SALVATORE RAIMONDI L’ORDINAMENTO DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA IN SICILIA PRIVILEGIO E CONDANNA INTRODUZIONE Le ragioni dell’interesse per il Consiglio di giustizia amministrativa: occasioni mancate, pericoli immanenti, il giusto processo (art. 111 Cost.). Gli scritti sull’ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia, e segnatamente sul Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (in seguito C.G.A.)1, fatta eccezione per le voci delle enciclopedie, i cui tempi sono dettati dalle esigenze editoriali, sono prevalentemente concentrati in due periodi. Quello della fondazione, il quale abbraccia approssimativamente l’arco di un decennio a partire dall’approvazione del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654 (recante “Norme per l’esercizio nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato”). E quello, che pure si sviluppa nell’arco di un decennio, a partire dalla legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali (6 dicembre 1971, n. 1034) sino alle sentenze della Corte costituzionale n. 61 del 1975, e n. 25 del 1976, ed alle decisioni del Consiglio di Stato in adunanza plenaria n. 21 del 1978 e n. 18 del 1979, pronunzie attraverso le quali il Consiglio, in sede giurisdizionale, ha assunto connotati assai diversi da quelli originari, trasformandosi, senza alcun intervento del legislatore, da organo in buona parte sottordinato al Consiglio di Stato (con approssimazione: soltanto per gli atti regionali e locali aveva competenze di secondo o di unico grado; per tutto quant’altro la competenza rimaneva al Consiglio di Stato, in secondo o in unico grado) in organo ad esso totalmente equiordinato (ha competenza di appello sulle pronunzie del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, organo con competenza generale di primo grado). In epoca recente il tema è tornato di attualità per più ragioni: occasioni mancate; pericoli allo stato dissolti ma sempre immanenti; l’introduzione del 1 Ciò che caratterizza l’assetto della giurisdizione amministrativa nella Regione siciliana è la presenza del C.G.A., ma l’istituzione dei TAR, come si vedrà più avanti (e come è stato esattamente notato da S. VENEZIANO, Il ruolo del TAR nel sistema di giustizia amministrativa della Regione siciliana, in Rass. amm. sic. 2008, n. 2, 636 ss), ha determinato un mutamento profondo delle competenze del Consiglio. Appare giustificato pertanto il riferimento, già nel titolo, all’ordinamento della giustizia amministrativa nella Reg. sic.. Ovviamente gli scritti del primo periodo al quale ci si riferisce nel testo riguardano soltanto il C.G.A. 2 giusto processo e la maturazione della coscienza civile che rende sempre meno accettabile la situazione in atto. La principale occasione mancata è stata la complessiva vicenda che, iniziata con l’emergere (nei primi anni 2000) di non lievi inconvenienti nel funzionamento del Consiglio, si è sviluppata con la promozione, da parte dello stesso Consiglio, del giudizio di costituzionalità sulle disposizioni del citato decreto istitutivo n. 654 del 1948, disciplinanti la composizione dell’organo in sede giurisdizionale2, è proseguita con l’approvazione del D.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 (“Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Siciliana concernenti l’esercizio nella Regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato”)3, con il quale veniva confermata la censurata composizione mista, con alcuni aggiustamenti, cui faceva seguito la nuova eccezione di costituzionalità sollevata dal Consiglio4. E si è conclusa con la sentenza della Corte cost. 4 novembre 2004, n. 316, con la quale le questioni sollevate sono state dichiarate infondate.5 La pronunzia ha lasciato aperti altri, non meno rilevanti, profili di legittimità costituzionale. L’affermazione dei principi del giusto processo e della terzietà ed imparzialità del giudice, dapprima ad opera della dottrina, e soprattutto della giurisprudenza della Corte costituzionale, infine consacrati in 2 C.G.A. 13 maggio 2003, n. 185, in Foro amm. CdS, 2003, 2348. Su tale ordinanza, v. la nota del componente laico dell’organo rimettente, A. CORSARO, Origini e prospettive dei dubbi di costituzionalità avanzati dalla Sicilia, in D&G 25 febbraio 2004. 3 Per i primi commenti a tale decreto, A CARRUBBA, Estesi ai membri laici – professionisti del C.G.A. lo status e le incompatibilità dei magistrati, in Guida al diritto, n. 4 del 31 gennaio 2004; V. BERLINGO’, Sulle norme per l’esercizio nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato, www.lexitalia.it 2004. 4 Dapprima con ordinanza presidenziale in sede di cautela provvisoria 13 febbraio 2004, n. 77, in Foro amm. Cds, 2004, 497 (con nota di A. CORSARO, Consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana: note al decreto n. 77 del 2004 che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del d. lg. N. 373 del 2003), cui facevano seguito numerose ordinanze collegiali, nn. 50, 51, 52, 56, 85 e 249 del 2004. 5 In Giur. cost. 2004, 3681, con nota redazionale di L.A. La sentenza è stata annota criticamente da S. RAIMONDI, Il salvataggio del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Foro amm. CdS 2004, 3440, ed in Nuove autonomie 2004, 880, e da D. CORLETTO, Il Consiglio di giustizia amministrativa e le singolarità della autonomia siciliana, in Le Regioni, 2005, 395 ss., ed adesivamente da A. CORSARO, Sì alla riforma della Corte siciliana, in D & G, n. 42 del 2004, pp. 14 – 18, da G. CORSO, Sulla composizione del C.G.A.: una sentenza da condividere, in Nuove autonomie 2004, 887, e da R. ROTIGLIANO, Il C.G.A.: va bene lo stesso, ivi, 891. Alla sentenza n. 316 del 2004, faceva seguito l’ordinanza 4 maggio 2005, n. 179, in Giur. cost., 2005, 1522 ss., con la quale venivano dichiarate manifestamente infondate le medesime questioni di costituzionalità che erano state sollevate con n. 6 ordinanze del C.G.A. emesse nell’aprile 2004 (precedentemente quindi alla pubblicazione della citata sentenza della Corte) aventi lo stesso contenuto di quelle sulle quali la Corte emesse ebbe a pronunziarsi. 3 Costituzione, all’art.111, 1° e 2° comma, ad opera della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, induce a dubitare della rispondenza della composizione mista a tali principi. Poiché molti dei giudizi che si celebrano, forse la maggior parte, vedono come parte resistente in primo grado, e quindi appellata o appellante in secondo grado, la Regione siciliana e/o enti, territoriali o funzionali, ad essa riconducibili, ed i componenti laici vengono designati dal Presidente della Regione, ben si può affermare che essi vengono scelti da una delle parti del giudizio6. La questione di legittimità costituzionale della composizione mista del Consiglio in relazione all’art. 111 Cost. è stata sollevata con ricorso per difetto di giurisdizione innanzi alle SS.UU. della Corte di cassazione, la quale si è recentemente pronunziata nel senso della manifesta infondatezza.7 Circostanza questa che, mentre non consente di sperare, quanto meno per l’immediato, in un positivo riscontro da parte del giudice delle leggi, non può neppure indurre a trascurare in sede scientifica il problema. I pericoli provengono dall’orientamento ad introdurre, nello Statuto siciliano, una modifica volta non solo a consacrare, ma anche ad accentuare sensibilmente la partecipazione della Regione nella formazione del Consiglio. Tale orientamento veniva espresso nel disegno di legge voto approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 31 marzo 2005 (seduta n. 281), e presentato al Senato nella XIV legislatura come disegno di legge costituzionale con il n. 3369, per la revisione dello Statuto siciliano8, il quale, a modifica del vigente art. 23 dello Statuto della Regione siciliana, prevedeva 6 Brevi considerazioni al riguardo in S. RAIMONDI, Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana: un collegio scelto per due quinti da una delle parti del giudizio, intervento al Convegno annuale dell’A.I.P.D.A. – Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, su Il diritto amministrativo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Bologna 27-28 settembre 2007, in A.I.P.D.A., Annuario 2007, Editoriale scientifica, Napoli, 2008, 263 ss. 7 Corte cass., SS.UU., 18 luglio 2008, n. 19810, in Giurisdizione amministrativa, 2008, 668. 8 E’ da ricordare che la revisione dello statuto sembra in concreto postulata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, la quale, all’art. 10, dispone: “Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. Secondo l’art. 41 ter dello Statuto siciliano, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. m) L. cost. 31 gennaio 2001, n. 2, per le modifiche dello statuto si applica il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali, ma non si fa luogo al referendum. 4 che il Consiglio “è composto anche di membri designati dal Presidente della Regione” e che il suo presidente è nominato “d’accordo dai Governi dello Stato e della Regione”9. Il disegno di legge è decaduto per la fine della legislatura. Ne era stata preannunziata la ripresentazione nella XV legislatura, prematuramente interrotta.10 Le tendenze federalistiche presenti nella corrente legislatura non consentono di fare considerare il pericolo scampato. Quanto fin qui osservato di per sé basta ed avanza per ritornare sul tema. Ma sussiste una ulteriore, e non meno rilevante, ragione che induce ad occuparsi del Consiglio di giustizia amministrativa. Sia consentito di esprimere l’auspicio che di quell’”ignobile pasticcio” che era, è, ed ancora di più minaccia di essere nel futuro, l’ordinamento della giurisdizione amministrativa nella Regione siciliana, del quale “la maggior parte dei giuristi hanno avuto scarse ragioni di occuparsi” perché “l’atteggiamento è nel senso che è roba che si sono voluta i siciliani, per cui se la sbrighino loro”11, i giuristi 9 Su tale disegno di legge, S. RAIMONDI, Il Consiglio di giustizia amministrativa nel disegno di legge costituzionale di revisione dello statuto siciliano, in Dir. pubbl., 2005, n. 3, 945. 10 Giornale di Sicilia del 3 agosto 2006. 11 L’espressione è di M.S. GIANNINI, Il tribunale regionale per la Sicilia feliciter restitutum, in Giur. cost. 1975, 1070 (il quale aveva ritenuto che con la sentenza della Corte cost. n. 61 del 1975, con la quale veniva riconosciuta al TAR Sicilia la medesima competenza degli altri TAR, fosse stata eliminata soltanto “una cospicua parte del pasticcio). La scarsa attenzione della dottrina per le anomalie del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, notata da Giannini, è proseguita negli anni successivi. E’ significativo al riguardo che (sebbene siano apparsi nel tempo rilevanti contributi concernenti specificamente il C.G.A.) gli autori i quali, occupandosi del Consiglio di Stato, hanno posto in discussione le nomine governative, il cumulo delle funzioni consultive alle funzioni giurisdizionali, e gli incarichi extragiudiziari, non si sono accorti che l’organo di appello sulle sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, oltre ad avere per tre quinti dei componenti del collegio tutte le caratteristiche del Consiglio di Stato, presenta per gli altri due quinti la singolare caratteristica che si tratta di giudici scelti da quella che è sovente una parte del giudizio. Si possono al riguardo ricordare, senza la pretesa di essere esaurienti, i seguenti contributi: G. SILVESTRI, Giudici ordinari, giudici speciali e unità della giurisdizione nella costituzione italiana, in Scritti in onore di M.S. Giannini, III, Giuffrè, Milano, 1988, 709 ss.; R. GAROFOLI, Unicità della giurisdizione e indipendenza del giudice: principi costituzionali ed effettivo sviluppo del sistema giurisdizionale, in Dir. proc. amm., 1998, 121 ss.; A. TRAVI, Per l’unità della giurisdizione (relazione all’incontro del Gruppo S. Martino tenuto a Cagliari il 3 aprile 1998, sul tema “L’unità della giurisdizione”), in Dir. pubbl., 1998, 371 ss.; S. PANUNZIO, Il ruolo della giustizia amministrativa in uno Stato democratico. Osservazioni sul caso italiano, in V. PARISIO (a cura di), Il ruolo della giustizia amministrativa in uno Stato democratico, Giuffrè, Milano, 1999, 71 ss. ed in Politica del diritto, 2000, 3 ss.; S. LARICCIA, L’indipendenza del giudice, in Studi in onore di S. Cassarino, II, Padova, Cedam, 2001, 881, spec. 890-893; Id., Indipendenza dei giudici amministrativi e unità della giurisdizione, in F. CERRONE – M. VOLPI, Sergio Panunzio. Profilo intellettuale di un giurista, Napoli, Jovene, 2007, 160 ss.; M. MENGOZZI, La riforma dell’art. 111 Cost. e il processo amministrativo, in Giur. cost., 2003, 2487 ss.; A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non amministrativa” (Sunntagsgedanken), Giuffrè, Milano, 2005. F. CUOCOLO, Rilevanza costituzionale del “giusto processo”, in Rass. parl. 2006, 19 ss.; Lo studio ora citato di Orsi Battaglini è stato commentato, a seguito della sua prematura scomparsa, da G. 5 adesso si occupino12. I siciliani da soli non se la possono sbrigare. Anche perché, a parte i mugugni, sono pochi quelli disposti a fare qualcosa. Per contro non mancano i sostenitori dell’attuale assetto, tali per convinzione o per propensione a compiacere, o soltanto per inerzia13. Non risponde al vero comunque che il richiamato ordinamento se lo sono voluto i siciliani. Quello che i siciliani – rappresentati dai padri dello Statuto del 1946 - hanno voluto sono soltanto le “sezioni” del Consiglio di Stato. Sulle ragioni per le quali la disposizione statutaria non ha mai avuto piena attuazione, più volte dette, è opportuno ritornare, al fine di ribadire e documentare che, diversamente da quanto molti credono, e da quanto insistono nell’affermare gli uomini politici siciliani, i quali ne assumono la natura “pattizia”, la composizione mista introdotta con le norme di attuazione del 1948, e quindi l’attribuzione alla Regione del potere la scelta di alcuni componenti dell’organo, non venne prevista per soddisfare una aspirazione autonomistica, ma esclusivamente per la tenace opposizione all’istituzione delle sezioni, da parte del Consiglio di Stato, che fece fronte unico con la Corte di cassazione preoccupata che si ripristinassero le cassazioni regionali. SILVESTRI, Un libro che fa respirare, F.G. SCOCA, Un pensatore generoso, G. AZZARITI, Interpretazione sistematica della Costituzione. Riparto delle Giurisdizioni e vocazione espansiva dell’art. 102 Cost., A. TRAVI, Rileggendo Orsi Battaglini, G.U. RESCIGNO, La tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi secondo la costituzione italiana, in Dir. pubbl. 2006, n. 1. Contributi nei quali sono contenuti riferimenti alla nomine governative, ma senza alcun cenno al C.G.A. Da ultimo è da ricordare il lavoro di C.E. GALLO, La giustizia amministrativa tra modello costituzionale e principi comunitari, relazione al Convegno annuale dell’A.I.P.D.A. – Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, su Il diritto amministrativo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, op. cit., 227 ss. 12 Del C.G.A. si è occupato di recente ex professo F.G. SCOCA, Specialità e anomalie del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Dir. proc. amm. 2007, 1 ss., ed in Nuove autonomie, 2007, n. 1, svolgendo condivisibili critiche sulla composizione mista (il lavoro trae origine da un seminario sul tema tenutosi nell’Università di Palermo il 7 novembre 2007). M. RENNA, Giusto processo ed effettività della tutela in un cinquantennio di giurisprudenza costituzionale sulla giustizia amministrativa: la disciplina del processo amministrativo tra autonomia e “civilizzazione”, nel volume a cura di G. Della Cananea e M. Dugato, Diritto amministrativo e Corte costituzionale, della Collana “Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, 518, facendo riferimento alle sentenze della Corte cost. n. 1 del 1967, sulle nomine governative di consiglieri della Corte dei conti, n. 177 del 1973, sulle nomine governative di Consiglieri di Stato, ed infine alla sentenza n. 316 del 2004 sul C.G.A., fa presente i rischi di politicizzazione e lottizzazione delle nomine (in relazione al C.G.A. l’autore non manca di sottolineare che si prevedono nomine temporanee non rinnovabili). 13 Sono da annoverare tra i primi G. CORSO, Sulla composizione del C.G.A.: una sentenza da condividere, cit. e Il Consiglio di giustizia amministrativa: un’istituzione per l’Isola, in Nuove autonomie, 2007, 11; P. DE LISE, Sessantennio della giustizia amministrativa e contabile in Sicilia, in www.giustamm.it. 6 Il decreto del 1948 istitutivo del Consiglio di giustizia amministrativa la Regione siciliana se lo è visto calare dall’alto, senza avere potuto partecipare in alcun modo alla sua preparazione. Si consideri al riguardo che non solo il D.lgs. n. 654 venne approvato dal Governo nazionale senza la previa determinazione della Commissione paritetica prevista dall’art. 43 dello Statuto, ma la formulazione adottata nulla ha a che vedere con il testo che era stato predisposto dalla Commissione paritetica e trasmesso al Governo nel maggio del 1947, il quale non ebbe alcun seguito (ed infatti non è menzionato nelle premesse del D.lgs. 654 del 1948) 14. 14 E’ diffusa, per contro, in dottrina, seppure non sempre viene chiaramente espressa, la convinzione che la composizione mista del Consiglio si configuri come una manifestazione di “separatismo” voluto dalla Regione, e quindi come una conquista a suo tempo ottenuta da questa. Può farsi al riguardo l’esempio di A. POGGI, Revisione della “forma di Stato” e funzione giurisdizionale: una diversa ripartizione di competenza tra Stato e Regioni?, in Le Regioni 1996, 51 ss., spec. 71, la quale, con riferimento al C.G.A. scrive “Non c’è dubbio, del resto, che l’organo giurisdizionale in questione…trova il suo retroterra in un accentuato separatismo teso a creare un perfetto dualismo nell’amministrazione della giustizia. Un separatismo, in sostanza, che non si accontentava di un generico avvicinamento della giustizia ai cittadini, ma che, attraverso la riproduzione sul territorio di organi “centrali” (cioè organi in cui si esprime l’unità giurisdizionale dello Stato) mirava alla creazione di un sistema giurisdizionale parallelo a quello dello Stato”. 7 CAPO I LE VICENDE DEGLI ANNI 2000 1. – Le previsioni statutarie (art. 23 St. sic.), la loro elusione con il D.Lgs. n. 654 del 1948 e la riconfigurazione delle competenze del C.G.A. per effetto di pronunzie giurisdizionali. Le vicende alle quali si è fatto cenno nell’introduzione costituiscono il culmine di una fase particolarmente travagliata della vita del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, dovuta ad inconvenienti registrati negli ultimi anni, ma che covavano sotto le ceneri da epoca precedente. Tutti, in concreto riconducibili, più o meno direttamente, alla composizione dell’organo, difforme dalle previsioni statutarie. Al fine di rendere più facilmente percepibili le considerazioni che si svolgono nel seguito del lavoro appare opportuno compendiare brevemente i tratti essenziali della storia ultrasessantennale del Consiglio. L’art. 23 dello Statuto siciliano, approvato con R.D.L. 15 maggio 1946 n. 45515, ha previsto l’istituzione in Sicilia di “sezioni per gli affari concernenti la Regione”, degli “organi giurisdizionali centrali” (1° comma). Relativamente al Consiglio di Stato ha previsto che le sezioni da istituire in Sicilia svolgono anche le funzioni consultive (2° comma). Ed ha attribuito alle “Sezioni regionali del Consiglio di Stato” i pareri sui ricorsi straordinari contro gli atti 15 Il citato regio decreto legislativo aveva previsto al 2° comma del suo articolo unico che lo Statuto sarebbe stato “sottoposto all’Assemblea Costituente, per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato”. Subito dopo l’approvazione della Costituzione, con L. cost. 26 febbraio 1948, n. 2, veniva disposto, all’art. 1, 1° comma, “Lo Statuto della Regione siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’art. 116 della Costituzione”. Al secondo comma, veniva disposto: “Ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla Costituzione, le modifiche ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione saranno, non oltre due anni dall’entrata in vigore della presente legge, approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l’Assemblea regionale della Sicilia”. Per l’annullamento di tale secondo comma la Regione siciliana proponeva ricorso all’Alta Corte (prevista dall’art. 24 St. sic.), deducendone il contrasto con la Costituzione perché, essendo lo Statuto una legge costituzionale, ai sensi dell’art. 138 cost., soltanto con legge costituzionale (come peraltro previsto dall’art. unico, 2° comma, del decreto legislativo n. 455 del 1946), si sarebbe potuto modificarlo. L’Alta Corte, con decisione 10 settembre 1948, accoglieva il ricorso e per l’effetto annullava l’impugnata disposizione. (Il ricorso, le difese scritte ed orali delle parti e la decisione dell’Alta Corte in CONSULTA REGIONALE SICILIANA, vol. IV, Lo Statuto davanti agli organi dello Stato, Edizioni della Regione siciliana, Palermo, 1976. In dottrina, cfr. per tutti, M. IMMORDINO – F. TERESI, La Regione Sicilia, 2^ ed., Milano, Giuffrè, 1988, 4 ss.). 8 amministrativi regionali la cui decisione è demandata al Presidente regionale (4° comma). Sebbene tali disposizioni statutarie indubbiamente postulassero il semplice decentramento territoriale dell’organo, vale a dire l’istituzione in Sicilia di una sezione consultiva e di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, in luogo delle stesse, veniva istituito, con il citato Decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 65416, il “Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana” con una composizione mista. Presieduto da un presidente di sezione del Consiglio di Stato, venivano chiamati a farne parte, in sede giurisdizionale due magistrati del Consiglio di Stato di cui uno almeno con il grado di consigliere, e due “giuristi” scelti tra professori universitari di diritto o avvocati abilitati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, designati dalla giunta regionale (art. 2, 3° comma). In sede consultiva venivano chiamati a farne parte i due predetti magistrati, un prefetto nominato dal ministro dell’interno, e quattro "esperti dei problemi della Regione" designati dalla Giunta regionale (art. 2, 2° comma). Per ciascuno dei membri veniva prevista la nomina di un supplente (art. 2, 4° comma). La durata in carica dei “giuristi” e degli “esperti” designati dalla Regione, era prevista in quattro anni, con possibilità di riconferma17. Ai componenti “avvocati” del Consiglio in sede giurisdizionale veniva interdetto, durante la carica, l’esercizio della professione innanzi alle giurisdizioni amministrative. Al Consiglio in sede giurisdizionale veniva attribuita una triplice competenza: di appello sulle decisioni della Giunte provinciali amministrative, 16 Diversamente da quanto ritenuto da A. POGGI, Casi di “differenze” nelle giurisdizioni. La vicenda di alcune regioni speciali italiane, in F.G. PIZZETTI, Federalismo, regionalismo e riforma dello Stato (con tre saggi di M. Comba, J Luther e A. Poggi), Giappichelli, Torino, 1996, 286 e 288, nonché Revisione della “forma di Stato” e funzione giurisdizionale: una diversa ripartizione di competenza tra Stato e Regioni?, cit., pag. 67, il decreto n. 648 non venne approvato dalla commissione paritetica prevista dell’art. 43 dello Statuto siciliano, bensì dal Governo in base alla generale delega di potere legislativo conferita all’esecutivo per il periodo costituente con l’art. 3 D.lgs.lgt. 18 marzo 1946 n. 98. E’ probabile che tale errata convinzione abbia influito nel fare ritenere alla stessa che la composizione mista del C.G.A. si configuri come una manifestazione di separatismo della Sicilia (v. nota 14). Approfondite considerazioni al riguardo possono leggersi nell’ordinanza del C.G.A. 13 maggio 2003, n. 185 (citata alla nota 2), con la quale venne sollevata, sotto diversi aspetti, la questione di costituzionalità del D.lg. n. 654 del 1948. 17 Di tale possibilità si fece largo uso. Si consideri che la sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976, sulla quale ci soffermeremo in seguito, trasse origine da un ricorso proposto da un componente “laico” il quale, dopo quattro quadrienni successivi, aveva avuto negata l’ulteriore conferma. 9 “o degli organi di giustizia amministrativa che eventualmente saranno ad esse sostituiti”18, di unico grado sugli atti definitivi dell’amministrazione regionale e delle altre autorità amministrative non statali aventi sede nel territorio della Regione; di primo grado, con appello all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sugli atti definitivi delle autorità amministrative dello Stato aventi sede in Sicilia, e riguardanti materie di interesse regionale, nonché sugli atti emessi dal presidente regionale o dalla giunta, quali organi decentrati dello Stato19. A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni che disciplinavano la composizione delle giunte provinciali amministrative in sede giurisdizionale20, la originaria competenza in grado di appello diveniva anch’essa di unico grado. Rimaneva la competenza in unico grado del Consiglio di Stato, oltre che sugli atti delle autorità centrali, pure se aventi efficacia soltanto nel territorio regionale, anche sugli atti delle autorità statali sedenti in Sicilia (ad es. Prefetto, Questore, Provveditore agli Studi, ecc.) non aventi carattere definitivo, per i quali sussisteva l’onere del ricorso gerarchico, la cui decisione in ultima istanza era di competenza dell’autorità centrale. Dichiarata incostituzionale, con sentenza della Corte cost. n. 25 del 197621, la disposizione relativa alla possibilità di rinnovo dei componenti di 18 Il riferimento, implicito, è alla previsione di cui all’art. 125 della Costituzione, che era entrata in vigore da pochi mesi, il quale prevede, al secondo comma, l'istituzione nelle Regioni di "organi di giustizia amministrativa di primo grado". Si tenga presente al riguardo che, stante la collocazione dell’art. 125, 2° comma, nel Titolo V della parte II della Costituzione riguardante “Le Regioni, le province, i comuni”, e la previsione di cui al 1° comma dello stesso articolo disciplinante il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione, si pensava ad organi giurisdizionali di primo grado con competenza sugli atti della Regione e degli enti locali, e non già ad organi con competenza generale di primo grado secondo la felice opzione del legislatore del 1971 (L. 1034). 19 Cons. Stato, ad. plen., 29 ottobre 1956, n. 15; Id., 6 marzo 1975, n. 3, in Cons. Stato, 1975, I, 249. E’ da ricordare che, con D.l.vo C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, venivano attribuite al Presidente della Regione ed alla Giunta regionale, sino alla completa attuazione del passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione e sino alla emanazione di tutte le norme di attuazione dello Statuto, le competenze dell’Alto Commissario per la Sicilia di cui al R.D.L. 18 marzo 1944, n. 91. Alla stregua del richiamato criterio, ad esempio, i ricorsi avverso i decreti del Presidente della Regione di dichiarazione di interesse particolarmente importante ai sensi della L. 1089 del 1939, sulle cose di interesse artistico e storico, andavano proposti al Consiglio di giustizia amministrativa in primo grado con appello al Consiglio di Stato in adunanza plenaria (Cons. Stato, ad. plen., 6 marzo 1975, n. 3, cit.). 20 Corte cost. 16 marzo 1967, n. 30, in Giur. cost. 1967, 214 e 9 aprile 1968, n. 33, ivi, 1968, 487. 21 Corte cost. 22 gennaio 1976, n. 25, in Giur. cost. 1976, 88, con nota di A. CERRI, Indipendenza, imparzialità, nomina politica: problemi e dubbi irrisolti, pag. 175-6, ed in Le Regioni, 1976, 481 ss., con nota di L. MAZZAROLLI, ivi, 758 ss. 10 designazione regionale (art. 3 D. lgs. n. 654 del 1948), con D.P.R. 5 aprile 1978, n. 204, la durata in carica di questi veniva portata a sei anni, senza possibilità di riconferma, ma con l'espressa previsione della permanenza sino alla nomina dei successori. Il numero dei “giuristi” veniva portato da due a quattro (ma senza supplenti: vale a dire che si passava da due titolari e due supplenti a quattro titolari), ma veniva prescritto che in sede giurisdizionale il Collegio giudicante fosse composto dal Presidente, da due Consiglieri di Stato e da due non togati. Un aumento molto consistente delle competenze del Consiglio – tanto da modificarne in realtà la stessa configurazione – era frattanto intervenuta, a seguito dell’istituzione, con L. 6 dicembre 1971, n. 1034, dei Tribunali amministrativi regionali. Tale legge, all’art. 40, 1° comma, aveva attribuito al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, “fino a quando non si procederà alla revisione dell’attuale sistema di giustizia amministrativa nella regione siciliana”, la competenza già appartenente alle soppresse giunte provinciali amministrative, nonché quella relativa alle controversie in materia di operazioni elettorali. La competenza in ordine all’appello avverso le pronunzie del TAR siciliano, giusta il 2° comma dello stesso articolo, veniva attribuita al C.G.A., la cui disciplina rimaneva immutata (“Nulla è innovato nelle disposizioni che attualmente disciplinano detto consiglio”). Con sentenza n. 61 del 1975 la Corte costituzionale dichiarava costituzionalmente illegittimo l’art. 40, 1° comma, di guisa che al TAR Sicilia veniva riconosciuta la medesima competenza generale di legittimità di primo grado già attribuita agli altri tribunali amministrativi regionali22. Si poneva a quel punto il problema della competenza riguardo all’appello in relazione alle sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia concernenti controversie che prima dell’istituzione dei TAR erano di competenza del Consiglio di Stato in unico grado, ovvero del C.G.A. in primo grado e dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato in appello. Lo stesso C.G.A. dapprima23, e poco dopo il Consiglio di Stato in adunanza plenaria24, si 22 Corte cost. 12 marzo 1975, n. 61, in Giur. cost. 1975, 725. C.G.A., 27 giugno 1978, n. 148, in Cons. Stato, 1978, I, 1284. 24 Cons. Stato, ad. plen., 4 luglio 1978, n. 21, in Cons. Stato, 1978, I, 940 e 23 marzo 1979, n. 18, ivi, 1979, I, 327. 23 11 pronunziavano a favore della competenza del primo, il quale in tal modo acquisiva, per il grado di appello, la medesima competenza generale riconosciuta al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia25. 2. – Gli inconvenienti manifestatisi negli ultimi anni. Il parere del Cons. Stato, ad. gen. n. 1 del 2003. Nei primi anni duemila la composizione mista del Consiglio palesava tutta la sua inadeguatezza, a causa di alcuni fattori contingenti, quali una scarsa attenzione per il funzionamento del Consiglio da parte del Governo Regionale - manifestata con ingiustificati ritardi nella designazione di membri laici (ed inoltre con l’assegnazione di sedi disagiate, e decisamente non consone all’importanza dell’organo) -, la disinvoltura con la quale taluno dei membri laici aveva interpretato il regime delle incompatibilità, una incomprensione da parte della Corte Costituzionale, una sorprendente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in ordine alle pronunzie emesse con la partecipazione di membri laici in regime di prorogatio. Incominciamo da quest’ultima. L’art. 3 D. Lgs. n. 654 del 1948, al 2° comma, sost. dall’art. 2 D.P.R. n. 204 del 1978, nel sancire la non confermabilità dei membri designati dalla Regione una volta trascorso il previsto sessennio, prevedeva espressamente la prorogatio (“Essi, tuttavia, continuano a svolgere le loro funzioni fino all’insediamento dei rispettivi successori”). L’illegittimità costituzionale di tale disposizione era di tutta evidenza. Al Governo regionale veniva data la possibilità di lasciare in carica, a suo piacimento, i componenti laici il cui mandato fosse scaduto. (E’ accaduto frequentemente nel passato che componenti siano stati sostituiti dopo molti anni dalla scadenza del sessennio). Con buona pace della garanzia dell’indipendenza (artt. 100, 101 e 108 Cost.), in relazione alla quale era stata dichiarata costituzionalmente illegittima l’originaria previsione contenuta nel decreto del 1948, che espressamente contemplava la possibilità di riconferma, 25 Cfr. S. RAIMONDI, Il modello siciliano della giustizia amministrativa dell'esperienza del Foro, relazione al convegno su La giustizia amministrativa tra nuovo modello regionale e modello federale (Palermo, 30-31 ottobre 2000), i cui atti sono stati pubblicati nella collana Quaderni del Consiglio di Stato, Torino, Giappichelli, 2002, 133 ss., spec. 138-140. La relazione, senza il sommario, è stata dapprima pubblicata in Dir. proc. amm., 2001, 330 ss. 12 senza alcun limite, dei membri laici26. Al riguardo la Corte di Cassazione, con sentenza delle SS.UU. 11 luglio 2002, n. 10167, si è pronunziata nel senso che la "designazione" del successore deve intervenire prima della scadenza dei sei anni. Diversamente, il componente decaduto viene a trovarsi “in una situazione di mancanza di indipendenza”, con la conseguenza che il collegio deve ritenersi irregolarmente composto27. Un orientamento che suscita non poche perplessità, stante che dalla designazione da parte della Regione alla nomina può trascorrere molto tempo, ed inoltre il procedimento si può interrompere o si può concludere negativamente. Allorché tale sentenza è intervenuta, dei tre componenti laici in servizio del Consiglio in sede giurisdizionale (un posto era rimasto frattanto vacante a seguito della nomina di un componente avvocato a consigliere di cassazione), due avevano già maturato il sessennio, ed il terzo da tempo non partecipava ai lavori del Consiglio a causa di infermità, con la conseguenza che tutti i giudizi di merito venivano rinviati a data da destinare per evitare che fossero emesse decisioni viziate. Venivano decise soltanto le istanze cautelari, pur con la partecipazione di membri decaduti. Ancora prima di tale pronunzia delle SS.UU., proprio a causa della coincidenza della predetta infermità di un componente con la dichiarata incompatibilità, cui conseguiva l'astensione, in alcuni giudizi, anche di due dei componenti laici, con provvedimenti presidenziali, adottati in sede di decisione su istanze di cautela provvisoria (art. 3 L. 205 del 2000), era stata sollevata la questione di costituzionalità dell’art. 2, 6° comma, D. Lgs. n. 654 del 1948, nel testo sostituito dall’art. 2 D.P.R. n. 204 del 1978 “nella parte in cui non prevede che, in caso di impossibilità di comporre il Collegio ... (in ipotesi di astensione o altri impedimenti dei membri regionali) sia possibile 26 Corte cost. 22 gennaio 1976, n. 25, cit. Alla stregua di tale orientamento la Corte di cassazione a Sezioni unite, con sentenze n. 14089 e 14092 del 27 giugno 2004 ha cassato due rispettive decisioni del C.G.A. emesse con la partecipazione di un componente laico il cui sessennio, alla data della decisione (21 novembre 2002), era scaduto da circa sei mesi (16 maggio 2002) senza che frattanto fosse intervenuta la designazione del suo successore (disposta dalla Giunta Regionale soltanto con delibera n. 114 del 2 aprile 2003). 27 13 sostituirli con esperti della sezione consultiva nominati dalla Regione in possesso dei requisiti richiesti per la nomina dei giuristi della sezione giurisdizionale”. Ma la Corte, con ordinanza n. 261 del 2002, ha ritenuto che “le difficoltà denunciate dal rimettente nella formazione di collegi giudicanti” costituissero “inconvenienti di mero fatto, che in quanto tali non possono assumere rilievo nel giudizio di legittimità costituzionale”, ed ha pertanto dichiarato la questione manifestamente infondata28. Frattanto, all’inizio dell’anno 2002, venivano presentati degli esposti al Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, riguardanti comportamenti asseritamene poco virtuosi di componenti laici del Consiglio in sede giurisdizionale. Al riguardo è da tenere presente che, giusta l'art. 2, 5° comma, D. Lgs. n. 654 del 1948, ai componenti laici del Consiglio in sede giurisdizionale, come si è rammentato, veniva "interdetto, per la durata della carica, l'esercizio della professione innanzi alla giurisdizione amministrativa". La disposizione è stata costantemente interpretata nel senso che, per contro, i predetti componenti potevano esercitare la professione forense innanzi alle altre giurisdizioni29. E potevano erogare prestazioni extragiudiziarie sotto forma di consulenze e di pareri. Nel periodo al quale si fa riferimento taluno dei componenti risultava essere consulente di sindaci di comuni siciliani (e si giustificava sostenendo non solo che il divieto avrebbe riguardato soltanto la difesa nei giudizi amministrativi e non l’attività stragiudiziale, ma anche che il comune parte nei giudizi è soggetto diverso dal sindaco, sicché la consulenza svolta in favore di questo non sarebbe stata incompatibile). Donde la reazione di alcuni patrocinatori, i quali avevano chiesto al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa di non nominare come relatori per giudizi in materia di appalti, o comunque di rilevante valore, e/o concernenti alcuni enti pubblici, componenti laici, ed in alcuni casi avevano presentato istanze di ricusazione 28 Corte cost. 20 giugno 2002, n. 261, in Giur. cost. 2002, 1913. E’ accaduto talvolta che componenti laici del C.G.A. in sede consultiva abbiano svolto attività difensiva innanzi al TAR Sicilia ed in qualche sporadico caso pure dinanzi allo stesso C.G.A. in sede giurisdizionale. Cfr. S. AGRIFOGLIO, Una questione di modernariato: il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana (con uno sguardo alla sezione siciliana della Corte dei conti), in Dir. proc. amm., 1991, 156 ss., spec. 170-1. 29 14 allo stesso Consiglio di giustizia amministrativa (dallo stesso respinte). Infine avevano presentato degli esposti al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il quale, con delibera del 21 febbraio 2002, si era pronunziato nel senso della sussistenza, anche per i componenti non togati, del divieto di prestare consulenza a favore di enti locali. Ed aveva affermato la propria legittimazione ad esercitare le proprie attribuzioni anche nei confronti dei componenti laici. La delibera veniva trasmessa dal Presidente del C.G.A. a tutti i componenti (togati e laici). Ma alcuni componenti laici, in relazione al primo punto, la contestavano, richiamandosi alla lettera della norma (art. 2, lett. b) D. lgs. n. 654 del 1948) secondo la quale “è interdetto per la durata della carica della professione innanzi alle giurisdizioni amministrative”. Trattandosi di norma eccezionale, secondo gli autori della nota, ulteriori incompatibilità potevano essere introdotte soltanto con una espressa disposizione di legge, e non già con una delibera del Consiglio di presidenza. Poco dopo la Presidenza del Consiglio dei Ministri richiedeva al Consiglio di Stato un parere sulla legittimazione del Consiglio di Presidenza ad esercitare le proprie competenze istituzionali nei confronti dei componenti laici del C.G.A., e sui limiti posti dalla disciplina all’epoca vigente allo svolgimento di attività extraistituzionale da parte degli stessi. Il Consiglio si pronunziava con parere dell’Adunanza Generale n. 1/2003 del 27 febbraio 200330. In relazione al primo quesito non esitava ad affermare la competenza dell’organo di autogoverno in relazione al Consiglio di Giustizia, e quindi anche ai membri laici dello stesso. All’uopo traendo argomento in primo luogo dall’art. 7 del D. Lgs. n. 654 del 1948, contenente un generale rinvio, per il funzionamento del Consiglio di Giustizia Amministrativa (sia in sede consultiva che in sede giurisdizionale) alle disposizioni vigenti per il Consiglio di Stato, in quanto applicabili. In secondo luogo dai principi di imparzialità, indipendenza, e buon funzionamento dell’esercizio delle funzioni, sia consultive che giurisdizionali, ricavabili dagli artt. 100, comma 2, e 108, comma 2, della Costituzione. In relazione al secondo quesito, riguardante i limiti per lo svolgimento di 30 in Cons. Stato, 2003, I, 1801. 15 attività extra istituzionale dei componenti laici, nel parere si nega che la disciplina fosse da interpretare nel senso della interdizione, per i “giuristi”, soltanto dell’esercizio della professione innanzi alle giurisdizioni amministrative. Si legge al riguardo nel parere che la disposizione di cui all’art. 2, 4° comma, D. lgs. n. 654 del 1948, non doveva essere considerata come disciplinante compiutamente la materia delle c.d. incompatibilità, rinviata, non diversamente da altri aspetti dello stato giuridico, alla disciplina relativa ai componenti del Consiglio di Stato (art. 7 citato), ma soltanto come impositiva di “un divieto assoluto immediatamente richiamato dalla qualificazione attitudinale propria dei “giuristi” considerati nel comma precedente”. In ogni caso, prosegue il parere, la legislazione sopravvenuta in attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e di indipendenza dei magistrati ha posto per gli stessi (ed in generale per tutti i funzionari) limiti all’assunzione di incarichi estranei ai compiti istituzionali, affermando il principio generale della necessità della previsione normativa e dell’autorizzazione e, per i magistrati in particolare, della regolamentazione della materia ovvero, in difetto, della possibilità di assumere incarichi “nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative”” (arg. ex Corte Cost. n. 224 del 1999 ed art. 53 D. Lgs. n. 165 del 2001). Il carattere generale della disposizione, si aggiunge, riferita a tutti i pubblici dipendenti, non consente di per sé di escludere che ne siano destinatari anche i magistrati onorari ai quali deve ritenersi applicabile la disciplina di cui al D.P.R. n. 418 del 1993, trasfusa nel D.Lgs. n. 165 del 2001, sugli incarichi dei magistrati amministrativi, intesa, non diversamente dagli artt. 51 e 52 cod. proc. civ., “a concretizzare quella auspicabile e doverosa situazione di terzietà e di imparzialità di recente ribadita nel nuovo testo dell’art. 111 comma 2 Cost. e da lungo tempo ritenuta coessenziale dal nostro ordinamento, non soltanto processuale”. Ad ulteriore suffragio di tali argomentazioni, veniva rilevato nel parere che lo stesso D.P.R. n. 418 del 1993, nel riferirsi, all’art. 5, agli incarichi la cui designazione spetti, tra gli altri, al Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa, “conferma che i magistrati che quest’ultimo compongono sono da includere nei destinatari della disciplina”. 16 Dopo avere risolto nel modo sopra sintetizzato le due questioni delle quali era stata investita, l’Adunanza Generale coglieva “l’occasione per rappresentare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l’opportunità di procedere ad una “rivisitazione” delle norme di attuazione dello Statuto siciliano di cui al decreto legislativo n. 654/1948". Il parere prefigurava al riguardo in primo luogo l'ipotesi della istituzione delle sezioni del Consiglio di Stato. Non chiaramente espressa, ma ricavabile dal riferimento alle prospettazioni, provenienti da più parti, di “questioni di legittimità costituzionale concernenti la composizione del C.G.A. e, in particolare, la presenza nello stesso dei componenti laici”. Si rammenta in proposito che "l’art. 23 dello Statuto siciliano non prevede (e ciò a differenza dell’art. 78 bis dello Statuto del Trentino Alto Adige) la presenza di magistrati laici./ Il citato art. 23 si limita infatti a prevedere che in Sicilia sia presente una sezione del Consiglio di Stato”. Non si manca poi, seppure con cautela, di abbozzare un ulteriore profilo di incostituzionalità per contrasto con l’art. 117 Cost.: “Di conseguenza è stata ventilata l’ipotesi che la norma di attuazione di cui all’art. 2 del decreto legislativo 654/1948, non trovando riscontro nello Statuto della Regione Siciliana, venga a trovarsi attualmente in contrasto con la previsione dell’art. 117, 2° comma, lettera l), che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia della giurisdizione amministrativa”. Si legge ancora nel parere che, sotto altro profilo, era stato più volte denunziato “come la norma di cui al citato art. 2 non garantisca sufficientemente la terzietà e l’indipendenza dei magistrati laici e ciò in contrasto con i tradizionali principi costituzionali in materia, principi rafforzati dal riferimento al giusto processo di cui al nuovo testo dell’art. 111, 2° comma, della Costituzione”. Si specifica al riguardo che erano stati “segnalati casi in cui i magistrati laici…prestano consulenza a favore di pubbliche amministrazioni e, per lo più, a favore di enti locali aventi sede nell’isola”, ed era stato osservato, si aggiunge, come “il contemporaneo esercizio della professione di avvocato (non importa se a favore di enti pubblici o privati) comporti per il magistrato laico un radicamento nel contesto territoriale in cui svolge il suo ministero, tale da comprometterne sia l’apparenza che la sostanza 17 di indipendenza”. Donde l’ipotesi, che pure veniva prospettata, di una modifica della disciplina relativa ai laici con la previsione che essi, ove non se ne “voglia sancire la definitiva, e non più temporanea, acquisizione dello status di magistrato”, “debbano cancellarsi dagli albi professionali cui fossero eventualmente iscritti”. L’adunanza generale non si pronunziava nettamente a favore della soluzione costituita dalla piena applicazione dell’art. 23 dello Statuto, vale a dire dell’istituzione delle vere e proprie sezioni del Consiglio di Stato, oppure a favore della permanenza dei laici ma nell’ambito di una nuova disciplina del regime di incompatibilità con le attività extra istituzionali. Bisogna riconoscere che sarebbe stato un fuor d’opera, in quella sede, prendere posizione in un senso o nell’altro stante che una siffatta pronunzia sarebbe andata ben oltre i limiti dell’oggetto del parere, contrassegnato dai quesiti posti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non va dimenticato al riguardo che, come si è accennato, l’ultima parte del parere, contenente l’auspicio della “rivisitazione” della disciplina era stata introdotta del tutto incidentalmente (“Ciò premesso, l’Adunanza Generale, ad integrazione del parere, coglie l’occasione per rappresentare ...”). Ma risulta evidente, sebbene implicita e sfumata, la denunzia di incostituzionalità della disciplina del 1948, come risulta altrettanto evidente che la ricetta indicata in via principale, in quanto esattamente ritenuta l’unica pienamente conforme, non solo all’art. 23 dello Statuto, ma anche all’art. 117 Cost., è quella della istituzione delle sezioni del Consiglio di Stato, composte, non diversamente dalle sezioni “centrali”, soltanto da magistrati togati. Mentre risulta indicata come soluzione subordinata quella della modifica della disciplina relativa alla partecipazione dei laici. Il parere dell’Adunanza Generale comunque aveva avuto l’effetto di scoperchiare la pentola nella quale bolliva, a seguito degli eventi cui si è fatto riferimento, il pasticcio del Consiglio di Giustizia Amministrativa. 3. – La questione di costituzionalità delle disposizioni sulla composizione del Consiglio di giustizia amministrativa contenute nell’art. 2 D.Lgs. n. 654 del 1948. Era auspicabile che della questione fosse finalmente investita la Corte 18 Costituzionale. Ma, alla luce di un seppur remoto precedente di circa trent’anni prima, l’auspicio appariva di difficile realizzazione. Era stata sollevata in giudizio, innanzi allo stesso Consiglio di giustizia amministrativa, la questione di costituzionalità della composizione mista in sede giurisdizionale (art. 2, 3° comma, lett. b) del D. lgs. n. 654 del 1948). Nella discussione orale il ricorrente aveva dichiarato di non insistere sulla questione. Il Consiglio però si dava carico di precisare che riteneva di non poterla sollevare d’ufficio “per l’evidente incompatibilità di due componenti del collegio che, avendo un interesse personale e diretto alla decisione di una questione che investe la legittimità della loro nomina a membri del Consiglio di giustizia amministrativa, dovrebbero astenersi dal prendervi parte; nonché per la giuridica impossibilità di comporre diversamente il collegio giudicante, che, per il tassativo disposto dell’art. 2, D.L. n. 654 del 1948, dev’essere in ogni caso formato da 3 magistrati del Consiglio di Stato e da n. 2 (dei quattro) “giuristi” nominati su designazione della Giunta regionale”31. Andando in contrario avviso, il Consiglio, in sede giurisdizionale, con ordinanza del 13 maggio 2003, n. 18532 (seguita poco dopo da altre ordinanze di analogo contenuto), ed in sede consultiva con parere delle Sezioni Riunite n. 448/2001 di pari data, emesso in sede di ricorso straordinario, sollevava la questione di costituzionalità del decreto istitutivo del 1948, sotto innumerevoli profili, aventi di mira in concreto la composizione mista. L’ordinanza (relatore lo stesso presidente dell’organo, avv. Riccardo Virgilio) è dotata di una ampia ed approfondita motivazione, che si apre con la puntuale ricostruzione delle vicende che portarono all’approvazione del D.lgs. n. 654 del 1948, recante “Norme per l'esercizio nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato”, senza che fosse intervenuta la commissione paritetica alla quale l’art. 43 dello Statuto demanda di “determinare” le norme di attuazione dello Statuto. In relazione a tale aspetto il Consiglio sollevata la questione di legittimità costituzionale del D.lgs.lgt. n. 98 del 1946, o in subordine del D.lgs.lgt. n. 151 del 1944, decreti in virtù dei quali il governo aveva approvato il D.lgs. n. 654 31 32 C.G.A., 14 novembre 1974, n. 443, in Giur. it., 1976, parte III, sez. I, 116. in Foro amm. C.d.S., 2003, 2348. 19 del 194833, il primo per indeterminatezza della delega, il secondo per eccesso di delega, ed entrambi per contrasto con l’art. 43 St. sic. stante la detta pretermissione nel procedimento della commissione paritetica sebbene essa fosse stata nominata con D.C.P.S. 9 ottobre 1946. Con la conseguente contestazione della legittimità costituzionale dell’intero decreto istitutivo del C.G.A.. La violazione dell’art. 43 St. sic. veniva dedotta anche direttamente come vizio del D.lgs. n. 654 del 1948. La maggior parte dei profili di incostituzionalità dedotti erano riconducibili alla difformità del decreto rispetto alle previsioni dell’art. 23 dello Statuto, facente chiaro riferimento a sezioni del Consiglio di Stato. Al riguardo l’ordinanza si diffonde sulla natura delle norme di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale in relazione alle quali compie un’accurata analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale, soffermandosi in particolare sulla distinzione tra norme contra statutum e norme preater statutum, alla cui stregua perviene alla conclusione che le norme di cui al D.lgs. n. 654 del 1948 sulla composizione dell’organo giurisdizionale amministrativo sono “di segno contrario rispetto alla previsioni statutarie e comunque non in aderenza con la lettera e con lo spirito delle previsioni statutarie stesse”. La composizione mista viene ritenuta in contrasto anche con l’art. 108 Cost., che sancisce (1° comma) la riserva di legge statale sull’amministrazione della giustizia, ed in particolare sulla nomina di magistrati laici. Si deduce in 33 In relazione ai decreti legislativi emessi, in base ai citati decreti n. 151 del 1944 e n. 98 del 1946, dopo il 1° gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione, una parte della dottrina aveva sollevato il problema della loro costituzionalità sotto il profilo dell’incompatibilità dell’esercizio del potere legislativo conferito al governo con l’art. 76 cost. Cfr. C. MORTATI, L’ordinamento della funzione legislativa fra l’entrata in vigore della Costituzione e la convocazione del nuovo Parlamento, in Giur. it., 1948, IV, 209; A. TESAURO – G. GUARINO, Incostituzionalità dei decreti legge posteriori al 1° gennaio 1948?, in Rass. Dir. pubbl. 1948, 123. Con specifico, ma non esclusivo, riferimento al D.lgs. n. 654 del 1948, T. MARTINES, Ancora sulla costituzionalità dei decreti legislativi emessi dopo il 1° gennaio 1948; in particolare esame della costituzionalità del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, in Foro padano, 1956, parte IV, 19 ss. (nota a Cass. SS.UU. 11 ottobre 1955, n. 2994, sentenza sulla quale ci si soffermerà più avanti); F. TERESI, In tema di appello delle decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa e di costituzionalità del d.l..vo 6 maggio 1948, n. 654, in Giur. sic, 1961, 658. La giurisprudenza ritenne pacificamente che l’art. 3 del decreto n. 98 del 1946, secondo il quale il Governo poteva esercitare il potere legislativo “fino alla convocazione del Parlamento a norma della nuova Costituzione”, fosse da interpretare nel senso che la competenza legislativa del governo potesse essere esercitata sino alla prima riunione delle Camere convocata per l’8 maggio 1948. (Il D.lgs. n. 654 era stato emesso in data 6 maggio 1948, appena due giorni prima della seduta del Parlamento). 20 proposito che “la norma di attuazione dello statuto siciliano ha previsto un istituto eccezionale, quale la possibilità di nomina di magistrati laici al di fuori di qualsiasi previsione statutaria, in una materia costituzionalmente riservata alla disciplina statale e pertanto derogabile solo per espressa previsione di norma equiordinata e cioè di rango costituzionale”, natura questa non riconosciuta alle norme di attuazione degli statuti speciali. Altro contrasto il rimettente individua in relazione all’art. 102, 1° e 2° comma Cost. (divieto di istituzione di giudici speciali), sotto il profilo che anche qualificando il Consiglio come sezione specializzata, la costituzione di sezioni specializzate è contemplata soltanto in relazione al giudice ordinario, e deve essere prevista da una legge statale. La riserva di legge statale può essere derogata solo da una norma espressa di pari rilevanza costituzionale. Ma in nessun comma dell’art. 23 St. sic. si rinviene una tale deroga. L’ordinanza affronta quindi il tema dell’imparzialità, vista, alla stregua della giurisprudenza costituzionale, come indipendenza del giudice dagli interessi presenti in giudizio, nonché estraneità ed indifferenza rispetto agli interessi in causa. Il rimettente individua una violazione di tale principio, con riferimento agli artt. 108, 2° comma, e 111, 2° comma, nella limitazione dell'incompatibilità dei componenti laici con l'esercizio della professione soltanto in relazione alle giurisdizioni amministrative, e nella mancanza di garanzia di indipendenza giuridica ed economica. L'ultimo profilo attiene alla proroga ex lege e sine die della permanenza in carica dei componenti laici dopo la scadenza del sessennio espressamente prevista dall’art. 2 d.P.R. n. 204 del 1978. A seguito della rimessione alla Corte, mentre venivano decise le istanze cautelari, con pronunzie “allo stato”, alla stregua del pacifico orientamento della Corte Costituzionale (tra le tante, Corte Cost. n. 4 del 2000), relativamente ai giudizi di merito, i difensori delle parti, di fronte alla prospettiva della sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., chiedevano ed ottenevano dal Collegio rinvii a data da destinare. 4. - Il maquillage effettuato con D.lgs. n. 373 del 2003. La situazione che si era in tal modo determinata non poteva non suscitare 21 vive preoccupazioni da parte del Foro. Con un documento approvato dall’assemblea dei soci in data 26 giugno 2003, e trasmesso alle più alte cariche dello Stato, la Società italiana degli avvocati amministrativisti, Sezione regionale per la Sicilia, chiedeva che fosse “finalmente istituita per la Sicilia, come prevede l’art. 23 dello Statuto, una vera e propria sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato quale giudice di appello delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia”. Al contempo l’Associazione si premurava di segnalare l’urgenza di un intervento normativo al Ministro per gli affari regionali e al Presidente della Commissione paritetica Stato-Regione Siciliana, prevista dall’art. 43 dello Statuto. Questa rapidamente predisponeva una proposta di nuovo decreto, che veniva deliberata “in via di massima” nella seduta del 2 luglio 2003, e trasmessa nello stesso giorno alle amministrazioni interessate. Acquisiti i pareri degli uffici legislativi dei Ministeri dell’interno, dell’economia e delle finanze, del Dipartimento della funzione pubblica, nonché della Presidenza della Regione, la Commissione paritetica, nella seduta del 28 luglio 2003, approvava un nuovo schema (“ai fini dell’acquisizione del parere del Consiglio di Stato”) che accoglieva in parte i suggerimenti che le erano pervenuti da alcuni dei Ministeri predetti, mentre relativamente ad altri suggerimenti si riservava di eventualmente accoglierli in sede di definitiva adozione della delibera finale di cui all’art. 43 St. sic. ove la maggioranza si fosse in tal senso determinata. La proposta non recepiva l’auspicio della classe forense che fosse istituita, quanto meno per le funzioni giurisdizionali, una vera e propria sezione del Consiglio di Stato, soluzione che verosimilmente sarebbe stata accettata dal governo nazionale, ma che veniva tenacemente avversata dal Presidente della Regione. Adottava invece una soluzione costituita da un maquillage. Veniva lasciata la composizione mista, togati e laici designati dalla Regione, con la stessa proporzione nell’ambito del collegio giudicante (Presidente di sezione, due consiglieri di Stato e due designati dalla Regione). Ma veniva prevista una disciplina più rigorosa riguardo ai requisiti dei componenti laici, ed al regime dell’incompatibilità. Per quanto concerne i requisiti, essi venivano individuati attraverso un richiamo all’art. 106, 3° 22 comma, Cost., sulla nomina a consiglieri di cassazione (professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, designati dal Consiglio superiore della magistratura per “meriti insigni”34). Per quanto concerne il regime delle incompatibilità con le attività extraistituzionali, la bozza prevedeva l’assoggettamento allo stato giuridico dei magistrati del Consiglio di Stato. Analogo assoggettamento veniva previsto per quanto concerne il regime disciplinare. Lo schema veniva trasmesso dalla Presidenza del Consiglio del Ministri, Dipartimento per gli affari regionali, al Consiglio di Stato, il quale, con parere dell’Adunanza generale 2 ottobre 2003, n. 4/200335 (preceduto dal “preavviso” della sezione normativa), si esprimeva favorevolmente sollevando però numerosi rilievi, alla cui stregua la Commissione paritetica, nella seduta del 28 ottobre 2003, approvava lo schema emendato, che, a conclusione del prescritto procedimento, veniva approvato con D. lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14 gennaio 2004, ed entrato in vigore in data 29 gennaio 200436. Il Consiglio, nella novella (art. 1, 2° comma) risulta chiaramente “composto da due sezioni, con funzioni, rispettivamente consultive e giurisdizionali” (mentre secondo l’art. 1 D. Lgs. n. 654 del 1948, “il Consiglio esercita le funzioni consultive e giurisdizionali spettanti alle sezioni regionali del Consiglio di Stato …”). L’organo è presieduto da un presidente di sezione dal Consiglio di Stato. Gli sono destinati altri due presidenti di sezione, di cui uno, con funzioni di presidente aggiunto, preposto alla sezione consultiva, e l’altro assegnato alla 34 Con legge 5 agosto 1998, n. 303 sono state dettate disposizioni sulla “Nomina di professori universitari e di avvocati all’ufficio di consigliere di cassazione, in attuazione dell’articolo 106, terzo comma, della Costituzione” (così la rubrica della legge). L’art. 2, 2° comma, stabilisce che “la designazione deve cadere su persona che, per particolari meriti scientifici o per la ricchezza dell’esperienza professionale, possa apportare alla giurisdizione di legittimità un contributo di elevata qualificazione professionale. A tal fine, costituiscono parametri di valutazione gli atti processuali, le pubblicazioni, le relazioni svolte in occasione della partecipazione a convegni”. 35 In Cons. Stato, 2003, I, 2377, con nota di B. DELFINO, Il nuovo Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, ivi, 2004, II, 301. 36 Per brevi commenti, A. CARRUBA, Estesi ai membri laici-professionisti del C.G.A. lo status e le incompatibilità dei magistrati, op. loco cit.; V. BERLINGO’, Sulle norme per l’esercizio nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato, op. loco cit. 23 sezione giurisdizionale (art. 2, 1° comma). Per entrambe le sezioni è conservata la composizione mista. Scompare però la distinzione tra “giuristi” ed “esperti”. Sia per la sezione consultiva (all’art. 3, 1° comma, lett. d) che per la sezione giurisdizionale (all’art. 4, 1° comma, lett. d), si prevedono, oltre ai togati, rispettivamente cinque e quattro “componenti in possesso dei requisiti di cui all’articolo 106, 3° comma, della Costituzione per la nomina a Consigliere di Cassazione, ovvero di cui all’articolo 19, 1° comma, n. 2 della legge 27 aprile 1982, n. 186”. Quest’ultimo riferimento, che contempla oltre che le figure di cui all’art. 106 cost., anche dirigenti generali o equiparati dei Ministeri, degli organi costituzionali e delle altre amministrazioni pubbliche – compresa quindi la stessa Regione siciliana -, nonché magistrati con qualifica non inferiore a quella di magistrati di Corte d’appello o equiparata, era stato suggerito nel parere dell’Adunanza Generale 2 ottobre 2003, n. 4/200337. I predetti componenti sono designati dal Presidente della Regione. Per la sezione consultiva è confermata la partecipazione di un Prefetto, designato dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per gli affari regionali. Il collegio giudicante della sezione giurisdizionale è composto da uno dei due presidenti di sezione, da due consiglieri di Stato e da due dei quattro componenti laici designati dal Presidente della Regione (art. 4, 2° comma). Relativamente alla sezione consultiva per la validità delle deliberazioni occorre il voto di non meno di quattro membri della sezione, tra cui almeno un magistrato del Consiglio di Stato (art. 3, 2° comma). Per tutti i componenti laici il decreto prevede l’applicazione delle “norme concernenti lo stato giuridico e il regime disciplinare dei magistrati del Consiglio di Stato”, vale a dire che per il periodo della durata in carica è totalmente precluso ai componenti laici che siano avvocati l’esercizio della professione. Ed anzi essi si devono cancellare dall'albo. Inoltre per la nomina di tutti i componenti, e quindi anche dei laici, è previsto il parere del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (art. 6, 3° comma). I componenti 37 E’ da ricordare che, secondo il citato art. 19, 1° comma, n. 2, il parere del consiglio di presidenza che deve essere espresso ai fini della nomina dei Consiglieri di Stato deve contenere “valutazioni di piena idoneità all’esercizio delle funzioni di consigliere di Stato sulla base dell’attività e degli studi giuridico-amministrativi compiuti e delle doti attitudinali e di carattere”. 24 designati dal Presidente della Regione ed il Prefetto durano in carica per sei anni e non possono essere confermati (art. 6, 4° comma). Allo scadere del sessennio cessano dalla carica e dall’esercizio delle funzioni (art. 6, 5° comma). In correlazione con tali innovazioni, all’art. 15 veniva previsto che i giuristi e gli esperti componenti del C.G.A. alla data di entrata in vigore del decreto, restavano in carica fino alla scadenza del sessennio, ma a condizione che entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso attestassero con autodichiarazione “l’insussistenza o l’intervenuta cessazione di condizioni di incompatibilità previste per l’ufficio di Consigliere di Stato”. Si legge all’art. 1, 2° comma, che le due sezioni del C.G.A. “costituiscono Sezioni staccate del Consiglio di Stato”. L’affermazione non appare convincente. Invero il C.G.A., come già secondo il decreto del 1948, si presenta all’evidenza alla stregua di un organo a se stante, seppure collegato con il Consiglio di Stato38. Quanto si assume è suffragato da diversi elementi: il Consiglio ha un suo presidente, oltre ad altri due presidenti di sezione, assegnati uno alla sezione consultiva, con funzioni di presidente aggiunto, ed uno alla sezione giurisdizionale; i magistrati del Consiglio di Stato assegnati al Consiglio sono collocati fuori ruolo39; sia della sezione giurisdizionale che di quella consultiva fanno parte membri non togati. 5. – La questione di costituzionalità delle disposizioni sulla composizione 38 In tal senso esattamente F.G. SCOCA, Specialità e anomalie del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, cit, 20-21. In relazione alla disciplina precedente, dettata dal D.Lgs. n. 654 del 1948, nega che il C.G.A. abbia natura di sezione del Consiglio di Stato, P. VIRGA, La giustizia amministrativa in Sicilia, relazione al Convegno avente lo stesso titolo, Giuffré, Milano, 1988, 30, il quale ricorda il seguente inciso contenuto nella sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976: “l’art. 23 dello Statuto della Regione siciliana prevedeva l’istituzione in Sicilia di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato ed è innegabile che con il D.Lgt. n. 654 del 1948 è stato invece istituito un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una propria particolare fisionomia e struttura”. Nello stesso senso. R. CHIEPPA, Problemi relativi all’ordinamento del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, relazione al medesimo convegno, 83. 39 Nota al riguardo F.G. SCOCA, op. cit., 22, che i magistrati del Consiglio di Stato assegnati al Consiglio “esercitano le loro funzioni fuori dell’Istituto al quale appartengono”, “non partecipano in via ordinaria all’adunanza generale, né possono essere scelti per la partecipazione, sempre in via ordinaria, all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato”. L’autore precisa che due “magistrati” del C.G.A. partecipano all’adunanza generale nei casi previsti dall’art. 9 d.lgs. n. 373 del 2003, e due “magistrati” della sezione giurisdizionale del C.G.A. partecipano all’adunanza plenaria nei casi previsti dall’art. 10 d.lgs. n. 373 del 2003. 25 del Consiglio contenute nel D.lgs. n. 373 del 2003. La rinnovata disciplina faceva venire meno soltanto alcune, peraltro le meno rilevanti, questioni di costituzionalità sollevate dal Consiglio in relazione al D. Lgs. n. 654 del 1948, come modificato con D.P.R. n. 204 del 1978, con ordinanza n. 185 del 13 maggio 2003, e con ordinanze successive. Infatti rimaneva ferma la composizione mista. Sotto tale profilo le nuove disposizioni si presentavano affette delle medesime ragioni di incostituzionalità che erano state poste a base delle precedenti ordinanze del Consiglio. Come era prevedibile, alcune parti sollevavano la questione di costituzionalità della nuova disciplina. Con decreto n. 77 del 13 febbraio 200440, del Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa, adito in sede di tutela cautelare provvisoria, veniva sollevata la questione di costituzionalità dell’art. 4, 1° comma, lett. d), concernente i componenti laici della sezione giurisdizionale e delle correlate disposizioni contenute nell’art. 4, 2° comma, nell’art. 6 e nell’art. 15, in rapporto all’art. 23 dello Statuto Siciliano, ed agli articoli 102, 1° comma, e 108 Cost., nonché in relazione all’art. 117, 2° comma, lett. l) della Costituzione, sotto profili che si possono così compendiare: l’art. 23 St. Sic. non prevede alcuna deroga alla composizione ordinaria delle sezioni del Consiglio di Stato da localizzare in Sicilia, sicché non consente né una sezione specializzata del giudice speciale e nemmeno una composizione collegiale diversa da quella ordinaria; gli art. 102, 1° comma e 108, 2 ° comma, Cost. disciplinano materie riservate dalla Costituzione alla legge statale, per cui eventuali deroghe a favore dell’autonomia regionale devono essere supportate da una espressa previsione di pari rango costituzionale; l’ingiustificata differenziazione dell’organo giudicante, e quindi anche dell’esercizio della giurisdizione su una parte del territorio nazionale, contrasta con gli artt. 3, 24, 1° comma, 113, 1° comma, Cost.; la composizione mista contrasta altresì con l’art. 117, 2° comma, lett. l) della Costituzione, il quale riserva alla legge statale la materia della giurisdizione amministrativa. 40 In Foro amm. C.d.S., 2004, 497, con nota di A. CORSARO, Consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana: note al decreto n. 77 del 2004 che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del d.lg. n. 373 del 2003. 26 Facevano seguito un altro provvedimento monocratico del 26 febbraio 2004, ed alcune ordinanze collegiali di analogo contenuto, nn. 50, 51, 52, 56, 85 adottate nella camera di consiglio del 9 – 10 marzo 2004 e depositate in data 1 aprile 2004. 6. – La sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2004. La Corte Costituzionale si pronunziava con sentenza n. 316 del 2004, con la quale, mentre con riguardo al D.lgs. n. 654 del 1948 veniva disposta le restituzione degli atti al giudice rimettente al fine della valutazione della permanenza o meno della rilevanza, e veniva dichiarata l’inammissibilità delle questioni sollevate con provvedimento monocratico del Presidente, le questioni di legittimità costituzionale sollevate con ordinanze collegiali in ordine al D.lgs. 373 del 2003 venivano dichiarate non fondate. La motivazione della sentenza si può così compendiare. A) L’art. 23 dello Statuto siciliano sarebbe stato concepito “in termini generici ed atecnici”, tali da consentire alla normativa di attuazione di adottare “moduli organizzativi e funzionali”, i quali “specificassero ed eventualmente integrassero i principi enunciati”. Più avanti si ribadisce lo stesso concetto con altri termini: la “peculiare struttura e composizione” del C.G.A. dettata dal decreto n. 373 “appaiono pienamente giustificate, stante la chiarezza del principio espresso nell’art. 23 ma anche l’assenza di soluzioni organizzative prestabilite”. La specialità del modello prefigurato pertanto non sarebbe contra statutum. Si aggiunge che l’approvazione dello Statuto precedentemente all’approvazione della Costituzione ed il suo mancato coordinamento con questa ha comportato “formulazioni ambigue, o anche omissioni – come quelle in tema di forme di intesa tra Stato e Regione nella nomina dei componenti “laici” del Consiglio di giustizia amministrativa…- da risolvere sulla base di una complessiva interpretazione dello statuto e della singolarità dell’autonomia siciliana”. B) La composizione mista avrebbe avuto “nel passato” uno scrutinio “favorevole” da parte della stessa Corte, la quale, nella sentenza n. 25 del 1976 avrebbe riconosciuto che, sebbene “l’art. 23 preveda semplicemente l’istituzione di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato e non di un 27 organo di giustizia amministrativa come quello disegnato dal D.P.R. n. 654 del 1948, tale organo esercitava le stesse funzioni delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato”. Ed avrebbe riconfermato la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2994 del 1955, con la quale erano state rigettate “le varie eccezioni di costituzionalità sollevate sul…decreto n. 654 del 1948”. C) Attraverso il D. Lgs. n. 373 del 2003, sarebbero state eliminate le precedenti anomalie, già segnalate dalla stessa Corte con la sentenza n. 25 del 1976, ed in particolare sarebbe stato “ripristinato l’originario modello statutario di decentramento, organizzato su due sezioni “staccate” del Consiglio di Stato, dando così “piena” attuazione al principio di specialità contenuto nell’art. 23". Attraverso la riforma del 2003, quindi, la disciplina avrebbe assunto “entro i contorni dello Statuto", i principi che “si possono definire i “contenuti storico-concreti” dell’autonomia regionale siciliana”. D) Significativamente lo Statuto speciale per il Trentino Alto Adige (ed il relativo decreto di attuazione 6 aprile 1984, n. 426) sarebbe “ispirato agli stessi principi di autonomia, riproducendo sostanzialmente, a distanza di anni, il modello organizzativo siciliano basato sulla presenza nell’organo di giustizia amministrativa, di membri “non togati” designati in sede locale”. E) Le scrutinate disposizioni del decreto n. 373 sulla composizione mista introdurrebbero un criterio organizzativo delle funzioni e degli uffici che “rispecchia i contenuti profondi, poiché storicamente radicati della concezione autonomistica siciliana in tema di organizzazione della giustizia amministrativa, che addirittura prevede l’attribuzione al Presidente della Regione della c.d. giustizia ritenuta per quanto concerne i ricorsi straordinari”. F) Gli artt. 4 e 6 del D.lgs. n. 373 del 2003 non violerebbero neppure la riserva di legge di cui all’art. 108 Cost., avendo rango primario in quanto norme di attuazione dello Statuto. Per tale loro natura i predetti articoli, “come fonti a competenza “riservata e separata” rispetto a quella esercitatile dalle ordinarie leggi della Repubblica” possono “introdurre una disciplina particolare ed innovativa”, purché rispettino il “limite della corrispondenza alle norme e alle finalità dello Statuto, nel contesto del principio di autonomia regionale”. Tale “condizione, nella specie, risulta puntualmente verificata”. G) Costituendo il D.lgs. n. 373 del 2003 “piena attuazione” rispetto 28 all’art. 23 dello Statuto, le cui norme sono di grado costituzionale, sarebbe da escludere il contrasto prospettato in via subordinata, sia con l’art. 102, secondo comma, relativo al divieto di istituire sezioni speciali, sia con la VI disposizione transitoria della Costituzione. Come si cercherà di dimostrare, le considerazioni sulle quali la pronunzia della Corte si fonda sono talmente inconsistenti da convincere del contrario di ciò che pretenderebbero di dimostrare. In altri termini, il contrasto delle disposizioni contenute nel D. Lgs. n. 373 del 2003 disciplinanti la composizione della sezione giurisdizionale del Consiglio di Giustizia, con l’articolo 23 dello Statuto Siciliano e con gli artt. 102, 1° comma, e 108, 2° comma, della Costituzione, rilevato nelle ordinanze di rimessione con ricchezza di argomentazioni, di fronte alla evidente impossibilità per la Corte di supportarne l’asserita infondatezza, risulta suffragato anziché smentito dalla sentenza41. 7. – La questione di costituzionalità sollevata in relazione ai principi del giusto processo davanti a giudice terzo e imparziale (art. 111 Cost.) L’ordinanza delle SS.UU. n. 19810 del 2008. La sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2004 ha lasciato aperta la questione (non sollevata nelle ordinanze di rimessione) della compatibilità della composizione mista del Consiglio con i principi del “giusto processo” “davanti a giudice terzo ed imparziale” sanciti dall’art. 111, 1° e 2° comma, cost. introdotti dalla L. cost. n. 2 del 1999. La questione veniva sollevata con ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione proposto avverso una decisione della sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa, emessa in relazione ad una richiesta di condanna al risarcimento dei danni nei confronti della Regione, assunta, ovviamente, da un collegio del quale facevano parte due componenti designati dalla parte resistente in giudizio. La Corte, con l’ordinanza del 18 luglio 2008, n. 19810, ha ritenuto la questione manifestamente infondata, assumendo innanzi tutto che sull’asserito 41 Per una critica sintetica alla sentenza, S. RAIMONDI, Il salvataggio del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, op. loco cit. 29 contrasto con l’art. 111 Cost. delle disposizioni disciplinanti la nomina dei componenti non togati del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, il giudice delle leggi si sarebbe già pronunziato negativamente. Aggiungono le Sezioni Unite che i requisiti previsti dall’art. 106 Cost. comma. 2, “che li qualifica come tali idonei alla designazione”, nonché il divieto di riconferma, garantirebbero l’imparzialità dei magistrati non togati mancando ogni potere della designante Regione di incidere sull'autonomia nell'esercizio delle loro funzioni. Nessuna di tali affermazioni, come si vedrà, può essere condivisa stante che nelle precedenti pronunzie della Corte costituzionale il profilo della terzietà ed imparzialità del giudice non è stato affrontato. Ed i requisiti previsti per la nomina attengono alle capacità professionali dei designati, ma non alla terzietà ed all’imparzialità, tanto più tenuto conto della temporaneità della nomina. 30 CAPO II L’effettiva portata dell’art. 23 dello Statuto siciliano e lagenesi della composizione mista. 1. – L’interpretazione dell’art. 23 St. sic. Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 316 del 2004, l’art. 23 dello Statuto è inequivoco. Prevede l’istituzione in Sicilia di “sezioni per gli affari concernenti la Regione, degli organi giurisdizionali centrali” (1° comma). E segnatamente stabilisce: “Le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti svolgeranno altresì le funzioni, rispettivamente consultive e di controllo amministrativo e contabile (2° comma)”. Non si vede cosa ci sia di atecnico e di generico in tali disposizioni. Quello che veniva demandato – originariamente - alla normativa di attuazione è soltanto l'individuazione degli “affari concernenti la Regione”, in altri termini l’ambito delle competenze delle sezioni territoriali del Consiglio di Stato. Questione definitivamente superata (come si ricorderà più diffusamente nel seguito del lavoro) con la sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1975, per effetto della quale il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia veniva ad avere la medesima competenza generale di primo grado degli altri Tribunali amministrativi regionali, e con la decisione del Cons. Stato, ad. plen. n. 21 del 1978, che riconosceva al C.G.A. la competenza di appello avverso tutte le sentenze del Tar Sicilia. Competenza codificata con l’art. 4, u.c. D.Lgs. n. 373 del 2003. Ma per quanto concerne la composizione, risulta chiaro che l’art. 23 ha previsto, né più né meno – come per la Corte di cassazione e per la Corte dei conti -, un decentramento territoriale: l’istituzione in Sicilia di una sezione consultiva e di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato. Ovviamente composte esattamente come sono composte le sezioni “centrali” dell’Istituto42. 42 Come è noto, le sezioni della Corte di cassazione in Sicilia non sono state istituite, mentre, per quanto concerne la Corte dei conti, con D.lgs. 6 maggio 1948, n. 655 (stesso giorno del decreto n. 654 istitutivo del C.G.A.) furono istituite una sezione di controllo ed una sezione giurisdizionale per la Sicilia composte come le sezioni “centrali” della Corte. A seguito della istituzione, con L. 14 gennaio 1994, n. 19, delle sezioni regionali in tutto il territorio nazionale, con D.lgs. 18 giugno 1999, n. 200, è stata istituita, per la Sicilia, una sezione di appello. 31 Spazio per la normativa di attuazione veniva lasciato anche per quanto concerne i profili organizzativi delle sezioni. Ma le “soluzioni organizzative” non “prestabilite” dallo Statuto, e lasciate quindi alla normativa di attuazione, sono soltanto quelle concernenti gli oneri finanziari, la sede, il personale di segreteria. Questioni d’intendenza. Mentre, per quanto concerne la composizione, nelle disposizioni statutarie non è possibile scorgere nessun elemento che avrebbe consentito in sede attuativa di prevedere, riguardo alle sezioni da istituire nell’isola, alcuna originalità rispetto alle sezioni centrali. L’assunto, che risulta evidente già sulla base dell’interpretazione letterale dell’art. 23, è significativamente confermato dalla differenza di formulazione che si riscontra con l’art. 24 dello stesso Statuto, disciplinante l’Alta Corte, i sei membri della quale (oltre il presidente ed il procuratore generale) dovevano essere “nominati in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione”. E’ evidente che laddove lo Statuto ha voluto una partecipazione della Regione in ordine alla composizione dell’organo lo ha detto espressamente. Una ulteriore conferma si ritrova nella disposizione contenuta nel terzo comma dello stesso art. 23, il quale stabilisce che “I magistrati della Corte dei conti sono nominati di accordo dei Governi dello Stato e della Regione”. E’ agevole osservare in primo luogo che la previsione è chiaramente limitata alle sole sezioni della Corte dei conti, con espressa implicita esclusione delle sezioni del Consiglio di Stato, ed in secondo luogo che, pure per la Corte dei conti, quello che si prevede è soltanto un assenso della Regione sulle nomine, e non già la designazione di alcuni componenti43. 43 La disposizione di cui al terzo comma, che non era presente in nessuno dei diversi progetti di statuto che furono presentati alla Commissione, e neppure nel progetto da questa elaborato e presentato alla Consulta, venne inserita nella seduta della Consulta del 22 dicembre 1945 su proposta del presidente della Commissione, Giovanni Salemi, sulla base di considerazioni concernenti esclusivamente le funzioni di controllo: “Ora è difficile combinare questi organi che rappresentano lo Stato e la Regione; per questo io proporrei il seguente terzo comma per l’articolo 21: “I magistrati della Corte dei conti sono nominati d’accordo dai Governi dello Stato e della Regione”. Così sono garantiti i due Enti, dato che questo controllo è molto delicato e deve svolgersi nell’interesse dell’uno e dell’altro Ente: la garanzia si avrebbe così dall’accordo riguardante la nomina. Lo stato giuridico di questi magistrati resta sempre quello degli impiegati dello Stato e precisamente quello compreso nel Testo Unico per la Corte dei conti, perché si sa che funzionari ed impiegati della Corte dei conti hanno uno stato giuridico tutto particolare” (CONSULTA REGIONALE SICILIANA, Palermo, Edizioni della Regione Siciliana, vol. III, 1976, pag. 360. 32 2. – segue: la partecipazione dei laici e le norme di attuazione contra statutum o preater statutum. La non condivisibilità delle argomentazioni addotte dalla Corte. Alla stregua di siffatte disposizioni statutarie si rivelano prive di fondamento le considerazioni che si leggono nella sentenza della Corte cost. n. 316 del 2004 a proposito degli ambiti di incidenza che vanno riconosciuti alle norme di attuazione degli Statuti speciali, alla stregua dei quali risulterebbe giustificata la partecipazione dei laici, da ritenere preater statutum e non contra statutum. Al riguardo appare opportuno rammentare il pacifico orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di norme di attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale. Sin dalla prima pronunzia sul tema la Corte afferma che le norme di attuazione “non sono norme di mera esecuzione dello statuto regionale”. “ La loro finalità è quella non già di stabilire semplicemente, come in un regolamento, quelle disposizioni più dettagliate che occorrono per l'esecuzione della legge, ma di porre, ove necessario, disposizioni di carattere normativo anche per le relazioni tra Stato e Regione - per l'”attuazione” dello statuto.... Da ciò il carattere legislativo e non regolamentare stabilito dallo stesso legislatore costituente./ Ora, emanare disposizioni legislative per l'attuazione dello statuto, significava e significa non soltanto emanare norme non in contrasto con la Costituzione - il che è ovvio - ma, ancora, non in contrasto, sibbene in aderenza - per la finalità specifica delle norme stesse - con le disposizioni dello Statuto speciale”. Si aggiunge che sotto il profilo della costituzionalità, “l'indagine deve essere volta ad accertare se le norme di attuazione, nel loro formale e sostanziale contenuto, siano in contrasto con le disposizioni dello statuto o con il fondamentale principio dell'autonomia regionale quale risulta da espresse disposizioni dello statuto stesso”. Donde la distinzione tra norme di attuazione contra legem, ossia contra statutum e norme di attuazione preater statutum. Nel caso in cui “le norme di attuazione siano preater legem, nel senso che abbiano integrato le disposizioni statutarie od abbiano aggiunto ad esse qualche cosa che le medesime non contenevano, bisogna vedere se queste integrazioni od aggiunte concordino innanzitutto con 33 le disposizioni statutarie… e se inoltre sia giustificata la loro emanazione dalla finalità dell'attuazione dello Statuto”44. Per una migliore comprensione dell’orientamento della Corte, rimasto immutato negli anni successivi, appare utile ricordare che, alla stregua di tale impostazione, con la richiamata sentenza è stata ritenuta costituzionalmente illegittima una disposizione contenuta in una norma di attuazione dello Statuto della Sardegna con cui, a fronte della previsione statutaria secondo la quale il consiglio regionale si riunisce di diritto il primo giorno festivo di febbraio e di ottobre, venivano previste tre sessioni ordinarie del consiglio regionale, a febbraio, giugno e ottobre. Aumentandosi il numero delle sessioni ordinarie, osservava la Corte, “si modifica una disposizione statutaria, mutandosi in un obbligo quella che è una semplice facoltà stabilita dallo Statuto”. Per contro non è stata ritenuta costituzionalmente illegittima altra disposizione della stessa legge con la quale veniva stabilito che la convocazione in sessione straordinaria del consiglio è disposta dal presidente dello stesso e deve avere luogo in ogni caso entro 10 giorni dalla data in cui sia pervenuta alla presidenza la richiesta, da parte del presidente della giunta regionale o di un quarto dei suoi consiglieri. Si osserva al riguardo che tale norma - a fronte della disposizione statutaria secondo la quale il consiglio si riunisce in via straordinaria per iniziativa del suo presidente o su richiesta del presidente della giunta regionale o di un quarto dei suoi componenti - regola soltanto l'uso della facoltà della convocazione del consiglio in via straordinaria, stabilendo il termine per la convocazione stessa, “il che era pur necessario fare ed era compito delle norme di attuazione stabilirlo. Non vi è dunque nessun contrasto tra le due disposizioni, di natura diversa e aventi diversa finalità”. E’ utile altresì tenere presente che, secondo quanto si ricava dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, non c’è spazio per le norme di attuazione degli statuti speciali nell’ipotesi in cui il testo statutario abbia “piena completezza” e “non richiede integrazioni o specificazioni”45. Se ne deve dedurre che le integrazioni e le specificazioni devono essere introdotte soltanto se occorrono e nella misura in cui occorrono. 44 45 Corte cost. 29 giugno 1956, n. 20, in Giur. cost. 1956, 661. Corte cost., 15 luglio 1969, n. 136, in Giur. cost., 1969, 1802 ss., spec. 1817. 34 Alla stregua di tali orientamenti, come esattamente ritenuto nelle ordinanze di rimessione, non si può dubitare della natura di norme contra statutum delle disposizioni sulla composizione mista del Consiglio di giustizia amministrativa, le quali sono palesemente in contrasto con le disposizioni di cui all’art 23 dello Statuto speciale, sulla cui interpretazione ci siamo sopra soffermati. E non si può parimenti dubitare che, per quanto concerne la composizione, la chiara configurazione dell’organo destinato a sedere in Sicilia come sezione dell’organo centrale, non richiedesse integrazioni o specificazioni46. A questo punto è necessario però soffermarsi su un passo della sentenza n. 316 del 2004, nel quale si invoca una precedente pronunzia della stessa Corte, la quale suffragherebbe il verdetto di manifesta infondatezza della questione sottopostale dal rimettente C.G.A. Dopo avere affermato che il D.lgs. n. 373 del 2003 avrebbe “ripristinato l'originario modello statutario di decentramento, organizzato su due sezioni staccate del Consiglio di Stato”, la Corte ritiene che in tale guisa sarebbe stata data “”piena” attuazione al principio di specialità contenuto nell'art. 23”. Ed aggiunge: “in questo modo si è dato vita ad una disciplina che ha fissato entro i contorni dello statuto quelli che, in relazione a questo profilo particolare, si possono definire i “contenuti storico-concreti” dell'autonomia regionale siciliana (cfr. sentenza n. 213 del 1998)”47. 46 Non può essere pertanto condivisa la posizione di G. CORSO, Sulla composizione del CGA: una sentenza da condividere, cit., il quale ritiene “ovvio” che, dovendosi fare luogo alle norme di attuazione, le previste sezioni del Consiglio di Stato “possano avere una fisionomia in parte diversa dalle sezioni romane”. Gli spazi che sarebbero spettati alla commissione paritetica, a fronte di disposizioni statutarie chiaramente volte ad un mero decentramento territoriale del Consiglio di Stato, dovevano essere ben altri: la sede, gli oneri finanziari, il personale amministrativo, le spese di gestione, ecc. E’ da escludere che le norme di attuazione potessero determinare la composizione dell’organo. Per la Corte dei conti non è stata prevista alcuna partecipazione dei laici, e si può essere certi che non sarebbe stata prevista per le sezioni della Corte di cassazione ove mai essi fossero state istituite. 47 L’espressione è tralaticiamente ripresa nella motivazione della sentenza della Corte cass. SS.UU. 2 luglio 2008, n. 18033, con la quale è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di costituzionalità delle disposizioni del D. Lgs. n. 373 del 2003 sulla composizione della sezione giurisdizionale del C.G.A., sollevata con riferimento all’art. 23 dello Statuto ed all’art. 102, 1° e 2° comma, Cost.: “Ed invero…la peculiare struttura e la composizione del Consiglio di giustizia, delineate dal già citato decreto, costituiscono espressione di un mero decentramento territoriale degli organi giurisdizionali centrali, senza che in mancanza di soluzioni organizzative prestabilite il modello organizzativo siciliano basato sulla presenza, nell'organo di giustizia amministrativo, di membri non togati appaia per ciò solo "praeter o contra statutum", trattandosi evidentemente di un modello del tutto particolare fondato sulla "specialità" di alcuni 35 Le proposizioni che la Corte ha ritenuto di citare a supporto della sua pronunzia, sono effettivamente contenute nell’invocata sentenza del 1998, ma, estrapolate dal loro contesto, assumono una portata ben diversa da quella che è loro propria. Vale la pena di soffermarsi sul punto al fine di evidenziare come uno dei principali passaggi della motivazione addotta dalla Corte a sostegno del salvataggio della partecipazione dei laici si rivela il frutto di una distorsione. La questione sottoposta alla Corte riguardava alcune disposizioni contenute nelle norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari (D.P.R. n. 574 del 1988). Censurate dal rimettente GIP presso il Tribunale militare di Verona sotto il profilo che, nel prevedere e disciplinare i diritti linguistici dei cittadini appartenenti alla minoranza tedesca della provincia di Bolzano nei rapporti con uffici ed organi giurisdizionali penali ordinari, non avevano esteso tali previsioni alla disciplina dei rapporti con gli uffici e gli organi giurisdizionali militari. Il parametro di costituzionalità individuato dal rimettente era costituito dagli art. 6 e 116 della Costituzione – rispettivamente sulla tutela delle minoranze linguistiche e sulle Regioni ad autonomia speciale -, e (soprattutto) dall'articolo 100 dello statuto speciale della regione Trentino Alto Adige (D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) a norma del quale “I cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano hanno facoltà di usare la loro lingua nei rapporti cogli uffici giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale…”. E’ su quest’ultima espressione che si fondava l’ordinanza di rimessione, secondo la quale il Tribunale militare di Verona sarebbe da considerare con competenza regionale. statuti regionali i quali possono anche, nell'ambito dell'organizzazione giudiziaria, contenere norme a loro volta espressive di autonomia (cfr. sul punto sentenza della Corte Costituzionale n. 316 del 2004 ed ordinanza n. 179 del 2005). In tale modo si è data "piena" attuazione al principio di specialità contenuto nell'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia e si è dato vita ad una disciplina che ha fissato entro i contorni dello Statuto quelli che in relazione a questo profilo particolare, si possono definire i "contenuti storico - concreti" dell'autonomia regionale siciliana (cfr. Corte Cost. sentenza n. 213 del 1998 e, più di recente, sentenza n. 316 del 2004 cit.)”. 36 Si afferma al riguardo nella sentenza della Corte, con la quale la questione venne ritenuta infondata, che “la competenza del Tribunale militare di Verona si esercita anche “nella Regione”, ma non è una “competenza regionale””. Si aggiunge che la diversa conclusione alla quale era pervenuto il giudice rimettente, favorevole ad una più ampia protezione dei diritti linguistici proiettata oltre l'ambito territoriale così definito, presupporrebbe che l'articolo 100 dello Statuto potesse prestarsi ad una interpretazione estensiva, interpretazione ritenuta non possibile in quanto la garanzia dei diritti linguistici delle minoranze è sì inderogabile, “ma non contiene in sé una forza espansiva, al di là di quanto espressamente stabilito nelle norme degli statuti regionali speciali”. Fanno seguito alcune riflessioni sui particolari caratteri delle norme di tutela delle minoranze, a proposito delle quali si legge che esse “rappresentano sempre punti di equilibrio e contemperamenti tra le garanzie particolari e l'ordinamento generale”. In questo quadro, prosegue la sentenza, “si comprende la funzione peculiare delle norme di attuazione degli statuti regionali speciali, norme adottate attraverso un procedimento normativo speciale”, che, per la regione Trentino Alto Adige (giusta l’art. 107 D.P.R. n. 670 del 1972), “comprende necessariamente una fase consultiva bilaterale e paritetica cui partecipano rappresentanti delle comunità interessate. A tali norme di attuazione spetta una competenza di carattere riservato e separato finalizzata a dare vita, in corrispondenza con i contenuti e gli obiettivi degli statuti stessi, ad una disciplina che, nell'unità dell'ordinamento giuridico, concili armonizzandoli, tanto l'esercizio dei diritti potenzialmente confliggenti - come tipicamente avviene in materia di uso della lingua da parte di soggetti appartenenti a gruppi linguistici diversi -, quanto l'organizzazione delle autonomie regionali con quella dei pubblici poteri e delle pubbliche funzioni”48. 48 L’art. 107 dello Statuto demanda a decreti legislativi l’emanazione delle norme di attuazione dello Statuto “sentita una commissione paritetica composta di dodici membri di cui sei in rappresentanza dello Stato, due del Consiglio regionale, due del Consiglio provinciale di Trento e due di quello di Bolzano. Tre componenti devono appartenere al gruppo linguistico tedesco”. Si prevede altresì l’istituzione, in seno alla commissione paritetica, di una speciale commissione per le norme di attuazione relative alle materie attribuite alla competenza della provincia di Bolzano, 37 Più avanti si legge: “Il compito e la procedura che, conformemente a quanto ora detto, caratterizzano le norme di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale spiegano la loro rilevanza nella configurazione della portata delle norme statutarie. Il valore giuridico delle norme di attuazione, subordinate allo statuto (oltre che alla Costituzione), non le sottrae di certo all’ordinario controllo di legittimità costituzionale, quando contraddicano il loro compito di armonizzare nell’unità dell’ordinamento giuridico i contenuti e gli obiettivi particolari dell’autonomia speciale. Ma, qualora (come nella specie) si sia fuori di questa eventualità, esse rappresentano, tra le realizzazioni astrattamente possibili dell’autonomia regionale speciale, quelle storicamente vigenti. Le norme di attuazione, dotate di forza prevalente su quella delle leggi ordinarie (sentenze nn. 160 del 1985 e 151 del 1972), finiscono così, in certo modo, per fissare, entro i contorni delineati dagli statuti o eventualmente anche nello svolgimento e nell’integrazione delle norme statutarie necessari per dare a queste ultime piena "attuazione" (sentenze nn. 260 del 1990, 212 del 1984 e 20 del 1956), i contenuti storico-concreti dell’autonomia regionale e quindi, nell’interpretazione delle norme statutarie che questa Corte é chiamata a dare, vengono ad assumere un particolare rilievo e a porre un limite: un limite superato il quale si determinerebbero conseguenze non controllabili relativamente a quell’equilibrio complessivo dell’ordinamento cui le norme di attuazione sono preordinate”. Come appare evidente, il ragionamento della Corte, sebbene non manchino espressioni riferite alle norme di attuazione in generale, nelle parti richiamate nella sentenza n. 316 del 2004, è calibrato sulla particolare natura delle norme a tutela delle minoranze, delle quali si dice che rappresentano punti di equilibrio e di contemperamento, cui si perviene attraverso un procedimento che comprende una fase di consultazione alla quale partecipano rappresentanti delle comunità interessate. Si dice inoltre che tali norme assumono la funzione di conciliare ed armonizzare diritti potenzialmente configgenti come avviene in materia di uso della lingua da parte di soggetti composta di sei membri, di cui tre in rappresentanza dello Stato e tre della provincia. Dei tre membri in rappresentanza dello Stato uno deve appartenere al gruppo linguistico tedesco. E dei tre in rappresentanza della provincia uno deve appartenere al gruppo linguistico italiano. 38 appartenenti a gruppi linguistici diversi. Alla stregua di tale configurazione, le norme di attuazione degli statuti speciali, al di fuori dei casi nei quali non adempiono al compito di armonizzare i contenuti e gli obiettivi dell’autonomia speciale ed incorrano pertanto nel controllo di costituzionalità, rappresentano, afferma la Corte, tra le realizzazioni astrattamente possibili dell’autonomia regionale speciale, quelle storicamente vigenti, danno agli statuti piena attuazione e fissano i contenuti storico-concreti dell’autonomia della Regione. E’ di tutta evidenza come tali affermazioni, mentre sono pienamente condivisibili in relazione alla fattispecie costituita dalle disposizioni sull’uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei procedimenti giudiziari in attuazione dell’articolo 100 dello Statuto della Regione Trentino Alto Adige, non si attaglino affatto in relazione all’attuazione dell’art. 23 dello Statuto siciliano. Nel primo caso la norma statutaria si limita a garantire ai cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano la facoltà di usare la loro lingua nei rapporti con gli uffici giudiziari, senza null’altro aggiungere. E’ demandato ad una commissione paritetica, alla quale partecipano anche rappresentanti delle minoranze linguistiche, di dare un contenuto concreto alla garanzia statutaria, sicché il previsto parere (al quale il Governo è solito attenersi) assume la funzione di conciliare diritti potenzialmente configgenti. Si spiegano pertanto le affermazione – ripetute nella sentenza n. 316 del 2004 - secondo le quali le norme scrutinate integrano le norme statutarie dando alle stesse “piena attuazione”, determinano i “contenuti storico-concreti” dell’autonomia regionale, rappresentano “tra le realizzazioni astrattamente possibili dell’autonomia regionale speciale, quelle storicamente vigenti”. Nel secondo caso invece, prevedendo lo Statuto l’istituzione in Sicilia di “sezioni degli organi giurisdizionali centrali” (art. 23, 1° comma), e facendo espresso riferimento a “sezioni del Consiglio di Stato” con funzioni giurisdizionali e consultive (2° comma), per quanto concerne la composizione non residua nessuno spazio per le norme di attuazione49. Le sezioni dovendo 49 Assume un sapore quasi umoristico l’affermazione contenuta nella sentenza n. 316 secondo la quale la previsione (innovativa rispetto al decreto del 1948) delle due sezioni, una 39 essere composte esattamente come quelle centrali, e quindi senza alcuna partecipazione di componenti designati dal Presidente della Regione. E’ da aggiungere che la composizione mista del Consiglio, essendo stata determinata originariamente (con il decreto del 1948, del quale quello del 2003 costituì un semplice maquillage) non dalla commissione paritetica, ma dal Governo, non è neppure assistita dal carattere “pattizio” che è proprio delle norme di attuazione50. Vale a dire dalla forza “politica” che deriva dall’accordo tra lo Stato e la Regione. Il riferimento ai contenuti storici verosimilmente spiega l’ispirazione di fondo della sentenza. Il CGA con composizione mista esiste da oltre cinquanta anni, sicché tale singolarità sarebbe ormai radicata storicamente. La considerazione non appare giuridicamente conducente. Potrebbe essere idonea a sostenere una decisione di infondatezza della questione soltanto se si accettasse il concetto, di certo inammissibile e giammai sostenuto, che l’incostituzionalità di una norma possa essere neutralizzata dall’anzianità della stessa, una sorta di consuetudine interpretativa che si consoliderebbe con il trascorrere del tempo, a tal punto da renderla impermeabile alle censure di incostituzionalità. Gli impropri richiami della Corte alla sentenza n. 213 del 1998, con il sotteso insostenibile parallelismo tra il caso trentino e quello siciliano, e in tale contesto gli errati riferimenti ai “contenuti storico-concreti” dell’autonomia regionale siciliana, sono ispirati, come è stato notato, alla concezione della “intoccabilità di una situazione ormai troppo radicata per essere messa in consultiva ed una giurisdizionale, contenuta nel D.lgs. n. 373 del 2003, costituirebbe “piena” attuazione dello Statuto. Si tratta di un modello organizzativo effettivamente conforme alle previsioni statutarie, la cui elusione nel decreto del 1948 però non aveva mai suscitato dissensi o critiche, verosimilmente introdotto per una comodità del Consiglio di Stato. Fermo restando che l’attuazione “piena” dell’art. 23 si sarebbe avuta soltanto prevedendo per le sezioni sedenti in Sicilia la stessa composizioni delle sezioni centrali. 50 La circostanza non sembra adeguatamente valutata da G. CORSO, Sulla composizione del CGA: una sentenza da condividere, cit., il quale, nel commentare la sentenza della Corte cost. n. 316 del 2004, fa leva sulla “matrice negoziale” delle norme di attuazione, la cui elaborazione è demandata ad una commissione paritetica, ed afferma: “Se l’istituzione in Sicilia delle sezioni regionali deve necessariamente passare, in forza dell’art. 43 dello Statuto, attraverso le norme di attuazione, ossia attraverso il negoziato Stato-regione, è del tutto ovvio che tali sezioni possano avere una fisionomia in parte diversa dalle sezioni romane”. Come si è accennato nell’introduzione, e come vedremo più diffusamente nel seguito, il decreto del 1948 (rispetto al quale quello del 2003, circa la composizione, è confermativo, seppure con qualche miglioramento) non è stato elaborato dalla commissione paritetica, ma è stato elaborato dal Presidente del Consiglio di Stato dell’epoca, Ferdinando Rocco, ed approvato dal Governo nazionale. 40 discussione, anche al di là della sua conformità con il testo e con lo spirito delle norme statutarie”51. 3. – L’art. 23 nei lavori preparatori della Consulta regionale. I padri dello Statuto non vollero affatto che la Regione partecipasse alla nomina dei componenti delle sezioni del Consiglio di Stato. Quanto si assume è pienamente suffragato dall’esame dei lavori preparatori52. Al riguardo è da rammentare che la Commissione nominata, in conformità ad un voto formulato dalla Consulta regionale siciliana, con decreto dell’Alto Commissario per la Sicilia del 1° settembre 1945, per la redazione “di un piano organico per l’istituzione dell’autonomia regionale”, da sottoporre all’esame della Consulta stessa, tenne presenti quattro schemi predisposti rispettivamente dal Presidente della Commissione prof. Giovanni Salemi, dal dott. Mario Mineo, rappresentante del Partito Socialista, dal “Movimento per l’autonomia della Sicilia”, e dall’on. avv. Giovanni Guarino Amella, rappresentante del Partito Democratico del Lavoro53. Il progetto del dott. Mineo conteneva il seguente articolo: “Lo Stato istituirà in Sicilia sezioni autonome di ciascuno dei suoi supremi organi giurisdizionali” (art. 37)54. Il progetto del “Movimento per l’autonomia della Sicilia” conteneva il seguente articolo: “Tutti gli organi per la definizione delle 51 D. CORLETTO, Il Consiglio di giustizia amministrativa e le singolarità della autonomia siciliana, cit., 400. Si legge al riguardo nel lavoro di F.G. SCOCA, Specialità e anomalie del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, cit., pag. 18: “…secondo la Corte è sufficiente a giustificare la composizione mista (e così a ritenere sufficiente il rapporto di congruenza) la sua riferibilità ai “contenuti profondi, perché storicamente radicati, della concezione autonomistica siciliana in tema di organizzazione della giustizia amministrativa”./ Ci si potrebbe chiedere: quale è questa concezione autonomistica? Non di certo quella espressa dall’art. 23 dello Statuto, dato che ivi non si accenna affatto ad una eventuale composizione mista. Si vuole fare riferimento al radicamento storico, dovuto al fatto che la composizione mista risale al 1948? In tal caso si avrebbe un vizio logico, dato che l’argomento di prova coinciderebbe con l’argomento da provare”. 52 I lavori preparatori dello Statuto siciliano sono stati pubblicati (con alcune lacune delle quali si dà atto nella presentazione) in CONSULTA REGIONALE SICILIANA, Palermo, Edizioni della Regione Siciliana, vol. I e II, 1975, vol. III e IV, 1976. Ben prima che apparisse la pubblicazione ora citata, essi venivano sinteticamente ricostruiti dall’illustre studioso che fu presidente della Commissione che ebbe l’incarico, da parte dell’Alto Commissario per la Sicilia, di elaborare il progetto dello statuto siciliano, G. SALEMI, Lo statuto della Regione Siciliana (I lavori preparatori), Padova, Cedam, 1961. 53 Nella citata raccolta degli atti preparatori sono pubblicati altri due progetti: “Progetto Paresce” (vol. III, pag. 85 ss.), e “Progetto di statuto regionale per la Sicilia di Vincenzo Vacirca” (vol. III, 89 ss.), entrambi ignorati da Salemi probabilmente perché non si tratta di veri e propri progetti, ma piuttosto di schede sintetiche, redatte per punti, senza articolati normativi. 54 G. SALEMI, op. cit., 136. 41 controversie nel campo civile, penale, commerciale, amministrativo, tributario e del lavoro, ed in tutti i gradi di giurisdizione, devono risiedere nella regione, in modo che tutte le controversie abbiano in Sicilia il loro intero e totale svolgimento” (art. 27)55. Pressoché identico l’articolo facente parte del progetto dell’on. Guarino Amella (con l’unica irrilevante variante costituita dalla sostituzione all’espressione “tributario e del lavoro”, dell’espressione “tributario e sindacale”)56. Il progetto del Presidente della Commissione (Salemi) conteneva, le seguenti disposizioni: “Art. 21. – L’organizzazione giudiziaria è stabilita con leggi dello Stato ed è a carico dello Stato./ “I magistrati di ogni ordine e grado sono però, nominati, dietro concorso, dal Presidente regionale, e godono dello stato giuridico ed economico fissato con legge della Regione. /Art. 22. - Gli organi giurisdizionali, aventi oggi la sede soltanto in Roma, saranno istituiti anche a Palermo per gli affari concernenti la Regione./ “Il Consiglio di Stato e la Corte dei conti regionali svolgeranno altresì le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile./ “I ricorsi amministrativi avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali saranno decisi dal Presidente Regionale”57. Il progetto approvato dalla Commissione, e da questa presentato alla Consulta, recepiva pedissequamente tali due articoli (divenuti articoli 20 e 21)58. In sede di Consulta, nella seduta del 21 dicembre 1945, del primo dei due articoli venne votata la soppressione. I consultori che intervennero nella discussione furono concordi in tale senso: “…è stato ritenuto unanimamente dai consultori che l'attività di giustizia é materia sottratta agli interessi ed agli orizzonti regionali e dovuta semplicemente agli organi dello Stato” (Taormina); “Non dobbiamo regionalizzare qualche cosa che appartiene all'unità della Nazione. Non ci può essere una giustizia siciliana ed una italiana: c'è la Giustizia” (Cartia)59. In sede di discussione sul secondo articolo (21), nella stessa seduta, il 55 G. SALEMI, op. cit., 141. G. SALEMI, op. cit., 130. 57 G. SALEMI, op. cit., 123. 58 G. SALEMI, op. cit., 20. 59 Seduta del 21 dicembre 1945, CONSULTA REGIONALE SICILIANA, vol. III, 334-336. 56 42 consultore Taormina ne proponeva pure la soppressione “perché esso dice che la Regione ha comunque ingerenza nell'amministrazione giudiziaria”. Ma aggiungeva: “io penso che si possa, sul terreno nazionale, rigorosamente insistere perché la Sicilia abbia, come tutti ci auguriamo, la sede massima delle funzioni giudiziarie. Quindi chiedo di sopprimere l'art. 21 e rimetterei a quella che sarà la capacità nostra in Parlamento di imporre che in Sicilia sia ripristinata la Cassazione come c’era prima”. Il consultore Purpura, dopo avere affermato essere “indispensabile che noi dobbiamo avere un Consiglio di Stato…”, aggiungeva che la diversità di opinioni riguardava soltanto la Cassazione, che pure riteneva essere “indispensabile in Sicilia... perché il popolo siciliano possa avere quella giustizia, la quale non può aversi quando questi organi della giustizia sono lontani, cioè al centro, e non vi si può accedere; mentre qui in Sicilia l'accesso a questi organi supremi, a questa giustizia è molto più facile sia dal punto di vista economico che dal punto di vista del tempo”. Interveniva quindi il presidente della commissione, Salemi: “Mi pare che dalla discussione emerga, che, approvando questo articolo, si voglia dichiarare, da parte della consulta, l’ingerenza regionale nell'amministrazione della giustizia. No, tutta questa è materia dello Stato. L'Assemblea regionale non deve intervenire per nulla e lo statuto (se approvato dal Governo e dalla Costituente) crea la Regione, ma non questo organo./ Quindi non è l’Assemblea regionale da crearsi che viene a creare l'organo giurisdizionale, la Cassazione, ecc., ma è lo Stato che nel creare la Regione dà contemporaneamente a questa la Cassazione, il Consiglio di Stato, ecc.. Dunque non c'è ingerenza della Regione in questa materia. E’ la creazione della Regione che dà luogo alla creazione degli organi giurisdizionali sufficienti”60. Il primo comma veniva approvato con la sola variante costituita dalla sostituzione, del riferimento alla Sicilia al riferimento a Palermo. Accantonato il secondo comma, la Consulta approvava il terzo. Nella successiva seduta del 22 dicembre 1945, la discussione veniva ripresa a partire dal 1° comma. Salemi esprimeva la preoccupazione che il riferimento agli organi giurisdizionali aventi sede in Roma potesse rivelarsi 60 Seduta del 21 dicembre 1945, CONSULTA REGIONALE SICILIANA, vol. III, 337-339. 43 limitativo del decentramento territoriale ai soli organi già esistenti, con esclusione quindi di ulteriori organi giurisdizionali centrali che avrebbero potuto essere istituiti, sicché proponeva una diversa formulazione: “Gli organi giurisdizionali, istituiti o che saranno istituiti con sede soltanto a Roma, avranno in Sicilia una sede delle rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione”. A seguito dell'intervento dei consultori Guarino Amella, il quale proponeva di fare riferimento agli “organi giurisdizionali centrali”, e Di Carlo, il quale proponeva una formulazione secondo la quale “Tutti gli organi per la definizione delle controversie nel campo civile, penale, commerciale, amministrativo, tributario e del lavoro ed in tutti i gradi di giurisdizione, debbono risiedere nella Regione in modo che tutte le controversie abbiano in Sicilia il loro intero e totale svolgimento”, Salemi proponeva la formulazione che poi sarebbe stata definitivamente approvata.: “Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione”61. Nel seguito della seduta venivano altresì definitivamente approvati gli altri commi dello stesso articolo: “Le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti svolgeranno altresì le funzioni rispettivamente consultive e di controllo amministrativo e contabile (3° comma). “I magistrati della Corte dei Conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della Regione” (4° comma). “I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente regionale, sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato” (5° comma). Come è noto, il testo dello Statuto approvato dalla Consulta siciliana il 23 dicembre 1945 veniva trasmesso dal Governo alla Consulta nazionale nella formulazione integrale, senza alcuna relazione del Governo, e veniva approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455 nell’ambito del quale le disposizioni sopra riprodotte venivano a costituire l’art. 23. Dalla ricostruzione che precede risulta che, nel pur articolato e complessivo iter che portò all’approvazione dello Statuto siciliano, non si rinviene alcun elemento che possa fare dubitare della volontà che fossero istituite nella Regione delle vere e proprie sezioni del Consiglio di Stato. In sede di Consulta regionale (alla quale esclusivamente si deve la formazione 61 Seduta del 22 dicembre 1945, CONSULTA REGIONALE SICILIANA, vol. III, 357 – 359. 44 dello Statuto), l’ipotesi di una partecipazione della Regione in ordine alla composizione delle sezioni del Consiglio di Stato, seppure prospettata, venne decisamente scartata. E’ significativa la circostanza che la disposizione sulla nomina del magistrati contenuta nel progetto Salemi venne bocciata senza alcuna esitazione, in concreto con il consenso unanime, anche dello stesso Salemi. La formulazione definitivamente accolta, facente esplicito riferimento alle sezioni, fu voluta nell’ottica di un mero decentramento territoriale degli organi giurisdizionali centrali. Quello che si voleva era lo stesso giudice di Roma, composto nello stesso modo, ma sedente in Sicilia, senza alcuna interpolazione regionale62. 4. – Le radici storiche del decentramento degli organi giurisdizionali centrali e la sua non ascrivibilità all’autonomia della Regione come ente. La previsione statutaria invero non è ascrivibile all’autonomia regionale, intesa come attribuzione di competenze all’ente Regione, neppure a quella, decisamente spinta, prefigurata dallo Statuto siciliano (ma solo in parte vigente nella costituzione materiale). L’autonomia nel senso predetto venne vista, infatti, soltanto in relazione alla legislazione ed all’amministrazione. Ad essa si aggiungeva il decentramento territoriale delle giurisdizioni superiori, ma (fatta eccezione per l’assenso della Regione in ordine alla nomina dei magistrati della Corte dei conti: art. 23, 3° comma. St.63) senza alcuna partecipazione dell’ente Regione alla giurisdizione. Vero è, però, che le pulsioni per il decentramento territoriale delle 62 Non sembra superfluo rammentare le parole del prof. Giovanni Salemi, come si è ricordato, presidente della Commissione incaricata dall'Alto Commissario per la Sicilia di elaborare il progetto di Statuto e poi relatore davanti alla Consulta di Sicilia, pronunziate diversi anni dopo l’approvazione del D.lgs. n. 654 del 1948, dalle quali traspare la delusione per il modo in cui l’art. 23 St. era stato attuato per quanto concerne la giurisdizione amministrativa: "Credo di avere titolo per sostenere che lo spirito cui si ispirarono i compilatori dello Statuto (Commissione nominata dall'Alto Commissario, Consulta di Sicilia) fu ben altro, quello, cioè, di avere in Sicilia degli organi giurisdizionali centrali le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione. Le Sezioni, cioè, quali erano, non quali si sarebbero potute formare in base ad un concetto di Sezione astratto o desunto da fonti di diritto positivo, diverse da quelle sul Consiglio di Stato" (G. SALEMI, Dieci anni di esperienza di decentramento della giustizia amministrativa in Sicilia, relazione al III Convegno di studi di Scienza dell'amministrazione, su La giustizia nella amministrazione, Varenna 1957, Milano, Giuffré, 1959, 68 ss., spec. 76). 63 su cui v. la precedente nt. 43. 45 giurisdizioni superiori hanno le stesse origini delle pulsioni che portarono all’autonomia legislativa ed amministrativa della Regione. Le une e le altre si devono attribuire alle aspirazioni dei siciliani, che si riaccesero a seguito della caduta del fascismo, nel 1944-45, ma risalivano alle vicende del 1860-6164, delle quali i padri dello Statuto avevano avuto tramandata la memoria65. Tali aspirazioni avevano la loro radice - a volere sorvolare sul passato più remoto66 - nell’ordinamento del Regno delle Due Sicilie. Aveva sede in Palermo, 64 Su tali vicende, F. BRANCATO, Dall’unità ai fasci dei lavoratori, in Storia della Sicilia, Palermo, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia, vol. VIII, 1977, spec. pag. 103 ss. 65 Il collegamento del movimento autonomistica della fine del secondo conflitto mondiale con quello dell’epoca risorgimentale è pacifico nella storiografia. Rammenta S. CORRENTI, Storia della Sicilia, Roma, 1999, pag. 561 ss., che l’istanza autonomistica siciliana (sotto diverse denominazioni: “sicilianismo”, “regionismo”), ebbe un momento di grande vivacità nel 1860, ed ebbe, senza cessare del tutto neppure in epoca fascista, non episodiche manifestazioni durante tutto il periodo che va sino al 1944, allorché con l’istituzione dell’Alto Commissariato per la Sicilia, si riaccese prepotentemente. Sui precedenti storico-giuridici dello Statuto regionale siciliano, A. BAVIERA ALBANESE, Nota illustrativa dei documenti relativi ai presupposti, ai precedenti, alla genesi ed alla natura dell’Alto Commissariato e della Consulta di Sicilia (18601946), in CONSULTA REGIONALE SICILIANA, vol. I, Saggi introduttivi, cit., 181 ss. Utili indicazioni in M. GANCI, La nazione siciliana, Siracusa, Ediprint, 1986; F. RENDA, Storia della Sicilia dal 1860 al 1980, vol. I, Palermo, Sellerio editore, 1999; V. D’ALESSANDRO – G. GIARRIZZO, La Sicilia dal Vespro all’Unità d’Italia (Storia d’Italia diretta da G. Galasso, vol. XVI) Torino, UTET, 1989 66 Scrive G. MIRABILE, Per la cassazione in Sicilia, in Comitato per il coordinamento dello Statuto siciliano, Raccolta di studi ed articoli a cura della Regione siciliana, Palermo, IRES 1949: “Di massima importanza sono le ragioni storiche: il diritto dei Siciliani di essere giudicati, in ogni stato e grado, da magistrati nell'isola è un diritto conquistato dai parlamenti, riconosciuto dalle varie dominazioni, succedutesi in Sicilia, e confermato con l'accettazione del plebiscito per annessione dell'isola al resto della patria. “Era stato già riconosciuto il privilegio di foro a più città di Sicilia con varie costituzioni (1233 Federico ; 1258 Manfredi; 1290 Giacomo); quindi il Parlamento Siciliano, nel 1446, chiese a Re Alfonso il Magnanimo che "le cause dei Siciliani non si possano extrahiri fora di regno per qualsivoglia judicio, sive principali appellatione o revisione o per qualsevoglia remedio, etiam si motu proprio et potestate absoluta lo Principi volesse extrahiri, nisi tantum partibus consentientibus, ita quid in Sicilia si debiano principiare et finire totaliter davanti li judici competenti”. “Ed il Re concesse quanto il Parlamento richiese (Cap. Regni Siciliae - Ed. Testa - vol. 1, p. 350). “Il privilegio fu confermato, a richiesta del Parlamento. nel 1452 (Cap. Regni Siciliae 442 e 463); nel 1460 cap. 33); nel 1500 da Re Ferdinando il cattolico (cap. 24-60). “Nel 1559 il Parlamento Siciliano domandò che fosse definitivamente, e con ordinamento stabile, istituito il nuovo Tribunale del concistoro della sacra regia coscienza: e quello rimase il Supremo tribunale dell'isola (cap. Regni - Edit. Testa - t. II p. 223). Tale tribunale fu confermato in Sicilia, per le cause di Sicilia, come Suprema magistratura, anche dopo il ritorno di Re Vittorio Amedeo in Torino, e dopo che l'imperatore di Austria Carlo VI divenne, nel 1720, re di Sicilia. “Proclamato il regno delle due Sicilie, con la legge 1 dicembre 1816 e con il D. 26 maggio 1821, fu prescritto che le cause dei Siciliani dovessero essere decise in Sicilia, e per ciò dovesse essere nel regno una Suprema Corte di giustizia con le stesse facoltà della Suprema Corte di giustizia sedente in Napoli”. Lo scritto di Mirabile, per la parte che si è riprodotta, può leggersi anche in A. PIRAINO LETO, Codice dell’autonomia siciliana, Palermo, Flaccovio, 1949, sub art. 23 St. sic., 52-53. 46 distinta da quella di Napoli, la Corte suprema di giustizia, vale a dire la Corte di cassazione. Ed allorché, dopo la restaurazione, fu ripristinato il contenzioso amministrativo, furono costituite, quali giudici di prima istanza in materia di contratti, lavori e forniture delle amministrazioni centrali, due Gran Corti dei Conti, una per la parte continentale del Regno (“domini al di qua del Faro”) e l’altra per la Sicilia (“domini al di là del Faro”), con sede in Palermo. L’appello era portato alle due Consulte di Stato, l’una per le province continentali e l’altra per la Sicilia. Soppresse queste ultime con l’unificazione, le due Gran Corti dei Conti continuarono a funzionare sino alla legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 186567. Nel 1860 il prodittatore Mordini, con decreto assunto alla vigilia del plebiscito (il decreto è del 19 ottobre ed il plebiscito per l’annessione fu votato il 21 ottobre), istituiva un Consiglio di Stato straordinario con l’incarico di “studiare ed esporre al governo del Re…gli ordini e le istituzioni su cui convenga portare speciale attenzione perché rimangano perfettamente conciliati i bisogni peculiari della Sicilia con quelli generali dell’unità e prosperità della nazione italiana”. Nella Relazione del Consiglio di Stato straordinario resa in data 18 novembre 1860, per quanto concerne la giustizia, si legge quanto segue: “Il Consiglio ha reputato per ciò essere non solo desiderabile, ma necessario per l'isola che tutti i gradi della gerarchia giudiziaria abbiano sede in Sicilia, affinché gli affari di lor competenza avessero in essa il loro totale e completo svolgimento, soddisfacendo in tal modo un de’ precipui bisogni dell'isola, giammai negletto dai suoi successivi governi, e financo dalla dominazione borbonica, che ebbe sempre cura di conservare in Sicilia una suprema Corte di Giustizia ed una Gran Corte de’ Conti”68. La relazione così prosegue: “Fu inoltre in seno al Consiglio proposto di esprimersi il voto che i magistrati e le autorità civili ed ecclesiastiche sieno individui siciliani, ma il Consiglio quantunque abbia riconosciuto che vi 67 Cfr. A. PEZZANA, Le esperienze degli organi di giustizia amministrativa degli Stati preunitari, in Studi per il centenario della IV sezione, I, Roma 1989, 28-29; G. LANDI, Istituzioni di diritto pubblico del regno delle due Sicilie (due volumi), Milano 1977. 68 CONSULTA REGIONALE SICILIANA, vol. I, cit., pag. 251. 47 possano essere de’ motivi non dispregevoli per volere di tutto o in parte l’adempimento d’un tal desiderio, pure credette doverlo lasciare alla prudenza ed all’alta saviezza del Governo di S.M., anziché farne oggetto di espressa rappresentanza”. Nell’articolato normativo proposto dal Consiglio, all’art. 16, veniva previsto quanto segue: “Che tutti i vari gradi della gerarchia giudiziaria, e del contenzioso amministrativo e i magistrati di qualunque natura, inclusi quelli riguardanti i conflitti di giurisdizione e di attribuzione, eccetto fra le autorità militari, abbiano sede in Sicilia; e che quindi gli affari tanto giudiziari, che del contenzioso amministrativo abbiano in Sicilia il loro intero e totale compimento”69. Stante il carattere unitario dello Stato, nel 1860, relativamente alla giustizia, ovviamente veniva prefigurato un mero decentramento territoriale: organi sedenti in Sicilia, ma appartenenti alla giustizia dello Stato. Ebbene gli autonomisti del 1944-45, sebbene portassero avanti un disegno che aveva come fulcro l’attribuzione di ampie competenze legislative ed amministrative alla Regione, concepita come ente rappresentativo, per quanto concerne la giustizia null’altro volevano che quello che avevano voluto gli illustri siciliani che vennero chiamati dal prodittatore Mordini a comporre il Consiglio di Stato straordinario. Non è per niente casuale che due dei progetti di Statuto tenuti presente dalla Commissione per l’elaborazione del progetto di Statuto, quello del “Movimento per l’autonomia della Sicilia”, e quello dell’on. Guarino Amella (sopra rammentati), avevano mutuato proprio la formulazione elaborata nel 1860 dal Consiglio di Stato straordinario. E’ da aggiungere che la previsione statutaria di cui all’art. 23 rispondeva ad un mai sopito rimpianto dei siciliani ed in particolare del Foro70, lasciato 69 CONSULTA REGIONALE SICILIANA, vol. I, cit., pag. 257. Nei mesi successivi alla presentazione della relazione ogni ipotesi di autonomia amministrativa regionale venne definitivamente affossata. Cfr. A. RECUPERO, La Sicilia all’opposizione (1848-74), in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità ad oggi. La Sicilia (a cura di M. Aymard e G. Giarrizzo), Torino, Einaudi, 1987, pag. 73. 70 Cfr. la relazione di Salemi: “Così la Sicilia tornerà ad avere gli organi di cui fu sempre gelosa ed orgogliosa: la Corte di Cassazione, la Gran Corte dei Conti, le cui funzioni di contenzioso amministrativo e di controllo contabile furono dai governi italiani assegnate al Consiglio d Stato ed alla Corte dei conti” (G. SALEMI, Lo Statuto della Regione siciliana. I lavori preparatori, cit., 39). Una esatta interpretazione delle ragioni che furono alla base della 48 dalla soppressione, con l’unificazione attuata nel 1923, della Corte di Cassazione di Palermo71. Quelle sommariamente indicate sono le ragioni storiche ed ideologiche che determinarono, in sede di elaborazione ed approvazione dello Statuto siciliano, l’introduzione della previsione relativa al decentramento delle giurisdizioni superiori (ed anche di quella che un tempo era la giustizia ritenuta, vale a dire il ricorso straordinario). 5. – Come si giunse al D. Lgs. n. 654 del 1948. A) I lavori della Commissione paritetica. Vediamo adesso come, nonostante il chiaro disposto dell’art. 23, si pervenne all’istituzione del Consiglio di Giustizia Amministrativa. E’ da rammentare che l’art. 43 St. sic. demanda ad una Commissione paritetica di “determinare” (“Una Commissione paritetica …determinerà…”) le norme per l’attuazione dello Statuto. La formula adoperata diede luogo a contrastanti interpretazioni, sostenute rispettivamente dalla Commissione paritetica nominata con D.C.P.S. 9 ottobre 1946 e dal Governo. Secondo la Commissione paritetica le proprie funzioni non erano da intendere come limitate alla predisposizione di uno schema di norme di attuazione da sottoporre al definitivo vaglio del Consiglio dei Ministri, ma le competeva propriamente il potere decisionale. Secondo il Governo, invece, la Commissione avrebbe dovuto svolgere soltanto un lavoro previsione statutaria in G. LANDI, Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. Trentotto anni di storia, in La giustizia amministrativa in Sicilia, Milano, Giuffré, cit., 34-35, il quale rammenta che nel 1948 conobbe in Sicilia “anziani magistrati ed avvocati, che rimpiangevano la Corte di Cassazione di Palermo”, ed aggiunge: “trattavasi di tradizione ben più antica, addirittura preunitaria, perché, nell’ordinamento del Regno delle Due Sicilie, erano in Palermo, distinte dagli omologhi istituti di Napoli, la Gran Corte Suprema di Giustizia (cioè la Corte di Cassazione), la Consulta (cioè il supremo organo di consulenza giuridicoamministrativa) e la Gran Corte dei Conti (cioè l’organo supremo di giurisdizione amministrativa) eredi, a loro volta, di organi le cui origini si perdevano nella storia plurisecolare del Regno di Sicilia. Non era quindi un mero caso, ma il rinascere di un’aspirazione radicata nella storia, che nel momento in cui l’Italia si apriva a speranze di rinnovamento, che avrebbero dovuto poggiare anche sul fiorire di energie locali, in Sicilia e non anche in altre regioni, si fosse pensato al decentramento della giurisdizione”. 71 Il rimpianto che alcuni settori del foro, non solo siciliano, avevano per le Corti di Cassazione, presenti sino al 1923 (per le funzioni in materia civile, mentre per la materia penale l’unificazione era avvenuta nel 1888), oltre che in Roma, in Torino, Firenze, Napoli e Palermo, è testimoniato dal dibattito in Assemblea costituente. Vedi infra n. 7. 49 preparatorio, e non già stabilire le norme di attuazione, funzione questa demandata alla propria competenza72. Con nota del 24 maggio 1947, il Presidente della Commissione paritetica, avv. Giovanni Guarino Amella, trasmetteva all’Assemblea Regionale le norme di attuazione dalla stessa Commissione deliberate, riguardanti: a) il funzionamento degli organi della Regione; b) le attribuzioni, gli uffici e il personale che dallo Stato passano alla Regione; c) il patrimonio e le finanze della Regione; d) il fondo di solidarietà nazionale; e) i servizi e il personale degli enti soppressi (Prefettura e amministrazioni provinciali); f) gli organi giurisdizionali; g) l’Alta Corte per il controllo costituzionale. Le norme riguardanti il funzionamento degli organi della Regione furono le uniche che andarono a buon fine, in quanto approvate con D. Lgs. C.P.S. 25 marzo 1947, n. 204, dalle cui premesse risulta che furono deliberate dal Consiglio dei Ministri. Lo schema relativo agli organi giurisdizionali predisposto dalla Commissione paritetica prevedeva: 1) una sezione civile e una penale della Corte di Cassazione; 2) una sezione consultiva ed una giurisdizionale del Consiglio di Stato; 3) una sezione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche; 4) una sezione della Corte dei Conti, che doveva esercitare anche le 72 Sebbene la questione, ai fini del presente lavoro, sia da ritenere superata, stante che l’originario D.lgs. n. 654 del 1948, istitutivo del C.G.A., è stato abrogato e sostituito dal D.lgs. n. 373 del 2003 approvato attraverso un procedimento nell’ambito del quale è stata acquisita la pronunzia della Commissione paritetica (con carattere preparatorio e non conclusivo), non appare superfluo notare che la tesi a suo tempo sostenuta dalla commissione paritetica, appare rispettosa di quella che certamente era la volontà dei padri dello Statuto. Si consideri al riguardo il carattere perentorio dell’espressione “determinerà” adoperata nell’art. 43, che sembra concepita proprio per affermare il carattere non meramente preparatorio, ma conclusivo, di quanto deciso dalla Commissione, e la mancanza nello stesso art. 43 di ogni riferimento a sviluppi del procedimento successivi alla determinazione della stessa. E per contro si consideri l’art. 56 dello Statuto sardo (concepito sulla falsa riga di quello siciliano), approvato con L. cost. n. 3 del 1948: “Una Commissione paritetica…proporrà…le norme di attuazione del presente Statuto./ Tali norme saranno sottoposte al parere della Consulta o del Consiglio regionale e saranno emanate con decreto legislativo”. Una completa ricostruzione della problematica nell’ordinanza di rimessione del C.G.A., 13 maggio 2003, n. 185, cit., nella quale peraltro si ricorda che anche le norme di attuazione successive al decreto istitutivo del C.G.A. furono approvate dal Governo senza l’intervento della Commissione paritetica e che soltanto dal 1975 compare di nuovo l’intervento della commissione paritetica nel procedimento di formazione delle norme di attuazione. Nell’ordinanza si ritiene corretto l’orientamento secondo il quale il potere di legiferare spetta al Governo (peraltro suffragato da pronunzie della Corte di cassazione e della Corte costituzionale), ma si stigmatizza il fatto che il decreto istitutivo del Consiglio venne approvato dal Governo senza la previa acquisizione della pronunzia della Commissione paritetica, quindi in violazione dell’art. 43 St. sic. 50 funzioni di controllo; 5) una sezione per le Imposte dirette ed una per le indirette della Commissione centrale delle imposte; 6) una sezione della Commissione censuaria centrale. Lo schema prevedeva altresì l’istituzione in Sicilia di un Consiglio regionale di Giustizia amministrativa con sede in Palermo e sezioni distaccate a Caltanissetta, Catania e Messina. Al Consiglio regionale sarebbero state devolute le controversie di competenza delle Giunte provinciali amministrative e dei Consigli di prefettura, nonché i ricorsi contro atti amministrativi definitivi dell’amministrazione regionale e degli enti pubblici aventi sede in Sicilia. La sezione regionale giurisdizionale del Consiglio di Stato sarebbe stata competente in ordine agli appelli avverso le decisioni del Consiglio regionale di giustizia amministrativa. In tal modo si veniva a prefigurare la generalizzazione, nella Regione siciliana, del doppio grado di giurisdizione. Il progetto, che, per la parte riguardante la previsione dell’organo giurisdizionale di primo grado, invero, non aveva alcuna base nello Statuto, il quale aveva previsto soltanto il decentramento territoriale degli organi giurisdizionali centrali già esistenti73, non ebbe alcun seguito. Ma è opportuno rammentare che, al di fuori delle norme di attuazione sugli organi della Regione, non ebbe alcun seguito nessuno degli altri progetti predisposti dalla Commissione paritetica . 6. – segue: B) Il ruolo del Consiglio di Stato. Il parere dell’adunanza generale del luglio 1946 ed il discorso di Ferdinando Rocco del gennaio 1948. In ordine alla mancata piena attuazione, per quanto concerne la giurisdizione amministrativa, delle previsioni statutarie, un ruolo determinante ebbe il Consiglio di Stato, il quale, con parere dell’Adunanza Generale dell’11 luglio 1946, n. 78, si pronunziò in senso nettamente contrario all’istituzione, 73 G. LANDI, Profili e problemi della giustizia amministrativa in Sicilia, Milano, 1951, pag. 21, osserva che la norma statutaria non attribuisce alla Regione alcun potere in materia di giurisdizione, sicché è escluso che la Regione possa creare nuovi organi di giustizia amministrativa, o modificare la competenza e le norme di funzionamento di quelli già esistenti. Invero non sarebbe stata la Regione a creare nuovi organi giurisdizionali stante che le norme di attuazione dello Statuto non sono imputabili alla Regione ma, sotto il profilo formale, allo Stato (e sotto quello sostanziale ad entrambi). Ma lo Statuto prevede soltanto l’istituzione di organi giurisdizionali centrali. 51 nella Regione Siciliana, delle Sezioni del Consiglio di Stato. Al riguardo è da precisare che il parere ha ad oggetto non già lo Statuto, considerato come già approvato, bensì il “progetto di Statuto per la Regione Siciliana”, che aveva sì conseguito “l’approvazione del Governo dello Stato con R. decreto-legge 15 maggio 1946, n. 445”, ma giusta il 2° comma dell’art. unico del predetto decreto approvativo, avrebbe dovuto essere “sottoposto all’Assemblea Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato”. E’ con tale ottica che il Consiglio di Stato si pronunziava: “Nella Regione, secondo il progetto di Statuto siciliano si sarebbero dovute decentrare delle sezioni della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato e di altri organi centrali. “Il Consiglio per questo punto si è pronunciato in senso nettamente contrario per la considerazione che fondamentale esigenza degli ordinamenti statali a base regionalistica è l'unità del sistema Giuridico nazionale, almeno per quanto riguarda gli istituti e i principi generali. Questo comporta, a sua volta, che unici debbano rimanere nello Stato i supremi organi preposti a regolare l'applicazione del diritto nelle branche corrispondenti alle rispettive competenze. “Alla stessa conclusione si è pervenuto per la Sezione consultiva del Consiglio di Stato, che si voleva decentrare in Sicilia, data la connessione esistente tra questa e la Sezione giurisdizionale. Di esse, infatti, la consultiva mira a prevenire l'illegittimità degli atti dell'Amministrazione, e la giurisdizionale a reprimerla, con una reciproca benefica influenza; sia dell'elemento amministrativo sul giurisdizionale, sia viceversa. “Da ciò dipende la fondamentale unità delle attribuzioni del Consiglio, le quali, pur dando vita a due funzioni che assumono caratteristiche e qualificazioni giuridiche diverse, non diversificano però per la natura di collaborazione e di controllo esterno sugli atti della pubblica amministrazione. “Peraltro, per garantire la legittimità e convenienza amministrativa degli atti dell'amministrazione regionale, il Consiglio ha suggerito l'istituzione di un organo regionale con funzione consultiva e giurisdizionale esercitate da due distinte Sezioni, e con ordinamento analogo a quello del Consiglio di Stato. “Ha aggiunto a tal riguardo che: “la funzione consultiva di tale organo dovrebbe, opportunamente ampliata, assorbire quella dei Consigli di Prefettura e la funzione giurisdizionale potrebbe sostituirsi, nell'ambito della Regione e con i necessari adeguamenti, a quella delle Giunte provinciali in sede contenziosa, e così risolvere l'annosa questione delle giurisdizioni locali amministrative; questione derivata dalla provata insufficienza delle Giunte provinciali nel campo giurisdizionale, tanto sotto il profilo della preparazione tecnica dei suoi membri, che sotto quello non meno importante dell'indipendenza”74. In concreto, il Consiglio di Stato prendeva posizione nel senso della soppressione dell’articolo 23 secondo la sua effettiva portata. Non sezioni degli organi giurisdizionali centrali, ma riforma degli organi locali già esistenti, le Giunte provinciali amministrative, e, per quanto concerne la funzione consultiva, i Consigli di prefettura. Le funzioni delle une e degli altri sarebbero state svolte da un istituendo organo regionale con funzioni sia 74 Il Consiglio di Stato nel sessennio 1941-46. Relazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, vol. I, Roma, Poligrafico dello Stato, 1949, 41-42. 52 consultive che giurisdizionali, all’uopo articolato in due sezioni e raccordato al Consiglio di Stato. La posizione espressa dall’Adunanza Generale veniva ribadita, a Costituzione approvata (ed ancora fresca di stampa), nel discorso pronunziato dal nuovo presidente del Consiglio di Stato, Ferdinando Rocco, all’atto dell’assunzione della carica, in data 12 gennaio 1948 (quando ancora lo Statuto veniva considerato come un “progetto”, che si sarebbe dovuto coordinare con la Costituzione). “Due punti ancora che interessano il nostro Consiglio, appena toccati dalla Costituzione, meritano fugace illustrazione perché destinati a più ampio sviluppo legislativo. “Il primo concerne l'ordinamento della giustizia amministrativa periferica, il secondo l'ordinamento organico del Consiglio di Stato e le garanzie della sua indipendenza. “L'istituzione delle Regioni, che ha dato luogo a così elevati ed appassionati dibattiti nell'Assemblea costituente e nel Paese, e che é già una realtà faticosamente operante per talune regioni, quale la nobilissima isola siciliana, nella quale l'aspirazione ad una larga autonomia amministrativa non ha giammai offuscato l'ardente amore per la patria comune, ha reso attuale e più urgente la risoluzione del problema della giustizia amministrativa periferica. Ho detto più urgente perché, in realtà, non da oggi è sentita la necessità della radicale riforma delle giunte provinciali amministrative, organo vecchio e inadeguato alle esigenze della giustizia amministrativa locale, imbastardito e non rinvigorito dalle innovazioni della legislazione emanata durante il regime fascista. E' chiaro che, con l'istituzione della Regione, a questa è d'uopo far capo per la determinazione di una competenza territoriale della giustizia amministrativa. “Ma una preliminare questione si è affacciata, sulla quale questo Consesso ha già espresso la sua meditata e recisa contraria opinione, e cioè l'opportunità, sostenuta per la Regione siciliana, che sezioni distaccate ed autonome del Consiglio di Stato, con piena autonomia anche funzionale, debbano istituirsi in ciascuna Regione, quale esigenza di completo decentramento della giustizia. La questione, di vitale interesse nazionale, è stata sollevata anche, come è noto, nei riguardi della Suprema Corte di cassazione, che si è pur essa pronunciata in senso nettamente contrario, ma non è stata risoluta dall'Assemblea costituente, che ne ha rimesso la soluzione alla legge futura. Pochi giorni or sono ebbi gradita occasione di ascoltare sulla questione la parola dotta ed incisiva dell'Avvocato generale della Corte Suprema. Egli ha, mi sembra, inoppugnabilmente dimostrato che, ereditate le Cassazioni regionali dagli Stati anteriori all'unificazione d'Italia, l'evoluzione verso l'accentramento di questi organi in un unico e supremo organo coordinatore della interpretazione della legge, fu antica ed irresistibile, rispondendo ad un tempo ad una necessità politica e giuridica: la certezza e l'eguaglianza del diritto ed il rinvigorimento delle forze di coesione nazionale, che s'indeboliscono con i contrasti della giurisprudenza e che sono più che mai sentiti oggi nel nuovo ordinamento regionale. “Io non ripeterò inadeguatamente quelle solide argomentazioni, che pienamente condivido. Ma, rinnovando il grido d'allarme nel nostro Consesso, che nello smembramento della giustizia ha ravvisato un pernicioso attentato all'unità della sovranità dello Stato, di cui la giustizia è gelosa espressione, debbo aggiungere soltanto che la tradizione di un Consiglio di Stato unico per tutto il territorio nazionale non è giammai venuta meno, né posta in nessun modo in discussione; che inoltre lo smembramento di questo Consesso porterebbe anche, come necessaria conseguenza dannosa, la disintegrazione della unitarietà delle sue funzioni consultive e contenziose, conquista ormai intangibile. “L'esigenza di un sano decentramento, che non spezzi l'unità della giustizia, ben può, d'altronde, realizzarsi pienamente, come già osservammo, con l'istituzione in ogni Regione di un organo di giustizia amministrativa razionalmente raccordato nella sua funzione con il Consiglio di Stato. Questo nuovo istituto il quale, con eredità beneficiata delle attuali giunte 53 provinciali amministrative, potrà riunire in sé, in separata sede giurisdizionale e consultiva, le funzioni degli organi provinciali da sopprimersi, verrà a costituire per l'appunto il desiderato organo di consulenza giuridico-amministrativa della Regione, in perfetto parallelismo con le attribuzioni del nostro Consesso. Il quale, peraltro, dovrà rimanere l'organo unico e supremo di giustizia amministrativa, con normale competenza di secondo grado per le pronuncia giurisdizionali”75. E’ di tutta evidenza quanto le preoccupazioni del Consiglio di Stato e del suo presidente per “lo smembramento della giustizia” ed il “pernicioso attentato alla unità della sovranità dello Stato” fossero infondate. Soltanto la circostanza che si trattava di menti fortemente aduse alla concezione dello Stato unitario per le quali verosimilmente l’intero impianto dello Statuto presentava aspetti inaccettabili, può spiegare come non sia stato compreso che, al contrario, proprio il rifiuto del mero decentramento voluto dallo Statuto apriva la strada all’istituzione di un organo affatto diverso, segnatamente sotto il delicato profilo della composizione, dal Consiglio di Stato76. In altri termini non ci si avvide che, paradossalmente, proprio l’invocata istituzione di un organo diverso dalla sezione destinato a svolgere in buona parte le competenza proprie del Consiglio di Stato veniva a perpetrare il paventato “smembramento”77. 7. – segue: C) La comunione di intenti con la Corte di cassazione. La preoccupazione per il ripristino delle cassazioni regionali. Il dibattito in Assemblea costituente. E’ da notare che il discorso di Ferdinando Rocco rivela quella comunione di intenti tra Consiglio di Stato e Corte di cassazione, che avrebbe non solo 75 F. ROCCO, Le funzioni del Consiglio di Stato nella nuova Costituzione, in Foro it. 1948, parte IV, 54. 76 E’ significativa di quanto fosse diffusa nella magistratura del Consiglio di Stato l’avversione all’istituzione delle sezioni nella Regione siciliana la posizione di uno dei suoi primi componenti, G. LANDI, Rapporti tra competenza giurisdizionale del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Riv. Amm., 1952, 227 ss.: “l’euforia autonomistica dei compilatori dello Statuto regionale aveva preveduto, addirittura, la creazione in Sicilia di due sezioni del Consiglio di Stato: il Consiglio di giustizia amministrativa rappresentò un compromesso tra le pretese autonomistiche (che ebbero modo di affermarsi su questo punto con particolare successo) e l’esigenza di non smembrare con conseguenze difficilmente prevedibili, il Consiglio di Stato”. 77 Esattamente in tal senso, S. DE FINA, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Enc. Dir., IX, Giuffrè, Milano, 1961, 227. Riconosce che, al contrario di quanto sostenuto dal Consiglio di Stato nel 1946 e dal suo presidente nel 1948, il semplice decentramento delle sezioni avrebbe potuto ”meglio salvaguardare l’unità e la singolarità dell’organo centrale”, R. CHIEPPA, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Enc. Giur., VIII, Roma 1989. 54 impedito che fossero istituite in Sicilia le due sezioni del Consiglio di Stato, ma anche determinato l’esito della questione di costituzionalità decisa pochi anni dopo (1955) dalla Corte di cassazione a sezioni unite. Il problema della sorte dell’art. 23 dello statuto siciliano veniva vista in un più ampio contesto, quello del paventato pericolo che fossero ripristinate le antiche Cassazioni regionali. In Assemblea costituente, infatti, era affiorato il rimpianto per le Corti di Cassazione, presenti sino al 1923 (per le funzioni in materia civile, mentre per la materia penale l’unificazione era avvenuta nel 1888), oltre che in Roma, in Torino, Firenze, Napoli e Palermo. La previsione contenuta nello Statuto siciliano costituiva un precedente guardato come un esempio da estendere per i sostenitori del decentramento, e come un pericolo per i sostenitori dell’unicità della Cassazione. Il problema fu vivamente dibattuto dapprima nell’ambito della Commissione per la Costituzione e successivamente in Assemblea costituente. Calamandrei, redattore del progetto di Costituzione per la parte relativa al potere giudiziario, e relatore, nell’ambito della seconda sottocommissione, seconda sezione, aveva proposto alla Commissione la seguente formulazione: “Al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in…la Corte di cassazione istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso la uniformità della interpretazione giurisprudenziale e per regolare la competenza fra i giudici” (art. 12, 2° comma)78. Nell’illustrare il progetto, aveva affermato che l’unicità della Cassazione era da ritenere “questione di particolare importanza in quanto la pluralità delle Cassazioni è un mostruoso controsenso”, trattandosi di “organo destinato a mantenere l’unità della interpretazione giurisprudenziale, e cioè del diritto”. Sicché doveva essere considerato “un grande progresso” la legge del 1924 che aveva soppresso ed unificato le cassazioni regionali. Aggiungeva che a maggior ragione l'unicità della cassazione doveva essere mantenuta “in un ordinamento costituzionale, basato sull'autonomia regionale, come sarà quello italiano, perché sarà essa, che, dando un'interpretazione uniforme a quella legge comune che è il codice 78 La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. VIII, Commissione per la Costituzione, Roma 1976, pag. 1929. 55 di tutto lo Stato, permetterà di contenere in un'unica forma giuridica le varie tendenze al decentramento giurisprudenziale, che potrebbero essere perniciose, per l'unità del diritto”79. Per contro veniva obiettato, da altri componenti della sottocommissione, che le cassazione regionali avevano funzionato egregiamente prima del 1923, ed il loro ripristino non costituiva una minaccia all'unicità della giurisdizione: “se così fosse, si dovrebbero abolire le varie sezioni della cassazione unica, spesso discordi nella soluzione di problemi anche fondamentali, tanto che si è dovuto costituire l'ufficio del massimario. Inoltre la ricostituzione delle cassazione regionali darebbe la possibilità ai cittadini delle più remote località di adire la cassazione, con maggiore facilità e minore spesa”80. Nel corso della discussione si faceva strada una posizione intermedia, secondo la quale era preferibile sopprimere la disposizione proposta da Calamandrei, sostenuta dalla seguente argomentazione: “se la commissione si astenesse dall’affermare l’unicità della Cassazione non per questo si pronunzierebbe per la resurrezione delle Corti regionali”81. Nel dibattito, non mancavano riferimenti espliciti allo Statuto siciliano. Favorevole alla proposta soppressiva si diceva, tra gli altri, Gaspare Ambrosini, “in quanto la interpreta nel senso che rimane impregiudicata la creazione della Sezione della Cassazione prevista dallo Statuto siciliano”82. Calamandrei insisteva per il mantenimento della disposizione sull’unicità della Cassazione, ed affermava di ritenere indispensabile che il principio fosse sancito nel testo costituzionale. Precisava di paventare, in relazione alla creazione dello Stato regionale il pericolo “costituito dal moto centrifugo che si potrebbe determinare in periferia”. Ed aggiungeva: “occorre quindi porre al vertice dello Stato degli 79 Seduta del 5 dicembre 1946, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. VIII, cit., 1890. 80 Intervento dell’on. Castiglia nella seduta del 6 dicembre 1946, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. VIII, cit., pag. 1900. 81 In tal senso l’intervento dell’on. Targetti, nella seduta della II Sottocommissione, II sezione, del 20 dicembre 1946, il quale tuttavia dichiarava “ di avere personalmente molti dubbi circa la necessità assoluta, invariabile attraverso il tempo, dell'unicità della Cassazione”. Ed aggiungeva: “Anzi, se fossi costretto a prendere oggi una decisione impegnativa anche per l'avvenire, forse propenderebbe per le corti regionali, in considerazione anche del fatto che nel campo penale sussiste unicità della cassazione, ma non certo dell'interpretazione”. Favorevole all’unicità della Cassazione si diceva, nella stessa seduta l’on. Bozzi, il quale però aderiva alla proposta Targetti di sopprimere il comma (op. cit., pag. 1958). 82 Seduta antimeridiana della II Sottocommissione, II sezione, del 20 dicembre 1946, op. cit., pag. 1958 56 organismi che servano a contrastare questa tendenza centrifuga. Uno dei mezzi fondamentali è quello di ricondurre tutta la interpretazione giurisprudenziale delle varie Corti di appello ad un'unica interpretazione centrale”83. Ma, probabilmente perché si rendeva conto che la sua posizione in sede di sottocommissione non sarebbe prevalsa, alla fine della discussione dichiarava di aderire alla proposta (dell’on. Targetti) che non fosse inclusa nella Costituzione alcuna norma riguardante il principio della Cassazione unica e pertanto ritirava il comma che aveva concepito84. Il problema veniva riproposto in sede di Assemblea. Venivano presentati, sul testo proposto dalla Commissione per la Costituzione (che non conteneva alcun riferimento alle sedi), emendamenti volti al ripristino delle “Cassazioni regionali”85, ed emendamenti volti all’istituzione di “sezioni distaccate” nelle città che erano state sedi delle Cassazioni regionali86. Per “rappresaglia” Calamandrei ed altri presentavano un emendamento volto ad affermare l’unicità della Cassazione87. Veniva altresì presentato, dal citato on. Targetti, un emendamento volto a rinviare il problema al legislatore ordinario. A quest’ultima proposta aderiva il Presidente della Commissione, Ruini, a nome della Commissione, precisando che il “rinvio alla legge” equivaleva al “silenzio che vi era nel testo della Commissione, e significa la stessa cosa”88. Messo ai voti per primo l’emendamento Targetti, veniva approvato, sicché 83 Seduta antimeridiana della II Sottocommissione, II sezione, del 20 dicembre 1946, op. cit., pag. 1958-9. 84 Seduta pomeridiana della II Sottocommissione, II sezione, del 20 dicembre 1946, op. cit., pag. 1962. 85 In tale senso l’emendamento dell’on. Villabruna: “Sono ripristinate le Cassazioni regionali di Torino, Firenze, Napoli e Palermo”, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente vol. V, pag. 4169. In termini diversi l’emendamento dell’on. Della Seta: “La Corte di cassazione in materia civile e penale esercita la sua giurisdizione nelle sedi di Torino, Firenze, Roma, Napoli e Palermo”, pag. 4175. 86 In tale senso l’emendamento degli on. Crispo, Badini Confalonieri e Bellavista: “La Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica, con sezioni distaccate in materia civile e penale, a Torino, Firenze, Napoli e Palermo”, pag. 4162. Veniva pure presentato dagli on. Murgia ed altri un emendamento “per cui, nell’ipotesi in cui siano ripristinate le quattro Cassazioni regionali, sia istituita una Cassazione anche in Sardegna”, pag. 4168. 87 Emendamento Calamandrei ed altri: “Al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in Roma la Corte di cassazione, istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale e per regolare le competenze tra i giudici”, pag. 4171. Nello stesso senso, con formule più sintetiche, gli emendamenti degli on. Mortati e Codacci Pisanelli e dell’on. Persico: “La Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica”, pag. 4159 e pag. 4163, e l’emendamento dell’on. Grassi nel quale, oltre al principio dell’unicità, si prevedeva la sede in Roma, pag. 4168. 88 vol. V, 4188. 57 restava fermo il rinvio del problema al legislatore ordinario. Nel corso della discussione veniva palesata, da taluno dei sostenitori degli emendamenti volti ad affermare l’unicità della Cassazione, ed a giustificazione degli stessi, la preoccupazione nascente dalle “Regioni le quali hanno già degli statuti”, che “incominciano a profilare ed a presentare una richiesta concreta di Cassazioni regionali”89. La questione se dovesse essere conservata o meno la soluzione accentrata rimaneva impregiudicata, veniva affidata al legislatore ordinario. L’ipotesi del decentramento preoccupò molto la Corte di cassazione, nella quale il Consiglio di Stato trovò un poderoso alleato90. 8. – segue: D) Il discorso dell’Avvocato generale presso la Corte di cassazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 1948. Per meglio comprendere il clima dal quale scaturì il D.P.R. n. 654 del 1948, e cogliere esattamente i riferimenti contenuti nel discorso di Ferdinando Rocco, è opportuno considerare il discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 1948, pronunziato dall’Avvocato Generale presso la Corte di cassazione, Giovanni Macaluso pochi giorni prima del discorso di Rocco. “Il 29 ottobre 1947, in una solenne assemblea generale, questa Suprema Corte, dopo avere preso in esame le istanze, da qualche parte avanzate, per un ripristino delle antiche Corti di Cassazione regionali o per il dislocamento regionale di alcune sue Sezioni (il corsivo è nostro), esprimeva all'unanimità il voto che l'Assemblea Costituente avesse a confermare, con espressa disposizione della Carta statutaria, la unicità della Corte di Cassazione sedente in Roma, quale supremo organo regolatore della funzione giurisdizionale. “Questo voto, che seguiva ad altri analoghi formulati sia dalla Magistratura, sia da larghissime correnti dottrinali, contribuì a porre in rilievo la gravità di un problema, a cui l'Assemblea Costituente non rimase insensibile. E difatti la discussione fu, al riguardo, ampia ed elevata, come ne fanno fede i resoconti ufficiali dei lavori di quella Assemblea. “Ma la auspicata affermazione della unicità della Corte Suprema non venne inserita nella Costituzione, per cui il regolamento dell'istituto rimane rinviato alla legge sull'ordinamento giudiziario. “Il problema verrà, così, quasi certamente riproposto in questo stesso anno 1948,..” (il 89 Intervento dell’on. Grassi nella seduta del 27 novembre 1947, vol. V, 4168. Nella stessa seduta V. E. Orlando, favorevole alle cassazioni regionali sottolineò, tra l’altro, che le città sedi delle Corti di cassazione erano state delle scuole di diritto: “…la dove c’è la Cassazione, ivi esiste un fecondo, magnifico centro di cultura giuridica. E veramente, erano centri mirabili di cultura giuridica; veramente, Napoli e Torino, Firenze e Palermo, possono vantarsi di essere state, in virtù delle loro Cassazioni, delle grandi scuole di diritto”, pag. 4182. 90 In dottrina, favorevole al decentramento fu in particolare D.R. PERETTI GRIVA, Per il ripristino delle Cassazioni regionali, in Giur. It., 1946, IV, 40 ss.; Id., Ancora per il ripristino delle Cassazioni regionali, ivi, 1947, IV, 1 ss. Contrario T. CARNACINI, A proposito del decentramento della Corte di cassazione, ivi, 1946, IV, 113 ss. 58 corsivo è nostro). Verrà riproposto perché l'aspirazione a smembrare la Corte Suprema non solo corrisponde ad umani interessi locali, ma coincide con la naturale tendenza delle Regioni verso un allargamento della loro autonomia ed ha anche avuto autorevoli, se pure rari, consensi fra gli studiosi. “L'esigenza della Cassazione unica viene proprio dal fatto che la pluralità le toglie di assolvere il suo compito essenziale, che è, per dirla col Pèan, quello di elaborare una giurisprudenza. La cassazione di una sentenza ingiusta risponde alla necessità di preservare, per esprimerci con le parole delle fonti romane, non tanto l'jus litigatoris, cui provvedono i due gradi del giudizio di merito e provvederebbe una eventuale terza istanza, quanto l'jus constitutionis. “È interesse eminentemente pubblicistico che i giudici applichino le leggi nella loro esatta portata e non attraverso un'interpretazione arbitraria, che condurrebbe alla modificazione o alla creazione della norma, con invasione del campo che l'ordinamento costituzionale riserva al potere legislativo. “Coloro che oggi chiedono il ritorno all'antico fanno appello a un complesso di ragioni che possono suddividersi in quattro gruppi principali, a seconda che si riferiscono ad alcuni pratici inconvenienti del sistema attuale, o al nuovo assetto dello Stato, che riconosce le autonomie regionali, o alla asserita impossibilità di ottenere l'unità della giurisprudenza, o addirittura alla indesiderabilità di essa. “Ma nessuno di questi argomenti appare fondato. “Quanto agli inconvenienti pratici, é agevole il rilievo che la difficoltà delle comunicazioni tra le Province e Roma è un prodotto transitorio della guerra in via di scomparire; é pure agevole il rilievo che il carico di affari che grava sulla Cassazione unificata é un portato della disciplina processuale. Questi mali possono trovare rimedio senza che occorra tornare ad un sistema che ne produrrebbe di più numerosi e gravi. “Quanto alla nuova struttura dello Stato, é da osservare che, proprio perché le autonomie regionali aumentano le forze centrifughe, è indispensabile mantenere la unicità della giurisdizione suprema a presidio del principio unitario dello Stato. Che, poi, alle Regioni sia stato riconosciuto nella Carta statutaria un certo potere legislativo non implica che l'interpretazione di tali leggi debba essere affidata ad organi locali anche in ultima istanza. In vero, l'argomento prova troppo, perché porterebbe a concludere, non per la ricostituzione delle quattro Cassazioni storiche, ma per la istituzione di una Corte Suprema per ogni Regione; cioè condurrebbe ad una innegabile assurdità. Del resto, né conviene troppo concedere alle differenze di indole, di tradizioni e di struttura economico-sociale che ancora dividono il Paese, sotto pena di porre a repentaglio la stessa unità dello Stato, né si può dimenticare che i rapporti giuridici che la legge é chiamata a regolare assai spesso non si esauriscono nell'ambito territoriale ove sono sorti, ma coinvolgono persone ed interessi appartenenti alle più diverse Regioni, onde, mentre mancherebbe il motivo per sottoporli ad una giurisdizione regionale, più gravi sarebbero le conseguenze di una pluralità di interpretazioni giurisprudenziali. “L'argomento, poi, dell'impossibilità di realizzare l'unità della giurisprudenza, é esatto solo se si intenda tale unità in senso assoluto: in una certa misura contrasti vi saranno sempre, com'é proprio di ogni ricerca scientifica. Ma è appunto questione di misura. Se con la Cassazione unica (e con qualche miglioramento nei mezzi che assicurano il coordinamento tra le varie Sezioni) é possibile ridurre il numero di tali contrasti tanto da rendere l'inconveniente trascurabile, ciò non avverrebbe mai con le Cassazioni regionali, che hanno dato vita a difformità di interpretazioni mai composte. “Che, infine, la unità della giurisprudenza, se anche raggiungibile, non sia da desiderare come quella che immobilizzerebbe il diritto in una serie di massime cristallizzate, mortificando il progresso scientifico e impedendo alle leggi di adattarsi, per opera dell'interprete, al mutare delle condizioni economico-sociali ed all'evolversi della coscienza popolare, é affermazione che nasce da un equivoco. Essa confonde l'uniformità della giurisprudenza nello spazio (per la quale ad ogni momento della evoluzione giuridica l'interpretazione di una data norma é uguale per tutto lo Stato, fatto che soltanto la Cassazione unica può assicurare) con la immobilità della interpretazione nel tempo, che non è altro che il frutto di un diminuito fervore e di una diminuita fecondità nella ricerca scientifica, per nulla legato all'uno piuttosto che all'altro sistema. Può concedersi soltanto che, con la Cassazione unica, l'evoluzione giurisprudenziale avviene con maggiore meditazione e quindi più lentamente; ma di 59 questa lentezza, che non impedisce il progresso scientifico, si avvantaggia la certezza del diritto, il cui valore per la stabilità e la fiducia nei rapporti politico-sociali non ha bisogno di essere sottolineato. “Quanto si è detto fin qui in merito alle Cassazioni regionali, può ripetersi anche per il dislocamento territoriale di due o più Sezioni della Cassazione unica (il corsivo è nostro). Infatti, a parte la tendenza che inevitabilmente si manifesterebbe verso una sempre maggiore loro indipendenza fino a trasformarsi in Corti autonome, queste Sezioni di Corte di Cassazione decentrate non potrebbero (per la distanza, la lentezza delle comunicazioni, la necessità di corrispondere per iscritto) coordinare efficacemente la propria giurisprudenza con quella della Corte sedente in Roma. La partecipazione effettiva del Primo Presidente di questa alla direzione delle Sezioni lontane appare, a chiunque abbia conoscenza del meccanismo interno del processo e degli organi giurisdizionali, una vera e propria illusione. “Che se poi si volesse affidare il compito di assicurare l'unità della giurisprudenza alle Sezioni unite della Cassazione di Roma, si urterebbe in una obiezione insormontabile, valida sia che al disotto di quella dovessero funzionare soltanto sezioni distaccate, sia che accanto a quella si dovesse ridar vita alle antiche Cassazioni regionali. In vero, si creerebbero, di fatto, due gradi di giurisdizione suprema, con organi minori di giurisdizione suprema soggetti ad una giurisdizione più suprema (secondo l'espressione di Ludovico Mortara). “Se, in tal caso, le Sezioni unite riuscissero ad unificare la giurisprudenza, si avrebbe nuovamente, per altra via, quell'unico organo regolatore della interpretazione del diritto che si voleva distruggere. “Potrebbe, allora, davvero dirsi che la forza delle cose si sarebbe imposta alla contraria volontà degli uomini. Infatti, che senso avrebbero, in tal caso, gli organi locali di Cassazione? Se la funzione regolatrice dovesse venire esercitata dalle Sezioni unite di Roma, ben più logico sarebbe il sistema cui si informava il progetto Zanardelli del 1903 con la creazione, non già di organi locali di Cassazione, ma di grandi Corti regionali di revisione, terza istanza competente nel diritto e nel fatto, deputata alla difesa del jus litigatoris e non del jus constitutionis”91. 9.– segue: E) La “formula” di Ferdinando Rocco e l’”incontro” con Luigi Sturzo. Gli auspici del Consiglio di Stato, che in sede coordinamento dello Statuto con la Costituzione, l’Assemblea costituente riformasse l’art. 23, andarono delusi. Come è noto, il coordinamento dello Statuto con la Costituzione non venne mai effettuato. Poco dopo la pubblicazione (27 dicembre 1947) e l’entrata in vigore (1° gennaio 1948) della Costituzione, con legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 2, lo Statuto della Regione Siciliana veniva “costituzionalizzato”, con la formula “Lo statuto della Regione Siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica, ai sensi e per gli effetti dell’art. 116 della Costituzione”. 91 Il discorso di Macaluso è riprodotto nel lavoro di G. MONTALBANO, Consiglio di Stato e Cassazione in Sicilia, in Scritti giuridici in onore di Giovani Salemi, Giuffrè, Milano, 1961, 258 ss. 60 Al 2° comma dello stesso articolo veniva previsto che le modifiche ritenute necessarie dallo Stato e dalla Regione sarebbero state, entro due anni, “approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l’Assemblea regionale della Sicilia”. Ma tale disposizione venne impugnata dal Presidente della Regione Siciliana con ricorso all’Alta Corte per la Regione Siciliana (prevista dall’art. 24 dello Statuto), la quale, con sentenza del 10 settembre 1948, dichiarava la illegittimità costituzionale della disposizione, affermando che lo Statuto avrebbe potuto essere modificato soltanto con il procedimento di revisione previsto dall’art. 138 Cost.92 Con il consolidamento dello Statuto, non avrebbe dovuto sorgere alcun ostacolo per la sua piena attuazione per quanto concerne l’istituzione delle due sezioni del Consiglio di Stato. Una volta che l’art. 23 dello Statuto rimaneva immutato, era lecito attendersi che il Consiglio di Stato non si opponesse alla sua “piena” attuazione, che si presentava proprio come la soluzione che lasciava totalmente integra la competenza dell’istituto. Ma la vicenda andò in tutt’altro senso. Come risulta da una testimonianza di Guido Landi, all’epoca referendario del Consiglio di Stato, che fu membro effettivo del Consiglio di Giustizia Amministrativa a partire dalla sua costituzione, “il decentramento del Consiglio di Stato, sia come organo di giurisdizione, sia, ed ancora più, come organo di consulenza del Governo nello Stato unitario, che avrebbe dovuto accingersi ad affiancare la ancora sconosciuta Amministrazione regionale, era fenomeno assolutamente nuovo nella storia di Italia, e non tale da non suscitare diffidenze e resistenze”. Continua Landi che queste furono superate soltanto mercé la “formula che…diede vita al Consiglio di Giustizia Amministrativa”, la quale “si dovette in buona parte all’incontro tra un uomo di vasta esperienza giuridico-amministrativa, l’allora presidente del Consiglio di Stato Ferdinando Rocco, ed un grande uomo politico siciliano, Luigi Sturzo” 93. Le considerazioni di Landi proseguono con alcune espressioni che, 92 Vedi la precedente nt. 15. G. LANDI, Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Trentotto anni di storia, in La giustizia amministrativa in Sicilia. Atti del Convegno, Giuffrè, Milano, 1988, 35. 93 61 specialmente di fronte alle delusioni successive, appaiono oggi ingiustificatamente apologetiche, presumibilmente dovute all’effettivo buon funzionamento del Consiglio nei primi anni dalla sua costituzione ed al ricordo di un’esaltante esperienza giovanile: “Evitata la macchinosa e costosa creazione delle due sezioni regionali, che sarebbe stata imposta da una letterale attuazione dello statuto, nacque un consesso idoneo ad esercitarne pienamente le funzioni, in cui si fondeva l’esperienza giuridico-amministrativa del Consiglio di Stato e della Amministrazione civile dell’interno, con la conoscenza viva ed immediata dei problemi siciliani, portata dalle personalità di designazione regionale chiamate a partecipare tanto alla funzione consultiva, quanto alla funzione giurisdizionale”. L’attribuzione della “formula” che consentì di superare le difficoltà che si frapponevano all’istituzione delle sezioni, “all’incontro” – si noti che Landi si guarda bene dall’adoperare espressioni come “accordo” o simili - tra Ferdinando Rocco e Luigi Sturzo è confermata dalla diretta ed illuminante testimonianza del secondo. “Scrivo queste pagine, anzitutto per ricordare a molti che lo ignorano come si arrivò alla formulazione del decreto legislativo presidenziale dell'8 maggio 1948 n. 654. E posso ricordarlo di prima mano, per la parte avuta, in seguito a insistenze del presidente regionale del tempo, on. Giuseppe Alessi, presso il presidente del consiglio dei ministri, on. De Gasperi. Eravamo tra la fine del 1947 e i primi mesi del 1948; a sei mesi dal funzionamento dell'assemblea e del governo regionale, non era stato ancora attuato il disposto dell'art. 23 dello Statuto siciliano. Le altre norme di attuazione dello Statuto erano state emanate con vari decreti legislativi del capo provvisorio dello Stato, quali quelli del 25 marzo 1947 per gli organi della regione e per il funzionamento dell'assemblea; del 10 maggio 1947 per il commissario dello Stato; del 30 giugno 1947 per alcune norme transitorie; del 15 settembre 1947 per l'Alta Corte. Ma non erano ancora stati proposti i decreti legislativi per le sezioni del Consiglio di Stato e quelle della Corte dei conti, che dovevano completare il sistema organico amministrativo e giurisdizionale della Regione. Le mie insistenze presso il presidente De Gasperi portarono a vari colloqui con il presidente del Consiglio di Stato, il dr. Ferdinando Rocco, per la parte che riguardava le due sezioni da istituire a Palermo; mentre il presidente della Corte dei conti, dr. Augusto Ortona, studiava il problema di sua competenza. Nessuna difficoltà giuridica fu sollevata da parte della Corte dei conti, sia per la sezione di controllo, sia per la sezione giurisdizionale (uffici distaccati di controllo non mancavano in Sicilia presso l'alto commissariato istituito con decreto del 28 dicembre 1944, e non mancavano nelle varie amministrazioni centrali e periferiche dello Stato); ma per la istituzione di due nuove sezioni del Consiglio di Stato, fu sollevata una notevole opposizione con argomenti, per quanto giuridicamente superabili, pur degni di considerazione. “Fu allora che il presidente Rocco sia per risolvere un problema politico immanente con accorgimenti tali da superare le difficoltà affacciate da varie parti, sia per oggettive ragioni giuridiche, studiò uno schema di progetto, che poi divenne materia del decreto legislativo del 6 maggio 1948”. 62 Dopo avere rammentato quanto “lo statuto siciliano prescrive tassativamente”, Sturzo così prosegue: “Per la storia. qui mi corre l'obbligo di dire che il presidente Rocco, che ebbe più volte l'amabilità di onorarmi di sue visite e comunicarmi le sue idee, non dubitò mai che la competenza dell'istituendo consiglio regionale di giustizia amministrativa fosse pari a quella delle due sezioni regionali previste dallo Statuto. Nel caso contrario, vi sarebbe stata una palese violazione costituzionale. “Ciò nonostante, la mia prima impressione, a leggere lo schema proposto, fu di perplessità, sia per la struttura del nuovo istituto, sia per le disposizioni dei tre ultimi capoversi dell'articolo 5. La sostanza di tali disposizioni è perfettamente aderente alle norme funzionali del Consiglio di Stato; ma la formulazione mi sembrava potesse dar luogo a non esatte interpretazioni. “Fui tranquillizzato nelle mie perplessità dalla disposizione esplicita dell'art. 1 che è fondamentale, ove è detto: “il Consiglio esercita, le funzioni consultive e giurisdizionali spettanti alle sezioni regionali del Consiglio di Stato previste dall'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana”. “Una delle due: o la legge costituzionale (nel caso art. 23 dello Statuto) dà la qualifica alla legge di esecuzione sia nello spirito che nella portata, (come è ovvio pensare), e nessuno potrebbe interpretare la legge alterando la natura dell'istituto voluto dalla norma costituzionale e confermato dall'art. 1 della legge stessa. Ovvero, ciò nonostante, la legge contiene disposizioni contrarie allo Statuto e dovrà essere dichiarata incostituzionale. “Nel caso in esame, la seconda ipotesi sarebbe da scartare sia per i precedenti legislativi da me accennati, precedenti che si riferiscono alla particolare veste del proponente, presidente del Consiglio di Stato e di alta posizione culturale; sia per la volontà di attuare l'articolo 23 dello Statuto consacrata esplicitamente nel 1° articolo del decreto legislativo del 6 maggio 1948”. Nel ricostruire la nascita del Consiglio di giustizia, a spiegazione ulteriore della formula adotta, Sturzo rammenta poi: “gli stati d'animo formatisi, e nel campo politico e in quello giuridico durante la prima attuazione degli statuti regionali, specialmente quello della regione siciliana, la quale, a differenza delle altre, poté ottenere le sezioni del Consiglio di Stato, quella giurisdizionale, della Corte dei conti, e per giunta l'istituzione di un'Alta Corte per le vertenze di legittimità costituzionale. “Ciò sembrò a parecchi un distacco giuridico della Sicilia dalla Nazione, una ferita alla unità politica, una menomazione dei poteri amministrativi; del funzionarismo statale. La offensiva di politici e di giuristi, la resistenza della burocrazia ministeriale per la esecuzione dello Statuto e delle singole leggi di attuazione, e di tanto in tanto, le decisioni del magistrato e le posizioni prese dal Consiglio di Stato, sia in sede consultiva che in sede giurisdizionale, corrisposero ad uno stato d'animo del quale occorre rendersi conto”94. Dalla testimonianza di Sturzo si evince chiaramente: 1°) che lo schema, poco dopo divenuto il decreto n. 654 del 1948, venne interamente concepito da Rocco – e quindi dal Consiglio di Stato -; 2°) che non si trattò di un “accordo”, ma di una proposta che Sturzo accettò bon grè malgrès, per sbloccare la situazione di impasse che si era determinata; 3°) che per quanto concerne la 94 L. STURZO, Il decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654, in Il diritto pubblico della Regione, 1955, fascicolo primo, 1955, 1 ss. 63 “struttura del nuovo istituto”, vale a dire la sua composizione, Sturzo aveva avuto delle perplessità95; 4°) che tali perplessità erano state rimosse, più che superate, con un atto di fiducia nei confronti del “proponente”: la carica dallo stesso rivestiva ed il riconoscimento della sua elevatezza culturale inducevano l’illustre uomo politico siciliano a scartare l’ipotesi, che pure gli si era affacciata alla mente, che le disposizioni predette potessero essere interpretate in modo contrastante con le previsioni dettate dalla “legge costituzionale (nel caso l’art. 23 dello Statuto)”96. 10. – Il silenzio della dottrina nei primi anni di funzionamento del C.G.A. Il vaglio di costituzionalità della Corte di cassazione (SS.UU. n. 2994 del 1955) e l’unanime dissenso della dottrina. Trascorrevano alcuni anni dall’istituzione (come abbiamo visto, con decreto del 15 maggio 1948, n. 654, pubblicato nella G.U. del 12 giugno 1948) e dall’inizio del funzionamento (27 luglio 1948) del Consiglio, senza che in dottrina apparisse nessun contributo sulla natura giuridica del Consiglio e sulla sua conformità o meno allo Statuto ed alla Costituzione97. 95 Riguardo alle altre perplessità, concernenti “le disposizioni degli ultimi tre capoversi dell’art. 5”, vale a dire l’appello all’adunanza plenaria sulle decisioni del C.G.A .concernenti atti statali (3° comma), e la devoluzione alla stessa delle questioni che abbiamo dato o possono dare luogo a contrasti giurisprudenziali con le sezioni giurisdizionali (4° comma), nonché dei conflitti di competenza tra il C.G.A. in sede giurisdizionale e le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato (5° comma), Sturzo fa riferimento all’orientamento dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione secondo il quale sarebbero stati da considerare provvedimenti delle autorità amministrative delle Stato, soggetti, quindi al doppio grado di giudizio (C.G.A. ed Ad. Plen.) persino quelli emessi da organi regionali nelle materie di legislazione esclusiva (art. 14 Statuto), in quanto, in mancanza del passaggio dei poteri previsto dall’art. 43 St., che si riteneva non attuato gli organi regionali avrebbero agito come organi dello Stato. Alla stregua di tale interpretazione, il presidente del C.G.A., Carlo Bozzi, non esitava ad affermare, con uno scritto pubblicato di seguito a quello di Sturzo, che l’art. 5 fosse da ritenere incostituzionale (C. BOZZI, Consiglio di giustizia, Consiglio di Stato e Costituzione, in Dir. Pubbl. Reg., 1955, 6 ss.). 96 Che il decreto del 1948 sia stato in concreto dettato dal Consiglio di Stato è confermato anche nel citato scritto di G. SALEMI, Dieci anni di esperienze di decentramento della giustizia amministrativa in Sicilia, il quale, dopo avere affermato con decisione che i compilatori dello Statuto avevano voluto l’istituzione in Sicilia delle Sezioni del Consiglio di Stato composte esattamente come le sezioni già esistenti in sede centrale (v. nota n. 23), fa presente che il decreto del 1948, il quale a tali previsioni non si era conformato, si ispirò ai “pareri del Consiglio di Stato e del suo illustre presidente” (pag. 73). 97 In uno scritto di Carlo Bozzi, presidente del C.G.A. sin dalla sua fondazione, dopo un riferimento all’atto di nascita del Consiglio, al numero di ricorsi presentati “da quel giorno”, al numero di ordinanze e decisioni pubblicate, si legge: “Eppure la costituzionalità del decreto istitutivo è ancora in discussione: mai sollevata, comunque mai espressamente decisa in sede giurisdizionale (in nota: “Soltanto in questi giorni le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, alle quali la questione è stata sottoposta, hanno avuto occasione di decidere, pare in senso favorevole 64 Con un ricorso proposto davanti alla Corte di cassazione a sezioni unite (la Corte Costituzionale non era stata ancora costituita), avverso una decisione del C.G.A. in sede giurisdizionale del 1953, veniva sollevata la questione di costituzionalità delle norme disciplinanti la sua composizione, che veniva decisa negativamente con sentenza 11 ottobre 1955 n. 299498 Secondo quanto si legge nella stessa pronunzia, era stato dedotto che “mentre l’art. 23 dello Statuto siciliano prevedeva l’istituzione in Sicilia di sezioni degli organi giurisdizionali centrali, invece l’organo che è stato costituito in Sicilia…non avrebbe i caratteri che sono propri alle sezioni del Consiglio di Stato, in guisa da atteggiarsi come un giudice speciale, e da offrire minori garanzie ai singoli”. La motivazione della sentenza è affidata a considerazioni che si possono così compendiare. Non necessariamente ciascuna sezione di un organo giurisdizionale deve avere le medesime caratteristiche delle altre. In altri termini la nozione di sezione non rimane ancorata all’esigenza di uniformità strutturale. Quello che rileva è l’inquadramento dell’organo in più ampio ufficio. In particolare la composizione di una sezione può essere variata in funzione della “natura delle controversie” devolute all’organo stesso, senza che per questo possa dirsi istituito un giudice speciale e possano ritenersi violate le garanzie del singolo. Alla stregua di tali premesse, si afferma che nel Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana si riscontrerebbe “quella compenetrazione organica che … rappresenta il nucleo essenziale, ineliminabile del concetto di sezione”. La “diversità” di composizione del Consiglio di Giustizia Amministrativa rispetto alle sezioni del Consiglio di Stato non sarebbe “senza motivo”, ma sarebbe “giustificata ratione materiae”. Il Consiglio, si aggiunge, “non esercita alla costituzionalità), essa ha formato oggetto di riserve e obiezioni, specie in sede politica, da parte di membri dell’Assemblea regionale siciliana:…manca, o lo ignoro, uno studio, il quale abbia affrontato, in termini strettamente giuridici, il problema di carattere costituzionale, sulla natura del Consiglio, e il problema, anche questo di carattere costituzionale, sui rapporti tra il Consiglio di giustizia e il Consiglio di Stato” (C. BOZZI, Consiglio di Giustizia Amministrativa Consiglio di Stato e Costituzione, cit. Dello stesso autore., Consiglio di giustizia amministrativa, in N.ss. dig. it., IV vol., 1959, 142 ss. ) 98 in Foro. amm. 1956, parte II, sez. I, 42 ed in Giust. Civ. 1955, I, 1584 ss. con nota di A.M. SANDULLI, Sulla natura del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. 65 soltanto le attribuzioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (impugnazione degli atti delle amministrazioni statali), ma anche dell’amministrazione regionale. Ed è questo il motivo che spiega la partecipazione di componenti designati da un organo locale, la Giunta regionale, presumibilmente meglio informati delle esigenze locali e più sensibili ad esse”. Le Sezioni unite ritenevano altrettanto infondata la censura secondo la quale rispetto ai magistrati non togati risultava vulnerato il principio dell’indipendenza del giudice dal potere esecutivo, principio che, ben più rigoroso in relazione ai magistrati ordinari, relativamente alle giurisdizioni speciali ed agli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia si adeguerebbe “con una valutazione necessariamente elastica, alle concrete peculiarità dei vari organi speciali o specializzati, informandosi alle ragioni che ispirano la costituzione dell’organo”. Sarebbe risultata giustificata pertanto la designazione di due membri estranei da parte della Giunta regionale, destinati a “portare nel contesto giurisdizionale regionale la voce viva dei bisogni, delle aspirazioni, delle esigenze della Sicilia”. A presidio della loro indipendenza è previsto, concludevano al riguardo le Sezioni unite, l’affidamento della loro nomina “alla più alta Autorità dello Stato”. Non sarebbe censurabile neppure la temporaneità della carica, che “è l’imprescindibile corollario della estraneità dei membri anzidetti all’organizzazione giurisdizionale”. Nell’impeto dettato dalla volontà di salvare comunque il Consiglio di Giustizia, le Sezioni unite si spinsero fino al punto da affermare che neppure la possibilità di riconferma dopo la scadenza del quadriennio - prevista dall’originario decreto del 1948 e successivamente venuta meno per effetto di una pronunzia della Corte Costituzionale (n. 25 del 1976) - sarebbe stata censurabile stante che non solo “Il potere di nuova nomina spetta sempre al Presidente della Repubblica”, ma “la designazione concerne due soltanto dei membri e … comunque il voto di ciascuno dei componenti rimane segreto”. In definitiva si sarebbe rivelata “del tutto infondata” l’affermazione secondo la quale l’art. 23 dello Statuto sarebbe stato “tradito nel suo spirito”. 66 Alla Sicilia non era stato dato un consesso amministrativo “capite deminutus”. Una volta che risultavano rispettate le fondamentali esigenze nella costituzione del giudice ed assicurata la compenetrazione organica con il Consiglio di Stato, le variazioni morfologiche del Consiglio “sono in funzione di quella stessa esigenza di decentramento, che ha giustificato l’istituzione dell’ente Regione”. La pronunzia delle Sezioni unite si sarebbe rivelata come un indistruttibile monumento, oggetto di venerazione, da oltre mezzo secolo, da parte dalla giurisprudenza, che ad essa si è costantemente attenuta, mentre sin dal suo apparire ha riscosso critiche dalla dottrina pressoché unanime. Invero nell’ambito di questa una sola voce si levò a sostegno della costituzionalità del D. Lgs. n. 654 del 1948, ma con argomentazioni - cui peraltro non furono estranee le dichiarate preoccupazioni dettate dal “senso di responsabilità del giurista” – le quali, alla luce dell’evoluzione successiva registratasi in ordine alle competenze del Consiglio, si sarebbero rivelate palesemente a favore della incostituzionalità della disciplina. Ci riferiamo all’opinione che aveva decisamente negato che il Consiglio di Giustizia Amministrativa si potesse configurare come sezione o complesso di sezioni del Consiglio di Stato, ma aveva parimenti escluso l’incostituzionalità delle disposizioni scrutinate per avere ritenuto che al Consiglio erano state affidate soltanto alcune delle attribuzioni del Consiglio di Stato “riflettenti la Sicilia”, ma non tutte, restandone escluso, relativamente alle funzioni giurisdizionali, tutto il contenzioso relativo a provvedimenti statali e comunque di enti diversi dalla Regione, non posti in essere in modo definitivo da autorità locali. Per quanto concerne le funzioni consultive, quelle del Consiglio di Stato, si precisa, attengono a provvedimenti (amministrativi o legislativi) statali, mentre il Consiglio di giustizia è organo di consulenza del Governo regionale. Aveva al riguardo precisato: “Perché una violazione dell’art. 23 sussistesse, sarebbe necessario, in più, che il Consiglio di Giustizia Amministrativa avesse assorbito tutte le funzioni consultive o tutte le funzioni 67 giurisdizionali del Consiglio di Stato riflettenti la Sicilia”99. E’ esattamente quello che è avvenuto a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1975 per merito della quale il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha avuto riconosciuta la medesima competenza generale di primo grado degli altri Tribunali amministrativi regionali, e delle decisioni del Consiglio di Stato in adunanza plenaria n. 21 del 1978 e n. 18 del 1979, per effetto delle quali al Consiglio di giustizia amministrativa è stata riconosciuta la competenza d’appello su tutte le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia. La rammentata posizione veniva condivisa soltanto in parte da altro autore, il quale, dopo avere anch’egli negato che il Consiglio di Giustizia Amministrativa si potesse configurare come sezione del Consiglio di Stato, affermava doversi pertanto riconoscere che con il D. Lgs. n. 654 del 1948 era stata istituita “in considerazione dell’autonomia siciliana, una giurisdizione speciale dopo l’entrata in vigore della nostra Costituzione”100. Precisava che potevano risultare conformi a Costituzione quelle sottordinate alle giurisdizioni riconosciute e fatte salve dalla Costituzione, le quali si presentavano come “un arricchimento della tutela giurisdizionale”. La sottordinazione, che si esprime mediante l’appellabilità delle decisioni dell’organo inferiore, veniva a rappresentare l’unica garanzia del rispetto della norma costituzionale. In altri termini mantenere o anche istituire nuovi organi giurisdizionali potrebbe ritenersi ammissibile “purché se ne effettui, mediante l’appello, il coordinamento con i vari organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa riconosciuti dalla Costituzione”. Alla stregua di tale costruzione, (soltanto) le giurisdizioni sottordinate nel senso predetto “non possono considerarsi speciali” ai sensi dell’art. 102 Cost.. Relativamente al Consiglio di Giustizia Amministrativa la sottordinazione al Consiglio di Stato non si presentava completa perché in alcune materie i due giudici erano in rapporto di parità o di equiordinazione e 99 A.M. SANDULLI, Sulla natura del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, citata nella nota precedente che può leggersi anche in Studi in on. di G.M. De Francesco, Milano, 1957, 591 ss., ed in Scritti giuridici, vol. V, Napoli, Jovene, 1990,411. 100 E. CANNADA BARTOLI, In tema di giurisdizioni speciali e di Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (nota a Cass. Sez. Un. 15 gennaio 1957, n. 69), in Foro amm. 1957, parte II, sez. I, 264 ss. 68 le decisioni del Consiglio siciliano erano inappellabili. Donde la necessità che il legislatore provvedesse o a configurare il Consiglio di Giustizia come giurisdizione del tutto sottordinata al Consiglio di Stato o a renderne chiara la natura di sezione in conformità all’art. 23 dello Statuto. Il riferimento all’art. 102 Cost. contenuto nella sentenza delle Sezioni Unite veniva ripreso in un altro contributo, nel quale veniva sottolineato che “il concetto di “sezione specializzata” appare del tutto estraneo alla giurisdizione amministrativa, proprio secondo l’art. 102 Cost., che ha esclusivo riguardo alla giurisdizione ordinaria”101. La limitazione a tale giurisdizione e la previsione secondo la quale siffatte sezioni possono essere istituite in via di eccezione e per determinate materie, escludono “la possibilità di variare la composizione numerica e qualitativa delle altre sezioni, per quel che riguarda la competenza generale ordinaria, ed, a fortiori, delle sezioni degli organi di giustizia amministrativa, già di per sé caratterizzati dalla loro “specialità””. Ed il C.G.A. esercita nella Regione Siciliana proprio “le funzioni spettanti al Consiglio di Stato ed è organo, quindi, a competenza ordinaria, di talché ancora più manifesta apparirebbe la violazione costituzionale se si ritenesse che l’organo di giustizia amministrativa istituito in Sicilia costituisce una sezione del Consiglio di Stato, sia pure morfologicamente modificata”. In conclusione, il C.G.A. non aveva realizzato in Sicilia il decentramento delle sezioni del Consiglio di Stato, come previsto dall’art. 23, ma veniva a costituire “al contrario, un organo nuovo, diverso dal Consiglio di Stato, del quale esercita sì le medesime funzioni, ma del quale viola, allo stesso tempo, l’essenza fondamentale dell’unitarietà, attraverso l’istituto dell’appello all’adunanza plenaria”. Si sono sin qui ricordate le principali opinioni espresse “a caldo” sulla sentenza delle sezioni unite del 1955, peraltro ben presto seguita dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (che ritenne costituzionalmente 101 T. MARTINEZ, Ancora sulla costituzionalità dei decreti legislativi emessi dopo il 1° gennaio 1948, in particolare esame della costituzionalità del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Foro pad., 1956, IV, 19. 69 legittima la previsione dell’appello all’adunanza plenaria)102. Ma non appare superfluo aggiungere che anche successivamente, allorché ha avuto occasione di ritornare, seppure incidentalmente, sulla composizione del Consiglio di giustizia amministrativa, e di considerare l’insuccesso del tentativo di ottenere la declaratoria di incostituzionalità della disciplina dettata nel 1948, la dottrina non ha mancato di affermare, chiaramente o attraverso perifrasi, di considerare la sentenza delle sezioni unite come manifestazione della ”volontà” di salvare il Consiglio di giustizia103. 102 Cons. Stato, ad plen. 20 ottobre 1956, n. 16, in Foro amm. 1957, I, IV, 30, e 3 maggio 1960, n. 5, ivi 1960, I, 346, quest’ultima annotata criticamente da F. TERESI, In tema di appello delle decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa e di costituzionalità del d.l.vo 6 maggio 1948 n. 654, in Giur. sic. 1961, 658, il quale si pronunziava nettamente per l’incostituzionalità del D.lgs. n. 654 del 1948, ritenendolo in contrasto con l’art. 23 St. sic., e con l’art. 102 cost. 103 Pur senza fare un esplicito riferimento alla sentenza delle SS.UU., nega la natura di sezione del Consiglio di Stato del C.G.A. P. VIRGA, La giustizia amministrativa in Sicilia, in La giustizia amministrativa in Sicilia. Atti del Convegno, cit.: “Ora è da escludere che il Consiglio di giustizia amministrativa possa identificarsi in quella “sezione” del Consiglio di Stato, che è prevista dallo Statuto. Ciò si desume, tra l’altro, dal fatto che i magistrati del Consiglio di Stato che fanno parte del C.G.A. vengono collocati fuori ruolo, dal fatto che il Presidente del C.G.A. non fa parte del Consiglio di presidenza del Consiglio di Stato e dal fatto che del Consiglio di giustizia amministrativa fanno parte anche “giuristi” designati dalla Giunta regionale”. Aggiunge l’autore che la non identificabilità del C.G.A. in una sezione del Cons. Stato aveva trovato autorevole conferma nella sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976, nella quale si legge che, a fronte dell’art. 23 dello Statuto, il quale aveva previsto l’istituzione in Sicilia di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, con il D.Lgt. era stato invece istituto “un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una propria particolare fisionomia e struttura”. Invero una sola voce ebbe a levarsi, incidentalmente, in occasione della vicenda costituita dall‘approvazione della legge n. 1034 del 1971 e della sentenza della Corte cost. n. 61 del 1975, nel senso dell’adesione alla sentenza della Corte di cassazione: G. MONTELEONE, Il nuovo regime della giustizia amministrativa in Sicilia, in Dir. soc. 1975, 405 ss., spec. 414, secondo il quale sarebbe stato “sostanzialmente rispettato l’art. 23 dello Statuto speciale siciliano, poiché esso nel suo spirito mirava e mira al decentramento in Sicilia della giurisdizione amministrativa del Consiglio di Stato sugli affari concernenti la Regione, e non aveva invece speciale riguardo alla struttura dell'organo che quella giurisdizione avrebbe esercitato; di fronte all'identità della funzione l'aspetto strutturale ed organico assume a nostro avviso, da questo punto di vista, rilievo affatto secondario”. E’ agevole osservare che l’art. 23 non vuole il decentramento della giurisdizione amministrativa, quale che sia, ma una sezione del Consiglio di Stato (come della Corte di cassazione e della Corte dei conti). Nello stesso lavoro, peraltro, l’autore, richiamando l’art. 108, cpv., Cost. secondo il quale la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia, dopo avere ricordato che i membri estranei alla magistratura vengono designati dalla giunta regionale siciliana, durano in carica quattro anni e possono essere riconfermati, riconosce quanto segue a proposito delle designazioni dei membri laici del C.G.A.: “In pratica avviene che tali componenti vengono designati dal governo della regione non con riguardo alle loro specifiche doti di “giuristi”, ma in obbedienza a criteri meno ortodossi di spartizione degli incarichi fra varie correnti, gruppi politici, onde nei loro confronti opera non un singolo, ma un duplice condizionamento: uno iniziale e di appartenenza, non generica, di opinione ma ben più stretta e vincolante di iscrizione o associazione, ad un determinato schieramento politico, propone ed impone la designazione; uno finale, consistente nella riconferma dell'incarico, sul quale il primo si riverbera, poiché è facile pensare che il gruppo politico di appartenenza riproporrà la designazione tanto più facilmente quanto più sia stato soddisfatto nelle sue aspettative”. Ora, per quanto concerne la possibilità di riconferma, si trattava di un 70 Meritano di essere ricordati in modo particolare le convergenti opinioni espresse a seguito dell’approvazione della legge n. 1034 del 1971, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, da due autori. Il primo, dopo avere affermato l’incostituzionalità della composizione dell’organo, rammentava che il suo “salvataggio” (– espressione che sembra scelta per sottolineare il carattere di “atto di volontà”, più che di giudizio, della sentenza -) era stato “operato nel 1955 dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sent. n. 2994…”104. Il secondo, ben più esplicito, affermava: “Tutti ricordano come di dubbi la Corte di cassazione – chiamata con una famosa sentenza a pronunciarsi sulla legittimità dell’istituzione del consiglio - non abbia avuto; anche se lo stesso non si può dire per la dottrina che la precedette e la seguì, come fu subito chiaro”. “La sentenza della Corte di cassazione interessa più per la forza “normativa” del fatto che per la sua intrinseca forza logica. A leggerla si ha l’impressione che l’importanza politica della decisione che essa era chiamata a rendere (e che avrebbe cancellato dal mondo un organo giurisdizionale dopo ben sette anni dall’istituzione) non rimase estranea alle concrete ragioni del decidere, e, del resto, a quanto si disse, codesta consapevolezza fu propria di più di uno dei partecipanti alla votazione”105. A rileggere a distanza di oltre mezzo secolo la sentenza delle sezioni unite, mentre appaiono pienamente condivisibili le critiche che si sono rammentate, si rimane colpiti da un aspetto che non sembra sia stato colto da parte dei diversi commentatori della sentenza. La Corte, in relazione alle deduzioni dei ricorrenti riguardanti le minori garanzie derivanti dalla mancanza dell’inamovibilità dei componenti laici, richiamava l’art. 108 Cost., condizionamento che poteva essere rimosso, come è stato effettivamente rimosso con sentenza della Corte costituzionale 25 del 1976. Ma il primo condizionamento, esattamente individuato dall'autore, impinge proprio sulla composizione mista dell'organo. In ciò è agevole scorgere una contraddizione con la precedente affermazione, secondo la quale siffatta composizione sarebbe conforme all'articolo 23 dello statuto, sebbene questo preveda espressamente una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato. 104 E. CANNADA BARTOLI, Tre giudici per la Trinacria, in Foro amm. 1974, 27. 105 F. MAZZARELLA, Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana dopo l'istituzione dei tribunali amministrativi regionali, in Foro it. 1973, IV, 177. In un lavoro di poco successivo (L’art. 3 della Costituzione e la disciplina processuale amministrativa differenziata in Sicilia, in Foro it. 1974, V, 18), redatto a seguito dell’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del 26 aprile 1974, con la quale era stata sollevata la questione di costituzionalità dell’art. 40 L. 1034 del 1971 (che limitava la competenza del T.A.R. siciliano alle materia già appartenenti alla soppresse giunte provinciali amministrative ed al contenziosi elettorale) lo stesso autore affermava la natura di organo di giurisdizione speciale del C.G.A. 71 2° comma, a proposito del quale, dopo avere precisato che la prerogativa della inamovibilità dei magistrati è sancita in Costituzione soltanto per i magistrati ordinari, mentre “la determinazione delle modalità e dei limiti dell’indipendenza degli altri giudici è rimessa alla legge ordinaria”, alla quale compete di dettare una disciplina adeguata “alle concrete peculiarità dei vari organi speciali o specializzati”, affermava che relativamente al C.G.A. la designazione dei membri laici da parte della Giunta regionale sarebbe giustificata dalla considerazione che essi “dovevano portare nel consesso giurisdizionale regionale la voce viva dei bisogni, delle aspirazioni, delle esigenze della Sicilia”. Come appare evidente, si tratta di un ordine di idee che è assai lontano dalla concezione secondo la quale il giudice amministrativo deve ius dicere, ed addirittura confligge con la natura giurisdizionale del Consiglio di Stato e dei giudici pariordinati o sottordinati. I bisogni, le aspirazioni, le esigenze della Sicilia sono affidati al legislativo ed all’esecutivo regionale e non certo al Consiglio di giustizia amministrativa. L’espressione adoperata dalle sezioni unite peraltro sembra ispirata dalla concezione della giustizia amministrativa come giurisdizione di diritto oggettivo, che, sebbene non recepita dalla Costituzione del 1948, la quale chiaramente accoglie la concezione della giustizia amministrativa come tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, era ancora fortemente presente nella dottrina dell’epoca nella quale la sentenza fu pronunziata106. 106 G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, II, La giustizia amministrativa, Milano 1958, 6, definisce la giustizia amministrativa "il complesso degli istituti diretti a garantire la legittimità dell'azione amministrativa e il buon uso del potere discrezionale da parte delle pubbliche amministrazioni, rispetto ai diritti e agli interessi delle persone fisiche e giuridiche che sono sottoposte alla sua potestà". Nello stesso senso E. GUICCIARDI, La giustizia amministrativa, Padova 1954, il quale la definisce "il complesso degli istituti, di qualunque natura, diretti ad assicurare l'osservanza da parte dell'Amministrazione dei limiti imposti all'esercizio della sua attività”. Osserva V.E. ORLANDO, Giustizia amministrativa, in Primo trattato completo di Diritto amministrativo italiano (a cura dello stesso V.E. Orlando), vol. III, Milano 1901, 728-9, che la concezione della giurisdizione amministrativa come giurisdizione di diritto obiettivo, trae origine dalla necessità avvertita dalla scuola giuspubblicistica tedesca dello scorso secolo, di conciliare la giurisdizione amministrativa con i preconcetti autoritari propri di essa, dei quali è una manifestazione la ripugnanza ad ammettere che un privato possa fare valere una propria posizione giuridica contro un atto amministrativo, esercizio di pubbliche Orlando, dopo avere criticato l'opinione della scuola giuspubblicistica tedesca, perviene alla conclusione della natura non giurisdizionale, ma amministrativa, della competenza attribuita alla IV sez. del Consiglio di Stato dalla legge del 1889. Per una critica serrata della concezione 72 della giurisdizione di diritto obiettivo (e non di meno della concezione orlandiana della natura non giurisdizionale della competenza attribuita alla IV sez.) F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano s.d. ma 1910, 277 s. 73 CAPO III La riconfigurazione del Consiglio di giustizia amministrativa in sede giurisdizionale ad opera del giudice costituzionale e del giudice amministrativo. 1. – I nodi derivanti dalla anomalia del Consiglio di giustizia amministrativa, i progetti di riforma dello stesso nelle prime tre legislature repubblicane e l’istituzione degli organi di giustizia amministrativa di primo grado in attuazione dell’art. 125, 2° comma, cost. 1.1. - I nodi derivanti dall’anomalia del Consiglio di giustizia amministrativa venivano al pettine allorché si poneva mano all’attuazione dell’art. 125, 2° comma, cost., secondo il quale “Nelle Regioni sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento stabilito da leggi della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione”107. Appare opportuno ricostruire, per sommi capi, la vicenda dell’attuazione legislativa dell’art. 125, 2° comma, con riferimento alla problematica che tale attuazione, nel corso delle diverse elaborazioni, costantemente poneva in relazione alla Regione siciliana, al fine di evidenziare: a) come la composizione mista del Consiglio abbia costituito la palla al piede di ogni serio tentativo di dare, secondo l’ordinaria via legislativa, al sistema della giustizia amministrativa nella Regione siciliana, un assetto che si rivelasse di per sé coerente ed al contempo rispettoso dell’art. 23 dello Statuto e dei principi costituzionali; b) come la formula di Ferdinando Rocco imposta per un malinteso senso di salvaguardia dell’unitarietà del Consiglio di Stato, per un processo di eterogenesi dei fini, si trasformava in una irrinunciabile prerogativa della classe politica siciliana; c) come, per risolvere in qualche modo il guazzabuglio venutosi a determinare con la generalizzazione della 107 Sull’art. 125, 2° comma, Cost., v. il commento di V. CAIANIELLO in Le Regioni, le Province, i Comuni (Commentario della Costituzione fondato da G. Branca), tomo II, Bologna, Zanichelli – Il Foro italiano, 1990, 351 ss. 74 competenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, proprio il Consiglio di Stato ha finito per configurare il Consiglio di giustizia amministrativa, rimasto a composizione mista, come giudice con competenza generale di appello – anche per gli atti statali - sulle pronunzie di un giudice interamente togato. 1.2. - Sebbene la previsione relativa agli organi di giustizia amministrativa di primo grado sia collocata nel titolo V (“Le Regioni, le Province, i Comuni”), anziché nel titolo IV (“La magistratura”), il riferimento alle Regioni (“Nelle Regioni…”) veniva ritenuto di carattere meramente geografico, nel senso che la Regione costituisce soltanto la circoscrizione territoriale dei nuovi organi, con la conseguente possibilità, per il legislatore ordinario, di attribuire ad essi una competenza non limitata agli atti della Regione e degli enti in essa compresi, ma estesa agli atti statali108. Tale impostazione veniva seguita nel progetto elaborato nel corso della prima legislatura repubblicana (1948-53) dall’Ufficio per la riforma dell’amministrazione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (cui era 108 Un orientamento più restrittivo aveva assunto in epoca antecedente all’approvazione della Costituzione la Commissione per la riforma dell’amministrazione presieduta da Ugo Forti (nominata dal Governo Bonomi nel 1944 e che concluse i suoi lavori nel maggio 1946), la quale aveva elaborato uno schema di legge sulla giurisdizione amministrativa che prevedeva l’istituzione di “Tribunali amministrativi regionali” con competenza limitata agli atti delle autorità ed enti pubblici locali (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, La legge generale sulla pubblica amministrazione. L'organizzazione amministrativa dello Stato. L'organizzazione amministrativa degli enti pubblici. La giustizia amministrativa, Roma 1948, 433 ss.). Sui vari progetti predisposti per l’istituzione degli organi di giurisdizione amministrativa di primo grado, in attuazione dell’art. 125, 2° comma, Cost., sulla discussione che si accese in dottrina, e sui lavori parlamentari che portarono all’approvazione della legge n. 1034 del 1971, M. NIGRO, L’ordinamento della giurisdizione amministrativa e l’istituzione dei tribunali amministrativi regionali, in Cons. Stato 1967, 357 ss.; E. CANNADA BARTOLI, L’istituzione dei tribunali amministrativi regionali e la tutela del cittadino in una recente proposta di legge, in Foro amm., 1968, 857 ss.; R. LUCIFREDI (che della vicenda istitutiva fu il principale protagonista), in R. LUCIFREDI – V. CAIANIELLO, I Tribunali amministrativi regionali, Torino, UTET, 1972, 32 ss. ; Id., I Tribunali amministrativi regionali, in Gli statuti regionali. I Tribunali amministrativi regionali, Atti del XVII Convegno di studi di Scienza dell’Amministrazione, Varenna 23 – 25 settembre 1971, Milano, Giuffrè, 1972, 407 ss. (con allegati il disegno di legge approvato dalla Comm. I Affari costituzionali della C.D. nella seduta dell’8 ottobre 1970 e i verbali delle sedute della I^ Comm. del Senato); N. GALLO, La difficile nascita dei Tribunali amministrativi regionali, in Riv. trim. dir. pubbl. 1972, 451 ss.; G. MORBIDELLI, Cronaca parlamentare della legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, ivi, 1972, 2080 ss.; B. CAVALLO, Tribunali amministrativi regionali, in N.ss. Dig. it., XIX, Torino, UTET, 1973, 738 ss.; A. POGGI, Revisione della “forma di Stato” e funzione giurisdizionale: una diversa ripartizione di competenza tra Stato e Regioni?, in Le Regioni 1996, 51 ss., spec. 60 – 64. 75 preposto nella qualità di sottosegretario alla Presidenza, Roberto Lucifredi), nel quale si prevedeva l'attribuzione ai Tribunali amministrativi regionali della giurisdizione di legittimità sui ricorsi avverso atti degli organi amministrativi dello Stato aventi competenza territoriale non eccedente la circoscrizione regionale e contro atti degli enti pubblici locali (art. 14), nonché giurisdizione esclusiva in numerose materie (art. 15). Dall’applicazione della legge veniva sbrigativamente esclusa la Regione siciliana: “La presente legge non si applica alla Regione siciliana” (art. 36)109. Lo stesso Ufficio, a seguito dell’acquisizione dei pareri dei ministeri ai quali il progetto era stato trasmesso, nel 1955, procedeva alla sua revisione. Il progetto revisionato veniva sottoposto al parere del Consiglio di Stato, in adunanza generale, che suggeriva alcune modifiche110. Per quanto concerne la competenza degli istituendi organi di primo grado rimaneva l’impostazione originaria, ma veniva adottata una diversa formulazione (ricorsi contro atti degli organi amministrativi dello Stato, aventi sede nella Regione, degli organi amministrativi delle Regioni, delle Province, dei Comuni, nonché degli organi degli altri enti soggetti alla vigilanza, o alla tutela delle autorità regionali o delle autorità dello Stato nella Regione)111. Totalmente diverse le previsioni relative alla Regione siciliana. Veniva contemplata l'istituzione del “tribunale amministrativo regionale della Sicilia”, avverso le cui decisioni veniva previsto l'appello “innanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana nei limiti della sua competenza” (art. 47)112. La soluzione prospettata, sebbene meno inaccettabile di quella originaria, era però anch’essa eccessivamente sbrigativa, e decisamente criticabile. Si consideri in particolare che, stante la previsione dell’appello al C.G.A. sulle sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia relative agli atti 109 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, Stato dei lavori per la riforma della Pubblica amministrazione, vol. III, Roma 1953, 436 ss. Nella relazione, relativamente all’art. 36, si legge: “Con il disposto dell’articolo 36 si è inteso escludere espressamente l’applicazione della legge alla Regione siciliana, per la quale, in base allo Statuto speciale, sono previsti speciali organi di giustizia amministrativa”. 110 Cons. Stato, Ad. gen,, 20 dicembre 1956, n. 466. Cfr. Il Consiglio di Stato nel settennio 1951-57 (Relazione al Presidente del Consiglio dei ministri), Vol. I – A, Roma, 1959, pag. 133 ss. 111 Il Consiglio di Stato nel settennio 1951-57, cit., pag. 146. 112 Il Consiglio di Stato nel settennio 1951-57, cit., pag. 151. 76 statali, si sarebbero avuti tre gradi di giudizio, dato che la prefigurata innovazione non avrebbe comportato l’abrogazione implicita della previsione relativa all’appello all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato avverso le decisioni del C.G.A. (art. 5, 3° comma, D. Lgs. n. 654 del 1948). La necessità che al contempo si ponesse mano ad una revisione della disciplina dell’organo sedente in Sicilia non sfuggiva, però, ai riformatori dell’epoca. Infatti pressoché parallelamente alle elaborazioni relative all’attuazione dell’art. 125, 2° comma, Cost., veniva progettata una profonda riforma della disciplina sul Consiglio di giustizia amministrativa113. Un primo tentativo in tal senso veniva compiuto nella II legislatura. Veniva presentato dal Governo al Senato, a seguito di “una lunghissima elaborazione”114, un disegno di legge che prevedeva la cessazione della competenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa in ordine ai ricorsi sugli atti emessi dalle autorità statali nella Regione, e conseguentemente l’eliminazione dell’appello all’adunanza plenaria. Veniva conservata la composizione mista. L’iniziativa non andava in porto per le difficoltà che venivano frapposte da alcune parti politiche le quali ritenevano che alcune norme fossero lesive dell’autonomia regionale siciliana115. Nella III legislatura nuovamente veniva presentato (nel 1958) dal Governo alla Camera dei deputati un disegno di legge per la riforma del 113 Il collegamento tra il progetto di istituzione dei Tribunali amministrativi regionali ed il progetto di riforma del decreto n. 654 del 1948 sul C.G.A. risulta palese nella relazione di R. LUCIFREDI, I tribunali amministrativi regionali e riforma del Consiglio di Giustizia amministrativa, al III Convegno di studi di Scienza dell'amministrazione, su La giustizia nella amministrazione, Varenna 1957, Milano, Giuffré, 1959, 42 ss. Ed è confermato dall’esame dei coevi pareri emessi dal Consiglio di Stato in adunanza generale, rispettivamente 28 giugno 1956, n. 261, sul disegno di legge di riforma del C.G.A., e 20 dicembre 1956, n. 466 (già citato), sul disegno di legge concernente la istituzione dei tribunali amministrativi regionali (Il Consiglio di Stato nel settennio 1951-57, cit., pagg. 122 ss. e 133 ss.). Nel primo parere, peraltro, l’Adunanza generale, pur compiendo un esame scrupoloso della proposta governativa, esprimeva l’avviso che fosse opportuno “coordinare la revisione della disciplina legislativa del Consiglio regionale con la riforma degli istituti della giustizia amministrativa periferica, che, da tempo allo studio, sarà prossimamente proposta alle Camere legislative” (pagg. 123-4). 114 L’espressione è di R. LUCIFREDI, I tribunali amministrativi regionali e riforma del Consiglio di Giustizia amministrativa, op. cit., 64. 115 Rammenta R. LUCIFREDI, op. loco ult. cit., che il disegno di legge veniva approvato dal Senato nella seduta della commissione I del 27 febbraio 1957. Trasmesso alla Camera dei deputati, non veniva approvato in commissione in sede legislativa per l’opposizione degli “appartenenti ad un certo gruppo parlamentare”, i quali, ritenendo che ci fossero “alcune norme che ledevano l’autonomia regionale siciliana”, preannunziavano che si sarebbero opposti alla sede legislativa ed avrebbero richiesto che il progetto venisse portato all’Assemblea. Il disegno di legge decadeva per la fine della legislatura. 77 Consiglio di Giustizia amministrativa116. Questa volta la composizione della sezione giurisdizionale (venivano previste due sezioni, una consultiva ed una giurisdizionale, in luogo dell’unico organo previsto dal decreto del 1948, funzionante, con diversa composizione, in sede consultiva ed in sede giurisdizionale) veniva adeguata a quella delle altre sezioni, con la eliminazione dei componenti elettivi. Come nel precedente progetto, veniva restituita al Consiglio di Stato la competenza relativa ai ricorsi avverso gli atti delle autorità periferiche statali e correlativamente veniva prevista la soppressione dell’appello all’adunanza plenaria. Anche tale progetto decadeva per la fine della legislatura117. Per quanto concerne il Consiglio di giustizia amministrativa, dopo la III legislatura non venivano presentate dal Governo in Parlamento altre iniziative di riforma118. Relativamente all’istituzione degli organi di giustizia amministrativa di primo grado, dopo una lunga stasi119, ad imprimere nuovo impulso intervenivano, negli anni 1965-68, alcune benemerite pronunzie della Corte costituzionale, con le quali veniva dichiarata l’illegittimità costituzionale dei consigli comunali e provinciali come organi di contenzioso elettorale120, delle sezioni dei Tribunali amministrativi del contenzioso elettorale istituiti (per 116 Atti Camera dei Deputati, doc. n. 253 del 17 settembre 1958. Assegnato il disegno di legge alla prima commissione permanente della Camera, questa lo approvava in sede referente nella seduta del 3 dicembre 1958, con alcune modifiche (cfr. al riguardo F. TERESI, In tema di appello delle decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa e di costituzionalità del d.l.vo 6 maggio 1948 n. 654, op. cit., 660-1). 117 P. VIRGA, I Tribunali amministrativi regionali, Milano, Giuffrè, 1972, pag. 102, nt. 2, dava notizia di alcune iniziative presentate innanzi all’Assemblea Regionale Siciliana, “tendenti ad istituire una vera e propria sezione del Consiglio di Stato”. 118 Rammenta G. GIALLOMBARDO, Sulla competenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, in Foro amm. 1975, 468, nt. 6, che veniva presentata nel dicembre 1972 alla Camera dei deputati una proposta di legge di iniziativa parlamentare (on. Pumilia, doc. n. 1337) che prevedeva la soppressione del C.G.A. e l’istituzione di due sezioni del Consiglio di Stato, una consultiva ed una giurisdizionale, in piena attuazione dell’art. 23 St. sic. 119 Ricorda invero Lucifredi che continuarono le elaborazioni di progetti, tra i quali uno ad opera del Consiglio di Stato per iniziativa del presidente Petrilli, e che furono presentati alcuni progetti di legge di iniziativa parlamentare, ma il Governo non prendeva alcun iniziativa (R. LUCIFREDI – V. CAIANIELLO, I Tribunali amministrativi regionali, op. cit., 33 ss.). Cfr. anche S. ZINGALE, I Tribunali amministrativi regionali, in Cons. Stato, 1968, II, 729 il quale ricorda: “nella terza legislatura, il progetto elaborato dal governo Fanfani nel 1962, approvato dal consiglio dei ministri nella seduta del 16 luglio 1962 ma non presentato, per mancanza dalla copertura finanziaria”; e, nella quarta legislatura, il progetto predisposto dal governo Moro, all'inizio del 1968. 120 Corte cost., 27 dicembre 1965, n. 93, in Giur. cost. 1965, 1288, con nota di U. POTOTSCHNIG, Il giudice interessato non è indipendente. 78 colmare la lacuna creata dalla sopra citata pronunzia) con la legge 23 dicembre 1966, n. 1147121, della composizione dei consigli di prefettura in sede giurisdizionale122, della composizione delle giunte provinciali amministrative in sede giurisdizionale123, della composizione della giunta giurisdizionale della Valle d'Aosta124. Attraverso tali sentenze risultava travolta l’intera impalcatura della giustizia amministrativa periferica. Si faceva pertanto impellente la necessità di un risolutivo intervento del legislatore125. All’inizio della V legislatura, il governo presieduto da Giovanni Leone sottoponeva al parere del Consiglio di Stato un nuovo progetto, che, revisionato in conformità al richiesto parere, veniva presentato alla Camera dei deputati in data 1 ottobre 1968 (n. 434)126. Ai Tribunali amministrativi regionali – che sarebbero stati composti da magistrati togati e da “assessori”, con mandato quinquennale, designati in parte dal Governo ed in parte dai consigli regionali - veniva attribuita competenza in ordine: a) ai ricorsi già attribuiti alla giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale; b) ai ricorsi avverso provvedimenti definitivi emessi dagli organi periferici dello Stato e degli enti pubblici a carattere nazionale aventi sede della circoscrizione del tribunale; c) ai ricorsi avverso provvedimenti definitivi emessi dagli enti pubblici non territoriali aventi sede nella medesima circoscrizione; d) ai ricorsi avverso provvedimenti definitivi emessi degli enti pubblici territoriali in essa compresi (art. 2); e) ai ricorsi avverso provvedimenti definitivi emessi in materia di operazioni per le elezioni dei consigli comunali e provinciali, e per la elezione dei consigli regionali (art. 3); f) in sede di giurisdizione esclusiva, ai ricorsi relativi a rapporti di concessione di beni e servizi pubblici contro atti 121 Corte cost., 27 maggio 1968, n. 49, in Giur. cost. 1968, 756, con nota di M.S. GIANNINI, Una sentenza ponte verso i tribunali amministrativi. 122 Corte cost., 3 giugno 1966, n. 55, in Giur. cost. 1966, 879. 123 Corte cost, 22 marzo 1967, n. 30, in Giur. cost. 1967, 214. 124 Corte cost, 20 aprile 1968, n. 33, in Giur. cost. 1968, 487. 125 E’ pacifico in dottrina il collegamento dell’iniziativa che portò alla definitiva approvazione della legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali con le citate pronunzie del giudice delle leggi. Cfr. R. LUCIFREDI, op. ult. cit., 31; R. ALESSI, La giurisdizione amministrativa dopo l’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali, Milano, Giuffrè, 1972, 2; A.M. SANDULLI, I Tribunali Amministrativi Regionali, Napoli, Novene, 1972, 1 ss.; P. VIRGA, I Tribunali Amministrativi Regionali, cit., 4. 126 Il disegno di legge può leggersi in Cons. Stato, 1968, II, 740 ss. con nota di presentazione di S. ZINGALE, I Tribunali amministrativi regionali. 79 delle autorità locali e delle autorità di cui al superiore punto b) (art. 2, ult. comma). Avverso le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali veniva previsto l’appello al Consiglio di Stato. A questo veniva attribuita in unico grado la giurisdizione esclusiva in materia di concessioni di beni e servizi pubblici contro atti di autorità diverse da quelle di cui al punto b), vale a dire atti delle autorità centrali. Al Tribunale amministrativo regionale avente sede in Sicilia veniva attribuita competenza limitata alle materie di cui ai superiori punti a) ed f), con appello al Consiglio di giustizia amministrativa. A questo, “che conserva le attribuzioni stabilite dal decreto legislativo del Presidente della Repubblica 6 maggio 1948, n. 654”, veniva “altresì” attribuita la competenza per i ricorsi di cui ai superiori punti b) e c) ed f) (art. 23). In tal modo si sarebbe avuto un Tribunale amministrativo regionale che sarebbe stato, quanto alle competenze, una Giunta provinciale amministrativa di dimensione regionale. Il Consiglio di giustizia avrebbe ripreso la competenza di appello prevista dal decreto del 1948, e poi assorbita in unico grado per effetto della declaratoria di incostituzionalità delle giunte provinciali amministrative, ed avrebbe conservato la competenza di unico grado sugli atti regionali e locali e di primo grado sugli atti delle amministrazioni periferiche statali. In concreto si prefigurava una ulteriore anomalia in quanto soltanto per la Sicilia si sarebbe avuta una competenza di unico grado (del C.G.A.) per materie (ricorsi avverso atti regionali e locali) per le quali nel resto d’Italia si prefigurava un doppio grado (TAR e Cons. Stato). Il problema dell’assetto da dare all’ordinamento della giurisdizione amministrativa nella Regione siciliana formava oggetto di ampie discussioni nell'ambito della Commissione I della Camera (Affari costituzionali), al cui esame il disegno di legge era stato assegnato, unitamente alle proposte di iniziativa parlamentare che erano state presentate sullo stesso oggetto. Il comitato ristretto (presieduto da Lucifredi), nominato nell'ambito della commissione, con il compito di rielaborare e fondere in un unico testo i diversi progetti, “aveva riconosciuto al T.A.R. siciliano la stessa competenza degli altri T.A.R., salvo il ricorso in appello al C.G.A. in s.g., anziché al Consiglio di Stato in s.g., sulle decisioni relative agli atti e ai provvedimenti concernenti 80 affari regionali”. Ma tali risultanze ”furono poi ribaltate in sede di discussione nella stessa commissione, con il decisivo intervento del rappresentante del governo, diretto ad ottenere una modificazione del testo legislativo nel senso riduttivo delle competenze del T.A.R. siciliano per conservare integre quelle del C.G.A. in s.g.”127. Nel corso della discussione in Commissione il relatore faceva presente che il problema dell'allineamento della competenza del Consiglio di giustizia amministrativa in sede giurisdizionale susseguente all'istituzione del Tar Sicilia non presentava “profili di ordine costituzionale”, ma era di “natura tecnica e politica”128. Il disegno di legge nel corso del travagliato iter parlamentare, subiva, rispetto al testo originario, modifiche molto rilevanti, sia per quanto concerne la composizione, sia per quanto concerne le competenze attribuite ai Tribunali amministrativi regionali129. 1.3. - Secondo il testo definitivamente approvato e divenuto la legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come è noto, i Tribunali sono composti soltanto da magistrati togati e sono configurati come organi con competenza generale di primo grado, comprendente anche i ricorsi avverso atti delle amministrazioni centrali, mentre il Consiglio di Stato assume competenza di appello. Inoltre il ricorso giurisdizionale è ammesso anche avverso atti non definitivi e viene attribuita al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di concessione di beni e servizi pubblici. Alla luce di siffatto assetto, per estendere alla Sicilia la fondamentale riforma introdotta per la rimante parte dell’Italia, sarebbe stato indispensabile incidere sulla disciplina del Consiglio di giustizia amministrativa, che però si rivelava ancora una volta intoccabile, per le consuete ragioni “politiche”. 127 L. PRUDENTE, Incostituzionalità dell’art. 40 L. n. 1034 del 1971 sulla distinzione di competenza tra Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (nota a TAR Sicilia, 26 aprile 1974, n. 13, con la quale veniva sollevata la questione dei costituzionalità dell’art. 40 L. 1034 del 1971), in TAR 1975, II, 1 ss. 128 L. PRUDENTE, op. loco cit., 5, il quale fa riferimento all’intervento del relatore Lucifredi nella seduta dell’8 ottobre 1970, in Atti parlamentari 1970, I Commissione, 159. 129 Una puntuale ricostruzione dell’iter del disegno di legge nel lavoro in R. LUCIFREDI – V. CAIANIELLO, I Tribunali amministrativi regionali, op. cit., 36 ss., nonché in G. MORBIDELLI, Cronaca parlamentare della legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, op. loco cit. 81 Si preferiva pertanto non affrontare il problema, ma aggirarlo. All’art. 40 veniva così disposto: “Fino a quando non si procederà alla revisione dell'attuale sistema di giustizia amministrativa nella regione siciliana, la competenza del tribunale amministrativo regionale istituito nella regione siciliana è limitata alle materie indicate nell'art. 2, lettera a), e nell'art. 6 della presente legge” (1° comma). “L'appello contro le sentenze di tale tribunale è portato al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana. Nulla è innovato nelle disposizioni che attualmente disciplinano detto Consiglio” (2° comma) 130. Dal commento del coautore dell’illustre studioso e parlamentare che deve essere considerato il principale autore della legge, risulta confermato che la “formula” inventata dal presidente Rocco per impedire “lo smembramento della giustizia” ed “il pernicioso attentato all’unità dello Stato”, ed accettata, come si ricorderà, con scarsa convinzione, da Luigi Sturzo, era divenuta una conquista alla quale la classe politica regionale non era disposta a rinunziare. Appare opportuno ricordare le significative parole che si leggono nel commento all’art. 40. La ristrutturazione della giustizia amministrativa in Sicilia, dove già vigeva un singolare sistema di decentramento secondo la previsione di cui all'art. 23 dello statuto speciale per la Regione siciliana e del R. D. L. 6 maggio 1948, n. 654, e l'allineamento di questa struttura particolare a quelle introdotte dalla legge sui T.A.R. per il rimanente territorio nazionale, avrebbe certamente importato delicati problemi d'ordine politico connessi ai rapporti fra autorità centrali ed autorità regionali (il corsivo è nostro). Dopo avere ricordato la portata dell’art. 23 dello Statuto e l’attuazione che esso aveva avuto con il decreto del 1948, il commento così prosegue. 130 Le critiche della dottrina sull’art. 40 incominciarono già quando il disegno di legge era ancora in corso d’opera. V. la comunicazione al Convegno di Varenna del 23-26 settembre 1971 di P. VIRGA, La posizione del Consiglio di giustizia amministrativa nel quadro della riforma, in Gli statuti regionali. I Tribunali amministrativi regionali, Giuffrè, Milano, 1972, 491 ss. E proseguirono dopo l’approvazione della legge: E. CANNADA BARTOLI, Tre giudici per la Trinacria, op. loco cit.; F. MAZZARELLA, Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana dopo l’istituzione dei tribunali amministrativi, in Foro, it., 1973, IV, 177 ss.; G. GIALLOMBARDO, Aspetti di incostituzionalità del regime transitorio di giustizia amministrativa vigente in Sicilia, in Cron. Parl. Sic., 1974, 3. 82 Poiché il Consiglio di giustizia esercita per la Sicilia le identiche funzioni del Consiglio di Stato, la trasformazione di questo in giudice di appello avrebbe trasformato analogamente anche le funzioni del Consiglio di giustizia siciliano, con la conseguenza che questo organo che ha una composizione mista, cioè di magistrati professionali e componenti (temporanei) «laici», sarebbe divenuto per la generalità delle controversie, giudice di appello di un organo, quale il tribunale regionale amministrativo, che è esclusivamente composto di magistrati professionali. La situazione che ne sarebbe derivata sarebbe stata perciò certamente anomala ed avrebbe forse richiesto che anche l'organo decentrato del Consiglio di Stato per la Sicilia, venisse ormai strutturato secondo la composizione delle rimanenti sezioni di questo. Il venir meno però della potestà di parziale investitura attualmente attribuito alla Regione siciliana, avrebbe certamente implicato la preventiva soluzione di delicati problemi (il corsivo è nostro) per cui si è preferito lasciare immutata l'attuale composizione, sia pur prevedendosi per l'avvenire la sua revisione. Ciò ha comportato la necessità di ridurre al minimo la funzione di appello del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, che rimane giudice di primo (recte: unico) grado per i ricorsi avverso atti delle autorità amministrative della Regione e degli enti locali aventi sede nella Regione e giudice di primo grado per i ricorsi avverso atti di autorità dello Stato, la cui competenza di appello rimane attribuita all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato 131. E’ da condividere al riguardo l'affermazione secondo la quale l'articolo 40 veniva a rappresentare un atto “di volontaria “cessione di potere” del Parlamento a favore della Corte” costituzionale, alla quale il primo in concreto demandava l’esercizio del potere legislativo132. 131 V. CAIANIELLO, in R. LUCIFREDI – V. CAIANIELLO, I Tribunali amministrativi regionali, op. cit., 268 ss. 132 F. MERUSI, Sicilia: giustizia amministrativa transitoria in attesa del “giudice legislatore”, in Riv. dir. proc., 1974, 459 ss. L'autore ricorda che, dopo che si era optato per la professionalità dei membri dei tribunali amministrativi regionali, la composizione del C.G.A. “veniva a costituire il polo di attrazione di tendenze politico-istituzionali contrastanti”. Da una parte “le forze politiche regionalistiche”, facendo leva sulla collocazione della disposizione costituzionale nel titolo V dedicato alle Regioni, “vedevano nella composizione del Consiglio di giustizia amministrativa siciliano un modello per una possibile forma di raccordo anche fra i tribunali amministrativi regionali e gli organi delle regioni a statuto ordinario,… dall'altra molti consideravano contraddittorio che un collegio a composizione mista divenisse giudice di appello di un collegio esclusivamente composto di magistrati professionali e vedeva, di conseguenza, nella legge sui tribunali amministrativi un'ottima occasione per trasformare in professionale anche la composizione del consiglio di giustizia siciliano./ L'opposizione della regione siciliana contro quest'ultima soluzione era, poi, un fatto in rebus, del quale non occorre cercare spiegazioni./ A ciò aggiungasi che, per complicare le cose, erano riemerse, nell'occasione, antiche censure sulla costituzionalità del R.D.L. 1948 n. 654, secondo le quali le competenze attribuite al Consiglio di giustizia siciliano non avrebbero realizzato appieno il decentramento regionale del Consiglio di Stato, richiesto dall'art. 23 St. Sic../ Di fronte alle difficoltà rappresentate dal nodo siciliano, solo in apparenza il legislatore sembra aver optato per un compromesso dilatorio. In realtà l'art. 40 risulta congegnato in modo da realizzare, con l'ausilio della Corte costituzionale, una delle soluzioni che il legislatore non ha avuto la forza politica di imporre”. Vale a dire l'estensione alla Sicilia della disciplina sui tribunali regionali amministrativi vigente nel resto del territorio nazionale, con la differenza che l'appello andrebbe proposto al C.G.A. “Rimane - aggiunge Merusi - la composizione “mista” del Consiglio di giustizia amministrativa./ Ma è questa la reale soluzione che il legislatore ha surrettiziamente voluto e che ha lasciato alla Corte costituzionale non avendo la forza politica di imporla”. 83 Con l'entrata in vigore della legge n. 1034 del 1971, mentre per tutto il rimanente territorio nazionale si veniva a realizzare un impianto semplice e razionale - i Tribunali amministrativi regionali con competenza generale di primo grado, il Consiglio di Stato giudice di appello - per quanto concerne la Regione siciliana, la situazione che si veniva a determinare si può così compendiare. Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia era competente a conoscere in primo grado dei ricorsi già attribuiti alle soppresse giunte provinciali amministrative in sede giurisdizionale, nonché delle controversie in materia di elezioni degli organi consiliari della regione, delle province, e dei comuni. Il Consiglio di giustizia amministrativa era competente: in grado di appello sulle sentenze del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia; in unico grado sugli atti definitivi dell'amministrazione regionale e delle altre autorità amministrative aventi sede nella regione, fatta eccezione per le amministrazioni statali; in primo grado per i ricorsi avverso atti definitivi di queste ultime. Il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, era competente sugli appelli avverse le decisioni del Consiglio di giustizia riguardanti atti definitivi delle amministrazioni periferiche statali. Relativamente agli atti definitivi delle amministrazioni centrali dello Stato ricadenti nell’ambito degli affari concernenti la Regione, si riteneva prevalentemente che fosse rimasta la competenza in unico grado del Consiglio di Stato, ma si affacciava il dubbio che dovesse ritenersi competente in primo grado il Tribunale amministrativo regionale del Lazio133. Quest’ultimo era competente in primo grado, come per il resto del territorio nazionale, sugli atti dell'amministrazione centrale dello Stato aventi efficacia non limitata alla circoscrizione del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia. E’ appena il caso di aggiungere che non trovava applicazione per la Sicilia la regola dell’impugnabilità in via giurisdizionale degli atti non 133 E’ un’ipotesi prospettata da P. VIRGA, I tribunali amministrativi regionali, cit., 103, nt. 5, il quale però argomentava al riguardo la propria posizione contraria. 84 definitivi (introdotta dall’art. 20 L. 1034 del 1971). 2. – La questione di costituzionalità dell’art. 40 della legge n. 1034 del 1971. Il guazzabuglio che si è adesso rappresentato si rivelava di breve durata. Come era prevedibile, la questione di costituzionalità dell'articolo 40 non tardava ad essere sollevata. Ad investirne la Corte costituzionale provvedeva, all’inizio del suo funzionamento, nell’aprile 1974, lo stesso Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia134, il quale denunziava l’illegittimità costituzionale dell'articolo 40 della legge n. 1034 “nella parte in cui è limitata la competenza per materia del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, in relazione agli artt. 125 comma 2, 3, comma 1, 24, commi 1 e 2, e 113, comma 1, Cost.”. La limitazione della competenza del tribunale amministrativo regionale alle sole materie già di competenza delle giunte provinciali amministrative ed al contenzioso elettorale, si legge nelle ordinanze, veniva a creare una disarmonia fra l'ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia e quello del restante territorio nazionale. In quest'ultimo, infatti i T.A.R. avevano una competenza di carattere generale cui si aggiungeva la giurisdizione esclusiva in materia di concessione di beni e servizi pubblici. Inoltre, la conferma della competenza del C.G.A. in unico grado in relazione ad atti dell'amministrazione regionale e locale (entrambe le ordinanze venivano emesse in relazione a ricorsi avverso provvedimenti definitivi dell’amministrazione regionale: atti negativi dell’organo di controllo su delibere di comuni e di province), si poneva in contrasto con la tutela del principio del doppio grado, ricavabile dall'articolo 125. Ulteriori ragioni di illegittimità costituzionale venivano individuate nella permanenza della definitività quale presupposto per l'impugnabilità dell'atto amministrativo, che 134 Con due ordinanze di analogo contenuto, 11 aprile 1974, n. 13 e 26 aprile 1974, entrambe in Giur. cost., 1974, 2465. La medesima questione veniva poco dopo sollevata dal Cons. Stato, VI, 24 gennaio 1975, n. 5. Sulle ordinanze del T.A.R. Sicilia, F. MERUSI, Sicilia: giustizia amministrativa transitoria in attesa del “giudice legislatore”, cit.; F. MAZZARELLA, L’art. 3 della Costituzione e la disciplina processuale amministrativa differenziata in Sicilia, in Foro it., 1974, V, 194 ss.; L. PRUDENTE, Incostituzionalità dell’art. 40 L. n. 1034 del 1971 sulla distinzione di competenza tra Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, op. loco cit. 85 invece non veniva più richiesta dall'articolo 20 della legge, nonché nella necessità, per le materie di competenza del C.G.A., di avvalersi di avvocati cassazionisti, a fronte della previsione dell’art. 19, secondo la quale per i giudizi innanzi al T.A.R. occorre il patrocinio di avvocato o procuratore legale, con violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione. In realtà, il centro di gravità dell’art. 40, come veniva esattamente osservato, non risiedeva nella limitazione, sancita dal 1° comma, della competenza del T.A.R. alle solo materie già di competenza delle giunte, ed ai ricorsi elettorali, ma nella conferma delle disposizioni sul Consiglio, sancita dal 2° comma. La limitazione di cui alla prima disposizione, in altri termini, era la conseguenza dell’ultima135. Invero il Tribunale amministrativo regionale, nel sollevare la questione di costituzionalità, nel dispositivo, faceva riferimento, come abbiamo visto, non al solo 1° comma, ma all’intero articolo 40. Ma, essendo i provvedimenti impugnati nei giudizi a quo atti regionali, la rilevanza della questione risultava circoscritta ai ricorsi avverso provvedimenti definitivi delle autorità amministrative regionali e locali, che, secondo il decreto del 1948, erano in unico grado di competenza del C.G.A. 3. – Le questioni di costituzionalità della riconfermabilità dei componenti non togati e dell’appello all’adunanza plenaria. Pendente la questione di costituzionalità dell’art. 40 L. 1034 del 1971, altre questioni venivano sollevate che investivano disposizioni del D.lgs. n. 654 del 1948. Con ordinanza della IV sezione del Consiglio di Stato dell’ottobre 1974, veniva sollevata, in relazione agli artt. 101, 2° comma (“I giudici sono soggetti soltanto alla legge”), e 108, 2° comma (“La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di essi, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia”), la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, 2° comma, secondo il quale i componenti designati dalla giunta regionale a fare parte del Consiglio di giustizia amministrativa “durano in carica 4 anni, e 135 In tal senso F. MAZZARELLA, L’art. 3 della Costituzione e la disciplina processuale amministrativa differenziata in Sicilia, cit., pag. 196. 86 possono essere riconfermati”136. Con ordinanza del Consiglio di Stato in adunanza plenaria del marzo 1975, veniva nuovamente sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, 2° comma, che veniva “completata con riferimento all’art. 100, comma 3, Cost., in relazione all'art. 23, commi 1 e 2, dello statuto della regione siciliana… tenuto conto che l’art. 1 d.l.C.p.S 6 maggio 1948, n. 654, configura il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana come una sezione del Consiglio di Stato… cosicché opera nei suoi confronti la stessa garanzia costituzionale di indipendenza di quell'istituto e dei suoi componenti nei confronti dell'organo di governo regionale, cui è attribuita la designazione di una parte di costoro” 137. L'adunanza plenaria, con la medesima ordinanza, sollevava altra questione di legittimità costituzionale, riguardante l’art. 5, 3° comma, D.lgs. n. 654 del 1948, che prevedeva, in relazione alle controversie su atti delle autorità amministrative dello Stato, demandate al C.G.A. l’appello all’adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. In tal modo, si legge nell’ordinanza, veniva stabilito il doppio grado di giurisdizione soltanto per un certo tipo di controversie localizzate nella regione siciliana, “mentre su tutto il territorio nazionale lo stesso tipo di controversie gode di una giurisdizioni in unico grado”. E ciò, si aggiunge, “fino alla scadenza del terzo mese dalla data di insediamento dei tribunali amministrativi regionali, a norma dell'articolo 38, della legge n. 1034 del 1971 che ha generalizzato il doppio grado di giurisdizione per le controversie di ogni tipo”. E’ da notare che le predette questioni venivano sollevate dal Consiglio di Stato d'ufficio. Tenuto conto della situazione che, relativamente alla Regione siciliana, si era determinata con la legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, del dibattito che aveva preceduto l'approvazione di tale legge, segnatamente dell'articolo 40 che, come si è visto, si configurava come un atto di abdicazione del Parlamento a favore della Corte costituzionale, appare probabile che i dubbi di costituzionalità sollevati dal Consiglio di Stato, in sezione semplice e in adunanza plenaria, siano da considerare come 136 137 Cons. Stato, IV, 18 ottobre 1974, in Giur. cost., 1974, 2360. Cons. Stato, Ad. plen., 6 marzo 1975 (ord.za), in Giur. cost. 1975, 2938. 87 partecipazione al ridisegno dell'assetto della giustizia amministrativa in Sicilia, chiaramente demandato al giudice delle leggi. 4. – La sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1975. La Corte costituzionale non volle cogliere l'occasione che le si offriva di ricondurre finalmente a parametri di legittimità costituzionale l'ordinamento della giurisdizione amministrativa nella Regione siciliana Le diverse questioni di costituzionalità che erano state sollevate, le quali ben si prestavano ad essere decise in un unico contesto, furono decise separatamente138. Venne affrontata dapprima la questione di costituzionalità dell’art. 40 L. 1034 del 1971, sollevata con le due ordinanze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia. La Corte costituzionale non aveva difficoltà a ritenerla fondata. Con sentenza n. 61 del 1975 l’art. 40 L. 1034 del 1971 veniva dichiarato costituzionalmente illegittimo “nella parte in cui limita la competenza del tribunale amministrativo regionale istituito nella Regione siciliana alle materie indicate nell’art. 2, lett. a, e nell’art. 6 l. medesima”139. Nella motivazione si afferma che l'istituzione del T.A.R., in Sicilia con la competenza generalizzata propria degli altri T.A.R. non si pone in contrasto con lo statuto siciliano, dato che l'articolo 23 “attiene soltanto al decentramento degli organi giurisdizionali centrali degli affari concernenti la regione, al che non contrasta la istituzione di organi di giustizia amministrativa di primo grado con competenza generalizzata”. Si dà atto che, per effetto della declaratoria di incostituzionalità, nei limiti in cui, per il rimanente territorio nazionale, “si verifichi la trasformazione del Consiglio di Stato in giudice di 138 Invero l’ordinanza dell’Adunanza plenaria risulta depositata in data 6 marzo 1975, vale a dire a ridosso del deposito della sentenza della Corte n. 61 che è del 12 marzo 1975, ma l’ordinanza della IV sezione è del 18 ottobre 1974, sicché sarebbe stato possibile trattare delle due questioni contestualmente. 139 Corte cost., 12 marzo 1975, n. 61, in Giur. cost. 1975, 725. Su tale sentenza, M.S. GIANNINI, Il tribunale regionale per la Sicilia feliciter restitutum, op. loco cit; G. GIALLOMBARDO, In margine alla sentenza della Corte costituzionale 12 marzo 1975, n. 61, sulla competenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, in Foro amm., 1975, 198 ss. (e, con un titolo in parte diverso, in Foro amm., 1975, 467 ss.); G. MONTELEONE, Il nuovo regime della giustizia amministrativa in Sicilia, in Dir. soc., 1975, 405; G. SERIO, La condizione attuale della giustizia amministrativa in Sicilia dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 40 della legge istitutiva dei T.A.R., in Giur. it., 1976, IV, 117; L. MONTEL, Gli effetti della sentenza n. 61/1975 della Corte costituzionale sull’assetto della giustizia amministrativa in Sicilia, in Riv. amm., 1976, 322. 88 appello, questa si rifletta contemporaneamente sulla competenza del consiglio di giustizia amministrativa”. Si precisa infine che la pronuncia, “mentre per il resto non tocca la disciplina dettata per il consiglio di giustizia amministrativa dal d.l. 6 maggio 1948 n. 654, deve intendersi di per sé sufficiente a restringere la portata dell'ultimo inciso dal comma 2 dell'art. 40 l. n. 1034 del 1971”. In tal modo, per quanto concerne il primo grado, veniva generalizzata la competenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia. Ma la Corte aveva voluto incidere il meno possibile sul Consiglio di giustizia amministrativa. Per effetto della sentenza, alla competenza in grado di appello già attribuitagli dall'articolo 40 in relazione alle materie che erano state di competenza delle giunte provinciali amministrative, ed al contenzioso elettorale su Regione, province e comuni, si aggiungeva la competenza in grado di appello sulle materie che il decreto del 1948 gli aveva attribuito in unico grado, vale a dire gli atti amministrativi regionali e locali. Rimaneva da risolvere il problema costituito dall'individuazione del giudice di appello competente in ordine alle materie per le quali il Consiglio di giustizia amministrativa aveva avuto attribuita la competenza di primo grado con appello all'adunanza plenaria (vale a dire atti definitivi di autorità periferiche statali sedenti in Sicilia concernenti materie regionali), ed in ordine alle materie che precedentemente appartenevano alla competenza in unico grado del Consiglio di Stato (vale a dire atti di autorità periferiche statali concernenti materie ultraregionali e atti di autorità centrali dello Stato o di enti pubblici non aventi sede nel territorio della Regione e non aventi ad oggetto materie regionali). Al riguardo coloro i quali commentarono la sentenza della Corte si divisero. Un autorevole studioso si pronunziava decisamente a favore della generalizzata competenza di appello del Consiglio di giustizia amministrativa (e del venire meno della competenza dell’adunanza plenaria). L’autore riconosceva che la sentenza della Corte, nell'affermare che nei limiti in cui si verificava la trasformazione del Consiglio di Stato in giudice di appello questa si riflette sulla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa, aveva fatto riferimento soltanto alle controversie già di competenza del Consiglio in 89 grado di appello o in unico grado, mentre nulla aveva detto riguardo alle controversie già di competenza del Consiglio di Stato in unico grado, ma, osservava, “probabilmente perché la questione non le era stata prospettata”. E concludeva: “Peraltro se è sicuro, come è che queste controversie vanno in primo grado al T.A.R., non si comprende perché in secondo grado dovrebbero spettare al Consiglio di Stato e non invece al C.G.A., giudice naturale di appello rispetto al T.A.R. Per cui in conclusione il risultato ultimo dalla sentenza dovrebbe essere quello di eliminare ogni competenza del Consiglio di Stato concentrando tutto sul C.G.A.”140 Vi era chi sosteneva, invece, che relativamente alle controversie che erano state di competenza del Consiglio di giustizia in primo grado (con appello all’adunanza plenaria) ed alle questioni che erano state di competenza del Consiglio di Stato in unico grado, l’appello avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia dovesse essere portato alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. Veniva osservato al riguardo che la trasformazione del Consiglio di giustizia amministrativa in giudice di appello non comportava di per sé una estensione della sua competenza ad ipotesi diverse da quelle in ordine alle quali aveva avuto dal D.lgs. n. 654 del 1948 competenza di primo o di unico grado, essendo rimasto immutata la disciplina dettata dallo Statuto e dalle norme di attuazione, alla stregua della quale la preesistente interpretazione si era formata141. Altri ancora sostenevano l’esclusione dalla competenza del C.G.A. delle sole controversie riguardanti atti degli organi periferici dello Stato non investenti interessi facenti capo alla Regione. In concreto sarebbe appartenuta al Consiglio di Stato in grado di appello avverso le sentenze del TAR Sicilia la competenza relativa alle controversie che già gli erano appartenute in unico 140 M.S. GIANNINI, Il Tribunale regionale amministrativo della Sicilia feliciter restitutum, cit., 1076. A favore della competenza generalizzata del C.G.A. quale giudice di appello, G. SERIO, La condizione attuale della giustizia amministrativa in Sicilia dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 40 della legge istitutiva dei T.A.R., in Giur. it., 1976, 117 ss., spec. 121-2; Id., Problemi di giustizia amministrativa nella Regione siciliana, in Foro amm., 1978, I, 2384. 141 G. GIALLOMBARDO, In margine alla sentenza della Corte costituzionale 12 marzo 1975, n. 61, sulla competenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, cit.; Id., Sulla competenza in tema di appello avverso le sentenze del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, in Foro amm., 1978, 459 ss.; Id., Consiglio di giustizia amministrativa, in N.ss. dig. it., Appendice, II, Torino, 1980, 429. 90 grado, mentre per quanto concerne le controversie già di competenza del Consiglio di giustizia in primo grado, questo sarebbe stato competente per l'appello, con esclusione della competenza dell'adunanza plenaria. Quest'ultima affermazione veniva argomentata osservando che se si fosse ritenuto competente per l'appello il Consiglio di Stato si sarebbe avuta la definitiva sottrazione del controllo giurisdizionale del Consiglio di giustizia su atti pure ricadenti nella materia degli “affari concernenti la regione”, e d'altra parte sarebbe stato ben strano ammettere l'esistenza di un unico caso in cui sarebbe stato possibile esperire tre gradi di giurisdizione. Ad ulteriore suffragio di tale posizione si faceva leva infine sul secondo comma dell'art. 40 L. 1034 secondo il quale nulla è innovato nelle disposizioni che disciplinano il Consiglio di giustizia amministrativa. Veniva chiarito al riguardo che tale disposizione andava vista in relazione al primo comma, quale risultante dalla pronunzia del giudice delle leggi, vale a dire in relazione alla competenza, prevista dal legislatore, concernente le materie già delle giunte provinciali amministrative, e le operazioni elettorali, nonché per effetto della sentenza della Corte costituzionale, le materie già di competenza del C.G.A. in unico grado (atti regionali e locali).142 5. - La riproposizione del problema della composizione del Consiglio e la sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976. Invero la sentenza della Corte n. 61 del 1975 poneva un altro problema, costituito da un’anomalia di non scarso rilievo. Il Consiglio di giustizia, in relazione alle competenze che certamente gli appartenevano – quelle che precedentemente aveva come giudice di appello (sulle decisioni delle giunte provinciali amministrative) e come giudice di unico grado - diveniva, pur essendo a composizione mista, giudice di appello di un giudice togato, un organo “interamente composto di magistrati professionali, appartenenti ad un ruolo istituito dalla legge ed assistiti dalle guarantigie di autonomia ed indipendenza nella stessa stabilite in ossequio ai principi costituzionali (cfr. 142 G. MONTELEONE, Il nuovo regime della giustizia amministrativa in Sicilia, cit., 428 ss.; A. BARETTONI ARLERI, La giurisdizione amministrativa in Sicilia nel momento attuale, in Riv. dir. proc., 1976, 186 ss. 91 art. 12 ss. l. n. 1034, in relazione all’art. 108 cost.)”.143 Poiché erano pendenti le due questioni di costituzionalità sollevate dal Consiglio di Stato, ad. plen. 6 marzo 1975, riguardanti, rispettivamente, la riconfermabilità dei componenti laici del Consiglio di giustizia (questione già precedentemente sollevata da sez. IV, 18 ottobre 1974), e l’appello all’adunanza plenaria, era lecito aspettarsi che la Corte costituzionale cogliesse l’occasione per dare una spallata alla composizione mista del Consiglio che continuava ad essere la causa di tutti i problemi, ultimo dei quali proprio quello della competenza in ordine all'appello avverso le sentenze del tribunale amministrativo regionale della Sicilia. Problema relativamente al quale si rivelava impossibile trovare in via giurisprudenziale una soluzione che fosse al contempo corretta, ma non eccessivamente complicata e di non troppo difficile applicazione. La soluzione più accettabile, anche se tutt’altro che ineccepibile, sarebbe stata quella (sostenuta dalla maggior parte dei commentatori) di ritenere di spettanza del Consiglio di giustizia gli appelli avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia riguardanti le sole controversie sulle quali il Consiglio, prima della generalizzazione della competenza di primo grado di tale tribunale, già decideva in via definitiva (in grado di appello sino alla soppressione delle giunte provinciali amministrative, ed in unico grado), con esclusione delle controversie relativamente alle quali era prevista, prima della legge n. 1034 del 1971, la competenza in unico grado delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e la competenza in grado di appello dell’adunanza plenaria. E con esclusione, è da aggiungere, della competenza relativa alle sentenze del TAR Sicilia su atti delle autorità centrali dello Stato, o di enti pubblici a carattere ultraregionale, di efficacia territorialmente limitata alla circoscrizione del tribunale amministrativo regionale, ed alle sentenze riguardanti pubblici dipendenti in servizio nella circoscrizione stessa 143 G. GIALLOMBARDO, In margine alla sentenza della Corte costituzionale 12 marzo 1975, n. 61, sulla competenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, cit., 204. E’ da notare che, sebbene il rilievo fosse di indubbia evidenza, l’a. fu l’unico, tra coloro i quali commentarono l’art. 40 L. 1034 e poi la sentenza della Corte cost. n. 61 del 1975, ad averlo sollevato in modo esplicito. 92 (art. 3 L. 1034 del 1971).144 Bisogna però riconoscere che una competenza in grado di appello frazionata (Consiglio di giustizia amministrativa e Consiglio di Stato) avverso sentenze di un giudice di primo grado con competenza generale avrebbe comportato difficoltà enormi. Si pensi ai tanti casi di convergenza nel medesimo giudizio (in virtù di un unico ricorso o di diversi ricorsi poi riuniti) di impugnative di atti statali, regionali, dei comuni, ecc., casi sempre più frequenti a causa delle interconnessioni delle competenze. Se si legge con attenzione l'ordinanza dell'adunanza plenaria e si considera che essa risulta depositata in data 6 marzo 1975, vale a dire nel giorno successivo all'adozione (5 marzo 1975) della sentenza della Corte costituzionale depositata il 12 marzo 1975 con il n. 61, si rimane colpiti dalla circostanza che la questione di costituzionalità dell'art. 5, comma 3, D. lgs. n. 654 del 1948, che prevedeva, sulle decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa sulle impugnative degli atti delle autorità amministrative dello Stato, il ricorso all'Adunanza plenaria, veniva sollevata dopo ben 37 anni dall'entrata in vigore della disposizione censurata, proprio mentre il doppio grado di giurisdizione, con la legge 1034 del 1971, veniva generalizzato alle controversie di ogni tipo. E proprio nei giorni in cui la Corte costituzionale 144 Esattamente aveva osservato G. GIALLOMBARDO, Sulla competenza in tema di appello avverso le sentenze del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, cit., 465, che la tesi della generalizzazione della competenza di appello del Consiglio dei giustizia oltre a non trovare suffragio in una corretta interpretazione dell'art. 40, 2° comma, L. 1034 del 1971, letto in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1975, si poneva in contrasto con la disciplina dettata dal decreto legislativo n. 654 del 1948, che aveva “realizzato…una forma di decentramento collegato al territorio soltanto estrinsecamente, come limite esterno, ma connesso essenzialmente alla funzione statale o regionale, nel cui esercizio l'atto o provvedimento soggetto ad impugnativa è venuto in essere: in coerenza con tale impostazione è stata prevista la partecipazione all'organo giurisdizionale di membri laici designati dal Governo regionale, portatori nel Consesso della presenza della Regione…”. “E’ proprio in relazione alla peculiare struttura di decentramento giurisdizionale amministrativo realizzata in Sicilia che va vista la diversità di competenze del Csi rispetto al Consiglio di Stato, del quale, pur non costituendo “Sezione” in senso tecnico, è chiamato tuttavia ad esercitare le funzioni consultive e giurisdizionali “previste dall'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana” (art. 1 D. L.vo n. 654 del 1948): diversità individuata ratione materiae e costantemente e pacificamente riconosciuta prima dell'estensione anche alla Sicilia del generale modulo organizzatorio e di competenze delineato nella legge n. 1034 del 1971 (espurgata dal primo comma dell'art. 40). In questo contesto va inquadrato anche il singolare istituto dell'appello all'Adunanza plenaria delle Sezioni giurisdizionale del Consiglio di Stato contro talune pronunce del Csi (quelle rese su atti di Autorità statali) finalizzato ad assicurare…definitiva uniformità di controllo (giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato) gli atti delle Amministrazioni dello Stato, atteso il venir meno, in tali ipotesi, delle ragioni della composizione mista del collegio, caratterizzata dalla presenza di due giuristi designati dalla Regione”. 93 dichiarava costituzionalmente illegittimo l’art. 40, 1° comma, L. 1034 del 1971. Della prima circostanza il rimettente dichiarava di avere piena consapevolezza: “E’ stabilito con tale norma il doppio grado di giurisdizione soltanto per un certo tipo di controversie localizzate nella Regione siciliana, mentre in tutto il rimanente territorio dello Stato lo stesso tipo di controversie gode di una giurisdizione in unico grado. E ciò fino al momento della scadenza del terzo mese dalla data di insediamento dei tribunali amministrativi regionali, a norma dell'art. 38 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, che ha istituito tali organi di giustizia amministrativa di primo grado ed ha generalizzato il doppio grado di giurisdizione per le controversie di ogni tipo”. Più avanti si legge: “Occorre non trascurare, del resto, che l’art. 23, comma 1, dello statuto regionale… prescrive che gli organi giurisdizionali centrali abbiano in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione, senza innovare in niente alla struttura ed alle funzioni originarie ad esse proprie, che sono correttamente definite dall’art. 5, commi 1 e 2 del menzionato d.l.C.p.S. 6 maggio 1948, n. 645. L’avere mutato, con il comma 3 dello stesso articolo i rapporti funzionali fra una delle sezione del Consiglio di Stato, quale è correttamente considerato il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, e l'Adunanza Plenaria dello stesso Consiglio di Stato, non sembra in armonia con lo sopra menzionata prescrizione costituzionale”. L'altra questione, relativa all'art. 3, comma 2, D.lgs. n. 654 del 1948, che prevedeva la riconfermabilità dei componenti del consiglio di giustizia designati dalla Regione, aveva una propria valenza indipendente dal momento contingente caratterizzato dalla questione di costituzionalità dell'art. 40. Peraltro, come si è ricordato, essa era stata sollevata dapprima con ordinanza della IV sezione del 18 ottobre 1974 (in relazione agli artt. 101, comma 2, e 108, comma 2 Cost.), vale a dire in un momento non coincidente e neppure prossimo alla più volte citata pronunzia della Corte costituzionale nel marzo dell'anno successivo. Ma è significativo che il Consiglio di Stato in adunanza plenaria avesse voluto riprendere la questione, sollevandola un'altra volta con la stessa ordinanza con la quale poneva il problema dell'appello all’adunanza plenaria sulle decisioni del Consiglio di giustizia concernenti atti statali, ed 94 estendendo il dubbio di costituzionalità in relazione anche ad altre disposizioni costituzionali (art. 23 St. sic. e art. 100, comma 3 Cost.). Appare pertanto non inverosimile ritenere, come si è accennato, che ci fosse da parte del Consiglio di Stato la volontà di sottoporre alla Corte costituzionale la complessiva problematica discendente dall’anomala composizione del C.G.A. Ma la Corte, nel decidere, con sentenza n. 25 del 1976145, sulle questioni demandatele, pur riconoscendo che la disciplina dettata dal decreto del 1948 si presentava affetta da anomalie e disarmonie, non volle cogliere l’occasione che le si offriva di abbattere la composizione mista, unico rimedio che avrebbe potuto ricondurre l’ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia nell’alveo della piena legittimità costituzionale, e preferì limitarsi ad usare non, come sarebbe stato auspicabile, il bisturi, ma il cesello. Si limitò ad affrontare le questioni strettamente demandatele dal rimettente, pur riconoscendo apertis verbis che rimanevano anomalie, in relazione alle quali si limitava a sollecitare un intervento del legislatore. Per quanto concerne la riconfermabilità dei componenti designati dalla Regione, riteneva la questione fondata e pertanto dichiarava l'illegittimità costituzionale dell’art. 2, 2° comma, d.lgs. n. 654 del 1948, nella parte in cui disponeva che i componenti del Consiglio designati dalla Regione potessero essere riconfermati. Nella motivazione si afferma che di per sé il carattere temporaneo della nomina non contrasterebbe con i principi costituzionali che garantiscono l'indipendenza, e con essa la imparzialità, dei giudici, siano essi ordinari o estranei alle magistrature. Si aggiunge che a tal fine non sarebbe necessaria una inamovibilità assoluta, specie per i cosiddetti membri laici o estranei, che ben potrebbero essere nominati per un determinato e congruo periodo di tempo, senza che per ciò venga meno l'indipendenza dell’organo o del singolo giudice. In relazione a quest'ultimo profilo la sentenza della Corte riceveva acute e condivisibili considerazioni critiche da un illustre autore, il quale osservava esattamente che delle due l'una: o si riconosce l'incostituzionalità del Consiglio di giustizia amministrativa in relazione all'articolo 23 dello Statuto, alla 145 Corte cost., 22 gennaio 1976, n. 25, in Giur. cost. 1976, 88. 95 stregua del quale esso non si può configurare come una sezione del Consiglio di Stato, oppure, se si ritiene sostenibile, come affermato dalla Corte di cassazione e dalla Corte costituzionale, una siffatta configurazione, se ne deve dedurre l'incostituzionalità delle disposizioni che lo disciplinano per le parti in cui esse si distacchino dal sistema normativo del Consiglio di Stato e “non trovino ragione di ciò che solo potrebbe legittimare e giustificare la diversificazione di una parte del Consiglio di Stato, cioè la sua sezione in Sicilia, rispetto al tutto, vale a dire la “sicilianità” di quella”. Relativamente al Consiglio di Stato, si aggiunge, l’indipendenza e l’imparzialità dei suoi componenti risultano garantite da una disciplina nel cui ambito occupano un ruolo centrale le disposizioni secondo le quali essi non sono nominati a tempo determinato, ma durano in carica sino al raggiungimento dei limiti di età. Relativamente al C.G.A. non solo la possibilità della riconferma, come riconosciuto dalla Corte, contrasta con la Costituzione, ma vi contrasta anche il carattere temporaneo della nomina. La riconferma ove sia consentita “non ne è uno dei tanti modi in cui si può immaginare che un giudice venga premiato dal Governo (nazionale o regionale, non ha importanza) per avere adeguatamente - cioè in linea con l'orientamento di quello - esercitato il proprio ufficio là dove, per la temporaneità di questo, si ripristini quella relazione tra soggetto privato e titolari dell'organo di governo, che sta alla base della scelta del primo come giudice e la cui dissoluzione non può dirsi definitiva, con l'acquisizione della posizione di giudice, quando appunto, la nomina abbia carattere di temporaneità” 146. E’ a seguito delle pronunzia della Corte che, con D.P.R. 5 aprile 1978, n. 204, veniva modificata la disciplina relativa alla composizione del Consiglio di giustizia amministrativa in sede giurisdizionale nel senso che i “giuristi scelti tra professori di diritto delle università o avvocati abilitati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori”, i quali, secondo il decreto del 1948, erano due più due supplenti, duravano in carica quattro anni e potevano essere riconfermati, secondo il decreto del 1978, erano quattro, duravano in carica sei 146 L. MAZZAROLLI, nella citata nota alla sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976 (in Le Regioni, 1976, 758 ss.). 96 anni, non potevano essere riconfermati, ma continuavano “a svolgere le loro funzioni sino all’insediamento dei rispettivi successori”. Restava ferma l’attribuzione del potere di designazione alla giunta regionale. 6. – L’effettiva portata della sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976 in relazione alla composizione mista del Consiglio. Si assume nella sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2004 che la composizione mista avrebbe avuto nel passato uno “scrutinio favorevole” da parte della stessa Corte, la quale nella sentenza n. 25 del 1976 avrebbe riconosciuto che, “nonostante che l’art. 23 preveda semplicemente l’istituzione di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato e non di un organo di giustizia amministrativa come quello disegnato dal d.P.R. n. 654 del 1948, tale organo esercitava le stesse funzioni delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. Pertanto, secondo la stessa sentenza, “la legittimità costituzionale del provvedimento istitutivo del Consiglio di giustizia amministrativa nella Regione siciliana nel suo complesso” non poteva non essere confermata, dopo la reiezione, nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 2994 del 1955, delle varie eccezioni di costituzionalità sollevate sul medesimo decreto n. 654 del 1948”. Il riferimento alla sentenza della stessa Corte del 1976 e (tramite questa) alla pronunzia delle sezioni unite del 1955, postula un duplice ordine di osservazioni, riguardanti il primo la sentenza del 1976 ed il secondo entrambi i precedenti, considerati unitariamente. Per quanto concerne la sentenza n. 25 del 1976, è da osservare in primo luogo che essa non ha affatto affrontato la questione di legittimità costituzionale poi rimessa alla Corte con le ordinanze del C.G.A. del 2003 e del 2004, ma questioni diverse e ben più circoscritte. In secondo luogo che contiene affermazioni le quali di certo non si prestano a suffragare la conformità della composizione mista alle previsioni dell’art. 23 St. sic., ma semmai si prestano a negarla. Alla Corte, come si è visto, erano stati sottoposti due problemi. Primo dei quali se fosse costituzionalmente legittimo l’art. 3, 2° comma, D. Lgs. n. 654 del 1948, il quale prevedeva che i membri del Consiglio di Giustizia 97 Amministrativa designati dalla Giunta Regionale “durano in carica quattro anni e possono essere riconfermati”. Secondo l’ordinanza di rimessione (del Consiglio di Stato) siffatta previsione confliggeva con il principio della indipendenza del giudice. La Corte ha ritenuto la questione fondata e l’ha accolta, dichiarando l’illegittimità costituzionale della rammentata disposizione nella parte in cui prevedeva la riconfermabilità dei membri di designazione regionale. (Donde la modifica intervenuta con D.P.R. n. 204 del 1978). L’altra questione (pure rimessa dal Consiglio di Stato) riguardava l’art. 5, 3° comma, dello stesso decreto, il quale prevedeva l’appello all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato avverso le decisioni del Consiglio di Giustizia sulle impugnative di atti e provvedimenti delle autorità amministrative dello Stato, non pronunciate in grado di appello147. Era stata sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, 113, 2° comma, 125, 2° comma, Cost., ed all’art. 23, 1° comma, dello Statuto Siciliano, sotto il profilo che il doppio grado di giurisdizione veniva previsto “soltanto per un certo tipo di controversie 147 Per l’illegittimità costituzionale dell’appello previsto dall’art. 5, 3° comma, D.lgs. n. 654 del 1948, ebbe a pronunziarsi il primo presidente del C.G.A.: C. BOZZI, Consiglio di giustizia amministrativa, Consiglio di Stato e Costituzione, in Dir. pubbl. Reg. sic., 1955, 6 ss., spec.14 ss. E’ da ricordare che la delimitazione dei casi per i quali doveva ritenersi ammesso l’appello all’adunanza plenaria costituì oggetto di viva discussione in dottrina ed in giurisprudenza. Venivano sostenute tre diverse tesi: quella secondo la quale dovesse farsi riferimento al criterio soggettivo, secondo il quale bisognava considerare l’appartenenza dell’organo che aveva emesso l’atto all’amministrazione statale; quella seconda la quale doveva farsi riferimento al criterio oggettivo, vale a dire alla natura, statale o meno, delle funzioni esercitate; e quella che propendeva per l’adozione di un criterio misto (in vario senso, G. SALEMI, La competenza del Consiglio di giustizia amministrativa e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in Dir. pubbl. reg. sic., 1951, 175; G. LANDI, Rapporti tra la competenza giurisdizionale del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in Riv. amm. 1952, 227; Id., Profili e problemi della giustizia amministrativa in Sicilia, cit., 120 ss.; F. TERESI, In tema di appello delle decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa e di costituzionalità del d.l.vo 6 maggio 1948 n. 654, [nota a Cons. Stato, ad. plen., 3 maggio 1960, n. 5], cit., 654. In quest’ultimo lavoro una esauriente esposizioni dei termini della questione, e delle diverse tesi, nonché una ragionata adesione alla posizione espressa nella decisione annotata). La posizione maggiormente seguita dalla giurisprudenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato e dalla dottrina era quella che accoglieva il criterio soggettivo (riferimento all’organo che ha emanato l’atto), ma con la precisazione che fossero da ritenere atti statali, con la conseguente proponibilità dell’appello, anche quelli emanati da organi regionali nell’esercizio di funzioni statali (in tal senso la decisione, sopra citata, annotata da Teresi), ad es. provvedimenti emessi da assessori regionali in materie contemplate dagli art. 14 e 17 dello Statuto, come di competenza della Regione, ma senza che fosse stato effettuato il trasferimento delle funzioni dallo Stato alla Regione (in tal senso anche la Corte di Cassazione: SS.UU., 23 giugno 1954, n. 2158, in Giur. it., 1956, 1040, con nota di G. STANCANELLI, Osservazioni in tema di decentramento e giurisdizione amministrativa nella Regione siciliana). Con la conseguenza che, sino all’approvazione delle norme di attuazione, l’ambito dell’ammissibilità dell’appello era assai vasto. 98 localizzate nella Regione Siciliana, mentre in tutto il rimanente territorio dello Stato lo stesso tipo di controversie gode di una giurisdizione in unico grado”. La Corte ha ritenuto la questione infondata. Queste, e non altre, le questioni affrontate dalla Corte. Vero è che nella sentenza n. 25 del 1976 è contenuta la seguente affermazione, alla quale si riferisce la sentenza n. 316 del 2004: “La legittimità costituzionale del provvedimento istitutivo del C.G.A. della Regione siciliana nel suo complesso, ed in specie della disposizione contenuta nell’art. 5, comma 3, D. Lgs. 6 maggio 1948 n. 654, riconosciuta vent’anni orsono da una nota decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e dalla stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, non può non essere qui confermata, anche sotto il particolare profilo ora prospettato della diversità di regime verificatosi medio tempore … quanto alla tutela giurisdizionale in grado di appello …”. Ma, come appare evidente, si tratta soltanto di un obiter dictum dal quale si può semmai trarre una sola considerazione: che la Corte Costituzionale, pur avendo avuto la possibilità di sollevare dinanzi a sé stessa la questione di costituzionalità dell’art. 5, 3° comma, D. Lgs. n. 654 del 1948 in relazione alla composizione del Consiglio, non lo fece. E’ però innegabile che la questione non fu ex professo affrontata. Non solo. Nel motivare la ritenuta infondatezza della questione relativa all’appello all’adunanza plenaria, la Corte rilevava che il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sebbene l’art. 23 dello Statuto prevedesse “semplicemente l’istituzione in Sicilia di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato”, era “caratterizzato da una propria particolare fisionomia e struttura”, tale quindi da costituire “un’anomalia rispetto al regime ordinario della giustizia amministrativa” (il corsivo è nostro), dato che risultava investito di competenza nei confronti degli atti definitivi non solo dell’amministrazione regionale, ma anche delle altre autorità amministrative aventi sede in Sicilia. Siffatta attribuzione faceva venire meno “le ragioni per cui gli era stata conferita quella particolare composizione caratterizzata dalla presenza di due giuristi designati dalla Giunta Regionale”, sicché veniva a “costituire opportuno rimedio la previsione 99 dell’impugnabilità delle sue decisioni”, rimedio che valeva ad “assicurare una definitiva uniformità di controllo sugli atti delle amministrazioni dello Stato”. E nella parte conclusiva si legge che la Corte “non può tuttavia esimersi dal segnalare le ulteriori anomalie (il corsivo è nostro) risultanti nel vigente sistema della giustizia amministrativa dopo la istituzione dei tribunali amministrativi regionali”, anomalie che non erano sfuggite al legislatore del 1971 (L. n. 1034), il quale aveva dettato l’art. 40, la cui pronunzia di incostituzionalità (Corte Cost. n. 61 del 1975) aveva potuto eliminarle “solo parzialmente”. Ed infine: “Deve pertanto auspicarsi che il legislatore provveda rapidamente alla già prevista revisione dell’attuale sistema di giustizia amministrativa nella Regione siciliana, eliminando ogni residua anomalia e disarmonia, nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 23 dello Statuto speciale” (il corsivo è nostro). Ciò posto, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte nella sentenza n. 316 del 2004, in relazione alla composizione mista del Consiglio, dalla sentenza n. 25 del 1976 si possono trarre due indicazioni che sono entrambe di segno negativo: a) la netta differenziazione tra la competenza relativa ad atti dell’amministrazione regionale, in relazione alla quale si giustifica la “particolare composizione” caratterizzata dalla presenza dei membri designati dalla Regione, e la competenza relativa ad atti dell’amministrazione statale in relazione alla quale, non trovando viceversa giustificazione la predetta composizione, l’appello all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato si configura come necessario strumento per assicurare la riconduzione ad unità del controllo giurisdizionale sugli atti statali; b) l’esplicita denunzia dell’anomalia ed il connesso pressante invito rivolto al legislatore ad intervenire per porre fine alla stessa. 7. – Le profonde trasformazioni delle competenze del C.G.A. a seguito della sua configurazione come organo di appello sulle sentenze del TAR Sicilia quale organo con competenza generale di primo grado. Sussiste un’altra, e ben più incisiva, ragione per la quale gli argomenti che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 316 del 2004, ha preteso di trarre, a suffragio dell’asserita legittimità costituzionale della composizione mista, 100 dalla propria precedente sentenza n. 25 del 1976, come da quella più risalente della Corte di cassazione SS.UU. n. 2994 del 1955, si rivelano inconsistenti: la profonda trasformazione che le competenze del Consiglio di giustizia amministrativa avevano subito in epoca di poco successiva alla meno antica delle due citate sentenze. Una trasformazione effettuata senza alcun intervento del legislatore, il quale, incapace di resistere alle pressioni della classe politica regionale, che considerava ormai irrinunciabile la partecipazione dei membri designati dalla giunta regionale, palesemente abdicava alla sua funzione. Si è già rammentata l’innovazioni introdotta per effetto della sentenza n. 61 del 1975, con la quale, dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 40, 1° comma, della L. 1034 del 1971, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia diveniva, come tutti gli altri Tribunali amministrativi regionali, organo con competenza generale di primo grado. E si è rammentato altresì che tale sentenza aveva lasciato irrisolto il problema della competenza in ordine all’appello relativamente alle materie per le quali il Consiglio di giustizia amministrativa aveva avuto attribuita, con il D. lgs. n. 654 del 1948, la competenza di primo grado con appello all'adunanza plenaria, ed alle materie che precedentemente appartenevano alla competenza in unico grado del Consiglio di Stato. La VI sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza del 3 marzo 1978148, in sede di esame di un appello proposto contro una sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia di rigetto di un ricorso concernente un provvedimento adottato da un organo centrale dello Stato in materia di competenza amministrativa statale (destituzione dall’impiego di un dipendente del Ministero delle poste disposta dal Ministro), avendo ritenuto che potesse dare luogo a contrasti giurisprudenziali il problema se fosse da ritenere competente il Consiglio di Stato, o il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, rimetteva la questione all'adunanza plenaria. Poco dopo, il Consiglio di giustizia amministrativa in sede giurisdizionale, con decisione 27 giugno 1978, n. 148149, parimenti investito di 148 149 In Cons. Stato, 1978, I, 448. In Cons. Stato, 1978, I, 1284. 101 un appello avverso una decisione del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia concernente un provvedimento di un ministro avente come destinatario un funzionario statale in servizio nel territorio della Regione (si trattava della sospensione cautelare dall'impiego del conservatore dei registri immobiliari di Trapani) non esitava a dichiararsi competente. Faceva leva al riguardo sull’art. 5, 2° comma, D. lgs. n. 654 del 1948, che attribuiva al Consiglio di giustizia amministrativa le funzioni in grado di appello attribuite al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, non solo sulle decisioni delle Giunte provinciali amministrative, ma anche su quelle “degli organi di giustizia amministrativa di primo grado che eventualmente saranno ad esse sostituiti”. Nonché sull’art. 40, 2° comma, L. 1034 del 1971, che attribuiva al Consiglio di giustizia amministrativa gli appelli avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale. Riteneva, per contro, inconferente, proprio alla luce della citata disposizione contenuta nel decreto del 1948, l'argomentazione volta a togliere valore all'articolo 40, 2° comma, per essere stato questo concepito in relazione soltanto alla limitata competenza attribuita al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia con il 1° comma. Nello stesso senso si pronunziava l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con una decisione di poco successiva, 4 luglio 1978, n. 21150, con la quale affermava la competenza generale del Consiglio di giustizia amministrativa su tutti gli appelli avverso le sentenze del TAR Sicilia. Tale decisione assumeva, in concreto, un valore normativo, nel senso che, a partire da essa, rimaneva definitivamente consacrata la configurazione del C.G.A. come giudice di appello su tutte le sentenze del TAR Sicilia, poi codificata con il D. lgs. n. 273 del 2003. Le argomentazioni sulle quali si fonda la decisione dell’adunanza plenaria sono, in concreto le stesse sostenute dal C.G.A. Fanno leva sull’art. 40, 2° comma, L. n. 1034 del 1971 e sull’art. 5, 2° comma, D. lgs. n. 654 del 1948. E agevole riguardo osservare che, entrambe le disposizioni, seppure dettate in momenti ben lontani l’una dall’altra ed in contesti diversi, muovono da una visione limitata della competenza dell'organo che avrebbe sostituito le 150 In Cons. Stato, 1978, I, 940. 102 Giunte provinciale amministrative. La norma del 1948, nel fare riferimento agli organi di giustizia amministrativa di primo grado che avrebbero sostituito le Giunte provinciali amministrative, muoveva dalla previsione di un organo regionale che avrebbe avuto attribuite le stesse competenze delle Giunte provinciali, un organo con competenze sulle controversie di ambito locale, con comuni e province, ai quali si poteva aggiungere la Regione stante l’art. 125 della Costituzione da poco approvata. In quanto alla norma del 1971, essa esplicitamente si riferisce alle competenze attribuite al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia con la stessa legge, le stesse delle soppresse giunte provinciali amministrative. Entrambe le norme esprimono quindi una visione limitata della competenza di primo grado del TAR Sicilia, visione alla quale non era conforme, per contro, la competenza generale di primo grado che questo aveva avuto attribuita con la sentenza della Corte costituzionale, e, correlativamente non risultava conforme la competenza generale di appello che si attribuiva al Consiglio di giustizia amministrativa. Ma l’aspetto che interessa in relazione al riferimento di cui si diceva all’inizio del presente paragrafo, contenuto nella sentenza della Corte cost. n. 316 del 2004, alla precedente sentenza della stessa Corte n. 25 del 1976 ed a quella delle sezioni unite del 1955, è che attraverso l’attribuzione al Consiglio di giustizia amministrativa della competenza generale di appello sulle sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, frattanto divenuto organo con competenza generale di primo grado, si era verificata, per effetto non di atti normativi, ma di sentenze, una radicale innovazione della disciplina della competenza del Consiglio in sede giurisdizionale, tale da modificarne i connotati, in guisa da rendere superato l’assetto che Ferdinando Rocco aveva disegnato, che era stato codificato con il decreto del 1948, e sul quale le Sezioni unite della cassazione e la Corte costituzionale si erano pronunziate, rispettivamente nel 1955 e nel 1976. Il Consiglio di giustizia diveniva giudice d’appello, oltre che nelle controversie relativamente alle quali aveva avuto attribuita già con il decreto del 1948 competenza di appello (materia già di competenza delle Giunte provinciali amministrative), o di unico grado (atti dell’amministrazione 103 regionale e delle altre autorità amministrative non statali aventi sede nel territorio regionale), anche per le controversie già di competenza del Consiglio di Stato in unico grado (vale dire quelle concernenti atti delle autorità centrali dello Stato, ed atti delle autorità periferiche statali non aventi carattere definitivo), nonché per le controversie per le quali aveva competenza di primo grado con appello all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (vale a dire quelle concernenti atti definitivi delle autorità amministrative statali sedenti in Sicilia riguardanti materie regionali).151 Tale fondamentale profilo della questione sottopostagli sfuggiva completamente al giudice delle leggi. 151 La profonda trasformazione delle funzioni del Consiglio è colta da R. CHIEPPA, Problemi relativi all’ordinamento del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in La giustizia amministrativa in Sicilia. Atti del Convegno, cit., 83 ss. Vi si legge che la sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1975, nel dichiarare incostituzionale l’art. 40 L. 1034 del 1971, “non solo ha privato di efficacia la norma colpita, ma, con il vuoto normativo così prodottosi, ha modificato il contenuto del complesso normativo unitario delle disposizioni relative alla competenza giurisdizionale amministrativa in Sicilia, e ha consentito l’allargamento (una sorta di espansione naturale) dei poteri dell’organo di primo grado e la modifica (con parziale abrogazione e sostituzione come giudice di appello) dei poteri dell’organo di secondo grado (C.G.A.). Scrive A. POGGI, Revisione della “forma di Stato” e funzione giurisdizionale: una diversa ripartizione di competenza tra Stato e Regioni?, cit., pag. 69: “…paradossalmente, la legge istitutiva dei TAR e poi gli interventi della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato, hanno per certi versi favorito la posizione di autonomia del Consiglio di Giustizia. Ed infatti, prima dell’emanazione di quest’ultima legge le decisioni del Consiglio di Giustizia (che non fossero ovviamente emanate in sede di appello) potevano essere soggette al ricorso all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e, dunque essere sottoposte ad una forma di “controllo” da parte del Consiglio di Stato ora scomparsa”. La differenza tra il “prima” ed il “dopo” in ordine alle competenze del Consiglio, e conseguentemente in ordine alla sua configurazione alla stregua dei parametri di costituzionalità, si coglie in modo particolarmente efficace se si riguarda la situazione attuale (vigente al momento della decisione della Corte cost. ed oggi) confrontandola con quella che, anche alla luce della giurisprudenza del Cons. Stato, in adunanza plenaria, si presentava ai commentatori del primo periodo di funzionamento del Consiglio. Si veda, ad es., lo scritto di G. SALEMI, La competenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in Dir. Pubbl. Reg. Sic., 1951, 175 ss., nel quale si manifesta adesione alla decisione del Cons. Stato, ad. Plen., 9 luglio 1951, n. 8, per la quale “a determinare la speciale competenza del Consiglio di giustizia amministrativa, è necessario che concorrano due elementi: affare concernente la Regione e provvedimento emanato da autorità avente sede nel territorio dell’isola. Mancando uno solo di questi elementi permane la generale competenza di legittimità del Consiglio di Stato, non derogata in seguito alla istituzione del Consiglio di giustizia amministrativa”. Più avanti Salemi scrive: “Il Consiglio di giustizia amministrativa non ha l’intiera potestà giurisdizionale del Consiglio di Stato, non realizza un decentramento giurisdizionale nei limiti della Regione, ma piuttosto detiene una parte della giurisdizione del Consiglio di Stato, quella che il territorio della Regione non delimita, ma determina e rivela. Ogni interesse di cui lo Stato ha a sé riservato la cura, non è delimitato dal territorio regionale, né da questo soltanto delimitato. Ond’è che rientra nella tutela giurisdizionale del Consiglio di Stato”. Ed aggiunge: “Peraltro, è appunto questa limitazione che porta all’intervento della Regione nella designazione di alcuni membri del Consiglio di giustizia amministrativa ed in particolare dei due giuristi che stanno nella sede giurisdizionale del Consiglio stesso”. 104 8. – La non conducenza del riferimento al Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino Alto Adige contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2004. La configurazione di giudice di appello sulle sentenze di un giudice con competenza generale di primo grado (il TAR Sicilia) assunta dal Consiglio di giustizia amministrativa dopo l’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali in virtù delle pronunzie rappresentate nel precedente paragrafo, consente di meglio evidenziare quanto sia privo di fondamento, al punto da apparire pretestuoso, il riferimento che si legge nella sentenza n. 316 all’organo giurisdizionale amministrativo sedente nella Regione Trentino Alto Adige. Al fine di contestare la configurazione delle disposizioni sottoposte al suo scrutinio come contra statutum, e di affermarne il carattere praeter statutum, la Corte non ha esitato ad adoperare un’argomentazione che dimostra meglio e più di tutte le altre la infondatezza della pronunzia. Lo Statuto speciale per il Trentino Alto Adige sarebbe “ispirato agli stessi principi di autonomia, riproducendo sostanzialmente, a distanza di anni, il modello organizzativo siciliano basato sulla presenza nell’organo di giustizia amministrativa, di membri “non togati” designati in sede locale”. In proposito è agevole osservare in primo luogo che nel caso del Trentino Alto Adige è lo Statuto a prevedere un Tribunale regionale di giustizia amministrativa demandando alle norme di attuazione di disciplinarne la composizione (art. 90 del testo unico delle leggi costituzionali approvato con D.P.R. n. 670 del 1972), e le norme di attuazione lo hanno configurato come organo a composizione mista (D.P.R. n. 426 del 1984). Lo Statuto siciliano invece prevede, come sappiamo, le "sezioni" del Consiglio di Stato. In secondo luogo il Tribunale amministrativo del Trentino Alto Adige è un organo di primo grado con appello al Consiglio di Stato, mentre il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana è una giurisdizione superiore, le cui pronunzie pertanto sono inappellabili. Inoltre, è un giudice a composizione mista che esercita funzioni di appello in ordine alle sentenza di un organo di primo grado interamente togato. L’anomalia del caso 105 siciliano non potrebbe essere più evidente. E non meno evidente è l’improponibilità del raffronto con il caso trentino alto atesino. In terzo luogo, come esattamente è stato notato, l’organo giurisdizionale del Trentino Alto Adige “ha una giustificazione “forte” nella situazione linguistica della Provincia di Bolzano, oltre che nelle particolari competenze che alla sezione di Bolzano sono attribuite”152 Dall’esame che si è compiuto risulta evidente che la sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2004 non può essere condivisa poiché si rivelano totalmente infondate, non già alcune, ma tutte le affermazioni sulle quali essa si fonda. 152 D. CORLETTO, Il Consiglio di giustizia amministrativa e le singolarità dell’autonomia siciliana, cit., 410. 106 CAPO IV La composizione mista del Consiglio di giustizia amministrativa ed i principi del giusto processo e della terzietà ed imparzialità del giudice (art. 111, 1° e 2° comma, Cost.). 1. – La partecipazione dei laici alla stregua dell’art. 111, 1° e 2° comma, Cost. (giusto processo davanti a giudice terzo e imparziale), e dell’art. 6 della CEDU (equo processo davanti ad un giudice indipendente ed imparziale) con riferimento all’art. 117, 1° comma Cost. Sussistono altri profili, alla stregua dei quali è da dubitare della legittimità costituzionale delle disposizioni sulla composizione mista del Consiglio in sede giurisdizionale. Concernono i principi del giusto processo davanti a giudice terzo e imparziale, sanciti dai primi due commi dell’art. 111 Cost. introdotti dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in correlazione con le garanzie della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, e del diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost., nonché con il complesso dei principi che concernono la magistratura (Titolo IV, artt. 101-113). Concernono inoltre l’art. 117, 1° comma, Cost. (nel testo introdotto con L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3), secondo il quale la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni è esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, in riferimento all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, il quale sancisce il diritto ad un equo processo davanti a giudice terzo e imparziale. I cennati profili finora non sono stati esaminati dal giudice delle leggi, ed alla luce della recente ordinanza della Corte di cassazione a sezioni unite, 18 luglio 2008, n. 19810, con la quale la questione è stata ritenuta manifestamente infondata, appare improbabile, quanto meno in tempi brevi, una rimessione alla Corte. Siffatta circostanza, tuttavia, non può indurre a ritenere superfluo soffermarsi su di essi. 107 Su tale pronunzia ritorneremo più avanti. Prima appare opportuno soffermarsi su alcuni caratteri di particolare rilievo propri del Consiglio di giustizia amministrativa, sulla configurazione che ha assunto in epoca recente il giudizio amministrativo e sull’art. 111 Cost. (1° e 2° comma), del quale occorre ricostruire la portata. 2. – Particolari caratteri del Consiglio di giustizia amministrativa (non riscontrabili nel Consiglio di Stato) rilevanti ai fini dei parametri di costituzionalità che si traggono dalle disposizioni costituzionali sulla giurisdizione. I parametri di costituzionalità sopra enunciati devono essere visti in relazione ai seguenti aspetti che caratterizzano la tutela davanti all’organo di vertice della giurisdizione amministrativa in Sicilia, mentre non si riscontrano nel Consiglio di Stato, organo di appello sulle decisioni di tutti i Tribunali amministrativi regionali d’Italia, escluso quello siciliano. A) Come abbiamo visto, non solo della sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana fanno parte, quattro componenti la cui scelta è demandata al Presidente della Regione (art. 4, 1° comma, lett. d) ed art. 6, 2° comma, D.lgs. n. 373 del 2003), ma del collegio giudicante devono necessariamente fare parte due di tali componenti (art. 4, 2° comma). Alcuni commentatori (in relazione alla disciplina del 1948, rispetto alla quale quella oggi vigente non presenta, sotto il profilo che interessa, differenze significative), preso atto della “pariteticità della composizione”, sebbene “ineguale”, si sono chiesti se da essa potesse dedursi la natura di organo rappresentativo del Consiglio, ed hanno dato al riguardo una risposta negativa assumendo che le sue funzioni “soddisfano interessi che trascendono quelli particolari dello Stato o della Regione” 153 e che “la funzione giurisdizionale non tollera una qualsiasi rappresentatività essendo il giudice soggetto imparziale sottoposto solo alla legge”154. Ma è un fatto però che i componenti laici sono individuati, scelti, voluti, 153 154 S. DE FINA, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, cit., 230. R. CHIEPPA, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, cit., 3. 108 dal Presidente della Regione. E la prescrizione che vincola nel modo predetto la composizione del collegio giudicante contribuisce in modo rilevante a marcare la differenza dei laici rispetto ai togati ed a configurarne un ruolo singolare nell’ambito del collegio. Per contro è del tutto irrilevante la circostanza – ritenuta fondamentale nella sentenza delle Sezioni unite n. 2994 del 1955155 - che la nomina dei laici viene disposta con un decreto del Presidente della Repubblica. E’ agevole obiettare che il decreto di nomina ha un valore soltanto formale. Il Presidente della Repubblica si limita a prendere atto del provvedimento regionale di designazione, della proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del parere del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa e della delibera del Consiglio dei ministri (peraltro “cui partecipa il Presidente della Regione siciliana ai sensi dell’articolo 21, terzo comma dello Statuto”, art. 6, 3° comma, D.l.vo n. 373 del 2003). Solo nell’ipotesi, del tutto astratta, di mancanza dei requisiti prescritti dall’art. 4, 1° comma, lett. d), ovvero di un vizio procedimentale, potrebbe verificarsi la mancata emanazione del decreto presidenziale. B) La Regione, il cui Presidente, come si è visto, sceglie i componenti laici, è parte – direttamente - in un grande quantità di giudizi che si celebrano davanti al Consiglio di giustizia amministrativa. E se si considera, come appare ragionevole, l’insieme dei poteri locali facenti capo alla Regione (Province, Comuni, Aziende sanitarie, ecc.), questa risulta interessata nella stragrande maggioranza dei giudizi (si pensi ai principali settori del contenzioso: urbanistica ed edilizia, appalti di lavori, servizi e forniture, commercio, ecc., tutte materie esclusivamente o prevalentemente regionali e locali). Comunque, ai fini della valutazione delle disposizioni sulla composizione del Consiglio in relazione ai parametri della Costituzione, le percentuali non contano. E’ un fatto innegabile che, quanto meno nei giudizi nei quali è parte l’ente Regione, i componenti laici sono scelti da una delle parti del giudizio. Dato che la composizione dell’organo non muta a seconda che si tratti di contenzioso con lo Stato o con la Regione, o con qualsiasi altro 155 Si legge testualmente nella sentenza, come si è visto, che l’indipendenza del componenti laici del Consiglio è “assicurata” perché “la loro nomina è affidata alla più alta Autorità dello Stato”. 109 ente, se la partecipazione dei laici si rivela in contrasto con la Costituzione in relazione anche ad una parte soltanto dei giudizi, le disposizioni che la disciplinano sono incostituzionali. Ed è appena il caso di rammentare che anche un solo componente non indipendente è sufficiente a minare l’imparzialità dell’organo156. C) A seguito della L. Cost. 31 gennaio 2001, n. 2, con la quale è stato modificato lo Statuto della Regione Siciliana, la forma di governo della Regione non è più quella parlamentare, ma è quella presidenziale. Il Presidente della Regione è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente all’elezione dell’Assemblea regionale (art. 9 St. sic.). La modifica non è di scarso rilievo. Mentre prima di tale riforma, la durata media dei governi regionali (la cui elezione era demandata all’Assemblea regionale), non diversamente dalla durata media dei governi centrali, era inferiore ad un anno, a seguito dell’elezione diretta, il Presidente della Regione normalmente rimane in carica per tutta la durata della legislatura, cinque anni, e può essere rieletto. Sicché mentre in precedenza soltanto per un primo periodo dalla nomina dei componenti laici rimanevano in carica lo stesso presidente e la stessa giunta che avevano deciso la loro scelta, a partire dalla riforma del 1999, accade il contrario. E’ normale che il presidente regionale che ha effettuato la scelta dei componenti laici rimanga in carica per l’intero sessennio del loro mandato. Si tratta quindi di una situazione ben diversa da quella considerata dalla Corte costituzionale a proposito delle nomine governative di consiglieri della Corte dei conti, di nomine “fatte da Governi diversi o addirittura di opposto orientamento”157. In quel caso il rapporto tra nominante (Governo) e nominato 156 E’ da ricordare al riguardo la pronunzia sulla Giunta giurisdizionale amministrativa della Valle d’Aosta, due dei cui cinque componenti erano funzionali statali (un consigliere di prefettura e l’Intendente di finanza). Nella sentenza con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale tale composizione, 20 aprile 1968, n. 33 (in Giur. cost. 1968, 487), si legge: “Vero è che essi …non rappresentano la maggioranza dei componenti dell’organo giurisdizionale in esame. Ma a parte il fatto che ne costituiscono i due quinti sta di fatto che la partecipazione ad un organo giurisdizionale di un solo componente non indipendente è sufficiente a minare l'imparzialità dell'organo”. 157 Corte cost. 21 gennaio 1967, n. 1, in Giur. cost. 1967, 1 ss. con nota di R. CHIEPPA, A proposito di indipendenza della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, ed in Foro amm. 1967, parte II, 3, con nota di P. BELLINI, Sulla guarentigia costituzionale della indipendenza della 110 (consigliere che resta in carica sino al collocamento a riposo) è destinato a non durare nel tempo. Si esaurisce con la nomina (o ad essa sopravvive per poco tempo). 3. – L’evoluzione della configurazione del giudizio amministrativo alla stregua della riforma del 1998-2000 e dell’assetto risultante dalle pronunzie della Corte costituzionale e della Corte di cassazione ai fini dei parametri di costituzionalità che si traggono dalle disposizioni costituzionali sulla giurisdizione. E’ opportuno considerare un ulteriore aspetto, che invero si riscontra anche per quanto concerne il Consiglio di Stato, il quale merita di essere tenuto adeguatamente presente: la profonda evoluzione che la giustizia amministrativa ha subito dall'epoca nella quale fu concepita la Costituzione ad oggi. L'assetto vigente all'epoca nella quale operò l'Assemblea costituente era quello dettato dal testo unico sul Consiglio di Stato del 1924, che configurava il giudice amministrativo come giudice dell'interesse legittimo, e soltanto per poche materie, nelle quali pure l’amministrazione si presenta come autorità, ma caratterizzate dalla difficoltà di distinguere tra le due diverse posizioni giuridiche soggettive, anche del diritto soggettivo. Vero è che gli interessi legittimi si trovano giustapposti ai diritti soggettivi (artt. 24, 1° comma e 113, 1° comma), secondo una visione che sembra muovere dalla concezione di una pari dignità delle due posizioni giuridiche soggettive. E’ lecito desumerne il ripudio della concezione, all'epoca molto diffusa, che vedeva la giurisdizione amministrativa prevalentemente in funzione del perseguimento della legittimità dell’azione amministrativa, e solo secondariamente in funzione di protezione degli interessi individuali. Ma i costituenti, mentre relativamente all’autorità giudiziaria ordinaria, si preoccuparono di disporre direttamente i presidi volti a garantirne una effettiva indipendenza, e non soltanto nei confronti del governo - prevedendo l’organo Corte dei conti e dei suoi componenti nel confronti del Governo. Ancora sulle nomine governative alla Corte dei conti, A. MATTIONI, Problemi costituzionali relativi alla nomina governativa dei consiglieri della Corte dei conti, in Riv. trim. dir. pubbl., 1969, 238. 111 di autogoverno (art. 104-105), l’assunzione per concorso (art. 106), e l’inamovibilità (art. 107) - per quanto concerne il Consiglio di Stato, si limitarono a sancire il principio dell'indipendenza dal governo (art. 100, 3° c.) con una considerazione complessiva delle sue funzioni, senza distinguere tra quella consultiva e quella giurisdizionale, ed affidarono il compito di disciplinarla al legislatore158. La diversità di disciplina, in ordine alla garanzia di indipendenza, tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, si correla alla configurazione, sopra accennata, che la seconda aveva all’epoca della costituente. La situazione subiva rilevanti evoluzioni già negli anni ’70 e ’80, con il considerevole aumento del contenzioso, l'istituzione dei tribunali amministrativi regionali, il progressivo incremento della giurisdizione esclusiva. La dottrina più attenta non mancava di registrare il cambiamento e di rilevare, in relazione alla giurisdizione amministrativa, la necessità di una nuova riflessione sulla garanzia di indipendenza prevista dalla Costituzione159. 158 Sulle disposizioni della Costituzione concernenti la giustizia amministrativa, è da ricordare che si sono formate in dottrina due correnti di pensiero: quella secondo la quale il costituente si sarebbe limitato a consacrare la situazione vigente a quel momento e quella secondo la quale, al contrario, dalla Costituzione si ricavano principi fortemente innovativi. Cfr. in vario senso, V. BACHELET, La giustizia amministrativa nella Costituzione, Milano, Giuffrè, 1966; G. ROEHRSSEN, La giustizia amministrativa nella Costituzione, Milano, Giuffrè, 1988; A. PAJINO, Le norme costituzionali sulla giustizia amministrativa, in Dir. proc. amm. 1994, 419; E. FOLLIERI, La giustizia amministrativa nella Costituente tra unicità e pluralità delle giurisdizioni, in Dir. proc. amm., 2001, 911; A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto, passim, spec. capo primo. Sebbene si tratti di profilo non direttamente rientrante nell’ambito del presente lavoro, non appare superfluo precisare che indubbiamente la Costituzione configura la giustizia amministrativa come tutela giurisdizionale del cittadino nel confronti della pubblica amministrazione (art. 24 e 113), accogliendo quindi la visione soggettiva, mentre non asseconda la visione oggettiva della giustizia amministrativa in funzione del perseguimento dell‘interesse pubblico. 159 G. BERTI, in AA.VV., La magistratura. Artt. 111-113, sub artt. 113 e 103, 1° e 2° comma, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1987, 85 ss., spec. 94-98, osserva, tra l’altro: “L'istituzione dei TAR e del doppio grado di giurisdizione, il progressivo incremento della giurisdizione esclusiva, l'accentuazione della processualizzazione del giudizio amministrativo, l'incremento delle liti tra soggetti pubblici hanno, nel loro insieme e in diverse direzioni, alterato il quadro dalla giustizia amministrativa che i costituenti si erano trovati di fronte ed inducono a nuove riflessioni sui fattori sia soggettivi che oggettivi di questo ambito di giustizia”. G. SILVESTRI, Giudici ordinari, giudici speciali e unità della giurisdizione nella Costituzione italiana, op. loco cit., prendendo le mosse dal principio di unicità della giurisdizione, sostiene che anche la giurisdizione amministrativa, per quanto concerne in particolare l’indipendenza, “valore-fine fondamentale affermato nella Costituzione”, dovrebbe essere considerata ordinaria in quanto esercita funzioni giurisdizionali tipiche. Dopo avere osservato che “la giurisdizione amministrativa si presenta come un sistema in espansione”, sostiene che, anche per tale ragione, essa non può essere “confinata in un settore come quello delle 112 Tuttavia, sino alla fine degli anni ‘90 permaneva l'originaria configurazione del giudizio amministrativo in misura preponderante come giudizio di impugnazione di atti amministrativi lesivi di interessi legittimi, ed in limitate, seppure crescenti, materie, anche di diritti soggettivi. Rimaneva ferma l’attribuzione al giudice ordinario della competenza relativa alle questioni patrimoniali consequenziali, compreso il risarcimento dei danni. Lo scenario è di molto cambiato a seguito delle innovazioni introdotte con il D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e poi con la L. 21 luglio 2000, n. 205. Al giudice amministrativo è attribuita la giurisdizione esclusiva in materia di servizi pubblici, urbanistica ed edilizia, intesa l’urbanistica come concernente gli usi del territorio, e comprensiva delle espropriazione. E’ venuta meno la preclusione relativa alla risarcibilità dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi. Allo stesso giudice amministrativo è attribuito il contenzioso sul risarcimento dei danni, non solo nell’ambito della giurisdizione esclusiva, ma anche nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità. Come è stato notato dalla dottrina più attenta già all’indomani dell’approvazione del D.lgs. n. 80 del 1998, il sistema di giustizia amministrativa, attraverso tali innovazioni, si è indirizzato verso una “piena giurisdizione” del giudice amministrativo160. giurisdizioni speciali, considerato complessivamente “recessivo” dalla Costituzione”. R. GAROFOLI, Unicità della giurisdizione e indipendenza del giudice: principi costituzionali ed effettivo sviluppo del sistema giurisdizionale, cit., 121 ss., dopo avere (anch’egli) rilevato “una incontestabile ed evidente tendenza all'espansione della giurisdizione del giudice amministrativo al quale una serie consistente di interventi legislativi ha riconosciuto nuove competenze” (pag. 150-151 [vengono di seguito citate esemplificativamente la L. 146 del 1990, sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, la L. 241 del 1990 sul procedimento, la 287 del 1990 sulla tutela della concorrenza e del mercato, la L. 481 del 1995, sui servizi di pubblica utilità]), aggiunge che “agli ampliamenti in via legislativa degli spazi giurisdizionali riservati al giudice amministrativo si sono affiancati indirizzi giurisprudenziali che molto spesso hanno di fatto avallato tale sviluppo del sistema giurisdizionale nel senso della valorizzazione, per così dire, della direttrice tracciata dall'art. 103 della costituzione, evidentemente intesa non già - come si dovrebbe - quale norma derogatoria rispetto al principio fondante della tendenziale unicità, bensì come vera e propria fonte di rango costituzionale legittimante una espansione incontrollata e illimitata dell'ambito cognitivo dei giudici in essa previsti” (pag. 153). Dopo un cenno alla “necessità di porre mano ad alcune modifiche del titolo IV della Costituzione”, l'autore osserva: “ ciò che si ritiene indispensabile e improcrastinabile è una parificazione dello status dei diversi giudici, in particolare un livellamento verso l’alto, per così dire, della disciplina volta a garantire l'indipendenza di quei giudici non ordinari che, concepiti dal costituente come giudici cui riconoscere un ruolo residuale nel sistema giurisdizionale, hanno visto gradualmente e in modo consistente accrescere gli ambiti delle rispettive giurisdizioni, ossia il giudice amministrativo e quello contabile” (pag. 160). 160 S. CASSESE, Verso la piena giurisdizione del giudice amministrativo. Il nuovo corso della giustizia amministrativa, in Giorn. dir. amm., 1999, 1221. Più diffusamente A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, I, Cedam, Padova, 2000. 113 La Corte costituzionale, con sentenza n. 204 del 2004161, mentre ha limitato, in parte riscrivendo gli artt. 33 e 34 D.lgs. n. 80 del 1998, come sost. dall’art. 7 L. 205 del 2000, l’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, urbanistica ed edilizia alle fattispecie caratterizzate dalla presenza della “pubblica amministrazione – autorità”, ha riconosciuto la legittimità costituzionale dell’attribuzione al giudice amministrativo del potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto (art. 35 D.lgs. n. 80 del 1998, sostituito dall’art. 7, lett. c) L. 205 del 2000). Ha precisato la Corte che il risarcimento costituisce “uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione”. Ed ha aggiunto: “L’attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato, ma anche, e soprattutto, essa affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri”. Si è spinta più in là la Corte di cassazione a sezioni unite, con ordinanze del 13 giugno 2006, n. 13659, e n. 13660, emesse in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, la quale ha affermato che “il legislatore di fine secolo non ha inteso ridurre la tutela risarcitoria al solo profilo di completamento di quella demolitoria, ma, mentre l’ha riconosciuta con i caratteri propri del diritto al risarcimento del danno, ha ritenuto di affidare la corrispondente tutela giudiziaria al giudice amministrativo, nell’intento di rendere il conseguimento di tale tutela più agevole per il cittadino”162. Più recentemente tale orientamento è stato ribadito con sentenza delle 161 Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, in Giur. cost. 2004, 2181, con note di F.G. SCOCA, Sopravviverà la giurisdizione esclusiva? e di S. LARICCIA, I limiti costituzionali della discrezionalità del legislatore ordinario nella disciplina della giustizia amministrativa. (Cfr. anche Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191, ivi, 2006, 1921, con note di S. LARICCIA, Alla ricerca dei provvedimenti amministrativi mediamente riconducibili all’esercizio del potere pubblico: un nuovo avverbio per il dibattito tra i giudici, gli avvocati e gli studiosi della giustizia amministrativa italiana, e di G. GRECO, Giurisdizione esclusiva e dintorni: la Corte apre alla tutela meramente risarcitoria davanti al giudice amministrativo). 162 . L’ordinanza n. 13660, in Giurisdizione amministrativa, 2006, 440. Sull’ordinanza n. 1339 un commento di A. LAMORGESE in Urbanistica e appalti, 2006, n. 10, 1175. 114 stesse sezioni unite 23 dicembre 2008, n. 30254 con la quale il giudice della giurisdizione ha fissato il seguente principio: “Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento”163. L’attribuzione al giudice amministrativo di poteri idonei ad assicurare una tutela piena risponde al principio di effettività della tutela sancito dall’art. 24 Cost., e ne suggella il possesso di una dignità di giudice non inferiore, ma pari, a quella del giudice ordinario. I principi dettati dalla Costituzione in materia di giurisdizione e di diritto di difesa assumono pertanto una valenza diversa e ben più pregnante rispetto a quella che essi avevano sino a pochi anni or sono. Ognuno vede quanto siamo lontani, in relazione al Consiglio di giustizia amministrativa, dalla visione di cui è permeata la sentenza della Corte di cassazione del 1955 che, come abbiamo visto, a parte la sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 1976 per merito della quale è venuta meno la riconfermabilità dei membri laici, ha introdotto un orientamento che si è rivelato pietrificato. 4. – L’introduzione del principio del giusto processo nella Costituzione (L. cost. n. 2 del 1999). La precedente elaborazione del principio ad opera della Corte costituzionale dapprima in materia civile e successivamente in materia penale. Il “processo giusto” come “sommo bene”. L’imparzialità e la terzietà. 163 In Foro amm. CdS 2008, 2639, con nota di F. SATTA, Quid novi dopo la sentenza n. 30254 del 2008 delle sezioni unite?, ed in Urbanistica e appalti, 2009. n. 5 con commento di S. FANTINI. Non rientra nell’economia del presente lavoro indugiare sul problema della “pregiudiziale amministrativa”, vale a dire della proponibilità di azioni risarcitorie autonome davanti al giudice amministrativa. Ci si limita a rammentare che la questione rimane aperta. Con decisione del Cons. Stato, VI, 21 aprile 2009, n. 2436 (in www.giustamm.it) è stata nuovamente rimessa all’adunanza plenaria. 115 Vediamo adesso l’impatto sulla composizione mista del C.G.A. della recente introduzione nella Costituzione dei principi del giusto processo davanti a giudice terzo ed imparziale. Si fa presente che l’espressione giusto processo davanti a giudice terzo ed imparziale, della quale si fa uso nel presente lavoro, costituisce la sintesi verbale di due distinti principi, rispettivamente contenuti nel primo e nel secondo comma dell’art. 111, il secondo dei quali (giudice terzo ed imparziale) costituisce uno dei profili del primo (giusto processo)164. Sebbene siano trascorsi non pochi anni dalla citata legge costituzionale n. 2 del 1999 e sia ormai apparso, sul novellato art. 111, un discreto numero di sentenze della Corte costituzionale (la stragrande maggioranza delle quali invero di manifesta infondatezza, e quasi tutte sul giudizio civile e sul giudizio penale)165, non si rinvengono pronunzie che possano costituire una sicura guida ai fini dell’individuazione del parametro di costituzionalità con riferimento alla composizione mista del Consiglio di giustizia amministrativa, sicché al fine di cogliere la portata del principio del giusto processo davanti a giudice terzo e imparziale quale parametro di costituzionalità in relazione alla disciplina del C.G.A., appare necessario vedere come esso è nato e si è sviluppato. E’ da ricordare innanzi tutto che ha radici sopranazionali. L’art. 10 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 proclama il diritto di ogni individuo, in posizione di piena eguaglianza, ad un’equa e pubblica 164 Sul giusto processo in relazione al giudizio amministrativo, E. PICOZZA, Il giusto processo amministrativo, in Cons. Stato, 2000, II, 1061 ss.; M. CECCHETTI, Giusto processo (diritto costituzionale) in Enc. Dir., Aggiornamento V, Milano, Giuffrè, 2001, 595 ss.; M. MENGOZZI, La riforma dell’art. 111 Cost. e il processo amministrativo, in Giur. cost., 2003, 2487 ss.; S. TARULLO, Il giusto processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 2004; Id., Giusto processo (diritto processuale amministrativo), in Enc. dir., Annali, II, tomo I, Milano, Giuffrè, 2008, 377 ss.A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non amministrativa”, cit.; M. RENNA, Giusto processo ed effettività della tutela in un cinquantennio di giurisprudenza costituzionale sulla giustizia amministrativa: la disciplina del processo amministrativo tra autonomia e “civilizzazione”, cit. Riguarda il giusto processo in generale ma contiene utili indicazioni riferibili al giudizio amministrativo, il lavoro di F. CUOCOLO, Rilevanza costituzionale del “giusto processo”, in Rass. parl. 2006, 19 ss. 165 M. CECCHETTI, Riforma dell’art. 111 della Costituzione e giurisprudenza costituzionale: analisi e bilancio del primo triennio, in Diritti - Nuove tecnologie - Trasformazioni sociali (Scritti in memoria di Paolo Barile), Padova, Cedam, 2003, 165 ss., parla, con riferimento al primo triennio di “aumento vertiginoso” dell’uso del’art. 111 come “parametro di costituzionalità delle leggi processuali”. Ammette però che sono poche le “pronunzie nelle quali la Corte affronta pienamente le questioni nei loro profili di merito”. Negli ulteriori cinque o sei anni la situazione non sembra mutata. 116 udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale. Analogamente l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950 (resa esecutiva in Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848), e l’art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (reso esecutivo con L. 25 ottobre 1977, n. 881), sanciscono il principio dell'equo processo davanti a giudice indipendente ed imparziale. L’Assemblea costituente non aveva sentito il bisogno di enunciare espressamente il principio di imparzialità del giudice (sancito invece per l’amministrazione dall’art. 97). Si era preoccupata di assicurare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, e lo aveva fatto non soltanto con norme ad hoc (artt. 104, 1° c., per la magistratura ordinaria, 108, 2° comma, per i giudici delle giurisdizioni speciali, 100 u.c. per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, in relazione alle rispettive funzioni, consultive e giurisdizionali per il primo, di controllo e giurisdizionali per il secondo), ma, per quanto concerne la magistratura ordinaria, con la previsione dell’organo di autogoverno, accompagnata dalla garanzia dell’inamovibilità (art. 107), e dal principio delle nomine per concorso (art. 106), rinviando invece, per le altre giurisdizioni, al legislatore ordinario il compito di dare un contenuto al principio di indipendenza166. Ma l’indipendenza veniva vista in relazione agli altri poteri, in particolare al potere esecutivo167. Si deve alla dottrina ed alla giurisprudenza della Corte costituzionale il merito di avere enucleato, ben prima che intervenisse la legge costituzionale n. 2 del 1999, il principio del giusto processo traendolo dal complesso delle 166 Sui lavori dell’Assemblea costituente in relazione alle disposizioni sulla giustizia amministrativa, G. SILVESTRI, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino, Giappichelli, 1997, 28 ss.; E. FOLLIERI, La giustizia amministrativa nella costituente tra unicità e pluralità delle giurisdizioni, in Dir. proc. amm., 2001, 911 ss.; Come esattamente osservato da N. TROCKER, Il valore costituzionale del “giusto processo”, in M.G. CIVININI e C.M. VERARDI (a cura di), Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile (Atti del Convegno dell’Elba, 9-10 giugno 2000. Quaderni di “Questione Giustizia”), Milano, Franco Angeli, 2001, 36 ss., spec. 45-46, “la preoccupazione del Costituente italiano, anche in considerazione della precedente esperienza maturata nel periodo totalitario, fu anzitutto quella di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e di tutelare l’indipendenza del singolo magistrato rispetto ai condizionamenti provenienti dagli altri poteri”. 167 In tal senso, N. TROKER, op. loco cit.: “la preoccupazione del Costituente italiano, anche in considerazione della precedente esperienza maturata nel periodo totalitario, fu anzitutto quella di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e di tutelare l’indipendenza del singolo magistrato rispetto ai condizionamenti provenienti dagli altri poteri”. 117 norme costituzionali relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (art. 24, 1° comma), al diritto di difesa (art. 24, 2° comma), ed alla magistratura (artt. 101 – 113 cost.). Già nella giurisprudenza dei primi anni dall’inizio di funzionamento della Corte, veniva evidenziato il collegamento tra il diritto di difesa configurato dall’art. 24, 2° comma, come inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, ed il diritto di ogni cittadino, proclamato nel comma precedente dello stesso articolo (1° comma), di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi168. La dottrina aveva tratto dal diritto di difesa come interpretato dalla Corte e da diverse disposizioni contenute nel titolo IV sulla magistratura, che ogni processo debba svolgersi con idonee garanzie processuali, ed in particolare nel pieno rispetto del contraddittorio, che debba essere assicurata la parità della parti, che debba essere garantita l’imparzialità degli organi giurisdizionali.169 Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, a partire dalla metà degli anni ’80, ricorre con frequenza il riferimento al principio del “processo giusto” 168 Si legge nella sentenza della Corte cost., 18 marzo 1957, n. 46, in Giur. cost. 1957, 587, “Per cogliere il significato e la portata del diritto della difesa, con tanta energia proclamato dalla Costituzione come inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, é necessario porre in relazione il diritto stesso con il riconoscimento del diritto, per ogni cittadino enunciato nella prima parte del medesimo art. 24, di potere agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. /In questo modo si rende concreto e non soltanto apparente il diritto alla prestazione giurisdizionale, che é fondamentale in ogni ordinamento basato sulle esigenze indefettibili della giustizia e sui cardini dello Stato di diritto. Il diritto della difesa, pertanto, intimamente legato alla esplicazione del potere giurisdizionale e alla possibilità di rimuovere le difficoltà di carattere economico che possono opporsi (come si é detto nel terzo comma dello stesso art. 24) al concreto esercizio del diritto medesimo, deve essere inteso come potestà effettiva della assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti. Così il compito della difesa assume una importanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale, tanto da poter essere considerato come esercizio di funzione pubblica”. Di poco successiva è la sentenza 22 dicembre 1961, n. 70, in Giur. cost. 1961, 1282, nella quale la Corte afferma che “l’esistenza di un diritto implica, in virtù dell’art. 24 della Costituzione, la possibilità di farlo valere dinanzi all’Autorità giudiziaria coi mezzi offerti in generale dall’ordinamento giuridico”, possibilità che comporta la completa esplicazione del diritto di difesa, la piena libertà di apprezzamento del giudice e la garanzia del contraddittorio. 169 Cfr. M. CAPPELLETTI, Diritto di azione e di difesa e funzione concretizzatrice della giurisprudenza costituzionale (Art. 24 Costituzione e “due process of law clause”), nota alla sentenza della Corte cost. 22 dicembre 1961, n. 70, in Giur. cost. 1961, 1284; M. CECCHETTI, Giusto processo (diritto costituzionale), cit.; P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 287. Tra i primi contributi sul giusto processo (ante litteram) sono inoltre da ricordare P. CALAMANDREI, Processo e giustizia, in Riv. dir. proc. 1950, 19 ss.; E.J. COUTURE, La garanzia costituzionale del “dovuto processo legale”, ivi, 1954, 6 ss 118 dapprima in materia civile e poi in materia penale.170 Le prime sentenze appaiono negli anni 1984, 1985 e 1986, e riguardano tutte la materia civile (relatore Virgilio Andrioli). Nella prima di tali sentenze, la n. 41 del 1985, si legge: “l'art. 24 tutela non solo il diritto di difesa ma anche - anzi in prima linea - l'esercizio in giudizio dei diritti e degli interessi legittimi in guisa da dar vita al sommo bene del processo giusto descritto negli artt. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e 14 del Patto internazionale di New York del 19 ottobre 1966, relativo ai diritti civili e politici”171. In altre sentenze dello stesso periodo il concetto si arricchisce di ulteriori sfaccettature. In particolare nella sentenza la n. 137 del 1984, si rinvengono alcune significative affermazioni che si consolideranno come criteri guida nelle successive pronunzie. In primo luogo il “processo giusto” visto come “esigenza suprema che non si risolve in affari di singoli, ma assurge a compito fondamentale di una giurisdizione che non intenda abdicare alla primaria funzione di dicere ius di cui i diritti di agire e di resistere nel processo (quale che ne sia l'oggetto) rappresentano soltanto i veicoli necessari in non diversa guisa delle norme disciplinatrici della titolarità e dell'esercizio della potestà dei giudici”. In secondo luogo l’individuazione della base normativa del principio nell’art. 24 Cost. visto in correlazione con l'art. 6 della CEDU, e con l'art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici172. Nella sentenza n. 102 del 1986 si precisa ulteriormente che l’art. 24, 2° comma, l’art. 6 della CEDU e l’art. 15 del Patto internazionale del 1966 “si indirizzano” a “rendere concreto” “il dettame del processo giusto”173. Anche nelle successive pronunzie la base costituzionale del giusto processo rimane individuata nell’art. 24, menzionato senza riferimento ai commi, o con riferimento al secondo comma, o ad entrambi i commi. Compare 170 Sulla genesi storica del giusto processo, N. TROCKER, op. loco cit..; M. CECCHETTI, op. loco ult. cit.; Id., Il principio del “giusto processo” nel nuovo art. 111 della Costituzione. Origini e contenuti normativi generali, in P. TONINI (a cura di), Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova (legge 1° marzo 2001, n. 63), Padova, Cedam, 2001, 49 ss.; P. FERRUA, Il giusto processo, 2^ ed., Bologna, Zanichelli, 2007. 171 Corte cost. 13 febbraio 1985, n. 41, in Giur. cost. 1985, 172. 172 Corte cost., 4 maggio 1984, n. 137, in Giur. cost. 1984, 896. 173 Corte cost. 22 aprile 1986, n. 102, in Giur. cost. 1986, 565. 119 talvolta anche il riferimento all’art. 3 Cost. Un carattere comune che si può cogliere nelle pronunzie del periodo predetto è che esse, sebbene, in mancanza di puntuali disposizioni costituzionali, introdotte soltanto con la L. cost. n. 2 del 1999, facciano costantemente riferimento, come si è detto, all’art. 24 Cost., prospettano una visione che va ben oltre l’ambito dell’esigenza di effettività della difesa, che si rivela fondativa del principio174. Il processo giusto è il “sommo bene”, “l’esigenza suprema”, il “compito fondamentale” della giurisdizione, la cui primaria funzione è lo ius dicere. Il diritto di agire e di resistere in giudizio, non diversamente dalle norme che disciplinano la titolarità e l’esercizio della potestà dei giudici, sono gli strumenti per il raggiungimento del processo giusto. In altri termini, fermo restando che deve essere tutelato il diritto di difesa delle parti, tale diritto non è visto come fine a sé stesso, ma come uno strumento necessario per garantire il fondamentale valore costituito dal “processo giusto”. Valore che trascende “gli affari di singoli”, “l’un contro l’altro armati”175. Si afferma che “il consistente orientamento della Corte” è nel senso di “ravvisare l’oggetto dell’art. 24 Cost. non nella garanzia dell’esercizio dell’azione e della difesa del contraddittore, ma nella partecipazione dei legittimati ad agire e contraddire all’esercizio della funzione giurisdizionale”176. Le sentenze degli anni ’80 hanno come effetto quello di espungere dalla disciplina dei processi in materia civile tratti i quali, seppure risulti assicurata la possibilità di agire e di contraddire, non assicurano in misura adeguata il raggiungimento del processo giusto. Così, ad esempio, l’art. 648, 2° comma, c.p.c., a norma del quale il giudice è tenuto a concedere la provvisoria esecuzione dell’ingiunzione se la parte che l’ha chiesta offre cauzione, sebbene il diritto di difesa sia garantito in quanto, istituito il contraddittorio, il debitore ed il creditore possono fare valere le rispettive ragioni, non è rispondente al principio del processo giusto, 174 Sul diritto di difesa, P. GROSSI, Il diritto di difesa nella costituzione italiana e la sua individuazione come principio supremo dell’ordinamento costituzionale, in Scritti in memoria di Livio Paladin, III, Padova, Cedam, 2004, 1169 ss.; C. PEPE, La tutela costituzionale del diritto di difesa (nei giudizi contro la P.A.), Padova, Cedam, 2006; 175 Corte cost. 4 maggio 1984, n. 137, cit. 176 Corte cost. 4 maggio 1984, n. 137, cit. 120 perché impone al giudice di autorizzare la provvisoria esecuzione senza la possibilità di valutare se l’opposizione sia oppure no fondata su prova scritta o si profili di pronta soluzione177. Ancora. L’art. 5, 2° comma, della legge 3 aprile 1979, n. 95, di conversione del decreto legge 30 gennaio 1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione delle grandi imprese in crisi), il quale prevedeva che soltanto la società consortile autorizzata al risanamento dell’impresa in crisi potesse domandare la dichiarazione di insolvenza dell’impresa, è in contrasto con l’art. 24 Cost. - del quale si ribadisce che tutela non solo il diritto di difesa, ma ancora prima l’esercizio in giudizio dei diritti e degli interessi legittimi, in guisa da garantire il processo giusto - in quanto tale principio “non consente di rinvenire nella società consortile una fonte di elementi di convinzione sulla solvenza o meno della grande impresa in crisi sì ricca da elevarla ad unica titolare dell’azione di accertamento dello stato di insolvenza, in contrasto con le direttive collaudate da secolare esperienza che degradano le iniziative del debitore, dei creditori e dello stesso P.M. a denunce pur in difetto delle quali il giudice deve d’ufficio accertare lo stato di insolvenza dell’imprenditore”. Donde la dichiarazione di incostituzionalità del citato art. 5, 2° comma, “nella parte in cui non prevede che la dichiarazione dello stato di insolvenza possa essere pronunziata, oltre che sulla domanda della società consortile, anche d’ufficio o ad iniziativa dei soggetti indicati nell’art. 6 r.d. 16 marzo 1942 n. 267”178. Un secondo gruppo di sentenze appare nel quinquennio che precede l’emanazione della legge costituzionale sul giusto processo, dal 1995 al 1999, ed ha ad oggetto la materia penale. Il riferimento normativo principale rimane l’art. 24, 2° comma, al quale si accompagna in alcune pronunzie il 1° comma dello stesso articolo, e/o l’art. 3, e talvolta l’art. 101, 2° comma (I giudici sono soggetti soltanto alla legge). Il valore principale che la Corte tutela è la genuinità del processo formativo della decisione, che deve essere scevra dai condizionamenti che possono derivare, oltre che da interessi propri del giudicante (per i quali soccorrono i rimedi 177 178 Corte cost. 4 maggio 1984, n. 137, cit. Corte cost. 13 febbraio 1985, n. 41, cit. 121 dell’astensione e della ricusazione), anche da precedenti pronunzie dello stesso giudice. La finalità e l’effetto delle sentenze è proprio l’eliminazione dei tratti di disciplina processuale alla stregua dei quali sulla stessa vicenda torni a pronunziarsi un giudice che si era pronunziato in precedenti fasi. Così viene dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 34, 2° comma, cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a svolgere le funzioni di giudice del dibattimento: del giudice delle indagini preliminari che abbia adottato la misura della custodia cautelare nei confronti del soggetto poi rinviato a giudizio179; del giudice che, come componente del tribunale del riesame, si sia pronunziato sull’ordinanza che dispone una misura cautelare nei confronti dell’indagato o dell’imputato180; del giudice che sia pronunziato collegialmente sull’appello avverso le ordinanze in materia cautelare181. Compaiono in queste sentenze i concetti di “imparzialità” e di “terzietà” del giudice visti come connotati essenziali del giusto processo. Si legge nella sentenza n. 131 del 1996: “Il "giusto processo" - formula in cui si compendiano i principi che la Costituzione detta in ordine tanto ai caratteri della giurisdizione, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, quanto ai diritti di azione e difesa in giudizio - comprende l'esigenza di imparzialità del giudice: imparzialità che non è che un aspetto di quel carattere di "terzietà" che connota nell'essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella di tutti gli altri soggetti pubblici, e condiziona l'effettività del diritto di azione e di difesa in giudizio”. E nella sentenza n. 155 del 1996 si legge: “Tra i principi del "giusto processo", posto centrale occupa l'imparzialità del giudice, in carenza della quale le regole e le garanzie processuali si svuoterebbero di significato. L'imparzialità è perciò connaturata all'essenza della giurisdizione e richiede che la funzione del giudicare sia assegnata a un soggetto "terzo", non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del 179 Corte cost. 15 settembre 1995, n. 432, in Giur. cost. 1995, 3371, con nota di P.P. RIVELLO, Un significativo mutamento d’indirizzo della Corte costituzionale: finalmente riconosciuta l’incompatibilità del magistrato chiamato a partecipare al dibattimento dopo avere adottato quale g.i.p. una misura cautelare personale. 180 Corte cost. 24 aprile 1996, n. 131, in Giur. cost. 1996, 1139, con nota di M. MARGHERITELLI, La doppia partecipazione al giudizio incidentale ed al giudizio di cognizione: l’illusione dell’imparzialità del giudice penale. 181 Corte cost. 24 aprile 1996, n. 131, cit. 122 diritto ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere, formatesi in diverse fasi del giudizio in occasione di funzioni decisorie ch'egli sia stato chiamato a svolgere in precedenza”182. Si precisa ancora che la terzietà deve essere organizzata “prima ancora che come diritto delle parti ad un giudice terzo, come modo d’essere della giurisdizione nella sua oggettività”, e “deve essere apprezzata sin dal momento della formazione dei collegi e degli uffici giudicanti”.183 E’ da notare che nelle pronunzie in esame si afferma il valore dell’apparenza. Il principio del giusto processo risulta violato anche nell’ipotesi in cui il giudice possa soltanto apparire condizionato. Nella sentenza n. 131 del 1996, si legge che le incompatibilità dei giudici determinate da ragioni interne al procedimento sono finalizzate ad evitare non solo i condizionamenti ma anche “le apparenze di condizionamenti” derivanti da precedenti valutazioni dello stesso giudice. Queste ultime “possono pregiudicare o fare apparire pregiudicata l’attività di “giudizio””. Nello stesso senso le sentenze n. 177 e n. 371 del 1996, nelle quali si legge che l’istituto dell’incompatibilità del giudice derivante da atti compiuti precedentemente nella stessa vicenda penale è preordinato alla “garanzia di un giudizio imparziale che non sia né possa apparire condizionato da precedenti valutazioni”184. 5. – Il “giusto processo” nel progetto della Commissione bicamerale. Il conflitto tra Corte costituzionale e Parlamento e l’approvazione della legge costituzionale n. 2 del 1999. Sul carattere innovativo o meno di tale legge rispetto alla precedente elaborazione della Corte. L'esigenza di introdurre nella Costituzione il principio del giusto processo si manifesta per la prima volta in sede di Commissione parlamentare per le riforme istituzionali istituita con legge costituzionale 24 gennaio 1997 n. 1. All'articolo 130 del progetto di legge costituzionale approvato in data 4 novembre 1997, si legge (per quanto di interesse ai fini presente lavoro) che 182 Corte cost. 20 maggio 1996, n. 155, in Giur. cost. 1996, 1502. Corte cost. 1 ottobre 1997, n. 307, in Giur. cost. 1997, 1888. 184 Corte cost. 31 maggio 1996, n. 177, in Giur. cost. 1996, 1629; Corte cost. 2 novembre 1996, n. 371, ivi, 3386, con nota di E. VASSALLO, Pronuncia su altra imputazione e incompatibilità del giudice. 183 123 “La giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge…”. E che “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti a giudice terzo”185. Non appare superfluo ricordare che le disposizioni citate si inserivano in un contesto nel quale veniva rafforzato il principio della unicità della giurisdizione (art. 118: “La funzione giurisdizionale è unitaria ed è esercitata dai giudici ordinari e amministrativi istituiti e regolati dalle norme dei rispettivi ordinamenti”), e veniva prevista una incisiva riforma della giurisdizione amministrativa con la separazione tra funzioni giurisdizionali, attribuite in secondo grado alla “Corte di giustizia amministrativa” (art. 119), e funzioni consultive lasciate al Consiglio di Stato, configurato come “organo di consulenza giuridico-amministrativa del governo” (art. 113). Dopo il fallimento della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, a determinare la presentazione di diversi disegni di legge costituzionale sul giusto processo fu il conflitto tra Parlamento e Corte costituzionale sviluppatosi negli anni precedenti in relazione ad alcuni importanti profili del processo penale186. In Parlamento la discussione si concentrò sul processo penale, in funzione del quale l’iniziativa era stata assunta. Ai nostri fini importa soltanto rilevare che dal dibattito emerse la comune volontà di riferire le disposizioni di cui ai primi due commi a tutte le giurisdizioni, compresa quella amministrativa. Riguardo a tali disposizioni che connotano i caratteri essenziali del “giusto processo”, si ritrovano in dottrina ed in giurisprudenza diversi orientamenti, ai cui estremi si collocano quello secondo il quale l’art. 111 non avrebbe introdotto riguardo ai principi di imparzialità e di terzietà alcuna 185 Il progetto della bicamerale si può leggere in A. CARIOLA, Le leggi dell’organizzazione costituzionale, III ed., Milano, Giuffrè, 2006, 1314 ss. 186 In particolare con sentenza 3 giugno 1992, n. 255, in Giur. cost. 1992, 1961 (con nota di G. ILLUMINATI, Principio di oralità e ideologie della Corte costituzionale nella motivazione della sentenza n. 255 del 1992) veniva infirmato il modello “accusatorio” introdotto dal codice di procedura penale entrato in vigore nel 1989 con l’enunciazione del “principio di non dispersione della prova”, mentre con le sentenze sopra ricordate venivano introdotti numerosi casi di incompatibilità non previsti dall’art. 34 del codice. La spinta decisiva venne data dalla sentenza 2 novembre 1998, n. 361, in Giur. cost. 1998, 3083, con la quale era stata dichiarata costituzionalmente illegittima la legge 7 agosto 1997, n. 267, che aveva riscritto l’art. 513 c.p.p. in tema di valutazione delle prove, limitando l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai coimputati in sede di indagini preliminari. 124 sostanziale innovazione, essendo stati essi riconosciuti come connaturali alla funzione giurisdizionale dalla giurisprudenza costituzionale ancora prima di tale riforma.187 E l’altro secondo il quale la legge costituzionale n. 2 del 1999 avrebbe, anche in relazione alla giurisdizione amministrativa, una portata fortemente innovativa, ed anzi avrebbe un “impatto eversivo”188. E’ da registrare altresì una posizione intermedia, secondo la quale le nuove norme costituzionali, pur non aggiungendo altro rispetto a quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale in tema di imparzialità e di terzietà del giudice, conterrebbero una “significativa enfatizzazione di tali principi”189. Per quanto di interesse ai nostri fini, le tre diverse posizioni che si sono individuate non sono inconciliabili. Ciascuna di esse coglie una parte di verità. Il principio del giusto processo visto come compito fondamentale della giurisdizione, come sintesi di tutti valori espressi in materia dalla Costituzione, era stato già ben individuato dalla giurisprudenza della Corte. Ma in quanto principio giurisprudenziale esso si presentava come applicabile soltanto nei limiti nei quali le sentenze del giudice delle leggi lo avevano configurato in relazione alla materia civile ed alla materia penale. Con riferimento ai profili della terzietà e dell’imparzialità le sentenze della Corte avevano individuato cause di incompatibilità in relazione a casi nei quali lo stesso giudice sarebbe tornato a pronunziarsi su vicende sulle quali in veste diversa si era già pronunziato. Non anche in relazione al sistema di provvista, alla genesi, del 187 Corte cost. 15 luglio 2003, n. 240, in Giur. cost. 2003, 2027. In dottrina M. RENNA, Giusto processo ed effettività della tutela in un cinquantennio di giurisprudenza costituzionale sulla giustizia amministrativa: la disciplina del processo amministrativo tra autonomia e “civilizzazione”, cit., 509, secondo il quale le disposizioni di cui ai primi due commi dell’art. 111 Cost. “non sembrano avere apportato aggiunte significative…ai principi e alle regole costituzionali già vigenti sui giudizi e sui giudici amministrativi”. 188 A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto, cit., 73 ss. 189 Cass. SS.UU., 25 giugno 2002, con la quale è stata sollevata la questione di costituzionalità dell’art. 4 L. n. 195 del 1958, ritenuta fondata con sentenza della Corte cost. 23 luglio 2003, n. 262. Appare convincente la posizione di L.P. COMOGLIO, Precostituzione, indipendenza ed imparzialità del giudice, nel volume a cura di E. Fazzalari, Diritto processuale civile e Corte costituzionale, facente parte della Collana “Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana”, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, 94 ss, secondo il quale “la garanzia del giudice “terzo” e “imparziale”, enunciata nell’art. 111, comma 2 Cost., dopo la menzionata riforma del 1999, costituisce certamente una rilevante novità, sul piano formale, fruendo di una consacrazione solenne quale elemento essenziale del “giusto processo regolato dalla legge” (comma 1). Sul piano contenutistico, invece, tale garanzia non è affatto nuova, avendo già trovato da decenni ampio riscontro ed approfondita elaborazione nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in linea con le esperienze europee del processo “equo””. 125 collegio giudicante, profilo che invece viene in rilievo in relazione al Consiglio di giustizia amministrativa. Ovviamente si sarebbe potuto fare affidamento sulla possibilità di ottenere pronunzie che applicassero il principio del giusto processo davanti a giudice terzo ed imparziale alla composizione del collegio, ma è indubbio che trovarsi di fronte un esplicito parametro normativo consacrato sulla Carta con sicuro carattere di generalità attribuisce alla questione una forza pregnante, di certo ben maggiore che non il riferimento ad un parametro da costruire puntando su un ampliamento dell’interpretazione. Tanto più che nella Costituzione del 1948 indubbiamente sussiste una non lieve diversità, sul piano delle garanzie, tra la giurisdizione ordinaria e le altre giurisdizioni, sicché si sarebbe potuto persino discettare sui limiti di applicabilità del principio alla giurisdizione amministrativa. L’esplicita consacrazione in Costituzione delle disposizioni di cui ai primi due commi dell’art. 111 fa venire meno ogni possibile dubbio. Il dettato ricavabile dagli stessi e dall’art. 24, 1° comma, secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi davanti a un giudice terzo e imparziale nell’ambito del giusto processo, ha pieno valore costituzionale in relazione a qualunque tipo di processo, pur nella diversità delle rispettive discipline connesse alle peculiarità proprie di ciascun tipo di procedimento190. E’ da aggiungere che la valenza generalizzata dei principi di imparzialità e di terzietà nell’ambito del giusto processo indubbiamente suffraga il più generale principio dell’unità della giurisdizione, nel senso della tendenziale soggezione di ogni giurisdizione ai principi costituzionali dettati per la magistratura ordinaria191. 190 In tal senso Corte Cost. 21 marzo 2002, 78, in Giur. cost. 2002, 720 (con note di E. ODORISIO, Alcune questioni relative al procedimento di ricusazione al vaglio della Corte costituzionale: la competenza, la non impugnabilità dell’ordinanza del procedimento e la condanna alla pena pecuniaria, pag. 736 e di L. SPOSATO, In tema di applicabilità dell’art. 111 Cost. al processo penale) e 3 luglio 2002, n. 305, ivi, 2002, 2366. 191 Il principio dell’unità della giurisdizione ha avuto una significativa conferma nella sentenza della Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77, in Giur. cost., 2007, 726 (con nota di A. MANGIA, Il lento incedere dell’unità della giurisdizione), con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito 126 6. – Significato e portata dell’imparzialità e della terzietà. Contrasto con tali principi della composizione mista del C.G.A. Secondo quanto è possibile ricavare dall’esame della giurisprudenza costituzionale e della dottrina, i principi di terzietà ed imparzialità postulano un totale distacco psicologico nei confronti delle parti in giudizio, possono ritenersi assicurati soltanto quando il sistema sia tale da garantire condizioni di assoluta neutralità, estraneità ed indifferenza rispetto agli interessi in conflitto192. E’ indubbio al riguardo che assume fondamentale rilievo il sistema di provvista dei componenti del collegio giudicante. Il distacco psicologico, l’estraneità, l’indifferenza, la neutralità e tutte le altre possibili sfaccettature sotto le quali possono essere visti i principi costituzionali sopra richiamati in tanto possono ritenersi sussistenti in quanto, innanzi tutto, nessuna delle parti in giudizio abbia potuto influire sulla scelta di chi deve giudicare. In altri termini terzietà ed imparzialità possono essere assicurate soltanto se - innanzi tutto - non sussiste alcun collegamento genetico tra il giudice e l’organo abilitato a sceglierlo. Per contro, se un tale collegamento sussiste, esso può indurre il primo, sia pure solo incosciamente, ad apprezzare in modo particolare le ragioni del soggetto che lo ha generato come giudice. Risulta evidente a questo punto che la terzietà e l’imparzialità sancite dall’art. 111, 2° comma, diversamente da quanto sembra che abbiano ritenuto le sezioni unite con l’ordinanza n. 19810 del 2008, non coincidono con l’indipendenza di cui all’art. 108, 2° comma ed all’art. 100, u. c. Cost. Quando davanti a giudice munito di giurisdizione. Su tale principio in relazione alla giurisdizione amministrativa, A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello stato di diritto, cit., spec. 40 ss.; G. SILVESTRI, Giudici ordinari, giudici speciali e unità della Giurisdizione nella costituzione italiana, cit., passim; Id., Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, cit. 28 ss.; A. TRAVI, Per l’unità della giurisdizione, in Dir. pubbl., 1998, 371 ss.; E. FOLLIERI, La giustizia amministrativa nella costituente tra unicità e pluralità delle giurisdizioni, cit. 911 ss.; C. MARZUOLI – A. ORSI BATTAGLINI, Unità e pluralità della giurisdizione: un altro secolo di giudice speciale per l’amministrazione, in Dir. pubbl., 1997, 895 ss.; R. GAROFOLI, Unicità della giurisdizione e indipendenza del giudice: principi costituzionali ed effettivo sviluppo del sistema giurisdizionale, cit. 192 Si può condividere l’opinione di A. POLICE, La giurisdizione amministrativa nella giurisprudenza della Corte costituzionale, nel volume a cura di G. Della Cananea e M. Dugato, Diritto amministrativo e Corte costituzionale, cit., il quale afferma: “La terzietà e l’imparzialità del giudice consistono nell’assoluta equidistanza dell’Autorità giudicante dagli interessi che concretamente perseguono i soggetti che operano all’interno del processo”. 127 si parla di indipendenza si fa riferimento all’esecutivo, al Governo, in relazione al C.G.A. al governo regionale193. La mancanza di indipendenza dall’esecutivo indubbiamente compromette la terzietà e l’imparzialità del giudice, ma non esaurisce la gamma dei condizionamenti alla genuità del processo formativo della decisione194. Questi possono derivare anche da altre cause. In relazione al processo penale, come risulta dalla citata giurisprudenza della Corte costituzionale, possono derivare da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere che presumibilmente si sono formate in relazione a precedenti decisioni. In relazione al giudizio amministrativo il problema si pone con riferimento alla genesi, alla provvista dei giudici che vanno a fare parte del collegio, profili non riscontrabili con riferimento alla giurisdizione ordinaria, la quale è esercitata da magistrati togati. Non vale in contrario il riferimento all’art. 106 Cost. che si legge nella 193 Cfr. U. POTOSCHNIG, Il giudice interessato non è indipendente, op. loco cit., il quale osserva che le norme costituzionali le quali si occupano “in vari luoghi” dell’indipendenza del giudice “sembrano invero riferirsi sempre alla cosiddetta indipendenza esterna, quella nei confronti di altri poteri od organi”. Di seguito l’autore fa riferimento all’art. 104, che assicura l’indipendenza della magistratura “da ogni altro potere”, all’art. 100 che assicura l’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti e dei loro componenti “di fronte al Governo”. Per quanto concerne l’art. 108, 2° comma, esso “sembra avere avuto nelle intenzioni dei costituenti – per quel poco che si ricava dai lavori preparatori – il significato di offrire ai giudici non facenti parte della magistratura ordinaria talune “garanzie” di indipendenza non molto dissimili o inferiori a quelle che per i giudici ordinari realizza l’istituzione del Consiglio superiore della magistratura (sempre, dunque, una indipendenza “esterna”). Ciò è conforme, del resto, al concetto stesso dichiarato: assicurare l’indipendenza del giudice significa impedire che il giudice in qualche modo “dipenda” ed il “dipendere” non può essere che da qualcuno o da qualcosa”. Più avanti, dopo avere fatto riferimento ad alcune sentenze della Corte costituzionale nella quali si parla di imparzialità anziché di indipendenza del giudice, aggiunge: “La ragione è che spesso quando si tratta di giurisdizioni speciali, la temuta “dipendenza” del giudice sussiste proprio nei confronti di quella amministrazione o di quell’autorità che è parte nei relativi giudizi; con la conseguenza che la mancata indipendenza si traduce (altresì) in un difetto di terzietà del giudice rispetto alle parti e quindi in un vizio di imparzialità”. 194 La differenza tra imparzialità ed indipendenza è colta esattamente nella prima ordinanza del C.G.A. di rimessione alla Corte della questione di costituzionalità della partecipazione dei laici, in cui il problema viene visto (con riferimento al d.lgs. n. 654 del 1948) in relazione alla disciplina della incompatibilità con l’esercizio della professione forense (aspetto superato con il D.lgs. n. 373 del 2003 e ben diverso da quello di cui si discute nel testo): “E’ noto che il requisito della imparzialità si differenzia rispetto alla indipendenza perché quest'ultimo attiene ai rapporti con gli altri poteri dello Stato (ovvero con gli altri organi dello stesso potere) mentre il primo vuole sottolineare la posizione di indipendenza del giudice dagli interessi presenti in giudizio”, “di assoluta estraneità ed indifferenza e perciò di neutralità rispetto agli interessi in causa” (v. C. cost. n. 93 del 1965) “il cui primo fondamento risiede nell'art. 3 della Costituzione”. Più avanti si precisa che “l'imparzialità trova attualmente espresso riferimento negli articoli 24 e 111 della costituzione” (13 maggio 2003, n. 185 in Foro amm. CdS 2003, 2348, spec. 2379-80). 128 citata ordinanza delle sezioni unite. Quelli previsti dal 3° comma per la nomina a consigliere di cassazione (professori universitari ordinari in materie giuridiche ed avvocati cassazionisti con almeno 15 anni di esercizio professionale) sono requisiti di professionalità, ma nulla hanno a che vedere con la terzietà ed imparzialità. Non solo. L’art. 4, 1° comma, lett. d) D.lgs. n. 373 del 2003 fa riferimento, quanto ai requisiti per la nomina dei laici, oltre che all’art. 106 cost., anche all’art. 19, 1° comma, n. 2, L. 27 aprile 1982, n. 186, sulla nomina governativa dei consiglieri di Stato, alla stregua del quale il Presidente della Regione può designare dirigenti dell’amministrazione pubblica, compresa la Regione, sicché si potrebbero avere come componenti del C.G.A. dipendenti della Regione, i quali, trascorso il sessennio, rientrano nell’amministrazione regionale (giusta l’art. 7, 2° comma, D.lgs. n. 373 del 2003, essi “hanno diritto alla conservazione del posto”).195 Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di cassazione a sezioni unite, riesce difficile invero immaginare una più evidente violazione del principio del giusto processo davanti a giudice terzo e imparziale di quella rappresentata dai 195 Osserva esattamente F.G. SCOCA, Specialità e anomalie del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, cit., con particolare riferimento ai dirigenti che possono essere nominati componenti del C.G.A.: “Il richiamo a requisiti per la nomina governativa a consigliere di Stato risulta improprio, perché non si è tenuto conto che, in quel caso, la nomina è a titolo definitivo: il dirigente nominato perde qualsiasi collegamento con la sua vecchia amministrazione di appartenenza…/ Non mi sembra che un dirigente legato alla Regione, nei cui ruoli è destinato a rientrare alla fine del sessennio di carica, sia nelle condizioni di assicurare indipendenza ed imparzialità di giudizio nei processi che stanno a cuore al Governo regionale./ C’è di più: lo Statuto regionale non prevede che i componenti laici siano designati dalla Regione o dal suo Presidente, per cui il modo di designazione non ha copertura costituzionale. Della sua conformità all’art. 108 Cost. si può anzi dubitare, dato che la Regione e gli enti da essi dipendenti o da essa politicamente vicini sono frequentemente parti nei processi che si svolgono dinanzi alla Sezione giurisdizionale del C.G.A.” (pag. 27). E’ da rammentare al riguardo la sentenza della corte costituzionale n. 49 del 1968 con la quale venne dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge n. 1147 del 1966 riguardante l'istituzione delle sezioni dei tribunali amministrativi per il contenzioso elettorale nella parte in cui prevedeva che due dei cinque componenti fossero funzionari statali di nomina governativa destinati a ritornare nei ruoli allo scadere dell'incarico. Si legge al riguardo nella motivazione: “La nomina governativa di per sé non sarebbe ragione di illegittimità costituzionale (sentenza n. 1 del 1967) se i funzionari, appena nominati, acquistassero indipendenza rispetto al Governo e dalla pubblica amministrazione. Essi, invece, sebbene collocati fuori ruolo, continuano ad appartenerle, beneficiano dei miglioramenti o avanzamenti di carriera, ritornano nei ruoli allo scadere del quinquennio o eventualmente, col proprio consenso, anche prima…”. V. ONIDA, Giurisdizione speciale, in N.ss. dig. it., Appendice, vol. III, Torino, UTET, 1983, 1064 ss., spec., in relazione alla garanzie di indipendenza delle giurisdizioni speciali scrive che, alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale, “si ha effettiva indipendenza solo quando sia garantita l’assenza di ogni aspettativa di vantaggio o timore di pregiudizio in relazione al modo in cui la funzione giurisdizionale è esercitata”. 129 membri non togati della sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Poiché, come abbiamo precedentemente osservato, la maggior parte dei giudizi che si celebrano vedono come parte resistente in primo grado, e quindi appellata o appellante in secondo grado, la Regione siciliana e/o enti, territoriali o funzionali, facenti parte del sistema dei poteri locali e quindi in qualche modo ad essa riconducibili, ed i componenti laici vengono designati dal Presidente della Regione, ben si può affermare che essi vengono scelti da una delle parti del giudizio. Assume inoltre particolare rilievo l’elementare considerazione che i componenti designati dal presidente della Regione hanno, come si legge nel parere dell'adunanza generale del Consiglio di Stato del 27 febbraio 2003, n. 1/2003196, “un radicamento nel contesto territoriale” nel quale svolgono le loro funzioni tale “da comprometterne sia l'apparenza che la sostanza di indipendenza”. Vero è che il concetto è riferito alla disciplina di cui al D. lgs. n. 654 del 1948 alla stregua della quale i componenti designati potevano continuare a svolgere l'attività professionale sia pure con esclusione della giurisdizione amministrativa. Ma la situazione non muta significativamente in relazione ai componenti laici i quali, secondo la disciplina del 2003, mentre sono in carica non possono esercitare attività professionale. Essi, trascorso il periodo di sei anni dalla nomina, se avvocati, ritornano ad esercitare la professione. È prevedibile, pertanto, che siano portati, durante il sessennio dell'incarico a precostituirsi il terreno per un proficuo ritorno alla (o per l’inizio della) professione forense nel campo del Diritto amministrativo. Non varrebbe in contrario ricordare che anche i componenti della Corte costituzionale durano in carica per un tempo limitato. Al riguardo è agevole osservare che le nomine dei componenti della Corte non competono al governo, e meno che mai ad una qualche Regione, ma a tre diversi poteri non riconducibili all’esecutivo (Parlamento, Presidente della Repubblica e magistrature). Ed il radicamento nel contesto territoriale, mentre si ritrova in un ambito delimitato, quale è una Regione, non si ritrova, o si ritrova in ben minore misura, nel contesto nazionale. La Corte inoltre non svolge funzioni 196 in Cons. Stato, 2003, I, 1801 ss. 130 giurisdizionali vere e proprie, “non dà torto o ragione ad uno dei litiganti”197. Il C.G.A. invece dà torto o ragione ad uno dei litiganti, ed uno dei litiganti è nella maggior parte dei casi proprio quello stesso potere locale dal quale sono scelti alcuni dei componenti ([domani forse la maggior parte] e che, trascorso il sessennio, potrebbe richiedere le prestazioni professionali dell’ex componente del C.G.A.). E l’altro litigante è un soggetto privato il quale pure domani potrebbe diventare un buon cliente. 7. – L’ultimo salvataggio. L’ordinanza delle SS.UU. n. 19810 del 2008: la composizione mista non sarebbe in contrasto con l’art. 111 Cost. Possiamo adesso svolgere più puntuali considerazioni sulla citata ordinanza della Corte cass. SS. UU. 18 luglio 2008, con la quale viene in concreto effettuato l’ennesimo salvataggio della partecipazione dei laici, Era stato proposto, innanzi alle sezioni unite un ricorso per difetto di giurisdizione avverso una sorprendente decisione della sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa198. Con il ricorso, premesso che la 197 A. PROTO PISANI – R. ROMBOLI – G. SCARSELLI, Ancora sull’indipendenza dei giudici del Consiglio di Stato, cit. 198 Non appare superfluo riassumere la vicenda processuale conclusasi con la decisione del C.G.A. Con verbale della Commissione Provinciale per la tutela delle bellezze naturali e panoramiche di Catania veniva sottoposta a vincolo paesistico, ai sensi dell’art. 1 n. 1 L. n. 1497 del 1939 e dell’art. 9 r.d. 1357 del 1940, un corpo lavico ritenuto “singolarità geologica”. La proprietaria del bene, con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, impugnava il citato verbale unitamente alla nota della Soprintendenza ai BB. CC. AA. di Catania, con la quale, nel notificare il verbale, veniva fatto “presente che, ai sensi dell'art. 7 e della L. 1497/39, “I proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo dell'immobile… non possono distruggerlo né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che è protetto dalla presente legge. Essi, pertanto, debbono presentare i progetti dei lavori che vogliano intraprendere alla competente Soprintendenza ed astenersi dal porvi mano sino a tanto che non ne abbiano ottenuto l'autorizzazione””. La nota così prosegue: “Al signor sindaco in indirizzo si ricorda che all'interno dell'area vincolata non possono essere realizzati lavori senza il preventivo nulla osta di questa Soprintendenza a partire dalla data di pubblicazione all'albo pretorio comunale, del verbale n. 56 e delle relative planimetrie (Data di affissione: 25.3.97, n. 587 del Comune di Catania)”. Intervenuta frattanto la L. 205 del 2000, con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente chiedeva che il Tribunale Amministrativo Regionale condannasse l’amministrazione al risarcimento del danno stante che, a causa del vincolo, non aveva potuto utilizzare l’area secondo la sua naturale destinazione ad attività industriale. L’adito Tribunale Amministrativo Regionale, con sentenza del 23 settembre 2005 n. 1471 (che si può leggere nel portale internet del Consiglio di Stato e dei TAR: www.giustizia-amministrativa.it), in accoglimento del ricorso, annullava i provvedimenti impugnati e condannava l’amministrazione resistente al pagamento del danno da liquidare a norma dell’art. 35, 2 comma, D.lgs n. 80 del 1998, secondo i criteri fissati nella stessa sentenza. L’Amministrazione Regionale proponeva appello al C.G.A., il quale, con decisione del 12 aprile 2007, n. 310 (che pure si può leggere nel portale internet del Consiglio di Stato e dei TAR), lo accoglieva, annullando per l’effetto la sentenza di primo grado. La decisione è supportata dalla 131 causa, avente ad oggetto una richiesta di condanna al risarcimento dei danni era stata decisa da un collegio del quale facevano parte due componenti designati dalla parte resistente in giudizio, la Regione, veniva sollevata la questione di costituzionalità delle disposizioni contenute dapprima nel D.L.vo n. 654 del 1948 e poi nel D.lgs. n. 373 del 2003, secondo le quali della sezione giurisdizionale del Consiglio fanno parte quattro membri designati dal Presidente della Regione, due dei quali devono fare parte del collegio giudicante. Disposizioni ritenute dalla parte ricorrente in contrasto con i sopra ricordati principi di cui all’art. 111, 1° e 2° comma, giusto processo davanti a giudice terzo ed imparziale, in correlazione con gli artt. 24, che garantisce l’azionabilità dei diritti e degli interessi legittimi in giudizio e sancisce l’inviolabilità del diritto di difesa, 108, secondo comma, sull’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, e 113, che garantisce la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. Disposizioni queste che, ad avviso della parte ricorrente, vanno soggette ad una rilettura alla luce dei principi di cui all’art. 111, 1° e 2° comma. La Corte, con la citata ordinanza, ha ritenuto la questione manifestamente infondata, assumendo innanzi tutto che sarebbe “solo apparente la mancata valutazione…della illegittimità costituzionale, per il profilo del contrasto con l’art. 111 Cost., come novellato nel 1999, di entrambi i decreti legislativi sopra citati relativi alla nomina dei componenti non togati del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, perché il giudice delle leggi ha sempre valutato tutte le questioni relative a tali norme, anche in rapporto alla terzietà seguente brevissima motivazione: “Come rilevato dall’appellante amministrazione l’originario ricorso è stato proposto avverso un atto endoprocedimentale, quale è il verbale n. 56 del 25.11.1995 della Commissione Provinciale per la tutela di bellezze naturali e panoramiche di Catania, che conteneva soltanto una proposta indirizzata al competente Assessorato regionale, di sottoporre a vincolo paesaggistico, come bellezza individua,ai sensi dell’art. 1, punto 1, della l. 1497/39 e dell’art. 9, 2° comma, del R.D. 1357/40, la parte del territorio interessato dall’affioramento del dicco basaltico di Grotta S. Giorgio, in territorio del Comune di Catania e di proprietà della Società appellata./ “Trattandosi, pertanto, di una proposta che non implicava di per sé alcuna imposizione di vincolo, il giudice di prime cure avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso./ “Di conseguenza e assorbiti tutti gli altri motivi di rito e di merito, l’appello va accolto e per l’effetto riformata la sentenza appellata nei termini suddetti”. L’erroneità della pronunzia è di tutta evidenza. E’ assolutamente pacifico, ed è chiaramente affermato nell’impugnata nota della Soprintendenza, che la pubblicazione del verbale della Commissione Provinciale per la tutela delle bellezze naturali e panoramiche ha effetti immediati. Il vincolo è da ritenere apposto a decorrere dalla data di affissione del verbale all’albo pretorio. Ma il collegio giudicante non ha ritenuto di potere – o non ha voluto - confermare la condanna della Regione al risarcimento dei danni. 132 ed autonomia dei giudici non togati, garantita, sia prima che dopo la riforma del 2003, dalle sentenze della Corte costituzionale, che hanno negato il contrasto delle norme di cui agli indicati decreti legislativi, con gli artt. 24, 102, 103, 108, 113, 117 e 120 Cost., con motivazioni che sempre hanno ritenuto rilevante la garanzia della indipendenza dei giudici non togati di cui sopra, come presupposto della conformità alle norme costituzionali sopra richiamate della disciplina della designazione e nomina dei giudici, della cui legittimità oggi si dubita (cfr. 9 febbraio 2005 n. 179 e 6 luglio 2004 n. 316, relativamente al D. Lgs. n. 373 del 2003)”. Si afferma inoltre nell'ordinanza che la scelta dei componenti laici, “comunque limitata ai soggetti con le caratteristiche di cui all’art. 106 Cost. comma. 2, che li qualifica come tali idonei alla designazione”, nonché il divieto di riconferma, “garantiscono pienamente la assoluta imparzialità dei magistrati non togati, designati dalla Regione siciliana, in passato a mezzo della giunta regionale e attualmente a mezzo del suo presidente, mancando ogni potere di tali organi di incidere sull'autonomia nell'esercizio delle funzioni dei giudici da loro nominati./ Infatti non permane alcun rapporto né di servizio né funzionale di tali giudici con la Regione siciliana e gli organi che li hanno designati, durante l'esercizio delle loro funzioni giurisdizionali, tale da potere determinare una influenza concreta di tali organi amministrativi sul giudizio del Consiglio, ledendo quindi il diritto di difesa delle controparti in lite con la Regione, in violazione del principio di terzietà, che si ha invece, allorché il giudice conservi un collegamento organico o di dipendenza con il soggetto che lo ha nominato e che è parte nel giudizio” (segue la citazione delle sentenze della Corte cost. n. 353 n. 393 del 2002, rispettivamente sul Tribunale superiore delle acque e sulla Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte di appello di Napoli). 8. – Diversità dei profili sopra indicati rispetto a quelli considerati nella sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2004. La pronunzia delle sezioni unite non può essere condivisa. Si prescinde per il momento dal considerare la pacifica possibilità, per la Corte costituzionale, di fare luogo ad una decisione di accoglimento 133 nonostante un precedente di segno contrario199. Quello che allo stato interessa è di evidenziare che, relativamente alla composizione mista del Consiglio di giustizia amministrativa, le precedenti pronunzie sulla costituzionalità della composizione di questo non hanno affrontato i profili della terzietà ed imparzialità. Invero hanno preso in considerazione, ma in modo del tutto marginale, il diverso profilo dell’indipendenza. In particolare non risponde al vero che, con le sentenze n. 316 del 2004 e n. 179 del 2005 (la seconda delle quali meramente ripetitiva della prima), la Corte costituzionale si sarebbe già pronunziata sulle questioni dedotte davanti alle sezioni unite nel 2007. Le ordinanze di rimessione del C.G.A. sulla base delle quali la Corte si è pronunziata con la sentenza n. 316 del 2004 avevano denunziato, come si è visto, il contrasto: con l’art. 23 dello statuto, sotto il profilo che esso prevede soltanto un decentramento territoriale e non consente alcuna deroga alla composizione ordinaria delle sezioni del Consiglio di Stato; con gli artt. 102, 1° comma, e 108, 2^ comma, Cost. in quanto il D. lgs. n. 373 del 2004 disciplina una materia riservata alla legge statale; con gli artt. 3, 24, primo comma, 113, 1^ comma, Cost., in quanto la differente composizione dell’organo comporta un differente esercizio della giurisdizione su una parte del territorio nazionale; ancora con l’art. 23 dello Statuto, con gli artt. 102, 1° comma, e 108, 1° e 2^ comma, nonché con la VI disposizione transitoria, in quanto non può ritenersi consentita una sezione specializzata del giudice speciale e neppure una composizione diversa da quella ordinaria; con l’art. 117, 2° comma, lett. l) Cost., il quale riserva alla competenza legislativa statale la materia della giurisdizione amministrativa. Non un cenno si rinviene nelle ordinanze di rimessione relative al D.lgs. n. 373 del 2003, non solo all’art. 111, 1° e 2° comma (neanche discorsivamente menzionato)200, ma neppure al 199 Il problema sarà ripreso più avanti al n. 13. Nella prima ordinanza del C.G.A. 13 maggio 2003, n. 185, con la quale venne sollevata la questione di costituzionalità della composizione mista in relazione del d.lgs. n. 654 del 1948, si fa menzione anche dell’art. 111 cost. in relazione alla dedotta mancanza di imparzialità con riferimento alla possibilità, per gli avvocati nominati componenti laici, di esercitare la professione. La questione non veniva riproposta in relazione al D. lgs. n. 373 del 2003 che aveva introdotto l’incompatibilità con l’esercizio della professione. 200 134 principio di indipendenza di cui all’art. 108, 2° comma. Disposizione questa che risulta menzionata soltanto con riferimento al principio della riserva di legge. E’ su tali questioni che la Corte costituzionale si è pronunziata, assumendo, come si è visto, che la composizione mista della sezione giurisdizionale sarebbe pienamente attuativa della previsione di cui all’art. 23 St. sic., il quale prevede le sezioni del Consiglio di Stato, sicché non sarebbe in contrasto non solo con la disposizione statutaria, ma neppure con la riserva di legge prevista dall’art. 108 della Costituzione, né con il divieto di istituzione di sezioni specializzate di cui all’art. 102, 2° comma, ed alla VI disposizione transitoria, né con l’art. 117, 2° comma, dato che il censurato decreto si configura come normativa statale e non regionale. Neppure nella pronunzia della Corte si ritrova la benché minima menzione dell’art. 111 Cost., e comunque dei principi di terzietà ed imparzialità. E per quanto concerne il (comunque diverso) principio di indipendenza, esso, peraltro menzionato solo discorsivamente, è riferito alla temporaneità dell’incarico e non alla genesi delle nomine: si rammenta che nella sentenza n. 25 del 1976 la Corte aveva affermato che il carattere temporaneo del mandato dei membri del Consiglio di giustizia amministrativa “non contrasta, di per sé, con i principi costituzionali che garantiscono l’indipendenza e con essa l’imparzialità dei giudici, siano essi ordinari o estranei alle magistrature”, dal momento che a tali fini “non appare necessaria una inamovibilità assoluta”, specialmente per i membri “laici”, che, come anche altre esperienze dimostrano, “ben possono essere nominati per un determinato e congruo periodo di tempo”. Come appare evidente, diversamente da quanto affermato dalla sezioni unite, la questione di costituzionalità davanti alle stesse prospettata non era stata oggetto di scrutinio da parte del giudice delle leggi. E’ da sottolineare al riguardo che il nucleo centrale della sentenza n. 316 del 2004 - ed ancora prima delle ordinanze di rimessione - è costituito dall’art. 23 dello Statuto, rispetto al quale gli altri profili sono complementari. Una volta affermato che il Consiglio di giustizia amministrativa, così come è strutturato nelle norme scrutinate, sarebbe pienamente rispondente alle 135 disposizioni statutarie, tutto il resto è pressoché conseguenziale. 9. – Diversità dei profili sopra indicati rispetto a quelli considerati nelle pronunzia delle SS.UU. n. 2994 del 1955. I principi di terzietà ed imparzialità non sono stati oggetto di scrutinio di costituzionalità neppure da parte della Corte di cassazione in funzione di giudice delle leggi con la sentenza delle sezioni unite n. 2994 del 1955, nella quale si fa riferimento, tra l’altro, all’indipendenza. Al riguardo è da ricordare che le questioni dedotte dai ricorrenti erano, in sintesi, le seguenti201. A fronte dell’art. 23 dello Statuto, che prevede l’istituzione in Sicilia di sezioni degli organi giurisdizionali centrali, il Consiglio non ha i caratteri propri delle sezioni sicché si atteggia come un giudice speciale ed offre minori garanzie ai singoli. A sostegno di tali censure i ricorrenti deducevano: la diversità del numero dei votanti (all’epoca sette per le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e cinque per il C.G.A.); la temporaneità della carica dei due membri designati dalla Regione a fronte della inamovibilità dei togati; la diversità qualitativa, rispetto alle sezioni del C.S., della composizione degli stessi togati stante la prevista partecipazione dei referendari. Questo il thema decidendum prospettato alle sezioni unite, nell’ambito del quale il tema dell’indipendenza è appena sfiorato. Ma nella sentenza la Corte, dopo avere affermato – così pronunziandosi sull’aspetto centrale della questione sottopostale - che il C.G.A. sarebbe da configurare come sezione del Consiglio di Stato, in relazione alle censure riguardanti le asserite minori garanzie dei singoli derivanti dalla composizione del Consiglio con particolare riferimento alla mancanza dell’inamovibilità dei laici, richiamava l’art. 108 Cost. a proposito del quale precisava che, rispetto ai magistrati non togati, non sarebbe risultato “vulnerato il principio dell’indipendenza del giudice dal potere esecutivo”, dato che la Costituzione “distingue tra la prerogativa della inamovibilità che è propria dei magistrati ordinari e l’indipendenza dei giudici 201 Per una sintetica indicazione dei motivi addotti dai ricorrenti, T. MARTINEZ, Ancora sulla costituzionalità dei decreti legislativi emessi dopo il 1° gennaio 1948; in particolare esame della costituzionalità del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, cit., 2425. 136 delle giurisdizioni speciali e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia (art. 107, 108)”. Mentre l’inamovibilità dei magistrati è stabilita dalla Costituzione, “la determinazione delle modalità e dei limiti dell’indipendenza degli altri giudici è rimessa alla legge ordinaria”. L’indipendenza del giudice diverso dal magistrato ordinario, affermava la Corte, “non rappresenta un dato fisso, immutabile”, ma si adegua “alle concrete peculiarità dei vari organi speciali o specializzati”. L’indipendenza dei non togati del C.G.A. sarebbe assicurata per essere la loro nomina “affidata alla più alta Autorità dello Stato”. In proposito, in relazione alle considerazioni che saranno di seguito svolte, importa sottolineare che la Corte di cassazione si è soffermata soltanto sul profilo della “indipendenza del giudice dal potere esecutivo” per avere evidentemente ritenuto che il precetto di cui all’art. 108, 2° comma, secondo il quale la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, sia esattamente corrispondente al precetto di cui all’art. 100, u.c., riferito al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti, secondo il quale “la legge assicura l’indipendenza dei due Istituti di fronte al Governo”. Quanto si assume, oltre a risultare chiaramente dalla pronunzia in oggetto, è confermato dall’interpretazione che la stessa Corte a sezioni unite dava della propria precedente sentenza alcuni anni dopo (confermandola). In relazione ad un ricorso con il quale era stata sollevata nuovamente la questione di legittimità costituzionale della partecipazione dei laici, la Corte si pronunziava nel senso della manifesta infondatezza, così motivando: “Questi (il ricorrente) sostiene di avere prospettato un nuovo profilo estraneo alle cause precedenti: cioè la mancanza di garanzie di indipendenza dei giudici laici, che compongono in parte le sezioni. Ma la questione non è affatto nuova; e all'eccezione che ne sorse, fu esaurientemente risposto in quella decisione, sottolineando che nessuna effettiva ingerenza la regione avesse su tali giudici, che, nominati al pari degli altri, con decreti del presidente della Repubblica, non erano in alcun modo diminuiti nella loro indipendenza”202. Non solo. La considerazione ulteriore che ha indotto la Corte di cassazione a ritenere conforme all’art. 108, 2° comma, la composizione mista 202 Corte cass. SS.UU., 29 aprile 1969, n. 1377, in Giust. civ. 1969, I, 1209. 137 del Consiglio, vale a dire che i membri laici sarebbero destinati a “portare nel contesto giurisdizionale la voce viva dei bisogni, delle aspirazioni, delle esigenze della Sicilia”, è chiaramente dettata da una visione incline a riconoscere alle decisioni del Consiglio una natura non propriamente giurisdizionale, visione già non condivisibile mezzo secolo addietro, ed oggi assolutamente inaccettabile, alla stregua della configurazione che ha assunto il giudizio amministrativo (sulla quale ci siamo sopra soffermati). 10. – Diversità dei profili sopra indicati, della terzietà ed imparzialità di cui all’art. 111 Cost. rispetto a quelli considerati nella sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976. Considerazioni non dissimili devono essere svolte in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 1976, nella quale pure si fa riferimento “ai principi dell’indipendenza e dell’imparzialità dei giudici”, con espressa indicazione degli artt. 100, 101, e 108 Cost. Come si è in precedenza rammentato, con ordinanza della IV sezione del Cons. Stato203, veniva rimessa la questione di costituzionalità dell’art. 3, comma 2 del D. lgs. n. 654 del 1948, secondo il quale i membri designati dalla Giunta regionale siciliana duravano in carica quattro anni e potevano essere rieletti. Si legge nell’ordinanza di rimessione che, come affermato dalla Corte cost. con la sentenza n. 49 del 1968 sulla composizione delle sezioni del contenzioso elettorale dei Tribunali amministrativi regionali, era da ritenere in contrasto con gli artt. 101, comma 2, e 108, comma 2 Cost. “un sistema secondo il quale alcuni dei membri di un organo giurisdizionale amministrativo vengono designati temporaneamente da un organo politico, con possibilità di influire sui medesimi attribuendosi a quell’organo il potere di riconfermarli o meno nella carica alla scadenza del mandato predeterminata (nel caso un quadriennio), con i principi costituzionalmente garantiti dell’indipendenza e dell’imparzialità del giudice…”. Con successiva ordinanza l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato riteneva di completare la precedente rimessione “con riferimento all’art. 100, comma 3 Cost., in relazione all’art. 23, commi 1 e 2, dello Statuto della 203 Cons. Stato, IV, 18 ottobre 1974, in Giur. cost. 1974, 2360. 138 Regione siciliana…tenuto conto che l’art. 1 del menzionato d.l.C.p.S. 6 maggio 1948 configura il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana come una sezione del Consiglio di Stato e gli attribuisce le funzioni consultive e giurisdizionali a queste proprie, cosicché opera nei suoi confronti la stessa garanzia costituzionale di indipendenza di quell’istituto e dei suoi componenti nei confronti dell’organo di governo regionale, cui è attribuita la designazione da parte di costoro” 204. Ancora una volta il problema che veniva posto dai rimettenti è quello dell’indipendenza dal Governo. La Corte costituzionale, nel decidere sulle questioni sottopostole, affermava da una parte che “Il carattere temporaneo della nomina per i membri del C.G.A. in sede giurisdizionale designati dalla giunta regionale… non contrasta, di per sé, con i principi costituzionali che garantiscono l'indipendenza, e con essa la imparzialità, dei giudici siano essi ordinari o estranei alla magistratura…”, e dall'altra che “l'indipendenza dei membri del C.G.A. designati dalla giunta regionale è sicuramente compromessa per effetto della disposizione che prevede, al termine del quadriennio, la possibilità di riconferma nell'incarico, secondo il discrezionale apprezzamento del governo regionale”. E più avanti: “… proprio in rapporto alla prospettiva di un'eventuale riconferma, l'indipendenza di questi giudici non può ritenersi assicurata dalla legge, sia nei confronti del governo centrale sia soprattutto di quello regionale, con aperta violazione dei precetti contenuti negli artt. 100, 101, e 108 Cost.” Il centro di gravità del ragionamento della Corte è il principio di indipendenza. All’imparzialità è dedicato un cenno, ma essa è vista come un profilo dell’indipendenza dal governo centrale e da quello della Regione. La mancanza di indipendenza dal governo centrale, e soprattutto da quello regionale, dovuta alla prospettiva del reincarico, compromette l’imparzialità dei componenti laici e quindi dell’organo nel suo complesso. Ma l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che contemplano la partecipazione dei laici era stata prospettata davanti alle SS.UU: sotto il profilo che, essendo stati gli stessi scelti, voluti, da una delle parti del giudizio, viene meno la terzietà, l’imparzialità, la parità delle armi. Non è che il Presidente 204 Cons. Stato, ad. plen. 6 marzo 1975, in Giur. cost. 1975, 2938. 139 della Regione sia in grado di influire sui laici promettendo loro la riconferma, come poteva accadere precedentemente. E’ che un giudice nominato, scelto, voluto, da una delle parti del giudizio, può essere indotto ad apprezzare in modo particolare le ragioni del soggetto che lo ha generato. L’art. 111, 2° comma, come abbiamo visto, postula il distacco psicologico, l’estraneità, l’indifferenza, la neutralità, del giudice. Elementi dei quali è lecito dubitare quando una delle parti ha scelto il giudice. Ed al riguardo rileva anche l’apparenza. Il giudice non solo deve essere imparziale e terzo, ma deve anche apparire che lo sia (“La giustizia non solo deve essere fatta ma occorre anche che appaia che sia stata fatta”). Il cittadino che si rivolge al giudice amministrativo quando va ad assistere all’udienza e si vede davanti un collegio di cui sa che due dei componenti sono stati scelti dalla controparte – peraltro nel caso esaminato dalle sezioni unite in un giudizio per risarcimento dei danni - non può avere la sensazione di trovarsi davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Al contrario ritiene di trovarsi in netto svantaggio. Al riguardo un aspetto particolarmente sorprendente della pronunzia delle sezioni unite n. 19810 del 2008 è la totale obliterazione della natura della controversia dedotta in giudizio. Si trattava di un caso paradigmatico della nuova configurazione assunta dal giudice amministrativo con le innovazioni del 1998/2000, oggetto del giudizio essendo la richiesta di condanna della Regione al risarcimento dei danni. La Corte sembra non avere tenuto conto della propria precedente giurisprudenza la quale, proprio in relazione alle azioni risarcitorie. ha riconosciuto, come abbiamo precedentemente visto, la configurazione della “giurisdizione del giudice amministrativo come una giurisdizione piena”. Alla stregua di siffatta configurazione, che si coniuga con l’ormai assodata piena dignità di giudice della giurisdizione amministrativa, non sembra che si possa ritenere conforme ai principi del giusto processo davanti a giudice terzo ed imparziale l’indispensabile partecipazione al collegio giudicante di componenti scelti da una della parti del giudizio. In relazione ai giudizi risarcitori in un recente contributo dottrinario sono stati sollevati dubbi di legittimità costituzionale in relazione alla sottrazione 140 delle sentenze del giudice amministrativo al sindacato della Corte costituzionale (art. 111, 8° comma). Sottrazione avallata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, secondo la quale, con la riconduzione alla giurisdizione esclusiva delle sole questioni nelle quali l’amministrazione si presenta come autorità “si risolve in radice” il problema che pure era stato posto dai rimettenti con riguardo all’art. 111, 7° comma, Cost., dato che “è la stessa Carta costituzionale a prevedere che siano sottratte al vaglio di legittimità della Corte di cassazione le pronunce che investono i diritti soggettivi nei confronti dei quali, nel rispetto della “particolarità” della materia…il legislatore ordinario prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”. Il ragionamento della Corte, viene osservato, non può essere “considerato esaustivo e persuasivo; anzi, sembra che esso trascuri del tutto un principio superiore dell’ordinamento costituzionale, ossia che deve essere assicurata l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; valore questo che, inevitabilmente, non può essere rispettato se, per la stessa tipologia di controversie – si pensi in particolare a quelle risarcitorie – il controllo di legalità è demandato a due giudici diversi, a seconda che la pretesa sia rivolta contro privati cittadini ovvero contro pubbliche amministrazioni”205. Esula dai fini del presente lavoro di prendere posizione sul problema. Ma ci è sembrato utile richiamare i dubbi di costituzionalità come sopra sollevati per sottolineare che a maggior ragione analoghi dubbi si pongono in relazione al principio di uguaglianza per quanto concerne soprattutto i giudizi risarcitori nei confronti della Regione. Gli utenti che si rivolgono al Consiglio di giustizia amministrativa, diversamente da quelli che si rivolgono al Consiglio di Stato, hanno di fronte un collegio scelto per due quinti dalla parte loro avversa. Invero non sembra questione di poco conto206. 11. – Diversità dei profili sopra indicati rispetto a quelli considerati nella sentenza della Corte costituzionale sulle nomine governative di 205 S. MENCHINI, Giurisdizione amministrativa esclusiva e ricorso per Cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost., in E. FAZZALARI (a cura di), Diritto processuale civile e Corte costituzionale (50 anni Corte costituzionale), Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, 2006, 278. 206 Come sembra confermato da decisioni come quella citata nella nota 196. 141 consiglieri di Stato (n. 177 del 1973). I profili della terzietà ed imparzialità in relazione al C.G.A. non trovano riscontro neppure nella problematica, affrontata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 177 del 1973207, della “doppia provvista” dei magistrati del Consiglio di Stato, vale a dire l’accesso ad una quota del ruolo dei consiglieri di Stato per nomina governativa. La Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nel testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato e successive modificazioni (artt. 1, 2 e 4 R. D. 26 giugno 1924, n. 1054 e s.m.i.) nella parte in cui disciplinavano le nomine di Consiglieri di Stato da parte del Governo, sollevate con riferimento a numerose disposizioni della Costituzione (artt. 3, 51, 97, 100, 101, 102, 103, 106, 108, e 135). La sentenza, criticata da tutta la dottrina, invero appare ispirata soprattutto dalla preoccupazione di mantenere l’esistente, come è confermato dalla circostanza che un rilevo decisivo nella motivazione viene dato ad un “atto di autodisciplina della materia” (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 579) emanato dopo le ordinanze di rimessione e pochi mesi prima della decisione della Corte, di certo irrilevante in relazione alla nomina dei consiglieri oggetto dei giudizi nel corso dei quali la questione era stata sollevata208. 207 Corte cost. 19 dicembre 1973, n. 177, in Giur. cost. 1973, 2348, annotata da C. MORTATI, La nomina dei consiglieri di Stato secondo la Corte costituzionale, ivi, 1973, 2626; C.M. BARONE, Sulla nomina governativa dei consiglieri di Stato, in Foro it. 1974, I, 3317; F. SORRENTINO, I consiglieri di Stato e la corte, in Dir. società 1974,162; G. ZACCARDI, Cenni sull'incostituzionalità della nomina governativa dei Consiglieri di Stato (nota a Corte cost. 19 dicembre 1973, n. 177), in Foro amm. 1974, II, 218. G. SILVESTRI, Giudici speciali, giudici ordinari e unità della giurisdizione nella costituzione italiana, op. loco cit, 734, ascrive la sentenza alla “eccessiva condiscendenza (della Corte) verso esigenze pratiche di mantenimento dell’esistente”. A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello stato di diritto, cit., 81, dopo avere affermato che le nomine governative violano il principio di indipendenza, critica “l’infelice sentenza della Corte costituzionale”, che “non ha convinto nessuno”. G. CARBONE, nel Commentario della Costituzione fondato da G. Branca, Gli organi ausiliari, Zanichelli – Foro Italiano, Bologna – Roma, 1994, sub art. 100 cost., afferma che l’intestazione al Governo del potere di nomina di una parte dei Consiglieri della Corte dei conti e dei Consiglieri di Stato contrasta con il principio di indipendenza dei due istituti che nell’esercizio delle loro funzioni hanno sempre comunque il governo, non come terzo estraneo, ma come parte implicata (pagg. 130 – 133). 208 Non appare superfluo ricordare che con l’”infornata” di ben 17 consiglieri di nomina governativa deliberata dal Governo in data 22 dicembre 1972, che diede luogo al ricorso proposto da un folto gruppo di consiglieri di Stato, i componenti non di carriera del Consiglio di Stato risultavano essere 74 (91 con i fuori ruolo) e quelli di carriera in servizio 23 (32 con i fuori ruolo). “Tra un terzo ed un quarto cioè del numero complessivo. Un record”, A.M. SANDULLI, Giudici 142 Ma essa ai nostri fini è di scarso rilievo poiché il potere governativo di nomina era stato censurato nelle ordinanze di rimessione non in quanto tale, ma sotto il profilo che la normazione si limitava a disciplinare l’imputazione delle nomine (decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, e previa deliberazione del Consiglio dei ministri) senza nulla aggiungere né in ordine ai criteri per la nomina (con riferimento all’appartenenza a determinate categorie ed ai requisiti dei quali i nominandi dovevano essere in possesso), e neppure in ordine al procedimento ed al contenuto dell’atto di nomina (vaglio di organi tecnici, motivazione). Oggetto di censura era pure la mancata previsione di un limite quantitativo delle nomine governative rispetto alle nomine nell’ambito del personale di magistratura del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali209. Non mancano nella sentenza della Corte riferimenti al profilo dell’imparzialità. Ma vista come rientrante nell’indipendenza (art. 100) ed esaminata non già in relazione all’origine delle nomine, vale a dire all’essere esse disposte dall’autorità governativa, ma in relazione alla mancanza di valutazioni circa le attitudini alle funzioni, considerate di per sé garanzia di indipendenza, e circa il numero dei posti che si coprivano con personale esterno, ritenuto dai rimettenti così elevato da fare temere una lottizzazione politica. E’ da aggiungere che le nomine governativa dei Consiglieri di Stato, da una parte, e la presenza dei laici nella composizione del C.G.A., dall’altra, sono due realtà totalmente diverse. Al Consiglio di Stato la possibilità di assegnazione di tutti i componenti, compresi quelli di nomina governativa, alle sezioni consultive ed a quelle giurisdizionali, ed una prassi attenta nella composizione dei collegi, resa agevole dall’ampia dislocazione, anche territoriale, degli interessi che si fronteggiano in giudizio (di guisa che il presidente della sezione ha sempre la possibilità di non chiamare a fare parte del collegio il consigliere che, in amministrativi, concorsi, indipendenza, in Giur. it. 1973, III, 1, 129 ss. (ora in Scritti giuridici, V, 598). La questione era stata rimessa alla Corte costituzionale con ordinanza del Cons. Stato, IV, 3 aprile 1973, in Giur. cost., 1973, 1051, con nota di E. CHELI, La difficile “indipendenza” del Consiglio di Stato. 209 Il limite quantitativo ed i requisiti per la nomina sono stati poi introdotti con l’art. 19 L. 27 aprile 1982, n. 186 sull’ordinamento della giurisdizione amministrativa. 143 ragione dell’amministrazione resistente, ritiene possa essere, o soltanto apparire, non imparziale), la effettiva possibilità che si faccia luogo all’astensione ed alla ricusazione, sembrano rimedi sufficienti a scongiurare carenze di imparzialità e terzietà. Per contro in relazione al C.G.A. la presenza nei collegi giudicanti di due componenti designati dal Presidente della Regione è assolutamente inevitabile. E la ristrettezza della composizione rende sovente problematica, in relazione ai laici, l’astensione o la ricusazione, che può comportare, come è più volte accaduto, la temporanea impossibilità che la causa sia decisa. Sussiste un altro aspetto di certo non meno importante di quelli sopra evidenziati che rende non commensurabili le nomine governative in Consiglio di Stato e le nomine dei laici nel C.G.A. I consiglieri di nomina governativa del Consiglio di Stato, una volta nominati entrano nei ruoli e rimangono in servizio sino al collocamento a riposo per limiti di età. Non hanno alcuna ragione pertanto di farsi influenzare dal pensiero di un futuro professionale successivo al pensionamento. Mentre i componenti laici del C.G.A. rimangono tali per un sessennio, con la conseguenza che nell’esercizio delle loro funzioni di giudici possono non avere la mente sgombra del pensiero del futuro. Una volta trascorso il seennio, se avvocati ritornano ad esercitare la professione forense (e ove dediti precedentemente ad altre branche, la possono intraprendere nel campo del Diritto amministrativo). E, quel che è peggio, se dirigenti, statali o regionali, ritornano in servizio. 12. - Contrasto della composizione mista del C.G.A. con il principio dell’equo processo davanti a giudice indipendente ed imparziale sancito dall’art. 6 CEDU e conseguente incostituzionalità per contrasto con l’art. 117, 1° comma, Cost. Il valore dell’apparenza. L’art. 117, 1° comma, Cost. (introdotto dalla L. cost. n. 3 del 2001) condiziona la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Tra questi ultimi rientrano quelli derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), firmata a Roma il 14 novembre 1950, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, che, all’art. 6, stabilisce il principio dell’equo 144 processo davanti a giudice indipendente e imparziale (“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata …da un tribunale indipendente ed imparziale…”) Come è stato chiarito dalle recenti sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, l’art. 117, 1° comma, sviluppa la sua concreta operatività, con particolare riferimento alla citata Convenzione, in collegamento con le norme da questa dettate, aventi rango subordinato alla Costituzione, ma intermedio tra essa e la legge ordinaria (“fonte interposta”)210. E’ stato in particolare precisato dalle citate sentenze del giudice delle leggi che la Corte di Strasburgo ha, in ordine alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, una “funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea”, e che la verifica di compatibilità costituzionale della norma interna con la fonte interposta “deve riguardare la norma come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata”. Più recentemente la Corte costituzionale ha sintetizzato nel modo seguente l’orientamento imboccato con le predette due sentenze: “Questa Corte, con le recenti sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ha affermato, tra l’altro, che, con riguardo all’art. 117, primo comma, Cost., le norme della CEDU devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell’ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all’interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l’eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati ad uniformarsi”211. Orbene la Corte dei diritti dell’uomo, con riferimento alla garanzia del diritto a un processo equo sancita dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ha più volte richiamato un antico adagio inglese secondo il quale “la giustizia non solo deve essere fatta ma occorre anche che appaia 210 Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 348, in Giur. cost. 2007, 3475, con note di C. PINELLI, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa configgenti e di A. MOSCARINI, Indennità di espropriazione e valore di mercato del bene: un passo avanti (e uno indietro) della Consulta nella costruzione del patrimonio culturale europeo; Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 349, ivi, 3535, con note di M. CARTABIA, Le sentenze “gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici e di A. GUAZZAROTTI, La Corte e la CEDU: il problematico confronto di standard di tutela alla luce dell’art. 117, comma 1, cost. 211 Corte cost. 27 febbraio 2008, n. 39, in Giur. cost. 2008, 408. 145 che sia stata fatta”212 La Corte di Strasburgo, nel valutare l’equità del processo e la sussistenza di sufficienti garanzie di indipendenza e imparzialità del giudice, ha costantemente mostrato di dare rilievo non solo al fatto che i predetti valori siano concretamente realizzati, ma anche alla circostanza che la struttura dell’organo giurisdizionale, per il modo in cui essa appare alle parti in causa, sia tale da renderle fiduciose che nel processo quelle esigenze e quei valori siano pienamente soddisfatti.213 La giurisprudenza della Corte costituzionale sembra essersi adeguata a tale impostazione. Come si è rammentato, in diverse pronunzie si afferma che il principio del giusto processo risulta violato anche nell’ipotesi in cui il giudice possa soltanto apparire condizionato214. Sicché la teoria dell’apparenza integra sia il parametro dell’art. 111 Cost., sia il parametro dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 6 CEDU215. Alla stregua di tale principio, è agevole osservare che in relazione al Consiglio di giustizia amministrativa, nessuno potrà mai convincere un cittadino ad avere piena fiducia in un organo che giudica e decide la sua lite con l’amministrazione della Regione siciliana, due quinti dei componenti del quale sono scelti dal legale rappresentante della stessa. 212 Sentenze Delcourt, 17 gennaio 1970; Dell’Utri, 28 gennaio 2003, De Cubber, 26 ottobre1984. 213 Sentenze Piersack, 1 ottobre 1992 e Borgers, 30 ottobre 1991. Sull’interpretazione dell’art. 6 § 1 della CEDU, Corte europea dei diritti dell’uomo, 6 maggio 2003, Kleyn e altri c. Governo olandese, in Foro it., 2004, IV, 565 ss., con nota di R. ROMBOLI. 214 Corte cost., 24 aprile1996, n. 131, cit.; Id., 2 novembre 1996, n. 371, in Giur. cost. 1996, 3386 (con nota di E. VASSALLO, Pronuncia su altra imputazione e incompatibilità del giudice); Id. 15 ottobre 1999, n. 387, in Giur. cost. 1999, 2981. 215 Osserva L.P. COMOGLIO, Precostituzione, indipendenza e imparzialità del giudice, cit., 95: “…vale la pena di analizzare ulteriormente i concetti di “terzietà” e di “imparzialità”. Come ha da tempo affermato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, alla stregua dell’art. 6, § 1, della convenzione europea del 1950, l’”imparzialità” e la “incompatibilità “ del giudice vanno intese sia in senso soggettivo, sia in senso oggettivo. Il primo profilo riguarda il “foro interiore” del magistrato ritenuto imparziale sino a prova contraria (da fornirsi con i mezzi di ricusazione, di volta in volta previsti dai diversi ordinamenti). Il secondo riguarda, invece, la rilevanza di quelle “condizioni esteriori” che, anche a livello di “mere apparenze” possano compromettere o pregiudicare l’amministrazione imparziale della giustizia. Cosi, la garanzia può venire meno quando venga a mancare, per fatti oggettivi, la fiducia che ogni giudice deve ispirare alla parti in causa, indipendentemente dal fatto che, poi il singolo giudice risulti, o meno, in concreto realmente mosso da un effettivo “pregiudizio”, nell’accogliere una determinata soluzione della lite, anziché un’altra”. Nello stesso senso, R. SABATO, L’imparzialità del giudice civile alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel volume Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, cit., 167 ss., spec. 172-3 (con ampie citazioni di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nella nota 16). 146 13. – Ragioni che, alla stregua del principio del giusto processo, inducono ad un riesame della rispondenza della composizione mista all’art. 23 dello Statuto siciliano. L’evidenziato contrasto con l’art. 111,1° e 2° comma, e con l’art. 117, 1° comma Cost. (art. 6 CEDU) induce a riesaminare la questione della compatibilità o meno della composizione mista del C.G.A. con l’art. 23 St. sic. Al riguardo in primo luogo appare utile rammentare la pacifica possibilità, per la Corte costituzionale, di fare luogo ad una decisione di accoglimento nonostante una precedente di segno contrario. Peraltro già in relazione alla composizione mista del C.G.A. si è registrato un netto revirement della Corte costituzionale rispetto alla pronunzia della Corte di cassazione del 1955. Quest’ultima aveva decisamente escluso che la possibilità per la Regione di riconfermare i componenti non togati fosse in contrasto con il principio di indipendenza, argomentando che gli stessi sono soltanto due e che il voto di ciascuno dei componenti del collegio è segreto, sicché sarebbe stato da escludere che la Regione potesse decidere sulle riconferme a seconda del comportamento tenuto dai laici nel giudicare. Ed invece con la sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 1976, la medesima questione è stata ritenuta fondata con la conseguente pronunzia di incostituzionalità. La Corte invero il più delle volte dichiara manifestamente infondate le questioni già decise negativamente, ma non mancano casi nei quali invece ha ceduto alle reiterate istanze di rimessione tendenti ad ottenere il riesame di questioni in precedenza decise negativamente, sulla base di profili nuovi o presentati come tali, o anche sulla base di critiche più o meno esplicite alle precedenti pronunzie. Particolarmente significativa in relazione alla materia della quale ci si occupa è la sentenza n. 93 del 1965, con la quale la Corte, che, con precedente sentenza n. 92 del 1962, aveva ritenuto infondata la questione di costituzionalità delle disposizioni che disciplinavano la competenza dei consigli comunali in materia di contenzioso elettorale, è pervenuta ad una pronunzia di incostituzionalità dichiarando esplicitamente di essere stata indotta al riesame della questione poiché numerosi consigli comunali avevano 147 sollevato nuove eccezioni216. Altro precedente che appare utile ricordare è la sentenza n. 55 del 1971, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 28 del codice di procedura penale nella parte in cui disponeva che l'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale era da ritenere vincolante anche nei confronti di coloro che erano rimasti ad esso estranei, sebbene la medesima questione fosse stata ritenuta infondata con precedente sentenza n. 5 del 1965. Si legge al riguardo nella motivazione: “La Corte ritiene che l’importanza della questione stessa e gli aspetti di dubbio che la soluzione presenta rendano necessario un suo riesame”217. Talvolta la nuova pronunzia è motivata con riferimento al “mutamento della coscienza collettiva”218. E non mancano casi nei quali la Corte dichiaratamente “disattende” proprie precedenti pronunzie sulla base di un principio che essa stessa in concreto, con la propria giurisprudenza, crea, seppure, come è ovvio, traendolo da disposizioni scritte nella Carta alle quali ad un certo punto riconosce una portata che precedentemente non aveva visto (o non le era stata prospettata). Può farsi un esempio che appare particolarmente calzante perché lo si rinviene in quella che abbiamo visto essere una delle prime sentenza in cui la Corte individua il principio del “giusto processo” traendolo dall’art. 24 Cost., visto in relazione all’art. 6 della CEDU, alla “giurisprudenza della Commissione e della Corte previste dall’art. 19 della Convenzione stessa”, nonché a “l’art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici…reso esecutivo con l. 25 ottobre 1977 n. 881”. Sulla base di tale premessa, la Corte così si pronunziava: “Pertanto, la Corte non può non disattendere le sentt. 62/1966 e 17/1969 che dissero 216 Corte cost. 25 dicembre 1965, n. 93, in Giur. cost., 1965, 1291, con nota di U. POTSCHSCHNIG, Il giudice interessato non è indipendente. 217 Corte cost. 22 marzo 1971, n. 55, in Giur. cost. 1971, 573, con nota di S. SATTA, Limiti di estensione dell’art. 24 della Costituzione (a proposito della sentenza n. 55 del 1971). 218 Cfr. per tutti, A. PIZZORUSSO, Dalle “doppie pronunzie” alle decisioni “overruling”, in Giur. cost., 1971, 527; P. COSTANZO, Il dibattito sul giudicato costituzionale nelle pagine di “Giurisprudenza costituzionale” (note sparse su un tema di perdurante attualità), in A. PACE (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della rivista “Giurisprudenza costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, Milano, Giuffrè, 2006, 214 ss., spec. 232. 148 infondata la questione di costituzionalità dell’art. 648 comma…”219 Le considerazioni sin qui svolte hanno soltanto lo scopo di evidenziare che non sussistono preclusioni in ordine alla riproposizione della questione in relazione all’art. 23 St. sic. Ma, la sopra rilevata erroneità della sentenza n. 316 del 2004, non sarebbe di per sé una sufficiente ragione che possa indurre non diciamo a sperare in un revirement del giudice delle legge, ma a ritenere sussistenti i presupposti perché esso possa esserci. La questione di costituzionalità delle disposizioni sulla composizione mista della sezione giurisdizionale del C.G.A. in relazione al parametro costituito dall’art. 23 dello Statuto siciliano deve essere vista non isolatamente, ma nel contesto dei parametri precedentemente indicati (artt. 111, 1° e 2° comma, art. 117, 1° comma in relazione all’art. 6 della CEDU, nonché artt. 24, 1° comma, 100, 3° comma, 108, 2° comma, e 113). Ben diversi erano, rispetto a quelli sopra evidenziati, i profili sotto i quali la Corte costituzionale si è pronunziata. Le ordinanze di rimessione del C.G.A. erano incentrate sull’art. 23 dello Statuto, sotto il profilo che esso prevede soltanto un decentramento territoriale e non consente alcuna deroga alla composizione ordinaria delle sezioni del Consiglio di Stato. Altri profili (l’asserita violazione degli artt. 102, 1° comma, e 108, 2^ comma, Cost. degli artt. 3, 24, primo comma, 113, 1^ comma, dell’art. 117, 2° comma, lett. l) Cost.) facevano soltanto da contorno. Adesso si prospetta in via principale la violazione dell’art. 111, 1° e 2° comma (– giusto processo davanti a giudice terzo ed imparziale -) nonché dell’art. 117, 1° comma, in relazione all’art. 6 CEDU (equo processo davanti a giudice indipendente ed imparziale). In tale contesto emerge la violazione dell’art. 23, 1° e 2° comma, dello Statuto siciliano sotto il profilo che, postulando le disposizioni statutarie l’istituzione, nella Regione siciliana, di una vera e propria sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, composta esattamente come le tre sezioni giurisdizionali sedenti in Roma, vale a dire interamente da giudici togati, la piena attuazione del disegno statutario risolverebbe in radice il problema della incompatibilità della composizione mista con l’art. 111 Cost. e con l’art. 6 della CEDU. Il riconoscimento della 219 Corte cost. 4 maggio 1984, n. 137, cit. 149 violazione anche dell’art. 23 dello Statuto per essere il C.G.A., proprio in ragione della composizione mista, un organo ben diverso dalla prevista sezione del Consiglio di Stato, non lascerebbe il vuoto che invece lascerebbe una pronunzia che ritenesse fondati soltanto i profili prospettati in relazione all’art. 111 ed all’art. 117 Cost. In altri termini l’auspicato riconoscimento, da parte della Corte costituzionale, del contrasto del D.Lgs. n. 373 del 2003, oltre che con le citate disposizioni della Costituzione, anche con l’art. 23 St. sic. assicurerebbe di per sé il rispetto dei principi del giusto processo davanti a giudice terzo ed imparziale (art. 111 cost.) e dell’equo processo davanti a giudice indipendente ed imparziale (art. 6 CEDU). E non postulerebbe neppure la necessità di nuove norme di attuazione dello Statuto in ordine alla composizione dell’organo. Il collegio giudicante della sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, non diversamente dal collegio giudicante delle sezioni romane (art. 1 L. 27 aprile 1982, n. 186), sarebbe composto dal presidente e da quattro consiglieri. La sezione potrebbe per l’immediato continuare a funzionare con i quattro consiglieri di Stato ad essa assegnati (art. 4 lett. b) D.lgs. n. 373 del 2003). Al fine di consentire il funzionamento del collegio in relazione a casi di assenza o impedimento di taluno dei consiglieri, basterebbe prevedere, a modifica di quanto disposto dal D.lgs. n. 373 del 2003, l’utilizzazione dei due consiglieri assegnati alla sezione consultiva anche per la sezione giurisdizionale. Sussiste inoltre, last but not least, una particolare ragione che, pure a fronte di precedenti pronunzie negative, legittima l’indicazione anche del parametro costituito dall’art. 23 dello Statuto siciliano. Il principio del “giusto processo” solennemente proclamato al 1° comma dell’art. 111, ha un valore di compendio di tutte le possibili garanzie della funzione giurisdizionale che, in virtù di esso, vengono ad assumere la configurazione di sue estrinsecazioni. Come è stato esattamente notato dalla dottrina, l’introduzione nell’art. 111 Cost. della formula del “giusto processo” evidenzia “la robusta unitarietà delle garanzie processuali ed il loro significato “relazionale””. “In questo senso la norma contiene una fondamentale indicazione di metodo: le garanzie costituzionali del processo hanno bisogno di un'interpretazione e ricostruzione che non si limiti ad analizzarle come entità a sé stanti, da scomporre e 150 ricomporre di volta in volta nei rispettivi elementi testuali, ma sappia coglierne il significato relazionale entro una serie di collegamenti e di interdipendenze funzionali. In sostanza, l'articolo 111 dispiega come non disprezzabile risvolto concreto anche quello di mettere in evidenza che il diritto fondamentale dell'individuo ad un (o il principio fondamentale del) giusto processo non si cristallizza, né tanto meno si esaurisce, in garanzie singole, ma si basa sul necessario coordinamento di più garanzie concorrenti”220 Il significato relazionale del principio del giusto processo suffraga il contrasto delle disposizioni sulla composizione mista, oltre che con l’art. 111 e con l’art. 117, 1° comma (art. 6 CEDU), altresì con l’art. 23 St. sic. 220 N. TROCHER, Il valore costituzionale del “giusto processo”, op. loco cit., 49. 151 CAPO V I pericoli derivanti dalla possibile revisione dello Statuto e dall’annunziata riforma in senso federale dello Stato. 1. – La revisione degli statuti speciali postulata dalla L. cost. n. 3 del 2001 (riforma del tit. V, parte II della Costituzione). Il limite di tenuta dell’ordinamento costituzionale. Il tentativo della Regione siciliana nella XIV legislatura. Si è accennato, all’inizio del presente lavoro, al pericolo proveniente dall’orientamento, manifestato dalla Regione siciliana nel corso della XIV legislatura ad introdurre, in sede di revisione dello Statuto, una modifica delle disposizioni contenute nell’art. 23 del testo vigente volta ad una significativa accentuazione della partecipazione della Regione nella formazione del Consiglio. Tale orientamento veniva espresso nel disegno di legge voto approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 31 marzo 2005 (seduta n. 281), e presentato al Senato come disegno di legge costituzionale con il n. 3369, per la revisione dello Statuto siciliano, il quale, a modifica del vigente art. 23 dello Statuto della Regione siciliana, prevedeva che il Consiglio “è composto anche di membri designati dal Presidente della Regione” e che il suo presidente è nominato “d’accordo dai Governi dello Stato e della Regione”221. Il disegno di legge è decaduto per la fine della legislatura. Ne era stata preannunziata la ripresentazione nella XV legislatura, prematuramente interrotta.222 Le tendenze federalistiche presenti nella corrente legislatura non consentono di fare considerare il pericolo scampato. Allo stato è in discussione il cosiddetto “federalismo fiscale”223, ma è prevedibile un passo successivo costituito da un assetto istituzionale che veda una ulteriore accentuazione delle competenze delle comunità locali. In tale contesto appare opportuno cercare di vedere quale sarebbe il limite di tenuta dell’ordinamento costituzionale a fronte di una possibile pretesa della Regione siciliana ad ottenere una maggiore presenza in relazione alla 221 Su tale disegno di legge, S. RAIMONDI, Il Consiglio di giustizia amministrativa nel disegno di legge costituzionale di revisione dello statuto siciliano, in Dir. pubbl., 2005, n. 3, 945. 222 Giornale di Sicilia del 3 agosto 2006. 223 Ci si riferisce alla legge 5 maggio 2009, n. 42, recante “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione”. 152 composizione dell’organo di appello della giurisdizione amministrativa. In relazione all’attuale assetto costituzionale non può negarsi che la revisione dello Statuto siciliano (come delle altre regioni speciali) appare suggerita dall'articolo 10 della legge costituzionale 3 del 2001, il quale stabilisce, com'è noto, che “fino all'adeguamento dei rispettivi statuti” le disposizioni contenute nella stessa legge costituzionale si applicano alle Regioni a statuto speciale per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite224. Sebbene la ricordata proposta approvata dall’Assemblea Regionale Siciliana sia ormai decaduta, l’eventualità di una sua riproposizione consiglia di svolgere al riguardo alcune considerazioni utili sia che rimanga inalterata la formulazione originaria, sia che essa sia modificata. In quest’ultima ipotesi è prevedibile che risulterebbe comunque conservato l’impianto originario stante che, da una parte difficilmente la Regione sarebbe indotta a tornare indietro, a ridurre cioè le sue pretese, e dall’altra appare altrettanto difficile la conservazione dell’art. 23 St. sic. nella sua attuale formulazione dalla quale da un sessantennio le norme di attuazione si sono di molto allontanate. E’ pacifico che, nel revisionare gli statuti speciali, le Regioni possono andare oltre l'adeguamento alle disposizioni del titolo V. Ma è da condividere al riguardo l’opinione secondo la quale una “diversificazione piena” non sarebbe “neppure concepibile: il valore di unità non lo consentirebbe, richiedendosi ad ogni modo il rispetto dei principi espressi nel Titolo V o, comunque, sottostanti alle regole che stanno a base del riordino istituzionale posto in essere con la sua riscrittura e che del valore stesso costituiscono il naturale, diretto ”prolungamento””225. Relativamente al problema in oggetto appare difficile dubitare del fatto che una diversificazione come quella prefigurata dal disegno di legge per la revisione dello Statuto siciliano in relazione alla composizione del Consiglio 224 E’ da rammentare che, secondo l’art. 41 ter dello Statuto siciliano, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. m L. cost. 31 gennaio 2001, n. 2, per le modifiche dello statuto si applica il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali, ma non si fa luogo al referendum. 225 A. RUGGERI, Forma e sostanza dell’adeguamento degli statuti speciali alla riforma costituzionale del Titolo V (notazioni preliminari di ordine metodico-ricostruttivo), in Le Regioni, 2003, 358. 153 di giustizia amministrativa, non sia ammissibile perché pienamente contrastante con quelli, di tali principi, sicuramente riconoscibili226. A tale conclusione induce in primo luogo l’appartenenza alla legislazione esclusiva dello Stato, giusta l’art. 117 cost., 2° comma, lett. l) Cost., della materia “giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa”. Ed in secondo luogo la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, i quali devono essere assicurati su tutto il territorio nazionale, sancita dall’art. 117, 2° comma, lett. m). E’ appena il caso di sottolineare il carattere ineludibile di tale garanzia, che non può essere obliterata o ridotta in relazione a nessuna Regione. Diversamente opinando, peraltro, la specialità, anziché configurarsi come strumento volto (tra l’altro) a consentire, in relazioni a parti del territorio nazionale caratterizzate da particolari situazioni svantaggiose, l’adozione di strumenti di riequilibrio, si tradurrebbe in una condanna della comunità regionale ad una più accentuata marginalità in relazione alla tutela giurisdizionale. Le richiamate previsioni dell’art. 117 Cost. comportano che i sistemi di 226 Cfr. al riguardo, F. PIZZETTI, La riforma del titolo V della parte II della costituzione nel processo riformatore italiano e i suoi riflessi sul ruolo la giustizia amministrativa, relazione al convegno organizzato dall’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI AMMINISTRATIVI - ANMA, su La funzione amministrativa ed il suo giudice alla luce delle recenti modifiche della Costituzione, Torino, Giappichelli, 2003, 33-35, il quale (con riferimento alle Regioni tutte), afferma preliminarmente che la riforma del Tit. V, parte II, della Costituzione, ha affiancato al modello del 1948, ispirato all’uguaglianza di trattamento e di condizioni con la conseguente unicità del decisore (Stato), seppure con possibilità residue di differenziazione lasciate alle comunità territoriali, il modello caratterizzato dal valore “della differenza e della diversità”, con il conseguente riconoscimento e valorizzazione dell’articolazione dei decisori regionali e locali. Aggiunge che l’uniformità di trattamento e di condizioni diventa un principio da difendere e tutelare prevalentemente attraverso la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali. Nell'affrontare poi il tema specifico della giustizia amministrativa in relazione alle Regioni, afferma che “anche nel contesto di una riforma così innovativa e di un progetto costituzionale così diverso nella sua logica di fondo da quello originario, il potere giudiziario resta come un potere organizzato a base nazionale e la funzione giurisdizionale, comunque articolata, resta una funzione regolata e disciplinata dal legislatore statale in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. La dizione dell'art. 117, lett. l) in virtù del quale sono di competenza esclusiva del legislatore statale “giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa” lascia pochi dubbi in proposito”. E più avanti. : “ne deriva che oggettivamente il giudice, inteso appunto come il soggetto/i dell'apparato/i cui spetti esercitare la funzione giurisdizionale costituisce di fatto un potere che esercita un ruolo fortemente unificante nel sistema complessivo. E se è vero che il potere e la funzione giurisdizionale sono tradizionalmente esercitati da apparati articolati per competenza sul territorio, è non meno vero che il ruolo unificante svolto dalle giurisdizioni superiori ed il carattere statale del decisore cui compete organizzare questo potere e gli apparati titolari di questa funzione fa del giudice un elemento di forte unificazione nel sistema complessivo”. 154 investitura dei giudici devono essere gli stessi per tutto il territorio nazionale. L’affermazione, valevole già in relazione al tradizionale assetto della giustizia amministrativa caratterizzato dall’attribuzione al giudice amministrativo della tutela degli interessi legittimi, e solo per particolari materie (sino a poco tempo fa invero limitate), anche della tutela dei diritti soggettivi (così l’art. 103 cost.), assume oggi una valenza ben più pregnante stante che, come abbiamo visto, il giudice amministrativo si configura, ormai non più per poche ma per molte materie, con tendenza all'aumento delle stesse, come giudice, oltre che degli interessi, anche dei diritti, come il giudice ordinario227. E, come il giudice ordinario, ha giurisdizione in materia di risarcimento dei danni. La diversità dei sistemi di investitura dei componenti dell'organo giurisdizionale non appare pertanto a maggiore ragione ammissibile poiché comporta una diversità nella tutela dei diritti, che è certamente materia esclusa dall'influenza della Regione 228. Sotto il profilo dei livelli essenziali non vi è dubbio che la Sicilia risulterebbe fortemente penalizzata nel momento in cui il sistema di investitura del presidente e dei componenti del Consiglio di giustizia amministrativa fosse quello che era stato prefigurato dal disegno di legge di revisione dello Statuto. Non varrebbe per contro fare leva sulla particolare specialità dell'autonomia siciliana. Tale specialità, in relazione al Consiglio di giustizia amministrativa, può giustificare il mantenimento di quanto è stato dettato dallo Statuto del 1946, vale a dire il solo decentramento territoriale del Consiglio di 227 Sebbene la Corte costituzionale, con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204, abbia smentito la configurazione del giudice amministrativo come giudice unico dell’amministrazione, l’aumento delle materie demandate alla giurisdizione esclusiva dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sembra inarrestabile. Si consideri da ultimo la giurisdizione esclusiva in materia di denunzia di inizio attività (art. 19 L. 241 del 1990, come sost. dall’art. 3 D.L. n. 35 del 2005, conv. in L. n. 80 del 2005), di nullità dei provvedimento in violazione o elusione del giudicato (art. 21 septies L. 241 aggiunto dalla L. 15 del 2005), e di accesso ai documenti amministrativi (art. 25 L. 241 modif. dall’art. 17 L. 15 del 2005 e dall’art. 3, comma 6 decies D.L. n. 35 del 2005, conv. in L. n. 80 del 2005). 228 In tale senso S. RAIMONDI, Il modello siciliano della giustizia amministrativa dell'esperienza del Foro, cit., pag. 152, laddove si sottolinea in particolare l’aumento delle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con il D.lgs. n. 80 del 1998 e la L. 205 del 2000, e G. PELLEGRINO, Intervento al convegno su La giustizia amministrativa tra nuovo modello regionale e modello federale, op. cit., 204, il quale afferma di dubitare dell'opportunità di “estendere, generalizzando l'esperienza di giudici laici”, stante che “andiamo sempre di più verso un sistema in cui per intere materie il giudice amministrativo è giudice dì diritti, non diversamente dal giudice ordinario”. Donde l'opportunità “che i sistemi di investitura dei giudici togati non fossero diversi”. 155 Stato, e tutt’al più si può spingere sino alla “copertura costituzionale” delle vigenti norme di attuazione (che dal disegno statutario, come abbiamo visto, si discostano sensibilmente), ma non oltre. Per contro la previsione secondo la quale le sezioni sono composte anche di membri designati dal presidente della Regione, senza che neppure sia garantita la proporzione tra membri designati e membri togati stabilita dalle norme di attuazione del 1948, confermate sul punto da quelle del 2003, e l'altra previsione secondo la quale il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa è nominato d'accordo dai governi dello Stato e della Regione, prefigurano un organo che potrebbe essere composto anche prevalentemente da laici designati dal presidente della Regione, e sulla nomina del cui presidente la Regione eserciterebbe un potere che allo stato di certo non ha. Con la conseguenza che l’organo di vertice della giurisdizione amministrativa in Sicilia non solo si differenzierebbe in modo ben più consistente di quanto non si diversifichi già oggi rispetto alla giurisdizione amministrativa operante per il resto d’Italia, ma costituirebbe un inammissibile elemento di rottura di un principio cardine sancito nella Costituzione del 1948 e conservato dalla riforma del 2001 (L. cost. n. 3), quale è quello della riconduzione ad unità dell’ordinamento della giustizia amministrativa. 2. – Impossibilità di giustificare l’eventuale modifica dell’art. 23 St. sic. in relazione all’evoluzione del regionalismo in Italia (con riferimento alla modifica approvata dal Parlamento nel 2005 e respinta dal referendum). D’altra parte neppure l’evoluzione che al regionalismo in Italia ha impresso la riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione, introdotta con L. cost. n. 3 del 2001, con il rovesciamento dei rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale, generalizzata la prima e specializzata la seconda, potrebbe giustificare la totale o parziale regionalizzazione degli organi giurisdizionali amministrativi, di guisa che la riforma che era stata proposta per la Sicilia si configuri come una ragionevole evoluzione (una nuova anticipazione, come avvenne, per l’intero impianto delle Regioni, con lo Statuto del 1946) dell’assetto oggi esistente. Si consideri, peraltro, che nel caso della Sicilia, si tratta dell’organo giurisdizionale amministrativo di ultima 156 istanza229. Al riguardo non appare superfluo rammentare che nel disegno di legge costituzionale per la modifica della parte II della Costituzione, definitivamente approvato dal Senato il 16 novembre 2005, poi respinto dal referendum confermativo, si prevedevano rilevanti innovazioni, nessuna delle quali, però, incidente sulla materia in oggetto. E ciò sebbene, come è noto, l’intera impostazione della riforma fosse improntata ad una forte accentuazione della posizione delle comunità territoriali con correlativa riduzione delle competenze statali. Si prevedeva un ridisegno della distribuzione delle competenze legislative dello Stato e della Regioni, con una riduzione delle competenza legislativa concorrente, e l’introduzione della competenza legislativa esclusiva delle Regioni (art. 39). Si prevedeva inoltre una profonda riforma delle competenze e della composizione del Parlamento (artt. 14 ss.), con il tramonto del bicameralismo perfetto e l’introduzione del Senato federale della Repubblica, con una netta differenziazione delle competenze legislative tra le due Camere. In relazione al tema in esame, rimaneva ferma l’attribuzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato delle materie di cui all’art. 117, 2° comma, lett. l) (giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa) ed m) (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale). La competenza legislativa, relativamente alle materie di cui alla lett. l), veniva attribuita alla Camera dei deputati, mentre per le materie di cui alla lett. m) veniva attribuita collettivamente alle due Camere. 3. – Ipotesi di c.d. federalismo e giustizia amministrativa. Mancanza di nesso tra forma di Stato regionale (o federale) e regionalizzazione (o federalizzazione) della giurisdizione amministrativa. 229 Sotto tale fondamentale profilo la proposta di modifica dello Statuto siciliana non trova riscontro nell’opinione secondo la quale “dal punto di vista organizzativo” ben potrebbero essere incardinati nella Regione “almeno gli organi giurisdizionali locali”, ma “ferma restando l’esigenza di carriere potenzialmente nazionali per i magistrati”. Cosi G. FALCON, Federalismoregionalismo: alla ricerca di un sistema in equilibrio, in L. MARIUCCI – R. BIN – M. CAMMELLI – A. DI PIETRO – G. FALCON, Il federalismo preso sul serio, Bologna, Il Mulino, 1996, 126. 157 Ciò detto, è necessario tenere presente che, come si è accennato, altre iniziative nel senso di una più accentuata regionalizzazione all’insegna del c.d. federalismo, sono prevedibili. In relazione a tale ipotesi (già affacciatasi nel dibattito politicocostituzionale alcuni anni or sono) la dottrina non ha mancato di esaminare la questione sotto un profilo di teoria costituzionale, ed è esattamente pervenuta ad una conclusione decisamente negativa230. La funzione giurisdizionale è caratterizzata dalla neutralità231. Il giudice, qualunque giudice, è stato esattamente osservato, ha il compito di ius dicere, di garantire i diritti. La sua attività si svolge in posizione di estraneità e di indifferenza rispetto alla materia ed ai soggetti nei cui confronti opera. In particolare “il giudice amministrativo é…giudice dell'intera amministrazione e soprattutto garante dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini”232. In virtù di tali suoi caratteri la giurisdizione amministrativa si collega all’ordinamento nel suo complesso, e non allo Stato o alla Regione233. Non 230 Sono da ricordare al riguardo gli atti del convegno su La giustizia amministrativa tra nuovo modello regionale e modello federale, già citati. In particolare gli scritti di F. Sorrentino, G. Pitruzzella, S. Giacchetti. Cfr. inoltre sull’argomento, A. POGGI, Revisione della forma di Stato e funzione giurisdizionale: una diversa ripartizione di competenze tra Stato e regioni?, in Le Regioni, 1996, n. 1, 51 ss.; A. BARBERA, Il giudice amministrativo è giudice terzo?, relazione al convegno dell’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI AMMINISTRATIVI – ANMA su La funzione amministrativa ed il suo giudice alla luce delle recenti modifiche della Costituzione, cit., 15 ss.; F. PIZZETTI, La riforma del titolo V della parte II della costituzione nel processo riformatore italiano e i suoi riflessi sul ruolo la giustizia amministrativa, nel citato volume dell’ANMA, 29 ss. 231 In tal senso Corte cost. 1 aprile 1993, n. 150 (ricordata da G. Pitruzzella nella relazione al Convegno di Palermo), nella quale si afferma: che l’“esercizio della funzione giurisdizionale è imprescindibilmente neutro, perché insensibile alla localizzazione in questa o quella regione, oltre che neutrale, perché svolto in posizione di terzietà rispetto ai poteri dello Stato, non escluso il potere esecutivo delle Regioni”. 232 F. SORRENTINO, Giustizia amministrativa e nuovo modello federale, relazione al citato Convegno di Palermo, 34. 233 Come si è precedentemente ricordato, osserva esattamente R. CHIEPPA, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, op. loco cit., pag. 3, in relazione alla composizione paritetica (sebbene ineguale) dell’organo, che da essa “non può dedursi la natura di organo rappresentativo…in relazione alle funzioni che soddisfano interessi costituzionali che trascendono quelli statali o regionali, in quanto la funzione giurisdizionale non tollera una qualsiasi rappresentatività, essendo il Giudice soggetto imparziale sottoposto alla legge”. Nello stesso senso S. DE FINA, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, op. loco cit., pag. 230. Si legge nell’intervento di G. CRISCI, in La giustizia amministrativa in Sicilia. Atti del Convegno, cit., 4, a proposito della composizione mista del C.G.A.: “Tale composizione è stata considerata una espressione di autonomia, una garanzia della migliore tutela degli interessi della Regione e degli abitanti della Regione./ Su questa impostazione occorre intendersi, poiché di autonomia, a mio avviso, può appropriatamente parlarsi solo nell’esercizio della discrezionalità che è alla base del potere normativo e amministrativo, non della giustizia, che è applicazione 158 sussiste alcun nesso tra forma di Stato regionale (o federale) e regionalizzazione (o federalizzazione) della giustizia234. Né sussiste alcuna corrispondenza tra la competenza del giudice e l'ordinamento regionale. Per contro, ove una tale corrispondenza fosse stabilita, risulterebbe compromessa l’esigenza che il giudice sia indipendente dall'amministrazione. Ed è del tutto irrilevante la natura statale o regionale della legge da applicare235. Non varrebbe in contrario invocare il principio di sussidiarietà. In primo luogo esso attiene all'azione amministrativa, e non può essere esteso alla funzione giurisdizionale. In secondo luogo la sua applicazione alla giurisdizione amministrativa semmai comporterebbe l’allocazione della funzione giurisdizionale nel livello territoriale nel quale essa possa essere esercitata nel modo più adeguato. Poiché per la giurisdizione si deve perseguire l'estraneità, la separatezza e la distanza del giudice dai contrapposti interessi, essa deve essere organizzata in modo da porre il giudice al riparo da condizionamenti locali 236 . Al riguardo è innegabile che l'indipendenza del giudice è direttamente proporzionale alla grandezza della formazione sociale che lo esprime 237. 4. – Incompatibilità della prefigurata modifica dell’art. 23 St. sic. con le disposizioni costituzionali sulla giurisdizione. Altre ragioni inducono a ritenere inaccettabile una modifica dell’art. 23 dello Statuto siciliano nel senso prefigurato dalla proposta del 2005. Vero è che la revisione dello Statuto viene effettuata con legge costituzionale (art. 41 ter St. sic. aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. m) L. cost. imparziale e vincolata della legge, fondata su canoni uniformi di interpretazione, indipendentemente dal luogo e dall’ambiente in cui viene resa”. 234 G. PITRUZZELLA, Stato regionale e giustizia amministrativa, rel. al conv. di Palermo, cit., 42. 235 F. SORRENTINO, Giustizia amministrativa e nuovo modello federale, op. loco cit., 32. 236 In tale senso v. ancora F. SORRENTINO, Giustizia amministrativa e nuovo modello federale, op. loco cit., 35. 237 S. GIACCHETTI, Federalismo e futuro interiore della giustizia amministrativa, relazione al Convegno di Palermo, cit., 120: “riterrei pericolosa una futura federalizzazione della giustizia: perché è un dato di comune esperienza che l'indipendenza reale del giudice tende ad essere inversamente (recte: direttamente) proporzionale alla grandezza della formazione sociale che lo ha espresso, per il maggior condizionamento politico che le formazioni sociali minori sono in grado di esercitare in sede locale. E’ quindi pienamente condivisibile che i progetti di riforma costituzionale escludano la materia della giustizia da quelle oggetto di trasferimento dallo Stato agli enti minori”. 159 n. 2 del 2001), ma le modifiche che possono essere apportate non solo non devono contrastare con i principi che si traggono dallo stesso titolo V della Costituzione, ma, alla stregua del principio fondamentale dell'unità della Repubblica (art. 5), e nel rispetto dei limiti propri della materia statutaria, non devono contrastare neppure con le disposizioni della Costituzione che disciplinano i diritti dei cittadini. Il riferimento è all'art. 24, 1° comma, Cost., che garantisce a tutti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi238. Vale a dire che la tutela dei diritti e degli interessi non può essere differenziata in relazione alla allocazione territoriale delle posizioni giuridiche soggettive. E’ appena il caso al riguardo di precisare che la diversità dei sistemi di investitura dei giudici comporta un’inammissibile diversità della tutela giurisdizionale. Per le stesse ragioni le eventuali modifiche dello Statuto non devono contrastare neppure con le disposizioni contenute nella parte II, titolo IV, sull’ordinamento giurisdizionale (sez. I) e sulla giurisdizione (sez. II). Sono da ricordare in proposito l’art. 100, u.c., il quale garantisce l'indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti di fronte al Governo, l’art. 101, 2° comma, secondo il quale i giudici sono soggetti soltanto alla legge, l’art. 102, 2° comma, il quale vieta l'istituzione di giudici speciali, e limita la possibilità di istituzione di sezioni specializzate soltanto presso gli organi giudiziari ordinari, l’art. 108, 2° comma, secondo il quale la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali. E soprattutto l’art. 111, 1° e 2° comma, il quale, come abbiamo visto, garantisce il “giusto processo”, nel cui ambito assicura la terzietà e l'imparzialità del giudice. In relazione ai ricordati principi, sebbene la Corte costituzionale sia stata non infrequentemente accomodante in relazione alla composizione degli organi della giurisdizione amministrativa e contabile, un'attenta lettura della sua giurisprudenza in materia (esattamente ritenuta esitante e non priva di contraddizioni239) consente di porre in evidenza profili che, lungi dal 238 A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non amministrativa”, cit. 45, nella ricostruzione dei principi costituzionali sulla giurisdizione, segnatamente quella amministrativa, sostiene che la norma cardine è proprio l’art. 24 cost., “che assume come valore essenziale della Costituzione la tutela degli interessi individuali giuridicamente protetti, e indica nel giudizio la sede e lo strumento per realizzare tale tutela”. 239 G. SILVESTRI, Giudici ordinari, giudici speciali e unità della giurisdizione, in Scritti in on. di M.S. Giannini, cit., 709 ss., spec. 729. 160 suffragare la proposta di revisione dello Statuto, con essa contrastano. La Corte, infatti, ha avuto occasione di affermare in primo luogo che la struttura ed il modo di operare di ogni giurisdizione non devono contrastare con i principi dettati dalla Costituzione per la giurisdizione in generale, e perciò validi per qualsiasi tipo di giurisdizione 240 . Ed ha precisato: “esistono principi e valori, costituzionalmente vincolanti, che attengono a tutte le giurisdizioni: ad esempio il principio dell’indipendenza dei giudici vale per tutte le giurisdizioni, ordinarie e speciali (per queste ultime cfr. l’art. 108 comma 2 Cost.). Se la giurisdizione speciale venisse ritenuta tale per carente attuazione di alcuni di tali principi e valori si verserebbe certamente in errore dopo l’entrata in vigore della Costituzione. Tali principi non attengono alla giurisdizione ordinaria ma al concetto stesso “generale” di giurisdizione: sicché organi o procedimenti disciplinati in violazione dei predetti principi non possono qualificarsi né “ordinari” né “speciali”, in quanto, ancora prima, non costituiscono organi o procedimenti “giurisdizionali”241. In secondo luogo la Corte ha affermato che, secondo quanto si evince dalle norme contenute nel titolo IV, sezione I, della carta costituzionale, la nomina per concorso dei magistrati, invero prescritta soltanto per la magistratura ordinaria, indubbiamente concorre a rafforzare e ad integrare l'indipendenza dei magistrati 242 . In terzo luogo che le nomine governative di suoi componenti possono essere considerate conformi a Costituzione quando si tratta di nomine per “un numero limitato di posti man mano che si rendono vacanti per eventi diversi, distanziate nel tempo e perciò fatte da governi diversi o addirittura di opposto orientamento”, e sempre che con la nomina cessi ogni vincolo eventualmente sussistente tra il governo che nomina e la persona che viene nominata 243 . In quarto luogo che la mancanza di indipendenza può degenerare in mancanza di imparzialità 244. Ed infine che un solo componente non indipendente è sufficiente a minare l'imparzialità 240 Corte cost. 31 marzo 1965, n. 17, in Giur. Cost. 1965, 176, con nota di M.S. GIANNINI, Spunti sulla giurisdizione contabile e sui consigli di prefettura. 241 Corte cost. 23 luglio 1987, n. 278, in Giur. cost. 1987, 2152 ss., spec. 2162-2163. 242 Corte cost. 21 gennaio 1967, n. 1, ivi, 1967, 1, con nota di R. CHIEPPA, A proposito di indipendenza della Corte dei conti e del Consiglio di Stato. 243 Corte cost. 21 gennaio 1967, n. 1, cit. e 27 maggio 1968, n. 49, in Giur. Cost. 1968, 756, con nota di M.S. GIANNINI, Una sentenza ponte verso i Tribunali amministrativi. 244 Corte cost. 9 aprile 1968, n. 33, ivi, 487. 161 dell'organo 245 . Per contro nessuno dei precedenti giurisprudenziali della Corte in materia offrirebbe un’adeguata copertura a disposizioni statutarie che vedrebbero addirittura una maggioranza di componenti del C.G.A. scelti dal Presidente della Regione e la stessa nomina del presidente affidata ad accordo con lo stesso. Si consideri in particolare, al riguardo che la Corte costituzionale, proprio con riguardo al Consiglio di giustizia amministrativa, sulla temporaneità dell'incarico dei componenti designati dalla Regione, si è sì pronunziata favorevolmente, ma in relazione ad un organo nel quale tali componenti costituiscono una minoranza 246 . Si consideri altresì che, per quanto concerne le modalità di costituzione del C.G.A., nella sentenza della Corte di cassazione del 1955, con la quale venne respinta la questione di costituzionalità delle disposizioni del D.lgs. n. 654 del 1948 disciplinati la composizione dell’organo in sede giurisdizionale247, viene considerata come una garanzia di indipendenza la nomina con decreto del Capo dello Stato (“la loro nomina è affidata alla più Alta Autorità dello Stato (art. 3, D.L. 6 maggio 1948, n. 654)”). La Corte ritenne in concreto che la distanza dagli interessi locali e l’elevatezza della carica costituisse garanzia di indipendenza. Entrambi tali elementi verrebbero ad essere stravolti da una eventuale norma statutaria alla stregua della quale si avrebbe un Consiglio composto in prevalenza da membri designati dalla Regione, e presieduto da un magistrato sulla cui individuazione il presidente della Regione eserciterebbe un potere, sebbene duale, di scelta, rispetto al quale pure se fosse conservata la previsione del decreto del capo dello Stato di certo esso non salvaguarderebbe, né contribuirebbe a salvaguardare, l’indipendenza dell’organo. Il Capo dello Stato non potrebbe fare altro che prendere atto dell’accordo raggiunto tra il Governo statale e quello regionale. 245 Corte cost. 9 aprile 1968, n. 33, cit. Corte cost., 22 gennaio 1976, n. 25, cit. 247 SS.UU. 11 ottobre 1955, n. 2994, cit. Invero nella pronunzia in oggetto con la quale la Corte di cassazione volle operare il “salvataggio” del Consiglio di giustizia amministrativa, viene enfatizzato al riguardo un profilo meramente formale in quanto il decreto del Presidente della Repubblica non può andare oltre il vaglio della regolarità dei presupposti (proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, delibera del Consiglio, profili di eventuali incompatibilità, ecc.). Ma la previsione dell’accordo prefigura un’accentuazione ulteriore del carattere formale del decreto. 246 162 Sotto questi ultimi profili appare difficilmente negabile che l’eventuale modifica dell’art. 23 dello Statuto nel senso predetto si porrebbe in aperto contrasto con la garanzia dell’indipendenza dei giudici speciali sancita dall’art. 108, 2° comma, cost. La disposizione demanda al legislatore di assicurarla. Ed il legislatore ha parzialmente ottemperato, per quanto concerne la giurisdizione amministrativa, introducendo un apposito organo di autogoverno, il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (L. 27 aprile 1982, n. 186, e s.m.i., artt. 7 e seguenti). Al quale compete (secondo l’art. 2 D. lgs. n. 373 del 2003, che rinvia all’art. 13 L. n. 186 del 1982, sulle assegnazioni di sedi e di funzioni e sul conferimento di uffici direttivi ai magistrati amministrativi) la scelta dei magistrati togati, presidenti di sezione e consiglieri, da assegnare, con il loro consenso, al Consiglio di giustizia amministrativa (ed inoltre di esprimere parere sulla designazione dei laici, art. 6 D. lgs. n. 373 del 2003). Rispetto a tale scelta la proposta del P.C.M. e la delibera del Consiglio dei ministri, previste dall’art. 6 del D. lgs. n. 373 del 2003, assumono una funzione soltanto formale. Ma la previsione della nomina per accordo tra il governo statale e quello regionale chiaramente stravolgerebbe l’assetto indicato. Comporterebbe un potere di codecisione da parte del presidente della Regione, che assume una funzione ben più che formale, sostanziale. Costituirebbe, in concreto, un inammissibile ritorno all’indietro rispetto all’assetto dell’autogoverno che alla giurisdizione amministrativa (come a tutte le giurisdizioni) è stato assicurato in ossequio alla citata disposizione costituzionale. Un ritorno al potere governativo di nomina, che formalmente non è mai venuto meno soltanto in relazione al Presidente del Consiglio di Stato, ma che è superato dalla prassi costante secondo la quale il Governo recepisce le indicazioni del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa248. 248 Secondo l’art. 1, 2° comma, T.U. Cons. Stato (R.D. 26 giugno 1924, n. 1054), il presidente del Consiglio di Stato, i presidenti di sezione ed i consiglieri erano nominati con decreto reale, poi presidenziale, su proposta del Ministro dell’interno, poi del Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo deliberazione del Consiglio dei ministri. Secondo la legge 27 aprile 1982, n. 186, per quanto concerne i presidenti di sezione del Consiglio di Stato, sul conferimento delle funzioni e sull’assegnazione degli uffici provvede il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (art. 21), mentre il presidente del Consiglio di Stato è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il consiglio di presidenza. E’ rimasto il potere governativo, di nomina (non soltanto formale ma sostanziale) di un quarto dei consiglieri di Stato 163 Riguardo al principio di indipendenza dei giudici speciali è stato esattamente affermato in dottrina che gli organi i quali svolgono funzioni giurisdizionali “non devono essere legati da vincoli di soggezione formali o sostanziali nei confronti di autorità amministrative o politiche”, e “debbono essere assistiti dalla garanzia della inamovibilità, anche se non concepita così rigidamente come in relazione ai giudici ordinari” 249. A completamento del quadro, ed a suo compendio, non si può non ricordare il principio del giusto processo davanti a giudice terzo ed imparziale (art. 111, 1° e 2° comma, cost.), sul quale ci siamo dianzi soffermati nel precedente capo. La terzietà e l’imparzialità del giudice poste in relazione con il principio del contraddittorio, vale a dire con riferimento alla parti del processo, parti delle quali si garantisce la “parità”, rappresentano una significativa aggiunta alla garanzia di indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti che l’art. 100, 2° comma, della Costituzione vuole sia assicurata dalla legge di fronte al Governo, e che l’art. 108, 2° comma, vuole sia assicurata dalla legge ai giudici delle giurisdizioni speciali. L’art. 111 comporta che la giurisdizione amministrativa deve essere strutturata in modo da garantire la totale estraneità dei giudici alla pubblica amministrazione, che è parte necessaria del giudizio. La violazione di tali principi, riscontrata già in relazione all’assetto oggi esistente, sarebbe di molto accentuata se fosse realizzato il disegno riformatore prefigurato dall’iniziativa dell’Assemblea Regionale Siciliana nel 2005. Abbiamo già rammentato le critiche che la dottrina pressoché unanime ha rivolto ad alcuni aspetti della disciplina dell’organizzazione del Consiglio di Stato, quali la nomina governativa di una parte dei Consiglieri, la commistione tra funzioni giurisdizionali e funzioni consultive, gli incarichi estranei alle funzioni istituzionali dei magistrati, aspetti ritenuti contrastanti con la garanzie (art. 19 L. 186 del 1982). Per la evoluzione della disciplina in materia, M. STELLA RIGHETTINI, Il giudice amministratore, Bologna, Il Mulino, 1998, spec. pag. 120. 249 A. PIZZORUSSO, La magistratura, in Commentario della Costituzione, Zanichelli – Foro Italiano, 1994, sub art. 102, pag. 216. Approfondite considerazioni in materia di indipendenza delle giurisdizioni speciali in G. SILVESTRI, Giudici ordinari, giudici speciali e unità della giurisdizione, op. loco cit.; Id, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino, Giappichelli, 1997, spec. 28-46. Cfr. anche G. ARMAO, Il Consiglio della magistratura militare: un nuovo modello per la riforma degli organi di “autogoverno” delle magistrature speciali, in Foro amm. 1990, 2235. 164 di indipendenza dei giudici amministrativi. Relativamente al C.G.A. tali aspetti sono tutti presenti in relazione ai componenti togati. Ad essi si aggiungono quelli derivanti già oggi dalla peculiare disciplina della sua composizione. Un collegio giudicante il cui presidente venisse scelto con l’accordo del Presidente della Regione e dei cui componenti la maggior parte fossero scelti dal Presidente della Regione non sembra affatto che abbia i connotati della terzietà e dell’imparzialità. Al contrario, domani molto più di oggi, si configurerebbe, per usare una metafora, come un arbitro scelto da una delle squadre in campo. Pure se fosse il migliore dei giudici esso non apparirebbe terzo ed imparziale.. Una siffatta riforma avrebbe effetti davvero dirompenti. E’ da considerare, peraltro, che l’art. 18 della legge 21 luglio 2000, n. 205, nel modificare l’art. 7 della legge sull’ordinamento della giurisdizione amministrativa, 27 aprile 1982 n. 186, preannunzia il “generale riordino dell’ordinamento della giustizia amministrativa sulla base della unicità di accesso e di carriera”. L’applicazione di tale condivisibile criterio comporta l’abolizione della nomina governativa di un quarto dei componenti del Consiglio di Stato previsto dall’art. 19 della citata legge. Sicché mentre l’ordinamento della giurisdizione amministrativa per il resto d’Italia sembra destinato a marciare verso innovazioni rivolte ad una maggiore garanzia di indipendenza, terzietà ed imparzialità, relativamente alla Regione siciliana, se fosse approvata una proposta come quella presentata nel 2005, si avrebbe una marcia all’indietro. Una forte compromissione di tali garanzia. Si consideri che la prefigurata revisione dello Statuto non solo farebbe venire meno la (seppure limitata) garanzia costituita dalla prevalenza, nell'ambito del collegio giudicante, dei membri togati. Ma soprattutto comporterebbe, come si è sopra accennato, che non sarebbe più il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa a scegliere il presidente del C.G.A. (come accade oggi ai sensi dell’art. 2, 3° comma, D. lgs. n. 373 del 2003), dovendo la scelta essere il frutto di una contrattazione con il presidente della Regione. 5. – Pericoli che deriverebbero 165 dall’eventuale accentuazione dell’incidenza della Regione in ordine alla composizione del C.G.A. in relazione alla possibile diffusione del modello in altre Regioni. Sussiste un ultimo aspetto che merita una riflessione. La previsione relativa al decentramento territoriale delle giurisdizioni superiori costituisce un'assoluta originalità dello Statuto siciliano (art. 23). In sede di revisione dello stesso, se si incidesse su tale previsione innovando le disposizioni del 1946, si andrebbe ben oltre la conservazione di quanto fa parte ormai della storia consolidata dell'autonomia siciliana. Una volta che si abbandonasse la copertura offerta dall’esistente, se fosse consentito di farlo alla Regione siciliana, non si vede perché anche altre Regioni speciali non dovrebbero dettare, in sede di revisione dei loro Statuti, analoghe disposizioni, prevedendo l'istituzione di un organo di appello rispetto al Tribunale amministrativo regionale250. Siffatta ipotesi è da prendere in considerazione in particolare per quanto concerne la Regione Trentino Alto Adige per la quale lo Statuto (art. 90 D.P.R. n. 670 del 1972) e le norme di attuazione (D.P.R. n. 426 del 1984) prevedono un particolare organo di giustizia amministrativa di primo grado a composizione mista. Anche sotto tale profilo la eventuale modifica dell'articolo 23 dello Statuto siciliano che vedesse una accentuazione della incidenza della Regione in ordine alla composizione dell’organo appare pericolosa. Si presterebbe a diventare un elemento di scardinamento del principio unitario in relazione al delicato settore della tutela giurisdizionale. 250 Ipotesi completamente diversa è quella, prefigurata da un’apposita commissione del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa nel documento approvata dal plenum con delibera del 30 aprile 2004, dell’articolazione del Consiglio di Stato in sezioni staccate dislocate due a Roma, una a Milano ed una a Napoli, fermo restando ovviamente il Consiglio di giustizia amministrativa. Si tratterebbe infatti di un semplice decentramento territoriale del Consiglio di Stato, proprio quello che avevano voluto, per la Sicilia, i padri dello Statuto. 166 CONCLUSIONI La presenza nel capoluogo regionale dell’organo che svolge, in relazione alle pronunzie del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, le medesime funzioni che, per tutti gli altri Tribunali amministrativi regionali, sono demandate al Consiglio di Stato, costituisce indubbiamente un privilegio. Privilegio voluto, come abbiamo visto, dai padri dello Statuto siciliano251. I quali trassero ispirazione dalla storia. Memori, in particolare, della delusione che gli uomini dell’intellighenzia siciliana avevano subito nel 1860 per la mancata attuazione del disegno concepito dal Consiglio di Stato straordinario istituito dal prodittatore Mordini, secondo il quale, in conformità ad una tradizione antichissima, non venuta meno neppure durante il periodo borbonico, tutti i gradi della gerarchia giudiziaria dovessero avere sede nell’isola. Sono trascorsi oltre 60 anni dall’istituzione del succedaneo delle sezioni del Consiglio di Stato previste dall’art. 23 dello Statuto, vale a dire il Consiglio di giustizia amministrativa, e sebbene non sia venuta meno la consapevolezza che pur sempre di un privilegio si tratta, è diffusa, per quanto concerne le funzioni giurisdizionali, la delusione per la mancata piena realizzazione del disegno statutario. Tanto più necessaria una volta che, a seguito dell’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali e delle pronunzie della Corte costituzionale n. 61 del 1975 e del Consiglio di Stato in adunanza plenaria n. 21 del 1978, il C.G.A. si era trasformato da giudice in buona parte sottordinato al Consiglio di Stato (come era stato concepito originariamente) in giudice ad esso del tutto equiordinato. I tentativi che sono stati compiuti di dare una spallata al sistema introdotto con il decreto n. 654 del 1948, e confermato con il decreto n. 373 del 2003, e di ricondurre il Consiglio al disegno statutario, si sono rivelati tutti infruttuosi. La soluzione legislativa, tentata, in sede di attuazione dell’art. 125, 2° comma, Cost., a partire dalla II sino alla V legislatura, si rivelava impraticabile per le resistenze delle forze politiche di maggioranza (che governavano anche 251 Una Carta, questa, davvero ammirevole, se si considera che fu interamente concepita tra l’ottobre ed il dicembre del 1945 e fece da apripista, per quanto concerne l’istituto regionale, all’Assemblea costituente, eletta nel giugno del 1946. 167 la Regione). Ed altrettanto infruttuoso si rivelava il tentativo compiuto nel 2003, in sede di revisione della disciplina a seguito della prima rimessione alla Corte. Per la medesima ragione: l’assoluta indisponibilità del presidente della Regione a perdere il “suo” privilegio, quello di designare quattro componenti, di due dei quali è garantita la presenza nel collegio giudicante. Per quanto concerne la via giurisdizionale, la Corte di cassazione a sezioni unite nel 1955, la Corte costituzionale nel 2004, ed infine la Corte di cassazione a sezioni unite nel 2008, hanno risposto negativamente. Dall’esame compiuto nelle pagine che precedono, si trae la convinzione che la pronunzia delle SS.UU. del 1955, n. 2994 – oggetto, come abbiamo visto, di unanimi critiche dalla dottrina – sia stata fortemente influenzata dalla preoccupazione che si potessero istituire le cassazioni regionali. Del tutto analoga a quella che era stata, nel 1948, la determinante la preoccupazione del Consiglio di Stato che con l’istituzione di proprie sezioni in Sicilia, l’istituto subisse uno “smembramento”. La sentenza della Corte costituzionale n. 314 del 2004, a sua volta, sembra dettata dalla concezione che, essendo trascorsi svariati decenni dall’istituzione del Consiglio con composizione mista, la situazione sia ormai troppo consolidata per essere messa in discussione. Nonostante il palese contrasto con la norma statutaria. E nonostante che, a seguito dell’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali e delle pronunzie della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato, l’assetto delle competenze del Consiglio di giustizia sia radicalmente mutato. Allo stesso spirito appare ispirata l’ordinanza delle SS.UU del 2008, n. 19810, animata, all’evidenza, dalla volontà di confermare le precedenti pronunzie. Nonostante che queste non avessero affrontato il problema, prospettato per la prima volta in quel giudizio, della compatibilità della composizione mista con i principi del giusto processo davanti a giudice terzo ed imparziale (art. 111, 1° e 2° comma, Cost.). L’argine che tali pronunzie hanno eretto a difesa dell’assetto del Consiglio, però, non può fare dimenticare che ci si trova davanti ad un organismo caratterizzato da una diversità che, anche alla luce della maturazione della coscienza civile, sembra difficile accettare. Si tratta di un 168 collegio che giudica, oltre che su lesioni di interessi legittimi, oggi molto più di prima, su lesioni di diritti soggettivi, ed in particolare sul risarcimento dei danni, del quale fanno parte, per legge, due componenti scelti dal soggetto pubblico che, in molti casi, forse nella maggioranza dei casi, è parte del giudizio (la Regione siciliana). Secondo le Sezioni Unite della Corte di cassazione (n. 19810 del 2008), l’imparzialità dei giudici non togati sarebbe garantita dalla mancanza, nel presidente della Regione, del potere di incidere sull’esercizio delle funzioni. Secondo la Corte non permane alcun rapporto, né funzionale né di servizio, dei non togati con la Regione, sicché sarebbe da escludere una influenza concreta sul giudizio del Consiglio. Abbiamo visto perché tale punto di vista non può essere condiviso. Alla stregua dei principi ricavabili dall’art. 111, 1° e 2° comma, Cost. occorre che la struttura dell’organo giudicante sia tale da garantire non solo l’indipendenza (alla quale in concreto si sono riferite le SS.UU.), ma anche il distacco psicologico, la neutralità, l’indifferenza del giudice nei confronti di tutte le parti. In questo consiste la terzietà ed imparzialità. Inoltre bisogna salvaguardare l’apparenza. Il collegio giudicante deve essere strutturato in modo tale che non solo deve essere, ma deve anche apparire, terzo ed imparziale. Tutti tali predicati si rivelano insussistenti una volta che due quinti del collegio giudicante sono stati scelti da una delle parti. Peraltro la situazione è suscettibile di peggioramento stante la possibilità di designazione anche di dirigenti della stessa Regione siciliana, i quali, dopo la fine del sessennio, ritornerebbero nei ranghi. Ma si vuole dire, nel concludere, qualcosa di più. Bisogna considerare la mentalità dei nostri uomini politici, per comprendere la quale è utile rammentare, quale significativo esempio, il tentativo di un presidente della Regione di “licenziare”, o fare licenziare, un presidente del Consiglio di giustizia amministrativa colpevole di avere sollevato la questione di costituzionalità delle disposizioni del D.lgs. n. 373 del 2003252. 252 A seguito della emissione, da parte del Presidente del C.G.A., dell’ordinanza 13 febbraio 2004, n. 77, con la quale veniva sollevata la questione di costituzionalità delle disposizioni del 169 Orbene, alla stregua della concezione di cui la vicenda alla quale si fa riferimento è una manifestazione, non è peregrino pensare che il Presidente della Regione possa sentirsi talvolta autorizzato a cercare di influire sui componenti laici. E soprattutto non è peregrino supporre che un tale pensiero possa essere coltivato dai più smaliziati (e “politicamente” ambientati) utenti della giustizia amministrativa siciliana, i quali possono essere indotti a tentare di fare filtrare i loro interessi all’interno del Consiglio. Si può obiettare che tentativi di tal fatta non possono avere buon esito. Che è lecito contare sulla probità dei componenti designati. Che è lecito altresì contare sull’attenzione dei presidenti e dei componenti, togati e laici, del Consiglio. Anche se l’aumento rilevante del contenzioso verosimilmente rende l’esercizio di tale attenzione più difficile. Comunque lo stesso fatto che i tentativi ai quali si allude possano essere compiuti costituisce causa di turbamento. Sussistono altri aspetti della questione che inducono a rammaricarsi della mancata piena attuazione dell’art. 23 St. sic. I componenti laici del C.G.A. rimangono tali per un sessennio, con la conseguenza che, nell’esercizio delle loro funzioni di giudici, possono non avere la mente sgombra del pensiero del futuro. Una volta trascorso il seennio, se avvocati ritornano ad esercitare la professione forense (e ove dediti precedentemente ad altre branche, la possono intraprendere nel campo del Diritto amministrativo). E, quel che è peggio, se dirigenti, statali o regionali, ritornano in servizio. In quest’ultimo caso, finora non verificatosi, si potrebbe seriamente dubitare dell’indipendenza dei nominati (art. 108, 2° comma, Cost.). Infine è da considerare che il giudice di carriera non solo è divenuto tale per concorso, che, sebbene prescritto soltanto per la magistratura ordinaria, D.lgs. n. 373 del 2003, il presidente della Regione, dopo avere richiesto alla più alte cariche dello Stato di “contrastare iniziative estemporanee” del presidente del C.G.A., con separata nota faceva presente al Presidente del Consiglio dei Ministri di “ritirare l’intesa” per la nomina di questi sottoscritta dal suo predecessore. E dopo la sentenza della Corte cost. n. 316 del 2004 nuovamente scriveva al Presidente del Consiglio dei ministri, a svariati ministri, al Presidente del Consiglio di Stato, e per conoscenza al Presidente della Repubblica, ai quali chiedeva “di far conoscere le valutazioni delle SS.LL. ed i provvedimenti che le competenti Autorità statali riterranno di adottare al fine di garantire una guida ed una gestione del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana improntate alla tutela ed al rispetto del superiore pubblico interesse e delle disposizioni e prerogative dello Statuto siciliano”. La vicenda è più compiutamente descritta nel nostro lavoro “Il Consiglio di giustizia amministrativa nel disegno di legge costituzionale di revisione dello statuto siciliano”, cit., 949-951. 170 concorre a rafforzare e ad integrare l’indipendenza dei magistrati (Corte cost. n. 1 del 1967), ma ha costruito la sua professionalità, nell’arco dei non pochi anni occorrenti per accedere ad una giurisdizione superiore, all’insegna della mentalità dello ius dicere. Mentre il componente laico, divenuto componente del C.G.A. in età non più giovane e provenendo da esperienze diverse, può avere difficoltà a condividere una tale mentalità. Nel leggere alcune decisioni si ha a volte l’impressione che sia prevalso la (il) componente “sostanzialista”. Vale a dire che abbia fatto velo allo ius dicere una determinata visione della materia trattata. Non appare esagerato affermare, in chiusura, che l’ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia, a causa del modo in cui l’art. 23 dello Statuto è stato attuato, si presenta con una medaglia a doppia faccia. Da una parte costituisce un privilegio, ma dall’altra costituisce una condanna. 171 SOMMARIO INTRODUZIONE Le ragioni dell’interesse per il Consiglio di giustizia amministrativa: occasioni mancate, pericoli immanenti, il giusto processo. Pag. 2 CAPO I LE VICENDE DEGLI ANNI 2000 1. – Le previsioni statutarie (art. 23 St. sic.), la loro elusione con il D.Lgs. n. 654 del 1948 e la riconfigurazione delle competenze del C.G.A. per effetto di pronunzie giurisdizionali. Pag. 8 2. – Gli inconvenienti manifestatisi negli ultimi anni. Il parere del Cons. Stato ad. gen. n. 1 del 2003. pag. 12 3. – La questione di costituzionalità delle disposizioni sulla composizione del Consiglio contenute nell’art. 2 D.Lgs. n. 654 del 1948. pag. 18 4. - Il maquillage effettuato con D.lgs. n. 354 del 2003. pag. 21 5. – La questione di costituzionalità delle disposizioni sulla composizione del Consiglio contenute nel D.lgs. n. 354 del 2003. pag. 25 6. – La sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2004. pag.. 27 7. – La questione di costituzionalità sollevata in relazione ai principi del giusto processo davanti a giudice terzo e imparziale (art. 111 Cost.) L’ordinanza delle SS.UU. n. 19810 del 2008. pag.. 29 CAPO II L’EFFETTIVA PORTATA DELL’ART. 23 DELLO STATUTO SICILIANO E LAGENESI DELLA COMPOSIZIONE MISTA 1. – L’interpretazione dell’art. 23 St. sic. pag.. 31 2. – segue: la partecipazione dei laici e le norme di attuazione contra statutum o preater statutum. La non condivisibilità delle argomentazioni addotte dalla Corte. Pag. 33 3. – L’art. 23 nei lavori preparatori della Consulta regionale. Pag. 41 4. – Le radici storiche del decentramento degli organi giurisdizionali centrali e la sua 172 non ascrivibilità all’autonomia della Regione come ente. Pag. 45 5. – Come si giunse al D. Lgs. n. 654 del 1948. A) I lavori della Commissione paritetica. Pag. 49 6. – segue: B) Il ruolo del Consiglio di Stato. Il parere dell’adunanza generale del luglio 1946 ed il discorso di Ferdinando Rocco del gennaio 1948. pag. 51 7. – segue: C) La comunione di intenti con la Corte di cassazione. La preoccupazione per il ripristino delle cassazioni regionali. Il dibattito in Assemblea costituente. Pag. 54 8. – segue: D) Il discorso dell’Avvocato generale dello Stato presso la Corte di cassazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 1948. Pag. 58 9 – segue: E) La “formula” di Ferdinando Rocco e l’”incontro” con Luigi Sturzo. Pag. 60 10. - Il silenzio della dottrina nei primi anni di funzionamento del C.G.A. Il vaglio di costituzionalità della Corte di cassazione (SS.UU. n. 2994 del 1955) e l’unanime dissenso della dottrina. Pag. 64 CAPO III LA RICONFIGURAZIONE DELLA COMPETENZE DEL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA IN SEDE GIURISDIZIONALE AD OPERA DEL GIUDICE COSTITUZIONALE E DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO 1. – I nodi derivanti dalla anomalia del Consiglio di giustizia amministrativa, i progetti di riforma dello stesso nelle prime tre legislature repubblicane e l’istituzione degli organi di giustizia amministrativa di primo grado in attuazione dell’art. 125, 2° comma, Cost. pag. 74 2. – La questione di costituzionalità dell’art. 40 della legge n. 1034 del 1971. pag. 85 3. – Le questioni di costituzionalità della riconfermabilità dei componenti non togati e dell’appello all’adunanza plenaria. Pag. 86 4. – La sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1975. Pag. 88 5. - La riproposizione del problema della composizione del Consiglio e la sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976. Pag. 91 6. – L’effettiva portata della sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976 in relazione alla composizione mista del Consiglio. Pag. 97 173 7. – Le profonde trasformazioni delle competenze del C.G.A. a seguito della sua configurazione come organo di appello sulle sentenze del TAR Sicilia quale organo con competenza generale di primo grado. Pag. 100 8. – La non conducenza del riferimento al Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino Alto Adige contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2004. Pag. 105 CAPO IV LA COMPOSIZIONE MISTA DEL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA ED I PRINCIPI IL GIUSTO PROCESSO E DELLA TERZIETA’ ED IMPARZIALITA’ DEL GIUDICE (ART. 111, 1° E 2° COMMA COST.) 1. – La partecipazione dei laici alla stregua dell’art. 111, 1° e 2° comma, Cost. (giusto processo davanti a giudice terzo e imparziale), e dell’art. 6 della CEDU (equo processo davanti ad un giudice indipendente ed imparziale) con riferimento all’art. 117, 1° comma Cost. Pag. 107 2. – Particolari caratteri del Consiglio di giustizia amministrativa (non riscontrabili nel Consiglio di Stato) rilevanti ai fini dei parametri di costituzionalità che si traggono dalle disposizioni costituzionali sulla giurisdizione. Pag. 108 3. – L’evoluzione della configurazione del giudizio amministrativo alla stregua della riforma del 1998-2000 e dell’assetto risultante dalle pronunzie della Corte costituzionale e della Corte di cassazione ai fini dei parametri di costituzionalità che si traggono dalle disposizioni costituzionali sulla giurisdizione. Pag. 111 4. – L’introduzione del principio del giusto processo nella Costituzione (L. cost. n. 2 del 1999). La precedente elaborazione del principio ad opera della Corte costituzionale dapprima in materia civile e successivamente in materia penale. Il “processo giusto” come “sommo bene”. L’imparzialità e la terzietà. Pag. 115 5. – Il “giusto processo” nel progetto della Commissione bicamerale. Il conflitto tra Corte costituzionale e Parlamento e l’approvazione della legge costituzionale n. 2 del 1999. Sul carattere innovativo o meno di tale legge rispetto alla precedente elaborazione della Corte. Pag. 106 6. – Significato e portata dell’imparzialità e della terzietà. Contrasto con tali principi della composizione mista del C.G.A. Pag. 127 174 7. – L’ultimo salvataggio. L’ordinanza delle SS.UU. n. 19810 del 2008: la composizione mista non sarebbe in contrasto con l’art. 111 Cost. Pag. 131 8. – Diversità dei profili sopra indicati rispetto a quelli considerati nella sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2004. Pag. 133 9. – Diversità dei profili sopra indicati rispetto a quelli considerati nelle pronunzia delle SS.UU. n. 2994 del 1955. Pag. 136 10. – Diversità dei profili sopra indicati, della terzietà ed imparzialità di cui all’art. 111 Cost. rispetto a quelli considerati nella sentenza della Corte cost. n. 25 del 1976. Pag. 138 11. – Diversità dei profili sopra indicati rispetto a quelli considerati nella sentenza della Corte costituzionale sulle nomine governative di consiglieri di Stato (n. 177 del 1973). Pag. 141 12. - Contrasto della composizione mista del C.G.A. con il principio dell’equo processo davanti a giudice indipendente ed imparziale sancito dall’art. 6 CEDU e conseguente incostituzionalità per contrasto con l’art. 117, 1° comma, Cost. Il valore dell’apparenza. Pag. 144 13. – Ragioni che, alla stregua del principio del giusto processo, inducono ad un riesame della rispondenza della composizione mista all’art. 23 dello Statuto siciliano. Pag. 147 CAPO V I PERICOLI DERIVANTI DALLA POSSIBILE REVISIONE DELLO STATUTO SICILIANO E DALL’ANNUNZIATA RIFORMA IN SENSO FEDERALE DELLO STATO 1. – La revisione degli statuti speciali postulata dalla L. cost. n. 3 del 2001 (riforma del tit. V, parte II, della Costituzione). Il limite di tenuta dell’ordinamento costituzionale. Il tentativo della Regione siciliana nella XIV legislatura. Pag. 152 2. – Impossibilità di giustificare l’eventuale modifica dell’art. 23 St. sic. in relazione all’evoluzione del regionalismo in Italia (con riferimento alla modifica approvata dal Parlamento nel 2005 e respinta dal referendum). Pag. 156 3. – Ipotesi di c.d. federalismo e giustizia amministrativa. Mancanza di nesso tra forma di Stato regionale (o federale) e regionalizzazione (o federalizzazione) della giurisdizione amministrativa. Pag. 157 175 4. – Incompatibilità della prefigurata modifica dell’art. 23 St. sic. con le disposizioni costituzionali sulla giurisdizione. Pag. 159 5. – Pericoli che deriverebbero dall’eventuale accentuazione dell’incidenza della Regione in ordine alla composizione del C.G.A. in relazione alla possibile diffusione del modello in altre Regioni. Pag. 165 CONCLUSIONI L’ordinamento della giustizia amministrativa in Sicilia rimane un privilegio ma è anche una condanna. Pag. 167 176