cortili aperti bologna - Associazione Dimore Storiche Italiane

A.D.S.I.
ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE
Sezione Emilia Romagna
Con il patrocinio
dei Comuni di
Budrio e Minerbio (BO)
CORTILI APERTI
BOLOGNA
18 MAGGIO 2008
Questa indovinata iniziativa è stata ideata dall’Associazione
Dimore Storiche Italiane per fare conoscere al grande
pubblico la sua attività ed i problemi inerenti la tutela e
la conservazione di questi gioielli del passato, spesso poco
noti, tutti da scoprire come in una ideale caccia al tesoro del
Bello.
I visitatori di Cortili Aperti costituiscono un pubblico sensibile
ed attento che intuisce come i palazzi costituiscano una delle
maggiori attrattive delle città d’arte e, con la loro presenza
così numerosa, gratificano i proprietari che si occupano della
gravosa manutenzione di questi edifici e non ne alterano le
caratteristiche storiche.
Anche quest’anno la manifestazione è stata realizzata grazie
ad un lavoro di gruppo. Ringraziamo in particolare la Ber
Banca che, con il Suo contributo, l’ha resa possibile, poi i
proprietari che con grande disponibilità hanno aperto i
cortili ed il Gruppo Giovani che accoglie i visitatori ed il cui
apporto è sempre importante.
Francesco Cavazza Isolani
Presidente A.D.S.I. Sezione Emilia Romagna
In copertina: affreschi nella Rocca Isolani
CORTILI APERTI 2008
CORTI
E GIARDINI NELLA PIANURA BOLOGNESE
Guida alla visita a cura di Stefania Biancani
1) Borgo Nuovo di Bagnarola
2) Castello di San Martino in Soverzano
3) Rocca e Villa Isolani a Minerbio
IL
BORGO NUOVO
N
ella località di Bagnarola, sulla strada che porta verso Budrio, sorge
il complesso sei-settecentesco del Borgo
Nuovo, comunemente noto sotto la denominazione di Ville Malvezzi Campeggi.
Qui infatti nel 1623 Aurelio Malvezzi,
insieme alla moglie Camilla Bonfioli, acquistò dalla famiglia Cospi un casino di
caccia, che ristrutturò internamente ed
esternamente con ingenti spese.
Alla morte di Aurelio, nel 1667 il patrimonio rurale venne ereditato dai figli
Matteo e Floriano Malvezzi, che proseguirono l’opera di riqualificazione di tutta
l’area attraverso la costruzione di nuovi
edifici e l’abbellimento del giardino. Venne così creato un nuovo borgo, “nuovo”
perché distinto dall’originario nucleo di
case di Bagnarola, denominato “Abbazia”.
Insieme al borgo, sorsero la ghiacciaia, la
torretta di caccia, il lungo viale, vasche e
fontane animate da giochi d’acqua.
In linea con il gusto scenografico
dell’epoca, sul lato meridionale il Borgo
Nuovo venne chiuso dal grande prospetto del Palazzo Nuovo, detto il “Floriano”,
terminato nel 1711. Tra il 1715 e il 1716
Matteo e Floriano Malvezzi ipotizzarono a
completamento del viale anche la realizzazione di un fondale prospettico in muratura, mai concluso, per il quale sono noti i
progetti di importanti architetti del tempo:
Alfonso Torreggiani e Francesco Bibiena.
Per lungo tempo il budriese Alfonso
Torreggiani è stato in effetti considerato
l’artefice di tutto il complesso del Borgo
Nuovo. Grazie ai recenti studi di Matilde
Malvezzi Campeggi, la paternità del progetto è però stata ricondotta alla figura del
bolognese Gregorio Monari (1680-1751),
architetto noto a inizio Settecento soprattutto come “agrimensore e perito
DI
BAGNAROLA
d’acque”. Le difficoltà economiche della
famiglia, aumentate dallo stesso ambizioso disegno di Bagnarola, spinsero infatti
probabilmente i fratelli Malvezzi a commissionare il lavoro ad un progettista di
minore spicco.
A causa dei problemi finanziari la costruzione non fu neppure terminata, e già
nel 1761 era in rovina. Nuova linfa verrà
comunque all’aprirsi dell’Ottocento grazie
ad Antonio Malvezzi Campeggi, che nel
1818 coinvolgerà Angelo Venturoli nella
ridefinizione del prospetto meridionale
del Floriano, rivolto al parco retrostante.
Ancora oggi, la proprietà è della famiglia
Malvezzi Campeggi.
Il percorso di visita attraversa tutto il
nucleo del Borgo Nuovo. Partendo dalla Parrocchiale di Bagnarola, superato il
lungo viale d’accesso, a sinistra si apre un
lungo rettilineo prospettico, il cui ingresso, caratterizzato dai due Torrioni gemelli,
costituisce l’ultimo atto dei lavori ordinati
da Matteo Malvezzi. Nel 1723 venne infatti creato il Torrione destinato ad uso di
osteria e macelleria, simmetrico a quello
adibito a forno. Questa parte del complesso è occupata da edifici di servizio e da
abitazioni che in parte costituivano l’antico borgo dell’“Abbazia”.
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redato ai lati dai corpi angolari delle torrette e dalle due ali della Cavallerizza (a
sinistra) e dell’“Appartamento Doppio”
(a destra). La pianta risulta così articolata
secondo un inconsueto schema a ferro di
cavallo che ne accentua la valenza scenografica.
Lunga oltre 150 metri, la facciata settentrionale del Floriano è animata al
pianterreno dalla lunga sequenza delle
arcate del portico. Qui erano un tempo ospitate le botteghe, mentre la parte
superiore era coronata al centro da un
timpano con l’armone dipinto con lo
stemma di famiglia, oggi non più visibile.
Anche il profilo del timpano è oggi meno
evidente, a causa dell’innalzamento ottocentesco della facciata retrostante.
Il percorso rettilineo della strada che
attraversa il prato ha come conclusione prospettica l’antico Casino di caccia,
chiamato l’“Aurelio”, originario punto di
partenza per la genesi del Borgo Nuovo.
Sul lato rivolto verso il prato, l’Aurelio
presentava un semplice prospetto con
torretta, anticipato da una corte chiusa
da una bassa siepe e adornata sobriamente da grandi vasi di aranci. Piegando a sinistra lungo il viale che riporta alla strada
principale, sulla destra è infine visibile il
monte della Neviera, con la struttura in
cotto sormontata da un belvedere con
obelisco piramidale.
Nel complesso, il Borgo Nuovo di Bagnarola colpisce per la fusione tra spazi
privati e spazi pubblici. In effetti, organizzato intorno alla vasta area della piazza, l’insieme delle fabbriche – soprattutto il Floriano – si sviluppa allo scopo di
ospitare la grande fiera di bestiame istituita ufficialmente da papa Clemente XI
nel 1711.
Nel mese di settembre, in concomitanza con i festeggiamenti per la “Beata Vergine Maria della Mercede”, la vastissima
Sulla sinistra, di fronte alle vecchie case,
sorgeva il complesso del cosiddetto “Santuario”, costruito tra il 1686 e il 1691: tre
cappelle, la principale delle quali era dedicata a Sant’Anna, che grazie alle preziose reliquie che conservavano erano luogo
di pellegrinaggi; nel “Santuario” di Bagnarola i devoti potevano anche ottenere
l’indulgenza plenaria. Devastato dai bombardamenti della seconda Guerra Mondiale, il complesso è oggi quasi del tutto
scomparso: della cappella di Sant’Anna
rimangono solo i ruderi con le tracce di
eleganti stucchi tardobarocchi, mentre
alle spalle di questa si è mantenuta solo la
cappellina della Santa Croce.
In mezzo al prato, accanto al “Santuario”, sorgeva l’edificio del Teatro. Costruito tra il 1697 e il 1723, secondo le
fonti presentava all’interno scene dipinte
dal bolognese Ferdinando Galli Bibiena
(1657-1743), capostipite della celebre famiglia di architetti e scenografi attivi nelle
principali corti d’Europa del Settecento.
Come testimonia un’antica fotografia, la
facciata del “Teatro del Bibiena”, rivolta
verso il viale centrale, venne ridisegnata
nell’Ottocento in sobrie forme neoclassiche con coronamento timpanato.
Vera e propria quinta teatrale del complesso del Borgo Nuovo è comunque il
lungo prospetto del “Floriano”, che si sviluppa secondo uno schema lineare, cor5
di tutto il paese, il grande prato del Borgo
Nuovo di Bagnarola voluto dai Malvezzi
costituisce in definitiva un accordo perfettamente riuscito tra spazio pubblico e
spazio privato.
piazza si popolava di una folla di persone
che accorrevano per “vendere le loro robbe e rispettivamente provvedere di quello
che li manca”. Anni dopo, a causa della
coincidenza con l’antica fiera che negli
stessi giorni si teneva a San Martino in
Soverzano fu deciso un cambiamento di
calendario: nel 1735 il grande mercato
del Borgo Nuovo venne infatti definitivamente spostato a fine luglio, in occasione
della festa di Sant’Anna, già patrona del
“Santuario”. In quei giorni la piazza gremita di gente, merci e bestiame, diventava teatro di spettacoli (compresi quelli di
burattini) e di processioni religiose. Queste ultime avevano luogo anche durante
altre festività sacre: a marzo per la ricorrenza di San Giuseppe, in occasione della
Pentecoste, a settembre per Santa Croce.
A Bagnarola la fiera-mercato si terrà fino
agli inizi del Novecento: alcune fotografie
del tempo documentano il successo della
manifestazione. La grande strada che la
attraversava, denominata Via della Fiera,
era un tempo pubblica: sarà acquistata da
Giacomo Malvezzi nel 1802, integrandosi così nella proprietà privata.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Francesco Malaguzzi Valeri, Palazzi e Ville
Bolognesi. Le ville Malvezzi Campeggi a Bagnarola, in “Cronache d’Arte”, V, gennaiofebbraio 1928, pp. 51-68
Giampiero Cuppini, Anna Maria Matteucci, Ville del Bolognese, seconda edizione riveduta e ampliata, Bologna, Zanichelli, 1969,
pp. 32-34, 64-70, 260-271 (ill.), 349 (con
bibliografia)
Carolina Crovara Pescia, Una “conserva da
neve” a Bagnarola, in “Strenna Storica Bolognese”, LI, 2001, pp. 221-244
Giampiero Cuppini, Villa Malvezzi a Bagnarola. Il Floriano, in Giampiero Cuppini,
L’architettura senatoria. Bologna tra Rinascimento e Illuminismo, Bologna, Editrice Compositori, 2004, pp. 130-135
Monica Cavicchi, Tra pubblico e privato,
spazi verdi da abitare: episodi di vita in villa
dei Malvezzi Campeggi a Bagnarola di Budrio,
in “Arte Lombarda”, n.s., CI, 2004/2, Atlante
tematico del Barocco in Italia settentrionale. Le
residenze della nobiltà e dei ceti emergenti: il
sistema dei palazzi e delle ville, Atti del Convegno (10-13 dicembre 2003), responsabile
nazionale Marcello Fagiolo, a cura di Maria
Luisa Gatti Perer, pp. 131-140
Erika Giuliani, Il Floriano e le sue camere
da abitare. Gusto e istanze di committenza dei
marchesi Malvezzi Campeggi: un caso bolognese
tra Seicento e Settecento, Ibidem, pp. 140-146
Matilde Malvezzi Campeggi, Nascita ed
evoluzione settecentesca del Borgo Nuovo di
Bagnarola. I risultati degli ultimi studi, in
“Strenna Storica Bolognese”, LVII, 2007, pp.
261-279
Circondato dalle coltivazioni di canapa
(mentre piante di gelso per la bachicoltura
si trovavano alle spalle del Floriano), luogo di preghiera e di festa, sede di scambio
commerciale, nucleo della vita economica
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IL
CASTELLO
DI
SAN MARTINO
L
IN
SOVERZANO
to cavaliere da Giovanni I; ebbe inoltre
il ruolo di ambasciatore bolognese presso
papa Martino V. Secondo il documento
di vendita alla moglie Chiara, all’aprirsi
del Quattrocento “lo castello di Sancto
Martino in Suvrizano” era circondato da
fossato e comprendeva mura, cammino di
ronda e bertesche; la costruzione presentava inoltre una torre, forse testimonianza dell’originario nucleo medievale. Altre
torri vennero fatte costruire da Bartolomeo, che ampliò il complesso, ed ulteriori modifiche furono apportate dal figlio
Alessandro, al quale si deve la costruzione
del portico del cortile interno.
e esatte origini del castello di San
Martino in Soverzano non sono
note. La storia del castello, come raccontata a fine Cinquecento nei manoscritti di
Giovan Battista Bombelli, ci è stata riportata da Gaetano Giordani (1837), Alfonso Rubbiani (1885) e Francesco Cavazza
(1937).
Secondo questi testi, le prime notizie
relative alla presenza della famiglia Ariosti nel territorio detto di “San Martino”
risalirebbero agli inizi del XIII secolo.
Provenienti da un castello dell’Appennino chiamato “Riosto”, gli Ariosti erano
a quei tempi una delle famiglie più importanti di Bologna. Schierato dalla parte dei Guelfi, ai principî del Duecento il
casato ebbe tra i suoi membri il vescovo
Gerardo, mentre in qualità di capitano di
guerra Antonio combatté vittoriosamente
contro le truppe imperiali a Fossalta nella battaglia in cui fu fatto prigioniero re
Enzo. A questi tempi va forse fatta risalire
la fondazione del castello, luogo fortificato lontano dai tumulti cittadini.
Nel XIV secolo i fratelli Francesco,
Bonifacio e Lippa Ariosti si trasferirono
a Ferrara. Nel 1390 Francesco è documentato come signore del castello di San
Martino in Soverzano, quando il luogo fu
temporaneamente occupato dalle truppe del Comune di Bologna, impegnato
contro la minaccia di un’invasione da
parte dei Visconti di Milano. Nel 1407
il castello venne venduto dal pronipote
di Francesco, Bonifacio a Chiara Arrighi,
moglie di Bartolomeo Manzoli.
Iniziò così il lungo dominio del casato
Manzoli, che mantenne la proprietà fino
alla metà del XVIII secolo. Proveniente da
una ricce famiglia di mercanti bolognesi,
nel 1401 Bartolomeo era stato nomina-
All’aprirsi del Cinquecento la famiglia Manzoli attraversò un momento di
particolare fortuna: Marchione Manzoli
venne infatti eletto membro del Senato
bolognese da papa Giulio II, e Leone X
lo nominò conte di San Martino. All’interno del vasto feudo, il castello fu sede di
prigioni, ubicate nella torre; nel 1527 il
conte Marchione diede inoltre ospitalità
alle truppe lanzichenecche del Connestabile di Borbone dirette verso il Sacco di
Roma.
Nel 1529 Marchione morì e la proprietà passò ai figli. Nel 1550 il castello fu
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che inaugurò una radicale campagna di
restauro volta al ripristino dell’originario
assetto medievale; nel 1918 il castello restaurato ricevette infine la visita di Vittorio Emanuele III. Dopo ulteriori passaggi
di proprietà, oggi la rocca appartiene alla
famiglia Poletti.
diviso tra due di loro, il conte Giorgio,
più volte insignito della carica di Gonfaloniere di Giustizia a Bologna, e il conte
Camillo. In seguito alla morte di Giorgio
(1560), sopraggiunsero controversie per
la spartizione dell’eredità, finché nel 1570
il cardinal Ugo Boncompagni, che presto
sarebbe diventato papa Gregorio XIII,
decise che il castello sarebbe andato ai tre
nipoti ed eredi di Camillo, mentre la palazzina sarebbe passata ad Ulisse Bentivoglio, il nipote di Giorgio da questi adottato. Ben presto comunque il patrimonio
fu nuovamente unificato nelle mani dei
tre giovani Manzoli (Marchione, Giorgio
e Alessandro), che dal 1571 intrapresero una nuova opera di restauro e abbellimento del complesso. Nell’ambito di
questi lavori, nel 1577 il cardinal Gabriele Paleotti inaugurò la nuova cappella, già
camera del commissario della contea.
L’aspetto del castello di San Martino
nella seconda metà del Cinquecento, con
torri, merli, fossato, è riportato in un libro
di disegni del 1578 attribuito al geografo
Egnazio Danti. Poco dopo, nel 1580, i
fratelli Manzoli ottennero che la fiera che
si teneva annualmente il 4 ottobre nella
frazione Riccardina presso Budrio potesse
proseguire nei giorni 5 e 6 presso il loro
castello; infine, nel 1584 tutta l’importante manifestazione, che godeva di una
grande affluenza di pubblico, venne ufficialmente trasferita a San Martino. Un
secolo dopo, nel 1684, il portico per la
fiera fu ricostruito, durante nuovi lavori
di ammodernamento del castello.
La dinastia Manzoli si estinse con Francesco, morto nel 1751. Passata per trasmissione ereditaria ai Marsigli Duglioli,
la proprietà fu nuovamente ampliata e
rinnovata tra fine Settecento e Ottocento.
Successivamente, nel 1882 le figlie del
conte Carlo Marsili Duglioli vendettero
castello e tenuta al conte Felice Cavazza,
Come si è detto, nel 1883 il conte Felice Cavazza incaricò Tito Azzolini, docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna,
del restauro del castello, che terminò nel
1885. Alla direzione dei lavori ad Azzolini venne associato un giovane giornalista,
Alfonso Rubbiani, che in quegli anni ricopriva la carica di Assessore presso il Comune di Budrio.
Sull’esempio delle ricostruzioni neomedievali di Viollet-Le-Duc, si tentò di
ripristinare l’antica immagine del castello, basandosi sulla descrizione tardocinquecentesca di Bombelli. L’operazione
comportò scelte drastiche, come ricorda
lo stesso Rubbiani: “il ristauro della gran
torre (donjon) offriva un problema. Sulla terrazza esisteva un torricciuolo per la
campana ai tempi che Bombello scrisse
la sua cronaca; e un torricciuolo esisteva
anche ora: ma la cornice e un’aguglia che
gli faceva cappello indicavano un’epoca
fra i secoli XVII e XVIII (…) Si demolì
la guglia, la cornice, si rimisero le finestre
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suoi merli posto nel cortile a ponente, nel
mezzo di quella cortina già detta si entra
nella seconda parte, che la Rocca vien detta;
e sagliendo per gradi di marmo allo entrare del portone, sopra l’uno del quale si vede
in pietra viva nel mezzo l’arma Mangiola
con la Paleotta congiunta [Ercole Manzoli di Bartolomeo sposò Ginevra Paleotti,
sorella del cardinal Gabriele] e quella de’
Mangiola sola: ivi è posta anche l’arma dello illustrissimo signor cardinale Paleotti zio
materno di questi Signori”; “è tra il portone
già detto e la porta della Rocca un ponte di
pietra cotta, posto sopra la fossa con tre archi
e le sue cortine di muro e merli sopra, con
le bombardiere da ambe le parti, e col ponte
levatojo o rotto che sia e porticella, per cui
si passa alla riguardevole porta della Rocca;
sopra la quale è in pietra impressa l’arma
Mangiola, col cimiero del cigno sopra”.
Attraversato il ponte levatoio, si entra
infine nel cortile interno. Qui, sulla sinistra è visibile la cappella, un tempo decorata, secondo Bombelli, da pitture di
Ercole Procaccini. Il cronista attribuisce
allo stesso artista anche la pala sull’altare: “Nel mezzo siede del tempietto lo altare,
ove in ornamento di stucco di oro freggiato vi è l’ancona, in cui è pinta per opera
di dotta mano Nostra Signora col figlio in
seno nel mezzo, san Marco Evangelista in
piedi, santo Alessandro genuflesso Sommo
Pontefice, san Giorgio in ginocchio, e san
Bartolomeo in piedi: santi tutelari di questi
signori Conti fratelli, per essere così anco essi
nominati”. Le altre opere che oggi ornano
la cappella sono invece frutto di acquisizioni recenti. In particolare si segnala,
sulla destra, la grande tela centinata di
Benvenuto Tisi detto il Garofalo, datata
1533, con la Crocifissione con la Vergine e
San Giovanni evangelista, che in origine
fungeva da cimasa sull’altare della chiesa
interna del convento di San Bernardino
a Ferrara.
alla luce primitiva, e si coronò il torricino con quattro merli d’angolo, giacchè
questa forma di coronamento dei torricini posti sulle torri ha suoi riscontri.
L’esempio che ci autorizzò furono alcune
torri dipinte nei bellissimi affreschi della
Cappella Bolognini in San Petronio (…)
Col demolire alcune costruzioni addossate alla torre la si liberava in tutta la sua
svelta forma rettangolare; e dalla fronte
che guarda i campi verso l’Appennino si
cancellò un’enorme e barocca mostra di
orologio”.
Seguendo il sogno “ricostruttivo” di
Rubbiani, la visita potrà dunque essere
guidata dalle parole dello stesso Giovan
Battista Bombelli (1577). Superato il
borgo della fiera, il viale d’accesso introduce al cortile, che “di ogni qualità di
pubblici spettacoli e giuochi sarìa capacissimo, come giostre, tornei, caccie di tori, e
simili bagordi”; “prima si vede un onoratissimo edifizio allo entrare, che il luogo per
la sua grandezza e bellezza non poco orna,
il quale da questi Signori fu circa sei anni
restaurato ; e sopra la porta si vede l’arme di
Pio V, di felicissima memoria, nel mezzo di
quella del vecchio Cardinale di Ferrara, e
dello Illustriss. Borromeo, con altre piacevoli
pitture”.
Sulla destra si accede invece, alla Rocca: “Per quel portone, di pietra cotta con
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Intorno al cortile, le camere del castello, e su tutto la Torre, dalle cui finestre
il mondo neofeudale dell’aristocrazia del
Cinquecento godeva di un panorama
evocato ancora una volta da Bombelli:
“d’infinito contento e solazzo è, che chi viene
a diporto vedere dalle finestre di tutto l’edificio con ogni sua comodità nella spaziosa e
aperta fossa l’innumerabile schiera di pesci
guizzolare nell’acqua; e scorgere parimenti
i tanti conigli (…) che da sotterranee cave
sotto il volto del Castello fatte usciscono, con
le timide loro compagne ; mirando ancora
le fiere domestiche, le quali da’vicini boschi
cacciate usciscono nelle aperte campagne, e
verdi prati fuggiendo i cani, che veloci le
perseguono, nè contentandosi di questa bella veduta, che pur essa assai bene di lontano scuopre, sagliono alla Torre, che dalle
finestre sue, e finalmente dal suo altissimo
corridojo potranno scorgere quanto più ingordo mortale occhio desìa vedere ; perchè
ove mancò natura in questo luogo per il sito
suo, ha supplito la industria de’ maggiori di
questi Signori; nè di presente cessa la solerzia loro, acciocchè parte non sia di diletto
quale manchi a questo luogo”.
Azzoguidi, 1885
Alfonso Rubbiani, Notizie intorno all’architettura del Castello di San Martino sopra Zena,
detto dei Manzoli Descrizione del medesimo e
dei ristauri eseguiti negli anni 1883-84-85,
Ibidem, pp. 4-8
Corrado Ricci, Capitolo dove si narrano le diverse vicende del Castello di San Martino in Soverzano detto dei Manzoli, Ibidem, pp. 9-11
Francesco Cavazza, Il Castello di San Martino in Soverzano e i suoi antichi signori, Bologna, Tip. Galavotti A., 1937
Giampiero Cuppini, Anna Maria Matteucci, Ville del Bolognese, seconda edizione riveduta e ampliata, Bologna, Zanichelli, 1969,
pp. 11, 137 (ill.), 362
Alfonso Rubbiani: i veri e i falsi storici, catalogo mostra a cura di Franco Solmi e Marco
Dezzi Bardeschi , Bologna, Grafis, 1981
Alfonso Rubbiani e la cultura del restauro nel
suo tempo (1880-1915), Atti delle giornate di
studio (Bologna, 1981), a cura di Livia Bertelli e Otello Mazzei, Milano, Franco Angeli,
1986
Domenico Rivalta e Fabia Zanasi,“Pochi
avanzi bastano a provocare cento idee”: la castellologia nell’immaginazione trobadorica di
Alfonso Rubbiani, Ibidem, pp. 95-104
Anna Maria Fioravanti Baraldi, Il Garofalo.
Benvenuto Tisi pittore (c. 1476-1559), Ferrara, Cassa di Risparmio di Ferrara, 1993, pp.
224-225 (scheda n. 155)
Mario Fanti, Ville, castelli e chiese bolognesi
da un libro di disegni del Cinquecento, seconda
edizione riveduta e aumentata, Bologna, Arnalfo Forni Editore, 1996, n. 49
Francesco Ceccarelli, Bologna e la Romagna,
in Storia dell’Architettura Italiana. L’Ottocento,
I, Milano, Electa, 2005, pp. 159-160, note p.
165
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Gaetano Giordani, Memorie storiche riguardanti il castello di San Martino in Soverzano
volgarmente appellato de’ Manzoli, in “Almanacco Statistico Bolognese”, VIII, 1837, pp.
162-195
Breve descrizione del sito e dell’architettura
del Castello San Martino degli illustriss. Signori Marchione, Alessandro e Giorgio de’ Conti
Mangioli fatta da Gio. Battista Bombello l’anno
MDLXXVII, con note di Gaetano Giordani,
Ibidem, pp. 196-235
Il Castello di S. Martino sopra Zena. Descrizione e storia, Bologna, Officina Tipografica
10
LA
ROCCA
E LA
VILLA ISOLANI
“I
n quel medesimo tempo fece un
palazzo a Minerbio per il Conte Alamanno Isolano, con ordine & disegno molto notabile, & maraviglioso…”:
così scriveva Egnazio Danti nel 1583
nella biografia di Jacopo Barozzi detto il Vignola (1507-1573), attribuendo
all’architetto emiliano un ruolo fondamentale, ma successivamente molto discusso dalla critica, nella realizzazione del
complesso Isolani nel feudo minerbiese.
A
MINERBIO
Minerbio alla città, l’edificio venne più
volte saccheggiato e ricostruito. L’aspetto
attuale di questo compatto corpo di fabbrica risulta quindi eterogeneo, con tracce
di preesistenze ancora legate alla tipologia
del castello medievale che si mescolano
agli interventi successivi.
Come l’esterno, anche il cortile interno della rocca è segnato dai cambiamenti. Il lato con il loggiato, ritmicamente
equilibrato nella sovrapposizione dei due
ordini, risale molto probabilmente ai primi del Cinquecento, quando in seguito
all’avvento di Giulio II gli Isolani rientrarono nei possedimenti abbandonati fin dai
tempi del dominio visconteo su Bologna
(1438).
Nel 1520 papa Leone X insignì Giovanni Francesco Isolani del titolo di conte del
feudo di Minerbio; nel 1527 il castello fu
però nuovamente saccheggiato dalle truppe lanzichenecche che, guidate dal Connestabile di Borbone, si dirigevano verso
Roma.
Nel 1535 il conte Giovanni Francesco
intraprese una nuova campagna di ricostruzione. A questa fase viene ricondotta
l’impresa decorativa più importante della rocca: l’esecuzione da parte di Amico
Aspertini degli affreschi di alcune sale interne (Sala di Marte, Sala dell’Astronomia,
Sala di Ercole, Stanza “della moglie adultera”). Le stanze di Aspertini, situate sul lato
destro della rocca per chi guarda verso il
loggiato del cortile, sono attualmente in
fase di restauro in previsione della prossima mostra monografica dedicata al pittore
bolognese. Lacerti di altre pitture cinquecentesche con aperture paesistiche, non riconducibili alla mano di Amico e recentemente restaurati, sono invece visibili sotto
il portico.
La storia della Rocca Isolani inizia
all’aprirsi del XV secolo, quando nel 1403
la duchessa di Milano Caterina Visconti
concesse ai fratelli Giacomo, Ludovico e
Battista Isolani la giurisdizione feudale sul
territorio del “Comune della Riva di Savena”, comprendente il “castrum Minervii”.
La presenza degli Isolani a Minerbio è in
effetti attestata sin dagli inizî del Trecento, quando la famiglia iniziò ad acquistare
porzioni di quello che sarebbe diventato
un vasto patrimonio terriero.
Una volta acquisito il diritto feudale,
probabilmente gli Isolani iniziarono a
progettare la costruzione della Rocca. Visibile dalla strada principale che collega
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tivamente come “un palazzo a Minerbio
per il conte Alamanno Isolani”. Se l’ipotesi si dimostrasse fondata, la datazione
andrebbe però forse ricondotta ai lavori
di restauro intrapresi dal conte Giovanni
Francesco Isolani nel 1535: si tratterebbe
quindi di un progetto giovanile di Vignola, allora ventottenne.
Ma in mancanza di documenti riconducibili chiaramente a Jacopo Barozzi,
il problema attributivo resta aperto. Nel
1557 Alamanno Isolani stipulò infatti un
contratto con un altro architetto, Bartolomeo Triachini, per la costruzione di
un palazzo a Minerbio. La lettura attenta
delle carte ha permesso agli studi di capire che si doveva trattare di un edificio
da completare piuttosto che da erigere
ex novo: a Triachini andrebbe allora forse assegnato solo il progetto per il piano
superiore della villa, con le scale esterne
che conducevano a una loggia successivamente tamponata, e un’altra loggia sul
lato nord dell’edificio. Il palazzo nuovo
non venne comunque completamente
terminato, e modifiche successive alterarono la leggibilità del disegno originario dell’edificio, che durante la Seconda
Guerra Mondiale fu anche occupato dalle
truppe tedesche.
Dal cortile, sul lato opposto rispetto alle
stanze dipinte da Aspertini, si può accedere a una sequenza di ambienti, anch’essi restaurati, oggi adibiti a sale per ricevimenti
dalla famiglia Cavazza Isolani, ancora proprietaria del complesso minerbiese.
Entrando, la visita inizia dalla sala del
camino, alla quale seguono alcune stanze
più piccole, arredate con armi, ceramiche
e diversi dipinti. Il percorso si conclude
nel salone, dove oggi sono esposte stampe
fotografiche su tela delle prospettive settecentesche che originariamente ornavano le pareti.
Sul lato posteriore, la Rocca è affiancata da altri edifici: sulla destra sono le case
dell’antico borgo di Minerbio, mentre un
corpo di fabbrica con loggia, ai piedi del
quale è visibile l’imboccatura del pozzo,
si allunga verso il giardino in direzione
della Villa cinquecentesca. Quest’ultima,
anche detta il “Palazzo nuovo”, costituisce un’entità architettonica isolata, di
pianta quadrata, impostata a pianterreno su un grande ambiente a pilastri con
volte a crociera, forse sull’esempio delle
antiche cisterne termali romane. Il richiamo all’antico e la qualità della soluzione
architettonica hanno fatto recentemente
pensare che qui possa essere riconoscibile
quella realizzazione di Vignola che Egnazio Danti nel 1583 indicava approssima12
La presenza di Vignola come architetto
a Minerbio rimane una questione irrisolta. Certo è che almeno un elemento del
complesso Isolani mostra una qualità di
altissimo livello: si tratta della torre Colombaia, che chiude la prospettiva del
giardino alle spalle della rocca.
Di pianta ottagonale, la colombaia
presenta un esterno scandito da un triplo ordine di lesene doriche binate, che
rafforza la geometria degli spigoli. La sequenza ritmica delle facce del poligono
è contrastata dalla successione delle tre
fasce di trabeazione, con un effetto complessivo di grande eleganza. Divisa così in
riquadri, la superficie muraria viene poi
ulteriormente animata da aperture rettangolari con grate, che oggi risultano in
parte tamponate. In alto, la torre si conclude con una lanterna con cupolino.
L’interno conferma la capacità del progettista: una lunga rampa elicoidale con
struttura lignea, che sale fino alla lanterna, permetteva al personale di accedere
agevolmente alle circa tremila celle dei
colombi. Una lapide ricorda il 1536,
anno di fondazione della torre, che venne
restaurata nell’Ottocento. La data 1536,
ripresa in realtà da un’iscrizione più antica oggi perduta, riapre ancora una volta
la discussione circa la possibilità di una
paternità del disegno da parte del giovane Vignola. Gli studi di Margaret Daly
Davis hanno nuovamente preso in considerazione questa ipotesi sulla base dei
raffronti con la descrizione della Torre
dei Venti di Atene fatta nell’antico trattato di architettura di Vitruvio, nonché
dei rapporti che Jacopo Barozzi intratteneva con l’ambiente umanistico e artistico vitruviano del Cinquecento. Si tratta
infatti di una sapienza costruttiva antica,
aggiornata sui modelli dei principali interpreti dell’architettura cinquecentesca
(da Baldassarre Peruzzi a Sebastiano Ser-
lio) che l’anonimo progettista degli Isolani a Minerbio - sia esso il Vignola oppure
no - è qui indubbiamente riuscito a sintetizzare in modo esemplare.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Camillo Zamboni, Cronaca del Castello di
Minerbio, Bologna, Società Tipografica bolognese e Ditta Sassi, 1855
Giampiero Cuppini, Anna Maria Matteucci, Ville del Bolognese, seconda edizione riveduta e ampliata, Bologna, Zanichelli, 1969,
pp. 15-18, 36, 96-99, 151-156 (ill.), 346-347
(con bibliografia)
Mario Fanti, Carlo degli Esposti, Minerbio
nei secoli, Minerbio, Cassa Rurale e Artigiana,
1977
Margaret Daly Davis, Jacopo Vignola, Alessandro Manzuoli und die Villa Isolani in
Minerbio: zu den frühen Antikenstudien von
Vignola, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, XXXVI, 1992,
1/2, pp. 287-328
Marzia Faietti, Daniela Scaglietti Kelescian,
Amico Aspertini, Modena, Artioli Editore,
1995, pp. 196-203 (scheda n. 49)
Mario Fanti, Ville, castelli e chiese bolognesi
da un libro di disegni del Cinquecento, seconda
edizione riveduta e aumentata, Bologna, Arnalfo Forni Editore, 1996, n. 58
Richard J. Tuttle, Note su Vignola architetto di ville, in Villa Lante a Bagnaia, a cura
di Sabine Frommel, con la collaborazione di
Flaminia Bardati, Milano, Mondadori Electa,
2005, pp. 97-109
Francesca Romana Liserre, Minerbio. Villa
Isolani, in Marcello Fagiolo, Vignola, l’architettura dei principi, Roma, Gangemi Editore,
2007, pp. 283-284 (con bibliografia aggiornata)
www.isolani.it
13
A.D.S.I.
ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE
Da trent’anni esiste un’associazione che riunisce circa
tredicimilacinquecento proprietari di immobili
di interesse storico-artistico,
al fine di conservare e valorizzare l’eccezionale
patrimonio italiano di beni culturali.
È un’associazione che assiste i proprietari nella gestione
delle dimore storiche, che collabora attivamente con enti
pubblici o privati, con le Università e con altre
associazioni sensibili a questi temi, che cerca di
coinvolgere l’opinione pubblica promuovendo ricerche,
studi, convegni e pubblicazioni. Un’associazione libera
che si finanzia attraverso le quote associative ed alcune
sponsorizzazioni, che è attiva grazie all’opera
volontaria dei soci e che ha realizzato
importanti catalogazioni e convegni.
L’A.D.S.I. è riconosciuta Ente Morale della Repubblica
Italiana ed è membro della European Union
of Historic Houses Associations.
Il maggiore sodalizio nazionale di proprietari di beni
culturali, il più numeroso in Europa. Una grande
associazione che si batte per garantire un futuro al
patrimonio italiano dei beni culturali,
“l’unica ricchezza che ci vede primi nel mondo”.
A.D.S.I.
ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE
www.adsi.it
SEDE CENTRALE
Largo Fiorentini, 1 - 00186 ROMA
Tel. (06) 68307426 - Fax (06) 68802930
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REDAZIONE TESTI
Stefania Biancani
GRAFICA E STAMPA
Sogari Artigrafiche s.r.l. - San Felice sul Panaro (MO)
Un sentito ringraziamento da parte dell’autrice
a tutti i Proprietari e alla prof.ssa Paola Galletti.