La svolta epistemologica di fronte alla crisi ambientale 2° INCONTRO: giovedì 26 febbraio Prof. P. VIDALI 1. Il complesso rapporto tra scienza e realtà ................................................................................2 2. L’interazione epistemologica tra osservatore e osservato........................................................4 3. L’irruzione del tempo...............................................................................................................7 4. La teoria darwiniana.................................................................................................................7 5. Sistema .....................................................................................................................................8 6. Complessità............................................................................................................................10 7. Omeostasi e teoleonomia .......................................................................................................12 8. Circolarità...............................................................................................................................17 9. Emergentismo ........................................................................................................................17 10. Leggi di natura ...................................................................................................................19 11. Le ragioni del successo del paradigma biologico darwiniano ...........................................20 12. Sintesi del paradigma biologico .........................................................................................22 1 1. Il complesso rapporto tra scienza e realtà La scienza: emergenze nella ricerca scientifica novecentesca la riflessione epistemologica sul concetto di scienza e sulle sue condizioni l'analisi dell'impatto del linguaggio nella costruzione del sapere scientifico la pluralità di approcci nella descrizione e nella spiegazione dei fenomeni osservati L'interazione tra teoria e osservazione, tra scienza e natura Scienza modello dalla fisica alla biologia Sistemi complessi (ecosistema) come terreno di integrazione di competenze diverse Einstein e il valore costruttivo dei concetti scientifici “La fisica ebbe realmente principio con le invenzioni di massa, di forza e di sistema inerziale. Tali concetti sono tutte libere invenzioni. Essi condussero alla formulazione del punto di vista meccanicistico. Per il fisico dell’inizio del diciannovesimo secolo, la realtà del nostro mondo esteriore consisteva in particelle ed in forze semplici, agenti sulle stesse e dipendenti soltanto dalla distanza. Egli cercò di conservare, quanto più a lungo possibile, la persuasione che riuscirebbe a spiegare tutti gli eventi della natura mediante questi fondamentali concetti della realtà. Ma prima le difficoltà inerenti alla deviazione dell’ago magnetico, poi quelle connesse alla struttura dell’etere ed altre ancora, condussero alla creazione di una realtà più sottile, con l’importante invenzione del campo elettromagnetico. Occorreva una coraggiosa immaginazione scientifica per riconoscere appieno che l’essenziale per l’ordinamento e la comprensione degli eventi può essere non già il comportamento dei corpi, bensì il comportamento di qualcosa interposto fra di essi, vale a dire il campo. Sviluppi posteriori demolirono i vecchi concetti, creandone dei nuovi. Il tempo assoluto ed il sistema di coordinate inerziali vennero soppiantati dalla teoria della relatività. Lo sfondo di tutti gli eventi non fu più costituito da due continui, quello unidimensionale del tempo e quello tridimensionale dello spazio, bensì dal continuo spazio-temporale a quattro dimensioni (altra libera invenzione) con nuove proprietà di trasformazione. Il sistema di coordinate inerziale divenne superfluo. Si riconobbe che qualsiasi sistema di coordinate è egualmente appropriato per la descrizione degli eventi naturali. [...] La realtà creata dalla fisica moderna è invero assai lontana dalla realtà dei primi giorni. Ma gli scopi di ogni teoria fisica rimangono sempre gli stessi. Con l’aiuto delle teorie fisiche cerchiamo di aprirci un varco attraverso il groviglio dei fatti osservati, di ordinare e d’intendere il mondo delle nostre impressioni sensibili. Aneliamo a che i fatti osservati discendano logicamente dalla nostra concezione della realtà. Senza la convinzione che con le nostre costruzioni teoriche è possibile raggiungere la realtà, senza convinzione nell’intima armonia del nostro mondo, non potrebbe esserci scienza. Questa convinzione è, e sempre sarà, il motivo essenziale della ricerca scientifica. In tutti i nostri sforzi, in ogni drammatico contrasto fra vecchie e nuove interpretazioni riconosciamo l’eterno anelito d’intendere, nonché l’irremovibile convinzione nell’armonia del nostro mondo, convinzione ognora più rafforzata dai crescenti ostacoli che si oppongono alla comprensione. A. Einstein, L’evoluzione della fisica, 4. Quanti, fisica e realtà, pp. 301-3. 2 La crisi ambientale La crisi ambientale deriva da un rapporto particolare che si è stabilito tra economia, scelte politiche, stili di vita, ricerca scientifica, risorse tecnologiche… Essa comporta una revisione culturale del nostro approccio, sia individuale che collettivo. In che modo l’epistemologia aiuta questo processo? Quali strumenti fornisce per una revisione culturale del ruolo dell’uomo in un ecosistema in crisi? Un quadro autorevole, anche se certo non completo, dell'assetto dell'epistemologia postempirista viene dalla parole di Mary Hesse{ XE "Hesse" }: a) nelle scienze naturali i dati non sono separabili dalle teorie, ciò che viene considerato dato è determinato come tale alla luce di interpretazioni teoriche e i fatti stessi devono essere ricostruiti alla luce di un'interpretazione; b) nelle scienze naturali le teorie non sono modelli confrontati dall'esterno con la natura in uno schema ipotetico deduttivo: sono i modi in cui i fatti sono visti; c) nelle scienze naturali le relazioni legisimili attribuite all'esperienza sono interne, perché ciò che consideriamo come fatti è costituito da ciò che la teoria afferma intorno alle loro interrelazioni; d) il linguaggio delle scienze naturali è irriducibilmente metaforico e inesatto ed è formalizzabile solo a costo di una distorsione della dinamica storica dello sviluppo scientifico e delle costruzioni immaginative nei cui termini la natura viene interpretata dalle scienze; e) nelle scienze naturali i significati sono determinati dalle teorie, sono intesi sulla base della loro coerenza teorica piuttosto che sulla base della loro corrispondenza con i fatti (Hesse{ XE "Hesse" } 1980, pp.172-173). Il concetto chiave è quello di «modello matematico», di cui John von Neumann ha fornito una questa definizione: “Per modello intendo un costrutto matematico che, con l'aggiunta di certe interpretazioni verbali, descrive dei fenomeni osservati. La giustificazione di un costrutto matematico del genere è soltanto e precisamente che ci si aspetta che funzioni - cioè che descriva correttamente i fenomeni di un'area ragionevolmente ampia. Inoltre, esso deve soddisfare certi criteri estetici - cioè, rispetto a quanto riesce a descrivere, deve essere piuttosto semplice” J.von Neumann, Method in Physical Sciences, in Collected Works, New York, Pergamon Press, 1963, p.492 I modelli matematici, pertanto, non aspirano affatto a cogliere la presunta essenza ultima dei fenomeni, ma, più modestamente, si limitano a fornire analogie formali che permettono di rappresentare alcuni aspetti significativi della realtà indagata. Non sono descrizioni normative e il fatto di accettarli come empiricamente adeguati non comporta nessun impegno ontologico riguardo i fenomeni che si intende analizzare. Secondo la celebre espressione di Poincaré “la matematica è l'arte di dare lo stesso nome a cose diverse” 3 Le geometrie: Riemann Lobacewskij Euclide 2. L’interazione epistemologica tra osservatore e osservato I fatti sono carichi di teoria. Essi variano, quindi, seguendo le teorie adottate. Senza limiti? No, ma con variazioni anche significative. Due esempi 2.1. Che cosa evolve? Ecco un elenco ragionato delle entità biologiche che possono andare incontro a selezione naturale (Levontin R., The Unit of Selection, in “Annaul Review of Ecology and Systematics”, 1, pp. 1-14). 1) molecole: è stato mostrato in laboratorio che esistono molecole, come l'acido ribonucleico (RNA), in grado di replicarsi all'interno di opportuni ambienti chimici producendo delle copie di se stesse. E loro imperfetto processo di replicazione genera mutanti con velocità replicative diverse. Mutanti con velocità superiore vengono positivamente selezionati. (Mills, Peterson e Spiegelman, 1967; Levisohn e Spiegelman, 1968). E’ verosimile che tale processo abbia guidato l'evoluzione prebiotica; 2) geni: senza dover impegnarsi nell'ipotesi che anche gli adattamenti degli organismi siano riconducibili a una selezione dei geni, è possibile individuare chiari casi in cui certe caratteristiche di alcuni geni sono il risultato di selezione all'opera a quel livello. E’ il caso dei geni che distorcono il processo di segregazione trovati in organismi come Mus musculus e Drosophila (Dunn, 1953; SandIer, Hiraizumi e Sandler, 1959). Questi geni si trovano in un numero di gameti maggiore rispetto agli altri geni rompendo lo schema dei rapporti mendeliani di segregazione ciononostante non vengono positivamente selezionati a livello dell'organismo di cui fanno parte (Sober, 1993, p. 108). 3) cellule: il cancro è un processo di selezione all'interno di un organismo e può essere ben descritto nel linguaggio darwiniano (Vineis, 2003), poiché si tratta della proliferazione di una popolazione cellulare a partire da un'unica cellula mutante in grado di generare numerosissime cellule figlie tutte dotate di spiccate capacità replicative e in grado di sopravvivere ben oltre la vita cellulare media. Queste cellule vanno rapidamente a soppiantare le altre cellule dell'organismo, la cui fitness è inferiore, accaparrandosi la maggior parte delle risorse. Non è chiaro se il cancro possa aver avuto un peso nell'evoluzione, portando alla selezione positiva di organismi meno suscettibili a questa malattia (Galis e Metz, 2003). Certamente, la selezione deve aver avuto un peso nel 4 passaggio evolutivo che ha portato dagli organismi unicellulari agli organismi pluricellulari, dal momento che gli organismi unicellulari sono singole cellule che competono l'una con l'altra per le risorse, mentre gli organismi pluricellulari sono sistemi di cellule cooperanti. Il comportamento cellulare deve quindi aver subito un'evoluzione positivamente selezionata in favore di una sorta di equilibrio cooperativo che sembra rompersi nel caso del cancro riportando a una situazione di competizione intercellulare. 4) individui (multicellulari): sono le entità su cui Darwin ha puntato l'attenzione proponendo la selezione naturale come processo portante dell'evoluzione. All'interno della popolazione, individui diversi si riproducono e sopravvivono in maniera differenziale e ciò può portare la popolazione a evolvere. 5) gruppi: il carattere che riveste la principale importanza perché si abbia selezione di gruppo è l'altruismo, ossia un carattere che per definizione diminuisce la fitness dell'organismo che lo possiede in favore della fitness del gruppo di cui fa parte, la quale risulta dalla media dei valori di fitess di tutti gli individui che compongono il gruppo. Se il gruppo non è unità di selezione, ma la selezione agisce sugli organismi, allora l'altruismo non può evolvere. Il carattere "altruismo" è cruciale per stabilire l'esistenza della selezione di gruppo per via della sua definizione, che lo classifica come carattere svantaggioso per l'individuo. E’ bene sottolineare che la fitness media di un gruppo può aumentare come semplice conseguenza dell'aumento della fitness di ciascun suo membro Milliams, 1966). Mentre un aumento della fitness del gruppo dovuto all'altruismo dei suoi membri è invece a scapito del singolo. Il problema è che l'evoluzione dell'altruismo è strettamente connessa alla frequenza di questo carattere nel gruppo. Se i membri del gruppo sono tutti altruisti, è più probabile che la fitness media del gruppo sia più elevata della fitness media di un gruppo di soli individui egoisti, che agiscono solo per se stessi, e i gruppi altruisti rimpiazzerebbero rapidamente i gruppi egoisti all'interno di una popolazione venendo positivamente selezionati. Ma c'è il pericolo che anche un solo individuo egoista, mutante o proveniente da un altro gruppo, "inquini” il gruppo altruista, beneficiando in massimo grado dei comportamenti degli altri membri senza contraccambiarli, e per selezione naturale sparga i suoi caratteri egoistici nel gruppo in poche generazioni. A patto, quindi, che gruppi di soli individui altruisti si formino rapidamente e altrettanto rapidamente rimpiazzino gli altri gruppi non altruisti prima di vedere la comparsa di individui egoisti al loro interno, la selezione di gruppo è possibile (Sober e Wilson, 1998). La selezione di gruppo cosi intesa va distinta dalla kín selection, elaborata da Hamilton (1964), che è la selezione di gruppi di individuí strettamente imparentati in cui A comportamento altruistico è esercitato verso consanguinei. Tale selezione può essere spiegata in termini genici se si prende in considerazione il fatto che chi aiuta un parente aiuta un portatore di copie dei suoi stessi geni. 6) specie: la possibilità teorica secondo cui anche le specie possano essere unità di selezione è stata indicata da alcuni paleontologi e concerne l'idea secondo cui non solo esiste variabilità interspecifica, ma è possibile tracciare un'analogia tra la riproduzione e sopravvivenza differenziale degli organismi con i fenomeni della speciazione e della stabilità evolutiva tipici delle specie. In questa ottica, le specie che "figliano di più" (ovvero che danno luogo a più eventi di speciazione) soppiantano altri taxa meno prolifici dando corpo alle principali ramificazioni dell'albero della vita (Stanley, 1975; Gould e Eldredge, 1977). In generale possiamo affermare che la selezione è un processo dalla realizzabilità multipla, ossia può essere implementato da diversi tipi di entità biologiche. Non c'è quindi ragione teore:tica per argomentare in favore dell'esistenza di una sola unità di selezione. Boniolo G., Giamo S., (a cura di), Filosofia e scienze della vita. Un’analisi dei fondamenti della biologia e della biomedicina, Bruno Mondadori, Milano 2008, pp. 54-57 5 2. 2. Come le diverse discipline definiscono la specie, unità fondamentale per stabilire la variazione nel tempo di un organismo? Il biologo pone l’accento sulle barriere riproduttive che separano i viventi, il sistematico cerca di rinvenire gruppi genealogicamente ben definiti; l’ecologo punta a rinvenire la spartizione tra delle nicchie ecologiche fra gli organismi; il paleontologo mette a fuoco le differenze morfologiche; il genetista della popolazione si concentra sulla diversità genetica. (de Querizot, Different Species Problems and their Resolutions, in “BioEssays”, 27, pp. 1263-1269) L’interazione diventa dominante, al di là della distinzione disciplinare. Il problema diventa far colloquiare le competenze, le categorie, i concetti, le strategie di conoscenza che dipendono da diversi saperi. In questo l’integrazione di teoria/e ed esperienza/e è specifica dell’ecosistema e diventa una via d’accesso alla integrazione tra scienze della natura e scienze dell’uomo. L’ambiente va visto come integrazione di dinamiche naturali e di processi culturali e socioeconomici che richiedono praticamente tutte le competenze scientifiche disponibili, oggi, come mostra la definizione di ecosistema già illustrata nella I lezione. La sinecologia è la scienza che studia gli ecosistemi visti come un tutto unico, la loro dinamica e gli equilibri derivanti dall'interazione delle loro componenti. 6 3. L’irruzione del tempo Con Darwin cade l’illusione che il sistematico debba compilare il registro della creazione. Le specie sono mutevoli: irrompe il tempo nella biologia, non solo degli individui ma anche delle specie e delle popolazioni. Ma la variabile temporale appare non solo nelle scienze del vivente. Il passaggio del tempo non è trascurabile nei processi ecosistemici. Vi sono punti di non ritorno, curve, punti di rottura, collassi che vanno considerati. Esiste una storia dell’ecosistema, che va compresa e considerata nella sua irreversibilità. 4. La teoria darwiniana Quella darwiniana è una sintesi che inserisce stabilmente la variabile temporale nella storia naturale Anche il darwinismo, comunque, è una teoria in sviluppo. Essa integra la teoria della selezione naturale di Darwin, la genetica e la biologia dello sviluppo. Darwin La teoria darwiniana dell’evoluzione si basa su tre assunti teorici fondamentali: a) il gradualismo ateleologico, il quale, a differenza del gradualismo trasformazionista che ammette una direzionalità, consiste nella graduale modificazione delle popolazioni che si adattano a situazioni ecologiche locali, e poiché l'ambiente muta di continuo in modo complesso e imprevedibile, tale processo non genera alcuna modificazione direzionale generale; b) il selezionismo, cioè «la conservazione delle variazioni favorevoli e l'eliminazione delle variazioni nocive», per usare la definizione proposta dallo stesso Darwin, che spiega l'adattamento; c) l'albero della vita, ovvero la "forma storica" dell'evoluzione. La sintesi moderna Il Neodarwinismo (o sintesi moderna) è la teoria evoluzionistica che deriva dall'integrazione tra: 1. la teoria dell'evoluzione delle specie per selezione naturale di Charles Darwin; 2. la teoria dell'ereditarietà di Mendel sulle basi dell'eredità biologica rivista alla luce della moderna genetica, comprese le mutazioni genetiche casuali come sorgente della variazione; 3. la forma matematica della genetica delle popolazioni. 7 4. l'analisi dei dati della paleontologia Gli scienziati che hanno contribuito allo sviluppo principale del neodarwinismo sono Thomas Hunt Morgan, R. A. Fisher, Theodosius Dobzhansky, J.B.S. Haldane, Sewall Wright, William D. Hamilton, Cyril Darlington, Julian Huxley, Ernst Mayr, George Gaylord Simpson e G. Ledyard Stebbins. In breve, il neodarwinismo collega tra loro due scoperte: quella dell'unità fondamentale dell'eredità (il gene) e quella del meccanismo dell'evoluzione (la selezione naturale). La sintesi neodarwiniana unifica diverse branche della biologia che in precedenza avevano pochi punti di contatto, in particolare la genetica, la citologia, la sistematica, la botanica e la paleontologia. Evo-devo La biologia evolutiva dello sviluppo (evolution of development or evo-devo), è un settore della biologia che confronta i processi di sviluppo di animali e piante, nel tentativo di determinare l'ancestrale rapporto tra gli organismi e le modalità di sviluppo dei processi evoluti. Essa affronta l'origine e l'evoluzione dello sviluppo embrionale, come le modifiche di sviluppo e di processi di sviluppo comportano la produzione di nuove funzioni, il ruolo della plasticità di sviluppo nell’evoluzione, come l'ecologia impatti in fase di sviluppo e cambiamento evolutivo e di sviluppo di base EVO-devo ha guadagnato impulso dalla scoperta dei geni che regolano lo sviluppo embrionale di organismi modello. Evo-devo mostra che l'evoluzione altera i processi di sviluppo (geni e le reti) per creare nuove strutture e nuovi reti dal vecchio gene (come l'osso della mandibola si struttura derivando a ossicini di mezzo orecchio) o conservare (economia molecolare), un programma simile a una serie di organismi come gli occhi di sviluppo geni nei molluschi, insetti e vertebrati. Si mostra un ruolo eccentrico dell’uomo, quasi occasionale, il che comporta una definizione non stabile, non insostituibile della presenza umana sul pianeta Terra. Ma appare anche la dimensione contestuale, spazio-temporale di ogni configurazione biologica. Qualunque cosa osserviamo in ambito naturale è un sistema nel tempo. 5. Sistema 8 Un sistema è una relazione tra elementi. In un sistema lo stato di un elemento determina ed è determinato dallo stato di tutti gli altri elementi: non serve a molto conoscere il componente senza conoscere a) le sue relazioni b) il livello di integrazione delle relazioni c) la storia delle sue relazioni passate e possibili. Il tutto, in un sistema, non si riduce mai alla somma delle parti. L'approccio sistemico inizia ad assumere contorni definiti quando - subito dopo la seconda guerra mondiale - appaiono più evidenti i limiti di una scienza orientata quasi esclusivamente alla ricerca di sequenze causali lineari da isolare mediante procedimenti analitici. a) Classica definizione di von Bertalanffy{ XE "von Bertalanffy" } del sistema come "complesso costituito di elementi in interazione" (von Bertalanffy{ XE "von Bertalanffy" } 1969, p.67) b) "un sistema è un insieme di oggetti insieme con le relazioni tra gli oggetti e tra i loro attributi" (Hall e Fagen{ XE "Hall e Fagen" } 1956, p.18) c) "porzione del mondo che conserva una qualche sorta di organizzazione di fronte ad influenze che lo disturbano" (Rapoport{ XE "Rapoport" } 1976, p. 234) Volendo tentare una classificazione, potremmo dire che gli snodi cruciali attraverso i quali si sono svolte simili trasformazioni sono sostanzialmente due: a - il passaggio da una concezione di "elemento" o "componente" del sistema, centrata sulle qualità materiali e discrete che contraddistinguono entità fisicamente determinate, ad una concezione continuistica, più legata all'idea di processo e a quella di relazione/interazione; b - lo spostamento dell'osservatore e dell'azione di osservazione dall'esterno all'interno del sistema osservato e da un ruolo passivo (= l'oggetto osservato è dato) a uno di partecipazione attiva nella determinazione di ciò che viene osservato (= l'oggetto osservato viene costruito). A cavallo fra gli anni '60 e '70 iniziano a comparire i primi tentativi di pensare alla teoria dei sistemi in una prospettiva diversa da quella moderna. Così per esempio un biologo, J.A.Miller{ XE "Miller" }, propone una definizione di sistema che, pur non discostandosi completamente dalle precedenti - egli infatti si limita a distinguere tra "sistemi astratti concettuali" e "sistemi concreti empirici" - porta tuttavia con sé l'idea innovativa in base alla quale l'identificazione del sistema e delle sue proprietà ha luogo nella relazione osservatore-osservato: "l'osservatore seleziona da un numero infinito di unità e relazioni un particolare insieme rispetto agli scopi che si propone e alle caratteristiche che gli sono proprie" (Miller{ XE "Miller" } 1971, p.51). Il concetto di "sistema" viene dunque a collocarsi nel terreno d'incontro delle diverse riflessioni legate alla relazione osservatore-osservato. La ricomparsa dell'osservatore attraversa infatti la fisica, con il principio di indeterminazione di Heisenberg e con la teoria della relatività di Einstein, gli sviluppi più recenti della cibernetica di secondo ordine, della biologia e della neurofisiologia, ma anche della filosofia della scienza, in particolare di derivazione kuhniana, e della più recente sociologia della scienza, senza contare l'attenzione dedicata a questo problema dal pensiero sociologico a partire da Weber{ XE "Weber" }. Per il momento, è soprattutto la riflessione epistemologica, legata alle acquisizioni della svolta linguistica, a mettere prepotentemente in campo il ruolo dell'osservatore, inteso come portatore di 9 una struttura logica, di una batteria di pre-giudizi, di un’ineliminabile sovradeterminazione teorica in ogni atto osservativo, di una vera e propria "costruzione della realtà". 6. Complessità Molti sistemi fisici dipendono dalle condizioni iniziali, quali che siano queste condizioni e un piccolo cambiamento nei dati iniziali modifica considerevolmente l’evoluzione successiva del sistema Lorenz Nel 1963, nel suo laboratorio di analisi e simulazione metereologica, Edward Lorenz, riscopre la complessità. Si accorge infatti che il computer, su cui aveva impostato il sistema di equazioni che dovevano simulare l’evoluzione metereologica, generava soluzioni enormemente diverse in dipendenza di piccolissime differenze nei dati iniziali. E’ quello che passerà alla storia con il nome di “effetto farfalla”: il semplice battito d’ali di una farfalla nel mar dei Caraibi, a certe condizioni, può produrre come effetto un uragano sulla costa atlantica degli Stati Uniti. 0.506 invece di 0.506127 -> cambiamento drastico delle traiettorie ottenute. Lorenz, articole del 1972, usò l’ immagine della farfalla per il titolo: “Does the flap of a butterfly’s wing in Brazil set off a tornado in Texas?” “La teoria della complessità studia i sistemi adattativi complessi. Per esempio: come si sviluppa una colonia di batteri in un ambiente? Perché uno stormo di uccelli vola in un certo ordine? Come si scopre qual è la tecnologia 10 vincente tra un insieme di tecnologie concorrenti che si propongono di risolvere lo stesso problema? Come si spiega il funzionamento della borsa? Tutti questi problemi sono accomunati da alcuni elementi: ci sono individui che interagiscono (molecole, batteri, uccelli, macchine); ci sono regole che gli individui seguono; ci sono obiettivi e vincoli contrastanti; ci sono interazioni tra un sistema e l’altro; ci sono percorsi di adattamento ai cambiamenti esterni. In pratica, non si può comprendere il volo di uno stormo di uccelli studiando il comportamento individuale di un uccello: ogni uccello segue regole, interagisce con gli altri uccelli, produce un sistema che si muove in modo ordinato e in questo modo si adatta ai mutamenti esterni. Visto dall’esterno un sistema può avere un comportamento apparentemente casuale, ma comprendendone le regole di fondo e definendole in termini matematici quel comportamento diventa relativamente prevedibile. E quindi migliorabile". Stuart Kauffman. Si tratta di una riscoperta, infatti, perché già Henry Poincaré, nel 1889, aveva dimostrato che anche le solide leggi della dinamica di Newton, applicate ad un sistema di tre corpi celesti che interagiscono tra loro, rendono impossibile fare previsioni esatte sul loro comportamento. Si stava incrinando una credenza fondamentale della scienza moderna: la possibilità di raggiungere una sempre più precisa conoscenza degli effetti, data una sempre più precisa conoscenza delle cause. Ebbene, è proprio questa credenza a venir messa in discussione dalla scoperta della complessità. Oggigiorno l’analisi dei sistemi complessi riveste ambiti diversissimi. Dalla biologia all’ecologia, dall’analisi economica alla previsione dei flussi finanziari, dallo studio dei sistemi sociali all’analisi dei processi di adattamento delle specie viventi, la complessità è qualcosa di più e di diverso dalla semplice constatazione che le variabili analizzate sono molte. In questi casi i processi studiati presentano un’enorme quantità di variabili interagenti, e la modifica anche di una solo di esse può produrre effetti molto diversi. Ma allora, si potrebbe obiettare, la complessità non è niente di diverso dalla misura della nostra ignoranza quando si analizzano realtà complicate. Le cose, in realtà, non stanno così. Non si tratta solo di abbandonare l’approccio cartesiano, cioè la tendenza ad isolare il problema, segmentarlo in parti più piccole e ridurlo così alle sue componenti semplici. Né si tratta di abituarsi a previsioni probabili anziché determinate. In gioco c’è dell'altro: un diverso modo di pensare, che prevede almeno tre passaggi determinanti. Le caratteristiche di un sistema complesso 1. Anzitutto occorre tener presente che si è di fronte a sistemi, cioè a relazioni tra elementi. In un sistema lo stato di un elemento determina ed è determinato dallo stato di tutti gli altri elementi: non serve a molto conoscere il componente senza conoscere la storia delle sue relazioni passate e possibili. Il tutto, in un sistema, non si riduce mai alla somma delle parti. 2. La seconda condizione di un sistema quando è complesso è il non equilibrio: lo stato ordinario del sistema può cambiare anche in seguito ad una piccola perturbazione. La complessità è caratteristica dei sistemi dinamici, che variano continuamente anche se appaiono integri, come avviene al nostro organismo o allo stato dei nostri investimenti in Borsa. 3. Vi è la non linearità, che richiede il ricorso a matematiche diverse da quelle tradizionali, come ad esempio la teoria delle catastrofi, che studia l’evoluzione dei sistemi in presenza di momenti critici. 4. infine va considerato il concetto di retroazione e di equilibrio. Ogni sistema viene perturbato o modifica se stesso, tuttavia tende per successive variazioni a raggiungere uno stadio di equilibrio a 11 basso potenziale energetico. Spesso tale stato è raggiunto attraverso una retroazione oppure con interventi consapevoli del sistema stesso. La distinzione non è rilevante: tale stato di equilibrio è raggiunto per vie diverse e costituisce l’identità del sistema, fino a quando esso resta tale. E’ la sua omeostasi. 7. Omeostasi e teoleonomia L'omeostasi è la condizione di stabilità interna degli organismi che deve mantenersi anche al variare delle condizioni esterne attraverso meccanismi autoregolatori. Indica anche la tendenza all'equilibrio delle popolazioni animali e vegetali, come risultato di meccanismi dipendenti dalla densità e operanti sul tasso di natalità, sopravvivenza e morte (stabilità). Per estensione il termine indica anche la capacità di alcuni sistemi elettromeccanici o informatici di mantenere una condizione di equilibrio autoregolandosi. Esempi Se nel sangue aumenta il contenuto di glucosio aumenta la produzione dell'ormone insulina, che permette l'utilizzo del glucosio e quindi fa diminuire il contenuto di glucosio. Ci; avviene tramite opportuni sensori. In geologia: l'aumento di CO2 nell'atmosfera provoca un aumento di temperatura per effetto serra, ma un aumento di temperatura provoca una diminuzione del contenuto di CO2. Viceversa, quando la temperatura diminuisce, aumenta la CO2 e in questo modo il sistema Terra si autoregola. I meccanismi a retroazione negativa prevalgono nei sistemi stabili. Esistono meccanismi a retroazione positiva. In geografia si può citare il processo ben noto ai glaciologi del Quaternario, per cui un aumento temporaneo di temperatura nel corso di una fase glaciale, che causi una diminuzione della superficie terrestre ricoperta dai ghiacci, fa diminuire l’albedo planetaria, cioè la percentuale di energia solare riflessa direttamente nello spazio. Ciò causa un ulteriore aumento di temperatura, dove più cause concorrono allo stesso effetto, rafforzandolo, o una causa produce più effetti. Esse fanno sì che, in natura, 1 + 1 non dia sempre 2, ma a volte più di 2, perché certi processi, quando interagiscono, fanno sì che acceleri lo scioglimento dei ghiacci, e il processo si autoeccita sempre più finché non rimangono quasi più ghiacci da sciogliere. I meccanismi a retroazione positiva prevalgono nei sistemi instabili. Il feedback può essere negativo quando la risposta dell'organismo ad uno stimolo che destabilizza il sistema tende a ripristinarlo. Quindi la risposta dell'organismo è di segno contrario allo stimolo destabilizzante (esempio: un abbassamento della temperatura provocherà una reazione tendente a 12 innalzare la temperatura stessa). Il feedback invece è positivo, quando l'organismo risponde rinforzando l'azione dello stimolo iniziale invece di diminuirlo o rimuoverlo. Ciò destabilizza il sistema sino a quando un evento esterno al circuito a feedback arresta la risposta dell'organismo. Funzione e teleonomia «“Perché i rami degli alberi si orientano verso la luce?”. Prima risposta: per il fenomeno del geotropismo negativo; seconda risposta: per meglio captare la luce necessaria per la loro attività metabolica; terza risposta: in quanto, sotto l’effetto della gravità, le ‘auxine’ (sostanze che stimolano la crescita dei tessuti) a causa del loro peso si spostano in basso, promuovendo quindi in maniera più attiva l’accrescimento degli strati inferiori dei singoli rami (con la conseguenza di incurvarli verso l’alto). Tre spiegazioni diverse. Ma, soprattutto, tre modi diversi di spiegare. La prima risposta non spiega il fenomeno: si limita a battezzarlo […]. La seconda risposta ‘interpreta’ il fenomeno mettendolo in relazione con un supposto ‘scopo’. La terza, invece, lo ‘interpreta’ in termini causali. Solo quest’ultima è esauriente. Anzi, solo essa è una vera ‘spiegazione scientifica’» (Poli, Homo sapiens, Milano 1972, p. 111). La spiegazione funzionale viene spesso associata alla nozione di “scopo”, e da qui deriva l’equivalente dizione di spiegazione “teleologica”, assieme alle non piccole difficoltà che il termine “scopo” suscita nello scienziato moderno. «Da parte di un fisico moderno sarebbe certamente una stranezza dichiarare, per esempio, che gli atomi hanno involucri esterni di elettroni allo scopo di rendere possibile la propria unione chimica con altri atomi. Nell’antica scienza aristotelica le categorie di spiegazione suggerite dallo studio degli esseri viventi e delle loro attività (e in particolare dalla tecnica umana) venivano assunte come regola per ogni indagine. Dal momento che tanto i fenomeni viventi quanto quelli non viventi furono così analizzati in termini teleologici - analisi che pose al centro la nozione di causa finale - la scienza greca non realizzò una fondamentale frattura fra la biologia e le altre scienze della natura. La scienza moderna, invece, considera le cause finali come delle vestali vergini e infeconde nello studio dei fenomeni fisici e chimici; e, poiché le spiegazioni teleologiche sono associate alla dottrina che gli scopi e i fini dell’attività sarebbero agenti dinamici delle realizzazioni proprie, la scienza moderna tende a considerare tali spiegazioni come dettate da una sorta di atteggiamento oscurantistico. La presenza delle spiegazioni teleologiche nella biologia e la loro evidente assenza dalle scienze fisiche comporta però davvero l’assoluta autonomia della prima? » (Nagel, 1961, pp 411-412) La risposta che Nagel fornisce alla domanda è negativa, ma per farlo egli deve elaborare una teoria della spiegazione scientifica sufficientemente potente per riconoscere che un sapere come quello biologico, pur indagando delle funzioni, non individua delle aristoteliche cause finali.1 Infatti, se il finalismo è assente nell’indagine scientifica contemporanea, non è affatto scomparsa la ragione che lo richiedeva, e non solo in biologia: cioè una spiegazione dei processi in vista dell’obiettivo che essi si prefiggono, intenzionalmente o meno. La spiegazione funzionale affronta proprio questo aspetto, consapevole che un salutare riduzionismo ha trasformato spiegazioni finalistiche in spiegazioni fisicalistiche,2 senza per questo negare il ruolo, anche esplicativo, delle diverse funzioni svolte dai viventi o da parti di essi. Non si tratta quindi di illustrare un processo individuandone scopi intenzionali o meno, e nel far questo introdurre una distinzione assolutamente ingovernabile senza una teoria accettabile 1 Sul tema della causa finale cfr. cap. 10, § 2.1. 2 Sul passaggio nelle scienze del vivente dal finalismo al fisicalismo, cfr. in particolare il cap. V e i numerosi esempi di rilettura proposti. 13 dell’intenzionalità nel vivente, teoria di cui oggi non disponiamo. Una spiegazione funzionale mira invece a portare alla luce le condizioni necessarie e sufficienti perché un determinato processo si attui, sia esso un processo umano, sociale, biologico, artificiale. Seguendo Nagel, prendiamo, ad esempio, la funzione svolta dalla clorofilla nelle vita delle piante. «”La funzione della clorofilla nelle piante è quella di permettere ad esse di realizzare la fotosintesi (cioè di formare amido da anidride carbonica e da acqua in presenza della luce solare)”. Questo enunciato rende ragione della presenza della clorofilla (una certa sostanza A) nelle piante (in ogni elemento S di una classe di sistemi, ciascuno dei quali ha una certa organizzazione C di parti componenti e di processi). Ciò viene fatto dichiarando che, quando si forniscono a una pianta acqua, anidride carbonica e luce solare (quando S è situata in un certo ambiente E "interno" e "esterno") essa produce amido (vi si compie un certo processo P che fornisce un determinato prodotto o risultato) solo se la pianta contiene clorofilla. L’enunciato solitamente porta con sé l’implicita assunzione supplementare che senza amido la pianta non può proseguire le sue attività caratteristiche, quali la crescita e la riproduzione (non può conservarsi in un certo stato G); per il momento però ignoreremo questa ulteriore assunzione. Per conseguenza l’enunciato teleologico è un ragionamento in forma abbreviata così che quando se ne espliciti il contenuto, esso può venir reso approssimativamente nel modo seguente: se sono fornite di acqua, di anidride carbonica e di luce solare, le piante producono amido; se non hanno clorofilla, le piante anche se in possesso di acqua, di anidride carbonica e di luce solare, non producono amido; quindi le piante contengono clorofilla. Più in generale un enunciato teleologico della forma “la funzione di A in un sistema S con organizzazione C è quella di rendere possibile a S, in un ambiente E, di impegnarsi in un processo P” può essere formulato più esplicitamente così: Ogni sistema S con organizzazione C in un ambiente E si impegna in un processo P; se S con organizzazione C e in un ambiente E non dispone di A allora S non si impegna in P, quindi S con organizzazione C deve disporre di A» (Ivi, p.413, corsivo nostro). La struttura di una spiegazione funzionale richiede il riferimento a concetti che finora non abbiamo dovuto utilizzare. Anzitutto la nozione di sistema S, intendendo con ciò un insieme di elementi in relazione, tali che la modificazione di uno di essi (elementi o relazioni) può produrre la modificazione di tutto il sistema. Quindi la nozione di organizzazione C, cioè la disposizione effettiva, con vincoli e gradi di libertà, delle relazioni e degli elementi che costituiscono il sistema: nel nostro caso gli elementi (tra cui inseriamo la clorofilla A) e i legami chimici che costituiscono la pianta, nonché le reazioni ammesse dalla chimica e dalla fisica del sistema (ad esempio, la fotosintesi) sia internamente che in interazione con l’ambiente. Occorre quindi determinare un ambiente E, più propriamente una distinzione riconoscibile tra il sistema e l’ambiente in cui è inserito; solo così è possibile distinguere le perturbazioni a cui è sottoposto il sistema e le trasformazioni che i suoi output producono sull’ambiente. Determinare questa distinzione, tuttavia, implica il ricorso ad almeno un processo P specifico di S: l’azione del sistema, nel nostro caso il processo di fotosintesi, è necessaria per caratterizzare il suo stato di equilibrio o disequilibrio rispetto all’ambiente. Da più parti si è sostenuto che la retroattività è addirittura una caratteristica non solo necessaria ma anche sufficiente per determinare un vivente. Ad esempio, N. Wiener sostiene che «Un vasto insieme di casi in cui qualche tipo di feedback non solo è individuabile nei fenomeni fisiologici ma è assolutamente essenziale alla continuazione della vita rientra in ciò che è noto come omeostasi. Le condizioni in cui la vita, specialmente la vita sana, può continuare sono per gli animali superiori molto limitate. Una variazione di mezzo grado centigrado della temperatura corporea è generalmente sintomo di malattia, e una variazione di cinque gradi è difficilmente compatibile con 14 la vita. La pressione osmotica del sangue e la sua concentrazione di idrogenioni devono essere mantenute entro limiti ristretti. I prodotti di rifiuto del corpo devono essere eliminati prima che raggiungano concentrazioni tossiche. Inoltre, i leucociti e le difese chimiche contro le infezioni devono essere mantenuti a livelli adeguati; il tono cardiaco e la pressione sanguigna non devono essere né troppo alti né troppo bassi; il ciclo sessuale dev’essere conforme alle necessità di riproduzione della razza; il metabolismo del calcio dev’essere tale da non indebolire le ossa e da non calcificare i tessuti; e così via. In breve, la nostra economia interna deve disporre di un complesso tale di termostati, controlli automatici della concentrazione di idrogenioni, regolatori, e simili, che sarebbero sufficienti a un grande impianto chimico. Essi costituiscono ciò che chiamiamo il nostro meccanismo omeostatico» (Wiener, Cibernetica, 1948, p. 156). Sulla generalizzazione del concetto di auto-organizzazione come evoluzione generale di quello di retroazione cfr. Dumouchel e Dupuy, 1983. Come si vede si tratta di elementi tipici di un appoccio sistemico, che qui non possiamo analizzare nel dettaglio né integrare, ma che vanno evidenziati per cogliere lo specifico di un tipo di spiegazione che, sotto l’apparente e quasi dimesso obiettivo di illustrare una funzione, in realtà porta nella letteratura sulla spiegazione scientifica una consistente innovazione concettuale. Segnaliamo tre aspetti. a) Anzitutto ogni elemento del sistema può essere considerato a sua volta un sistema, di livello inferiore, e ogni sistema può essere considerato elemento di un sistema di livello superiore. Una buona indicizzazione potrebbe bastare a governare tali ricorsioni, senza però eliminare almeno un problema: la dimensione epistemica della scelta del livello di osservazione scelto. Un sistema è sempre frutto di una scelta operata dall’osservatore, che ritaglia in un ambiente processi specifici, cioè un sistema con la sua organizzazione e le sue possibili dinamiche, e nel far ciò riduce a rumore di sfondo ogni altra relazione che pure interviene nella interazione tra sistemi. Potremmo dire che ogni disciplina scientifica si è dotata di strumenti, concettuali e tecnici, per fissare il livello di osservazione con cui stabilisce la significatività dei sistemi che osserva, ma ciò non esclude la necessità di riconsiderare tali livelli ogni volta che si è in presenza di difficoltà esplicative. b) Il problema della ricorsione appare anche internamente al sistema, in particolare nello sviluppo di meccanismi retroattivi che caratterizzano gran parte delle relazioni sistemiche. Le relazioni sistemiche sono spesso interattive, il che, data la natura interconnessa del complesso sistemico, comporta una sua alta variabilità: modificare una relazione anche in misura ridotta può comportare un’alterazione significativa, o addirittura fatale, per il sistema nel suo complesso, così come una variazione rilevante può essere assorbita dal sistema attraverso una sua riorganizzazione funzionale. Da qui l’impossibilità di un’analisi statica del sistema, ma il necessario ricorso a una revisione costante delle relazioni indicate, posto che averle individuate e descritte una volta non garantisce sulla possibilità di conoscerne lo stato presente. Potremmo dire che la spiegazione funzionale richiede un’esplicazione molto più accurata, continua e specifica di quanto non sia normalmente richiesto per spiegazioni di altro tipo. c) Un terzo ed essenziale aspetto della spiegazione funzionale è che essa non mira alla individuazione di cause, ma cerca di stabilire le condizioni di equilibrio. Non importa conoscere per quali vie una determinata funzione venga garantita: ciò che conta è conoscere le condizioni e i processi adattativi grazie ai quali il sistema mantiene attivo un suo processo, o come dice Nagel «si impegna in P». La spiegazione funzionale non preclude, ovviamente, la ricerca delle cause specifiche di determinati comportamenti del sistema. Tuttavia il numero dei fattori coinvolti, la variabilità e l’interazione delle relazioni e quindi degli elementi impegnati nel processo, l’impossibilità di un’osservazione dettagliata che non comprometta l’integrità del sistema, in modo particolare quando si tratta di un vivente, sono i principali limiti posti a una spiegazione in termini 15 puramente causali, e di conseguenza le ragioni prevalenti per una spiegazione funzionale. E’ importante, quando è possibile, conoscere le condizioni e quindi le cause interne in forza delle quali il sistema mantiene attivo un determinato processo, ma ciò che conta di più, e che spesso è la sola conoscenza ottenibile, è individuare le condizioni di equilibrio entro cui può variare il sistema mantenendo attivo quel processo. Prendiamo un caso di ricorsione semplice da capire. A determina B e ne cambia lo stato e B determina A e ne cambia lo stato. Un esempio classico è il sistema di riscaldamento di una stanza. In essa vi è un termosifone collegato a una caldaia remota, controllata da un termostato presente nella stanza. Lo stato del termostato (A) determina l’accensione o lo spegnimento della caldaia (B), che, attraverso il termosifone, modifica la temperatura media della stanza. Lo stato della caldaia (B), tuttavia, determina lo stato del termostato (A), poiché è il calore della stanza, effetto diretto dell’azione del bruciatore, a determinare lo stato del termostato. A determina B e B determina A: il problema è che il sistema così descritto riesca a svolgere la sua funzione, che è quella di autoregolare la temperatura della stanza, fissata a n gradi. E’ l’equilibrio di questa temperatura il vero risultato dell’azione del sistema. Entrambi gli elementi, A e B, sono reciprocamente causa ed effetto, ciò che conta non è l’individuazione della causa, quanto l’equilibrio della relazione. Finchè i due elementi retroagiscono mantenendo la relazione in equilibrio, questo sistema si mantiene dinamicamente stabile. In questa prospettiva il problema della causazione diventa secondario, e con esso perde importanza la questione della antecedenza temporale. Poiché è sistemico l’approccio alla spiegazione funzionale (teleologica), ci sembra possibile sostenere che l’insieme di problemi nati dal rapporto tra causalità e spiegazione funzionale, lungi dal rappresentare una difficoltà per questo tipo di spiegazione, ne illumina piuttosto una caratteristica, la natura sistemica, appunto. Ciò vuol dire mettere mano a una concezione diversa di causalità, dove non sempre è possibile individuare le antecedenze, anche se deve sempre essere possibile individuare le condizioni di equilibrio. 16 8. Circolarità Dalla deduzione alla circolarità Sequenze circolari di relazioni non sono un limite logico, ma un carattere costitutivo. a) dei fondamenti del nostro modo di pensare. b) della inesplicabilità totale dei nostri presupposti. c) della interazione tra elementi e relazioni in un sistema. d) della condizione di equilibrio che si ricerca, dato un sistema e una sua funzione. 9. Emergentismo Un comportamento emergente o proprietà emergente può comparire quando un numero di entità semplici (agenti) operano in un ambiente, dando origine a comportamenti più complessi in quanto collettività. La proprietà stessa non è predicibile e non ha precedenti, e rappresenta un nuovo livello di evoluzione del sistema. I comportamenti complessi non sono proprietà delle singole entità e non possono essere facilmente riconosciuti o dedotti dal comportamento di entità del livello più basso. Il punto di partenza nella letteratura sull'emergentismo è Charlie Dunbar Broad, The Mind and Its Place in Nature del 1925. Esempi di emergenza Colore. Le particelle elementari come protoni o elettroni non hanno colore. Solo quando sono disposti in atomi assorbono o emettono specifiche lunghezze d'onda così da poter definire il colore della materia. (I quark hanno una caratteristica denominata carica di colore, termine solo figurativo che non ha a che vedere con il concetto abituale di colore). Attrito. Le particelle elementari non hanno attrito, o meglio le forze che agiscono tra loro sono conservative. L'attrito emerge quando si considerano strutture più complesse di materia, le cui superfici possono assorbire energia se sfregate tra loro. Considerazioni simili si possono applicare ad altri concetti come la viscosità, l'elasticità, la resistenza alla trazione. Una delle ragioni per cui si verifica un comportamento emergente è che il numero di interazioni tra le componenti di un sistema aumenta combinatoriamente con il numero delle componenti, consentendo il potenziale emergere di nuovi e più impercettibili tipi di comportamento. Un esempio biologico è una colonia di formiche. La regina non dà ordini, né dice alle formiche cosa fare. Ogni singola formica reagisce a stimoli, in forma di odori chimici provenienti dalle larve, dalle altre formiche, da intrusi, cibo e immondizia, e si lascia dietro una traccia chimica che, a sua volta, servirà da stimolo alle altre. Ogni formica è un'unità autonoma che reagisce solamente in 17 relazione all'ambiente e alle regole genetiche della sua specie. Nonostante la mancanza di un ordine centralizzato, le colonie di formiche esibiscono un comportamento complesso ed hanno dimostrato la capacità di affrontare problemi geometrici. Ad esempio, localizzano un punto alla distanza massima da tutte le entrate della colonia per disporvi i corpi morti. La vita è senza dubbio un pozzo inesauribile di esempi da cui l'emergentismo attinge. Il caso più semplice di emergenza è rappresentato dalla relazione tra un organismo vivente e le molecole di cui è composto a un dato momento. Se prendessimo tutte queste molecole, che sono tutto ciò che costituisce quell'organismo, e ne cambiassimo drasticamente l'organizzazione esse non costituirebbero più un organismo. Dunque, l'essere vivente emerge dalle molecole. La mente costituisce un'altra fonte di esempi di emergenza. La nostra vita mentale si compone di un flusso coerente di credenze, desideri, ricordi, paure, speranze ecc., i quali presumibilmente emergono in qualche modo dal coacervo di attività elettriche e biochimiche in cui sono coinvolti i nostri neuroni e il nostro sistema nervoso. L'emergenza sembra caratterizzare anche il comportamento collettivo delle persone. L'origine e la diffusione di una moda giovanile, come l'improvvisa popolarità di un taglio di capelli, può essere rappresentata in un modo molto simile a quello in cui si rappresentano le transizioni di stato fisico, già menzionate come bona fide emergenti. Transizioni che pure ritroviamo negli ingorghi di traffico, i quali emergono dal moto di singole automobili quando la densità degli autoveicoli sulla strada oltrepassa una certa soglia. Esiste anche una visione secondo cui l'inizio e lo sviluppo dell'evoluzione stessa possono essere considerati una proprietà emergente delle leggi fisiche del nostro universo. Tutti questi esempi indicano come l'emergenza abbia a che fare con fenomeni che sorgono, e dunque dipendono, da fenomeni di ordine più basilare, da cui però sembrano in parte smarcarsi mostrando una certa autonomia. D'altro canto, non è di per sé sufficiente un gran numero di interazioni per determinare un comportamento emergente, perché molte interazioni potrebbero essere irrilevanti, oppure annullarsi a vicenda. Si nota quindi che non è solo il numero di connessioni tra le componenti a incoraggiare l'emergenza, ma anche l'organizzazione di queste connessioni. Il sistema deve raggiungere una certa soglia di combinazione di diversità, organizzazione e connettività prima che si presenti il comportamento emergente. 18 Pensare per strutture emergenti William Dembski, uno dei principali proponenti del disegno intelligente, ha detto che l'affermazione principale del disegno intelligente è che «esistono sistemi naturali che non possono essere spiegati adeguatamente in termini di forze naturali non governate e che mostrano caratteristiche che in qualunque altra circostanza sarebbero attribuite all'intelligenza» (The Design Revolution, p. 27.) La complessità del "disegno" della natura indica l'esistenza di un progettista/creatore sovrannaturale; questo è noto come l'argomento teologico dell'esistenza di Dio. Le forme più importanti di questa argomentazione furono espresse da Tommaso d'Aquino (V via) e William Paley nel suo libro Natural Theology (XIX secolo) dove compare la sua analogia dell'orologiaio. La struttura argomentativa usata ricorre ad un argomento causale detto “della priorità della causa sull’effetto” Con quest’argomento si sostiene che la causa ha priorità sull’effetto, non tanto nel senso che la precede, ma nel senso che vale di più. Per esempio, come afferma Cartesio: «Ciò che è più perfetto, cioè ciò che contiene in sé più realtà, non proviene da ciò che è meno perfetto» (Meditazioni metafisiche, III, 3). Si basa su quest’argomento una delle dimostrazioni cartesiane dell’esistenza in noi di un’idea innata di Dio. “Se possiedo l’idea di Dio come ente perfetto, o me la sono data da me, oppure viene da altro. Ma io sono imperfetto e poiché è impossibile che l’imperfetto generi il perfetto, questa idea viene da fuori di me.” È un argomento molto utilizzato, dall’antichità a oggi, per giustificare un ordinamento delle cause. Tuttavia lo sviluppo delle ricerche di tipo biologico, sociale, politico e in generale un approccio sistemico hanno profondamente cambiatole condizioni di validità di questo argomento. La sua struttura verticale (alto/basso), è stata messa in discussione e “orizzontalizzata”. E’ nato, a partire dall’’800, un nuovo schema argomentativo, che si può definire della proprietà emergente. Questo argomento, tipicamente novecentesco, rappresenta l’esatto opposto dell’argomento della priorità della causa sull’effetto. Là, con uno schema antico quanto moderno, si affermava che l’effetto non può avere più essere della sua causa; qui si afferma il contrario. E’ possibile che da un insieme di cause emerga un effetto che le supera, poiché viene determinato dalle condizioni del sistema a cui si sta facendo riferimento. 10. Leggi di natura In ambito biologico il problema delle leggi di natura si pone sotto un aspetto nuovo. Mitchell (Pragmatic Laws, in “Philosophy of Science”, 1997, 64, pp. S468-S479) considera tutte le generalizzazioni che possiamo incontrare, a partire da affermazioni come "E = mc2", "Tutte le sfere di uranio arricchito hanno diametro minore di 100 metri", fino a "Le monete nella tasca di Nelson Goodman sono tutte di rame" e la Legge" di Mendel. Invece di decidere una per una della loro nomologicità, le valuta in base a diversi parametri ponendoli in scala. I parametri da lei scelti, sebbene a suo stesso avviso non esaustivi, sono: a) stabilità: ogni legge richiede che alcune condizioni iniziali vengano soddisfatte. In base a quanto spesso ciò avvenga nell'universo si ha una idea di quanto una generalizzazione sia stabile. Per esempio, le leggi fisiche sui rapporti tra massa ed energia trovano applicazione ovunque nell'universo, mentre le leggi di Mendel si situano più in basso nella scala di stabilità poiché riguardano un campo ontologico più ristretto; 19 b) forza: la connessione realizzata da una generalizzazione tra un insieme di eventi e un altro può essere più o meno rigida a seconda che il legame sia di tipo strettamente deterministico, come è il caso di alcune leggi fisiche, o che sia probabilistico, come è il caso di tutte le generalizzazioni biologiche; d) astrazione: le generalizzazioni trascurano aspetti della realtà che non vengono ritenuti rilevanti. Per esempio, esistono numerosi isotopi di ciascuno degli atomi che formano la molecola di emoglobina, ciò comporta che è estremamente improbabile che nel corpo umano ci siano due molecole di emoglobina atomicamente identiche, ma questo è del tutto irrilevante per le generalizzazioni che riguardano le funzioni fisiologiche di questa molecola. Con un diagramma è possibile cogliere in un unico sguardo la collocazione delle diverse generalizzazioní rispetto ai parametri indicati (Netchell, 2000, p. 263 con modifiche). Così facendo, implicitamente, Mitchell si schiera tra coloro che ritengono che la biologia possegga delle leggi, seppur "epistemologicamente inferiori” rispetto a quelle della fisica ma "superiori", sulla base dei parametri adottati,a generalizzazioni banali del parlare quotidiano del tipo 'Le monete nella tasca di Nelson Goodman sono tutte di rame" 11. Le ragioni del successo del paradigma biologico darwiniano Le ragioni metafisiche ed epistemologiche del paradigma darwiniano “Per quanto la superiorità delle teorie evoluzionistiche di ispirazione darwiniana trovi ampio consenso nella comunità scientifica, spesso si mettono in secondo piano le ragioni per le quali l'evoluzionismo darwiniano è diventato il paradigma scientifico vincente. Un'analisi della giustificazione di questa superiorità costituisce quindi un contributo più propriamente filosofico all'argomento. Possiamo classificare nel modo seguente le ragioni della superiorità della teoria darwiniana dell'evoluzione: 20 1. ragioni metafisiche La teoria darwiniana dell'evoluzione scardina una serie di postulati metafisici. 1) Contro il finalismo: l'evoluzione del mondo vivente è ateleologica, ossia non è orientata verso un fine, il cambiamento delle popolazioni è un prodotto di meccanismi naturali, in particolare della selezione naturale, che producono l'adattamento degli esseri viventi alle mutevoli condizioni ambientali. Tali meccanismi non comportano però necessariamente un adattamento "perfetto". Molte volte le specie non sopravvivono al mutamento ambientale e si estinguono. 2) Contro l'essenzialismo: le specie non rappresentano dei tipi fissi. La variabilità degli individui di una stessa specie non indica deviazioni da un tipo ideale che costituisce l'essenza di quella specie. Per Darwin, il concetto di 'tipo' rappresenta solo una astrazione, ciò che realmente conta è la variabilità (Mayr, 1959). 3) Contro l'antropocentrismo: l'uomo non occupa una posizione privilegiata nella natura, ma è a sua volta uno dei prodotti del cambiamento evolutivo. La storia biologica di Homo sapiens non rappresenta che un piccolo segmento dell'albero della vita (Eldregde e Tattersal, 1984). 4) Contro il creazionismo e la teoria del disegno intelligente: l'adattamento degli organismi non è il risultato del progetto di un creatore ma si produce dal graduale accumulo di modificazioni positivamente selezionate nel corso delle generazioni. Il disegno intelligente, inoltre, non può spiegare le imperfezioni e i piccoli difetti nell'adattamento che invece la teoria darwiniana riconduce all'azione di bricoleur della selezione naturale, che interviene non creando ex novo, ma modificando adattativamente entità biologiche già strutturate dalla loro precedente storia filogenetica (Jacob, 1977; Sober, 2002). 2. ragioni epistemologiche La teoria darwiniana nelle sue più recenti e raffinate versioni presenta aspetti epistemologicamente molto forti. 1) L'interconnessione teorica: la teoria dell'evoluzione nata con Darwin ha fin dall'inizio influenzato e raccolto sostegni da numerosissime discipline che sono andate moltiplicandosi con il tempo, dall'anatomia comparata all'embriologia, dalla biologia molecolare alla biogeografia, dall'etologia alla paleontologia. 2) La corroborazione empirica e la mancanza di confutazioni: la teoria darwiniana è corroborata da milioni e milioni di fatti empirici e non sembra essercene di confutanti. 3) La capacità di predizione: esistono numerosi modelli di selezione naturale elaborati in biologia oluzionistica in grado di predire che cosa avvenga in una popolazione, per lo meno nel breve periodo, nell caso in cui si producano certe condizioni iniziali. Naturalmente la predizione è possibile solo quando si conoscano con un certo dettaglio i parametri ambientali e la storia di una popolazione. Quando questi sono noti, le previsioni nel breve periodo sono straordinariamente esatte. Vi sono esempi clamorosi di ciò nel lavoro dei Grant sui "fringuelli di Darwin" alle Galapagos (Grant e Grant, 2002). Ma la predittività caratterizza pure i modelli di evoluzione delle cosiddette strategie evolutivamente stabili (Maynard Smith, 1982) e i modelli che riguardano il rapporto numerico tra i sessi nelle popolazioni a riproduzione sessuale (Fisher, 1930). 4) La rivalutazione positiva della variabilità e della probabilità: la conseguenza epistemologica dell'eliminazione dell'essenzialismo è un rinnovato interesse per la variabilità biologica e la sua descrizione statistica. La distribuzione gaussiana non è qui vista come una "legge degli errori" che mostra le deviazioni individuali rispetto a un tipo ideale. La variazione in una popolazione rappresenta una risorsa evolutiva e non è un explanandum che richiede una spiegazione in termini di cause provocanti uno scostamento dalla media normale, ma è un explanans dei fenomeni di adattamento che si producono per il processo di selezione naturale, che mantiene e rinforza quella parte di variabilità che ben si adatta alle condizioni ambientali e al loro mutamento e rigetta quella che ne risulta sfavorita (Sober, 1980). Nella prospettiva della biologia evoluzionistica dello 21 sviluppo, peraltro, sarà proprio la variazione disponibile all'interno di una popolazione ad assumere A ruolo di explanandum e a ciò contribuiranno insieme una conoscenza della variazione genica e genotipica e la conoscenza dei meccanismi di sviluppo.” Boniolo G., Giamo S., (a cura di), Filosofia e scienze della vita. Un’analisi dei fondamenti della biologia e della biomedicina, Bruno Mondadori, Milano 2008, pp. 43-44. 12. Sintesi del paradigma biologico scienza ontologia epistemologia principio procedura organizzazione tempo spazio proiezione argomentazioni dominanti PARADIGMA SCIENTIFICO MODERNO matematica, fisica elemento semplice distinzione soggetto-oggetto distinzione teoria-osservatore il tutto equivale alla somma delle parti scomposizione riduzionismo l’ordine deriva da leggi gerarchia, pianificazione, eterodeterminazione riduzione agli elementi materiali soggiacenti, riduzionismo riduzione alle componenti matematizzabili reversibilità, invarianza temporale dei processi sequenza, algoritmo prevedibilità pianificazione piccole variazioni -> piccoli spostamenti priorità della causa sull’effetto argomento di causa 22 PARADIGMA BIOLOGICO EMERGENTE biologia, ecologia sistema descrizione sensibile al contesto integrazione nel sistema di osservatore - osservato il tutto è più della somma delle parti integrazione emergentismo ordine deriva da margini del caos auto-organizzazione, auto-poiesi olismo, sistemica individuazione dell’organizzazione funzionale irreversibilità dei processi rete indeterminazione ordine dal caos sensibilità alle condizioni iniziali: piccole variazioni ->grandi spostamenti proprietà emergente argomento ad consequentiam