Malinowski e l`analisi funzionalista della cultura

annuncio pubblicitario
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
PREFAZIONE
La cultura rende possibile la trasformazione della natura.
Nel corso dell'evoluzione dell'uomo, si è verificato il passaggio da un adattamento genetico
all'ambiente naturale, a un adattamento culturale, per cui si è verificata una progressiva regressione
degli istinti, a favore della cultura. La cultura è più facilmente trasmissibile rispetto all'adattamento
genetico e permette all'uomo di adattarsi più facilmente all'ambiente e, allo stesso tempo, di adattare
l'ambiente ai propri bisogni.
La natura è plasmata dalla cultura
Tutte le popolazioni hanno lo stesso bagaglio genetico, e si differenziano solo per le loro scelte
culturali, cioè le diverse risposte che ciascuna popolazione dà ai bisogni fisiologici. Niente è
puramente naturale nell'uomo, ma è plasmato dalla cultura.
L'origine sociale della cultura
Nell'analisi del concetto di cultura, è importante studiare la sua evoluzione storica, perché dietro i
conflitti sulla definizione, si celano disaccordi sociali e nazionali.
Unità e diversità
Il concetto di cultura offre la possibilità di concepire l'unità dell'uomo nell'ambito della diversità dei
generi di vita e delle credenze, mettendo in rilievo l'unità o la diversità.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
1. ORIGINE SOCIALE DEL TERMINE E DELL'IDEA DI CULTURA
L'origine del termine cultura è strettamente legato al periodo storico e al contesto sociale e politico.
"Culture" (FRANCIA XVIII secolo): cultura al singolare, come carattere proprio dell'Uomo
(universalismo)
- Compare in Francia durante l'Illuminismo associata ad un oggetto (c. delle lettere, delle scienze...)
- impiegato per indicare la formazione, l'educazione dello spirito, come "azione di istruire"
- impiegato come condizione dell'individuo "che ha cultura"
- cultura come somma delle conoscenze accumulate e tramandate dall'umanità nel corso
dell'evoluzione: opposizione tra natura e cultura -> la cultura contraddistingue la specie umana; il
progresso nasce dalla cultura
- "civilizzazione" è utilizzato come sinonimo di cultura e sta a indicare i progressi collettivi, il processo
di riforma delle istituzioni e dell'educazione. Essa deve estendersi a tutta l'umanità e i popoli più
civilizzati hanno il dovere di aiutare i più arretrati a colmare il loro ritardo culturale. Il termine
civilizzazione è al primo posto nel vocabolario dei pensatori francesi, prima di cultura
Kultur (GERMANIA XVIII secolo) in opposizione a civilizzazione (opposizione sociale e nazionale)
Ha notevole successo in Germania perché viene adottata dalla borghesia, rappresentante dei valori
"spirituali" della scienza, l'arte, la filosofia, contro la superficialità dell'aristocrazia di corte, intenta ad
imitare i modi "civilizzati" della corte di Francia
- cultura rappresenta tutto ciò che è autentico e contribuisce all'arricchimento intellettuale e spirituale;
civilizzazione è tutto ciò che è apparenza, raffinatezza superficiale, leggerezza. La borghesia è l'unica
provvista di cultura, pertanto ha la missione di sviluppare e diffondere la cultura tedesca -> portavoce
della coscienza nazionale tedesca -> missione nazionale
- opposizione nazionale: civilizzazione rappresenta la Francia e, in senso più ampio, le potenze
occidentali (espressione di una nazione la cui unità appare riconosciuta da lungo tempo); cultura
rappresenta la profondità e spiritualità della cultura tedesca (senso di inferiorità della classe borghese e
della Germania, che cerca un'altra forma di legittimità sociale glorificando la propria cultura).
Le culture (al plurale): relativismo culturale di Herder (1774)
- Herder: contro l'universalismo uniformante dei Lumi, prende le difese della diversità delle culture e
dei popoli per restituire ad ogni popolo il suo orgoglio -> precursore del concetto relativistico di
cultura
GERMANIA XIX secolo: il concetto di "nazione"(concezione PARTICOLARISTA)
- dall'originalità della cultura tedesca, alla superiorità sulle altre culture -> nazionalismo
- cultura come espressione dell'animo profondo di un popolo, contrapposta a civilizzazione come
progresso materiale connesso allo sviluppo economico e tecnico.
- nazione come comunità di individui con la stessa origine (concezione etnico-razziale)
FRANCIA XIX secolo: cultura e civilizzazione sinonimi in senso collettivo (concezione
UNIVERSALISTA)
- il concetto di cultura indica un insieme di caratteri propri di una comunità.
- l'idea di unità della cultura umana prevale sulla consapevolezza della diversità (cultura francese,
tedesca...):- viene respinta la concezione di cultura prima di tutto nazionale e respingono la
contrapposizione tra cultura e civilizzazione
XX secolo: le parole come armi
- la contrapposizione politica si riflette nel dibattito ideologico: ai tedeschi che pretendono di difendere
la cultura, i francesi replicano ergendosi a difensori della civiltà.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
2. L'INVENZIONE DEL CONCETTO SCIENTIFICO DI CULTURA
L'etnologia
Il concetto di cultura fa la sua comparsa nell'ambito dell'etnologia nella considerazione del problema di
come concepire la diversità dei popoli nell'unità dell'umanità, senza utilizzare la spiegazione delle
"razze differenti".
Tylor e la concezione universalistica della cultura
La prima definizione di cultura viene data da Edward Burnett Tylor (1832-1917), fondatore
dell'antropologia britannica (assegnazione prima cattedra a Oxford nel 1883):
"La cultura, o civiltà, intesa nel suo senso etnografico più vasto, è quell'insieme complesso che
include le conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità
e abitudine che l'uomo acquisisce come membro di una società (1871)"
- definizione descrittiva e non normativa
- dimensione collettiva: la cultura è l'espressione della totalità della vita sociale dell'uomo (unità
psichica dell'umanità)
- la cultura si acquisisce, non è un'eredità biologica
- privilegia l'uso di "cultura" rispetto a civilizzazione, la cui etimologia rimanda alla costituzione delle
città e le realizzazioni materiali e quindi non si adatta alla descrizione della cultura delle popolazioni
"primitive"
- per spiegare le origini e l'evoluzione della cultura egli studia le "sopravvivenze" culturali e arriva alla
conclusione che la cultura dei popoli primitivi contemporanei rappresenta la cultura originale
dell'umanità
- evoluzionismo e continuità tra la cultura primitiva e la cultura più progredita; rifiuto della teoria
degenerativa dei primitivi (ogni popolo dà un contributo al progresso della cultura)
- utilizzo del metodo comparativo tra le culture per stabilire una scala degli stadi dell'evoluzione della
cultura.
- ipotesi diffusionista (contaminazione territoriale e culturale tra popoli vicini)
Boas e la concezione particolarista della cultura
Franz Boas (1858-1942) ebreo tedesco poi trasferitosi in USA, inventore dell'etnografia e del metodo
monografico in antropologia.
- fondatore del metodo induttivo e intensivo sul campo: antropologia come scienza di osservazione
diretta, senza la mediazione di informatori o traduttori o interviste.
- impegnato a demolire il concetto di razza, dimostrò che i tratti fisici specifici di un gruppo umano
non sono stabili, infatti negli immigrati i tratti morfologici si modificano nel corso di appena una
generazione a causa della sollecitazione dell'ambiente.
- adotterà il concetto di cultura per spiegare la diversità: la differenza tra gruppi umani è di ordine
culturale, non razziale: non ci sono differenze "di natura" ma solo "di cultura", dunque acquisite e non
innate
- elaborazione del concetto di relativismo culturale come principio metodologico, sfuggendo ad ogni
forma di etnocentrismo o preconcetti, e rifiutando il metodo comparativo degli antropologi
evoluzionisti
- concezione relativista della cultura: ogni cultura è unica, rappresenta una totalità eccezionale e
un'unità coesa, per cui ogni elemento può essere spiegato solo rapportandolo al contesto culturale di
cui fa parte.
- relativismo come principio etico che afferma la dignità e la tolleranza verso tutte le culture
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
L'idea di cultura nella ricerca francese agli esordi
La sociologia come disciplina scientifica nasce in Francia, ma paradossalmente costituirà un ritardo
nella costituzione dell’etnologia francese, ridotta a branca secondaria: la “questione sociale” domina e
annulla la “questione culturale”.
- il termine utilizzato non era cultura, legato al significato tradizionale, inteso in senso elitario e
individualistico (di persona colta), ma civiltà (civilisation):
-
in senso collettivo e universalistico, in accordo con l’Illuminismo
-
in nome della missione civilizzatrice della Francia
-
come strumento di propaganda contro la Germania che utilizzava il termine Kultur
- negli anni Trenta, con lo sviluppo da parte dell’etnologia di una certa autonomia dalla sociologia, si
diffonde l’uso del termine cultura, anche grazie al confronto con la pluralità culturale attraverso
l’introduzione del relativismo culturale.
- civiltà e cultura saranno utilizzati indistintamente in Francia fino agli anni Sessanta.
Durkheim e l'impostazione unitaria dei fatti culturali
Fondatore dell’antropologia francese, Durkheim (1858-1917) non usava quasi mai il concetto di
cultura ma se la utilizzava era sempre per riferirsi a fenomeni sociali, non culturali: a suo parere, i
fenomeni sociali hanno necessariamente una dimensione culturale perché sono anche fenomeni
simbolici.
- l’umanità è una, tutte le civiltà individuali danno un contributo alla civiltà umana.
- non ci sono differenze tra primitivi e civilizzati
Marcel Mauss: “la civiltà di un popolo non è altro che l’insieme dei suoi fenomeni sociali; e parlare di
popoli “naturali”, “senza civiltà” è parlare di cose che non esistono”(1901).
- rifiutava lo schema unilineare di evoluzione che sarebbe comune a tutte le società: lo sviluppo umano
non deve essere rappresentato su una linea, come se una civiltà fosse più avanzata di un’altra, ma come
un albero dai rami numerosi e divergenti. (ad es. la Cina – 1913)
- approccio relativistico: la normalità è relativa a ogni società e al suo grado di sviluppo, e la civiltà è
una credenza nazionalista e universalista
- “civiltà è un insieme di fenomeni sociali che non sono collegati ad un organismo sociale specifico;
essi si estendono su aree che oltrepassano un territorio nazionale, oppure si sviluppano in periodi di
tempo superiori alla storia di una sola società” (Durkheim e Mauss 1913)
- la civiltà non si confonde con l’umanità e il suo divenire, nemmeno con una nazione particolare; ciò
che esiste e si può osservare e studiare sono le diverse civiltà.
- in D. non c’è una teoria sistematica della cultura, in quanto la sua preoccupazione è di comprendere i
fenomeni sociali, tuttavia la sua concezione della società come totalità organica determinava la sua
concezione di cultura o civiltà: le civiltà costituiscono, per lui, dei “sistemi complessi e solidali”.
- contro l’individualismo, affermava la priorità della società sull’individuo
- la teoria della coscienza collettiva è una forma di teoria culturale, coscienza fatta di rappresentazioni
collettive, ideali, valori e sentimenti comuni a tutti gli individui. È la coscienza collettiva a realizzare
la coesione di una società.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
Lévi-Bruhl e l'impostazione differenziale
Lévi-Bruhl (1857-1939) fu uno dei primi studiosi francesi a studiare le culture primitive
- si interroga sulle differenze di mentalità (non di cultura, termine che non utilizza mai) che possono
esistere tra i popoli
- era contro l’idea di primitivo e quindi di evoluzionismo unilineare e la tesi del progresso mentale:
l’attività mentale dei primitivi non è una forma rudimentale di quella degli occidentali, anzi è
complessa e a suo modo sviluppata, normale nelle condizioni in cui si esercita.
- contesta la concezione secondo cui l’umanità è unica e risponde a un unico criterio di funzionamento.
- è stato screditato poiché dissentiva con gli intellettuali illuministi e i loro principi etici (universalismo
astratto)
- Dominique Merllié (1993) rivaluta questo autore:
-
se pure cercava di giustificare la differenza delle mentalità, questo non gli impediva di
affermare l’unità dello psichismo umano. Per lui, l’unità dell’umanità era più importante
della diversità e il concetto di mentalità primitiva non era altro che un mezzo per concepire
la differenza.
-
La comunità è possibile nonostante la differenza, perché tra due gruppi sono diversi i modi
di agire del pensiero, ma non le strutture psichiche profonde in quanto tali.
-
Pensava che mentalità prelogica (o primitiva) e mentalità logica non fossero incompatibili e
coesistessero in ogni società.
-
Ricorrendo al concetto di mentalità, non pretendeva quindi che i sistemi di rappresentazione
e i metodi di ragionamento all’interno di una stessa cultura formassero un insieme
perfettamente stabile e omogeneo. Al contrario, intendeva indicare in questo modo
l’orientamento generale di una cultura determinata.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
3. IL TRIONFO DEL CONCETTO DI CULTURA
La consacrazione scientifica del concetto di cultura avviene negli Stati Uniti, dove l’antropologia
culturale si sviluppa maggiormente.
Le ragioni del successo
-
federalismo culturale: la nazione è multietnica per via dell’immigrazione: l’americano di
per sé è un immigrato o discendente di immigrati; le culture particolari, tuttavia, non sono
la semplice riproduzione delle culture di origine, ma il loro adattamento e la loro
reinterpretazione in funzione del nuovo ambiente sociale e nazionale.
-
La nascente sociologia americana privilegia la ricerca sul fenomeno dell’immigrazione e
delle relazioni interetniche (la Francia, invece, non si considera un paese d’immigrazione)
-
Il contesto specifico degli Stati Uniti ha favorito un’interrogazione sistematica sulle
differenze culturali e sui contatti tra le culture
-
L’antropologia americana viene definita “culturalista” e si può raggruppare in tre correnti:
1. esamina la cultura dal punto di vista della storia culturale (deriva da Boas)
2. si occupa di chiarire i rapporti tra cultura (collettiva) e personalità (individuale)
3. considera la cultura come un sistema di comunicazione tra gli individui
L'eredità di Boas: la storia culturale
I discepoli di Boas prenderanno in considerazione soprattutto la ricerca sulla dimensione storica,
utilizzando due nozioni:
-
tratto culturale: definisce le più piccole componenti di una cultura, studiando la loro
ripartizione spaziale
-
area culturale: se appare una convergenza di tratti simili in un dato spazio, si parla di area
culturale, che rappresenta le caratteristiche fondamentali di una cultura, il suo centro.
Questo concetto funziona bene nelle culture in cui area geografica e area culturale
coincidono, ma non è sempre così.
A loro si deve il concetto di modello culturale (cultural pattern) che indica l’insieme strutturato dei
meccanismi per i quali una cultura si adatta al suo ambiente, nozione che verrà approfondita dalla
scuola di cultura e personalità
Malinowski e l'analisi funzionalista della cultura
Malinowski (1884-1942) antropologo inglese, propone il funzionalismo orientato al presente, contro
l’evoluzionismo rivolto al futuro e contro il diffusionismo rivolto al passato: attenersi all’osservazione
diretta delle culture allo stato attuale, senza cercare di risalire alle loro origini, perché non sarebbe
suscettibile di prova scientifica.
-
Contro l’impostazione museografica dei fatti culturali (tratti da collezionare ma non da
interpretare secondo la funzione che svolgono nella totalità di una cultura)
-
La cultura forma un sistema in cui gli elementi sono interdipendenti, ognuno ha una
determinata funzione
-
Ogni cultura tende a conservarsi identica a se stessa perché costituisce un sistema coerente,
equilibrato e razionale
-
Il cambiamento culturale può essere dovuto solo al contatto culturale con l’esterno
-
“teoria dei bisogni”: la cultura serve a soddisfare i bisogni primari dell’uomo attraverso le
istituzioni, soluzioni organizzate ai bisogni individuali -> concezione “biologizzante” della
cultura
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
-
oggetto dell’antropologia non sono i tratti culturali, ma le istituzioni e il rapporto tra le
istituzioni e il sistema culturale nel quale esse sono integrate: le istituzioni sono gli elementi
concreti della cultura
-
osservazione partecipante: non si può studiare una cultura guardandola dall’esterno o a
distanza
-
limite del funzionalismo: non coglie le contraddizioni culturali interne, le disfunzioni e i
fenomeni culturali patologici
La scuola di "cultura e personalità"
-
gli antropologi americani, fino agli anni trenta tesi a interpretare le differenze culturali tra
gruppi umani, cambiano direzione e iniziano a studiare la cultura in rapporto agli esseri
umani
-
La cultura non può essere definita se non attraverso gli uomini che la vivono. L’individuo e
la cultura vengono concepiti come due realtà distinte ma indissociabili che agiscono l’una
sull’altra: non si può comprendere l’una se non in rapporto all’altro
-
La scuola di cultura e personalità si pone il problema della personalità: gli autori si
domandano per quale meccanismo di trasformazione individui aventi all’inizio una identica
cultura, finiscono per acquisire diverse personalità caratteristiche di gruppi particolari: la
loro ipotesi fondamentale è che alla pluralità delle culture debba corrispondere una pluralità
di tipi di personalità
-
Edward Sapir (1884–1939) afferma che non esistono i tratti culturali, che passano tali e
quali da una cultura all’altra e indipendentemente dagli individui, ma esistono i
comportamenti concreti degli individui, propri di ciascuna cultura
-
Ruth Benedict (1887-1948), allieva e poi assistente di Boas, si dedica alla definizione dei
tipi culturali che si caratterizzano per le scelte che compiono tra tutte le scelte possibili a
priori. Ad ogni cultura corrisponde un tipo culturale
-
Ruth Benedict è celebre per l’uso sistematico del concetto di pattern of culture (modello
culturale): ogni cultura si distingue per un certo modello, configurazione. Ciò implica l’idea
di una totalità omogenea e coerente.
-
Per Ruth Benedict, ogni cultura è coerente perché persegue i suoi scopi all’insaputa degli
individui ma attraverso di essi, grazie alle istituzioni che guidano i loro comportamenti in
conformità con i valori dominanti che le sono propri.
-
La cultura non è un insieme di tratti culturali, ma è un orientamento, un pattern coerente di
pensiero e d’azione; ogni cultura offre agli individui uno schema inconsapevole per tutte le
attività della vita
-
Configurazione culturale: Ruth Benedict studiò due modelli culturali contrastanti
riconducendoli a: tipo apollineo (gli Indiani pueblo del Nuovo Messico: conformisti,
pacifici, solidali) e tipo dionisiaco (indiani delle pianure: ambiziosi, individualisti,
aggressivi, violenti)
-
Margaret Mead (1901-1978) orienta le sue ricerche verso il processo di trasmissione
culturale e di socializzazione della personalità, analizzando diversi modelli di educazione
-
Mead dimostra che esiste uno stretto legame tra modello culturale, metodo di educazione e
tipo di personalità dominante. Mead dimostra che la personalità individuale non si definisce
attraverso i caratteri biologici, bensì attraverso il modello culturale distintivo di una data
società che determina l’educazione del bambino
-
Con il processo di “inculturazione”, l’individuo è influenzato dal modello mediante un
sistema di stimolazioni e divieti più o meno espliciti, che lo conducono, una volta adulto, a
conformasi inconsapevolmente ai principi fondamentali della cultura
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
-
Linton (1893-1953) definisce la personalità di base come l’insieme dei tratti comuni a tutti
i membri di una stessa cultura. Egli cerca di dimostrare che in ogni cultura c’è un tipo di
personalità di base che viene riconosciuta socialmente come “normale”, cioè conforme alla
norma culturale
-
Tuttavia Linton cerca di andare oltre una concezione troppo sterotipata della personalità di
base, affermando che, in una stessa cultura, possono coesistere diversi tipi “normali” di
personalità, così come coesistono in molte cultura svariati sistemi di valori
-
Kardiner (1891-1981) studia i processi educativi tramite cui si acquisisce la personalità di
base. La personalità di base si forma attraverso le istituzioni primarie (scuola e famiglia);
questa personalità di base si ripercuote poi sulla cultura del gruppo, producendo, in una
sorta di meccanismo di proiezione, le istituzioni secondarie(sistema di valori e di credenze)
che compensano le frustrazioni suscitate dalle istituzioni primarie e portano la cultura ad
evolversi poco a poco
-
Kardiner definisce la personalità di base come una configurazione psicologica particolare,
propria dei membri di una determinata società, che si manifesta attraverso un certo stile di
comportamento sul quale gli individui intessono le singole varianti.
-
Conclusioni di Linton e Kardiner: ciascun individuo, avendo tratti unici, contribuisce a
modificare la propria cultura e quindi la personalità di base, creando e innovando. Ogni
individuo ha il suo modo di interiorizzare e di vivere la cultura, pur essendone
profondamente segnato. L’accumulo di variazioni individuali (le personalità di status, che
sono le diversificazioni di una stessa personalità di base a seconda del ruolo sociale che
ricopre) a partire dalla comune personalità di base, permette di spiegare l’evoluzione
interna di una cultura. (approccio dinamico)
Le lezioni dell'antropologia culturale americana
I culturalisti sono stati oggetto di molte critiche riguardo a questi aspetti:
-
Carattere globalizzante: viene criticato il culturalismo in quanto sistema teorico unificato,
ma invece i culturalisti spesso si criticavano tra di loro e sarebbe più corretto parlare di
“culturalismi”
-
Essenzialismo o sostanzialismo: concepire la cultura come una realtà a sé. E’ una critica che
andrebbe rivolta solo a Kroeber, che considerava la cultura come un organismo autonomo,
indipendente dagli individui e soggetto a leggi proprie. Margaret Mead, ad esempio,
afferma che la cultura è un’astrazione, ad esistere sono gli individui che danno vita alla
cultura; l’antropologo non può osservare la cultura, ma solo i comportamenti.
-
Concezione statica e stereotipata della cultura. In realtà i culturalisti sono interessati alle
evoluzioni culturali che si realizzano tramite le reinterpretazioni individuali dovute alle
variazioni individuali nell’acquisizione della cultura.
-
Impostazione relativista delle culture, che pone l’accento sulla pluralità delle culture,
piuttosto che sull’unità della cultura. Ogni cultura è a sé, pertanto deve essere studiata
separatamente, nella sua totalità specifica. Non è chiaro se è soltanto un’esigenza
metodologica (Boas) o anche una concezione teorica
-
Definizione della natura della cultura, questione ancora aperta perché non sono riusciti a
definirla
Meriti della scuola di cultura e personalità:
-
hanno messo in evidenza la coerenza di ogni sistema culturale, ciascuno è espressione
particolare i un’umanità unica ma tanto autentica quanto le altre, non si tratta di
selvatichezza o arretratezza
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
-
hanno contribuito ad eliminare le confusioni tra ciò che è naturale e ciò che dipende dalla
cultura, dimostrando che il corpo è influenzato dalla cultura e che qualunque pratica,
all’apparenza naturale (dormire, mangiare, camminare), è trasformata dalla cultura
-
sottolineato l’importanza dell’educazione nel processo di differenziazione culturale, in
quanto l’uomo non ha un programma genetico che guidi il suo comportamento. Le
differenze tra i gruppi umani sono dovuti ai diversi sistemi di educazione, in particolare il
metodo di allevamento dei lattanti
Lévi-Strauss e l'analisi strutturale della cultura
Lévi-Strauss, l’unico antropologo culturale francese, fu influenzato dai culturalisti americani, in
particolare Boas, Kroeber e Benedict.
Da Ruth Benedict deriva quattro idee essenziali:
1. le culture sono definite da un determinato modello (pattern)
2. esiste un numero limitato di tipi di culture possibili, tra cui gli individui scelgono
3. lo studio delle società primitive è il miglior metodo per determinare le combinazioni possibili
tra gli elementi culturali
4. queste combinazioni possono essere studiate per se stesse, indipendentemente dagli individui
che sono inconsapevoli
Lévi-Strauss si discosta dagli antropologi americani andando oltre l’approccio particolarista, studiando
quindi l’invariabilità della cultura in quanto patrimonio comune dell’umanità al quale le culture
particolari attingono per elaborare i loro modelli specifici
-
Lévi-Strauss ha l’ambizione di individuare e registrare gli invarianti, cioè quei materiali
culturali sempre identici da una cultura all’altra, regole universali che sono anche principi
indispensabili della vita in società (es. la proibizione dell’incesto, presente in tutte le
culture)
-
Lévi-Strauss cerca di ritrovare ciò che è necessario alla vita sociale, cioè gli universali
culturali, gli “a priori” di ogni società umana.
-
Per rappresentare come nasce la diversità delle culture oltre l’invariabilità dei principi
fondamentali, Lévi-Strauss utilizza la metafora del gioco delle carte: l’uomo è come un
giocatore che prende in mano delle carte, che sono il risultato di una distribuzione casuale
che si compie all’insaputa dei giocatori. Ogni giocatore, poi, interpreta le carte che ha in
mano in base alle regole del gioco o in base a una tattica, pertanto giocatori diversi
giocheranno una diversa partita pur avendo le stesse carte
Culturalismo e sociologia: le nozioni di "subcultura" e di "socializzazione"
Già i sociologi fondatori della Scuola di Chicago erano molto sensibile alla dimensione culturale dei
rapporti sociali:
-
Thomas si interessava all’impatto della cultura d’origine degli immigrati sull’inserimento
di questi ultimi nella società di accoglienza
-
Park formula la definizione di “uomo marginale”, l’uomo straniero che presenta i caratteri
sia del sistema culturale d’appartenenza che di quello della società di accoglienza
Ma il notevole sviluppo dell’antropologia culturale americana negli anni Trenta avrà un grande impatto
sulla sociologia: la sociologia desume i suoi metodi dall’antropologia e l’antropologia desume i terreni
dalla sociologia
I sociologi affronteranno lo studio delle comunità urbane come gli antropologi studiano una comunità
indigena: i sociologi partono dall’ipotesi che la comunità formi un microcosmo rappresentativo della
società intera alla quale appartiene, che permette di comprendere la totalità della sua cultura: obiettivo
di definire la cultura americana nella sua globalità (Robert Lynd).
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
-
creazione del concetto di subcultura: all’interno della società americana, ciascun gruppo
sociale ha i caratteri di una subcultura particolare
-
differenziazione in base alla personalità di status
-
i fenomeni di contro-cultura (ad es. hippy) sono una forma di manipolazione della cultura
globale di riferimento a cui pretendono di opporsi, ma invece di indebolire il sistema
contribuiscono a rinnovarlo e a sviluppare la sua dinamica individuale. Sono solo subculture in quanto non producono culture alternative a quella che denunciano.
-
Nozione di socializzazione, intesa come processo di integrazione di un individuo a una
società data tramite l’interiorizzazione dei modi di pensare, sentire, agire (dei modelli
culturali)
-
Durkheim si interessa a capire come un individuo diventa membro della sua società e come
si produce la sua identificazione con essa: attraverso l’educazione, cioè trasmettendo
l’insieme di norme sociali e culturali che assicurano la solidarietà tra i membri, che essi
sono costretti a seguire, assicurando la continuità del sistema culturale
-
Parsons: la famiglia svolge un ruolo preponderante nel processo di socializzazione, che si
compie con l’adolescenza.
-
Socializzazione = condizionamento / addestramento. Se la socializzazione non riesce,
l’individuo tenderà verso la delinquenza, mentre la conformità alle norme e ai valori della
società lo condurrà ad un adattamento al sistema sociale
-
preminenza della società sull’individuo
-
Berger e Luckmann distinguono socializzazione primaria (durante l’infanzia) e
socializzazione secondaria (in età adulta, che può essere un prolungamento di quella
primaria o una frattura in caso di shock biografici). La socializzazione non è mai conclusa,
che può conoscere fasi di desocializzazione (rottura con il modello di integrazione
normativa) e di risocializzazione (sulla base di un altro modello interiorizzato)
-
Merton, partendo dalla distinzione tra gruppo d’appartenenza e gruppo di riferimento,
formula il concetto di socializzazione anticipata, cioè il processo per il quale un individuo
interiorizza in anticipo le norme e i valori di un gruppo di riferimento al quale ancora non
appartiene ma desidera inserirsi
L'impostazione interazionista della cultura
-
Sapir fu uno dei primi a considerare la cultura come un sistema di comunicazione
interindividuale: la cultura è un insieme di significati che gli individui di un dato gruppo si
comunicano attraverso le interazioni.
-
Negli anni Cinquanta si sviluppa l’antropologia della comunicazione (Bateson, scuola di
Palo Alto), che tiene conto sia della comunicazione verbale che di quella non verbale: la
comunicazione non è concepita come un rapporto da emittente a ricevente, ma come il
risultato di situazione di interazione durevole tra un gruppo di individui.
-
Non è sufficiente descrivere le interazioni, ma bisogna considerare anche il loro contesto,
che impone determinate regole e convenzioni.
-
La pluralità dei contesti di interazione chiarisce il carattere molteplice e instabile di ogni
cultura e anche i comportamenti apparentemente contraddittori di un individuo
-
Consente di concepire l’eterogeneità di una cultura, contro l’illusione di un’omogeneità
-
Mette in discussione la contrapposizione tra cultura e sub-cultura, in quanto la sub-cultura
non è una variante della cultura globale che preesiste. Non c’è una gerarchia in cui la
cultura globale viene prima, ma quella che viene prima è la cultura locale, che unisce gli
individui in un’interazione immediata. La cultura globale viene fuori dall’intersezione delle
presunte subculture.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
4. LO STUDIO DELLE RELAZIONI TRA LE CULTURE E IL RINNOVAMENTO DEL
CONCETTO DI CULTURA
La "superstizione del primitivo"
Sui fenomeni di contatti culturali, cioè sull’incrocio delle culture, sono stati fatti pochi lavori.
Secondo Roger Bastide (1968), che si oppone all’impostazione durkheimiana dell’evoluzione della
cultura, cosa che sarebbe stata responsabile del ritardo della ricerca francese nell’ambito
dell’acculturazione, la causa è l’interesse degli etnologi alle culture “primitive”, cedendo alla
superstizione del primitivo: preferivano dare la precedenza allo studio delle culture arcaiche, perché le
ritenevano le forme elementari delle culture complesse. Inoltre, esse venivano preferite perché poco
contaminate da altre culture e quindi presentavano il loro aspetto originario.
Il meticciato delle culture veniva visto come un fenomeno negativo, quasi patologico, che ne alterava
la purezza originaria e ostacolava il lavoro del ricercatore.
Herskovits è uno dei principali inventori del concetto di acculturazione, proprio perché lascia gli studi
sugli indiani e si dedica all’analisi della cultura dei neri discendenti dagli schiavi africani.
La sua ricerca delle origini africane delle culture nere americane, lo porta a considerare i fenomeni di
sincretismo culturale.
L'invenzione del concetto di acculturazione
Il sostantivo acculturazione sembra sia stato introdotto nel 1880 da J.W. Powell, antropologo
americano, per definire la trasformazione dei modi di vivere e di pensare degli immigrati a contatto
con la società americana, ma solo negli anni Trenta verrà proposta una definizione concettuale.
Nel 1936 il Consiglio della ricerca delle scienze sociali degli USA crea un comitato incaricato di
organizzare la ricerca sui fenomeni di acculturazione.
Del comitato fanno parte: Robert Redfield, Ralph Linton e Melville Herskovits.
Nel “Memorandum on the Study of Acculturation” del 1936, si definisce acculturazione quell’insieme
dei fenomeni che si verificano quando gruppi di persone di culture diverse entrano in un contatto
diverso e continuo con modificazioni conseguenti nei modelli culturali di uno o di entrambi i gruppi.
Si deve distinguere l’acculturazione dal cambiamento culturale, che invece può anche risultare da
cause esterne.
Si deve distinguere l’acculturazione dall’assimilazione, che è la fase ultima dell’acculturazione,
raramente raggiunta, che implica la scomparsa totale della cultura d’origine e l’interiorizzazione
completa della cultura dominante.
Si deve distinguere l’acculturazione dalla diffusione, che è solo un aspetto del processo di
acculturazione e può avvenire anche senza contatto continuo e diretto.
Nel Memorandum vengono elaborati i tipi di contatti culturali a seconda di:
I contatti avvengano tra interi gruppi o tra un’intera popolazione e un gruppo (es.
o
coloni)
o
I contatti siano amichevoli o ostili
o
La dimensione dei gruppi
o
Il livello di complessità delle culture dei gruppi
o
I contatti risultino dalla colonizzazione o dall’immigrazione
Vengono poi esaminate le situazioni di dominazione e subordinazione nelle quali si può produrre
l’acculturazione, le forme di integrazione degli elementi nuovi nel modello culturale d’origine, le
conseguenze dell’acculturazione, compresi i movimenti di contro-acculturazione
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
-
Sapir spiega che il processo di acculturazione non è una semplice conversione a un’altra cultura e
non comporta necessariamente la scomparsa della cultura che acquisisce, né la modificazione della
sua logica interna, che può rimanere predominante. La trasformazione della cultura iniziale
avviene per mezzo di una selezione di elementi culturali presi in prestito, e questa selezione si
compie da sé, secondo la “tendenza” profonda della cultura che acquisisce.
-
Herskovits propone il concetto di “reinterpretazione” definito come il processo per il quale
significati antichi vengono attribuiti ad elementi nuovi o per il quale nuovi valori cambiano il
significato culturale di forme antiche. (come il calcio nella tribù della Nuova Guinea, che acquista
il significato di rituale per rinforzare la solidarietà e non per affermare lo spirito di competizione)
-
Legge generale: gli elementi non simbolici (tecnici e materiali) di una cultura sono più facilmente
trasferibili degli elementi simbolici (ideologici, religiosi)
-
Barnett distingue: forma, funzione e significato dei tratti culturali:
o Più la forma è strana, più è difficile accettarla
o Le forme si trasferiscono più facilmente delle funzioni
o Un tratto culturale sarà maggiormente accettato se può assumere un significato in
accordo con la cultura ricevente (concetto di reinterpretazione di Herskovits)
Teoria dell'acculturazione e culturalismo
La teoria dell’acculturazione e il culturalismo hanno spesso gli stessi limiti e le stesse ambiguità, come
il considerare i tratti culturali separatamente e non come parte di un sistema.
Psicologismo: sono gli individui ad entrare in contatto tra loro, non le culture. In realtà, però, gli
individui non esistono mai e in nessun luogo in modo totalmente autonomo, ma fanno parte di gruppi
sociali. Quindi non si può comprendere il processo di acculturazione riferendosi unicamente alla loro
psicologia individuale, si deve tener conto anche delle costrizioni sociali che incombono su di loro e
del contesto sociale e storico che influisce sulle personalità individuali.
Roger Bastide e i quadri sociali dell'acculturazione
Roger Bastide (1898-1974) ricercatore afro-americanista e professore alla Sorbona, che ha portato in
Europa l’antropologia americana dell’acculturazione.
-
Critica l’assenza della relazione tra culturale e sociale, riducendo i fatti sociali a fatti
culturali. Le relazioni culturali devono essere studiate all’interno delle relazioni sociali, che
possono favorire relazioni di competizione, integrazione, conflitto, nelle quali si producono
i fenomeni culturali di sincretismo, meticciato culturale, assimilazione…
-
Evidenzia il fenomeno di reazione a catena: ogni cambiamento culturale produce degli
effetti secondari non previsti che non potranno essere evitati (es. l’introduzione del denaro
nelle società tradizionali africane, ha determinato sconvolgimenti nel sistema degli scambi
matrimoniali
-
I fatti di acculturazione riguardano tutti i livelli della realtà sociale e culturale.
-
In genere, i fallimenti di molte operazioni di sviluppo non sono dovuti a una presunta
resistenza al cambiamento, ma piuttosto al fatto che gli “esperti” ignorano le razionalità
proprie delle popolazioni sulle quali hanno deciso di agire.
-
È nato il termine “etnocidio” che indica la distruzione sistematica della cultura di un
gruppo, cioè l’eliminazione con tutti i mezzi non solo dei suoi modi di vita, ma anche dei
modi di pensare. Si tratta di una deculturazione volontaria e programmata.
-
Spesso si fa confusione tra etnocidio e acculturazione: l’acculturazione, anche quella
imposta, non si riduce mai a una semplice deculturazione e non comporta necessariamente
l’assimilazione che, quando si produce, non deriva per forza dall’etnocidio, ma può essere
anche una scelta volontaria.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
-
Bastide propone i termini di interpenetrazione o incrocio di culture, per sottolineare che non
esistono gruppi unicamente dominanti e gruppi unicamente dominati, pertanto
l’acculturazione è raramente simmetrica e spesso reciproca, mai a senso unico.
-
Anche Bastide definisce una tipologia, partendo da tre criteri fondamentali:
1) Criterio Generale: è la presenza/assenza di manipolazioni delle realtà culturali e sociali.
Si possono presentare 3 situazioni tipo:
i. Acculturazione spontanea o naturale (dovuta semplicemente al contatto)
ii. Acculturazione organizzata ma forzata (colonizzazione, schiavitù)
iii. Acculturazione pianificata, sistematica e a lungo termine (neocolonialismo in
regime capitalista, cultura proletaria in regime comunista)
2) Criterio Culturale: è la relativa omogeneità/eterogeneità delle culture
3) Criterio Sociale: è la relativa apertura/chiusura delle società in contatto (permeabilità)
Combinando i tre criteri si ottengono 12 tipi di situazioni di contatti culturali, che
presentano ciascuno un aspetto generale, culturale e sociale.
-
Bastide non si limita alla classificazione dei fenomeni di acculturazione, ma cerca anche si
spiegarli, analizzando i fattori che possono influenzarli:
o Fattore demografico (le dimensioni dei gruppi; la struttura della popolazione)
o Fattore ecologico (ambiente in cui ha luogo il contatto)
o Fattore etnico (struttura delle relazioni interetniche: paternaliste/concorrenziali)
In ogni processo di acculturazione entrano in rapporto dialettico due causalità: la causalità interna, che
è il particolare modo di agire, la logica propria di una cultura; essa può favorire o impedire
cambiamenti culturali esogeni; la causalità esterna, invece, legata al cambiamento esogeno, può agire
solo attraverso la causalità interna. La causalità esterna (un fattore esterno) può provocare un
cambiamento e stimolare la causalità interna, affinché reagisca per ritrovare una certa coerenza.
- Bastide creò il concetto del principio dissociazione, per indicare che persone che vivono in
una società pluriculturale, suddividono l’universo sociale in un certo numero di
compartimenti stagni, nei quali hanno partecipazioni di ordine diverso che, proprio per
questo motivo, non sentono contraddittorie. Quindi l’uomo marginale non è l’uomo che
vive tra due universi sociali e culturali, ma in ciascuno dei due universi, senza metterli in
comunicazione.
-
Il principio di dissociazione si manifesta di solito nei gruppi minoritari, per i quali
costituisce un meccanismo di difesa dell’identità culturale: l’intelligenza può essere
occidentalizzata mentre l’affettività resta indigena, o viceversa.
-
Bastide oppone alla concezione pessimista dominante, una concezione ottimista della
marginalità culturale: gli uomini in situazione di marginalità culturale sono spesso
particolarmente creativi, adattabili e possono diventare leader del cambiamento sociale e
culturale.
-
Il principio di dissociazione consente di concepire la mutazione culturale, la discontinuità, e
non solo il cambiamento nella continuità, come si sforzavano di fare i culturalisti.
Il rinnovamento del concetto di cultura
-
Secondo Bastide, il processo di distruzione è spesso un fenomeno positivo, perché può agire
come causa di ricostruzione culturale (ad es. gli afro-americani a, a causa dei secoli di
schiavitù, cioè di destrutturazione sociale e culturale, hanno creato culture originali e
dinamiche.
In questo Bastide si oppone a Lévi-Strauss e al suo strutturalismo, secondo cui la
deculturazione può produrre solo decadenza culturale.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
A volte possono predominare i fattori di destrutturazione che impediscono qualsiasi
ristrutturazione culturale, che determina un disorientamento che si traduce in patologie mentali
e condotte delinquenziali. Ma il più delle volte porta a una ricomposizione culturale.
L’acculturazione può essere:
-
Formale: quando la mutazione interessa le “forme” dello psichismo, cioè le strutture
dell’inconscio plasmate dalla cultura
Materiale: quando interessa solo i contenuti della coscienza psichica (i valori, le sue
rappresentazioni, rituali, miti…)
Può prodursi anche il fenomeno di contro-acculturazione, cioè una reazione disperata
all’acculturazione formale. È un tentativo di ritorno alle origini (fondamentalisti) ma spesso, senza
rendersene conto, questi movimenti traggono i loro modelli di organizzazione dalla cultura dominante
che pretendono di combattere. E’ impossibile una contro-acculturazione formale, tutto quello che si
riesce a fare è limitare gli effetti dell’acculturazione materiale. La contro-acculturazione, invece di
essere un ritorno alle origini, come vorrebbe, è in realtà solo un modello tra gli altri di nuova
strutturazione culturale.
Le ricerche sul processo di acculturazione hanno profondamente rinnovato la concezione che gli
studiosi avevano della cultura.
Non si parte più dalla cultura per comprendere l’acculturazione. Non c’è cultura che non abbia mai
sperimentato la minima influenza esterna. La cultura è un processo permanente di costruzione,
distruzione e ricostruzione: sarebbe corretto parlare di culturazione più che di cultura per indicare
questa dimensione dinamica.
La cultura viene intesa come un insieme dinamico, e gli elementi che compongono una cultura non
sono mai totalmente integrati tra loro, ma c’è sempre un po’ di margine che dà agli individui e ai
gruppi la libertà di “manipolare” la cultura.
Di conseguenza non ci sono culture “pure” e culture “meticce”, sono tutte collocate a diversi livelli di
culture “miste”.
Inoltre, differenziare le culture considerandole entità separate, può essere utile dal punto di vista
metodologico, ma è difficile capire dove finisce una cultura e inizia l’altra. Non c’è una vera
discontinuità tra le culture che a poco a poco entrano in contatto tra loro. Le culture particolari non
sono completamente estranee le une alle altre, anche quando accentuano le loro differenze per meglio
affermarsi e distinguersi. Il ricercatore deve perciò avere un approccio “continuista”.
Il rinnovamento degli studi sui contatti culturali
Oggi il concetto di acculturazione è stato banalizzato e indica il fenomeno per cui un modello
culturale si impone su un altro, provocando una perdita culturale.
Recentemente è stato introdotto il termine “meticciato” che indica quello che prima era contenuto nel
termine “acculturazione”. Per alcuni autori, il meticciato è una forma particolare di mescolanza
culturale in cui, contrariamente al sincretismo, le sue componenti conservano la propria integrità. Il
meticciato non è la fusione ma il confronto e il dialogo costantemente in movimento (Laplantine e
Nouss, 1995)
Gli studiosi delle Antille hanno introdotto il termine “creolizzazione”, adottato dagli antropologi per
rendere conto della formazione di culture sincretiche ai Caraibi.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
5. GERARCHIE SOCIALI E GERARCHIE CULTURALI
La cultura è una produzione storica, pertanto per analizzare un sistema culturale è necessario
analizzare la situazione socio-storica.
Storicamente avviene prima il contatto e poi il meccanismo della distinzione: ogni collettività, per
difendere la sua specificità, tende ad accentuare e valorizzare un insieme di differenze culturali.
Poiché le culture dipendono dai rapporti sociali, che non sono mai egualitari, anche le culture hanno
una gerarchia tra le culture, che dipende dalle gerarchie sociali.
Cultura dominante e cultura dominata
La cultura della classe dominante è sempre la cultura dominante. Questo non significa che essa abbia
una superiorità intrinseca che le permetterebbe di dominare “naturalmente” le altre culture. La forza
delle culture dipende direttamente dalla forza sociale dei gruppi che la sostengono.
La cultura dominata, non è per forza la cutlura alienata, totalmente dipendente, in quanto anche se non
può non tener conto della cultura dominante, può resistere all’imposizione culturale dominante. Una
cultura dominante non può imporsi in modo assoluto ad una cultura dominata come può fare un gruppo
nei riguardi di un altro più debole. La dominazione culturale deve fare i conti con un lavoro di
inserimento i cui risultati non sono mai univoci, talvolta di parla di “effetti perversi” contrari alle attese
dei dominanti.
Le culture popolari
La definizione di cultura popolare risente di un’ambiguità semantica: gli autori che ricorrono a questa
espressione non danno tutti la stessa definizione di cultura e di popolare.
Ci sono due tesi estreme:
1) tesi minimalista: non riconosce alle culture popolari alcuna creatività, poiché derivano dalla
cultura dominante, che corrisponde alla cultura centrale. Le culture popolari sono culture
marginali, sottoprodotti incompiuti della cultura centrale, e le differenze con la cultura centrale
sono considerate mancanze, deformazioni, incomprensioni.
2) tesi massimalista: le culture popolari sono uguali o addirittura superiori alla cultura delle élite.
Sono culture autentiche e completamente autonome.
Le culture popolari, in realtà, sono una via di mezzo tra le due tesi: non sono né completamente
dipendenti, né completamente autonome. Sono, come tutte le culture, un insieme di elementi originali
e presi in prestito.
Le culture popolari sono culture di gruppi sociali subalterni. Nascono in una situazione di dominio
come culture di contestazione, reagiscono all’imposizione culturale per mezzo della derisione,
provocazione, il folklore. Insistere troppo su questa dimensione “reattiva”, rischia di negare qualsiasi
creatività autonoma alle culture popolari. Ma le culture popolari non sono perennemente impegnate a
contestare. Senza dimenticare la situazione di dominio, è più esatto considerare la cultura popolare un
insieme di modi di confrontarsi con questo dominio, piuttosto che come una resistenza sistematica ad
esso.
Michel de Certeau definisce la cultura popolare la cultura “ordinaria”, cioè quella che si crea giorno
per giorno, nelle attività quotidiane.
La creatività sta nell’ingegnosità, nell’uso che fanno della produzione di massa, i modi di utilizzare i
prodotti imposti dall’ordine economico dominante. La cultura popolare è una cultura di consumo. Il
consumatore non può essere identificato a seconda dei prodotti che compra, perché occorre considerare
l’utilizzo che ne fa. Attraverso queste abilità (bricolage, recupero..) i consumatori diffondono un altro
senso dell’esistenza rispetto a quello progettato nei prodotti standardizzati.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
Questo dimostra che una cultura dominata, devesempre confrontarsi con quello che la cultura
dominante le impone, ma questo non le impedisce di essere una cultura a tutti gli effetti, fondata su
valori e pratiche originali, che danno senso all’esistenza.
Nella cultura popolare c’è un’ambivalenza: essa è allo stesso tempo cultura di accettazione e
negazione. Ad esempio il bricolage può essere intepretato come prolungamento dell’alienazione del
lavoro (l’uomo deve costruire ciò che non può comprarsi oppure utilizza il tempo libero come tempo di
lavoro) oppure come creazione libera (l’uomo è padrone del proprio tempo libero e dell’utilizzazione
del prodotto finale. Il bricolage è uno spazio di autonomia in un universo di costrizioni, ma anche
espressione della noia, della prestazione faticosa e del piacere dell’iniziativa, della costrizione così
come della libertà.
* Lévi-Strauss ha applicato il concetto di bricolage ai fatti culturali e in particolare ai miti:
contrapposto all’invenzione tecnica fondata sulla conoscenza scientifica, il bricolage si basa sulla
creatività mitica, che esamina le possibili configurazioni che si possono dare a partire da un numero
limitato di elementi “pre-trattati”, creando un nuovo oggetto con un nuovo significato.
* Bastide invece amplia la metafora del bricolage anche alla memoria collettiva: il bricolage rattoppa
la memoria collettiva sconvolta dalla deportazione, a partire dai materiali di recupero che possono
essere presi in prestito da altre culture.
*André Mary ha notato che oggi c’è una certa inflazione del ricorso al concetto di bricolage.
Numerose manifestazioni della cultura post-moderna corrispondono più ad un “bris-collage” (collage
di avanzi) che ad un autentico bricolage.
Ciò che permette alle classi popolari di realizzare attività culturali autonome è l’oblio della
dominazione, e non la resistenza ad essa. Nel proprio ambiente, nei giorni liberi, quindi
nell’isolamento, a distanza dai più forti, i gruppi dominati trovano fonte di autonomia e di creatività
culturale.
Il concetto di "cultura di massa": verso una globalizzazione della cultura?
Edgar Morin pone l’accento sul modo di produzione di questa cultura, che segue gli schemi della
produzione industriale di massa. La produzione, con i suoi criteri di rendimento e redditività, tende a
soppiantare la creazione.
La maggior parte degli autori si dedica invece ad analizzare il tema del consumo della cultura prodotta
dai mass media. Si evidenzia una forma di livellamento culturale tra i gruppi sociali per effetto
dell’uniformazione, conseguenza della generalizzazione dei mass media. I media determinano
un’alienazione culturale, un annullamento di qualsiasi capacità creativa dell’individuo, che non ha i
mezzi per sottrarsi all’influenza del messaggio trasmesso.
L’utilizzo del termine “massa” conduce all’errore di pensare che gli ambienti popolari siano più
vulnerabili al messaggio dei media, in quanto studi hanno dimostrato che la penetrazione della
comunicazione mediatica è più profonda nelle classi medie.
Inoltre si fa confusione tra cultura per le masse e cultura delle masse: il fatto di ricevere uno stesso
messaggio non fa di una massa di individui un insieme omogeneo. Per quanto standardizzato possa
essere il messaggio, la sua ricezione non può essere uniforme e dipende in gran parte dalle particolarità
culturali di ciascun gruppo così come dalla situazione che esso vive al momento della ricezione.
Occorre quindi studiare l’uso che i consumatori fanno di quello che consumano. Essi non assimilano
passivamente i messaggi diffusi, ma se ne appropriano e li reinterpretano secondo logiche culturali
proprie. Dunque la mondializzazione della cultura è tutt’altro che imminente, l’umanità non smetterà
di produrre differenza culturale.
Per Arjun Appadurai la globalizzazione, lungi dall’uniformare il pensiero e le pratiche, stimola la
produzione di identità collettive originali moltiplicando le occasioni di scambio e di incontro.
La paura di una omogeneizzazione culturale svela l’illusione che prima esistessero culture pure, invece
le culture sono sempre state il frutto di contatti e connessioni reciproche.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
Le culture di classe
I valori, i modelli di comportamento e i principi educativi variano sensibilmente da una classe all’altra.
Le distinzioni sociali si individuano soprattutto nelle pratiche alimentari, legate a tradizioni e non al
potere d’acquisto.
-
La cultura capitalista:
Max Weber (1864-1920) nello studio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo cerca di
dimostrare che non si possono comprendere i comportamenti economici degli imprenditori
senza tener conto della loro concezione del mondo e del loro sistema di valori.
Egli analizza la nascita della cultura capitalista, cioè dello spirito della nuova classe di
imprenditori che ha creato il capitalismo moderno.
Secondo Weber, la media borghesia, classe in piena ascesa in cui si reclutavano gli imprenditori
all’inizio dell’era industriale, è caratterizzata da una cultura particolare fondata su un nuovo
ethos, che egli definisce ascetismo secolare, ispirato all’ascetismo protestante.
Valori del capitalismo: etica della coscienza professionale e valorizzazione del lavoro come
attività che trova il suo scopo in se stessa. Il lavoro non è soltanto un mezzo per il
sostentamento, ma dà senso alla vita, attraverso di esso l’uomo si realizza come persona libera.
Non si ricerca l’arricchimento fine a se stesso, ma si ricerca il profitto e l’accumulazione del
capitale. Tutto questo impone una certa forma di “ascesi” lontana dalla logica delle
ostentazioni. Gli individui non devono accontentarsi né godere dei loro guadagni. Le nuove
virtù secolari sono il senso del risparmio, dell’astinenza, dell’impegno, che sono alla base della
disciplina delle società industriali.
Valori della Riforma protestante: la vocazione del cristiano si compie nell’esercizio quotidiano
della sua professione, invece che nella vita monastica. Attraverso il lavoro, l’uomo rende
manifesta la gloria di Dio. Solo attraverso il comportamento ascetico e la passione nel lavoro
l’uomo può tentare di ottenere la grazia di Dio.
Gli imprenditori sono puritani protestanti. Il puritanesimo calvinista ha creato un ambiente
favorevole allo sviluppo del capitalismo attraverso la diffusione dei valori ascetici.
L’ethos protestante permette di comprendere la logica di comportamenti che potrebbero
apparire contraddittori: il desiderio del capitalista di accumulare ricchezze e il suo rifiuto di
goderne.
-
La cultura operaia
La cultura operaia è senz’altro la più studiata.
Maurice Halbwachs stabilisce un legame tra la natura del lavoro operaio e le forme del
consumo operaio.
Richard Hoggart sottolinea la relazione della cultura operaia con la cultura “colta” borghese:
l’attaccamento profondo alla comunità determina una bipartizione del mondo sociale che si
traduce nel rafforzamento della solidarietà familiare e l’utilizzazione collettiva dei beni.
Oggi non esistono più comunità operaie in senso stretto, il particolarismo culturale operaio (nel
linguaggio, abbigliamento, abitazioni) è meno visibile, ma non è scomparso. Si è accentuata la
“privatizzazione” dei modi di vita operaia, a scapito dello spazio familiare. Anche gli spazi
privati hanno una loro organizzazione, in particolare la vita familiare è contraddistinta da una
rigida divisione sessuale dei ruoli.
Jean-Pierre Terrail nota che le evoluzioni culturali che accompagnano l’ingresso degli operai
nell’”era dell’abbondanza”, rivelano più un adattamento delle vecchie norme che non
l’adozione di nuove norme desunte dall’esterno.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
-
La cultura borghese
Lo studio della cultura borghese è più recente, in quanto i borghesi stessi rifiutano di
riconoscersi con quel termine e di qui la difficoltà di studiarla empiricamente.
Beatrix Le Wita studiando le donne delle scuole private cattoliche, nota 4 elementi
fondamentali: la cura dei dettagli (soprattutto nell’abbigliamento), il controllo di sé, la
ritualizzazione delle pratiche della vita quotidiana (le buone maniere), la coltivazione della
memoria genealogica familiare.
Alcuni studi mettono in rilievo la funzione promordiale di socializzazione delle istituzioni
private, spesso cattoliche, il cui modello storico è il collegio gesuita.
Bourdieu e il concetto di "habitus"
Nonostante Bourdieu utilizzi raramente il concetto antropologico di cultura, è considerato uno tra i
principali esponenti della sociologia della cultura, perché ha cercato di chiarire i meccanismi sociali
che sono all’origine della creazione artistica e quelli che illustrano i diversi modi di consumo della
cultura a seconda dei gruppi sociali, dal momento che, secondo le sue analisi, le pratiche culturali sono
strettamente legate alla stratificazione sociale.
Quando Bourdieu intende parlare di cultura in senso antropologico, ricorre al concetto di habitus cioè
ciò che caratterizza una classe o gruppo sociale in rapporto agli altri che non condividono le stesse
condizioni sociali.
“L’habitus funziona come la materializzazione della memoria collettiva, riproducendo nella
generazione successiva l’esperienza acquisita dalla generazione precedente.” È per questo che i
membri di una stessa classe agiscono molto spesso in modo simile senza doversi accordare.
L’habitus permette quindi agli individui di orientarsi nel proprio spazio sociale e di adottare pratiche
consone all’appartenenza sociale.
L’habitus è anche incorporazione della memoria collettiva, cioè è una concezione del mondo sociale,
una morale incorporata. Ciascuno rivela il suo habitus, anche inconsapevolmente. Quello che appare
ed è vissuto come naturale dipende in realtà da un habitus.
L’omogeneità degli habitus di un gruppo, permettere di riconoscere subito le preferenze e le pratiche di
una classe, anche se questo non significa negare le diversità degli stili personali.
L’habitus non è un sistema rigido di disposizioni, ma è suscettibile di modificazioni. Per analizzare le
variazioni dell’habitus deve essere considerata la traiettoria sociale del gruppo o dell’individuo, cioè
l’esperienza di mobilità sociale (avanzamento / retrocessione / stasi) accumulata e interiorizzata
nell’arco di diverse generazioni.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
6. CULTURA E IDENTITA'
L’uso del concetto di identità è sempre più frequente, soprattutto in abbinamento al concetto di cultura,
ma sono due concetti che non devono essere confusi:
-
la cultura dipende in gran parte da processi inconsci
-
l’identità, invece, rimanda ad una norma di appartenenza cosciente
L’idea di identità culturale viene formulata negli Stati Uniti negli anni Cinquanta per descrivere i
problemi d’integrazione degli immigrati; secondo questa impostazione, l’identità culturale era
l’elemento immutabile che determinava la condotta degli individui.
Per la psicologia sociale, l’identità è il risultato dell’interazione dell’individuo con il suo ambiente
sociale, ed è caratterizzata dal complesso delle sue appartenenze nel sistema sociale.
L’identità permette agli individui di situarsi nel sistema sociale e di essere a sua volta individuato
socialmente.
Ma l’identità sociale non riguarda soltanto gli individui, ma anche i gruppi. L’identità sociale è allo
stesso tempo inclusione ed esclusione, perché identifica il gruppo e allo stesso tempo lo distingue dagli
altri gruppi.
Le concezioni oggettiviste e soggettiviste dell'identità culturale
Concezione oggettivista: il gruppo non ha un’identità autentica, ma è caratterizzato da un certo numero
di criteri determinanti, considerati oggettivi, come l’origine comune, la lingua, la religione… L’identità
preesiste all’individuo che può solo aderirvi, pena diventare un emarginato. L’identità non è quindi
suscettibile di evoluzione
-
impostazione naturalista: la cultura è come una seconda natura che si riceve in eredità. Le
origini sono il fondamento di ogni identità culturale.
-
impostazione culturalista: l’eredità culturale è legata alla socializzazione dell’individuo nel
proprio gruppo culturale. L’individuo è portato ad interiorizzare i modelli culturali che gli
vengono imposti, così non potrà che identificarsi con il suo gruppo d’origine.
-
teorie primordialiste: considerano l’identità etno-culturale primordiale, perché
l’appartenenza al gruppo etnico è la prima appartenenza sociale. L’identità appare come una
proprietà inerente al gruppo in quanto trasmessa all’interno e attraverso di esso, senza
riferimento ad altri gruppi.
Concezione soggettivista: l’identità è un sentimento di appartenenza o un’identificazione con una
collettività più o meno immaginaria. La concezione soggettivista ha il merito di giustificare il carattere
variabile dell’identità, ma finisce col ridurre l’identità a una questione di scelta individuale arbitraria.
La concezione relazionale e situazionale
La costruzione dell’identità avviene all’interno di un contesto sociale che orienta le scelte degli agenti.
L’identità si elabora in una relazione che oppone un gruppo ad altri gruppi con i quali è in contatto.
Fredrik Barth è il precursore della concezione dell’identità come manifestazione relazionale. A suo
avviso, bisogna cercare di cogliere il fenomeno nell’ambito delle relazioni tra gruppi sociali.
Per definire l’identità di un gruppo non bisogna inventariare l’insieme dei suoi tratti culturali distintivi,
ma ricercare quelli utilizzati dai suoi membri per affermare e mantenere una distinzione culturale.
Una cultura particolare non produce da sola un’identità differenziata: questa può risultare solo da
interazioni tra gruppi.
Concezione dinamica dell’identità:l’identità si costruisce e ricostruisce all’interno degli scambi sociali.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
Per Simon l’identità è sempre un compromesso tra un’auto-identità definita da se stessi e un’eternoidentità definita dagli altri.
Molto spesso l’etero-identità può prevalere e creare la cosiddetta identità negativa: i gruppi minoritari,
considerati diversi, sviluppano fenomeni di disprezzo di sé a causa dell’interiorizzazione
dell’immagine negativa di sé costruita dagli altri.
L’identità negativa viene così repressa e spesso si traduce nel tentativo di eliminare per quanto è
possibile i segni esteriori della differenza negativa.
Il potere di identificazione dei gruppi dipende dalla posizione che si occupa nel sistema di relazioni
che lega i gruppi tra loro. Solo i gruppi che hanno la legittima autorità, cioè l’autorità conferita dal
potere, possono imporre le proprie definizioni di sé e degli altri.
Il potere di classificare conduce all’etnicizzazione dei gruppi subalterni. L’assegnazione delle
differenze esprime non tanto il riconoscimento delle specificità culturali quanto l’affermazione della
sola identità legittima, quella del gruppo dominante. Essa può proseguire in una politica di
segregazione dei gruppi di minoranza.
Non è compito delle scienze sociali pronunciarsi sul carattere autentico o abusivo di un’identità
praticolare, spetta solo spiegare i processi di identificazione senza giudicarli.
L'identità, un affare di stato
Dalla nascita degli stati-nazione moderni, lo stato è diventato il getore dell’identità, per la quale
stabilisce regolamenti e controlli.
Lo stato moderno tende alla mono-identificazione, riconoscendo una sola identità culturale legittima.
Alcuni stati plurietnici impongono ai cittadini la mensione dell’etnia o della confessione sulla carta
d’identità.
L’articolo determinativo “l’arabo”, consente di ridurre un insieme collettivo ad una personalità
culturale unica.
Lo stato moderno è molto più rigido nella concezione e nel controllo dell’identità di quanto non lo
fossero le società tradizionali, che lasciavano spazio all’innovazione e non definivano in modo preciso
le identità etno-culturali.
L’aumento delle rivedicazioni identitarie di oggi è la conseguenza dell’accentramento e della
burocratizzazione del potere. L’esaltazione dell’identità nazionale non può che implicare un tentativo
di sovversione simbolica contro l’imposizione d’identità.
I gruppi minoritari vogliono riappropriarsi non tanto di un’identità, ma dei mezzi per definire da soli,
secondo i loro criteri, la propria identità, trasformando l’etero-identità negativa in identità positiva.
La coscienza di aver subito un’ingiustizia collettiva amplifica il senso di appartenenza ad un gruppo
vittima di una discriminazione. Ma il rischio è di passare da un’identità negata o screditata a
un’identità esclusiva, dove ogni membro del gruppo deve riconoscersi in modo assoluto, pena essere
tacciato di traditore.
Quanto un’identità iper-investita prevale su tutte le altre, rischia di negare l’identità individuale.
L'identità multidimensionale
Voler ridurre ogni identità culturale ad una definizione semplice, pura, significa non considerare
l’eterogeneità di tutto il gruppo sociale.
Ci sono fenomeni di identità mista, come la doppia identità dei giovani provenienti dall’immigrazione
che, condividendo molte culture, crea la sua identità personale unica operando una sintesi originale,
un’identità sincretica e non duplice nel senso di una somma di due identità in una sola persona.
Anche se l’identità è multidimensionale, essa non perde la sua unità.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
Le strategie identitarie
L’identità può variare, si presta a riformulazioni e persino a manipolazioni. L’identità è continuamente
in movimento e ogni cambiamento sociale la spinge a riformularsi in modo differente.
Questa dimensione mutevole dell’identità si chiama strategia identitaria: l’identità, cioè, utilizza
strategicamente le sue risorse identitarie in funzione della sua valutazione della situazione, ad esempio
occultare l’identità alla quale si aspira per sfuggire alla discriminazione.
Il carattere strategico dell’identità spiega i fenomeni di eclissi o di risveglio indentitario, che in realtà è
una reinvenzione strategica di un’identità collettiva in un contesto nuovo.
Ciononostante, ricorrere al concetto di strategia non deve indurre a pensare che gli attori sono
perfettamente liberi di definire l’identità secondo gli interessi del momento. Se l’identità si presta alla
stumentalizzazione, i gruppi e gli individui non hanno la possibilità di agire liberamente: l’identità è
sempre la risultante dell’identificazione che si vede imporre dagli altri e che si afferma da sé.
Le "frontiere" dell'identità
Per Barth qualsiasi identificazione è anche una differenziazione. C’è una volotà di fissare il confine
tra loro e noi, di stabilire e mantenere una frontiera sociale, simbolica, che risulta dal compromesso tra
quella che il gruppo aspira ad attribuirsi e quella che gli altri vogliono assegnargli.
A creare la separazione non è la differenza culturale, in quanto all’interno di una collettività è ammessa
una certa pluralità culturale, ma è la volontà di differenziazione e l’uso di alcuni tratti culturali come
marcatori della identità specifica.
Il prodotto del processo di identificazione è l’etnicità, che può essere definita come l’organizzazione
sociale della differenza culturale. Si evita così la confusione tra cultura e indentità: partecipare di una
certa cultura particolare non significa necessariamente possederne l’identità.
Ogni cambiamento nella situazione sociale economica o politica può comportare spostamenti di
frontiere. Lo studio di tali spostamenti è necessaio per spiegare le variazioni d’identità.
7. OBIETTIVI E USI SOCIALI DEL CONCETTO DI CULTURA
Il concetto di cultura spesso tende a sostituirne altri come mentalità, spirito, tradizione, ideologia.
Viene spesso usato in ambito politico (cultura di governo / cultura di destra).
Viene usato dai gruppi per rivendicare una cultura propria (cultura hip-hop, cultura del microonde).
Può assumere una connotazione negativa (cultura dell’odio).
Viene usata spesso l’espressione “è la mia cultura” per nobilitare e in qualche modo cancellare i segni
di inferiorità, come se tutte le culture fossero dotate di un ugual valore.
L’uso inappropriato del concetto causa un divario sempre maggiore tra l’uso sociale e l’uso scientifico.
Il concetto di "cultura politica"
I politici, attraverso l’uso di un vocabolo nobile, cercano di conferire legittimità alle proprie
dichiarazioni, dal momento che “cultura” non ha conosciuto il discredito di “ideologia”.
Ogni sistema politico è legato ad un sistema di valori e di rappresentazioni, cioè ad una cultura. Il
concetto di cultura politica dunque ha molto a che vedere con quello che era “il carattere nazionale”.
Gabriel Almond e Sidney Verba hanno elaborato una distinzione di tre tipologie di culture politiche:
-
cultura parrocchiale (interessi locali): struttura politica tradizionale e decentralizzata
-
cultura di assoggettamento (che alimenta la passività degli individui): struttura autoritaria
-
cultura di partecipazione: struttura democratica
I sociologi si sono spostati dal caratterizzare le culture politiche nazionali, alle diverse sottoculture
politiche che esistono nell’ambito della stessa società (destra/sinistra).
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
Il concetto di "cultura d'impresa"
Il concetto di cultura d’impresa è stato creato all’interno dell’impresa per sottolineare il fattore umano
nella produzione e per tentare di ottenere dai lavoratori l’identificazione e l’adesione agli obiettivi
dell’azienda.
Negli anni Settanta, a causa della crisi economica e delle ristrutturazioni industriali, le dirigenze
devono recuperare la fiducia dei salariati attraverso un discorso umanista, per cercare di ottenere
comportamenti leali ed efficaci.
La cultura d’impresa impone ai suoi membri il suo sistema di rappresentazioni e valori, rendendo
l’impresa una collettività falsamente omogenea. Accettare l’impiego significa accettare la cultura
d’impresa.
I lavoratori però non giungono nell’impresa senza una cultura. La cultura d’impresa, quindi, non può
preesistere agli individui, ma si costruisce nelle loro interazioni.
Renaud Sainsaulieu ha dimostrato che, a seconda delle categorie socio-professionali, si potevano
definire diversi schemi di comportamento nell’impresa:
1) operai specializzati. Il collettivo è un rifugio e protezione contro le divisioni
2) operai professionali. Accettazione delle differenze e negoziazione
3) quadri in mobilità professionale prolungata. Affinità elettive e diffidenza verso i gruppi costituiti
4) operai dequalificati (immigrati, donne, contadini, giovani). Ritiro e dipendenza; l’impresa è vissuta
come il mezzo di un progetto esterno.
L’alienazione sociale non si confonde necessariamente con quella culturale: l’operaio non dipende
totalmente dall’organizzazione, neppure nelle situazioni più alienanti.
Spesso da parte dei lavoratori più dequalificati vengono messe in atto delle pratiche di appropriazione
come resistenza culturale all’espropriazione assoluta operata dall’organizzazione. Esse consistono nel
ricomporre alla propria maniera il tempo, lo spazio e il prodotto stesso del proprio lavoro, opponendo
alla logica taylorista la logica dell’indipendenza e del piacere.
Ad esempio il lavoro di straforo, fuori dai propri compiti ed utilizzando i mezzi dell’azienda, non
significa mettere in discussione il lavoro in sé, ma una certa organizzazione del lavoro, per non
lasciarsi ingabbiare nel tempo organizzato. Significa manifestare un’abilità personale.
Le pratiche di appropriazione sono possibili solo grazie alla complicità degli altri membri del gruppo,
solo quanto una cultura comune unisce i membri di uno stesso gruppo di lavoro.
Per poter identificare la cultura di un’impresa, bisogna quindi partire dall’intersezione delle diverse
microculture all’interno di essa e considerare anche il contesto sociale e culturale: imprese identiche
situate in paesi diversi funzionano secondo sistemi culturali diversi.
La cultura d’impresa non è in nessun caso l’emanazione incondizionata del sistema di organizzazione.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
Il multiculturalismo
Oggi tutti gli Stati sono multiculturali per via della varietàdigruppi e popolazioni che li compongono.
Ma parlare di multiculturalismo non significa accontentarsi di questa constatazione.
Multiculturalismo significa rivendicare un riconoscimento politico ufficiale della pluralità culturale e
un trattamento pubblico equo di tutte le collettività culturali.
Una politica multiculturalista ha lo scopo di promuovere la parità di trattamento tra i diversi gruppi
culturali che compongono la nazione, dei quali viene pubblicamente riconosciuta la dignità.
Il multiculturalismo può consistere nel prendere atto delle differenze etniche, religiose, culturali,
sostenere la legittimità dell’espressione culturale e politica di questi gruppi, fino a realizzare
programmi di “trattamento preferenziale” o “discriminazione positiva”, che consentono l’accesso di
tutti i gruppi alla parità, tentando di correggere e di compensare gli effetti delle discriminazioni
negative, dirette o indirette.
Il multiculturalismo cerca di conciliare valori universali e considerazione per i particolarismi. Non si
oppone all’universalismo ma solo all’universalismo astratto, che vuole vedere solo individui identici,
depurati delle loro particolarità. Richiama a un universalismo concreto, che non trascura la diversità,
senza dimenticare l’appartenenza all’umanità, che per ogni individuo implica diritti e doveri uguali.
Il multiculturalismo è stato accusato di favorire la conservazione artificiale dei gruppi culturali e di
contribuire all’etnicizzazione dei rapporti sociali, concependo la società come associazione di
comunità etniche e incoraggiando implicitamente gli individui a definirsi per mezzo dell’appartenenza
originaria a questa o quella comunità. E’ stato inoltre criticato perché comporterebbe il rishio di un
separatismo comunitario, una frammentazione della società, che può causare l’indebolimento
dell’unità nazionale. Lungi dal favorire l’integrazione sociale, il multiculturalismo genererebbe a lungo
andare la disgregazione della società.
La questione del multiculturalismo consiste nella difficoltà di conciliare i diritti dell’uomo e il diritto di
tutti gli individui di appartenere a collettività culturali particolari.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
"Culture degli immigrati" e "culture d'origine"
Cosa s’intende per origine? L’origine nazionale, etnica, regionale, locale? Spesso la cultura d’origine
viene confusa con la cultura nazionale del paese d’origine, disconoscendo profondamente il carattere
eterogeneo delle culture nazionali.
Il ricorso al concetto di cultura d’origine è erroneo, perché tende a minimizzare il fatto che non la
cultura non è un bagaglio che si ha con sé e che ci si porta dietro quando ci si sposta, ma sono gli
individui che, spostandosi, a causa dei contatti con individui di culture differenti, si adattano e si
evolvono, e così creano nuove elaborazioni culturali.
Questo termine porta non solo a sottovalutare il cambiamento culturale prodotto dall’emigrazione degli
espatriati, ma anche ad occultare il cambiamento culturale vissuto dalla società d’origine. Le
condizioni economiche e sociali che hanno condotto numerosi individui ad emigrare sono le stesse
portatrici di trasformazioni culturali nella società di partenza. I paesi soggetti ad emigrazione si
evolvono ancor di più, perché spesso sono paesi in transizione, in evoluzione, ragion per cui gli
emigranti risentono spesso di uno “sfasamento” culturale, quando ritornano nel loro paese e non lo
riconoscono più.
Inoltre ricorrendo al concetto di cultura d’origine, si ignora la diversità sociale dei migranti provenienti
da una stessa società, che non hanno lo stesso rapporto con la cultura d’origine: alcuni rientrano in
un’emigrazione comunitaria, altri in un’emigrazione individualista oppure familiare.
Più che la cultura d’origine, sono le strutture sociali e familiari del gruppo d’origine a permettere di
spiegare le differenze nei tipi di integrazione e di acculturazione, all’interno della società
d’accoglienza, degli immigrati provenienti da uno stesso paese.
Il rapporto degli emigranti con la propria cultura d’origine è determinato dalla natura delle relazioni
che esistono tra la cultura del paese d’origine e la cultura del paese d’accoglienza, soprattutto se si
tratta di relazioni coloniali. Inoltre bisogna considerare le caratteristiche dell’ambito nazionale in cui
avvengono gli scambi culturali (negli USA il federalismo permette lo sviluppo di tutte le culture,
mentre in Francia il centralismo culturale ha come obiettivo l’assimilazione degli stranieri).
E’ inappropriato parlare di cultura d’origine nel caso di bambini nati nel paese d’immigrazione, spesso
definiti a torto la “seconda generazione” di immigrati. L’origine a cui si fa riferimento non è la loro,
poiché non sono nati e non hanno vissuto la socializzazione nel paese dei genitori.
La cultura non si trasmette come i geni, è una costruzione sociale in costante evoluzione.
Rifiutare l’uso generalizzato del concetto di cultura d’origine non vuol dire trascurare l’attaccamento
che i migranti hanno nei confronti delle proprie origini. Definirsi con un’origine fa parte della memoria
collettiva; ciò è necessario sul piano psicologico, perché ogni individuo ha bisogno di sapere da dove
viene e può servire da supporto ad un progetto di ritorno. Non è tuttavia possibile confondere
l’evocazione di queste origini, reali, con l’affermazione illusoria di una cultura d’origine che sarebbe
rimasta intatta, nonostante l’ambiente circostante e le esperienze vissute nella situazione migratoria.
In alcuni casi limite, le pratiche tradizionali possono essere l’espressione di un “tradizionalismo della
disperazione” di individui consapevoli di aver dovuto abbandonare una parte essenziale del loro
sistema culturale. Queste pratiche manifestano la volontà di mantenere un legame, per preservare il
legame comunitario.
Alcuni migranti, invece, in base al rapporto che avevano con le tradizioni culturali, possono non avere
interesse a mantenerle, e anzi l’emigrazione può essere un modo per sfuggire ad un ordine sociale
giudicato opprimente. In certi casi, ancora, la tradizione viene inventata per recuperare vecchie
tradizioni.
In definitiva, le culture dei migranti sono “culture miste”, prodotte da un incrocio culturale che ha il
vantaggio, per l’osservatore, di realizzarsi praticamente sotto i suoi occhi. Lo studio dei migranti
permette di capire in diretta come si forma una cultura, come, partendo dallo scambio, avviene la
mescolanza che sfocia in una nuova configurazione culturale, in cui il vecchio si unisce al nuovo in un
sistema profondamente originale.
LA NOZIONE DI CULTURA NELLE SCIENZE SOCIALI
Denys Cuche
CONCLUSIONE. Come fare buon uso del relativismo culturale e dell’etnocentrismo

Mentre il concetto di cultura è riesaminato criticamente dalle scienze sociali, che propongono il
suo abbandono ritornando al significato ristretto del termine (produzioni intellettuali e artistiche),
il concetto conosce una diffusione notevole negli ambiti sociali e professionali più diversi.
In un certo uso comune ma anche e soprattutto ideologico, esso agisce come eufemismo del
termine “razza”.

Ci sono tre diverse concezioni di relativismo culturale:
1) le differenze culturali costituiscono entità separate e distinte
2) neutralità nei confronti delle differenze culturali, affermando il valore intrinseco di ogni
cultura
3) difesa delle culture minoritarie contro la cultura dominante
Queste concezioni non reggono:
1) non ci sono culture totalmente separate e facilmente individuabili
2) la neutralità spesso nasconde il disprezzo
3) l’esaltazione della differenza conduce alla giustificazione dei regimi segregazionisti
Pertanto occorre relativizzare il relativismo culturale, ritornando alla sua utilizzazione
originaria, l’unica scientificamente ammissibile:
- il principio metodologico di studiare qualsiasi cultura senza preconcetti o confronti
- ogni insieme culturale tende alla coerenza e ad una certa autonomia, ma ogni cultura
non è mai completamente autonoma o completamente indipendente
- non si può analizzare un tratto culturale senza analizzarne il sistema culturale cui
appartiene

Il concetto di etnocentrismo è divenuto sempre più sinonimo di razzismo.
Il razzismo però, più che un atteggiamento è un’ideologia, fondata su presupposti pseudoscientifici, e non è universale, come l’etnocentrismo che è presente sia nelle società primitive che
in quelle moderne.
Per Pierre-Jean Simon l’etnocentrismo è un fenomeno sociologico normale, che ha la funzione
positiva di preservazione dell’esistenza di ogni collettività etnica, creando il meccanismo di difesa
dell’in-group nei confronti dell’esterno. Un certo grando di etnocentrismo è necessario alla sua
sopravvivenza. La perdita dell’etnocentrismo conduce all’assimilazione attraverso l’adozione
della lingua, della cultura, dei valori di una collettività considerata superiore.
Riconoscere il carattere necessario dell’etnocentrismo come fenomeno sociale, non sminuisce la
validità della regola metodologica che impone al ricercatore di separarsi da qualsiasi
etnocentrismo. Intesi come principi metodologici, il relativismo culturale e l’etnocentismo non
sono contraddittori, ma al contrario sono complementari.
Scarica