INCONTRO CON ANTONELLO VENDITTI «Come l’Araba Fenice ho sempre voglia di rinascere» testo: Salvatore Pinto - foto: Luca D’Alessandro Nell’ambito della sua tournée europea, l’Unica Tour 2012, Antonello Venditti il 5 novembre scorso è apparso sui palchi della AVO Session di Basilea. La Rivista ha incontrato l’artista per parlare di musica, e non solo… Antonello Venditti, le più belle canzoni le hai dedicate alle donne. Che cosa rappresenta per te la figura femminile? (ride) La figura femminile è quella che non capisco. È il mistero della vita. Mi ha sempre affascinato e spero che continuerà a farlo in tutte le sue manifestazioni. Da Marta che era una ragazza alla ricerca della libertà dalla famiglia, a Sara che portava avanti la maternità senza l’uomo, fino ad arrivare a Cecilia. Santa Cecilia che è un brano del mio ultimo album Unica. Poi m’interessa il rapporto tra uomo e donna, cioè l’amore. Il mondo è fatto di uomini, tranne qualche caso di grandi figure femminili tipo Maria Teresa di Calcutta e altre. Tutto il resto è uomo. Che rapporto hai avuto da ragazzo con le donne in famiglia, visto il tuo legame quasi morboso? Purtroppo negativo. È stata la negazione della donna che mi ha portato a cercarla. In famiglia era mia madre l’unica donna. Tanto che mi ha massacrato e distrutto la vita. Ho scritto anche un libro che s’intitola L’importante che tu sia infelice. Questo era quello che voleva mia madre. Non le andava mai bene niente, nessuna donna che io avevo. Voleva che stessi sempre con lei: lei, l’unica donna per me ed io l’unico uomo per lei. Il rapporto con mia madre è quello che ha segnato la mia vita con le donne. Parliamo del tuo ultimo album Unica. Chi è questa donna unica? Il brano Unica parla di tutto il mio mondo femminile e rispecchia tutte le mie canzoni d’amore. Come se in questa canzone ci fossero tutte le donne che ho conosciuto. Come due foglie cadute dallo stesso ramo che si amano e nello stesso momento si staccano. Quindi ci sono il silenzio, l’incomprensione e il dolore. Non ti sei mai pentito di avere magari sbagliato qualcosa con le donne? Penso proprio di sì, perché, volendo assecondare o non capendo, si fanno sempre degli errori. Non si finisce mai di capire chi è il colpevole: sei tu o lo è lei? Se potessi tornare indietro nel tempo, che cosa vorresti correggere nei tuoi rapporti, come, ad esempio, nel caso della tua ex moglie, Simona Izzo? (ride) È sbagliato pensare alla mia ex moglie. Quella è stata una grande parentesi della mia vita. D’altronde è la Rivista n. 12 Dicembre 2012 63 come lo fa ad esempio un laico. Questa è la cosa che in realtà mi piacerebbe di più. Devo vedere se trovo le storie adatte. È difficile. Perché solo le storie vere ti possono raccontare qualcosa. Una canzone non è mai astratta, deve partire sempre da una storia vera. Quarant’anni fa circa hai scritto canzoni come Sora Rosa. Già allora citavi dei problemi che esistono oggi in Italia. Ma era veramente così, l’Italia? Oltre a Sora Rosa c’è un’altra canzone che pochi conoscono: Brucia Roma. Sono tutte canzoni di un ragazzo – in realtà sono io – che voleva partecipare per cambiare il mondo. In parte ci siamo riusciti. La mia più grande delusione parte dagli anni ottanta fino ai giorni d’oggi. L’Italia avrebbe potuto cambiare veramente ma non lo ha fatto. Le mie canzoni Sotto il segno dei pesci e Sara, se le ascolti, sembrano scritte oggi. Ti accorgeresti che l’Italia non è andata molto avanti. Ma quando le ho scritte avevamo la speranza che qualcosa cambiasse, quindi per vent’anni abbiamo solo sperato. la madre di mio figlio e l’unica donna che ho sposato … beh, un motivo ci sarà stato. Da quando mi sono separato, ho incominciato una rincorsa di figure femminili. Ho cercato l’amore per capire se quello con Simona era un amore quotidiano oppure no. Volevo capire se era un amore che partiva dal sesso o che andava dall’amore al sesso. Volevo analizzarlo, insomma. E purtroppo si sbaglia anche analizzandolo. Perché l’amore è un lasciarsi andare, e accettare le diversità dell’altro. Ti definisci un’Araba Fenice. Rinasci in ogni tuo nuovo album. Oltre alla canzone Unica ci parli delle altre del tuo ultimo album? Sì, certo. La canzone Oltre il confine è il seguito di Che fantastica storia è la vita e mi manda con il pensiero sulle diversità delle religioni per poi arrivare a Cecilia. Rispecchia la figura di donna martire, quella che dice no. Il brano La ragazza del Lunedi, invece, ha un tocco politico: è antiberlusconiana. La cantano persino negli stadi. Hai scritto un inno, insomma. Beh, sì! (ride) Tutte le mie canzoni prevedono qualcosa. Questa qui prevedeva il fallimento di Berlusconi. Se dovesse ritornare, avremmo un problema. Comunque penso che l’Italia abbia detto addio a Berlusconi e viceversa. Un inno che vede la partecipazione di Carlo Verdone alla batteria. La sa suonare? Sì, sì. Carlo suona bene le percussioni. Con le tue canzoni hai toccato temi sociali, politici, religiosi e, come detto, l’amore. Quale di questi temi t’intriga di più in questo momento? Mi affascina quello religioso. Mi piacerebbe uscire per un attimo dalla mentalità cattolica per entrare in quella di un arabo o un ebreo. E chissà, magari arrivare alla mentalità di qualcuno che vede la vita così com’è, 64 la Rivista n. 12 Dicembre 2012 Che rapporto hai con la politica oggi? Scarsissimo con la politica dei partiti, scarso con il PD, scarso con tutti. Conosco tutti, ma purtroppo l’apparato ha travolto la casta e con questa anche le persone che sono brave e oneste. Ormai la corruzione ha travolto tutto. Non si sono accorti quelli che avrebbero potuto cambiare, quindi ci troviamo di nuovo in ritardo. Non è possibile che una donna non trovi un lavoro che permette la maternità – questo andrebbe di pari passo con i diritti. Più si tolgono i diritti, più le donne vanno indietro. Oggi c’è un bisogno di maternità e di famiglia. Bisogna dare oggi l’opportunità ai ragazzi di un lavoro e non domani quando saranno vecchi. Poi ci lamentiamo che i giovani d’oggi si drogano e bevono. Lo fanno perché non c’è una risposta concreta. In Italia si è aperto un grande conflitto generazionale e questo è drammatico: l’Italia è un paese di vecchi, che ha però il più alto tasso di disoccupazione giovanile. Pensi che l’Italia si possa salvare o fare meglio? Penso di sì. Ma prima della salvezza c’è la tortura. Dobbiamo renderci conto di essere andati troppo in là per quanto riguarda l’onestà, la giustizia e il lavoro. Ci vuole la coscienza personale o «l’amor proprio», come si diceva tempo fa … questo deve vincere. In Italia c’è una generazione di sessantenni che ha smesso di produrre e tiene bloccato tutto, invece di lasciare il posto a chi ha voglia di fare qualcosa. La maggior parte dei nostri politici ha già avuto tutto e quindi non si può immaginare la vita degli altri. Se fa qualcosa lo fa per sé e la famiglia. È tutto casta, il potere non molla. Magari il capo mollerebbe, ma gli altri no, perché hanno avuto tutto senza fare niente e quindi diventa tutto un favoritismo. Chi ha il potere piazza il figlio, il genero, il cognato, il fratello e così via. C’è qualcosa di buono in Italia secondo te? Per il momento no. Le città esistono per i turisti, l’aspetto estetico è mantenuto, perché non l’abbiamo fatto noi. Tutto quello che abbiamo fatto noi in questi quarant’anni è discutibile e brutto. Abbiamo permesso che le coste italiane venissero deturpate e massacrate, abbiamo permesso l’abusivismo, sperando poi in un condono. Questa volta l’Italia deve pensare che non ci sarà più nessun condono e dovrà pagare. Forse è questa la salvezza. Magari ci vorrebbero più donne in politica. Quello è sicuro. Oggi tutti pensano a un presidente della Repubblica. Secondo me, però, l’unica che potrebbe farlo veramente è la signora Emma Bonino. In Italia non è facile trovare una persona che copra questo ruolo: o sono troppo anziani o non esistono più. Ritorniamo alla musica: che ricordi hai del Folkstudio, il mitico locale romano degli anni settanta? In quegli anni eravamo in quattro: Francesco De Gregori, Giorgio Lo Cascio, Ernesto Bassignano ed io. Avevamo tutto il mondo intorno, c’erano il jazz e tutta la musica popolare italiana. Era un momento in cui c’era spinta. Eravamo noi giovani a dare questo stimolo e a dettare la cultura di quel momento, insieme a pittori, registi, musicisti. La nostra età si rispecchiava in sintonia con quei tempi. Che rapporto hai con la musica jazz? Anche se tra il jazz e la mia musica non c’è una diretta connessione, il jazz è nella nostra cultura popolare di un certo tipo. Come l’America ha il blues che poi ha tradotto in jazz, l’Italia ha delle radici jazz. Al Folkstudio ho conosciuto jazzisti italiani come Massimo Urbani, Schiano e tanti altri. Quando penso al jazz penso al sassofono. È l’unico strumento simile alla voce e quindi mi interessa da quella parte li. Tanto è vero che nella canzone E allora canta nel mio ultimo album vi è la straordinaria partecipazione di Gato Barbieri. Dunque: in me da qualche parte c’è del jazz. Che pubblico ti aspetti al concerto alla AVO Session di Basilea? Ma guarda non lo so, ogni pubblico è diverso. Mi adatterò alla situazione e forse farò un concerto Rock (ride). Hai scritto tantissime canzoni. C’è una che preferisci? A livello popolare ce ne sono tante, partendo da Roma Capoccia fino ad oggi. Ma quelle che preferisco e che ritengo anche con un forte spessore letterario e per quanto riguarda gli arrangiamenti musicali, sono Modena che ha come inizio musicale con radici jazz e Lo Stambecco ferito che per me sono le canzoni numero uno, ognuna nel suo campo. Hai un progetto futuro che riguarda la musica? Beh, sì, adesso ci penso: a febbraio finisce l’attuale Unica Tour. Mi fermerò e sarà un momento brutto. Perché? Perché dirò a me stesso di non aver fatto niente nella vita, e bisogna comporre una nuova canzone. Chissà dove mi porterà. Comunque ci penserò a fine febbraio. Tu sai, sono come un’Araba Fenice: ho sempre voglia di rinascere. ANTONELLO VENDITTI – NOTE BIOGRAFICHE Antonello Venditti, nato a Roma l’8 marzo 1949, è un cantautore fra i più popolari in Italia. Il suo debutto risale al 1972 con Francesco De Gregori: insieme incidono Theorius Campus. Sia Venditti sia De Gregori sono considerati i più prolifici della cosiddetta Scuola Romana. Venditti non solo è artefice di numerosi dischi, ma anche autore del libro «L’importante è che tu sia infelice», un racconto in chiave autobiografica che il cantautore inizia a scrivere dopo la morte della madre. L’ultimo disco di Antonello Venditti s’intitola Unica, pubblicato presso la Sony Music Italia. la Rivista n. 12 Dicembre 2012 65