A.D.S.I. ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE Sezione Emilia Romagna Con il patrocinio dei Comuni di Budrio e Minerbio (BO) CORTILI APERTI BOLOGNA 18 MAGGIO 2008 Questa indovinata iniziativa è stata ideata dall’Associazione Dimore Storiche Italiane per fare conoscere al grande pubblico la sua attività ed i problemi inerenti la tutela e la conservazione di questi gioielli del passato, spesso poco noti, tutti da scoprire come in una ideale caccia al tesoro del Bello. I visitatori di Cortili Aperti costituiscono un pubblico sensibile ed attento che intuisce come i palazzi costituiscano una delle maggiori attrattive delle città d’arte e, con la loro presenza così numerosa, gratificano i proprietari che si occupano della gravosa manutenzione di questi edifici e non ne alterano le caratteristiche storiche. Anche quest’anno la manifestazione è stata realizzata grazie ad un lavoro di gruppo. Ringraziamo in particolare la Ber Banca che, con il Suo contributo, l’ha resa possibile, poi i proprietari che con grande disponibilità hanno aperto i cortili ed il Gruppo Giovani che accoglie i visitatori ed il cui apporto è sempre importante. Francesco Cavazza Isolani Presidente A.D.S.I. Sezione Emilia Romagna In copertina: affreschi nella Rocca Isolani CORTILI APERTI 2008 CORTI E GIARDINI NELLA PIANURA BOLOGNESE Guida alla visita a cura di Stefania Biancani 1) Borgo Nuovo di Bagnarola 2) Castello di San Martino in Soverzano 3) Rocca e Villa Isolani a Minerbio IL BORGO NUOVO N ella località di Bagnarola, sulla strada che porta verso Budrio, sorge il complesso sei-settecentesco del Borgo Nuovo, comunemente noto sotto la denominazione di Ville Malvezzi Campeggi. Qui infatti nel 1623 Aurelio Malvezzi, insieme alla moglie Camilla Bonfioli, acquistò dalla famiglia Cospi un casino di caccia, che ristrutturò internamente ed esternamente con ingenti spese. Alla morte di Aurelio, nel 1667 il patrimonio rurale venne ereditato dai figli Matteo e Floriano Malvezzi, che proseguirono l’opera di riqualificazione di tutta l’area attraverso la costruzione di nuovi edifici e l’abbellimento del giardino. Venne così creato un nuovo borgo, “nuovo” perché distinto dall’originario nucleo di case di Bagnarola, denominato “Abbazia”. Insieme al borgo, sorsero la ghiacciaia, la torretta di caccia, il lungo viale, vasche e fontane animate da giochi d’acqua. In linea con il gusto scenografico dell’epoca, sul lato meridionale il Borgo Nuovo venne chiuso dal grande prospetto del Palazzo Nuovo, detto il “Floriano”, terminato nel 1711. Tra il 1715 e il 1716 Matteo e Floriano Malvezzi ipotizzarono a completamento del viale anche la realizzazione di un fondale prospettico in muratura, mai concluso, per il quale sono noti i progetti di importanti architetti del tempo: Alfonso Torreggiani e Francesco Bibiena. Per lungo tempo il budriese Alfonso Torreggiani è stato in effetti considerato l’artefice di tutto il complesso del Borgo Nuovo. Grazie ai recenti studi di Matilde Malvezzi Campeggi, la paternità del progetto è però stata ricondotta alla figura del bolognese Gregorio Monari (1680-1751), architetto noto a inizio Settecento soprattutto come “agrimensore e perito DI BAGNAROLA d’acque”. Le difficoltà economiche della famiglia, aumentate dallo stesso ambizioso disegno di Bagnarola, spinsero infatti probabilmente i fratelli Malvezzi a commissionare il lavoro ad un progettista di minore spicco. A causa dei problemi finanziari la costruzione non fu neppure terminata, e già nel 1761 era in rovina. Nuova linfa verrà comunque all’aprirsi dell’Ottocento grazie ad Antonio Malvezzi Campeggi, che nel 1818 coinvolgerà Angelo Venturoli nella ridefinizione del prospetto meridionale del Floriano, rivolto al parco retrostante. Ancora oggi, la proprietà è della famiglia Malvezzi Campeggi. Il percorso di visita attraversa tutto il nucleo del Borgo Nuovo. Partendo dalla Parrocchiale di Bagnarola, superato il lungo viale d’accesso, a sinistra si apre un lungo rettilineo prospettico, il cui ingresso, caratterizzato dai due Torrioni gemelli, costituisce l’ultimo atto dei lavori ordinati da Matteo Malvezzi. Nel 1723 venne infatti creato il Torrione destinato ad uso di osteria e macelleria, simmetrico a quello adibito a forno. Questa parte del complesso è occupata da edifici di servizio e da abitazioni che in parte costituivano l’antico borgo dell’“Abbazia”. 4 redato ai lati dai corpi angolari delle torrette e dalle due ali della Cavallerizza (a sinistra) e dell’“Appartamento Doppio” (a destra). La pianta risulta così articolata secondo un inconsueto schema a ferro di cavallo che ne accentua la valenza scenografica. Lunga oltre 150 metri, la facciata settentrionale del Floriano è animata al pianterreno dalla lunga sequenza delle arcate del portico. Qui erano un tempo ospitate le botteghe, mentre la parte superiore era coronata al centro da un timpano con l’armone dipinto con lo stemma di famiglia, oggi non più visibile. Anche il profilo del timpano è oggi meno evidente, a causa dell’innalzamento ottocentesco della facciata retrostante. Il percorso rettilineo della strada che attraversa il prato ha come conclusione prospettica l’antico Casino di caccia, chiamato l’“Aurelio”, originario punto di partenza per la genesi del Borgo Nuovo. Sul lato rivolto verso il prato, l’Aurelio presentava un semplice prospetto con torretta, anticipato da una corte chiusa da una bassa siepe e adornata sobriamente da grandi vasi di aranci. Piegando a sinistra lungo il viale che riporta alla strada principale, sulla destra è infine visibile il monte della Neviera, con la struttura in cotto sormontata da un belvedere con obelisco piramidale. Nel complesso, il Borgo Nuovo di Bagnarola colpisce per la fusione tra spazi privati e spazi pubblici. In effetti, organizzato intorno alla vasta area della piazza, l’insieme delle fabbriche – soprattutto il Floriano – si sviluppa allo scopo di ospitare la grande fiera di bestiame istituita ufficialmente da papa Clemente XI nel 1711. Nel mese di settembre, in concomitanza con i festeggiamenti per la “Beata Vergine Maria della Mercede”, la vastissima Sulla sinistra, di fronte alle vecchie case, sorgeva il complesso del cosiddetto “Santuario”, costruito tra il 1686 e il 1691: tre cappelle, la principale delle quali era dedicata a Sant’Anna, che grazie alle preziose reliquie che conservavano erano luogo di pellegrinaggi; nel “Santuario” di Bagnarola i devoti potevano anche ottenere l’indulgenza plenaria. Devastato dai bombardamenti della seconda Guerra Mondiale, il complesso è oggi quasi del tutto scomparso: della cappella di Sant’Anna rimangono solo i ruderi con le tracce di eleganti stucchi tardobarocchi, mentre alle spalle di questa si è mantenuta solo la cappellina della Santa Croce. In mezzo al prato, accanto al “Santuario”, sorgeva l’edificio del Teatro. Costruito tra il 1697 e il 1723, secondo le fonti presentava all’interno scene dipinte dal bolognese Ferdinando Galli Bibiena (1657-1743), capostipite della celebre famiglia di architetti e scenografi attivi nelle principali corti d’Europa del Settecento. Come testimonia un’antica fotografia, la facciata del “Teatro del Bibiena”, rivolta verso il viale centrale, venne ridisegnata nell’Ottocento in sobrie forme neoclassiche con coronamento timpanato. Vera e propria quinta teatrale del complesso del Borgo Nuovo è comunque il lungo prospetto del “Floriano”, che si sviluppa secondo uno schema lineare, cor5 di tutto il paese, il grande prato del Borgo Nuovo di Bagnarola voluto dai Malvezzi costituisce in definitiva un accordo perfettamente riuscito tra spazio pubblico e spazio privato. piazza si popolava di una folla di persone che accorrevano per “vendere le loro robbe e rispettivamente provvedere di quello che li manca”. Anni dopo, a causa della coincidenza con l’antica fiera che negli stessi giorni si teneva a San Martino in Soverzano fu deciso un cambiamento di calendario: nel 1735 il grande mercato del Borgo Nuovo venne infatti definitivamente spostato a fine luglio, in occasione della festa di Sant’Anna, già patrona del “Santuario”. In quei giorni la piazza gremita di gente, merci e bestiame, diventava teatro di spettacoli (compresi quelli di burattini) e di processioni religiose. Queste ultime avevano luogo anche durante altre festività sacre: a marzo per la ricorrenza di San Giuseppe, in occasione della Pentecoste, a settembre per Santa Croce. A Bagnarola la fiera-mercato si terrà fino agli inizi del Novecento: alcune fotografie del tempo documentano il successo della manifestazione. La grande strada che la attraversava, denominata Via della Fiera, era un tempo pubblica: sarà acquistata da Giacomo Malvezzi nel 1802, integrandosi così nella proprietà privata. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Francesco Malaguzzi Valeri, Palazzi e Ville Bolognesi. Le ville Malvezzi Campeggi a Bagnarola, in “Cronache d’Arte”, V, gennaiofebbraio 1928, pp. 51-68 Giampiero Cuppini, Anna Maria Matteucci, Ville del Bolognese, seconda edizione riveduta e ampliata, Bologna, Zanichelli, 1969, pp. 32-34, 64-70, 260-271 (ill.), 349 (con bibliografia) Carolina Crovara Pescia, Una “conserva da neve” a Bagnarola, in “Strenna Storica Bolognese”, LI, 2001, pp. 221-244 Giampiero Cuppini, Villa Malvezzi a Bagnarola. Il Floriano, in Giampiero Cuppini, L’architettura senatoria. Bologna tra Rinascimento e Illuminismo, Bologna, Editrice Compositori, 2004, pp. 130-135 Monica Cavicchi, Tra pubblico e privato, spazi verdi da abitare: episodi di vita in villa dei Malvezzi Campeggi a Bagnarola di Budrio, in “Arte Lombarda”, n.s., CI, 2004/2, Atlante tematico del Barocco in Italia settentrionale. Le residenze della nobiltà e dei ceti emergenti: il sistema dei palazzi e delle ville, Atti del Convegno (10-13 dicembre 2003), responsabile nazionale Marcello Fagiolo, a cura di Maria Luisa Gatti Perer, pp. 131-140 Erika Giuliani, Il Floriano e le sue camere da abitare. Gusto e istanze di committenza dei marchesi Malvezzi Campeggi: un caso bolognese tra Seicento e Settecento, Ibidem, pp. 140-146 Matilde Malvezzi Campeggi, Nascita ed evoluzione settecentesca del Borgo Nuovo di Bagnarola. I risultati degli ultimi studi, in “Strenna Storica Bolognese”, LVII, 2007, pp. 261-279 Circondato dalle coltivazioni di canapa (mentre piante di gelso per la bachicoltura si trovavano alle spalle del Floriano), luogo di preghiera e di festa, sede di scambio commerciale, nucleo della vita economica 6 IL CASTELLO DI SAN MARTINO L IN SOVERZANO to cavaliere da Giovanni I; ebbe inoltre il ruolo di ambasciatore bolognese presso papa Martino V. Secondo il documento di vendita alla moglie Chiara, all’aprirsi del Quattrocento “lo castello di Sancto Martino in Suvrizano” era circondato da fossato e comprendeva mura, cammino di ronda e bertesche; la costruzione presentava inoltre una torre, forse testimonianza dell’originario nucleo medievale. Altre torri vennero fatte costruire da Bartolomeo, che ampliò il complesso, ed ulteriori modifiche furono apportate dal figlio Alessandro, al quale si deve la costruzione del portico del cortile interno. e esatte origini del castello di San Martino in Soverzano non sono note. La storia del castello, come raccontata a fine Cinquecento nei manoscritti di Giovan Battista Bombelli, ci è stata riportata da Gaetano Giordani (1837), Alfonso Rubbiani (1885) e Francesco Cavazza (1937). Secondo questi testi, le prime notizie relative alla presenza della famiglia Ariosti nel territorio detto di “San Martino” risalirebbero agli inizi del XIII secolo. Provenienti da un castello dell’Appennino chiamato “Riosto”, gli Ariosti erano a quei tempi una delle famiglie più importanti di Bologna. Schierato dalla parte dei Guelfi, ai principî del Duecento il casato ebbe tra i suoi membri il vescovo Gerardo, mentre in qualità di capitano di guerra Antonio combatté vittoriosamente contro le truppe imperiali a Fossalta nella battaglia in cui fu fatto prigioniero re Enzo. A questi tempi va forse fatta risalire la fondazione del castello, luogo fortificato lontano dai tumulti cittadini. Nel XIV secolo i fratelli Francesco, Bonifacio e Lippa Ariosti si trasferirono a Ferrara. Nel 1390 Francesco è documentato come signore del castello di San Martino in Soverzano, quando il luogo fu temporaneamente occupato dalle truppe del Comune di Bologna, impegnato contro la minaccia di un’invasione da parte dei Visconti di Milano. Nel 1407 il castello venne venduto dal pronipote di Francesco, Bonifacio a Chiara Arrighi, moglie di Bartolomeo Manzoli. Iniziò così il lungo dominio del casato Manzoli, che mantenne la proprietà fino alla metà del XVIII secolo. Proveniente da una ricce famiglia di mercanti bolognesi, nel 1401 Bartolomeo era stato nomina- All’aprirsi del Cinquecento la famiglia Manzoli attraversò un momento di particolare fortuna: Marchione Manzoli venne infatti eletto membro del Senato bolognese da papa Giulio II, e Leone X lo nominò conte di San Martino. All’interno del vasto feudo, il castello fu sede di prigioni, ubicate nella torre; nel 1527 il conte Marchione diede inoltre ospitalità alle truppe lanzichenecche del Connestabile di Borbone dirette verso il Sacco di Roma. Nel 1529 Marchione morì e la proprietà passò ai figli. Nel 1550 il castello fu 7 che inaugurò una radicale campagna di restauro volta al ripristino dell’originario assetto medievale; nel 1918 il castello restaurato ricevette infine la visita di Vittorio Emanuele III. Dopo ulteriori passaggi di proprietà, oggi la rocca appartiene alla famiglia Poletti. diviso tra due di loro, il conte Giorgio, più volte insignito della carica di Gonfaloniere di Giustizia a Bologna, e il conte Camillo. In seguito alla morte di Giorgio (1560), sopraggiunsero controversie per la spartizione dell’eredità, finché nel 1570 il cardinal Ugo Boncompagni, che presto sarebbe diventato papa Gregorio XIII, decise che il castello sarebbe andato ai tre nipoti ed eredi di Camillo, mentre la palazzina sarebbe passata ad Ulisse Bentivoglio, il nipote di Giorgio da questi adottato. Ben presto comunque il patrimonio fu nuovamente unificato nelle mani dei tre giovani Manzoli (Marchione, Giorgio e Alessandro), che dal 1571 intrapresero una nuova opera di restauro e abbellimento del complesso. Nell’ambito di questi lavori, nel 1577 il cardinal Gabriele Paleotti inaugurò la nuova cappella, già camera del commissario della contea. L’aspetto del castello di San Martino nella seconda metà del Cinquecento, con torri, merli, fossato, è riportato in un libro di disegni del 1578 attribuito al geografo Egnazio Danti. Poco dopo, nel 1580, i fratelli Manzoli ottennero che la fiera che si teneva annualmente il 4 ottobre nella frazione Riccardina presso Budrio potesse proseguire nei giorni 5 e 6 presso il loro castello; infine, nel 1584 tutta l’importante manifestazione, che godeva di una grande affluenza di pubblico, venne ufficialmente trasferita a San Martino. Un secolo dopo, nel 1684, il portico per la fiera fu ricostruito, durante nuovi lavori di ammodernamento del castello. La dinastia Manzoli si estinse con Francesco, morto nel 1751. Passata per trasmissione ereditaria ai Marsigli Duglioli, la proprietà fu nuovamente ampliata e rinnovata tra fine Settecento e Ottocento. Successivamente, nel 1882 le figlie del conte Carlo Marsili Duglioli vendettero castello e tenuta al conte Felice Cavazza, Come si è detto, nel 1883 il conte Felice Cavazza incaricò Tito Azzolini, docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna, del restauro del castello, che terminò nel 1885. Alla direzione dei lavori ad Azzolini venne associato un giovane giornalista, Alfonso Rubbiani, che in quegli anni ricopriva la carica di Assessore presso il Comune di Budrio. Sull’esempio delle ricostruzioni neomedievali di Viollet-Le-Duc, si tentò di ripristinare l’antica immagine del castello, basandosi sulla descrizione tardocinquecentesca di Bombelli. L’operazione comportò scelte drastiche, come ricorda lo stesso Rubbiani: “il ristauro della gran torre (donjon) offriva un problema. Sulla terrazza esisteva un torricciuolo per la campana ai tempi che Bombello scrisse la sua cronaca; e un torricciuolo esisteva anche ora: ma la cornice e un’aguglia che gli faceva cappello indicavano un’epoca fra i secoli XVII e XVIII (…) Si demolì la guglia, la cornice, si rimisero le finestre 8 suoi merli posto nel cortile a ponente, nel mezzo di quella cortina già detta si entra nella seconda parte, che la Rocca vien detta; e sagliendo per gradi di marmo allo entrare del portone, sopra l’uno del quale si vede in pietra viva nel mezzo l’arma Mangiola con la Paleotta congiunta [Ercole Manzoli di Bartolomeo sposò Ginevra Paleotti, sorella del cardinal Gabriele] e quella de’ Mangiola sola: ivi è posta anche l’arma dello illustrissimo signor cardinale Paleotti zio materno di questi Signori”; “è tra il portone già detto e la porta della Rocca un ponte di pietra cotta, posto sopra la fossa con tre archi e le sue cortine di muro e merli sopra, con le bombardiere da ambe le parti, e col ponte levatojo o rotto che sia e porticella, per cui si passa alla riguardevole porta della Rocca; sopra la quale è in pietra impressa l’arma Mangiola, col cimiero del cigno sopra”. Attraversato il ponte levatoio, si entra infine nel cortile interno. Qui, sulla sinistra è visibile la cappella, un tempo decorata, secondo Bombelli, da pitture di Ercole Procaccini. Il cronista attribuisce allo stesso artista anche la pala sull’altare: “Nel mezzo siede del tempietto lo altare, ove in ornamento di stucco di oro freggiato vi è l’ancona, in cui è pinta per opera di dotta mano Nostra Signora col figlio in seno nel mezzo, san Marco Evangelista in piedi, santo Alessandro genuflesso Sommo Pontefice, san Giorgio in ginocchio, e san Bartolomeo in piedi: santi tutelari di questi signori Conti fratelli, per essere così anco essi nominati”. Le altre opere che oggi ornano la cappella sono invece frutto di acquisizioni recenti. In particolare si segnala, sulla destra, la grande tela centinata di Benvenuto Tisi detto il Garofalo, datata 1533, con la Crocifissione con la Vergine e San Giovanni evangelista, che in origine fungeva da cimasa sull’altare della chiesa interna del convento di San Bernardino a Ferrara. alla luce primitiva, e si coronò il torricino con quattro merli d’angolo, giacchè questa forma di coronamento dei torricini posti sulle torri ha suoi riscontri. L’esempio che ci autorizzò furono alcune torri dipinte nei bellissimi affreschi della Cappella Bolognini in San Petronio (…) Col demolire alcune costruzioni addossate alla torre la si liberava in tutta la sua svelta forma rettangolare; e dalla fronte che guarda i campi verso l’Appennino si cancellò un’enorme e barocca mostra di orologio”. Seguendo il sogno “ricostruttivo” di Rubbiani, la visita potrà dunque essere guidata dalle parole dello stesso Giovan Battista Bombelli (1577). Superato il borgo della fiera, il viale d’accesso introduce al cortile, che “di ogni qualità di pubblici spettacoli e giuochi sarìa capacissimo, come giostre, tornei, caccie di tori, e simili bagordi”; “prima si vede un onoratissimo edifizio allo entrare, che il luogo per la sua grandezza e bellezza non poco orna, il quale da questi Signori fu circa sei anni restaurato ; e sopra la porta si vede l’arme di Pio V, di felicissima memoria, nel mezzo di quella del vecchio Cardinale di Ferrara, e dello Illustriss. Borromeo, con altre piacevoli pitture”. Sulla destra si accede invece, alla Rocca: “Per quel portone, di pietra cotta con 9 Intorno al cortile, le camere del castello, e su tutto la Torre, dalle cui finestre il mondo neofeudale dell’aristocrazia del Cinquecento godeva di un panorama evocato ancora una volta da Bombelli: “d’infinito contento e solazzo è, che chi viene a diporto vedere dalle finestre di tutto l’edificio con ogni sua comodità nella spaziosa e aperta fossa l’innumerabile schiera di pesci guizzolare nell’acqua; e scorgere parimenti i tanti conigli (…) che da sotterranee cave sotto il volto del Castello fatte usciscono, con le timide loro compagne ; mirando ancora le fiere domestiche, le quali da’vicini boschi cacciate usciscono nelle aperte campagne, e verdi prati fuggiendo i cani, che veloci le perseguono, nè contentandosi di questa bella veduta, che pur essa assai bene di lontano scuopre, sagliono alla Torre, che dalle finestre sue, e finalmente dal suo altissimo corridojo potranno scorgere quanto più ingordo mortale occhio desìa vedere ; perchè ove mancò natura in questo luogo per il sito suo, ha supplito la industria de’ maggiori di questi Signori; nè di presente cessa la solerzia loro, acciocchè parte non sia di diletto quale manchi a questo luogo”. Azzoguidi, 1885 Alfonso Rubbiani, Notizie intorno all’architettura del Castello di San Martino sopra Zena, detto dei Manzoli Descrizione del medesimo e dei ristauri eseguiti negli anni 1883-84-85, Ibidem, pp. 4-8 Corrado Ricci, Capitolo dove si narrano le diverse vicende del Castello di San Martino in Soverzano detto dei Manzoli, Ibidem, pp. 9-11 Francesco Cavazza, Il Castello di San Martino in Soverzano e i suoi antichi signori, Bologna, Tip. Galavotti A., 1937 Giampiero Cuppini, Anna Maria Matteucci, Ville del Bolognese, seconda edizione riveduta e ampliata, Bologna, Zanichelli, 1969, pp. 11, 137 (ill.), 362 Alfonso Rubbiani: i veri e i falsi storici, catalogo mostra a cura di Franco Solmi e Marco Dezzi Bardeschi , Bologna, Grafis, 1981 Alfonso Rubbiani e la cultura del restauro nel suo tempo (1880-1915), Atti delle giornate di studio (Bologna, 1981), a cura di Livia Bertelli e Otello Mazzei, Milano, Franco Angeli, 1986 Domenico Rivalta e Fabia Zanasi,“Pochi avanzi bastano a provocare cento idee”: la castellologia nell’immaginazione trobadorica di Alfonso Rubbiani, Ibidem, pp. 95-104 Anna Maria Fioravanti Baraldi, Il Garofalo. Benvenuto Tisi pittore (c. 1476-1559), Ferrara, Cassa di Risparmio di Ferrara, 1993, pp. 224-225 (scheda n. 155) Mario Fanti, Ville, castelli e chiese bolognesi da un libro di disegni del Cinquecento, seconda edizione riveduta e aumentata, Bologna, Arnalfo Forni Editore, 1996, n. 49 Francesco Ceccarelli, Bologna e la Romagna, in Storia dell’Architettura Italiana. L’Ottocento, I, Milano, Electa, 2005, pp. 159-160, note p. 165 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Gaetano Giordani, Memorie storiche riguardanti il castello di San Martino in Soverzano volgarmente appellato de’ Manzoli, in “Almanacco Statistico Bolognese”, VIII, 1837, pp. 162-195 Breve descrizione del sito e dell’architettura del Castello San Martino degli illustriss. Signori Marchione, Alessandro e Giorgio de’ Conti Mangioli fatta da Gio. Battista Bombello l’anno MDLXXVII, con note di Gaetano Giordani, Ibidem, pp. 196-235 Il Castello di S. Martino sopra Zena. Descrizione e storia, Bologna, Officina Tipografica 10 LA ROCCA E LA VILLA ISOLANI “I n quel medesimo tempo fece un palazzo a Minerbio per il Conte Alamanno Isolano, con ordine & disegno molto notabile, & maraviglioso…”: così scriveva Egnazio Danti nel 1583 nella biografia di Jacopo Barozzi detto il Vignola (1507-1573), attribuendo all’architetto emiliano un ruolo fondamentale, ma successivamente molto discusso dalla critica, nella realizzazione del complesso Isolani nel feudo minerbiese. A MINERBIO Minerbio alla città, l’edificio venne più volte saccheggiato e ricostruito. L’aspetto attuale di questo compatto corpo di fabbrica risulta quindi eterogeneo, con tracce di preesistenze ancora legate alla tipologia del castello medievale che si mescolano agli interventi successivi. Come l’esterno, anche il cortile interno della rocca è segnato dai cambiamenti. Il lato con il loggiato, ritmicamente equilibrato nella sovrapposizione dei due ordini, risale molto probabilmente ai primi del Cinquecento, quando in seguito all’avvento di Giulio II gli Isolani rientrarono nei possedimenti abbandonati fin dai tempi del dominio visconteo su Bologna (1438). Nel 1520 papa Leone X insignì Giovanni Francesco Isolani del titolo di conte del feudo di Minerbio; nel 1527 il castello fu però nuovamente saccheggiato dalle truppe lanzichenecche che, guidate dal Connestabile di Borbone, si dirigevano verso Roma. Nel 1535 il conte Giovanni Francesco intraprese una nuova campagna di ricostruzione. A questa fase viene ricondotta l’impresa decorativa più importante della rocca: l’esecuzione da parte di Amico Aspertini degli affreschi di alcune sale interne (Sala di Marte, Sala dell’Astronomia, Sala di Ercole, Stanza “della moglie adultera”). Le stanze di Aspertini, situate sul lato destro della rocca per chi guarda verso il loggiato del cortile, sono attualmente in fase di restauro in previsione della prossima mostra monografica dedicata al pittore bolognese. Lacerti di altre pitture cinquecentesche con aperture paesistiche, non riconducibili alla mano di Amico e recentemente restaurati, sono invece visibili sotto il portico. La storia della Rocca Isolani inizia all’aprirsi del XV secolo, quando nel 1403 la duchessa di Milano Caterina Visconti concesse ai fratelli Giacomo, Ludovico e Battista Isolani la giurisdizione feudale sul territorio del “Comune della Riva di Savena”, comprendente il “castrum Minervii”. La presenza degli Isolani a Minerbio è in effetti attestata sin dagli inizî del Trecento, quando la famiglia iniziò ad acquistare porzioni di quello che sarebbe diventato un vasto patrimonio terriero. Una volta acquisito il diritto feudale, probabilmente gli Isolani iniziarono a progettare la costruzione della Rocca. Visibile dalla strada principale che collega 11 tivamente come “un palazzo a Minerbio per il conte Alamanno Isolani”. Se l’ipotesi si dimostrasse fondata, la datazione andrebbe però forse ricondotta ai lavori di restauro intrapresi dal conte Giovanni Francesco Isolani nel 1535: si tratterebbe quindi di un progetto giovanile di Vignola, allora ventottenne. Ma in mancanza di documenti riconducibili chiaramente a Jacopo Barozzi, il problema attributivo resta aperto. Nel 1557 Alamanno Isolani stipulò infatti un contratto con un altro architetto, Bartolomeo Triachini, per la costruzione di un palazzo a Minerbio. La lettura attenta delle carte ha permesso agli studi di capire che si doveva trattare di un edificio da completare piuttosto che da erigere ex novo: a Triachini andrebbe allora forse assegnato solo il progetto per il piano superiore della villa, con le scale esterne che conducevano a una loggia successivamente tamponata, e un’altra loggia sul lato nord dell’edificio. Il palazzo nuovo non venne comunque completamente terminato, e modifiche successive alterarono la leggibilità del disegno originario dell’edificio, che durante la Seconda Guerra Mondiale fu anche occupato dalle truppe tedesche. Dal cortile, sul lato opposto rispetto alle stanze dipinte da Aspertini, si può accedere a una sequenza di ambienti, anch’essi restaurati, oggi adibiti a sale per ricevimenti dalla famiglia Cavazza Isolani, ancora proprietaria del complesso minerbiese. Entrando, la visita inizia dalla sala del camino, alla quale seguono alcune stanze più piccole, arredate con armi, ceramiche e diversi dipinti. Il percorso si conclude nel salone, dove oggi sono esposte stampe fotografiche su tela delle prospettive settecentesche che originariamente ornavano le pareti. Sul lato posteriore, la Rocca è affiancata da altri edifici: sulla destra sono le case dell’antico borgo di Minerbio, mentre un corpo di fabbrica con loggia, ai piedi del quale è visibile l’imboccatura del pozzo, si allunga verso il giardino in direzione della Villa cinquecentesca. Quest’ultima, anche detta il “Palazzo nuovo”, costituisce un’entità architettonica isolata, di pianta quadrata, impostata a pianterreno su un grande ambiente a pilastri con volte a crociera, forse sull’esempio delle antiche cisterne termali romane. Il richiamo all’antico e la qualità della soluzione architettonica hanno fatto recentemente pensare che qui possa essere riconoscibile quella realizzazione di Vignola che Egnazio Danti nel 1583 indicava approssima12 La presenza di Vignola come architetto a Minerbio rimane una questione irrisolta. Certo è che almeno un elemento del complesso Isolani mostra una qualità di altissimo livello: si tratta della torre Colombaia, che chiude la prospettiva del giardino alle spalle della rocca. Di pianta ottagonale, la colombaia presenta un esterno scandito da un triplo ordine di lesene doriche binate, che rafforza la geometria degli spigoli. La sequenza ritmica delle facce del poligono è contrastata dalla successione delle tre fasce di trabeazione, con un effetto complessivo di grande eleganza. Divisa così in riquadri, la superficie muraria viene poi ulteriormente animata da aperture rettangolari con grate, che oggi risultano in parte tamponate. In alto, la torre si conclude con una lanterna con cupolino. L’interno conferma la capacità del progettista: una lunga rampa elicoidale con struttura lignea, che sale fino alla lanterna, permetteva al personale di accedere agevolmente alle circa tremila celle dei colombi. Una lapide ricorda il 1536, anno di fondazione della torre, che venne restaurata nell’Ottocento. La data 1536, ripresa in realtà da un’iscrizione più antica oggi perduta, riapre ancora una volta la discussione circa la possibilità di una paternità del disegno da parte del giovane Vignola. Gli studi di Margaret Daly Davis hanno nuovamente preso in considerazione questa ipotesi sulla base dei raffronti con la descrizione della Torre dei Venti di Atene fatta nell’antico trattato di architettura di Vitruvio, nonché dei rapporti che Jacopo Barozzi intratteneva con l’ambiente umanistico e artistico vitruviano del Cinquecento. Si tratta infatti di una sapienza costruttiva antica, aggiornata sui modelli dei principali interpreti dell’architettura cinquecentesca (da Baldassarre Peruzzi a Sebastiano Ser- lio) che l’anonimo progettista degli Isolani a Minerbio - sia esso il Vignola oppure no - è qui indubbiamente riuscito a sintetizzare in modo esemplare. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Camillo Zamboni, Cronaca del Castello di Minerbio, Bologna, Società Tipografica bolognese e Ditta Sassi, 1855 Giampiero Cuppini, Anna Maria Matteucci, Ville del Bolognese, seconda edizione riveduta e ampliata, Bologna, Zanichelli, 1969, pp. 15-18, 36, 96-99, 151-156 (ill.), 346-347 (con bibliografia) Mario Fanti, Carlo degli Esposti, Minerbio nei secoli, Minerbio, Cassa Rurale e Artigiana, 1977 Margaret Daly Davis, Jacopo Vignola, Alessandro Manzuoli und die Villa Isolani in Minerbio: zu den frühen Antikenstudien von Vignola, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, XXXVI, 1992, 1/2, pp. 287-328 Marzia Faietti, Daniela Scaglietti Kelescian, Amico Aspertini, Modena, Artioli Editore, 1995, pp. 196-203 (scheda n. 49) Mario Fanti, Ville, castelli e chiese bolognesi da un libro di disegni del Cinquecento, seconda edizione riveduta e aumentata, Bologna, Arnalfo Forni Editore, 1996, n. 58 Richard J. Tuttle, Note su Vignola architetto di ville, in Villa Lante a Bagnaia, a cura di Sabine Frommel, con la collaborazione di Flaminia Bardati, Milano, Mondadori Electa, 2005, pp. 97-109 Francesca Romana Liserre, Minerbio. Villa Isolani, in Marcello Fagiolo, Vignola, l’architettura dei principi, Roma, Gangemi Editore, 2007, pp. 283-284 (con bibliografia aggiornata) www.isolani.it 13 A.D.S.I. ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE Da trent’anni esiste un’associazione che riunisce circa tredicimilacinquecento proprietari di immobili di interesse storico-artistico, al fine di conservare e valorizzare l’eccezionale patrimonio italiano di beni culturali. È un’associazione che assiste i proprietari nella gestione delle dimore storiche, che collabora attivamente con enti pubblici o privati, con le Università e con altre associazioni sensibili a questi temi, che cerca di coinvolgere l’opinione pubblica promuovendo ricerche, studi, convegni e pubblicazioni. Un’associazione libera che si finanzia attraverso le quote associative ed alcune sponsorizzazioni, che è attiva grazie all’opera volontaria dei soci e che ha realizzato importanti catalogazioni e convegni. L’A.D.S.I. è riconosciuta Ente Morale della Repubblica Italiana ed è membro della European Union of Historic Houses Associations. Il maggiore sodalizio nazionale di proprietari di beni culturali, il più numeroso in Europa. Una grande associazione che si batte per garantire un futuro al patrimonio italiano dei beni culturali, “l’unica ricchezza che ci vede primi nel mondo”. A.D.S.I. ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE www.adsi.it SEDE CENTRALE Largo Fiorentini, 1 - 00186 ROMA Tel. (06) 68307426 - Fax (06) 68802930 SEZIONE EMILIA-ROMAGNA Via Santa, 1 - 40125 Bologna Tel. e Fax (051) 225928 e-mail: [email protected] REDAZIONE TESTI Stefania Biancani GRAFICA E STAMPA Sogari Artigrafiche s.r.l. - San Felice sul Panaro (MO) Un sentito ringraziamento da parte dell’autrice a tutti i Proprietari e alla prof.ssa Paola Galletti.