LA TEORIA DEL “GENDER”
La rivoluzione antropologica
e la tirannia del pensiero unico
a cura di Giancarlo Tettamanti
Quella del “gender” è una delle sfide più grandi per l’uomo contemporaneo: si tratta di una delle
ideologie più perniciose per l’uomo, a causa dell’attacco violento e diretto ai fondamenti
dell’antropologia, con la messa in discussione dell’esistenza stessa di una natura umana sulla quale si
fondano i principali valori ai quali l’uomo da sempre si ispira. Una ideologia, quella del gender, che
opera una vera e propria negazione della realtà, affermando che l’identità sessuale di una persona –
maschio o femmina – non sarebbe più una dimensione determinante, ma un elemento per così dire
“accessorio e marginale” della personalità: l’essere maschio o femmina, quindi, non dipenderebbe dal
sesso con cui una persona nasce, ma da una scelta dell’individuo, condizionata anche dalla cultura
della società in cui vive. E’ evidente che questa rivoluzione antropologica richiede una attenzione
educativa del tutto nuova da parte di chi (genitore, insegnante, educatore) è chiamato a formare e
orientare i giovani, i quali già adesso si trovano a crescere in un contesto che mette in discussione un
elemento fondamentale come la differenza sessuale tra uomo e donna, cardine su cui ognuno
costruisce la propria identità.
Cos’è l’ideologia del “genere” e perché è così pericolosa?
L’ideologia di genere è il risultato di decenni di trasformazione ideologica e culturale, saldamente
radicata nel marxismo e nel neo-marxismo, promossa dal movimento femminista sempre più radicale e
dalla rivoluzione sessuale iniziata nel 1968. Essa promuove principi totalmente contrari alla realtà e
alla tradizionale comprensione della natura umana. Dice che il sesso biologico è puramente culturale,
che col tempo si può scegliere, e che la famiglia tradizionale è fardello sociale obsoleto. Secondo
l’ideologia di genere l’omosessualità è innata, e i gay e le lesbiche hanno il diritto di creare coppie che
saranno fondamento di un nuovo tipo di famiglia, e anche di adottare e crescere figli, compreso il
ricorso alla fecondazione eterologa e alla maternità surrogata, in nome di una figliolanza pretesa come
diritto. I promotori di questa ideologia sostengono che ogni persona ha diritti produttivi, compreso il
diritto di modificare il sesso. L’ideologia di genere, nella sua forma più radicale, considera il sesso
biologico come una sorta di violenza contro la natura umana. Secondo questa ideologia “l’uomo è
prigioniero del sesso” e dovrebbe liberarsi. Negando il sesso biologico, l’uomo guadagna “la vera
libertà senza restrizioni” e può scegliere il sesso culturale, che si rivela solo nel comportamento
esterno. L’uomo ha inoltre il diritto naturale di cambiare le scelte entro i cinque sessi, quali quello gay,
lesbico, bisessuale, transessuale ed eterosessuale. Il rischio dell’ideologia di genere deriva
essenzialmente dalla natura profondamente distruttiva sia della persona che delle relazioni
interpersonali, e quindi tutta la vita sociale. L’uomo privo di identità di genere perde il senso della sua
esistenza, non è in grado di scoprire e svolgere i compiti che incontra nel suo sviluppo personale,
familiare e sociale, nonché i compiti relativi alla procreazione.
Quale la promozione di questa ideologia?
La promozione dell’ideologia “Gender” passa attraverso le varie proposte di legge – già approvate in
alcuni Stati europei, e in discussione in Italia – per la “prevenzione e il contrasto delle discriminazioni
basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”. Si cerca di elevare l’orientamento sessuale
e l’identità di genere a diritto umano fondamentale: un abbondante materiale didattico viene proposto
alle scuole, alle associazioni, teso a far affrontare il tema dell’orientamento sessuale e dell’ideologia di
genere. Alla base c’è una precisa strategia formativa: normalizzare l’orientamento sessuale e il
comportamento omosessuale facendolo passare come una variante “naturale” e “innata”.
Questo metodo inclusivo interessa, non soltanto la scuola e l’educazione scolastica, ma pure la
cultura, attraverso il contenuto di film, serie TV, giochi, spettacoli, con l’aiuto delle nuove tecniche e
attraverso l’uso di immagini tese a modificare la consapevolezza sociale indirizzandola verso
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l’adozione dell’ideologia di genere; la medicina, con la promozione e il sostegno del diritto all’aborto,
alla contraccezione, alla fecondazione in vitro, alla maternità surrogata, alla riassegnazione di sesso
mediante la chirurgia e la terapia ormonale, così come la graduale introduzione di un “diritto”
all’eutanasia e all’eugenetica, cioè la possibilità di eliminare i malati, i deboli, i portatori di handicap
che – secondo ideologi di genere – sono difettosi. Ne consegue che l’uomo non conta più nulla, e il
movente occulto è, in ultima analisi, il vantaggio economico. Il tutto con la benevola disponibilità
della politica e della magistratura.
L’attacco alla istituzione familiare
Dietro a questa impostazione anti-discriminatoria, pericolosamente si sottendono da parte dei
promotori precise scelte giuridiche e sociali inerenti il matrimonio per le coppie omosessuali, con un
attacco alla famiglia “naturale”, con possibilità di adozione dei figli, la sostituzione dei termini
“padre” e “madre” con il più generico “genitore A” e “genitore B” oppure “uno” e “due”, Il tutto con il
beneplacito consenso della Cassazione la quale ha decretato l’uguaglianza della famiglia tradizionale
con quella costituitasi con l’unione tra persone dello stesso sesso, nonché con la possibilità di
affidamento dei minori: in sintesi un vero e proprio attacco alla famiglia e alla sua espressione
comunitaria, generativa e formativa. Il tutto sostenuto dal coro mediatico celebrante “la vittoria della
libertà” e “ha vinto l’uguaglianza”, considerando così uguali realtà che non lo sono, cioè maschio e
femmina. La non riconosciuta differenza sessuale posta a garanzia della generazione e a fondamento
del matrimonio uomo/donna rispetto a quello omosessuale, di fatto insinua la convinzione che la
differenza riconosciuta sia obbligatoriamente atto di disuguaglianza. E ciò porta ad un
condizionamento della libertà di espressione (quindi della non condivisione di tali atti) e la
delegittimazione di chi non è d’accordo, con l’ulteriore risultato di condizionare l’opinione pubblica e
la stessa possibilità di riflettere sulla società futura. Tale azione è niente di meno che lo
smantellamento della “famiglia”! Con questo, l’assunto come priorità assoluta, anche normativamente
e penalmente, della presunta discriminazione omofobica, lasciando in secondo piano tutte le altre vere
ed autentiche discriminazioni, ben più pregnanti e urgenti, molto più avvertite dai cittadini e troppo
spesso ignorare dai pubblici poteri e dalle autorità statuali.
Come nasce in Italia l’ideologia “gender”?
Quando, il 20 novembre 2012, il Ministero del Lavoro con delega alle Pari Opportunità, organizzò
(informale e altamente riservata) una riunione in cui gli invitati erano formalmente le sigle delle
associazioni Glbt (acronimo per gay, lesbiche bisessuali transessuali, raggruppabili
terminologicamente come gender di cui troppo poco e confusamente si parla), in pochi si
preoccuparono di approfondire i contenuti e i programmi sottesi a quel incontro e il significato della
istituzione del Gruppo Nazionale di Lavoro GLBT. I risultati di quelle consultazioni sono stati espressi
nel documento pubblicato dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, a difesa delle
differenze) con il titolo Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni
basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Sfogliandone le 51 pagine si scopre che si
tratta, in definitiva, di una progettazione operativa per il biennio 2013/2015, presentata con
terminologia apparentemente piana e condivisa. Il tutto prendendo in considerazione l’adesione – non
obbligatoria – al progetto sperimentale proposto dal Consiglio d’Europa per l’attuazione e
l’implementazione della “Raccomandazione del Comitato dei Ministri (CM. REC. 5/2010), nonché
con particolare importanza alla Carta dei Diritti Fondamentali dei cittadini dell’Unione europea, del
2000, avente effetto giuridico vincolante a partire dal 2009, il cui contenuto poneva il divieto di
discriminazione sessuale della persona umana e il conseguente riconoscimento generale del diritto di
sposarsi e di costruire una famiglia.
L’introduzione dell’ideologia di genere nella scuola
Nell’aprile del 2013 sono state pubblicare le norme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
in materia di educazione sessuale, documento nefasto per l’educazione e nefasto per la società e le
generazioni più indifese. Abbondante materiale didattico viene proposto ai docenti delle scuole di ogni
ordine e grado per affrontare il tema dell’orientamento sessuale e dell’ideologia di genere. Viene
promossa, tra l’altro, una campagna formativa sui bambini sin dalla prima infanzia e in età prescolare
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e la scoperta della gioia e del piacere che provengono dal toccare sia il proprio corpo che il corpo dei
loro coetanei. Molto abilmente viene taciuto che lo scopo dell’educazione di genere è l’erotizzazione
dei bambini e degli adolescenti. Più specificatamente nel documento dell’OMS si legge tra l’altro,
quale prospettiva programmatica (in via di sviluppo nel nostro Paese) con la diffusione di opuscoli
illustrativi:
* ai bimbi da zero a quattro anni “gli educatori dovranno trasmettere informazioni su masturbazione
infantile precoce e scoperta del corpo e dei genitali, mettendoli in grado di esprimere i propri bisogni
e desideri, ad esempio nel gioco del dottore”;
* ai bambini dai quattro ai sei anni dovranno invece essere impartite istruzioni “sull’amore e le
relazioni con persone dello stesso sesso ... parlando di argomenti inerenti alla sessualità con
competenza comunicativa”. A quelli tra i sei e i nove anni dovranno essere fornite informazioni sui
“cambiamenti del corpo, mestruazioni ed eiaculazione”, facendo conoscere loro “i diversi metodi
contraccettivi”;
* ai bambini dai nove ai dodici anni dovranno essere comunicati i “rischi e le conseguenze delle
esperienze sessuali non protette”;
* agli adolescenti tra i dodici e i quindici anni dovranno, invece, essere rivelati concetti quali
“pianificazione familiare, impatto della maternità in giovane età, presa di decisioni, gravidanze anche
in relazioni omosessuali, prostituzione e pornografia”, e soprattutto si dovrà avvertirli di stare in
guardia “dall’influenza della religione sulle decisioni riguardanti la sessualità”;
* dai sedici anni in poi, gli adolescenti entrano nella sfera formativa ed inclusiva prevista per gli
adulti, docenti e personale non docente, studenti, famiglie, nel processo di sensibilizzazione gender.
In tal senso ormai molteplici sono strumenti informativi e opuscoli applicativi distribuiti – nel quadro
della campagna “Tante diversità – Uguali diritti” promossa dal MIUR e dal Dipartimento Pari
Opportunità – nelle scuole dell’infanzia e primarie.
I capisaldi su cui fondare la costruzione dell’identità personale
Questa azione nelle scuole si è resa possibile perché – spesso – la maggioranza dei genitori, educatori
e insegnanti non hanno avuto sufficienti informazioni in ordine alle attività di questi gruppi GLBT, nè
la conoscenza del materiale didattico da essi usato. Tutto ciò va ben oltre la legittima denuncia del
bullismo e dell’omofobia e il doveroso rispetto del soggetto omosessuale: l’azione mette in scacco
alcuni capisaldi della costruzione dell’identità personale e familiare. “Con il grimaldello delle
categorie dei gender – ebbe a sottolineare il card. Angelo Scola - è stata forzata la porta verso la
modificazione radicale del significato delle pratiche individuali e sociali che riguardano le delicate ed
essenziali realtà primarie della differenza sessuale, del matrimonio e della famiglia”. Di fronte a
questa ideologia “gender” sembra, tuttavia, estremamente importante sollecitare l’assunzione della
consapevolezza delle minacce e dei danni che tale ideologia promuove, e richiamare a responsabilità
in ordine ai diritti fondamentali e inalienabili della famiglia, intervenendo per ricollocare matrimoniofamiglia-educazione nel loro giusto ambito esistenziale, consentire ai genitori di esercitare il loro
diritto, costituzionalmente riconosciuto, di educare i figli in conformità con le proprie convinzioni e
valori, e fornire ai bambini e agli adolescenti l’opportunità di uno sviluppo integrale a casa e a scuola.
E ciò riscoprendo i cardini che permettono di sconfiggere manipolazioni e stravolgimenti
antropologici dell’uomo.
I cardini antropologici irrinunciabili
La questione dell’identità, della verità dell’IO, del chi è l’uomo, è decisiva: non si tratta di una
concezione astratta dell’uomo, nel senso di privata e separata dalla vita reale, e perciò ultimamente
ininfluente, ma di un rapporto e di una appartenenza da vivere, un rapporto ed una appartenenza che
“costituisce”. Si tratta, invece, di ciò che determina in modo decisivo la vita del singolo e della società.
L’uomo non è un prodotto di processi biologici; l’uomo non si fa da sé. Questa appartenenza è
l’ambito che aiuta a chiarire quale visione dell’uomo e della vita si possiede. Perché le competenze
pedagogiche, le conoscenze psicologiche, lo stesso amore dei genitori sono condizioni indispensabili
ma non sufficienti per una educazione se non si hanno una identità da proporre, un senso della vita e
una visione della realtà da offrire. Da qui i presupposti su cui si fonda il rapporto di conoscenza tra
l’IO e la realtà. Il disconoscere tale rapporto nega l’esistenza della verità lasciando così la libertà
dell’uomo smarrita, in balìa delle teorie che in ultima analisi ne negano il senso.
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* La differenza uomo/donna. La differenza uomo-donna è radicale e innata iscritta nella profondità
della coscienza e coinvolge tutti i comportamenti umani. L’uomo e la donna sono complementari nei
loro corpi e nella loro psicologia. Nella loro diversità, sono l’uno dell’altra alternativi e integrativi.
Giovanni Paolo II ebbe a parlare spesso del corpo “sponsale” o “coniugale” dell’uomo e della donna,
per sottolineare quell’aspetto del corpo secondo il quale esso è fatto per unirsi ad un altro. “Il primo
uomo e la prima donna erano uniti dalla coscienza del dono; essi avevano una coscienza reciproca
del significato sponsale dei loro corpi nei quali si esprime la libertà del dono e si manifesta tutta la
ricchezza interiore della persona in quanto soggetto”. L’unità duale di uomo-donna è originaria e
perciò necessaria per l’autocoscienza del singolo. La persona, unica e irripetibile, vive sempre in
relazione: dire persona è ben diverso che dire individuo, entità astratta e sciolta dai legami. Ognuno è
un generato che rimanda costitutivamente ai generanti, entro una catena generazionale del darericevere la vita imprescindibile per l’identità di ciascuno. Giovanni Paolo II ha parlato dell’uomo e
della donna come “uni-dualità relazionale”, che consente a ciascuno “di sentire il rapporto
interpersonale e reciproco come un dono arricchente e responsabilizzante”.
* La famiglia. La famiglia fondata sull’unione di un uomo e una donna – contrariamente al disappunto
di quanti, sulla scia di una ben nota letteratura sociologica, prevedevano, e ancora prevedono (si veda
lo stesso progetto gender, col quale viene demolita la struttura naturale e culturale della famiglia, su
cui è fondata da millenni ogni civiltà) infallibilmente la sua caduta, la sua dissoluzione e la sua
consunzione in virtù dell’attuale evoluzione della società, nonché nella sua identità e nella sua stessa
struttura universalmente riconosciuta – resta il luogo di reciprocità, di solidarietà, di relazione tra sessi
e generazioni, nonché ambito intergenerazionale promotore di un umanesimo autentico, capace di
rifondare le ragioni della propria esistenza e della propria missione: istituzione che, conseguentemente,
assume una precisa soggettività sociale. La corporeità e l’essere situati nella differenza sessuale ci
porta all’unità procreativa e al generare nella direzione del “dono arricchente e responsabilizzante”
bene vitale e primario della famiglia e fonte della stessa sopravvivenza e sviluppo della società.
* I figli. I figli sono figli in quanto costruiscono la loro identità in relazione al padre e alla madre.
Devono essere e sentirsi generati in relazione ad un padre e ad una madre, e poter vedere la relazione
tra i due. E’ dalla diversità uomo/donna e dalla concretezza strutturale della famiglia fondata su
questa unione, che i figli trovano certezze e un senso alla loro vita, nonché la responsabilità di vedere
articolato un vissuto quotidiano ancorato alla tradizione e al riscontro veridico ai valori enunciati in
famiglia. Mentre ciò che il bambino “sa” viene prodotto e in qualche modo trasmesso attraverso canali
anche diversi dalla famiglia (es. scuola ...), ciò che il bambino “è”, e quindi in larga misura ciò che da
adulto sarà, è frutto educativo della famiglia. Ed è con il riferimento costante alla madre e al padre,
nonché alla loro diversità naturale e psicologica, che il bambino percepisce concretamente e
correttamente di che cosa significa essere “uomo” e/o “donna”, e costruisce la sua vera identità. Non
c’è un diritto della persona ad avere un figlio, c’è il diritto di un figlio ad avere un genitore, ad avere
un “papà” e una “mamma” (non due individui) a cui fare riferimento.
L’infondatezza della teoria Gender
La natura e la realtà, oltre al giudizio di importanti studiosi, dimostrano come la teoria Gender sia
priva di fondamento biologico-scientifico quando afferma che si nasce omosessuali. I sessi sono due:
si nasce maschio o femmina. Che poi possa esserci nello sviluppo della persona un orientamento
diverso della sensibilità è possibile, ma incontrovertibile resta il fatto che si nasce maschio o femmina.
Da qui il giusto e doveroso rispetto ed accoglienza umana delle persone con tendenza omosessuale,
tuttavia senza omettere che ciò che invece emerge è il radicarsi della logica fuorviante del desiderio:
“io sono quello che desidero di essere, e ciò che desidero deve trasformarsi in diritto ...”. Oggi si
tende a ridurre il desiderio a tante piccole soddisfazioni immediate e si uccide quindi la speranza in un
futuro da costruire; si uccide quella posizione umana positiva verso la vita, quel rapporto solo dal
quale emerge la capacità di desiderio e di speranza, perciò spalanca al reale. E si tende altresì a negare
ogni dignità al punto di vista di coloro che non approvano tali teorie, tanto da negare loro il diritto alla
testimonianza (es. le sentinelle), alla propria opinione, alla necessità di un dibattito e di una disamina
della problematica, il tutto con azioni volutamente intimidatorie nei riguardi di coloro che sono
contrari ad una legalizzazione della “teoria gender”: “se vuoi essere una persona ragionevole e non un
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malato, un fobico, devi condividere gli obiettivi del movimento gay”. La propaganda
dell’indifferenziazione tende all’affermazione di un “pensiero unico”, secondo cui non devono esistere
opinioni diverse. Ciò dimostra che, con l’intento di superare presunte discriminazioni omofoniche, di
fatto si attua una discriminazione nei riguardi di coloro che non si adeguano.
Alcuni rilievi di dissenso
Dai promotori della teoria “gender” viene esplicitamente citata la finalità di “dare un impulso al
processo di cambiamento culturale”, tuttavia, in sintesi, le critiche a tale impostazione sono molteplici.
Sostanzialmente si danno per certi e concordati impianto e finalità, e cioè la promozione di una parità
di trattamento non tra persone di diverso genere – maschi e femmine riconosciuti in quanto tali – ma
per i nuovi “generi”, intesi come categorizzazione fondata sulla idolatria del desiderio soggettivo, sulla
“preferenza” sessuale, unico vero collante della “comunità GLBT”. La realtà non è così e contraddice
la presunta condivisione della teoria da parte di molti degli stessi aderenti alla comunità GLBT.
Di questo dissenso, ad esempio, va messo in risalto la posizione critica circa la maternità surrogata, di
Marie-Josephe Bonnet, militante femminista e lesbica, nonché fondatrice del Fronte omosessuale
d’azione rivoluzionaria (Fhar): “Sono contro la maternità surrogata per principio. L’utero in affitto è
lo schiavismo moderno. E’ un mercato, è l’apertura al commercio internazionale dei bambini e alla
negazione del ruolo della madre, alla riduzione del corpo della donna a mero strumento atto a
soddisfare i desideri di coppie agiate. Il messaggio che viene fatto passare è che tutto si compra e
tutto si vende, compreso il potere procreatore della donna. E’ uno scandalo che deve essere fermato”.
Ma sono diversi i dissenzienti, anche in ordine alla “dissoluzione dell’ordinamento orizzontale,
intergenerazionale, simbolico, con conseguenze di confusione, incomunicabilità personale e sociale,
che solo un miope può negare”.
Scrive Chiara Atzori, rappresentante di “Scienza e Vita: Penso ai figli di fino cinque soggetti
genitoriali – il donatore e la donatrice di gameti, l’ospitante in utero, il genitore/genitori adottivi). Il
soggetto che esce da questo “frullatore gender” che identità personale e sociale e giuridica avrà o
rivendicherà rispetto alla struttura relazionale (quindi giuridica) attuale?).
Ne consegue anche il problema dell’adozione. Sul problema si sono espressi i “Giurusti cattolici”:
occorre riassettare l’”istituto dell’adozione” su tre precise polarità: il primato dell’interesse
dell’adottando, non dell’adottante; il primato delle motivazioni solidaristiche, non di quelle
individualistiche; il primato del rilievo pubblicistico dell’istituto, secondo quanto desumibile dall’art.
30 della Costituzione, e non la sua riduzione a mero affare privato. Il bambino ha diritto ad avere
“radici” e sapere le sue origini e conoscere la sua storia.
Dissensi – non certo esaustivi, ma molteplici – che inducono ad una profonda riflessione.
Genitori e insegnanti: rivendicazione del diritto di educazione e di insegnamento
La sempre più discussa diffusione nelle scuole di opuscoli anti-omofobia commissionati dall’UNAR
(Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) pone genitori e insegnanti di fronte alla responsabilità
educativa, quella responsabilità che li anima e che li trova impegnati ad affrontare le sfide epocali che
richiedono consapevolezza, impegno e dedizione. Questa responsabilità li chiama a rivendicare quel
diritto all’educazione (famiglia) e all’istruzione (docenti) che è riconosciuta (e non correttamente
applicata) dalla Costituzione e dalle norme internazionali. Di fronte a questa “rivoluzione
antropologica” e a questa arrogante invasione, sono pure chiamati a considerare il rifiuto di ogni
imposizione assurda e antidemocratica che la tendenza Gender vorrebbe. Oggi più che mai è
necessario, per genitori e insegnanti, a titolo personale e associativo, che, con la propria testimonianza
e presenza, abbiano a richiamare le istituzioni pubbliche tutte al loro dovere di rispetto di una autentica
“laicità” e di una concreta “sussidiarietà”, correggendo tendenze impositive improprie. Da qui anche il
rifiuto, da parte dei genitori, di far partecipare i propri figli a eventuali ordinamentali curricolari e a
progetti educativi e formativi extracurricolari, realizzati senza alcun loro coinvolgimento e senza il
loro assenso scritto in quanto titolari inalienabili dell’educazione dei figli. E da parte degli insegnanti,
dirigenti e personale non docente, l’esercizio del diritto a non essere cooptati obbligatoriamente alla
frequenza di corsi formativi che nulla hanno a che fare con la didattica scolastica e ledono la loro
libertà professionale e culturale. Con ciò, ponendo anche in essere la richiesta che le singole scuole,
interessate a realizzare programmi e corsi “gender”, abbiano ad articolare opportunità alternative agli
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eventuali corsi di “genere”, per quanti, liberamente, non aderiscono a tali programmi e corsi. E’ una
questione di democrazia sostanziale dovuta da uno “Stato di diritto” quale il nostro vuole essere.
La dittatura del pensiero unico
Va messo in conto, tuttavia, che la richiesta del rispetto delle vedute dei genitori e delle famiglie in
ordine all’educazione dei figli, forse sarà trascurata. Infatti, giorno dopo giorno, si sviluppa sempre più
una ideologia contraria ad alcuni diritti umani, tra cui la libertà di pensiero e di espressione, che
costituiscono un prezioso patrimonio contro ogni forma di totalitarismo, a favore della dignità delle
persone. Non solo nel mondo occidentale in genere, ma anche nel nostro Paese, si registrano situazioni
che contrastano con le Carte internazionali dei diritti umani, che pongono la tutela della vita e della
dignità personale a base e fondamento di una società solidale: situazioni con le quali l’ideologia
gender tende sempre più a erodere le difese che il diritto ha predisposto contro le violenze sui più
deboli. Conosciamo quali sono questi obiettivi, sia di natura antropologica, sia di natura
educativa/formativa. Forse nel nostro essere rispettosi e tolleranti in ordine alle idee altrui, sorvoliamo
sul fatto che si sta sempre più affermando la negazione della “obiezione di coscienza”: come già in
Francia, Spagna, Danimarca, Gran Bretagna e Scozia, si profila la sconfitta della persona costretta a
subire la tirannia del “pensiero unico”. Già numerosi sono i fatti che denotano questa tendenza,
suffragati dalla politica, dalla magistratura e da un insano irrealismo, nonché sostenuti nel nostro Paese
anche dalla Proposta di legge Scalfarotto (n. 245), in essere al Parlamento, e dal Disegno di legge
Fedeli (n. 1680), presentato in Senato sulla introduzione dell’educazione di genere nella scuola come
disciplina curricolare a carattere interdisciplinare, cioè disciplina considerata fondante l’istruzione
scolastica e perciò non rifiutabile (il ddl prevede che i piani dell’offerta formativa delle scuole
adottino misure e contenuti di conoscenza e di educazione per eliminare stereotipi, pregiudizi,
costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla impropria “identità costretta” in ruoli
già definiti delle persone in base al sesso di appartennenza). E’ tempo di avere una “scuola libera”! La
responsabilità educativa non è pertinenza dello Stato (e nemmeno dei Ministri di turno) bensì dei
genitori e della famiglia! Lo Stato non ha funzioni educative, ma sussidiarie. Perché si arroga il diritto
di imporre insegnanti e programmi? Va preteso il rispetto del diritto alla libertà di educazione e di
insegnamento di genitori e docenti. Siamo in un momento in cui sempre più urgente emerge
consapevolezza circa il diritto ad una “scuola libera”, de-statalizzata e de-burocratizzata, in ordine alla
quale lo Stato ha solo una funzione di controllo e di sostegno. Lo Stato ha il dovere di rispettare quelli
che sono i diritti che lo precedono. Infatti esso non viene prima della persona umana, ma dopo, ed è in
funzione della persona umana, principio, questo, fondamentale sul quale si fonda la libertà educativa e
di insegnamento.
Bibliografia di riferimento
* UNAR/Dip. Pari opportunità – Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni
basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)
* MIUR/Presidenza Consiglio dei Ministri – Tante diversità. Uguali diritti – Omofobia (2013-2014)
* OMS/Organizzazione Mondiale della Sanità – Norme sull’educazione sessuale – Aprile 2013
* Angelo Scola – La tesi del “gender” – in Una nuova laicità – Ed. Marsilio 2007 – p. 113/116
* Saverio Sgroi – La sfida educativa – in Fogli, luglio/agosto 2013
* Chiara Atzori – Identità e Orientamento sessuale - in Studi Cattolici, luglio/agosto 2013
* Giovanna Rossi – Il dibattito sul gender e la risposta della società civile, Università Cattolica, maggio 2014
* Eugenia Scabini – L’indissolubile viaggio – in Tempi, n. 11 – 19 marzo 2014
* Marie-Joseph Bonnet – I nostri diritti in saldo . in Tempi, n. 50 – 17 dicembre 2014
* Giuristi per la Vita – Comunicato stampa n. 16/2013
* Ernesto Mainardi – Educare in famiglia all’identità personale – Quaderno Agesc n. 4/ ottobre 2014
* Giancarlo Tettamanti – La presunta discriminazione omofobica – in Orientamenti Pastorali n. 3/2013
* Carlo Cardia – A marcia indietro – in Avvenire, 14 dicembre 2014
20 dicembre 2014
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