Il welfare state - Social Capital Gateway

Il welfare state
Un approccio più pragmatico all’intervento pubblico
• Normalmente, i libri di testo scritti negli ultimi due decenni discutono
il tema dell’intervento dello stato nell’economia in un contesto
teorico neoclassico. Qui l’economia, di per sé, tende a
raggiungere nel lungo periodo un equilibrio ottimale, nel quale
tutte le risorse sono pienamente impiegate. Non c’è disoccupazione
e tutto il risparmio viene “convertito” in investimenti delle imprese
grazie ai mercati finanziari.
• La motivazione più comune dell’intervento pubblico è costituita,
come abbiamo visto nelle prime lezioni, dai “fallimenti del
mercato”, cioè dai casi in cui il mercato, per sua natura o nel caso
in cui ricorrano circostanze “eccezionali” (#), non è in grado di
produrre da sé il raggiungimento di una situazione ottimale.
• L’implicazione di politica economica è che il ruolo dello stato
debba essere molto circoscritto e volto esclusivamente a
garantire il buon funzionamento delle istituzioni del mercato,
con qualche intervento eccezionale in caso di fallimenti di
queste ultime.
La matrice “occidentale” della teoria neoclassica
• Tale impostazione teorica non è soltanto la naturale evoluzione di
un libero pensiero scientifico che si è sviluppato a partire dalla fine
del settecento. Piuttosto, è dettata dalla storia recente. Nel senso
che la teoria economica – e le sue prescrizioni di politica economica
– sono fortemente influenzate dalla situazione politica.
• All’inizio degli anni ottanta, periodo in cui l’ortodossia neoclassica ha
assunto in modo saldo e definitivo una posizione dominante nel
pensiero economico (diventandone l’ortodossia), gli economisti
avevano a che fare con un contesto storico assai diverso da quello
di oggi. Il blocco comunista sembrava ancora lungi dal disgregarsi –
e comunque vi era incertezza sulla direzione di una eventuale
transizione istituzionale ed economica – e la Cina non poteva
nemmeno considerarsi un’economia di mercato.
• Ogni ragionamento di teoria e politica economica faceva implicito
riferimento al “mondo occidentale”.
La matrice “occidentale” della teoria neoclassica
• L’idea che lo stato debba intervenire nell’economia
esclusivamente nel caso in cui il mercato non riesca a
funzionare in modo ottimale ha senso solo nel contesto
di un sistema estremamente liberista, con poche
regole e un settore pubblico limitato. In un certo
senso, si può affermare che la teoria neoclassica sia
“dedicata a una parte del mondo occidentale”.
• In tale contesto, i regimi comunisti sono considerati
l’esempio più estremo (e perverso) di intervento pubblico
nell’economia, e secondo alcuni rappresentano il
pericolo più grave cui si può andare incontro in caso di
ampliamento del ruolo dello stato nell’economia.
La matrice “occidentale” della teoria neoclassica
La fotografia satellitare notturna
delle due Coree riportata sul
manuale di Economia della
Crescita di Weil, in apertura del
capitolo dedicato allo stato, vuole
suonare come un monito: un
intervento pubblico eccessivo può
portare a sottosviluppo e miseria.
Fonte: Weil, D. N. (2004). Economic Growth.
Pearson-Addison Wesley. Trad it. Weil D. N.
(2005). Crescita economica. Milano: Hoepli. La
figura si trova a p. 329.
E nel resto del mondo (o meglio: nel mondo reale)?
•
Dal punto di vista di un paese socialista, o anche fortemente statalista come
molte dittature, tale approccio teorico non ha senso, perché descrive come
punto di partenza (su cui innestare un eventuale intervento pubblico)
una situazione esattamente opposta a quella corrente.
•
Oggi, la Cina è la principale economia di mercato del mondo, e si sta
avvicinando a un’impostazione di politica economica via via sempre più
liberista partendo dalla forma più estrema di statalismo. In un certo senso,
l’impostazione iniziale è stata quella di colmare alcuni fallimenti dello
stato con gli interventi del mercato.
•
Nel resto del mondo, il ruolo dello stato nell’economia si sta
rafforzando ovunque, a partire dagli Stati Uniti di Bush (es.
nazionalizzazioni e salvataggi di imprese e banche) e di Obama (salvataggi
di banche, acquisto di titoli tossici da parte dello stato, istituzione di un
servizio sanitario pubblico), indipendentemente dal colore politico dei
governi.
La crisi degli ultimi anni ha ulteriormente rafforzato le esigenze di
intervento dello stato in termini di riduzione delle disuguaglianze, fornitura
di beni e servizi, regolazione e controllo dell’attività delle imprese private,
soprattutto nei mercati finanziari.
•
E nel resto del mondo (o meglio: nel mondo reale)?
• Inoltre, in Europa occidentale, il ruolo dello stato è storicamente
e strutturalmente forte, e ha preso (anche) la forma delle
istituzioni del welfare state.
• Dopo un periodo di crisi e di parziale smantellamento, lo stato
sociale sta tornando oggi di moda, sia per considerazioni di
ordine morale (equità, eguaglianza, solidarietà), sia per
tamponare gli effetti della recessione, sia perché è sempre più
diffusa la convinzione che la coesione sociale migliori la
competitività di sistema.
• In un tale contesto, non sembra molto sensato un approccio allo
studio dell’intervento pubblico basato sui fallimenti del mercato
oppure tanto fortemente influnzato dalle categorie interpretative
neoclassiche, secondo il quale, in generale, “lo stato non opera
a favore della crescita economica” (come recita il titolo del
penultimo paragrafo del capitolo che Weil dedica allo stato).
Di fronte all’affermazione di Weil, viene da chiedersi: perché la Cina, che teoricamente
non è nemmeno un’economia di mercato sta registrando una crescita strepitosa da due
decenni?
Fonte: International
Energy Agency.
Il welfare state
• Il welfare state viene generalmente identificato con
l’insieme delle spese destinate alla previdenza, alla
sanità, agli ammortizzatori sociali, all’assistenza,
all’istruzione e alle politiche per la casa.
• I sistemi europei di protezione sociale presentano
caratteristiche diverse, che riflettono i legami esistenti
tra le modalità di sviluppo degli istituti e le esperienze
storiche, politiche ed economiche dei singoli paesi.
• I vari sistemi differiscono tra loro principalmente rispetto
a:
1. dimensione e alla composizione della spesa
pubblica;
2. aspetti istituzionali
3. tipi di prestazioni erogate
4. meccanismi di finanziamento previsti.
Il welfare state
• Quindi, le politiche sociali possono essere
classificate sulla base:
1. degli strumenti utilizzati (trasferimenti in
denaro o erogazione di servizi);
2. delle regole di accesso (con accertamento, o
meno, delle condizioni di bisogno);
3. delle modalità di finanziamento adottate
(attraverso la fiscalità generale o tramite
contributi sociali)
4. e degli assetti organizzativo-gestionali.
Il welfare state
• La letteratura distingue 4 modelli di welfare:
1) Modello socialdemocratico (o scandinavo)
2) Modello liberale (o anglosassone)
3) Modello corporativo (o continentale)
4) Modello mediterraneo.
Modello socialdemocratico o scandinavo
• Caratterizza i paesi scandinavi (Finlandia, Danimarca, Svezia e
Norvegia) e l’Olanda (il cui sistema di welfare ha però delle
specificità assimilabili anche al modello continentale). Presenta i
livelli più alti di spesa per la protezione sociale (circa 1/3 del PIL).
• La protezione sociale (contro i rischi della vita, come la
vecchiaia, la malattia, gli incidenti, le situazioni di disagio) è
considerata un diritto di cittadinanza, di cui tutti devono godere
allo stesso modo.
• Le prestazioni pertanto hanno una copertura universale, e
consistono in benefici in somma fissa, erogati automaticamente
al verificarsi dei vari rischi.
• In aggiunta, i lavoratori occupati ricevono prestazioni
integrative, tramite schemi professionali obbligatori
altamente inclusivi.
• La principale forma di finanziamento è il gettito fiscale,
sebbene, a partire dalla metà degli anni ’90, sia stato esteso il
ruolo dei contributi sociali obbligatori.
Modello liberale o anglosassone
• Riguarda Irlanda e Regno Unito.
• Ha come obiettivo prioritario la riduzione della diffusione
delle povertà estreme e dei fenomeni di
emarginazione sociale.
• È caratterizzato da rilevanti programmi di assistenza
sociale e di sussidi, la cui erogazione è tuttavia
subordinata alla verifica delle condizioni di bisogno
(means testing).
• Un ruolo importante è svolto dalle politiche attive del
lavoro e da schemi che condizionano l’accesso ai
benefici al possesso di un’occupazione regolare.
• Le modalità di finanziamento sono miste: mentre la
sanità è interamente fiscalizzata, le prestazioni in denaro
sono generalmente finanziate tramite i contributi sociali.
Modello corporativo o continentale
• Comprende i paesi dell’Europa continentale: Austria,
Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo.
• Risente ancora dell’originaria ispirazione bismarckiana,
che prevede uno stretto collegamento tra le prestazioni
sociali e la posizione lavorativa degli individui, ed è
centrato sulla protezione dei lavoratori e delle loro
famiglie dai rischi di invalidità, malattia, disoccupazione e
vecchiaia.
• I programmi sono molto frammentati e diversificati per
categorie, spesso più generosi verso i dipendenti
pubblici.
• Il finanziamento avviene prevalentemente tramite
contributi sociali, distinti per i vari istituti di spesa.
Modello mediterraneo
• Riguarda Grecia, Italia, Portogallo e Spagna.
• Comprende sistemi sociali di introduzione relativamente recente,
caratterizzati da livelli più bassi di spesa (circa 1/4 del PIL).
• Può essere considerato come una variante di quello
continentale-corporativo, dato che presenta sistemi di garanzia
del reddito di impronta bismarckiana, altamente frammentati per
categorie occupazionali, in cui è ancora più accentuato il ruolo di
ammortizzatore sociale assegnato alla famiglia.
• A differenza dei sistemi dell’Europa continentale, tuttavia, nei
paesi mediterranei manca un’articolata rete di protezione
minima di base, sebbene, di recente, alcuni paesi abbiano
cercato di porre rimedio a questa anomalia, attraverso
l’introduzione di schemi di reddito garantito (in Spagna,
Portogallo e, a livello sperimentale, in Italia).
• Continuano ad essere poco sviluppati anche i programmi di
assistenza sociale e le politiche attive del mercato del lavoro.
La crisi del welfare
• A partire dalla fine degli anni ’80, i sistemi di welfare europei sono
stati oggetto di critiche. È stata sempre più evidente la necessità di
riforme, per:
- ridefinire gli ambiti di applicazione degli schemi di protezione;
- garantirne la sostenibilità finanziaria di lungo periodo.
• Si è diffusa l’opinione secondo cui il welfare state, a causa degli
effetti disincentivanti dei suoi istituti e del prelievo fiscale necessario
al suo finanziamento, sia da ritenere uno dei principali responsabili
della insoddisfacente crescita economica, rispetto alla
corrispondente performance statunitense e dei paesi emergenti.
• In effetti, negli ultimi anni gli stati sociali europei sono stati soggetti a
pressioni che hanno determinato:
a) scollamento tra i nuovi bisogni/rischi che richiedono
protezione e le tutele garantite dai programmi esistenti.
b) Lievitazione dei costi.
Riepilogo
• Un approccio meno dogmatico: poiché lo stato
riveste ovunque un ruolo fondamentale, forse è
anacronistico chiedersi se e in quali particolari
circostanze quando sia opportuno contaminare
l’economia con qualche forma di intervento
pubblico.
• I “casi” dell’Europa occidentale e della Cina.
• Lo stato sociale in Europa.
• I fattori di crisi dello stato sociale (che hanno
alimentato l’idea che l’intervento pubblico
danneggi la crescita).
Crisi e prospettive del
welfare
Obiettivo della lezione
• Analizzare i fattori di crisi del welfare in Europa occidentale.
Tali elementi di debolezza portano politici ed economisti liberisti
a sostenere che il welfare danneggia la competitività – e quindi
nel lungo periodo crescita e sviluppo – e andrebbe perciò
ridimensionato.
• Descrizione delle tendenze in corso, dall’andamento della spesa
sociale ai nuovi programmi di riforma del welfare.
• Introduzione delle ragioni per cui il welfare potrebbe rafforzare la
competitività dei sistemi economici, anziché indebolirla.
La considerazione di tali elementi di forza consente di effettuare
una valutazione più obiettiva del ruolo del welfare, che deve
essere considerato anche un fattore di sviluppo.
• Il funzionamento del welfare come fattore di sviluppo richiede
però l’attuazione di riforme a volte radicali e impopolari.
I fattori di crisi del welfare
Invecchiamento demografico
Cambiamento
del contesto
Ruolo della famiglia
Partecipazione femminile
Aumento del lavoro atipico
Vincoli esogeni
Vincoli di bilancio
Globalizzazione
Fattori di crisi
Istituzionalizzazione della
soglia di età pensionistica
Trappole interne
Trappole della competenza
Rilassamento della logica
attuariale
(Ir)responsabilità
della politica
Scivolamento distributivo
L’invecchiamento demografico nel mondo
Fonte: UN, World Population Ageing 1950-2050
Ancora non abbiamo raggiunto il massimo!
L’invecchiamento demografico nel mondo
Fonte: UN, World Population Ageing 19502050
L’invecchiamento demografico nella UE
Fonte: Eurostat
Le conseguenze dell’invecchiamento demografico
Maggiori domande di prestazioni in campo
pensionistico, sanitario e dei servizi sociali.
L’invecchiamento
demografico ha posto almeno
3 problemi fondamentali:
Conseguenti maggiori oneri finanziari.
Concentrazione di tali oneri su una quantità
di lavoratori attivi costante o in diminuzione.
Maggior tasso di morbilità
Sanità: la % di servizi consumata dagli
anziani è 2-3 volte superiore alla loro
% rispetto alla popolazione, a causa di:
Pensioni: se il sistema è a ripartizione,
si va verso l’insostenibilità finanziaria.
Maggiore incidenza di patologie
croniche.
Il ruolo della famiglia
• La famiglia europea è diventata un istituto meno stabile e
protettivo che nel passato, come è attestato in tutti i paesi
dalla crescita di divorzi e separazioni, famiglie
monogenitoriali, nuclei familiari con un solo componente
(spesso anziano), diffusione di fenomeni di isolamento ed
emarginazione.
• Tale tendenza è più accentuata nell’Europa settentrionale,
mentre al sud le reti familiari continuano a svolgere le proprie
tradizionali funzioni di ammortizzatori sociali.
• Per inciso, come vedremo meglio nel seguito del corso, lo
svolgimento di tale ruolo non è privo di effetti collaterali e si
accompagna, nel mezzogiorno italiano, al fenomeno del
familismo amorale.
• Uno dei problemi è che gli attuali istituti di protezione e di
tassazione sono stati concepiti avendo come punto di
riferimento la famiglia nucleare di tipo tradizionale.
La partecipazione femminile al mercato del lavoro
Tasso di occupazione femminile in alcuni paesi europei. Nei paesi scandinavi la situazione è
quasi invariata. Nei paesi mediterranei si è verificato un grande balzo in avanti. Fonte: Eurostat
La partecipazione femminile al mercato del lavoro
Tasso di occupazione femminile. Nonostante il miglioramento, l’Italia è ancora molto
indietro rispetto al resto d’Europa Fonte: Eurostat
Il ruolo della famiglia
• Negli ultimi 30 anni, nei paesi scandinavi i tassi di
partecipazione maschile e femminile hanno registrato un
allineamento.
• Nei paesi cattolici (Italia, Irlanda e Spagna) l’aumento
dell’occupazione femminile è stato più lento, ma comunque
significativo.
• Il fenomeno ha originato un’ampia gamma di nuovi bisogni
sociali, soprattutto di strumenti capaci di conciliare esigenze e
responsabilità attinenti alla sfera lavorativa e quella familiare.
• In particolare, sono emerse necessità di:
- sostegno collettivo alla famiglia;
- revisione degli istituti che penalizzano le donne che sono
costrette a interrompere la propria attività professionale per
assolvere a responsabilità di cura.
Aumento del lavoro atipico
Fonte: Eurostat
L’Italia è il paese in cui si è verificato l’aumento più netto, anche
perché la precarizzazione dei rapporti di lavoro è iniziata più tardi,
solo negli anni novanta.
Aumento del lavoro atipico
• L’occupazione fordista (i posti di lavoro stabili e garantiti, con
contratti a tempo indeterminato) ha subito un declino costante
negli ultimi 25 anni, solo in parte compensato dalla creazione
di forme di occupazioni “casuali” o “non convenzionali” (lavoro
a tempo parziale, temporaneo o interinale, atipico).
• La disoccupazione ha registrato un’impennata, soprattutto tra
alcune categorie, come i giovani e gli ultracinquantenni.
• Ne è derivato:
- aumento della domanda di prestazioni tradizionali di
sostegno del reddito da parte dello stato sociale.
- Necessità di definire corredi minimi di tutela per le nuove
forme di occupazione flessibile.
- Esigenza di sostenere e accrescere l’occupabilità dei
disoccupati.
L’obsolescenza del welfare
• A fronte di questo nuovo insieme di bisogni e di domande
sociali, l’impalcatura dei tradizionali sistemi di welfare mostra
oggi chiari sintomi di obsolescenza.
• Un tipico esempio è quello degli schemi di tutela contro la
disoccupazione:
- Nella maggior parte dei paesi, tali schemi si sono limitati a
sussidiare le persone affinché non lavorassero, fornendo indennità,
integrazioni salariali o prepensionamenti.
- Il finanziamento di tali forme di compensazione proviene dalle
retribuzioni dei lavoratori occupati (mediante i contributi sociali), e
mantiene alto il costo del lavoro.
- Gli elevati oneri sociali disincentivano la creazione di nuovi posti
regolari (anche al di là del loro declino fisiologico) da parte delle
imprese. La disponibilità di sussidi incoraggia i comportamenti
opportunistici da parte dei lavoratori meno corretti.
- Si innesca un circolo vizioso.
I vincoli di bilancio
• Le dinamiche espansive del welfare sono state la causa principale
degli squilibri di finanza pubblica registrati in alcuni paesi a partire
dagli anni 70.
• Il Patto di stabilità e crescita obbliga al contenimento del deficit e del
debito, e l’aumento del prelievo fiscale è precluso sia dagli effetti
negativi che potrebbe avere su competitività e occupazione, sia da
problemi di consenso elettorale.
• Pertanto, una ristrutturazione del welfare deve produrre una
spesa (relativa) invariata o quasi.
• La strategia obbligata per rispondere ai nuovi bisogni e alle nuove
domande è allora quella di ristrutturazioni interne che spostino
risorse dai vecchi ai nuovi rischi e dai gruppi sovraprotetti a
quelli sottoprotetti.
• Tale vincolo ha conseguenze serie sul piano politico e sociale,
perché impone scelte:
- esplicitamente redistributive (tolgo ad A per dare a B).
- sottrattive (tolgo ad A per il bene di tutta la collettività).
Globalizzazione
• La globalizzazione costituisce un vincolo alla ristrutturazione
del welfare nella misura in cui rende svantaggiose alcune
modalità di organizzazione e di finanziamento della
protezione sociale.
• Tuttavia va sottolineato che ci sono aspetti del “modello
sociale europeo” che ostacolano la competitività, e altri che la
favoriscono.
• Nei confronti internazionali si omette spesso la quota di spesa
sociale non pubblica che grava sulle retribuzioni e dunque
incide sulla competitività.
Per esempio: negli USA le assicurazioni sanitarie private sono
finanziate in larga parte dalle imprese, che se ne lamentano.
• Nel modello asiatico, cresce la domanda di protezione
sociale pubblica, sia grazie all’emergere di una sempre più
vasta coscienza sociale sia in seguito all’evidenza di alcuni
fallimenti del mercato. Secondo alcuni autori, l’estremo
oriente dovrebbe dotarsi di un sistema di welfare come il
nostro.
Le trappole interne
• La teoria neoistituzionale respinge la
tradizionale posizione funzionalista secondo cui
le istituzioni tendono a conformarsi ai propri
ambienti, implicitamente coerente con i dettami
della teoria neoclassica.
• Come dimostra la ricerca empirica, il rapporto
tra istituzioni e ambienti manifesta dinamiche
imprecise, discontinue e sub-ottimali.
• Tali dinamiche hanno a che fare anche con la
logica “interna” al funzionamento delle istituzioni
in quanto tali.
Il ciclo di istituzionalizzazione
1)
2)
3)
Nel loro momento genetico, le istituzioni costituiscono di
norma un tentativo di dare risposta a problemi ambientali, la
cui soluzione richiede interazioni e scelte collettive. In
questa fase, la corrispondenza delle istituzioni con il
contesto è al suo massimo.
In una seconda fase, regole e routine assumono
progressivamente valore normativo autonomo e
autoreferenziale.
Quindi, si verifica una spersonalizzazione delle regole, che
diventano indipendenti dalla discrezionalità dei membri
dell’istituzione e si trasformano in fattispecie astratte. Al
momento del ricambio, i nuovi membri delle istituzioni e i
cittadini che ne sono interessati ereditano le regole dal
periodo precedente come un dato di fatto scontato.
Dinamiche endogene dell’istituzionalizzazione (North, 1990)
Durante il processo, si verificano 3 dinamiche endogene:
1) La validazione autoreferenziale fa si che la pratica sociale
che si istituzionalizza perda il suo carattere strumentale e
diventi un valore in sé, la cui efficienza come strumento di
soluzione dei problemi non è più messa in discussione.
2) Le pratiche istituzionalizzate diventano vittima di:
- trappole della competenza: le istituzioni tendono ad
affrontare ogni problema, anche quelli nuovi, con i vecchi
mezzi, col risultato di dilatare all’infinito la propria sfera di
competenza.
- trappole dell’insuccesso.
3) Si producono effetti di chiusura: se un’istituzione presiede
all’allocazione di risorse materiali, i suoi membri (e anche gli
utenti) maturano interesse al mantenimento delle prerogative
e promesse istituzionali si ha un consolidamento
organizzativo e un’espansione dell’organizzazione stessa.
Il rilassamento attuariale
• Nel caso del welfare, il mutamento istituzionale è
sfociato (anche) in un rilassamento delle
fondamenta attuariali, che garantivano una
qualche corrispondenza “matematica” tra il
flusso dei contributi e il flusso delle prestazioni.
• Negli anni 70, la protezione sociale ha perso la
propria originaria natura di meccanismo
redistributivo fondato su di un legame diretto
(anche se implicito) fra oneri contributivi (degli
assicurati e dei loro datori di lavoro) e spettanze
di prestazioni maturate.
Ciclo di istituzionalizzazione: l’esempio delle pensioni
• All’inizio del secolo scorso, vivere oltre i 70 anni era
davvero un rischio per la maggioranza della popolazione:
- molti morivano prima.
- I pochi che sopravvivevano avevano molte probabilità di
cadere in uno stato di bisogno.
• Un maschio di 20 anni aveva un’aspettativa media di vita
di 62 anni (68 per i quarantenni).
• Quando fu introdotta la pensione pubblica, l’età di
accesso venne fissata a 65 anni (Italia, 1919; Francia,
1910) o 70 anni (Regno Unito, 1908, Germania, 1889).
• Rimanere vivi dopo questa età e fruire della pensione era
un evento fortemente aleatorio e strettamente connesso
a condizioni di bisogno.
Ciclo di istituzionalizzazione: l’esempio delle pensioni
• Una volta formalizzata in disposizioni di legge, questa nozione di
vecchiaia ha tuttavia acquisito il carattere di norma sociale
autosufficiente, trasformandosi in un dato per
l’organizzazione della vita individuale.
• A fronte di una vita più lunga e più sana, la norma non si è adattata
all’ambiente, ma al contrario ha indotto quest’ultimo ad adattarsi.
• L’istituzionalizzazione della soglia di età ha provocato un
progressivo spiazzamento funzionale dei sistemi previdenziali:
dall’iniziale tutela di uno specifico rischio di miseria economica e
umiliante dipendenza personale, si è passati al
sovvenzionamento di lungo periodo di inattività, non
necessariamente indigente.
• Anziché adeguare verso l’alto l’età pensionistica, molti paesi negli
anni 60 l’hanno abbassata.
• Il ritiro dal lavoro a fini di riposo e vacanza si è affermato come
pratica di massa nelle società europee.
• Ferrera (1998): l’idea che 20-30 di pensione-vacanza sussidiata
dallo stato potessero essere economicamente insostenibili è stata
ignorata perché controcorrente.
Ciclo di istituzionalizzazione: l’esempio delle pensioni
• Le pensioni sono il miglior esempio anche del
rilassamento attuariale. Con l’adozione del finanziamento
a ripartizione (in cui i versamenti della generazione
contribuente non vengono accantonati, ma
immediatamente utilizzati per pagare le prestazioni alla
generazione ricevente), in un certo numero di paesi intere
coorti di anziani furono ammesse quasi gratuitamente alla
fruizione dei benefici: cominciarono cioè a ricevere
trattamenti, anche se modesti, poco dopo l’istituzione dei
nuovi schemi, a fronte di periodi di contribuzione molto
brevi.
• Per esempio, tra i 50 e i 60, in Italia l’assicurazione
pensionistica venne estesa istantaneamente a
coltivatori, artigiani e commercianti che non avevano
mai pagato i contributi.
Pressioni contraddittorie sul welfare
• La globalizzazione, con l’aumento di povertà e
disuguaglianze che la accompagnano, determina un
aumento della domanda di protezione sociale.
• I fattori di crisi del welfare sono tra i principali argomenti
di chi nel dibattito scientifico e politico ne auspica un
ridimensionamento.
• In particolare, si fa leva sul tema della globalizzazione e
sulla necessità di preservare la competitività di sistema
rispetto alle economie emergenti, che praticano dumping
sociale e ambientale.
• In pratica, si suggerisce di partecipare a una “gara al
ribasso” dei sistemi di welfare, adeguando i nostri
sistemi di protezione sociale agli standard statunitensi
(per non dire asiatici).
Pressioni contraddittorie sul welfare
• Tale approccio di politica economica è fondato per
quanto riguarda la necessità di ristrutturare lo stato
sociale, per renderlo più efficiente e perseguire i propri
obiettivi. Tuttavia non tiene conto di due fattori:
A) Il sistema statunitense, largamente basato su attori
privati, è in crisi, e ha portato all’esplosione della
domanda di protezione sociale.
B) Mancano verifiche empiriche della relazione
negativa tra welfare e crescita!
B) Un welfare efficiente costituisce un fattore di
miglioramento della competitività di sistema.
Garantisce infatti una serie di benefici che costituiscono
dei fattori di competitività e di sviluppo per l’intero
sistema economico e sociale.
Il welfare come fattore di sviluppo
Disuguaglianze
Propensione al rischio
Educazione
Welfare
state
Salute
Produttività
Tempo di lavoro
Fiducia
Coesione sociale
Fertilità
Sviluppo
economico
La riforma del welfare
• Purtroppo, le riforme effettuate finora non sono state in grado di
riformare il welfare per garantirne la sostenibilità e rispondere alle
nuove domande/bisogni di protezione sociale migliorando al tempo
stesso la competitività di sistema.
• Nel corso degli anni ’90, i sistemi di protezione sociale e i mercati del
lavoro europei sono stati interessati da numerose riforme, che però
raramente hanno avuto un carattere radicale.
• Un’analisi delle misure introdotte in Europa tra il 1987 e il 1999
mostra come:
- delle quasi 200 riforme introdotte nell’ambito dei sussidi di nonoccupazione, delle pensioni e della protezione dell’impiego, circa
l’80% possono essere ritenute marginali, non essendo di natura
strutturale;
- il numero degli interventi che riducono la generosità delle
prestazioni e il grado di protezione dell’impiego (107 su 198) è quasi
pari a quello dei cambiamenti che agiscono in direzione esattamente
opposta (Bertola, Boeri e Nicoletti, 2001).
La riforma del welfare
• Le incoerenze e il carattere marginale della maggior parte delle
riforme hanno spesso finito per accrescere la complessità e la
frammentazione dei sistemi di sicurezza sociale europei,
approfondendo il divario tra individui tutelati e non.
• Uno dei nodi di fondo delle strategie di riforma del welfare è
costituito dalla scelta tra un’impostazione universale o selettiva
delle politiche assistenziali pubbliche.
- Secondo l’impostazione universale, le prestazioni devono
essere estese a tutta la collettività, indipendentemente dalle
condizioni di reddito e patrimonio degli individui.
- Secondo l’impostazione selettiva, l’erogazione delle prestazioni
sociali deve essere subordinata all’accertamento della situazione
economica dei beneficiari.
• Nell’impostazione selettiva, non esistono diritti di cittadinanza,
ma stati di bisogno.
• Il dibattito internazionale di policy, a partire dagli anni ‘80, ha
visto prevalere il principio selettivo come criterio ispiratore degli
interventi di riforma.
Riepilogo
• I fattori di crisi del welfare
- Cambiamenti del contesto
- Vincoli esogeni
- Trappole interne
• La necessità della riforma
• Il welfare come fattore produttivo
Possibili domande d’esame
• Non ci sono domande d’esame su questo
blocchetto di slides.