie sottozone.
c.3. Raccomandazioni sulle tecniche costruttive per gli edifici produttivi. Sono
relative a scelte progettuali che prevedano l’utilizzazione di tecniche costruttive che
favoriscano il rispetto delle indicazioni contenute nei criteri progettuali tipici della
zona, e, qualora si debba ricorrere a prodotti standard (prefabbricati) si abbia cura
di ottenere un risultato estetico assimilabile ad una tipologia costruttiva tradizionale.
d. Garanzia del benessere ambientale ed ecologico e dell’idoneità statica e
funzionale
d.1. Garanzia del benessere ambientale ed ecologico.
alla valutazione adeguata di:
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E’ relativa alla verifica ed
ƒ
installazione dei terminali di impianti di condizionamento fissi, che, ad esempio,
può essere effettuata sui coperti purché non siano visibili dalla pubblica via e nei
prospetti posteriori;
ƒ
rapporto ottimale tra superficie delle aperture e superficie utile sia di 1/8;
ƒ
ammissibilità dell’installazione di impianti solari solo se appoggiati alle falde.
d.2. Garanzia dell’idoneità statica e funzionale. E’ relativa al rispetto di:
ƒ
normativa statica vigente;
ƒ
normativa edilizia vigente;
ƒ
Regolamento edilizio;
ƒ
Regolamento di Igiene;
ƒ
norme per il superamento delle barriere architettoniche;
ƒ
norme relative alla sicurezza per usi diversi da quelli abitativi.
4.6. PER UNA TRASFORMAZIONE CHE RISPETTI L’IDENTITA’ DELL’AMBIENTE E L’INTERESSE
DELLA COLLETTIVITA’
Uno dei temi più dibattuti nella politica degli interventi sul contesto rurale costruito
riguarda i gradi di libertà che devono essere lasciati nel ridefinire gli aspetti spaziali e
tecnologici del nuovo progetto.
Il primo livello decisionale richiede la conoscenza della realtà costruita, che si
acquisisce tramite lo studio dei caratteri ambientali del contesto, condotto
attraverso
l’interazione
“lettura-analisi-sintesi-progetto”
alle
diverse
scale
di
intervento, e che consente di analizzare l’organismo insediativo (impianto, struttura,
morfologia), di sistematizzare le informazioni per individuare i caratteri e le invarianti
tipologiche, di identificare le regole e i criteri di gestione del processo di
trasformazione ed infine di formare di un quadro di riferimento per la fase di
pianificazione e controllo del progetto.
Particolare difficoltà si riscontra nello studio di insediamenti rurali sparsi in determinati
contesti geografici per i quali è assente nella manualistica storica qualunque
testimonianza delle tecniche costruttive tradizionali, intese come procedimenti
costruttivi di carattere pre-industriale; in questi casi si deve procedere, sulla base
dell’esperienza e di alcuni indagini documentate, a ricostruire il supporto alla
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conoscenza delle tipologie, dei materiali e delle tecniche esecutive eventualmente
suddivisi per determinati periodi.
Gli indirizzi sopra esposti sono in grado di aiutare il progettista a formulare criteri di
valutazione di ogni idea progettuale per garantire non solo un adeguato livello di
qualità della vita, anche in rapporto alla possibilità di fruizione degli spazi urbani
pubblici e privati, ma anche al rispetto degli aspetti tipologici e distributivi degli
edifici, alla collocazione degli edifici sul terreno, al conseguente rapporto tra pieno e
vuoto e tra spazio pubblico e privato, alla relazione equilibrata tra opera edilizia e
contesto urbano, paesaggistico, ambientale.
Il rapporto dell’opera edilizia col contesto deve rafforzarne la qualità, ed anzi deve
favorirne il miglioramento, per cui risulta di primaria importanza, con riferimento al
rapporto antico-nuovo, la salvaguardia dei valori e dei significati storici, morfologici
e tipologici consolidati del centro storico e degli agglomerati storici periferici, per il
contributo che questi stessi valori possono fornire alla riqualificazione della città
contemporanea e al superamento delle differenze di qualità tra centro e periferia.
L’intrinseca coerenza dell’opera relativamente al linguaggio adottato, al rapporto
tra forma architettonica e funzione, alle tecnologie impiegate può trovare riferimenti
in tipologie spaziali ed edilizie consolidate e in linguaggi architettonici mutuati dalla
cultura dei luoghi per perseguire scelte architettoniche improntate ad equilibrio
morfologico e consonanza al contesto territoriale mediante, ad esempio, il
contenimento dell’apparato decorativo e la rispondenza funzionale dei materiali.
Sono auspicabili inserimenti contemporanei nel contesto storico rurale costruito, e
tale nuovo edificato deve necessariamente essere rapportato all’esistente. Risulta di
grande importanza l’attenzione progettuale alle caratteristiche ambientali e
tipologiche della realtà in cui si interviene, poiché troppo spesso la mancata lettura
delle preesistenze o il suo travisamento in nome di banali reinterpretazioni
tipologiche e decorative hanno determinato la diffusione di elementi stridenti o
mortificanti della tradizione costruttiva che invece arricchisce e caratterizza il
paesaggio che conosciamo.
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