L’AVVENTURA
DELL’IDEALISMO TEDESCO
Introduzione a Hegel 1
Ha per te un “senso” la storia?
La storia ha o no un senso? Cosa ne dici tu?
Come no? Prescindendo anche dal senso che ne dà il Cristianesimo, è un fatto - considerati
almeno gli ultimi secoli - che la storia è un cammino che, grazie alla scienza, alla tecnologia e
alla politica, è destinato a produrre una civiltà sempre più libera dal bisogno e più giusta.
E’ vero? Negli ultimi secoli l'uomo, grazie proprio alla scienza, non ha accumulato un
potenziale distruttivo che non ha confronti col passato? Nello stesso '900, poi, non abbiamo
assistito - grazie alla politica - a dittature nefaste che hanno prodotto olocausti inauditi?
E' vero, ma è anche vero che un progresso evidente c'è stato: penso alle conquiste contro le
malattie e contro la fatica del lavoro.
Indubbiamente. La scienza - o meglio l'utilizzo della scienza - può avere effetti positivi ed
effetti negativi. Cosi la politica. Dipende dall'uomo. Di sicuro oggi siamo meno fiduciosi nel
progresso rispetto agli intellettuali dell’Illuminismo. Hiroshima e Nagasaki, l'olocausto degli
Ebrei, i Gulag sovietici - per citare degli esempi - pesano ancora. E' difficile, quindi, per noi
vedere la storia come un Progresso “íneluttabile”. Nell'800, però, la cultura è prevalentemente
"ottimistica”. Lo stesso pensiero di Hegel - che è il massimo esponente dell'Idealismo tedesco
- è su questa posizione.
Dio? Non è, ma diventa nella storia degli uomini!
Non solo siamo di fronte ad un intellettuale ottimista, ma addirittura ad un intellettuale che
arriva a sostenere che la storia non è altro che il processo attraverso il quale Dio diventa Dio.
Cosa dici? Mi sembra una tesi paradossale: come fa Dio a "diventare", cioè a mutare se è
l'Immutabile?
La tua reazione è legittima perché hai presente una lunga tradizione che vede Dio come
l'Essere Immutabile. Come sai, però, non tutti i filosofi la pensano allo stesso modo: già
nell’antichità vi era chi - vedi gli stoici - considerava la divinità come 'Fuoco", come I"anima"
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Georg Wilhelm Friedrich Hegel nasce a Stoccarda nel 1770. La famiglia è luterana. Il padre, impiegato pubblico, dal
punto di vista politico e' un conservatore. Frequenta gli studi liceali nella sua città natale, studi che maturano in lui
valori illuministici ed un'ammirazione per il mondo classico. Nel 1788 Hegel viene ammesso nel prestigioso istituto
universitario protestante di Tubinga (a cui ogni anno accede una ventina di studenti che completa gli studi a spese del
governo) che sforna il personale che poi occupa le gerarchie ecclesiastiche , amministrative ed universitarie. Qui stringe
amicizia in particolare con Schelling e viene influenzato dalle letture di Kant e di Rousseau. Nel 1789 esprime un forte
interesse per la rivoluzione francese (è sulle posizioni dei girondini moderati). Risale a questo periodo il cosiddetto
"Frammento di Tubinga" (sul tema della "religione popolare"). Verso la fine del 1793 è a Berna come precettore: a
questo periodo risalgono gli scritti (riscoperti e pubblicati solo all'inizio del'900) "La vita di Gesù" e "La positività della
religione cristiana". Dal 1796 al 1801 è a Francoforte, sempre in qualità di precettore (a questo periodo risale, tra l'altro
"Lo spirito del cristianesimo e il suo destino"). Nel gennaio 1801 , grazie al l'appoggio di Schelling, diventa professore
all'università di Jena. Qui scrive, tra l'altro, la Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schelling" e la sua celebre
"Fenomenologia dello spirito". Nel 1807 è costretto a lasciare Jena a causa dell'occupazione francese. Nel 1908 viene
nominato preside e professore di filosofia al liceo di Norimberga. E' di questo periodo la "Scienza della logica". Nel
1906 Hegel torna all'università: viene nominato professore ordinario all'università di Heidelberg. E' di questo periodo
l'"Enciclopedia delle scienze filosofiche". Nel 1818 è chiamato all'università di Berlino dove rimane fino alla sua morte
avvenuta nel 1831. E' di questo ultimo periodo un altro suo capolavoro: la "Filosofia del diritto".
del mondo. Per gli stoici Dio è immanente al mondo e, come tale, partecipe del mutamento del
mondo.
Hegel, in barba ad una consolidata tradizione, afferma che Dio non è da sempre, ma diventa
nella storia. Anzi la storia è proprio la manifestazione di questa "indiazione" (mi perdoni
l'espressione?), di questo farsi Dio da parte di Dio. Tu ti chiederai come è possibile che Dio
diventi Dio. Tu che ipotesi faresti?
Non vedo altra possibilità che questa: come l'uomo diventa pienamente umano nel momento in
cui diventa consapevole di sé, per analogia si potrebbe dire che Dio diventa tale nel momento
in cui diventa consapevole di essere Dio.
Ma.. che Dio sarebbe un Dio che per lungo tempo non fosse consapevole di sé?
Sono d'accordo, ma non vede altre possibili ipotesi.
Infatti questa è la tesi di Hegel: per lui Dio ha preso coscienza di essere Dio solo dopo un lungo
travaglio. Il "diventare " Dio, quindi, è l’acquisire consapevolezza di essere Dio.
Per Hegel, quindi, Dio (inteso come Dio cosciente di essere Dio) non è sempre stato. Tu, però,
mi chiederai come può saperlo Hegel. In base a quanto sai dell’Idealismo, quale potrebbe
essere la risposta di Hegel?
Mi pare ovvia: è con l'idealismo che il pensiero ha scoperto di essere infinito, cioè Tutto, cioè
Dio.
Ma.. il processo attraverso il quale il pensiero ha preso coscienza di essere Tutto, di non avere
al di fuori di sé niente, non è un processo "umano", un processo che parte da Cartesio e arriva
a Hegel? Cosa c’entra, allora, Dio? Il pensiero, considerando contraddittoria una realtà al di
fuori di sé, si scopre l'intero, cioè Dio. Ma.. chi scopre? E' I’uomo o è Dio che scopre di essere
infinito?
Tu sai che è Cartesio il primo pensatore dell'età moderna che sostiene come "certo" solo il
pensiero (cogito): che esista qualcosa - anche il.. mio corpo - al di fuori del pensiero è oggetto
di dubbio). Con i critici di Kant, poi, la stessa esistenza di una realtà esterna al pensiero è
addirittura contraddittoria. E' in questa ottica, quindi, che va collocata la tesi (che può
apparire paradossale) secondo cui Dio nasce e nasce, proprio con l'idealismo, quando cioè il
pensiero (cogito) si è reso conto che non può avere nulla al di fuori di sé.
Hegel, quindi, non ha alcuna "rivelazione” dall'alto. E' convinto che la storia che egli ha
l'avventura di vivere gli mostra la grande verità: che, cioè, Dio nasce nel suo tempo grazie
all’idealismo. E’ il tempo che egli vive ad essere una ... teofania. Cosa ne dici?
Mi pare una tesi ridicola: come si fa a leggere le balzane idee di alcuni intellettuali (mi riferisco
a Fichte) come l'annuncio della nascita di Dio?
Un'opinione legittima. Sono sicuramente molti che ti darebbero ragione. Devi, comunque,
sforzarti di comprendere come mai si è arrivati a tanto. Hegel - come del resto ogni autore va compreso all'interno del suo contesto storico-culturale, all'interno dell'idealismo. Cos’è
l'idealismo se non la presa di coscienza da parte del pensiero di essere infinito?
Secondo Hegel, quindi, la storia ha un significato ben preciso: è un cammino verso Dio, o
meglio è un cammino che ha come meta l'indiarsi (m’è scappato ancora!) di Dio, cioè la presa
di coscienza del pensiero di essere Dio. L'umanità, dunque, assiste - con la "scoperta"
idealistica - l'avventura di Dio che si fa Dio. Cosa dici?
Mi pare una tesi che scimmiotta solo il Cristianesimo: non dice il Cristianesimo che la storia è
una storia guidata da Dio verso un traguardo che Egli ha voluto?
E' una critica che qualcuno avanzerà proprio nei confronti di Hegel. Va comunque tenuta
presente la distinzione tra le due concezioni della storia se non altro perché il Dio cristiano è
trascendente ed è da sempre, mentre per Hegel Dio è immanente alla storia e nasce con
l'idealismo.
Se è vero che la concezione della storia hegeliana è diversa da quella cristiana, è anche vero
che vi è qualcosa di comune. Anche Hegel ha una concezione “fìnalistica” della storia: la
storia ha un fine, una meta, un traguardo e, quindi, le fasi precedenti sono le fasi di un
"cammino” verso tale traguardo. Vediamo di approfondire questo confronto.
La storia? Armonia, lacerazione e riconciliazione: Rousseau
Per il Cristianesimo la storia umana inizia con un periodo di innocenza, di armonia tra l'uomo e
l'uomo, tra l’uomo e la natura e tra l'uomo e Dio. Poi, col peccato originale, si ha la rottura di
questa armonia, una rottura che sarà superata solo con la Redenzione.
Una "lettura" della storia che è presente anche in Rousseau: l'armonia originaria, la decadenza
(lacerazione) e la riconciliazione finale. Hai presente il senso di questa lettura di Rousseau?
Certo: l'armonia originaria è rappresentata dall'assenza di proprietà privata, la decadenza (la
lacerazione) dalla nascita della proprietà privata che divide gli uomini in classi sfruttatrici e
classi sfruttate, e la riconciliazione che si ha col comunismo, col ritorno, cioè, all'armonia
originaria, armonia dovuta all'assenza di proprietà privata.
E' vero che la decadenza, per Rousseau, inizia con la "civiltà”, civiltà che si fonda sulla
proprietà privata, ma non è corretto dire che Rousseau vede nel comunismo la riconciliazione.
Come sai Rousseau propone due soluzioni: una individuale (la via pedagogica - una
educazione "naturale” ed una sociale, cioè il modello della "democrazia" (modello di società in
cui non esiste più la disuguaglianza tra chi comanda e chi è comandato).
Rousseau, cioè, concepisce uno "stato di natura" in cui l'uomo è buono, socievole, è - in altre
parole - in armonia con gli altri, vede il nascere della "civiltà” (che per lui è una fase di
decadenza) legato al nascere della proprietà privata, proprietà che ha messo l'uomo contro
l'uomo (i “proprietari " da una parte e i nullatenenti dall'altra). Lo stesso nascere dello Stato
viene visto da Rousseau in relazione alla proprietà privata: lo Stato nasce per tutelare la
proprietà privata contro i nullatenenti.
La riconciliazione? Secondo Rousseau si tratta di riconciliare l'uomo con la sua natura, di
tornare in qualche modo allo stato di natura. Come? Con la soluzione pedagogica (tramite una
educazione "naturale”) e con la soluzione “politica", tramite la "democrazia" in cui viene meno
la disuguaglianza di fondo che c'è tra la classe che comanda e ala classe che deve ubbidire:
nella democrazia i cittadini che obbediscono alle leggi sono gli stessi che fanno le leggi.
Il giovane Hegel è affascinato da Rousseau, dal suo schema di lettura della storia (uno
schema di lettura che poi ricalca lo schema biblico). Anch’egli è convinto che la storia sia un
passaggio da una fase di "armonia" ad una di "lacerazione" e ad una finale che è un ritorno
all'armonia originaria. E' in questa ottica che "legge " la “polis greca": un tipo di comunità in
cui l'individuo è in armonia con la collettività, in cui l'individuo si riconosce nelle leggi (e non le
vede come delle norme che vengono imposte dall'esterno).
La religione? Una sintesi di dimensione "interiore" e dimensione "esteriore".
Ed è in questa lettura della polis greca che Hegel vede quella che egli chiama la "Volksreligion”
(religione popolare), una religione che rappresenta una sintesi profonda tra la dimensione
“privata" "interiore " e quella “pubblica” ed "esteriore”. Cosa ne dici?
Mi pare una idealizzazione bella e buona della polis greca e della sua religione. La polis greca
come armonia tra individuo e la comunità? Macché! Hegel dimentica che a partecipare alla vita
politica in Atene non erano tutti, ma i proprietari di schiavi! E la religione? Non diceva Crizia
che gli dei li hanno inventati i potenti per controllare i sudditi?
Che il giovane Hegel "idealizzi" la polis greca è un fatto (si tratta di una idealizzazione diffusa
dopo, soprattutto, gli scavi archeologia di Winkelmann). E' un fatto, tuttavia, che nei limiti
della democrazia ateniese, il cittadino ateniese era partecipe della vita pubblica ed anche la
religione era un grande fatto collettivo.
Per il giovane Hegel la religione non è solo una affare “privato ", ma anche pubblico, non si
basa solo sull’"interiorità", ma si esprime anche con riti esteriori. Cosa ne dici?
Non mi convince per nulla: per me la religione è solo un fatto privato, della mia coscienza. li
rito collettivo per me è qualcosa di puramente "esteriore" che non tocca minimamente l'anima
della religione che è solo interiore. lo posso non andare in chiesa ed essere un fervente
cristiano. Per me la chiesa come apparato, come gerarchia, come un insieme di riti religiosi, è
una invenzione prettamente "umana".
Un punto di vista legittimo. All'interno del mondo cristiano sono soprattutto i protestanti che
pongono l'accento sulla "coscienza", sul rapporto diretto credente-Dio senza l'intermediazione
di figure "sacre" (quali i "sacerdoti" cattolici).
Riprendiamo il discorso. Per il giovane Hegel l'unità profonda tra "interiore " ed "esteriore ", tra
'Arrivato " e “pubblico ", tra "soggettivo " ed "oggettivo " che si trova nella Volksreligion viene
meno col messaggio cristiano. Hegel, infatti, vede il messaggio cristiano secondo l'ottica di
Kant, cioè come un messaggio del "dovere" (un "dovere" che - come sai - per Kant è un fatto
della ragione). Il giovane Hegel, in altre parole, vede nel Cristianesimo - sotto l'influsso di
Kant - come una religione "interiore”.
Si tratta di una religione che presto, però, a contatto con l'ambiente giudaico, si esteriorizza,
diventa rito: da religione 'Pura " decade in religione puramente esteriore, fredda, rituale.
Diventa "chiesa". Hegel vede nella religione ebraica il trionfo dei precetti, dei riti. Vede, cioè,
nell'ebraismo, una religione senz'anima. Non solo: mentre vede il Cristianesimo come la
religione dell'amore, e quindi, dell'unità, dell'armonia (tra l'uomo e Dio, tra l'uomo e uomo),
considera il giudaismo come la religione della "separazione" tra un Dio lontano, autoritario e
l'uomo.
Non solo: vede nell'attesa perenne del Messia (un messia che non viene mai) uno degli aspetti
caratterizzanti dell'ebraismo, cioè la lacerazione tra l'uomo e Dio. Ci troviamo di fronte, anche
qui, al Leitmotiv (mi è scappato un termine tedesco che, comunque, credo tu conosca: si
tratta del "motivo dominante” dì Hegel: il tema dell'unità e della lacerazione. Hegel, in altre
parole, da quanto abbiamo detto, vede la storia come storia di unità e di lacerazione. Una
riflessione: oggi ti sembra di vivere in una fase di "unità " o di "lacerazione "?
Di profonda lacerazione: siamo di fronte ad una vera e propria esplosione di conflitti di
interessi. Se pensiamo, poi, al sapere, ci troviamo davanti ad un sapere non più unitario, ma
parcellizzato in tante discipline specialistiche separate le une dalle altre.
Quanto dici mi sembra corretto. Tutto, comunque, dipende dal punto di riferimento: rispetto
a che cosa? Certo in una democrazia, ad esempio, i conflitti di interesse sono più manifesti
che sotto una dittatura.
L’Illuminismo? Una cultura "astratta"!
Riprendiamo il cammino di Hegel. Hegel vede nella sua età un processo di superamento delle
lacerazíoni che si erano prodotte con la "riforma protestante" (separazione tra la "coscienza" e
I’ “autorítà” e con l'Illuminismo prima e con la Rivoluzione francese. Una riflessione: sei
d'accordo con la tesi hegeliana secondo cui Illuminismo rappresenta una fase di "rottura", di
"lacerazione"?
Certo: i philosophes, in nome della "raison", condannano intere epoche storiche (in primis il
Medioevo), condannano le religioni positive che sono parte importante del patrimonio culturale
della storia dei popoli, tuonano contro Istituzioni consolidate dalla tradizione.
Ma.. l'Illuminismo, proprio perché rivaluta la "raison " - una raison comune a tutti gli uomini non recupera una "unità” di fondo del genere umano (al di là delle differenze religiose e
politiche)? E' un caso che gli Illuministi siano cosmopoliti? Di sicuro gli Illuministi prendono le
distanze dalla Tradizione (e qui puoi vedere una "rottura" col passato, un passato giudicato
irrazionale). Non puoi negare, tuttavia, che i philosophes dell'Illuminìsmo, esaltando proprio la
"ragione " che è universale, si propongono di andare oltre le differenze: vedi, ad esempio, la
religione "naturale " o "deismo”.
Dopo la lacerazione provocata dalla cultura illuministica e dalla Rivoluzione francese Hegel
vede nell'epoca in cui opera - l'età della Restaurazione - non solo un grande bisogno di unità,
ma anche un processo di unificazione. Cosa ne dici?
Sono d'accordo: la cultura romantica si riconcilia con la Tradizione, coi Medioevo, con le
religioni positive, con l'autorità. La stessa filosofia idealistica, poi, incarna un processo di
unificazione dei sapere (penso, ad esempio, al superamento in Fichte della divisione tra sfera
"conoscitiva" e sfera “morale").
Ma... "romantico" non è sinonimo di “liberale" e il liberale non è contro la restaurazione dei
sovrani "legittimi" e a favore di Stati costituzionali?
E' vero, ma è anche vero che ci sono intellettuali romantici che teorizzano la Monarchia
assoluta, addirittura la teocrazia medievale.
Infatti. Nel clima romantico vi è pure una forte sete di Assoluto, di Infinito. I Romantici
avvertono l'esigenza di andare oltre il 'finito" della scienza e di cogliere l'Intero (appunto
l’Assoluto, l'Infinito). Da qui, in filosofia, la "rinascita" di Spinoza, l'esigenza, cioè, di collocare
ogni cosa nel Tutto, un Tutto che è "unità", superamento di divisioni.
La scienza? Un sapere che si limita alla “parte”?
Da qui, quindi, il recupero della "metafisica" come il sapere che ha come oggetto la "Totalità".
Da qui, quindi, la presa di distanza - che abbiamo già visto in Schelling - dalla scienza che si
limita a studiare "una parte" del Tutto. Una riflessione: condividi questa affermazione secondo
la quale la scienza si limita a studiare una “parte" e, dunque, va vista come un sapere
"inferiore" alla filosofia che si occupa dell'Intero?
Per nulla: non è vero che il sapere scientifico sia un sapere "parziale" (si pensa che oggi "va
ad affrontare problemi per molti secoli appannaggio della filosofia come il problema
dell"'origine dell'universo") e non è vero che sia inferiore alla filosofia perché - come sappiamo
- la scienza li sperimenta" quello che dice, mentre la filosofia è un sapere meramente astratto.
E' vero che la scienza sta invadendo problemi che sono stati appannaggio della filosofia, ma
non puoi negare che la scienza - dal momento in cui è nata con Galileo - si è autolimitata
ponendo come suo oggetto solo ciò che è "quantificabile", riducibile in numeri, in formule
matematiche.
Come mai - si chiede Hegel - in certe epoche si assiste a profonde lacerazioni ed in altre a
processi di composizione, di riconciliazione? Hegel vede la "separazione" come il prodotto
dell’“Intelletto astratto" (intelletto "che separa” e l'unificazione come il prodotto della
"Ragione”. Riconduce, cioè, questi momenti allo stesso Pensiero o Spirito che da una parte
"separa" ciò che è oggettivamente unito (Intelletto astratto) e dall'altra "supera la separazione
(Ragione). "Intelletto astratto " e "Ragione " sono due momenti del Pensiero, dello Spirito.
Cosa ne dici?
Mi pare cervellotico vedere dietro queste diverse fasi lo zampino dello Spirito! Si vede che la
filosofia idealistica viaggia sulle nuvole!
Una reazione legittima: oggi, di sicuro, con la mentalità laica dilagante, non siamo portati a
vedere la presenza dello "spirito”. La lettura che vede questa presenza è ancora quella
"religiosa" Non dimenticare, però, che per Hegel lo "spirito" è lo spirito "umano", il suo
pensiero (tieni presente che tutto il travaglio che porta all'idealismo parte dal "cogito "
cartesiano). Non si tratta, quindi, di qualcosa di etereo, inafferrabile, ma di qualcosa che si
"manifesta" negli uomini, nelle culture dei popoli, nelle intuizioni dei filosofi, nelle credenze
religiose, nei prodotti artistici e politici.
La molla della storia? La contraddizione.
Che il pensiero umano tenda a "separare " nella cultura illuministica per Hegel è un fatto,
come è un fatto che la cultura romantica tenda ad unire. Il “pensiero", dunque, è qualcosa che
si manifesta, qualcosa di concreto. Si tratta, poi, non di qualcosa di statico: non è un semplice
"apparire", "percepire" (il fascio di percezioni di humiana memoria), ma è un "processo", un
processo che si manifesta con "lacerazioni" (opera dell’“intelletto astratto” e di "superamento
di queste lacerazioni” (opera della "ragione”). E qual è il "motore" di questo processo? Per
Hegel è la "contraddizione". Puoi intuire di che si tratta?
Immagino che si tratti della contraddizione prodotta dall'intelletto astratto, contraddizione che
aveva già messo in luce (se non ricordo male) Eraclito: separare gli opposti significa di fatto
contraddirsi.
Dove sarebbe la contraddizione nella separazione degli opposti? Gli opposti, proprio perché
sono "opposti ", come fanno ad essere "uniti ", cioè, "non opposti "? La contraddizione ci
sarebbe se si dovessero unire gli opposti! 0 no?
No: che "bene" sarebbe un bene che non fosse messo in relazione coi suo opposto, cioè coi
"non- bene"?
Infatti. In sintonia con Eraclito (e con Fichte) Hegel sostiene che il “separare” gli “opposti”,
tipico dell’“intelletto astratto", produce una "contraddizione”- che "essere" sarebbe un essere
che non fosse "messo in relazione " (e quindi in qualche misura "unito”) al "non essere "? L
"essere " non è, proprio, l'opposto del "non essere"? Come si potrebbe, allora, separare
I"essere" dal "non essere"? Pensare all "essere" separato dal "non essere" è pensarlo senza
alcuna relazione col non essere, è pensarlo come non opposto al "non essere”. Ora un essere
che non fosse visto come opposto al "non essere " sarebbe... "non essere ". Questa è la
contraddizione.
Ed è questa "contraddizione" la "molla" del superamento. E' questa contraddizione che viene
"avvertita dalla "ragione" la quale supera la contraddizione arrivando ad unire gli opposti, a
considerare, cioè, non come separati, ma come intrinsecamente "uniti", "in relazione tra loro”.
Questo processo viene chiamato "dialettica”. La "dialettica" è il processo con cui il pensiero
supera le contraddizioni poste dall'intelletto astratto. La "contraddizione", quindi, è vista come
qualcosa di “positivo” senza del quale non ci sarebbe il "superamento”. Cosa ne dici?
Mi sembra una tesi assurda: è come se si giustificasse il male perché è solo con l'esperienza
dei male che si può scoprire il bene!
Quello che dici, forse, non è proprio così assurdo: l'uomo non è arrivato a costruire una società
con delle regole" e un'autorità dopo aver scoperto i pericoli dello stato naturale?
Il “pensiero " (lo spirito) è un “processo ", processo che consiste nel superamento di
contraddizioni. Il superamento della contraddizione consiste nel superamento della
"separazione " (che produce la contraddizione). Consiste, cioè, nella "sintesi degli opposti"
(sintesi di "tesi" e "antitesi" - tesi e antitesi che l'intelletto astratto coglie separate). Questa
sintesi è chiamata da Hegel "Aufhebung" che significa grosso modo "superare conservando”. Il
termine vuole, ovviamente, dire che nella sintesi gli
opposti sono "superati" nella loro separazione, ma vengono "conservati" in quanto opposti.
La Verità? E’ L’Intero!
Approfondiamo. Gli opposti sono logicamente uniti (non si può pensare l'uno se non in
relazione all'altro). Ora "parte" e "tutto" sono opposti. Quindi non si può pensare la “parte" se
non in relazione al "tutto ". In altre parole pensare alla “parte " separata dal tutto è di fatto
pensarla come "non parte", cioè come "tutto" (contraddizione): che “parte " sarebbe una
parte che non fosse messa in relazione al "tutto"? Da qui la tesi hegeliana secondo cui "la
Verità è l'Intero”. Cosa ne dici?
Finalmente vedo in Hegel una tesi saggia, una tesi già presente nella filosofia cristiana: solo
Dio, che ha presente il Tutto, ha (o è) la Verità. Come sarebbe possibile conoscere la "parte"
senza il "tutto" di cui la parte è "parte"?
E’ questa la convinzione di Hegel, una tesi di sicuro presente nel patrimonio cristiano (pensa
alla concezione manzoniana del dolore: solo Dio, che lo colloca nel suo disegno provvidenziale,
può conoscerne appieno il significato).
LA VERITA' E’ L'INTERO. E' una tesi che potrebbe essere condivisa. Il significato di una
“parte” può essere compreso solo se si ha presente il "Tutto" (così la vita dell'uomo, la
malattia .. ). Ma il Tutto è accessibile all'uomo? Quale potrebbe essere la risposta di Hegel?
Certo: non abbiamo detto che con l'idealismo il pensiero umano ha scoperto di essere "Dio",
cioè Infinito, cioè l’Intero?
E’ questa la convinzione di Hegel: con l'idealismo il pensiero si è reso conto che abbraccia
tutto, dalla natura alla storia a Dio.
Hegel è convinto, quindi, che il pensiero umano - con l'idealismo - vede il mondo, la storia..
come Dio. E’ convinto, anzi, che il pensiero umano sia Dio, diventi Dio. Una bestemmia - dirai
tu -. Lo stesso Galileo, tuttavia, pur in un contesto diverso, è arrivato ad una tesi non
lontanissima da questa. 0 no?
E' vero: Galileo è arrivato a dire che con la scienza l'uomo riesce a vedere il mondo come lo
vede Dio, una tesi che oggi fa... ridere gli scienziati.
Okay. Tieni tuttavia presente la notevole diversità che c'è tra Galileo e Hegel. E’ un fatto,
comunque, che la posizione di Galileo esprime un'ambizione che oggi è tutt'altro che condivisa
dagli scienziati che sono molto più.. umili, più consapevoli dei limiti della scienza, della sua
fallibilità.
Con un po’ di forzatura potremmo dire che, mentre nel Cristianesimo è Dio che si fa uomo,
secondo l'ottica di Hegel è l'uomo che si fa Dio. Non si tratta, tuttavia, dell'uomo singolo. Non è
il singolo uomo Hegel che diventa Dio: Hegel non arriva a tanta immodestia. Per Hegel il
Pensiero trascende i singoli uomini. L'idealismo non è la scoperta di singoli filosofi: l'idealismo
è l'approdo finale di un processo del Pensiero umano che, nell'età moderna, dopo la rottura
cartesiana tra “pensiero” ed "essere", ha scoperto la contraddittorietà di un essere al di fuori
dell'orizzonte del pensiero.
Dio, quindi, non è l'oggetto di "intuizione" del singolo artista, ma il risultato di un lungo e
travagliato processo storico del Pensiero che parte dai primi pensatori greci e che, tramite il
superamento di successive contraddizioni, approda alla coscienza di essere Infinito. Hegel nella
sua complicatissima opera " La Fenomenolgia dello Spirito" ricostruisce questo travaglio
soffermandosi anche su grandi eventi "storici” come la "schiavitù”.
Tu chiederai cosa c'entra la "schiavitù" con questo processo del Pensiero. Per Hegel lo
"schiavo" prende consapevolezza di essere "libero", mentre il padrone è schiavo. Come?
Attraverso il "lavoro”. Lo schiavo si rende conto che il padrone è di fatto il suo servo perché
dipende proprio dal lavoro del servo. Cosa dici?
Mi sembra una libertà che fa ridere! Il servo rimane servo e il padrone rimane padrone! Siamo
di fronte ad una libertà solo a livello di coscienza, ma non reale.
Non hai torto. E’ quanto, ad esempio, dirà Marx. E’ anche vero, però, che lo stesso Marx non
farà che riprendere e sviluppare la "valorizzazione del lavoro” fatta da Hegel.
Come vedi, Hegel legge il momento storico della schiavitù come una manifestazione del
processo della coscienza , del pensiero, dello spirito. La libertà puramente "interiore" scoperta
dallo schiavo - secondo Hegel - viene teorizzata dallo stoicismo: ti ricordi della libertà dalle
emozioni come modello per il saggio? Anche lo scetticismo viene visto come uno dei momenti
della avventura dello spirito: con lo scetticismo il pensiero separa il pensiero dalla realtà
(considera, infatti, la realtà come inafferrabile).
Questo è l'approccio hegeliano. Ovviamente qui ti sto dando solo alcuni spunti, tra l'altro
semplifícati. Nel Medioevo - per citare altri esempi - Hegel vede la cosiddetta "coscienza
infelice ", la coscienza tipica di una cultura cristiana che considera la coscienza umana come
separata dalla coscienza divina. L’uomo nel Medioevo si sente un nulla di fronte a Dio: in altre
parole, il pensiero - che è oggettivamente infinito - si coglie come finito e sottomesso ad un
Dio esterno alla coscienza umana.
L'avvento della "scienza", poi, viene vista come il momento in cui la ragione scopre la natura
non come il regno del caos e del caso, ma come il regno dell'ordine, regno retto da leggi
razionali (matematiche). Nell'Illuminismo, poi, viene vista la rottura tra il pensiero (la ragione)
e la storia (meglio determinate epoche storiche, in primis il Medioevo), rottura che consiste nel
considerare certe epoche come "irrazionali", separate, cioè, dalla ragione (dal pensiero).
Ti ho fornito solo alcuni flashes di un'opera estremamente impegnativa e scritta con un
linguaggio super-tecníco. Con Hegel (ma anche già il Kant della "Critica della Ragion Pura" ed
in generale negli idealisti) siamo lontanissimi dallo stile dei philosophes dell'Illuminismo: se gli
Illuministi volevano "illuminare" e per questo usavano un linguaggio accessibile (anche
brillante), Hegel usa un linguaggio tecnicissimo destinato ad l'addetti ai lavori" (altri docenti di
filosofia). Un linguaggio specialistico che troviamo anche in altre opere della maturità tra le
quali I’“Encíclopedia delle scienze filosofiche", un testo che presenta la filosofia hegeliana con
una impostazione "triadica "(tesi, antitesi e sintesi). Una riflessione: cosa dici dell'uso di un
linguaggio specialistico?
Mi pare espressione di una "setta", di una aristocrazia intellettuale che vuole quasi conservare
gelosamente le proprie "verità".
Se fai il confronto col linguaggio dei philosophes dell'Illuminismo, la tua impressione mi pare
legittima. E' un fatto, comunque, che tutti gli specialisti di un settore usano il linguaggio
specialistico quando scrivono per specialisti, un linguaggio inaccessibile ai… profani.
Riprendiamo il discorso. Ti chiedo di fare un grande sforzo intellettuale. Ne vale la pena. Qui
dobbiamo cercare di comprendere un autore che tanto influsso ha avuto sul pensiero
successivo fino a tempi recenti. La storia - soprattutto la storia della cultura - manifesta
l'avventura dello Spirito, le sue peripezie fino all'idealismo. Questo in sintesi il contenuto della
"Fenomenologia dello Spirito" di cui ti ho fornito degli spunti. Tu storcerai il naso. Forse ti
sembrerà strana questa "lettura " della storia. Non devi, tuttavia, dimenticare le categorie del
tempo di Hegel.
Facciamo alcuni confronti. Trovi qualche analogia tra Fichte e Hegel?
Come no? Per ambedue la storia è un processo di superamento (di "limiti" per Fichte e di
“contraddizioni" per Hegel). Per ambedue, cioè, la storia è “progresso”.
La concezione della storia come "superamento" è, di sicuro, comune ad ambedue. Per Fichte,
tuttavia, il superamento è all’infinito (in sintonia con lo "streben " romantico), mentre per
Hegel ha il suo traguardo nell'idealismo.
Secondo Hegel il processo di superamento all'infinito è una sorta di "semiretta” che ha un
inizio, ma non ha una fine: lo streben fichtiano, cioè, per Hegel è un'ansia mai appagata. Il
superamento hegeliano, invece, ha un suo traguardo nell'idealismo: lo Spirito, cioè, si appaga
nel momento in cui si scopre Dio. Cosa dici tu2
Mi pare più attuale, indubbiamente, Fichte: la storia degli ultimi secoli ci dice che è in atto un
progresso scientifico - un progresso che supera a mano a mano limiti, barriere - che non potrà
mai considerarsi finito.
Forse non hai torto. 1 progressi effettuati dalla scienza ci portano a pensare che verranno
superati sempre più limiti.- chissà un giorno l'uomo riuscirà a sconfiggere anche il limite considerato "naturale" - della morte!
L’idealismo: “la fine” o “il fine” della storia?
Hegel parla dell'idealismo come "meta", come traguardo della storia, ma pare che non voglia
dire chela storia abbia fine con l'idealismo. Cioè andrebbe distinto "il fine " da "la fine”l'idealismo sarebbe “il fine", ma non "la fine”. Certo, tu ti chiederai come è possibile una
"storia" dopo l'idealismo so per "storia" si intende "superamento di contraddizioni”. Se
pensassi così, sarebbe un'obiezione più che legittima. Proseguiamo: trovi anche delle analogie
tra Hegel ed Aristotele?
Non vedo analogie: il Dio di Aristotele è Immutabile e trascendente, mentre il Dio hegeliano è
un divenire Dio nella storia. Aristotele, poi, detta regole per formulare le "definizioni",
definizioni che non avrebbero senso in Hegel: definire non significa "delimitare", cioè
"separare"?
Mi pare un'osservazione pertinente. Sulla definizione in particolare, poi, non vedo come tu
possa avere torto: definire significa isolare il genere prossimo e la differenza specifica da tutto
il resto, significa, quindi, "separare la parte dal tutto".
Per Hegel (stiamo parlano di "Logica”) i concetti sono strutturalmente legati tra loro: i concetti,
cioè, sono una vera e propria "rete". Non esiste, dunque, per Hegel un “punto di partenza”.
Neanche un punto di partenza del filosofare come il "cogito cartesiano”. I concetti, per Hegel,
sono momenti di un "organismo" E nell’"organismo" - come sai - le parti sono intrinsecamente
funzionari alle altre ed al tutto. Nessun concetto, quindi, è privilegiato.
Ciò nonostante Hegel attribuisce una sorta di punto di partenza al concetto parmenideo di
"essere” Perché mai? Perché I’"essere", come l'aveva concepito Parmenide, è il concetto più
“astratto” (separato) di tutti in quanto è assolutamente indeterminato, è tanto separato dalle
cose che non contiene nulla (come sai, per Parmenide, le cose non appartengono allarga
dell'essere). Si tratta, quindi, del concetto più… povero, tanto povero da identificarsi col suo
opposto, cioè il "nulla”. Non intendo qui torturarti con le "triadi " della logica hegeliana: vi
sono triadi forzatissime, pasticciate. Mi interessa che tu abbia chiara l'idea secondo cui i
concetti sono tutti in relazione tra loro.
Un altro confronto: con Schelling. Abbiamo già visto come Hegel prende le distanze non solo
dall’ “identità degli opposti”, ma anche dalla concezione secondo cui l'Assoluto è oggetto
accessibile all'artista. Ma anche nei confronti della "natura" le due visioni cambiano: per
Schelling - come sai - la natura palpita di Dio, è la preistoria dello Spirito, mentre Hegel non ha
nessun atteggiamento reverenziale nei confronti della natura perché nella natura stenta a
cogliere la razionalità, l'ordine. La natura appare a lui più come il regno dell'accidentale, del
casuale che il regno dello spirito. Per Hegel lo "spirito " si coglie molto di più nel più rozzo
manufatto umano che nella natura. Cosa ne dici?
Mi sento più in sintonia con Schelling che con Hegel: la natura è retta da leggi matematiche quindi razionali - che fanno dell'Universo qualcosa di ordinato (altro che il regno del caso!).
Questa è sicuramente la visione "classica" della scienza, visione che oggi è in qualche misura
entrata in crisi.
Hegel: anticipatore di Freud?
Riprendiamo il nostro cammino di esplorazione. Abbiamo detto che, per Hegel, il mondo della
logica non è un mondo di definizioni, ma è un "organismo" in cui i concetti sono in relazione
funzionale tra loro. Abbiamo parlato della "natura" in cui lo spirito è sicuramente presente (non
dimenticarti che Hegel è un… idealista), ma non si manifesta chiaramente, è quasi nascosto.
Parliamo ora dell'uomo. Anche Hegel parla dell’"anima”. Ne parla, però, in un senso diverso da
quello tradizionale: per lui l'anima è il substrato inconscio in cui affondano le radici la genialità,
la follia, il carattere, l'umore, la stessa abitudine. Cosa ne dici?
Mi pare di essere di fronte ad un'intuizione che anticipa Freud, anticipa cioè la scoperta della
componente inconscia della psiche umana.
Un'interpretazione legittima. Per Hegel l'abitudine (pensa, ad esempio, ad un pianista che ha
tanto memorizzato la tastiera e lo spartito che riesce a suonare a velocità sorprendenti dei
pezzi impegnativi), la genialità, il temperamento… non hanno il connotato della trasparenza noi non ne siamo consapevoli - e quindi hanno le radici nel substrato inconscio dell'uomo.
Lo "spirito umano”, quindi, non è solo "consapevolezza”, ma anche “inconscio”. E' dunque
"sintesi di opposti”. Cos'è che caratterizza lo spirito umano? Per Hegel è la 'libertà ": l'uomo è
uomo in quanto è "libero”. Cosa ne dici?
Mi pare una concezione corretta: solo la libertà può contraddistinguere l'uomo dall'animale
(l'animale può avere un qualche grado di coscienza, ma di sicuro non è libero).
Una posizione legittima (non entriamo, ovviamente, qui nel problema se cioè siamo o no
veramente liberi). Hegel considera la libertà come sintesi di ragione e di volontà: per decidere
liberamente - in poche parole - occorre conoscere con la ragione ed occorre la volontà.
La “libertà” per Hegel, è la sintesi più elevata dello spirito umano individuale (ti risparmio altre
sintesi precedenti). Ma lo spirito umano non si esprime solo negli individui, ma anche nei
rapporti tra individui ed, in ultima analisi, nello Stato.
La concezione “contrattualistica” dello Stato? E’ errata!
Hegel rifiuta la concezione giusnaturalistica secondo cui esistono dei "diritti naturali" che
precedono lo Stato. Secondo lui, in sintonia con Hobbes, lo stato di natura (pre-sociale) è il
regno della violenza e della prepotenza. E’ Io Stato che stabilisce i "diritti”. Cosa ne dici?
Mi pare corretto. Lo dico senza scomodare Hobbes. Basterebbe leggere la nostra Costituzione
dove non si fa mai cenno ai presunti "diritti naturali". E' lo Stato - vedi la stessa Costituzione che stabilisce i "diritti".
Ma non ti sembra pericolosissima una tesi del genere? Se non esistessero diritti naturali, non
vi sarebbe alcun criterio per giudicare una legge ingiusta: come si farebbe, se non ci fosse il
parametro dei diritti naturali?
Mi pare un'obiezione corretta di fronte alla quale mi sento
disarmato.
Siamo ad un punto delicato del pensiero politico di Hegel. Se ogni legge è giusta in quanto
legge, non è possibile criticare alcuna legge. Hegel sostiene che chi critica una legge, di sicuro
ha meno razionalità di quanto sia contenuta nella legge stessa in quanto il singolo (o la
corporazione che giudica la legge) esprime interessi privati, mentre la legge esprime interessi
generali. Cosa ne dici?
Mi pare una tesi accettabile: anche oggi chi critica le leggi finanziarie, critica per difendere i
propri interessi privati senza preoccuparsi della necessità che ha oggettivamente la collettività
di liberarsi dal pesantissimo fardello del debito pubblico.
E' in questa ottica che Hegel rifiuta la concezione "contrattualistica" - presente nel
giusnaturalismo, in Hobbes, nel liberalismo e nello stesso Rousseau -. La rifiuta non solo
perché storicamente gli Stati non sono nati sulla base di "contratti", ma soprattutto perché se
lo Stato nascesse "dal basso" (tramite un "contratto”), non potrebbe non essere subordinato
agli interessi di parte. Cosa ne dici?
Mi sembra una tesi reazionaria: se lo Stato non nasce dal basso, vuoi dire che nasce dall'alto
(siamo proprio alla monarchia assoluta!).
Effettivamente Hegel è favorevole ad una Monarchia. solo il monarca, infatti, può essere
super partes e perseguire gli interessi generali in quanto non deve rispondere agli elettori.
E tuona contro il 'Parlamento " inglese per la semplice ragione che il parlamento non è che la
cassa di risonanza dei tanti interessi corporativi delle categorie di elettori. Hegel sottolinea
fortemente la necessità che lo Stato - per essere veramente tale - esprima solo gli interessi
generali. Questo sulla lunghezza d'onda di...
Platone: questi ha avvertito così tanto il problema da prevedere una classe di governanti
senza alcuna proprietà privata, senza cioè alcun interesse da difendere.
Il riferimento è corretto: per Platone i tipi di Stato allora presenti (compresa la democrazia)
esprimevano interessi di parte.
Hegel si trova pure, di sicuro, sulla lunghezza d'onda di Rousseau (un suo "amore" giovanile
come abbiamo già visto), Anche Rousseau, infatti, insiste sulla necessità che lo Stato sia
espressione della "volontà generale", volontà che - a differenza della "volontà di tutti" rappresenta gli interessi generali. Rousseau arriva a dire che chi rifiuta la volontà generale,
lo fa perché non è libero, ma è schiavo dei suoi interessi di parte, del suo egoismo. Un
discorso in perfetta sintonia con quanto dice Hegel. E' in questa ottica che Hegel sostiene la
Monarchia prussiana: il monarca, proprio perché non è eletto da nessuno e, quindi, non
risponde a nessuno, è super partes ed incarna gli interessi generali.
Questo non significa che Hegel sia favorevole ad una Monarchia dispotica, assoluta: per lui
lo Stato si regge sulle "leggi", non sull'arbitrio di uomini. Non solo: sostiene che possono
concorrere al “potere legislativo" la Camera alta e la Camera bassa che sono espressione dei
ceti sociali (delle "corporazioni" che esprimono già una mediazione di interessi individuali). Il
potere più forte, comunque, è quello "governativo " (che abbraccia anche il potere giudiziario
e di polizia) in mano ai ministri e ai “funzionari”.
Il discorso politico di Hegel è, quindi, complesso. Definire Hegel "reazionario " o "ideologo
della Restaurazione" è, probabilmente non corretto. Tra l'altro Hegel è sempre stato un
ammiratore di Napoleone. Certo per lui non si può esportare - come ha fatto Napoleone - un
modello di Stato (una "costituzione”) ed imporlo a dei popoli dall'esterno: lo Stato è
espressione della storia di un popolo, della sua cultura, del suo "spirito".
Veniamo al tema più delicato della concezione hegeliana dello Stato: lo Stato è "etico”. Cosa si
intende per "eticità "? Non è la "morale" che ha che fare con la sfera interiore (Hegel si
riferisce alla morale "kantiana " che si basa su "doveri " dettati dalla "ragione”). Hegel intende
per "eticità " la "sintesi" di "morale" e dì "diritto" (che ha a che fare con la sfera esteriore, con
dei comportamenti: il "diritto" si esprime originariamente come "diritto di proprietà” (proprietà
frutto del proprio lavoro - in sintonia con Locke).
L'eticità non si esprime solo nello Stato, ma anche nella “famiglia” e nella "società civile”. Lo
Stato, tuttavia, incarna la massima espressione dell’“eticità”. Chiariamo. Nella famiglia non c'è
solo la sfera "morale" - una sfera puramente interiore (nella morale kantiana che conta è
“l’intenzione”), ma c'è pure la "concretezza", la traduzione concreta del dovere, dell'amore:
l'imperativo categorico non mi dice concretamente "che cosa fare", mentre nella famiglia il
"che cosa fare” c'è!
E cos’è la "società civile"? E' la sfera del soddisfacimento dei bisogni e dell'amministrazione
della giustizia. La prima - il mondo economico della produzione e del commercio - è la sfera
in cui i singoli perseguono il loro tornaconto personale. Pur agendo, però, ciascuno per il
proprio utile, il traguardo finale rappresenta un bene collettivo. Hegel fa propria la tesi di
Smith della "mano invisibile": il mercato, cioè, pur essendo animato da tanti tornaconti
personali, guidato com’è da una sorta di mano invisibile, produce un bene collettivo (pensa
agli effetti della concorrenza). Cosa ne dici?
La concorrenza oggi provoca il dramma della disoccupazione, altro che bene
collettivo! E’ vero, ma è anche vero che la concorrenza tende ad abbattere i prezzi
ed a migliorare qualità dei prodotti: la concorrenza, ovviamente, la si vince con le
armi del prezzo e della qualità.
L'amministrazione della giustizia, poi, viene effettuata grazie a leggi che definiscono i "diritti"
dei singoli cittadini, leggi che esprimono il patrimonio sia cristiano (che vede in ogni persona
un valore infinito, sacro) che giusnaturatistico-liberale (che vede diritti naturali di ogni uomo
prima dello stesso Stato). Se nella “famiglia " (come del resto nella “polis greca" di cui il
giovane Hegel aveva provato ammirazione) di fatto I’"individuo " con i suoi diritti non c'è in
quanto l’"amore "fa sì che ogni componente sia “fuso” con gli altri componenti, nella società
civile (mondo economico ed amministrazione della giustizia) emergono con forza gli individui
con i loro "diritti".
Hegel: anti-liberale, fascista ante-litteram?
Sì tratta di "diritti" che nello Stato "etico" vengono superati nel loro essere "separati"
dall'interesse collettivo, dall'organismo-comunità. Lo Stato etico di Hegel, quindi, si può
definire illiberale? Prova ad intuire.
Macché illiberale! La "sintesi" è sì un superare i momenti "astratti", ma anche il "conservarli".
Non può, dunque, lo Stato hegeliano annullare il patrimonio liberale!
Ma come può lo Stato hegeliano conservare il liberalismo se Hegel considera il liberalismo
portatore di diritti individuali, di interessi particolari? Hegel non attacca il parlamento inglese
come la cassa di risonanza di tanti interessi di parte?
E' vero, ma è anche vero che la sintesi, supera, ma anche "conserva" gli opposti.
Infatti: la sintesi è un Aufhebung (che supera la separazione dei momenti astratti, ma che
anche conserva tali momenti astratti). Non si può, quindi, definire Hegel - se vogliamo essere
rigorosi - un anti-liberale perché per lui il liberalismo (e il liberismo) che è l'anima della società
civile non può che essere conservato dalla sintesi – di famiglia e di società civile - che è lo
Stato.
In questa ottica è una forzatura (anzi una strumentalizzazione) definire Hegel - come è stato
fatto da intellettuali nazisti - un nazista ante-litteram: Hegel pur considerando necessario
superare il liberalismo, non nega il liberalismo, ma lo fa sposare con gli interessi dello Stato.
E non si può neanche dire che Hegel "giustifichi" tutto. E’ vero che sostiene che "ciò che è
reale è razionale e ciò che è razionale è reale" ma è anche vero che lui nega di giustificare
tutto. Cosa dici?
Mi pare incoerente: se ciò che è reale è “razionale", vuoi dire che è considerato bene (al
limite anche l'Olocausto che è un fatto "reale").
L'incoerenza sicuramente c'è. Hegel prende le distanze dal "giustificazionismo" sostenendo
che non tutto ciò che "è (esiste)" è "reale”, perché non tutto ciò che è, è "sostanziale" (può
essere "accidentale”. Ad esempio si potrebbe dire che non tutto ciò che esiste nello Stato
prussiano è "sostanziale" - vedi l'istituto del "maggiorascato” e quindi non tutto è "reale; e
quindi non tutto è "razionale”. Cosa dici tu dei principio hegeliano "ciò che è reale è razionale
e ciò che è razionale è reale"?
E' l'ennesima conferma che Hegel è un reazionario: per lui è razionale chi "vince", è
razionale, quindi, la "forza".
Ma.. come si può negare che, date le condizioni storiche, le idee di Mazzini erano "astratte"
(separate), mentre quelle di Cavour erano aderenti agli interessi del tempo, per cui solo
quelle di Cavour avrebbero potuto diventare "reali"? Questo è l'approccio hegeliano. Potresti
fare tutti gli esempi che vuoi: dopo la Rivoluzione sovietica non vince Stalin (e rimane
sconfitto Trotskij) perché la sua idea di costruire un "socialismo in un solo paese” è più
concreta dell'idea di Trotskij di una "rivoluzione permanente”?
Concludiamo il discorso sullo Stato secondo Hegel. Per Hegel è nello Stato che gli uomini
acquistano la "libertà sostanziale", la libertà piena: nella famiglia l'uomo non è libero in
quanto, proprio perché è legato al coniuge o ai figli o ai genitori da un rapporto di amore,
non ha una sua precisa individualità con i suoi diritti,, nella società civile la libertà dell'uomo
è "astratta” (esistono solo "diritti individuali”), mentre solo nello Stato l'uomo si libera dagli
interessi di parte e guadagna quindi la massima "libertà”, la libertà della ragione. Cosa dici?
Mi pare un'anticipazione della dottrina fascista dello Stato secondo cui la vera libertà consiste
nell'ubbidire allo Stato.
Se ti interessa, l’ideologo del fascismo è stato un neo-idealista (Giovanni Gentile). Il
fascismo, però, fu illiberale, mentre la dottrina dello Stato hegeliano supera il liberalismo, ma
non lo nega.
Lo Stato hegeliano - te lo dico a titolo di curiosità - è detto da Hegel l'espressione più alta
dello "Spirito oggettivo": lo Spirito, cioè, non "soggettivo". individuale, ma "superindividuale”, lo spirito che si incarna nelle istituzioni quali ad esempio la famiglia, la società
civile e lo Stato. Lo Stato, quindi, è la massima espressione dello Spirito di un popolo. Ha,
dunque, un valore sacro. Hegel arriva a dire pure che, nella storia, si sono riscontrati popoli
che registravano un grado di civiltà (un grado di "spirito”) più elevato rispetto ad altri: da qui
il loro diritto a conquistare altri popoli per diffondere loro la civiltà, le istituzioni "razionali”.
Forse stai storcendo il naso. Forse stai ritrovando motivi nazisti. Per Hegel i Greci, i Romani..
hanno avuto un grande merito nella storia perché hanno diffuso lo... spirito nel mondo. La
guerra, quindi, non va vista come male, come fonte di morte; non va vista, cioè, come fine,
ma come "mezzo”. La guerra - anche se ha calpestato tanti fiori innocenti - è stato un mezzo
necessario per far uscire altri popoli dalla barbarie. Cosa ne dici?
Mi sembra una tesi raccapricciante, degna dei peggiore machiavellismo! Come si può essere
cinici a tal punto da non vedere la vita come fine? Hegel ha dimenticato totalmente la lezione
di Kant!
Hai tutte le ragioni di questo mondo ad esprimere la tua reazione di fronte a tanto cinismo.
Devi, tuttavia tener presente che vi è chi sostiene che lo storico non deve permettersi di
"condannare”, ma deve limitarsi a "comprendere”.
Hegel arriva addirittura ad individuare una sorta di Provvidenza laica (la chiama “L’Astuzia
della Ragione”) che utilizza le passioni, le brame, i sogni di gloria di grandi uomini - vedi, ad
esempio, Alessandro Magno, Cesare, Napoleone - per diffondere la Ragione (lo Spirito) nel
mondo. 1 grandi uomini, cioè, che hanno fatto la storia sono stati strumento di questa
Ragione astuta che è lo Spirito che guida la Storia (che è la Storia). Cosa ne dici?
Mi sembra troppo scoperta la scopiazzatura della Provvidenza cristiana: in ambedue i casi ciò
che fanno gli uomini rientra in un disegno provvidenziale che è ignoto ai poveri mortali.
Si tratta, effettivamente, di una figura che ha molte analogie con la Provvidenza cristiana
(naturalmente, l'Astuzia della Ragione hegeliana è immanente alla storia, non è
trascendente). Non puoi, tuttavia, negare che esiste una certa coerenza con l'insieme della
dottrina hegeliana.
Per Hegel sono gli Stati (cioè lo spirito dei popoli) a fare la storia "Fare la storia" è la loro
grande missione. E la storia viene fatta anche con le guerre e pure con grandi uomini che
diventano strumento inconsapevole in mano all’Astuzia della Ragione. E quali sono i
“prodotti” più elevati dello spirito di un Popolo? Per Hegel si tratta dell’"arte", della "religione"
e della “filosofia”. L'arte è la primitiva espressione. La religione è il passo successivo. La
filosofia, poi, rappresenta la "sintesi" di arte e di religione (sintesi di cui arte e religione sono
momenti che vengono superati nel loro essere separati). Cosa dici?
Mi pare - quella hegeliana - una schematizzazione antistorica: l'arte e la religione
storicamente convivono con la filosofia. E poi come si fa a dire che la religione va superara
dalla filosofia?
Hegel non nega che ad un certo punto convivono. Egli sostiene che la religione è un momento
che viene superato dalla filosofia Del resto se per Hegel è nella filosofia (idealistica) che Dio
ha scoperto di essere Dio, vuoi dire che la religione - che considera Dio esterno al pensiero
umano - viene superata dalla filosofia.
Per Hegel non solo la religione, ma anche l'arte esprime il divino: questo perché un'opera
d'arte è una unità inscindibile tra forme sensibili (musica, figure, linee architettoniche.. ) e un
messaggio spirituale, un'unità inscindibile, cioè, tra natura e spirito (cioè Dio).
Hegel vede nella storia tre momenti dell'arte: l'arte "simbolica" in cui il messaggio spirituale è
povero, tanto povero che non riesce a trovare delle forme sensibili adeguate (da qui il ricorso
al simbolo), l'arte "classica " che presenta un'armonia tra messaggio spirituale e forme
espressive (è nella “figura umana' che l'arte classica ha la sua massima espressione) e l'arte
"romantica" in cui il messaggio spirituale è tanto ricco da non trovare un'adeguata
espressione sensibile. Cosa ne dici?
Mi pare che qui ci troviamo di fronte ad una triade tutt’altro che lineare: la sintesi (tra
contenuto spirituale e la farina sensibile), infatti, invece di essere alla fine, è a metà dei
processo dialettica.
L'osservazione è pertinente. Tieni, comunque, presente che per Hegel l'arte è un momento da
superare e l'arte romantica esprime proprio questo disagio dell'arte in un momento in cui si
avverte la necessità di superarla. In Hegel troviamo un'ambiguità: mentre nell’“Estetica"
presenta i tre momenti come te li ho proposti, nella "Enciclopedia delle scienze filosofiche”
scandisce l'arte in arte classica, simbolica e romantica.
La religione? Una visione del mondo destinata ad essere superata dalla filosofia!
Veniamo alla religione. Mentre l'arte si esprime attraverso forme sensibili (figure, parole,
musica.. ), la religione si esprime attraverso "immagini," (vedi, ad esempio, la Provvidenza, la
Trinità …). Hegel individua nella storia un processo dialettico della religione: da quelle primitive
(vedi il “feticismo", in cui Dio è ancora sepolto nella "natura”) al Cristianesimo che rappresenta
il momento più elevato, la "sintesi" (Cristo è sintesi di Spirito e Natura). La stessa religione
cristiana - pur rappresentando il culmine della storia delle religioni - è destinata ad essere
superata dalla filosofia perché esprime solo in "immagini" ciò che la filosofia rappresenta con
"concetti”. Cosa ne dici?
Mi sembra una concezione tipicamente illuministica: come si fa a vedere il messaggio cristiano
solo come un insieme di "immagini" il cui significato vero è colto dai concetti della filosofia?
Una reazione legittima Tieni, comunque, presente che per Hegel la religione (come tutti
momenti del processo dialettico) è un momento necessario dello sviluppo dello Spirito, mentre
per gli illuministi la religione (naturalmente, positiva) è tout court superstizione.
Per Hegel la figura di Cristo "uomo-Dio " non è che un’immagine che indica l’unità di Natura e
Spirito, di Finito e Infinito scoperta concettualmente dalla filosofia idealistica. Così la Trinità
non è che un’immagine che indica la triade del processo dialettica hegeliano. Le immagini del
Cristianesimo, cioè non vanno viste come vere, ma semplicemente come… immagini il cui
significato è svelato dall'idealismo. E’ la filosofia, quindi, il sapere più elevato, il sapere in cui è
il Pensiero stesso che, mediante il superamento della contraddizione della realtà in sé, si
scopre Dio. Il Dio cristiano, quindi, non può essere "vero "proprio perché Dio è l'Intero,
l’Infinito e non può, dunque, identificarsi né col Dio=Puro Spirito, né con Cristo uomo-Dio. E’
una tematica che provocherà un'ampia riflessione alla fine della quale vedremo degli sbocchi
"atei". La verità sta solo nella Filosofia (idealistica) in cui l'Intero è presente a se stesso. La
storia della filosofia è scandita da tre momenti: la filosofia antica in cui il pensiero sa di
cogliere (senza porsi alcun problema) l'essere, la filosofia moderna che da Cartesio fino a Kant
provoca una lacerazione tra il pensare e l'essere (il pensiero coglie solo le "idee”), la filosofia
idealistica che si rende conto che la lacerazione tra pensiero ed essere porta ad una
contraddizione.
La filosofia idealistica è, sì, un ritorno alla filosofia "ingenua " che precede il "dubbio "
cartesiano, ma con la consapevolezza - che prima non c'era - che la separazione tra pensare
ed essere porta alla contraddizione. La filosofia moderna, quindi, è un momento necessario
perché il pensiero possa scoprire di essere Infinito, Dio. Per Hegel tutta la storia della filosofia
non è che lo sviluppo della Filosofia di cui le singole filosofie sono solo che dei "momenti”. Per
cui non esistono filosofie "vere" e filosofie 'false”. Cosa ne dici?
Mi pare una saggia idea rinunciare a due le etichette di "vero" e di "falso": come si può dire
che la dottrina di Aristotele è "vera" e quella platonica "falsa"? Si tratta di due aspetti diversi di
una stessa verità.
Ma se non ci fossero "errori”, come potrebbe esistere la "verità” (hegeliana)? Non è la stessa
dialettica hegeliana che dice che gli opposti sono tra loro in relazione?
Infatti.
Il pensiero di Hegel è in questi termini. le filosofie sono "vere " per quello che dicono e 'false "
per quello che negano (essendo la Verità=lntero). Quello che viene detto, in altre parole, dai
singoli filosofi, è una “parte " della Verità. Vera o falsa? Va vista come “parte”, il filosofo,
invece, tende (prima di Hegel) a vedere la propria filosofia come vera e le altre come false.
La storia della filosofia viene vista quindi, come la Filosofia. E’ cioè un "organismo" unico
perché unico è il Soggetto (lo Spirito). Cosa ne dici?
Mi sembra una vera e propria svalutazione dei singolo filosofo: non solo i grandi uomini dei
tipo di Giulio Cesare, Napoleone sono uno strumento dell'Astuzia della Ragione, ma anche i
filosofi sono strumenti in mano allo Spirito!
Non hai torto: per Hegel la storia – non solo la storia della filosofia, ma anche la storia degli
eventi -non è fatta dagli uomini, ma dallo Spirito, da Dio. Hegel, comunque, tiene presente la
dimensione storica: per lui la filosofia spicca il volo al tramonto di un’epoca (come la civetta
spicca il volo al tramonto del giorno) per coglierne le ragioni, “ragioni” che non si possono
cogliere mentre l’epoca è ancora in corso, ma solo dopo, perché solo dopo si vedono dispiegati
ad esempio gli effetti di una guerra. Cosa ne dici?
Qui torna l’Hegel reazionario, l’ideologo della Restaurazione.
Un’opinione legittima. Tieni presente, comunque, il clima romantico che tende a rivalutare la
storia, tutta la storia, in contrasto con i philosophes del ‘700 che si permettevano di
condannare intere epoche storiche; la storia va compresa nelle sue ragioni, non condannata.
Hegel, indubbiamente,, è in sintonia con la cultura romantica, ma non del tutto. In che cosa
non ti sembra romantico?
Il Romanticismo esalta l’individualità, mentre Hegel, al contrario, esalta lo Stato, lo Spirito del
mondo di cui i singoli non sono che strumenti. Non solo: Hegel vede la religione e l’arte –
tornate in auge nel Romanticismo – solo come momenti, delle fasi propedeutiche della
filosofia..
Indubbiamente si tratta di aspetti che difficilmente si possono trovare nella cultura romantica.
Oppure si potrebbe dire che la cultura romantica si rivela al suo interno molto articolata. Si può
dire – usando un’immagine di Hegel – che la filosofia fichtiana è come una semiretta che ha un
inizio, ma non una fine (il superamento all’infinito di limiti che lo Spirito ha come compito), la
filosofia hegeliana è una sorta di “cerchio”, di “processo circolare”: in ogni trade la sintesi torna
alla tesi col recupero dell’antitesi, lo stesso idealismo non è che il ritorno alla concezione
ingenua del pensiero greco, ma col recupero – anche se superato – del momento
“problematico”, lo stesso Essere che ha presente il Pensiero al momento dell’Idealismo non è
che l’Essere ingenuo di Parmenide, ma arricchito di tutte le determinazioni delle triadi
successive (l’Essere che ha presente il Pensiero nell’Idealismo è l’Intero concreto che è privo di
niente: né della storia, né della natura). Anzi è solo dall’altezza dell’Idealismo che si possono
cogliere le singole filosofie come dei “momenti astratti” (prodotti dell’intelletto astratto). Hegel,
grosso modo, è questo. Non ho voluto torturarti con sottigliezze che potrai scoprire se vorrai
diventare uno “specialista”. Ti invito a tenerlo ben presente perché è il punto di riferimento di
tanti filosofi. Ti consiglio, quindi, di tornare a questo viaggio quando ne sentissi il bisogno.