La svolta epistemologica di fronte alla crisi ambientale

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La svolta epistemologica di fronte alla crisi ambientale
2° INCONTRO: giovedì 26 febbraio
Prof. P. VIDALI
1. Il complesso rapporto tra scienza e realtà ................................................................................2
2. L’interazione epistemologica tra osservatore e osservato........................................................4
3. L’irruzione del tempo...............................................................................................................7
4. La teoria darwiniana.................................................................................................................7
5. Sistema .....................................................................................................................................8
6. Complessità............................................................................................................................10
7. Omeostasi e teoleonomia .......................................................................................................12
8. Circolarità...............................................................................................................................17
9. Emergentismo ........................................................................................................................17
10. Leggi di natura ...................................................................................................................19
11. Le ragioni del successo del paradigma biologico darwiniano ...........................................20
12. Sintesi del paradigma biologico .........................................................................................22
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1.
Il complesso rapporto tra scienza e realtà
La scienza: emergenze nella ricerca scientifica novecentesca
la riflessione epistemologica sul concetto di scienza e sulle sue condizioni
l'analisi dell'impatto del linguaggio nella costruzione del sapere scientifico
la pluralità di approcci nella descrizione e nella spiegazione dei fenomeni osservati
L'interazione tra teoria e osservazione, tra scienza e natura
Scienza modello dalla fisica alla biologia
Sistemi complessi (ecosistema) come terreno di integrazione di competenze diverse
Einstein e il valore costruttivo dei concetti scientifici
“La fisica ebbe realmente principio con le invenzioni di massa, di forza e di sistema inerziale. Tali
concetti sono tutte libere invenzioni. Essi condussero alla formulazione del punto di vista
meccanicistico. Per il fisico dell’inizio del diciannovesimo secolo, la realtà del nostro mondo
esteriore consisteva in particelle ed in forze semplici, agenti sulle stesse e dipendenti soltanto dalla
distanza. Egli cercò di conservare, quanto più a lungo possibile, la persuasione che riuscirebbe a
spiegare tutti gli eventi della natura mediante questi fondamentali concetti della realtà. Ma prima le
difficoltà inerenti alla deviazione dell’ago magnetico, poi quelle connesse alla struttura dell’etere ed
altre ancora, condussero alla creazione di una realtà più sottile, con l’importante invenzione del
campo elettromagnetico. Occorreva una coraggiosa immaginazione scientifica per riconoscere
appieno che l’essenziale per l’ordinamento e la comprensione degli eventi può essere non già il
comportamento dei corpi, bensì il comportamento di qualcosa interposto fra di essi, vale a dire il
campo.
Sviluppi posteriori demolirono i vecchi concetti, creandone dei nuovi. Il tempo assoluto ed il
sistema di coordinate inerziali vennero soppiantati dalla teoria della relatività. Lo sfondo di tutti gli
eventi non fu più costituito da due continui, quello unidimensionale del tempo e quello
tridimensionale dello spazio, bensì dal continuo spazio-temporale a quattro dimensioni (altra libera
invenzione) con nuove proprietà di trasformazione. Il sistema di coordinate inerziale divenne
superfluo. Si riconobbe che qualsiasi sistema di coordinate è egualmente appropriato per la
descrizione degli eventi naturali. [...]
La realtà creata dalla fisica moderna è invero assai lontana dalla realtà dei primi giorni. Ma gli
scopi di ogni teoria fisica rimangono sempre gli stessi.
Con l’aiuto delle teorie fisiche cerchiamo di aprirci un varco attraverso il groviglio dei fatti
osservati, di ordinare e d’intendere il mondo delle nostre impressioni sensibili. Aneliamo a che i
fatti osservati discendano logicamente dalla nostra concezione della realtà. Senza la convinzione
che con le nostre costruzioni teoriche è possibile raggiungere la realtà, senza convinzione
nell’intima armonia del nostro mondo, non potrebbe esserci scienza. Questa convinzione è, e
sempre sarà, il motivo essenziale della ricerca scientifica. In tutti i nostri sforzi, in ogni drammatico
contrasto fra vecchie e nuove interpretazioni riconosciamo l’eterno anelito d’intendere, nonché
l’irremovibile convinzione nell’armonia del nostro mondo, convinzione ognora più rafforzata dai
crescenti ostacoli che si oppongono alla comprensione.
A. Einstein, L’evoluzione della fisica, 4. Quanti, fisica e realtà, pp. 301-3.
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La crisi ambientale
La crisi ambientale deriva da un rapporto particolare che si è
stabilito tra economia, scelte politiche, stili di vita, ricerca
scientifica, risorse tecnologiche…
Essa comporta una revisione culturale del nostro approccio, sia
individuale che collettivo.
In che modo l’epistemologia aiuta questo processo?
Quali strumenti fornisce per una revisione culturale del ruolo
dell’uomo in un ecosistema in crisi?
Un quadro autorevole, anche se certo non completo, dell'assetto dell'epistemologia postempirista viene dalla parole di Mary Hesse{ XE "Hesse" }:
a) nelle scienze naturali i dati non sono separabili dalle teorie, ciò che viene considerato dato è
determinato come tale alla luce di interpretazioni teoriche e i fatti stessi devono essere
ricostruiti alla luce di un'interpretazione;
b) nelle scienze naturali le teorie non sono modelli confrontati dall'esterno con la natura in uno
schema ipotetico deduttivo: sono i modi in cui i fatti sono visti;
c) nelle scienze naturali le relazioni legisimili attribuite all'esperienza sono interne, perché ciò
che consideriamo come fatti è costituito da ciò che la teoria afferma intorno alle loro
interrelazioni;
d) il linguaggio delle scienze naturali è irriducibilmente metaforico e inesatto ed è
formalizzabile solo a costo di una distorsione della dinamica storica dello sviluppo scientifico e
delle costruzioni immaginative nei cui termini la natura viene interpretata dalle scienze;
e) nelle scienze naturali i significati sono determinati dalle teorie, sono intesi sulla base della
loro coerenza teorica piuttosto che sulla base della loro corrispondenza con i fatti (Hesse{ XE
"Hesse" } 1980, pp.172-173).
Il concetto chiave è quello di «modello matematico», di cui John von Neumann ha fornito una
questa definizione:
“Per modello intendo un costrutto matematico che, con l'aggiunta di certe interpretazioni verbali,
descrive dei fenomeni osservati. La giustificazione di un costrutto matematico del genere è soltanto
e precisamente che ci si aspetta che funzioni - cioè che descriva correttamente i fenomeni di un'area
ragionevolmente ampia. Inoltre, esso deve soddisfare certi criteri estetici - cioè, rispetto a quanto
riesce a descrivere, deve essere piuttosto semplice”
J.von Neumann, Method in Physical Sciences, in Collected Works, New York, Pergamon Press,
1963, p.492
I modelli matematici, pertanto, non aspirano affatto a cogliere la presunta essenza ultima dei
fenomeni, ma, più modestamente, si limitano a fornire analogie formali che permettono di
rappresentare alcuni aspetti significativi della realtà indagata. Non sono descrizioni normative e il
fatto di accettarli come empiricamente adeguati non comporta nessun impegno ontologico riguardo
i fenomeni che si intende analizzare. Secondo la celebre espressione di Poincaré “la matematica è
l'arte di dare lo stesso nome a cose diverse”
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Le geometrie:
Riemann
Lobacewskij
Euclide
2.
L’interazione epistemologica tra osservatore e osservato
I fatti sono carichi di teoria.
Essi variano, quindi, seguendo le teorie adottate. Senza limiti? No, ma con variazioni anche
significative. Due esempi
2.1. Che cosa evolve?
Ecco un elenco ragionato delle entità biologiche che possono andare incontro a selezione
naturale (Levontin R., The Unit of Selection, in “Annaul Review of Ecology and Systematics”, 1,
pp. 1-14).
1) molecole: è stato mostrato in laboratorio che esistono molecole, come l'acido ribonucleico
(RNA), in grado di replicarsi all'interno di opportuni ambienti chimici producendo delle copie di se
stesse. E loro imperfetto processo di replicazione genera mutanti con velocità replicative diverse.
Mutanti con velocità superiore vengono positivamente selezionati. (Mills, Peterson e Spiegelman,
1967; Levisohn e Spiegelman, 1968). E’ verosimile che tale processo abbia guidato l'evoluzione
prebiotica;
2) geni: senza dover impegnarsi nell'ipotesi che anche gli adattamenti degli organismi siano
riconducibili a una selezione dei geni, è possibile individuare chiari casi in cui certe caratteristiche
di alcuni geni sono il risultato di selezione all'opera a quel livello. E’ il caso dei geni che distorcono
il processo di segregazione trovati in organismi come Mus musculus e Drosophila (Dunn, 1953;
SandIer, Hiraizumi e Sandler, 1959). Questi geni si trovano in un numero di gameti maggiore
rispetto agli altri geni rompendo lo schema dei rapporti mendeliani di segregazione ciononostante
non vengono positivamente selezionati a livello dell'organismo di cui fanno parte (Sober, 1993, p.
108).
3) cellule: il cancro è un processo di selezione all'interno di un organismo e può essere ben
descritto nel linguaggio darwiniano (Vineis, 2003), poiché si tratta della proliferazione di una
popolazione cellulare a partire da un'unica cellula mutante in grado di generare numerosissime
cellule figlie tutte dotate di spiccate capacità replicative e in grado di sopravvivere ben oltre la vita
cellulare media. Queste cellule vanno rapidamente a soppiantare le altre cellule dell'organismo, la
cui fitness è inferiore, accaparrandosi la maggior parte delle risorse. Non è chiaro se il cancro possa
aver avuto un peso nell'evoluzione, portando alla selezione positiva di organismi meno suscettibili a
questa malattia (Galis e Metz, 2003). Certamente, la selezione deve aver avuto un peso nel
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passaggio evolutivo che ha portato dagli organismi unicellulari agli organismi pluricellulari, dal
momento che gli organismi unicellulari sono singole cellule che competono l'una con l'altra per le
risorse, mentre gli organismi pluricellulari sono sistemi di cellule cooperanti. Il comportamento
cellulare deve quindi aver subito un'evoluzione positivamente selezionata in favore di una sorta di
equilibrio cooperativo che sembra rompersi nel caso del cancro riportando a una situazione di
competizione intercellulare.
4) individui (multicellulari): sono le entità su cui Darwin ha puntato l'attenzione proponendo la
selezione naturale come processo portante dell'evoluzione. All'interno della popolazione, individui
diversi si riproducono e sopravvivono in maniera differenziale e ciò può portare la popolazione a
evolvere.
5) gruppi: il carattere che riveste la principale importanza perché si abbia selezione di gruppo è
l'altruismo, ossia un carattere che per definizione diminuisce la fitness dell'organismo che lo
possiede in favore della fitness del gruppo di cui fa parte, la quale risulta dalla media dei valori di
fitess di tutti gli individui che compongono il gruppo. Se il gruppo non è unità di selezione, ma la
selezione agisce sugli organismi, allora l'altruismo non può evolvere. Il carattere "altruismo" è
cruciale per stabilire l'esistenza della selezione di gruppo per via della sua definizione, che lo
classifica come carattere svantaggioso per l'individuo. E’ bene sottolineare che la fitness media di
un gruppo può aumentare come semplice conseguenza dell'aumento della fitness di ciascun suo
membro Milliams, 1966). Mentre un aumento della fitness del gruppo dovuto all'altruismo dei suoi
membri è invece a scapito del singolo. Il problema è che l'evoluzione dell'altruismo è strettamente
connessa alla frequenza di questo carattere nel gruppo. Se i membri del gruppo sono tutti altruisti, è
più probabile che la fitness media del gruppo sia più elevata della fitness media di un gruppo di soli
individui egoisti, che agiscono solo per se stessi, e i gruppi altruisti rimpiazzerebbero rapidamente i
gruppi egoisti all'interno di una popolazione venendo positivamente selezionati. Ma c'è il pericolo
che anche un solo individuo egoista, mutante o proveniente da un altro gruppo, "inquini” il gruppo
altruista, beneficiando in massimo grado dei comportamenti degli altri membri senza
contraccambiarli, e per selezione naturale sparga i suoi caratteri egoistici nel gruppo in poche
generazioni. A patto, quindi, che gruppi di soli individui altruisti si formino rapidamente e
altrettanto rapidamente rimpiazzino gli altri gruppi non altruisti prima di vedere la comparsa di
individui egoisti al loro interno, la selezione di gruppo è possibile (Sober e Wilson, 1998). La
selezione di gruppo cosi intesa va distinta dalla kín selection, elaborata da Hamilton (1964), che è la
selezione di gruppi di individuí strettamente imparentati in cui A comportamento altruistico è
esercitato verso consanguinei. Tale selezione può essere spiegata in termini genici se si prende in
considerazione il fatto che chi aiuta un parente aiuta un portatore di copie dei suoi stessi geni.
6) specie: la possibilità teorica secondo cui anche le specie possano essere unità di selezione è
stata indicata da alcuni paleontologi e concerne l'idea secondo cui non solo esiste variabilità
interspecifica, ma è possibile tracciare un'analogia tra la riproduzione e sopravvivenza differenziale
degli organismi con i fenomeni della speciazione e della stabilità evolutiva tipici delle specie. In
questa ottica, le specie che "figliano di più" (ovvero che danno luogo a più eventi di speciazione)
soppiantano altri taxa meno prolifici dando corpo alle principali ramificazioni dell'albero della vita
(Stanley, 1975; Gould e Eldredge, 1977).
In generale possiamo affermare che la selezione è un processo dalla realizzabilità multipla, ossia
può essere implementato da diversi tipi di entità biologiche. Non c'è quindi ragione teore:tica per
argomentare in favore dell'esistenza di una sola unità di selezione.
Boniolo G., Giamo S., (a cura di), Filosofia e scienze della vita. Un’analisi dei fondamenti della
biologia e della biomedicina, Bruno Mondadori, Milano 2008, pp. 54-57
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2. 2. Come le diverse discipline definiscono la specie, unità fondamentale per stabilire la
variazione nel tempo di un organismo?
Il biologo pone l’accento sulle barriere riproduttive che separano i viventi, il sistematico cerca di
rinvenire gruppi genealogicamente ben definiti; l’ecologo punta a rinvenire la spartizione tra delle
nicchie ecologiche fra gli organismi; il paleontologo mette a fuoco le differenze morfologiche; il
genetista della popolazione si concentra sulla diversità genetica.
(de Querizot, Different Species Problems and their Resolutions, in “BioEssays”, 27, pp. 1263-1269)
L’interazione diventa dominante, al di là della distinzione disciplinare. Il problema diventa far
colloquiare le competenze, le categorie, i concetti, le strategie di conoscenza che dipendono da
diversi saperi.
In questo l’integrazione di teoria/e ed esperienza/e è specifica dell’ecosistema e diventa una via
d’accesso alla integrazione tra scienze della natura e scienze dell’uomo.
L’ambiente va visto come integrazione di dinamiche naturali e di processi culturali e socioeconomici che richiedono praticamente tutte le competenze scientifiche disponibili, oggi, come
mostra la definizione di ecosistema già illustrata nella I lezione.
La sinecologia è la scienza che studia gli ecosistemi visti come un tutto unico, la loro dinamica e
gli equilibri derivanti dall'interazione delle loro componenti.
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3.
L’irruzione del tempo
Con Darwin cade l’illusione che il sistematico debba compilare il registro della creazione.
Le specie sono mutevoli: irrompe il tempo nella biologia, non solo degli individui ma anche
delle specie e delle popolazioni.
Ma la variabile temporale appare non solo
nelle scienze del vivente.
Il passaggio del tempo non è trascurabile
nei processi ecosistemici.
Vi sono punti di non ritorno, curve, punti di
rottura, collassi che vanno considerati.
Esiste una storia dell’ecosistema, che va
compresa e considerata nella sua
irreversibilità.
4.
La teoria darwiniana
Quella darwiniana è una sintesi che inserisce stabilmente la variabile temporale nella storia naturale
Anche il darwinismo, comunque, è una teoria in sviluppo. Essa integra la teoria della selezione
naturale di Darwin, la genetica e la biologia dello sviluppo.
Darwin
La teoria darwiniana dell’evoluzione si basa su tre
assunti teorici fondamentali:
a) il gradualismo ateleologico, il quale, a differenza
del gradualismo trasformazionista che ammette una
direzionalità, consiste nella graduale modificazione delle
popolazioni che si adattano a situazioni ecologiche
locali, e poiché l'ambiente muta di continuo in modo
complesso e imprevedibile, tale processo non genera
alcuna modificazione direzionale generale;
b) il selezionismo, cioè «la conservazione delle
variazioni favorevoli e l'eliminazione delle variazioni
nocive», per usare la definizione proposta dallo stesso
Darwin, che spiega l'adattamento;
c) l'albero della vita, ovvero la "forma storica"
dell'evoluzione.
La sintesi moderna
Il Neodarwinismo (o sintesi moderna) è la teoria evoluzionistica che deriva dall'integrazione tra:
1. la teoria dell'evoluzione delle specie per selezione naturale di Charles Darwin;
2. la teoria dell'ereditarietà di Mendel sulle basi dell'eredità biologica rivista alla luce della
moderna genetica, comprese le mutazioni genetiche casuali come sorgente della variazione;
3. la forma matematica della genetica delle popolazioni.
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4. l'analisi dei dati della paleontologia
Gli scienziati che hanno contribuito allo sviluppo principale del neodarwinismo sono Thomas Hunt
Morgan, R. A. Fisher, Theodosius Dobzhansky, J.B.S. Haldane, Sewall Wright, William D.
Hamilton, Cyril Darlington, Julian Huxley, Ernst Mayr, George Gaylord Simpson e G. Ledyard
Stebbins.
In breve, il neodarwinismo collega tra loro due scoperte: quella dell'unità fondamentale dell'eredità
(il gene) e quella del meccanismo dell'evoluzione (la selezione naturale). La sintesi neodarwiniana
unifica diverse branche della biologia che in precedenza avevano pochi punti di contatto, in
particolare la genetica, la citologia, la sistematica, la botanica e la paleontologia.
Evo-devo
La biologia evolutiva dello sviluppo (evolution of development or evo-devo), è un settore della
biologia che confronta i processi di sviluppo di animali e piante, nel tentativo di determinare
l'ancestrale rapporto tra gli organismi e le modalità di sviluppo dei processi evoluti. Essa affronta
l'origine e l'evoluzione dello sviluppo embrionale, come le modifiche di sviluppo e di processi di
sviluppo comportano la produzione di nuove funzioni, il ruolo della plasticità di sviluppo
nell’evoluzione, come l'ecologia impatti in fase di sviluppo e cambiamento evolutivo e di sviluppo
di base
EVO-devo ha guadagnato impulso dalla scoperta dei geni che regolano lo sviluppo embrionale di
organismi modello. Evo-devo mostra che l'evoluzione altera i processi di sviluppo (geni e le reti)
per creare nuove strutture e nuovi reti dal vecchio gene (come l'osso della mandibola si struttura
derivando a ossicini di mezzo orecchio) o conservare (economia molecolare), un programma simile
a una serie di organismi come gli occhi di sviluppo geni nei molluschi, insetti e vertebrati.
Si mostra un ruolo eccentrico dell’uomo, quasi occasionale, il che comporta una definizione non
stabile, non insostituibile della presenza umana sul pianeta Terra.
Ma appare anche la dimensione contestuale, spazio-temporale di ogni configurazione biologica.
Qualunque cosa osserviamo in ambito naturale è un sistema nel tempo.
5.
Sistema
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Un sistema è una relazione tra elementi.
In un sistema lo stato di un elemento determina ed è determinato dallo stato di tutti gli altri
elementi: non serve a molto conoscere il componente senza conoscere
a) le sue relazioni
b) il livello di integrazione delle relazioni
c) la storia delle sue relazioni passate e possibili.
Il tutto, in un sistema, non si riduce mai alla somma delle parti.
L'approccio sistemico inizia ad assumere contorni definiti quando - subito dopo la seconda
guerra mondiale - appaiono più evidenti i limiti di una scienza orientata quasi esclusivamente alla
ricerca di sequenze causali lineari da isolare mediante procedimenti analitici.
a) Classica definizione di von Bertalanffy{ XE "von Bertalanffy" } del sistema come
"complesso costituito di elementi in interazione" (von Bertalanffy{ XE "von Bertalanffy"
} 1969, p.67)
b) "un sistema è un insieme di oggetti insieme con le relazioni tra gli oggetti e tra i loro
attributi" (Hall e Fagen{ XE "Hall e Fagen" } 1956, p.18)
c) "porzione del mondo che conserva una qualche sorta di organizzazione di fronte ad
influenze che lo disturbano" (Rapoport{ XE "Rapoport" } 1976, p. 234)
Volendo tentare una classificazione, potremmo dire che gli snodi cruciali attraverso i quali si
sono svolte simili trasformazioni sono sostanzialmente due:
a - il passaggio da una concezione di "elemento" o "componente" del sistema, centrata sulle
qualità materiali e discrete che contraddistinguono entità fisicamente determinate, ad una
concezione continuistica, più legata all'idea di processo e a quella di relazione/interazione;
b - lo spostamento dell'osservatore e dell'azione di osservazione dall'esterno all'interno del
sistema osservato e da un ruolo passivo (= l'oggetto osservato è dato) a uno di partecipazione attiva
nella determinazione di ciò che viene osservato (= l'oggetto osservato viene costruito).
A cavallo fra gli anni '60 e '70 iniziano a comparire i primi tentativi di pensare alla teoria dei
sistemi in una prospettiva diversa da quella moderna. Così per esempio un biologo, J.A.Miller{ XE
"Miller" }, propone una definizione di sistema che, pur non discostandosi completamente dalle
precedenti - egli infatti si limita a distinguere tra "sistemi astratti concettuali" e "sistemi concreti
empirici" - porta tuttavia con sé l'idea innovativa in base alla quale l'identificazione del sistema e
delle sue proprietà ha luogo nella relazione osservatore-osservato:
"l'osservatore seleziona da un numero infinito di unità e relazioni un particolare
insieme rispetto agli scopi che si propone e alle caratteristiche che gli sono proprie"
(Miller{ XE "Miller" } 1971, p.51).
Il concetto di "sistema" viene dunque a collocarsi nel terreno d'incontro delle diverse riflessioni
legate alla relazione osservatore-osservato.
La ricomparsa dell'osservatore attraversa infatti la fisica, con il principio di indeterminazione
di Heisenberg e con la teoria della relatività di Einstein, gli sviluppi più recenti della cibernetica di
secondo ordine, della biologia e della neurofisiologia, ma anche della filosofia della scienza, in
particolare di derivazione kuhniana, e della più recente sociologia della scienza, senza contare
l'attenzione dedicata a questo problema dal pensiero sociologico a partire da Weber{ XE "Weber" }.
Per il momento, è soprattutto la riflessione epistemologica, legata alle acquisizioni della svolta
linguistica, a mettere prepotentemente in campo il ruolo dell'osservatore, inteso come portatore di
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una struttura logica, di una batteria di pre-giudizi, di un’ineliminabile sovradeterminazione teorica
in ogni atto osservativo, di una vera e propria "costruzione della realtà".
6.
Complessità
Molti sistemi fisici dipendono dalle condizioni iniziali, quali che siano queste condizioni e un
piccolo cambiamento nei dati iniziali modifica considerevolmente l’evoluzione successiva del
sistema
Lorenz
Nel 1963, nel suo laboratorio di analisi e simulazione metereologica,
Edward Lorenz, riscopre la complessità. Si accorge infatti che il
computer, su cui aveva impostato il sistema di equazioni che dovevano
simulare l’evoluzione metereologica, generava soluzioni enormemente
diverse in dipendenza di piccolissime differenze nei dati iniziali. E’
quello che passerà alla storia con il nome di “effetto farfalla”: il semplice
battito d’ali di una farfalla nel mar dei Caraibi, a certe condizioni, può
produrre come effetto un uragano sulla costa atlantica degli Stati Uniti.
0.506 invece di 0.506127 -> cambiamento drastico delle traiettorie ottenute.
Lorenz, articole del 1972, usò l’ immagine della farfalla per il titolo: “Does the flap of a
butterfly’s wing in Brazil set off a tornado in Texas?”
“La teoria della complessità studia i sistemi
adattativi complessi. Per esempio: come si
sviluppa una colonia di batteri in un ambiente?
Perché uno stormo di uccelli vola in un certo
ordine? Come si scopre qual è la tecnologia
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vincente tra un insieme di tecnologie concorrenti che si propongono di risolvere lo stesso problema?
Come si spiega il funzionamento della borsa? Tutti questi problemi sono accomunati da alcuni
elementi: ci sono individui che interagiscono (molecole, batteri, uccelli, macchine); ci sono regole
che gli individui seguono; ci sono obiettivi e vincoli contrastanti; ci sono interazioni tra un sistema e
l’altro; ci sono percorsi di adattamento ai cambiamenti esterni. In pratica, non si può comprendere il
volo di uno stormo di uccelli studiando il comportamento individuale di un uccello: ogni uccello
segue regole, interagisce con gli altri uccelli, produce un sistema che si muove in modo ordinato e
in questo modo si adatta ai mutamenti esterni. Visto dall’esterno un sistema può avere un
comportamento apparentemente casuale, ma comprendendone le regole di fondo e definendole in
termini matematici quel comportamento diventa relativamente prevedibile. E quindi migliorabile".
Stuart Kauffman.
Si tratta di una riscoperta, infatti, perché già Henry Poincaré, nel 1889, aveva dimostrato che
anche le solide leggi della dinamica di Newton, applicate ad un sistema di tre corpi celesti che
interagiscono tra loro, rendono impossibile fare previsioni esatte sul loro comportamento. Si
stava incrinando una credenza fondamentale della scienza moderna: la possibilità di raggiungere
una sempre più precisa conoscenza degli effetti, data una sempre più precisa conoscenza delle
cause. Ebbene, è proprio questa credenza a venir messa in discussione dalla scoperta della
complessità.
Oggigiorno l’analisi dei sistemi complessi riveste ambiti diversissimi. Dalla biologia
all’ecologia, dall’analisi economica alla previsione dei flussi finanziari, dallo studio dei sistemi
sociali all’analisi dei processi di adattamento delle specie viventi, la complessità è qualcosa di
più e di diverso dalla semplice constatazione che le variabili analizzate sono molte. In questi casi i
processi studiati presentano un’enorme quantità di variabili interagenti, e la modifica anche di una
solo di esse può produrre effetti molto diversi. Ma allora, si potrebbe obiettare, la complessità non è
niente di diverso dalla misura della nostra ignoranza quando si analizzano realtà complicate.
Le cose, in realtà, non stanno così. Non si tratta solo di abbandonare l’approccio cartesiano, cioè
la tendenza ad isolare il problema, segmentarlo in parti più piccole e ridurlo così alle sue
componenti semplici. Né si tratta di abituarsi a previsioni probabili anziché determinate. In gioco
c’è dell'altro: un diverso modo di pensare, che prevede almeno tre passaggi determinanti.
Le caratteristiche di un sistema complesso
1. Anzitutto occorre tener presente che si è di fronte a sistemi, cioè a relazioni tra elementi. In
un sistema lo stato di un elemento determina ed è determinato dallo stato di tutti gli altri elementi:
non serve a molto conoscere il componente senza conoscere la storia delle sue relazioni passate e
possibili. Il tutto, in un sistema, non si riduce mai alla somma delle parti.
2. La seconda condizione di un sistema quando è complesso è il non equilibrio: lo stato ordinario
del sistema può cambiare anche in seguito ad una piccola perturbazione. La complessità è
caratteristica dei sistemi dinamici, che variano continuamente anche se appaiono integri, come
avviene al nostro organismo o allo stato dei nostri investimenti in Borsa.
3. Vi è la non linearità, che richiede il ricorso a matematiche diverse da quelle tradizionali, come
ad esempio la teoria delle catastrofi, che studia l’evoluzione dei sistemi in presenza di momenti
critici.
4. infine va considerato il concetto di retroazione e di equilibrio. Ogni sistema viene perturbato o
modifica se stesso, tuttavia tende per successive variazioni a raggiungere uno stadio di equilibrio a
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basso potenziale energetico. Spesso tale stato è raggiunto attraverso una retroazione oppure con
interventi consapevoli del sistema stesso. La distinzione non è rilevante: tale stato di equilibrio è
raggiunto per vie diverse e costituisce l’identità del sistema, fino a quando esso resta tale. E’ la sua
omeostasi.
7.
Omeostasi e teoleonomia
L'omeostasi è la condizione di stabilità interna degli organismi che deve mantenersi anche al variare
delle condizioni esterne attraverso meccanismi autoregolatori.
Indica anche la tendenza all'equilibrio delle popolazioni animali e vegetali, come risultato di
meccanismi dipendenti dalla densità e operanti sul tasso di natalità, sopravvivenza e morte
(stabilità).
Per estensione il termine indica anche la capacità di alcuni sistemi
elettromeccanici o informatici di mantenere una condizione di
equilibrio autoregolandosi.
Esempi
Se nel sangue aumenta il contenuto di glucosio aumenta la
produzione dell'ormone insulina, che permette l'utilizzo del
glucosio e quindi fa diminuire il contenuto di glucosio. Ci;
avviene tramite opportuni sensori.
In geologia: l'aumento di CO2 nell'atmosfera provoca un aumento
di temperatura per effetto serra, ma un aumento di temperatura
provoca una diminuzione del contenuto di CO2. Viceversa, quando la temperatura diminuisce,
aumenta la CO2 e in questo modo il sistema Terra si autoregola.
I meccanismi a retroazione negativa prevalgono nei sistemi stabili.
Esistono meccanismi a retroazione positiva.
In geografia si può citare il processo ben noto ai glaciologi del
Quaternario, per cui un aumento temporaneo di temperatura nel
corso di una fase glaciale, che causi una diminuzione della
superficie terrestre ricoperta dai ghiacci, fa diminuire l’albedo
planetaria, cioè la percentuale di energia solare riflessa
direttamente nello spazio. Ciò causa un ulteriore aumento di
temperatura, dove più cause concorrono allo stesso effetto,
rafforzandolo, o una causa produce più effetti. Esse fanno sì che,
in natura, 1 + 1 non dia sempre 2, ma a volte più di 2, perché certi
processi, quando interagiscono, fanno sì che acceleri lo
scioglimento dei ghiacci, e il processo si autoeccita sempre più
finché non rimangono quasi più ghiacci da sciogliere.
I meccanismi a retroazione positiva prevalgono nei sistemi instabili.
Il feedback può essere negativo quando la risposta dell'organismo ad uno stimolo che destabilizza il
sistema tende a ripristinarlo. Quindi la risposta dell'organismo è di segno contrario allo stimolo
destabilizzante (esempio: un abbassamento della temperatura provocherà una reazione tendente a
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innalzare la temperatura stessa). Il feedback invece è positivo, quando l'organismo risponde
rinforzando l'azione dello stimolo iniziale invece di diminuirlo o rimuoverlo. Ciò destabilizza il
sistema sino a quando un evento esterno al circuito a feedback arresta la risposta dell'organismo.
Funzione e teleonomia
«“Perché i rami degli alberi si orientano verso la luce?”. Prima risposta: per il fenomeno del
geotropismo negativo; seconda risposta: per meglio captare la luce necessaria per la loro attività
metabolica; terza risposta: in quanto, sotto l’effetto della gravità, le ‘auxine’ (sostanze che
stimolano la crescita dei tessuti) a causa del loro peso si spostano in basso, promuovendo quindi in
maniera più attiva l’accrescimento degli strati inferiori dei singoli rami (con la conseguenza di
incurvarli verso l’alto). Tre spiegazioni diverse. Ma, soprattutto, tre modi diversi di spiegare. La
prima risposta non spiega il fenomeno: si limita a battezzarlo […]. La seconda risposta ‘interpreta’
il fenomeno mettendolo in relazione con un supposto ‘scopo’. La terza, invece, lo ‘interpreta’ in
termini causali. Solo quest’ultima è esauriente. Anzi, solo essa è una vera ‘spiegazione scientifica’»
(Poli, Homo sapiens, Milano 1972, p. 111).
La spiegazione funzionale viene spesso associata alla nozione di “scopo”, e da qui deriva
l’equivalente dizione di spiegazione “teleologica”, assieme alle non piccole difficoltà che il termine
“scopo” suscita nello scienziato moderno.
«Da parte di un fisico moderno sarebbe certamente una stranezza dichiarare, per
esempio, che gli atomi hanno involucri esterni di elettroni allo scopo di rendere
possibile la propria unione chimica con altri atomi. Nell’antica scienza aristotelica le
categorie di spiegazione suggerite dallo studio degli esseri viventi e delle loro
attività (e in particolare dalla tecnica umana) venivano assunte come regola per
ogni indagine. Dal momento che tanto i fenomeni viventi quanto quelli non viventi
furono così analizzati in termini teleologici - analisi che pose al centro la nozione di
causa finale - la scienza greca non realizzò una fondamentale frattura fra la biologia
e le altre scienze della natura. La scienza moderna, invece, considera le cause
finali come delle vestali vergini e infeconde nello studio dei fenomeni fisici e chimici;
e, poiché le spiegazioni teleologiche sono associate alla dottrina che gli scopi e i fini
dell’attività sarebbero agenti dinamici delle realizzazioni proprie, la scienza moderna
tende a considerare tali spiegazioni come dettate da una sorta di atteggiamento
oscurantistico. La presenza delle spiegazioni teleologiche nella biologia e la loro
evidente assenza dalle scienze fisiche comporta però davvero l’assoluta autonomia
della prima? » (Nagel, 1961, pp 411-412)
La risposta che Nagel fornisce alla domanda è negativa, ma per farlo egli deve elaborare una
teoria della spiegazione scientifica sufficientemente potente per riconoscere che un sapere come
quello biologico, pur indagando delle funzioni, non individua delle aristoteliche cause finali.1
Infatti, se il finalismo è assente nell’indagine scientifica contemporanea, non è affatto scomparsa la
ragione che lo richiedeva, e non solo in biologia: cioè una spiegazione dei processi in vista
dell’obiettivo che essi si prefiggono, intenzionalmente o meno.
La spiegazione funzionale affronta proprio questo aspetto, consapevole che un salutare
riduzionismo ha trasformato spiegazioni finalistiche in spiegazioni fisicalistiche,2 senza per questo
negare il ruolo, anche esplicativo, delle diverse funzioni svolte dai viventi o da parti di essi. Non si
tratta quindi di illustrare un processo individuandone scopi intenzionali o meno, e nel far questo
introdurre una distinzione assolutamente ingovernabile senza una teoria accettabile
1 Sul tema della causa finale cfr. cap. 10, § 2.1.
2 Sul passaggio nelle scienze del vivente dal finalismo al fisicalismo, cfr. in particolare il cap. V
e i numerosi esempi di rilettura proposti.
13
dell’intenzionalità nel vivente, teoria di cui oggi non disponiamo. Una spiegazione funzionale mira
invece a portare alla luce le condizioni necessarie e sufficienti perché un determinato processo si
attui, sia esso un processo umano, sociale, biologico, artificiale.
Seguendo Nagel, prendiamo, ad esempio, la funzione svolta dalla clorofilla nelle vita delle
piante.
«”La funzione della clorofilla nelle piante è quella di permettere ad esse di realizzare
la fotosintesi (cioè di formare amido da anidride carbonica e da acqua in presenza
della luce solare)”. Questo enunciato rende ragione della presenza della clorofilla
(una certa sostanza A) nelle piante (in ogni elemento S di una classe di sistemi,
ciascuno dei quali ha una certa organizzazione C di parti componenti e di processi).
Ciò viene fatto dichiarando che, quando si forniscono a una pianta acqua, anidride
carbonica e luce solare (quando S è situata in un certo ambiente E "interno" e
"esterno") essa produce amido (vi si compie un certo processo P che fornisce un
determinato prodotto o risultato) solo se la pianta contiene clorofilla. L’enunciato
solitamente porta con sé l’implicita assunzione supplementare che senza amido la
pianta non può proseguire le sue attività caratteristiche, quali la crescita e la
riproduzione (non può conservarsi in un certo stato G); per il momento però
ignoreremo questa ulteriore assunzione. Per conseguenza l’enunciato teleologico è
un ragionamento in forma abbreviata così che quando se ne espliciti il contenuto,
esso può venir reso approssimativamente nel modo seguente: se sono fornite di
acqua, di anidride carbonica e di luce solare, le piante producono amido; se non
hanno clorofilla, le piante anche se in possesso di acqua, di anidride carbonica e di
luce solare, non producono amido; quindi le piante contengono clorofilla. Più in
generale un enunciato teleologico della forma “la funzione di A in un sistema S con
organizzazione C è quella di rendere possibile a S, in un ambiente E, di impegnarsi
in un processo P” può essere formulato più esplicitamente così: Ogni sistema S con
organizzazione C in un ambiente E si impegna in un processo P; se S con
organizzazione C e in un ambiente E non dispone di A allora S non si impegna in P,
quindi S con organizzazione C deve disporre di A» (Ivi, p.413, corsivo nostro).
La struttura di una spiegazione funzionale richiede il riferimento a concetti che finora non
abbiamo dovuto utilizzare.
Anzitutto la nozione di sistema S, intendendo con ciò un insieme di elementi in relazione, tali
che la modificazione di uno di essi (elementi o relazioni) può produrre la modificazione di tutto il
sistema. Quindi la nozione di organizzazione C, cioè la disposizione effettiva, con vincoli e gradi di
libertà, delle relazioni e degli elementi che costituiscono il sistema: nel nostro caso gli elementi (tra
cui inseriamo la clorofilla A) e i legami chimici che costituiscono la pianta, nonché le reazioni
ammesse dalla chimica e dalla fisica del sistema (ad esempio, la fotosintesi) sia internamente che in
interazione con l’ambiente. Occorre quindi determinare un ambiente E, più propriamente una
distinzione riconoscibile tra il sistema e l’ambiente in cui è inserito; solo così è possibile distinguere
le perturbazioni a cui è sottoposto il sistema e le trasformazioni che i suoi output producono
sull’ambiente. Determinare questa distinzione, tuttavia, implica il ricorso ad almeno un processo P
specifico di S: l’azione del sistema, nel nostro caso il processo di fotosintesi, è necessaria per
caratterizzare il suo stato di equilibrio o disequilibrio rispetto all’ambiente.
Da più parti si è sostenuto che la retroattività è addirittura una caratteristica non solo necessaria
ma anche sufficiente per determinare un vivente. Ad esempio, N. Wiener sostiene che «Un vasto
insieme di casi in cui qualche tipo di feedback non solo è individuabile nei fenomeni fisiologici ma
è assolutamente essenziale alla continuazione della vita rientra in ciò che è noto come omeostasi.
Le condizioni in cui la vita, specialmente la vita sana, può continuare sono per gli animali superiori
molto limitate. Una variazione di mezzo grado centigrado della temperatura corporea è
generalmente sintomo di malattia, e una variazione di cinque gradi è difficilmente compatibile con
14
la vita. La pressione osmotica del sangue e la sua concentrazione di idrogenioni devono essere
mantenute entro limiti ristretti. I prodotti di rifiuto del corpo devono essere eliminati prima che
raggiungano concentrazioni tossiche. Inoltre, i leucociti e le difese chimiche contro le infezioni
devono essere mantenuti a livelli adeguati; il tono cardiaco e la pressione sanguigna non devono
essere né troppo alti né troppo bassi; il ciclo sessuale dev’essere conforme alle necessità di
riproduzione della razza; il metabolismo del calcio dev’essere tale da non indebolire le ossa e da
non calcificare i tessuti; e così via. In breve, la nostra economia interna deve disporre di un
complesso tale di termostati, controlli automatici della concentrazione di idrogenioni, regolatori, e
simili, che sarebbero sufficienti a un grande impianto chimico. Essi costituiscono ciò che
chiamiamo il nostro meccanismo omeostatico» (Wiener, Cibernetica, 1948, p. 156). Sulla
generalizzazione del concetto di auto-organizzazione come evoluzione generale di quello di
retroazione cfr. Dumouchel e Dupuy, 1983.
Come si vede si tratta di elementi tipici di un appoccio sistemico, che qui non possiamo
analizzare nel dettaglio né integrare, ma che vanno evidenziati per cogliere lo specifico di un tipo di
spiegazione che, sotto l’apparente e quasi dimesso obiettivo di illustrare una funzione, in realtà
porta nella letteratura sulla spiegazione scientifica una consistente innovazione concettuale.
Segnaliamo tre aspetti.
a) Anzitutto ogni elemento del sistema può essere considerato a sua volta un sistema, di
livello inferiore, e ogni sistema può essere considerato elemento di un sistema di livello
superiore. Una buona indicizzazione potrebbe bastare a governare tali ricorsioni, senza però
eliminare almeno un problema: la dimensione epistemica della scelta del livello di osservazione
scelto. Un sistema è sempre frutto di una scelta operata dall’osservatore, che ritaglia in un ambiente
processi specifici, cioè un sistema con la sua organizzazione e le sue possibili dinamiche, e nel far
ciò riduce a rumore di sfondo ogni altra relazione che pure interviene nella interazione tra sistemi.
Potremmo dire che ogni disciplina scientifica si è dotata di strumenti, concettuali e tecnici, per
fissare il livello di osservazione con cui stabilisce la significatività dei sistemi che osserva, ma ciò
non esclude la necessità di riconsiderare tali livelli ogni volta che si è in presenza di difficoltà
esplicative.
b) Il problema della ricorsione appare anche internamente al sistema, in particolare nello
sviluppo di meccanismi retroattivi che caratterizzano gran parte delle relazioni sistemiche. Le
relazioni sistemiche sono spesso interattive, il che, data la natura interconnessa del complesso
sistemico, comporta una sua alta variabilità: modificare una relazione anche in misura ridotta può
comportare un’alterazione significativa, o addirittura fatale, per il sistema nel suo complesso, così
come una variazione rilevante può essere assorbita dal sistema attraverso una sua riorganizzazione
funzionale. Da qui l’impossibilità di un’analisi statica del sistema, ma il necessario ricorso a una
revisione costante delle relazioni indicate, posto che averle individuate e descritte una volta non
garantisce sulla possibilità di conoscerne lo stato presente. Potremmo dire che la spiegazione
funzionale richiede un’esplicazione molto più accurata, continua e specifica di quanto non sia
normalmente richiesto per spiegazioni di altro tipo.
c) Un terzo ed essenziale aspetto della spiegazione funzionale è che essa non mira alla
individuazione di cause, ma cerca di stabilire le condizioni di equilibrio. Non importa conoscere
per quali vie una determinata funzione venga garantita: ciò che conta è conoscere le condizioni e i
processi adattativi grazie ai quali il sistema mantiene attivo un suo processo, o come dice Nagel «si
impegna in P». La spiegazione funzionale non preclude, ovviamente, la ricerca delle cause
specifiche di determinati comportamenti del sistema. Tuttavia il numero dei fattori coinvolti, la
variabilità e l’interazione delle relazioni e quindi degli elementi impegnati nel processo,
l’impossibilità di un’osservazione dettagliata che non comprometta l’integrità del sistema, in modo
particolare quando si tratta di un vivente, sono i principali limiti posti a una spiegazione in termini
15
puramente causali, e di conseguenza le ragioni prevalenti per una spiegazione funzionale. E’
importante, quando è possibile, conoscere le condizioni e quindi le cause interne in forza delle quali
il sistema mantiene attivo un determinato processo, ma ciò che conta di più, e che spesso è la sola
conoscenza ottenibile, è individuare le condizioni di equilibrio entro cui può variare il sistema
mantenendo attivo quel processo.
Prendiamo un caso di ricorsione semplice da capire.
A determina B e ne cambia lo stato e B determina A e ne cambia lo stato. Un esempio classico è
il sistema di riscaldamento di una stanza. In essa vi è un termosifone collegato a una caldaia remota,
controllata da un termostato presente nella stanza. Lo stato del termostato (A) determina
l’accensione o lo spegnimento della caldaia (B), che, attraverso il termosifone, modifica la
temperatura media della stanza. Lo stato della caldaia (B), tuttavia, determina lo stato del termostato
(A), poiché è il calore della stanza, effetto diretto dell’azione del bruciatore, a determinare lo stato
del termostato. A determina B e B determina A: il problema è che il sistema così descritto riesca a
svolgere la sua funzione, che è quella di autoregolare la temperatura della stanza, fissata a n gradi.
E’ l’equilibrio di questa temperatura il vero risultato dell’azione del sistema.
Entrambi gli elementi, A e B, sono reciprocamente causa ed effetto, ciò che conta non è
l’individuazione della causa, quanto l’equilibrio della relazione.
Finchè i due elementi retroagiscono mantenendo la relazione in equilibrio, questo sistema si
mantiene dinamicamente stabile. In questa prospettiva il problema della causazione diventa
secondario, e con esso perde importanza la questione della antecedenza temporale.
Poiché è sistemico l’approccio alla spiegazione funzionale (teleologica), ci sembra possibile
sostenere che l’insieme di problemi nati dal rapporto tra causalità e spiegazione funzionale, lungi
dal rappresentare una difficoltà per questo tipo di spiegazione, ne illumina piuttosto una
caratteristica, la natura sistemica, appunto. Ciò vuol dire mettere mano a una concezione diversa di
causalità, dove non sempre è possibile individuare le antecedenze, anche se deve sempre essere
possibile individuare le condizioni di equilibrio.
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8.
Circolarità
Dalla deduzione alla circolarità
Sequenze circolari di relazioni non sono un
limite logico, ma un carattere costitutivo.
a) dei fondamenti del nostro modo di
pensare.
b) della inesplicabilità totale dei nostri
presupposti.
c) della interazione tra elementi e
relazioni in un sistema.
d) della condizione di equilibrio che si
ricerca, dato un sistema e una sua
funzione.
9.
Emergentismo
Un comportamento emergente o proprietà emergente può comparire quando un numero di entità
semplici (agenti) operano in un ambiente, dando origine a comportamenti più complessi in quanto
collettività.
La proprietà stessa non è predicibile e non ha precedenti, e rappresenta un nuovo livello di
evoluzione del sistema. I comportamenti complessi non sono proprietà delle singole entità e non
possono essere facilmente riconosciuti o dedotti dal comportamento di entità del livello più basso.
Il punto di partenza nella letteratura sull'emergentismo è Charlie Dunbar Broad, The Mind and Its
Place in Nature del 1925.
Esempi di emergenza
Colore. Le particelle elementari come protoni o elettroni non hanno colore. Solo quando sono
disposti in atomi assorbono o emettono specifiche lunghezze d'onda così da poter definire il colore
della materia. (I quark hanno una caratteristica denominata carica di colore, termine solo figurativo
che non ha a che vedere con il concetto abituale di colore).
Attrito. Le particelle elementari non hanno attrito, o meglio le forze che agiscono tra loro sono
conservative. L'attrito emerge quando si considerano strutture più complesse di materia, le cui
superfici possono assorbire energia se sfregate tra loro. Considerazioni simili si possono applicare
ad altri concetti come la viscosità, l'elasticità, la resistenza alla trazione.
Una delle ragioni per cui si verifica un comportamento emergente è che il numero di interazioni tra
le componenti di un sistema aumenta combinatoriamente con il numero delle componenti,
consentendo il potenziale emergere di nuovi e più impercettibili tipi di comportamento.
Un esempio biologico è una colonia di formiche. La regina non dà ordini, né dice alle formiche
cosa fare. Ogni singola formica reagisce a stimoli, in forma di odori chimici provenienti dalle larve,
dalle altre formiche, da intrusi, cibo e immondizia, e si lascia dietro una traccia chimica che, a sua
volta, servirà da stimolo alle altre. Ogni formica è un'unità autonoma che reagisce solamente in
17
relazione all'ambiente e alle regole genetiche della sua specie. Nonostante la mancanza di un ordine
centralizzato, le colonie di formiche esibiscono un comportamento complesso ed hanno dimostrato
la capacità di affrontare problemi geometrici. Ad esempio, localizzano un punto alla distanza
massima da tutte le entrate della colonia per disporvi i corpi morti.
La vita è senza dubbio un pozzo inesauribile di esempi da cui
l'emergentismo attinge. Il caso più semplice di emergenza è
rappresentato dalla relazione tra un organismo vivente e le
molecole di cui è composto a un dato momento. Se
prendessimo tutte queste molecole, che sono tutto ciò che
costituisce quell'organismo, e ne cambiassimo drasticamente
l'organizzazione esse non costituirebbero più un organismo.
Dunque, l'essere vivente emerge dalle molecole.
La mente costituisce un'altra fonte di esempi di emergenza. La
nostra vita mentale si compone di un flusso coerente di
credenze, desideri, ricordi, paure, speranze ecc., i quali
presumibilmente emergono in qualche modo dal coacervo di
attività elettriche e biochimiche in cui sono coinvolti i nostri neuroni e il nostro sistema nervoso.
L'emergenza sembra caratterizzare anche il comportamento collettivo delle persone. L'origine e
la diffusione di una moda giovanile, come l'improvvisa popolarità di un taglio di capelli, può essere
rappresentata in un modo molto simile a quello in cui si rappresentano le transizioni di stato fisico,
già menzionate come bona fide emergenti. Transizioni che pure ritroviamo negli ingorghi di
traffico, i quali emergono dal moto di singole automobili quando la densità degli autoveicoli sulla
strada oltrepassa una certa soglia.
Esiste anche una visione secondo cui l'inizio e lo sviluppo dell'evoluzione stessa possono essere
considerati una proprietà emergente delle leggi fisiche del nostro universo.
Tutti questi esempi indicano come l'emergenza abbia a che fare con fenomeni che sorgono, e
dunque dipendono, da fenomeni di ordine più basilare, da cui però sembrano in parte smarcarsi
mostrando una certa autonomia.
D'altro canto, non è di per sé sufficiente un gran numero di interazioni per determinare un
comportamento emergente, perché molte interazioni potrebbero essere irrilevanti, oppure annullarsi
a vicenda.
Si nota quindi che non è solo il numero di connessioni tra le componenti a incoraggiare
l'emergenza, ma anche l'organizzazione di queste connessioni.
Il sistema deve raggiungere una certa soglia di combinazione di diversità, organizzazione e
connettività prima che si presenti il comportamento emergente.
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Pensare per strutture emergenti
William Dembski, uno dei principali proponenti del disegno
intelligente, ha detto che l'affermazione principale del disegno
intelligente è che «esistono sistemi naturali che non possono
essere spiegati adeguatamente in termini di forze naturali non
governate e che mostrano caratteristiche che in qualunque altra
circostanza sarebbero attribuite all'intelligenza» (The Design
Revolution, p. 27.)
La complessità del "disegno" della natura indica l'esistenza di un progettista/creatore
sovrannaturale; questo è noto come l'argomento teologico dell'esistenza di Dio.
Le forme più importanti di questa argomentazione furono espresse da Tommaso d'Aquino (V
via) e William Paley nel suo libro Natural Theology (XIX secolo) dove compare la sua analogia
dell'orologiaio.
La struttura argomentativa usata ricorre ad un argomento causale detto “della priorità della causa
sull’effetto”
Con quest’argomento si sostiene che la causa ha priorità sull’effetto, non tanto nel senso che la
precede, ma nel senso che vale di più. Per esempio, come afferma Cartesio: «Ciò che è più perfetto,
cioè ciò che contiene in sé più realtà, non proviene da ciò che è meno perfetto» (Meditazioni
metafisiche, III, 3). Si basa su quest’argomento una delle dimostrazioni cartesiane dell’esistenza in
noi di un’idea innata di Dio. “Se possiedo l’idea di Dio come ente perfetto, o me la sono data da me,
oppure viene da altro. Ma io sono imperfetto e poiché è impossibile che l’imperfetto generi il
perfetto, questa idea viene da fuori di me.”
È un argomento molto utilizzato, dall’antichità a oggi, per giustificare un ordinamento delle
cause.
Tuttavia lo sviluppo delle ricerche di tipo biologico, sociale, politico e in generale un approccio
sistemico hanno profondamente cambiatole condizioni di validità di questo argomento. La sua
struttura verticale (alto/basso), è stata messa in discussione e “orizzontalizzata”. E’ nato, a partire
dall’’800, un nuovo schema argomentativo, che si può definire della proprietà emergente.
Questo argomento, tipicamente novecentesco, rappresenta l’esatto opposto dell’argomento della
priorità della causa sull’effetto. Là, con uno schema antico quanto moderno, si affermava che
l’effetto non può avere più essere della sua causa; qui si afferma il contrario. E’ possibile che da un
insieme di cause emerga un effetto che le supera, poiché viene determinato dalle condizioni del
sistema a cui si sta facendo riferimento.
10.
Leggi di natura
In ambito biologico il problema delle leggi di natura si pone sotto un aspetto nuovo.
Mitchell (Pragmatic Laws, in “Philosophy of Science”, 1997, 64, pp. S468-S479) considera tutte le
generalizzazioni che possiamo incontrare, a partire da affermazioni come "E = mc2", "Tutte le sfere
di uranio arricchito hanno diametro minore di 100 metri", fino a "Le monete nella tasca di Nelson
Goodman sono tutte di rame" e la Legge" di Mendel. Invece di decidere una per una della loro
nomologicità, le valuta in base a diversi parametri ponendoli in scala. I parametri da lei scelti,
sebbene a suo stesso avviso non esaustivi, sono:
a) stabilità: ogni legge richiede che alcune condizioni iniziali vengano soddisfatte. In base a
quanto spesso ciò avvenga nell'universo si ha una idea di quanto una generalizzazione sia stabile.
Per esempio, le leggi fisiche sui rapporti tra massa ed energia trovano applicazione ovunque
nell'universo, mentre le leggi di Mendel si situano più in basso nella scala di stabilità poiché
riguardano un campo ontologico più ristretto;
19
b) forza: la connessione realizzata da una generalizzazione tra un insieme di eventi e un altro
può essere più o meno rigida a seconda che il legame sia di tipo strettamente deterministico, come è
il caso di alcune leggi fisiche, o che sia probabilistico, come è il caso di tutte le generalizzazioni
biologiche;
d) astrazione: le generalizzazioni trascurano aspetti della realtà che non vengono ritenuti
rilevanti. Per esempio, esistono numerosi isotopi di ciascuno degli atomi che formano la
molecola di emoglobina, ciò comporta che è estremamente improbabile che nel corpo
umano ci siano due molecole di emoglobina atomicamente identiche, ma questo è del tutto
irrilevante per le generalizzazioni che riguardano le funzioni fisiologiche di questa molecola.
Con un diagramma è possibile
cogliere in un unico sguardo la
collocazione delle diverse
generalizzazioní rispetto ai
parametri indicati (Netchell,
2000, p. 263 con modifiche).
Così facendo, implicitamente,
Mitchell si schiera tra coloro
che ritengono che la biologia
possegga delle leggi, seppur
"epistemologicamente
inferiori” rispetto a quelle
della fisica ma "superiori",
sulla base dei parametri
adottati,a generalizzazioni
banali del parlare quotidiano
del tipo 'Le monete nella tasca
di Nelson Goodman sono tutte
di rame"
11.
Le ragioni del successo del paradigma biologico darwiniano
Le ragioni metafisiche ed epistemologiche del paradigma darwiniano
“Per quanto la superiorità delle teorie evoluzionistiche di ispirazione darwiniana trovi ampio
consenso nella comunità scientifica, spesso si mettono in secondo piano le ragioni per le quali
l'evoluzionismo darwiniano è diventato il paradigma scientifico vincente. Un'analisi della
giustificazione di questa superiorità costituisce quindi un contributo più propriamente filosofico
all'argomento.
Possiamo classificare nel modo seguente le ragioni della superiorità della teoria darwiniana
dell'evoluzione:
20
1. ragioni metafisiche
La teoria darwiniana dell'evoluzione scardina una serie di postulati metafisici.
1) Contro il finalismo: l'evoluzione del mondo vivente è ateleologica, ossia non è orientata
verso un fine, il cambiamento delle popolazioni è un prodotto di meccanismi naturali, in particolare
della selezione naturale, che producono l'adattamento degli esseri viventi alle mutevoli condizioni
ambientali. Tali meccanismi non comportano però necessariamente un adattamento "perfetto".
Molte volte le specie non sopravvivono al mutamento ambientale e si estinguono.
2) Contro l'essenzialismo: le specie non rappresentano dei tipi fissi. La variabilità degli
individui di una stessa specie non indica deviazioni da un tipo ideale che costituisce l'essenza di
quella specie. Per Darwin, il concetto di 'tipo' rappresenta solo una astrazione, ciò che realmente
conta è la variabilità (Mayr, 1959).
3) Contro l'antropocentrismo: l'uomo non occupa una posizione privilegiata nella natura, ma è
a sua volta uno dei prodotti del cambiamento evolutivo. La storia biologica di Homo sapiens non
rappresenta che un piccolo segmento dell'albero della vita (Eldregde e Tattersal, 1984).
4) Contro il creazionismo e la teoria del disegno intelligente: l'adattamento degli organismi
non è il risultato del progetto di un creatore ma si produce dal graduale accumulo di modificazioni
positivamente selezionate nel corso delle generazioni. Il disegno intelligente, inoltre, non può
spiegare le imperfezioni e i piccoli difetti nell'adattamento che invece la teoria darwiniana
riconduce all'azione di bricoleur della selezione naturale, che interviene non creando ex novo, ma
modificando adattativamente entità biologiche già strutturate dalla loro precedente storia
filogenetica (Jacob, 1977; Sober, 2002).
2. ragioni epistemologiche
La teoria darwiniana nelle sue più recenti e raffinate versioni presenta aspetti epistemologicamente
molto forti.
1) L'interconnessione teorica: la teoria dell'evoluzione nata con Darwin ha fin dall'inizio
influenzato e raccolto sostegni da numerosissime discipline che sono andate moltiplicandosi con il
tempo, dall'anatomia comparata all'embriologia, dalla biologia molecolare alla biogeografia,
dall'etologia alla paleontologia.
2) La corroborazione empirica e la mancanza di confutazioni: la teoria darwiniana è corroborata
da milioni e milioni di fatti empirici e non sembra essercene di confutanti.
3) La capacità di predizione: esistono numerosi modelli di selezione naturale elaborati in biologia
oluzionistica in grado di predire che cosa avvenga in una popolazione, per lo meno nel breve
periodo, nell caso in cui si producano certe condizioni iniziali. Naturalmente la predizione è
possibile solo quando si conoscano con un certo dettaglio i parametri ambientali e la storia di una
popolazione. Quando questi sono noti, le previsioni nel breve periodo sono straordinariamente
esatte. Vi sono esempi clamorosi di ciò nel lavoro dei Grant sui "fringuelli di Darwin" alle
Galapagos (Grant e Grant, 2002). Ma la predittività caratterizza pure i modelli di evoluzione delle
cosiddette strategie evolutivamente stabili (Maynard Smith, 1982) e i modelli che riguardano il
rapporto numerico tra i sessi nelle popolazioni a riproduzione sessuale (Fisher, 1930).
4) La rivalutazione positiva della variabilità e della probabilità: la conseguenza epistemologica
dell'eliminazione dell'essenzialismo è un rinnovato interesse per la variabilità biologica e la sua
descrizione statistica. La distribuzione gaussiana non è qui vista come una "legge degli errori" che
mostra le deviazioni individuali rispetto a un tipo ideale. La variazione in una popolazione
rappresenta una risorsa evolutiva e non è un explanandum che richiede una spiegazione in termini
di cause provocanti uno scostamento dalla media normale, ma è un explanans dei fenomeni di
adattamento che si producono per il processo di selezione naturale, che mantiene e rinforza quella
parte di variabilità che ben si adatta alle condizioni ambientali e al loro mutamento e rigetta quella
che ne risulta sfavorita (Sober, 1980). Nella prospettiva della biologia evoluzionistica dello
21
sviluppo, peraltro, sarà proprio la variazione disponibile all'interno di una popolazione ad assumere
A ruolo di explanandum e a ciò contribuiranno insieme una conoscenza della variazione genica e
genotipica e la conoscenza dei meccanismi di sviluppo.”
Boniolo G., Giamo S., (a cura di), Filosofia e scienze della vita. Un’analisi dei fondamenti della
biologia e della biomedicina, Bruno Mondadori, Milano 2008, pp. 43-44.
12.
Sintesi del paradigma biologico
scienza
ontologia
epistemologia
principio
procedura
organizzazione
tempo
spazio
proiezione
argomentazioni
dominanti
PARADIGMA SCIENTIFICO
MODERNO
matematica, fisica
elemento semplice
distinzione soggetto-oggetto
distinzione teoria-osservatore
il tutto equivale alla somma delle
parti
scomposizione
riduzionismo
l’ordine deriva da leggi
gerarchia, pianificazione,
eterodeterminazione
riduzione agli elementi materiali
soggiacenti, riduzionismo
riduzione alle componenti
matematizzabili
reversibilità, invarianza temporale
dei processi
sequenza, algoritmo
prevedibilità
pianificazione
piccole variazioni -> piccoli
spostamenti
priorità della causa sull’effetto
argomento di causa
22
PARADIGMA BIOLOGICO
EMERGENTE
biologia, ecologia
sistema
descrizione sensibile al contesto
integrazione nel sistema di
osservatore - osservato
il tutto è più della somma delle parti
integrazione
emergentismo
ordine deriva da margini del caos
auto-organizzazione, auto-poiesi
olismo, sistemica
individuazione dell’organizzazione
funzionale
irreversibilità dei processi
rete
indeterminazione
ordine dal caos
sensibilità alle condizioni iniziali:
piccole variazioni ->grandi
spostamenti
proprietà emergente
argomento ad consequentiam
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