Problemi in psichiatria 4508

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Problemi
in psichiatria
Protocolli diagnostici 5
Una difficile diagnosi
differenziale 17
Morfologia del disturbo
dislessico 43
Competenza presunta
e ignoranza certa 55
4508
PROBLEMI IN PSICHIATRIA N. 45 SETTEMBRE 2008
Problemi
in psichiatria
Il fine è l’uomo, il principio la terra
Direttore Responsabile
Umberto Dinelli
5.
P. Pellegrini
Protocolli diagnostici
Comitato di Redazione
Presidenti
Umberto Dinelli
Giovanni Ronca
Coeditori
Mario Guazzelli
Gianni Moriani
Pietro Pietrini
Comitato Scientifico
Eugenio Aguglia
Nicoletta Brunello
Angela Conte
Maurizio De Vanna
Gianluigi Gigli
Carlo Alberto Madrignani
Roberto Mutani
Paolo Nichelli
Stefano Pallanti
Riccardo Torta
Consulenti Internazionali
Slavko Zihler - Ljubliana, Slovenia
Irvin Feinberg - Davis, California
Raphaël Massarelli - Grenoble, Francia
Questo numero è stato curato da Irene Guerrini
e Guglielmo Mottola
I disegni sono di Paolo Giordani
17. M. Cervi, P. Nadin, N. Zulian
Una difficile diagnosi differenziale
43. M. Michieletto
Morfologia del disturbo dislessico
55. AA. VV.
Competenza presunta e ignoranza certa
Rivista quadrimestrale anno 17° numero 45 - Settembre 2008
Editore “Centro per lo studio dell’interazione Neuropsichiatria e Società”. Direzione, redazione, amministrazione: Mestre Galleria Medaglie d’Oro 5/9 - 30174 Mestre-Venezia Tel. 041.983630, Pisa Via Roma, 67 56100 Pisa Tel. 050.992658 Fax 050.835424, Preganziol Via Terraglio, 439 - 31022 Preganziol - Treviso
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Problemi
in psichiatria
Protocolli diagnostici 5
Una difficile diagnosi
differenziale 17
Morfologia del disturbo
dislessico 43
Competenza presunta
e ignoranza certa 55
4508
PARKVILLA
VILLA NAPOLEO
NAPOLEONN
PARK
Casa
di cura
perlele malattie
malattie nervose
Casa
di cura
per
nervose
e l'abitazione psicosociale
e l’abilitazione
psicosociale
31022
PREGANZIOL (TV)
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Direttore
Direttore sanitario
sanitario Dott.
Dott. U.
U. Dinelli
Dinelli
Spec.
Spec. inin Psichiatria
Psichiatriaee
Neuropsichiatria infantile
Neuropsichiatria infantile
***
***
Neuropsichiatria
Neuropsichiatria
***
***
Laboratorio di analisi cliniche
Laboratorio di analisi cliniche
Monitoraggio farmacologico
Monitoraggio farmacologico
e tossicologico
e tossicologico
***
***
Laboratorio di psicologia
Laboratorio di psicologia
Attività espressiva
Attività espressiva
***
***
Animazione
Animazione
***
***
Servizi di: elettroencefalografia
Servizi di: elettroencefalografia
elettromiografia - radiologia
elettromiografia - radiologia
cardiologia - ginecologia
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Protocolli diagnostici
P. Pellegrini*
Nella rinnovata esigenza di valutazione non solo dei processi ma anche
del prodotto, non solo quindi del disegno clinico ma anche degli esiti, si
avverte la necessità di una metodologia psichiatrica non ancora affermatasi e di indagini diagnostiche che evidenziano il bisogno e la necessità di
essere disciplinate, razionalizzate, gerarchizzate per priorità e tempi alfine di evitare enfatizzazioni, inutili replicazioni, abusi ma anche omissioni, incaute sospensioni, negligenze, difetti di appropriatezza.
L’obiettivo è quello ricordato di avviare una vigilanza di razionalizzazione ma anche di combattere “i falsi positivi” e gli ancora più pericolosi
“falsi negativi”.
Tale esigenza deriva dalla necessità più generale e pressante di ragionare e riflettere intorno agli esiti degli interventi in psichiatria e che costituisce un contributo epistemologico ancora recente e poco diffuso.
Così, dopo un periodo di stasi e di immobilismo si è avvertito il forte
bisogno di valutare e verificare per dentro quanto si andava facendo,
oltrepassando le abitudini, le pigre consonanze, le estemporanee metodologie, le “certezze incerte”, che durano l’attimo di un mattino o il
bagliore di una campagna promozionale.
Con la valutazione clinica e la valutazione di qualità quello che era immobile si è messo in moto mentre quello che sembrava scontato si è messo
in discussione. Sono così caduti riduzionismi, scorciatoie, schematismi,
rifugianti linee guida e la clinica psichiatrica è ridiventata difficile, complessa, esigente, scuotendo le nostre incertezze e i nostri conformismi.
*Hanno collaborato:
Bocchia Silvia, Dinelli Elena, D’Ecclesis Cesare, Di Fabio Fabio, Paulillo Giuseppina, Rastelli Monica,
Rizzi Meri, Signifredi Raffaella
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Da circa 50 anni la valutazione scientifica dei trattamenti in Medicina,
ed anche in Psichiatria, per dimostrarne l’efficacia, ruota attorno allo
Studio Controllato e Randomizzato (Randomized Controlled Trial,
RCT). Lilienfed né fisso le due caratteristiche fondamentali: la randomizzazione nell’assegnazione dei pazienti ai trattamenti e la cecità nella
valutazione degli esiti.
Gli RCT, oltre che punti di forza, presentano anche numerosi punti di
debolezza e di vulnerabilità i quali ne rendono incerta l’affidabilità. M.
Tansella suggerisce di riassumerli:
1. Sono condotti in gruppi di pazienti selezionati, a volte anche depurati,
in condizioni sperimentali che appaiono “artefatte” rispetto alla pratica clinica quotidiana seguendo l’adagio “validità interna alta, validità
esterna bassa”.
2. Raramente tengono conto del regime in cui viene praticato lo studio,
trascurando la sostanziale differenza tra paziente ospedalizzato e
paziente ambulatoriale.
3. Valutano effetti istantanei e puntiformi originando la citata contraddizione tra “validità interna alta e validità interna bassa”.
4. Il clinico che conduce lo studio può non essere “neutro” ma “parte”
rispetto all’oggetto dello studio conoscendone e condividendone non
solo il disegno ma anche scopi ed attese della committenza.
R. Flecter in “Valutazioni dell’intervento” avanza nei riguardi degli RCT
delle riserve sulla attendibilità clinica, in quanto le evidenze prodotte non
sempre coincidono con i riscontri della pratica corrente.
RCT e studi osservazionali non mancano di favorire conclusioni dissonanti e problematiche. E’, invece, più recente lo studio in Metanalisi che
fa il punto sullo stato dell’arte in questioni controverse e problematiche.
A. Felstein ha definito le metanalisi “le alchimie statistiche per il secolo
ventunesimo”.
La ricerca ha costituito il dominus incontrastato trasferendo alla pratica clinica i risvolti dei propri approfondimenti.
Forse è il tempo (Stein e Milne) di cambiare direzione di marcia verso: “La
ricerca basata sulla pratica, per sostenere la pratica basata sulla evidenza”.
Si avvia una intenzione nuova, si inaugura un nuovo pensiero psichiatrico, quasi una nuova tendenza culturale che distingue la malattia dalla
salute, non confonde le cause con gli effetti, è esigente con la tecnica e la
clinica, non ripete errori e recriminazioni sul passato, rimuove la fase di
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stallo immettendo intuizioni nuove.
E’ un processo che si lascia misurare e pesare sul metodo e sui risultati,
sulle procedure e sul prodotto del nostro sapere e agire psichiatrico.
Protocollo A
Pazienti nuovi o Pazienti che praticano terapie da tempo e necessitano di verifica o non vengono controllati da oltre 1 anno
(l’obiettivo è escludere dalla sintomatologia le cause organiche)
Emocromo con formula
Funzionalità renale: Azotemia e Creatininemia
Funzionalità epatica: Transaminasi, Gamma GT, Fosfatasi alcalina e
Bilirubinemia Tot. e Ind.
Profilo lipidico: Trigliceridi, Colesterolo tot. e HDL
Glicemia
Protidemia ed elettroforesi
CPK LDH
VES
Na K Ca P Cl Mg
Uricemia
Esame urine completo
ECG
Dosaggio farmaci (Litio, CBZ, VPA ecc.) se in terapia all’ingresso
Di approfondimento:
Sideremia, Ferritina
Dosaggio ormonali (PRL, TSH, T3,T4)
Marker epatite B e C
TPHA, Anti HIV
Es. tossicologici
Test di gravidanza
Rx torace se > 35 anni
Protocollo B
Pazienti che vengono rivalutati o rientrano dopo 3 mesi (in assenza
di sintomi d’organo)
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Emocromo con formula
Funzionalita’ renale : Azotemia, creatininemia
Funzionalita’ epatica: Transaminasi e Gamma GT
Profilo lipidico: Colesterolo e trigliceridi
CPK, LDH
VES
Na, K
Es. urine completo
Dosaggio farmaci in atto
In assenza di sintomi clinici ECG almeno 1 volta/anno
Es. di approfondimento come protocollo A
Protocollo C
Pazienti oltre 60 anni, alcolisti, DCA e defedati
Ai protocolli A o B aggiungere:
Attività protrombinica: PT e PTT
Sideremia e Ferritina
Di approfondimento:
Vit B12 e Folati
Marker tumorali (alfa FP, CEA, Ca 19.9 maschi PSA, femmine PAP test,
Ca 15.3, Ca 125)
Protocollo D
Pazienti trasferiti da altri Reparti /Servizi (richiedere la trasmissione degli esami)
Pazienti che rientrano entro 3 mesi dalla precedente dimissione
Esami solo sulla base del sospetto diagnostico, necessità della terapia o
precedenti esami bioumorali alterati
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Protocollo E
Delirium
Al Protocollo A aggiungere
Sideremia
VDRL
Anti HIV
Epatite B e C
Dosaggio B12 e folati
EEG
TAC Cerebri
Di approfondimento:
Pazienti giovani: Es. Tossicologici
Consulenza neurologica (per eventuale RMN, rachicentesi)
Consulenza internistica (Test per malattie autoimmuni.LE, Anticorpi
antinucleo, Porfiria, Dosaggio farmaci internistici)
Se tosse o febbre: Rx Torace
Protocollo F
Demenza
Al protocollo A aggiungere:
Profilo Tiroideo: T3, T4, TSH
Dosaggio B12 e Folati
TPHA
TAC o RMN Cerebrale
Visita neurologica e Visita presso il Centro per i disturbi cognitivi
In caso di Disturbi vascolari:
Visita cardiologica e internistica (per eventuali emogasanalisi, ricerca
metalli pesanti, ecc.)
Se presente Febbre:
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Rx torace
Urinocoltura
Protocollo G
Depressione
Ai Protocolli A o B aggiungere:
T3, T4, TSH
Dosaggio B12 e folati
Approfondimenti
EEG, TAC o RMN Cerebrale
Protocollo H
Mania, Disturbi psicotici
Ai Protocolli A o B aggiungere :
Esami tossicologici
Profilo Tiroideo: TSH, T3, T4
TAC o RMN Cerebrale
Protocollo I
Disturbi d’ansia
Ai Protocolli A o B aggiungere
Profilo Tiroideo: T3,T4, TSH
Di approfondimento:
Anticorpi Antitireoglobulina, Antiperossidasi
Dosaggio ormonali (cortisolo, prolattina, ecc.)
Visita cardiologica
EEG
Tossicologici
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Protocollo L
Disturbi da uso di sostanze
Ai protocolli A o B aggiungere
Es. Tossicologici
Marker Epatite B e C
Anti HIV, TPHA
Protocollo M
Monitoraggio terapie
LITIO
Il razionale delle seguenti indagini deriva dal fatto che il Litio puo’ causare difetti della concentrazione renale, ipotiroidismo e leucocitosi. La
deplezione sodica puo’ causare concentrazioni tossiche di litio e il 95%
del Litio viene escreto nelle urine.
Il Litio puo’ inoltre provocare alterazioni dell’ elettrocardiogramma,
inclusi i difetti della conduzione.
Prima dell’inizio della terapia :
Emocromo con formula
Azotemia, Creatininemia
Na, K, Calcio
Profilo Tiroideo: T3,T4, TSH
Test di gravidanza
Esame urine completo
ECG
Di approfondimento:
Clereance creatinina
EEG
Inizio terapia: litiemia da effettuare:
Dopo 3 giorni
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Poi ogni 7 giorni per il primo mese
Poi ogni 14 giorni nel secondo mese
Poi dopo 1 mese
Poi ogni 3 mesi
Poi ogni 6 mesi
Per i pazienti ben stabilizzati almeno 1 volta all’anno
Litiemie aggiuntive in caso di situazioni cliniche particolari: febbre,
vomito, diarrea, disidratazione, sospetta intossicazione (sintomi quali
diarrea, nausea, vomito, sonnolenza, tremore, ipostenia muscolare, vertigini, atassia, nistagmo verticale, tinnitus, diabete insipido, tossicita’ multiorgano).
In corso di concomitanti terapie che possono influire sulla litiemia (diuretici, antiinfiammatori).
Controllo funzionalità renale (azotemia, creatinina) e tiroidea
(T3,T4,TSH) e elettroliti (Na, K, Ca)
Dopo 3 mesi
Poi ancora dopo 3 mesi
Poi dopo 6 mesi
In pazienti stabilizzati 1 volta all’anno
Controlli aggiuntivi in caso di sospetto clinico
CARBAMAZEPINA
Puo’ causare anemia aplastica, agranulocitosi, trombocitopenia e leucopenia
Prima dell’inizio:
Emocromo con formula con particolare riguardo a piastrine e reticolociti
Transaminasi e GammaGT
Bilirubina tot e ind.
Fosfatasi alcalina
Na, K, Ca
Test di gravidanza
ECG
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Dopo l’inizio:
Carbamazepinemia e Emocromo con formula
Dopo 7 giorni
Poi dopo 14 giorni per 2 mesi
Una volta stabilizzato ogni 6 mesi
Funzionalità epatica e Na
Dopo 1 mese
Poi ogni 6 mesi
Esami aggiuntivi in caso di febbre, faringite astenia ed altri sintomi/segni
di sospetta agranulocitosi
ACIDO VALPROICO
Prima dell’inizio:
Emocromo con formula
Transaminasi, Gamma GT,
Bilirubina totale e indiretta, fosfatasi alcalina
Sideremia (interrompere il trattamento se valori superiori a 150mg/dl)
PT, PTT, Fibrinogeno
Ammoniemia, amilasi pancreatica, lipasi pancreatica
Test di gravidanza
Dopo l’inizio:
Dosaggio acido valproico: dopo 1 settimanae, dopo 1 mese, poi ogni 6
mesi
Controllo funzionalità epatica e ammoniemia: dopo 1 mese, poi ogni 6
mesi
Sospetto ovaio policisitico (irsutismo, acne, alopecia, amenorrea, obesità
androide): dimostrata associazione tra sdr. dell’ovaio policistico con l’epilessia e il trattamento con valproato
Dosaggio FSH, LH, estrogeni, testosterone, deidroepiandrosterone,
TSH, Prolattina (per escludere causa tiroidea o iperprolattinemia)
Sospetto patologia pancreatica
Ammoniemia, amilasi, lipasi pancreatica
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ANTIPSICOTICI
Prima dell’inizio Protocollo A
ECG
Ogni mese: controllo del peso
Ogni 6 mesi:
Emocromo con formula,
Transaminasi, Gamma GT,
Glicemia
Colesterolo tot e HDL
Trigliceridi
CPK
Di approfondimento
Prolattinemia
Mioglobinuria in caso di sospetta sindrome maligna
Almeno una volta all’anno ECG
CLOZAPINA
Emocromo settimanale per 18 settimane, in seguito ogni 15 giorni per il
primo anno, poi mensile.
In caso di interruzione: se la durata dell’interruzione è inferiore all’intervallo fra i prelievi già previsto si può riprendere con la frequenza precedente; se è oltre un mese occorre ricominciare di nuovo con la frequenza settimanale.
Secondo scheda tecnica
ANTIDEPRESSIVI
Esami secondo protocollo A
ECG per triciclici
Controllo esami 1 volta anno
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DISULFIRAM
Prima dell’inizio:
Protocollo A
EEG
ECG
Test di gravidanza
Dopo l’inizio:
Emocromo con formula
Transaminasi Gamma GT
Bilirubina Tot e Ind
Dopo 3 mesi, poi ogni 6 mesi.
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Una difficile diagnosi
differenziale
M. Cervi, P. Nadin, N. Zulian
INTRODUZIONE
La possibilità di effettuare una serie di colloqui con una paziente ricoverata presso la casa di cura Park Villa Napoleon e di visionare una videocassetta riguardante le crisi di cui la stessa soffriva, ha fornito l’occasione
di svolgere un approfondimento riguardo la diagnosi di isteria e le sue
successive elaborazioni.
Il lavoro con cui ci siamo confrontati ha però sollevato delle perplessità
durante la stesura della presentazione.
Infatti la specificazione diagnostica, pur essendo un linguaggio comune
alla maggior parte degli operatori della salute mentale, molto spesso si
rivela inefficace per la frammentazione teorica con cui si scontra chiunque si affacci al panorama della psichiatria; inoltre, come si vedrà in questo lavoro, la diagnosi in molti casi non si dimostra un descrittore sufficientemente preciso del dato clinico.
Queste obiezioni e lo scarso grado di accordo nella formulazione delle
diagnosi fra studiosi della stessa disciplina, ha suscitato ovvie incertezze
sulla solidità dello status scientifico dottrinario.
La definizione precisa del problema, dell’oggetto di studio, e l’utilizzo di
un repertorio standardizzato ed invariabile di procedure, sono alla base
del metodo scientifico.
In psichiatria, a volte, tale paradigma non può essere rispettato perché la
definizione dell’oggetto di studio-intervento (diagnosi) non è così precisa
né rispondente alla complessità con cui si presentano le problematiche
umane, sia perché gli strumenti e le procedure che spesso vengono attivati non sono né replicabili né invariabili.
Tali aspetti sono evidenti sia nella pratica psicoterapeutica che in quella
farmacoterapica.
Alcuni psicoterapeuti infatti sostengono che la forza del loro lavoro derivi maggiormente dalla modalità relazionale che dalle tecniche operative
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attuate. Da questa affermazione prende vita il filone di ricerca sui fattori aspecifici di cambiamento comuni a tutti i tipi di psicoterapia.
Anche nella psichiatria clinica è possibile ritrovare un’applicazione instabile del metodo scientifico... suscitando incertezze e dubbi. Infatti, andando
a consultare le cartelle cliniche, molto spesso è evidente come a parità di
diagnosi, i trattamenti siano impostati in maniera profondamente diversa.
In effetti a parità di tratto diagnostico corrispondono espressività psicopatologiche polimorfe e soggettive.
Tale panorama indica in maniera chiara come ad oggi non esista un
modello preciso di comprensione del funzionamento dell’uomo, dei suoi
aspetti biologici, psicologici, socio-ambientali e della loro interazione. E’
proprio tale situazione che spesso costringe gli operatori della salute
mentale a imbarazzanti incertezze di fronte alla psicopatologia.
Il lavoro svolto, quindi, si è rivelato più complesso rispetto alle attese a
causa della confusione relativa all’utilizzo della diagnosi e dell’impossibilità di sostituire una diagnosi culturalmente determinata come quella di
isteria con il sistema di riferimento attuale.
La difficoltà maggiore si è concretizzata nel cercare di definire in termini diagnostici il caso clinico. Questa complicazione deriva dal fatto che, a
fronte di una descrizione teorica precisa e nitida, la realtà clinica si dimostra meno definita e più complessa.
Il tentativo di apporre una diagnosi si è rivelato arduo, perché l’etichetta
diagnostica non si è dimostrata sufficientemente esaustiva della realtà clinica. Questo fatto ci riporta a sottolineare ancora una volta come la diagnosi sia un continuo farsi e disfarsi, frutto di un processo concettuale dinamico. Diagnosi significa “conosco-attraverso” e gli strumenti di conoscenza
sono sottoposti a variabili storiche, culturali, dottrinali e metodologiche.
La molteplicità di punti di vista con cui si può approcciare la realtà clinica ha convinto gli autori ad analizzare il medesimo caso con due ottiche diagnostiche distinte: la diagnosi secondo il DSM-IV e quella psicodinamica.
La presentazione quindi si compone di cinque parti:
1. Il concetto di isteria: excursus storico e modalità di trattamento nelle
diverse epoche.
2. Raccolta anamnestica del caso e descrizione delle crisi.
3. Diagnosi secondo i criteri del DSM-IV.
4. Diagnosi secondo i criteri della psichiatria psicodinamica.
5. Conclusioni.
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IL CONCETTO DI ISTERIA
Parlare di un caso di isteria ha senso solo se si cerca di inquadrare il susseguirsi di contesti storico-teorici che hanno portato alla definizione di
questa patologia.
Alcune suggestioni si riscontrano già nel mondo greco con la definizione
di Ippocrate di un disturbo esclusivamente femminile, legato ad un disordine del funzionamento dell’utero (hystèra=utero) (Dinelli, 2002), o
meglio, di un suo migrare all’interno del corpo; altri autori antichi hanno
indagato il tema dell’isteria, come testimonia il papiro di Kahun (XX secolo a.C.) ricordato da Pichot.
Ippocrate fissa la sede dell’epilessia nel cervello e quella dell’isteria nell’utero, mentre Platone avvertiva l’importanza dei danni causati dalla
repressione sessuale: “L’utero -dice Platone nel Timeo- è un animale che
desidera generare dei bambini. Quando rimane sterile troppo a lungo
dopo la pubertà, diventa inquieto e avanzando attraverso il corpo e impedendo il passaggio dell’aria disturba la respirazione, provoca gravi sofferenze ed ogni specie di malattia”.
Quindi, molto probabilmente, Freud trasse ispirazione, all’epoca della sua
prima concezione dell’isteria, dalle riflessioni di illustri precursori.
Nel Medioevo, sotto l’egida teologica, l’isteria è stata accostata ai malefici diabolici. Tale posizione è stata mantenuta nonostante le proteste di
Paracelso che, nel 1567, descrive già, in modo rudimentale, alcune modalità di funzionamento dei fantasmi e dell’inconscio: ”La causa della malattia […] è solo un’opinione […] assunta dall’immaginazione, che colpisce
coloro che credono in una tal cosa […]; [nei pazienti] la vista e l’udito
sono così potenti che inconsciamente essi hanno delle fantasie su ciò che
hanno visto e sentito. La loro ragione è trascinata da tali fantasie e deformata dalla propria immaginazione”. (Bergeret, 2002).
La prima localizzazione mentale dell’isteria è descritta nel 1618 da
Charles Le Pois, decano della scuola di Medicina di Pont-a-Mousson.
A distanza di mezzo secolo, quindi, l’idea di isteria subisce una trasformazione rilevante dal punto di vista concettuale; oltre al cambiamento della
figura professionale che si occupa di tale questione, cambia anche la localizzazione della sede d’origine dell’affezione.
Tale trasformazione evidenzia come la concezione della malattia mentale sia fortemente influenzata dall’assetto socioculturale delle diverse epoche in cui è analizzata; emerge dunque come anche la nosografia e la dia-
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gnosi si originino dall’interpretazione culturale dei dati provenienti dalla
Natura.
A tale proposito la seconda metà dell’Ottocento corrisponde ad un periodo in cui si verifica una contrapposizione tra un diffuso ottimismo legato
al metodo scientifico e l’interesse per i “fenomeni oscuri” come ipnosi e
isteria (Mangini, 2001).
Sostenitore dell’approccio biologico, Charcot (1825-1893) ipotizzava una
causa neurologica dell’isteria quale disturbo non esclusivamente femminile, con manifestazioni specifiche come ad esempio paralisi, anestesia,
iperestesia e contratture che egli considerava autentiche e non frutto di
una simulazione (Mangini, 2001).
Charcot, figlio del positivismo, sostenne l’ipotesi che le isteriche fossero
portatrici di un’ipersensibilità ovarica e tentò di dimostrare come fosse
possibile controllare l’attacco isterico attraverso una compressione della
zona ovarica con un magnete, chiamato “compresseur de l’ovaire”; usava
inoltre mettere in scena una vera e propria rappresentazione teatrale
usando un cast costituito interamente da pazienti isteriche. Tale produzione drammatica era insieme istruttiva e sensazionale: le pazienti isteriche cadevano in una profonda trance ipnotica su semplice invito del neurologo francese che, a quel punto, mostrava al pubblico tutti i principali
sintomi della malattia, spiegando la sua tesi sull’isteria e l’ipnosi come
aspetti del medesimo fenomeno (citato in Showalter, 1997).
Molti medici e studiosi affluivano da tutta Europa per vedere all’opera il
Maestro, in quello che fu il primo centro specializzato in psichiatria: la
Salpêtrière.
Charcot vide nell’ipnosi il metodo principale per studiare l’isteria, eppure durante la sua lunga ed intensa permanenza alla Salpêtrière, ebbe
modo di constatare continue anomalie, discontinuità e l’imprevedibilità
di alcuni sintomi, che sembravano smentire l’attendibilità dell’eziologia
organica del disturbo.
Anche James (1890) fu un sostenitore dell’approccio ipnotico alla cura
dell’isteria: questa tecnica aveva come obiettivo quello di far accedere
alla parte conscia il cosiddetto “personaggio secondario”, ovvero la parte
della personalità che rimane inconscia: tale modalità terapeutica avrebbe
permesso al paziente di avere maggiore controllo sui sintomi.
In seguito al suo soggiorno a Parigi presso Charcot, Freud, partendo
dalle incongruenze del Maestro, e dai suggerimenti di Janet, elaborò una
sua teoria che difendeva l’origine affettiva ed emotiva della malattia; indi-
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cò inoltre la psicoanalisi come unica possibilità di trattamento valido.
Freud sostituì l’ipnosi, allora largamente utilizzata, con il proprio Metodo
Catartico. Prima di giungere a questa conclusione, però, il neurologo
viennese continuò a curare i suoi pazienti isterici con metodi in voga in
quel periodo, quale ad esempio l’elettroterapia (uno shock elettrico somministrato alla parte del corpo che il paziente riteneva paralizzata o
insensibile), l’idroterapia, i massaggi, il riposo e suggestioni terapeutiche
dirette esercitate sul paziente ipnotizzato.
In questo contesto dialettico tra origine organica e psicogena, la psicoanalisi si propone come risposta all’incapacità della scienza di spiegare tali
manifestazioni e teorizza l’isteria come espressione fisica di uno sconvolgimento emozionale: è il prototipo della nevrosi, così come il linguaggio
del corpo è il primo linguaggio del bambino.
Si possono trovare numerose dettagliate descrizioni del tipo isterico, nei
manuali e nelle monografie, ma mancano presentazioni psicoanalitiche
circoscritte e specifiche.
Nello stesso periodo, dall’altra parte dell’oceano, il primo neurologo americano S. Weir Mitchell (1829-1914) fu il propugnatore della “cura del riposo” quale rimedio agli stati di spossatezza e debolezza, derivati da irritabilità e “affaticamento nervoso”, che si riscontravano nei pazienti isterici.
“Facciamo lavorare i dottori Dieta e Quiete”, era solito dire Mitchell ai
suoi colleghi ponendo l’accento sull’importanza di una corretta alimentazione, del riposo, dell’evitare le emozioni e della comprensione al fine di
aiutare i pazienti a riprendere una vita normale.
I trattamenti dell’isteria hanno contemplato anche la chirurgia ad un
livello così invasivo da prevedere l’ablazione completa dell’utero e delle
ovaie; tali operazioni furono praticate inizialmente dall’americano Bathey
e successivamente applicate in tutta Europa.
Con il termine isteria viene definita una classe di nevrosi che manifesta
quadri clinici fra loro molto differenziati, caratterizzati da sintomi fisici
senza base organica e riconoscibili da comportamenti i quali suggeriscono che i sintomi svolgano funzioni psicologiche.
In ambito psichiatrico all’accezione “isteria” si preferisce quello di “personalità isterica”, ovvero quell’insieme di tratti di personalità che hanno
in comune la caratteristica che Jaspers indica nella “tendenza ad apparire piuttosto che ad essere”. Di qui la mitomania, la continua falsificazione della propria immagine, la teatralità e la ricerca della spettacolarità
(Jaspers,1964).
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Jervis (1975) scrive in proposito che “i sintomi hanno la caratteristica di
esprimersi in modo appariscente, ma senza un’intensa partecipazione di
sofferenza da parte del soggetto. Lo spazio che separa l’isteria dalla simulazione di malattia è sottile ed ambiguo: l’isteria si distingue dalla simulazione nella misura in cui il soggetto non è pienamente consapevole del
significato e della reale intenzionalità del proprio comportamento”.
L’autore suggerisce di considerare l’isterico un soggetto che si trova in
una situazione conflittuale, tra un bisogno latente espresso in modo
distorto, simbolico e mascherato e le istanze morali e sociali che ne limitano l’espressione. D’altro canto, il sintomo isterico è l’espressione socialmente e moralmente accettabile del bisogno represso e contemporaneamente permette il raggiungimento del fine proposto che può essere la
propria non disponibilità, la propria valorizzazione, l’aggressione o l’aiuto da parte degli altri: i cosiddetti vantaggi secondari (Jervis, 1975).
Attualmente la diagnosi d’isteria o nevrosi isterica è scomparsa dal
Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, DSM-IV ed è
stata scomposta in tre tronconi principali: Disturbi Somatoformi,
Disturbi Dissociativi (Asse I), e Disturbo Istrionico di Personalità (Asse
II) (Colombo, 2001).
La difficoltà di inquadrare la diagnosi d’isteria da parte del DSM-IV
nasce dal tentativo di essere ateorico, di non abbracciare alcuna impostazione concettuale. Ecco perché il Manuale trasforma questa diagnosi, di
matrice psicoanalitica, in una nosografia che si basa su una classificazione descrittiva di comportamenti manifesti.
Nell’utilizzo comune dei termini c’è però la tendenza a sovrapporre le
caratteristiche cognitive, comportamentali ed emotive della differenziazione proposta dal DSM-IV, tanto che tali sovrapposizioni hanno finito
per rendere meno nitida la distinzione fra le diverse patologie.
Alcuni autori hanno proposto l’esistenza di uno “spettro isterico”.
Allargando la diagnosi di isteria a spettro isterico, inevitabilmente vengono compresi disturbi di non chiara matrice nevrotica tanto che si giunge
a parlare di psicotizzazione dell’isteria (ad esempio: disturbo di personalità borderline, disturbi del comportamento alimentare etc…).
Alle due modalità diagnostiche presentate finora (DSM-IV/Psicoanalisi),
se ne affianca una terza sostenuta da molti autori di matrice psicodinamica, psichiatrica e fenomenologica.
Tale punto di vista tende ad invertire l’uguaglianza fra sintomo e diagnosi: il sintomo è il miglior compromesso possibile nel conflitto fra istanze
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interne e la realtà in cui il soggetto si trova ad operare. In questo modo il
giudizio riguarda la natura del sintomo e non è esplicativo della struttura
del soggetto. Autori come Mc Williams e Gabbard parlano infatti di diagnosi di “livello maturativo” su cui si andranno ad innestare i sintomi e le
diverse strutture di personalità.
Quindi un sintomo di tipo psicotico si può riscontrare in una struttura
nevrotica così come, un sintomo nevrotico si può ritrovare in una struttura definita psicotica.
ANAMNESI
Di seguito viene riportato il materiale anamnestico raccolto durante i colloqui con la paziente che chiameremo signora M. (abbreviazione di fantasia). Verranno inoltre descritte le crisi manifestate dalla paziente e registrate in una videocassetta.
La signora M. (49 anni) racconta un’infanzia per lo più serena. Lamenta
però rapporti interpersonali difficili in particolar modo con la madre, che
viene descritta come una persona “dura, fredda e priva di manifestazioni
di affetto”.
M. racconta: “Mia mamma non mi ha mai baciata”, “Si dimenticava del
mio compleanno e mi diceva – ah, sì oggi è il tuo compleanno, va bene,
auguri - non si organizzavano mai feste con gli amici”.
Tuttora M. non riesce a darsi una spiegazione di tale comportamento.
La paziente racconta di aver intrattenuto un rapporto soddisfacente con
il padre, anche se poco presente a causa del lavoro che lo impegnava per
gran parte della giornata. Egli viene descritto come una persona timida
ed insicura, ciò nonostante è vissuto come maggiormente affettivo rispetto alla madre.
M. sostiene che i genitori la lasciavano giocare da sola per molto tempo a
causa dei loro impegni lavorativi, creando così un clima familiare piuttosto distaccato.
Il nucleo familiare è composto inoltre da un fratello maggiore di nove
anni affetto da psicosi cronica, il cui esordio è avvenuto durante il servizio di leva all’età di 18 anni.
La paziente descrive le crisi del fratello come caratterizzate da forte
aggressività sia auto-diretta (tentati suicidi) che rivolta verso il padre; lo
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ricorda scagliarsi con un coltello contro il genitore.
M. ha pochi ricordi del rapporto con il fratello: durante l’infanzia sostiene di averlo allontanato perché intimorita.
L’adolescenza, costellata dai ricoveri del fratello, ha acuito la distanza fra
i due. A detta di M. il marcato disinteresse verso questa situazione avrebbe suscitato in lei un sentimento di colpa: “Quando era in ospedale io me
ne sono fregata, non andavo a trovarlo ma andavo a ballare, questa cosa
dopo mi ha fatto sentire in colpa…”.
La signora M. invece riporta relazioni serene e distese sia con i compagni
di classe che con gli insegnanti.
La paziente, però, ricorda di essere stata molto timida ed insicura, soprattutto quando veniva chiamata alla lavagna: “Diventavo rossa come mio
papà”.
M. ricorda di non essersi sentita adeguata in quei frangenti, tuttavia i
risultati scolastici erano complessivamente positivi.
A detta della paziente, il periodo dell’infanzia è stato costellato di amicizie che nel tempo si sono sciolte.
Dopo le medie inferiori M. ha frequentato un corso biennale di segretaria e stenodattilografa, superato a pieni voti; subito dopo ha trovato un
impiego come dipendente pubblico.
M. afferma di aver avuto durante l’adolescenza una vita sentimentale
intensa, descritta a tinte positive e affermando di non essere mai stata
rifiutata da un uomo.
Si definisce in generale sensibile, buona, generosa, non pensa di avere
difetti: è molto selettiva nelle amicizie, lega solo con i pochi che le somigliano, fa amicizie “a pelle”, si fida delle prime impressioni; distingue tra
amicizie e conoscenze. Si reputa fantasiosa.
M. sostiene di aver intrecciato, in gioventù, una sola vera amicizia con
una ragazza che sposerà il miglior amico del primo marito della paziente; tale amicizia si romperà con la dissoluzione del matrimonio della
signora M.
Attualmente racconta di avere una buona relazione con la famiglia del
suo capoufficio con cui trascorre le vacanze; la signora sente di assomigliare molto alla moglie del suo superiore.
La paziente contrae due matrimoni, il primo della durata di un anno (dai
21 ai 22 anni); in giovane età conosce il primo marito e, subito dopo la
morte del padre, convola a nozze.
M. riporta impressioni molto negative di tale rapporto.
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Il matrimonio viene così descritto: “Mi sono sposata per abitudine, non
ho mai amato mio marito, eravamo insieme da tanti anni, è stato un
matrimonio così…”.
La separazione dal primo marito ha inasprito ulteriormente i rapporti con
la madre.
Sul posto di lavoro incontra il secondo marito P. (abbreviazione di fantasia), che è stato la spinta che le ha permesso di lasciare il primo: “Se non
avessi conosciuto P. probabilmente avrei impiegato molto più tempo nel
decidermi a lasciare il mio primo marito, probabilmente l’avrei fatto,
però ci avrei messo di più”.
A suo dire la scelta di contrarre un secondo matrimonio è stata dettata
dalla paura della solitudine.
Da questa relazione nasce una figlia con la quale intrattiene buoni rapporti, anche se durante i colloqui viene citata di rado e senza alcun coinvolgimento emotivo.
Scolasticamente la bambina è seguita maggiormente dal marito in quanto egli ha un grado di scolarizzazione superiore.
Tale situazione fa percepire ad M. una differenza culturale con il marito:
“Mi sento inferiore rispetto a P.”.
La paziente sostiene di essere diventata meno timida ed insicura dopo il
secondo matrimonio.
La signora tradisce il secondo marito con un pittore straniero più giovane di lei, attratta dal suo fisico e dalla prestanza atletica. Tali caratteristiche scarseggiano nel suo attuale compagno; dice: “P. si è lasciato andare,
prima era un giovane atleta poi si è imborghesito, lui invece faceva tutto
il paese di corsa….”. Dai colloqui risulta che generalmente il lato sessuale è vissuto liberamente.
Nel 2004, a 46 anni, la paziente entra precocemente in menopausa. In
corrispondenza di tale evento compare il primo scompenso caratterizzato da tematiche persecutorie: sente la sua stessa voce che la insulta per
tutto il giorno; gli episodi durano per circa due mesi. I medici fanno risalire la condizione della paziente alla menopausa.
In seguito a questo primo tipo di crisi la signora si rivolge ad uno specialista e viene trattata con antipsicotici. Dopo alcuni giorni simula un tentamen a scopo dimostrativo ingerendo numerose compresse, motivo per cui
viene condotta al CSM e trattata con Aloperidolo: “L’ho fatto per mettermi in mostra, ho ingoiato delle pastiglie e mi ha trovato P. a letto con la
scatola di pastiglie vicina”. A questo punto appare la diagnosi di isteria.
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Successivamente il quadro clinico evolve manifestando un secondo tipo
di crisi che vengono ricondotte ad una forma epilettoide. Tali manifestazioni avvenivano inizialmente durante la notte e, successivamente, anche
durante il giorno. M. riferisce che in quel periodo non dormiva, ma si
alzava comunque tranquillamente al mattino per andare al lavoro: “Ho
vissuto quel periodo un po’ accelerando”.
Riferisce anche di aver utilizzato l’alcol per stordirsi: “Due bicchieri di
vino come coccole, mi aiutavano a cercare di dormire”.
Durante uno di questi attacchi il marito riprende le crisi che si sviluppano con contorsioni e rotolamenti del corpo, sul letto, attorno al proprio
asse.
Movimenti scomposti e sussultori degli arti e del bacino che appaiono
stereotipati e di stampo orgiastico. I movimenti ed i gemiti della paziente sembrerebbero mimare una gratificazione sessuale.
Durante i rotolamenti sul letto M. non cade, non sbatte mai il corpo né
sulla pediera né sulla testiera. La paziente sostiene di essere cosciente
durante le crisi.
Ne riportiamo alcuni fotogrammi affiancate da alcune rappresentazioni
schematiche dei movimenti (Paul Richer, 1887):
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Vengono introdotti in terapia successivamente antipsicotici atipici, stabilizzatori dell’umore, antidepressivi SSRI. Ma le crisi persistono a volte
con valenze mistiche, M. parlava con la Madonna e con Gesù, a volte dissociative, pensando di essere Buddha.
In quest’ultima modalità la paziente non ansima e non si agita più nel
letto, ma resta bloccata in preda ad una forte angoscia e terrore. M. racconta che un’entità simile a Dio si impossessa di lei e la costringe al turpiloquio, la forza ad avere pensieri di morte su di sé, sui familiari ed in
particolar modo sulla figlia.
Durante le crisi a valenza mistica la signora si sentiva costretta a dire:
“M. ha nascosto l’alcol in cantina”, “diglielo che ieri sera eri a ballare
sulle tombe con me”, “racconta, racconta cosa hai fatto con l’amante in
albergo”.
Il susseguirsi delle crisi hanno costretto la signora ad abbandonare temporaneamente il lavoro, sino ad allora considerato un “rifugio sicuro”.
Nelle ultime settimane tale sicurezza era venuta meno tanto che un giorno M. è dovuta fuggire dall’ufficio poiché sentiva sopraggiungere la crisi:
“Sentivo di star male, qualcosa che non funziona dentro di te, ti dà agitazione, impazienza”.
Per far fronte all’acuirsi delle crisi la paziente si rivolge ad un altro specialista; l’EEG evidenzia una modica sofferenza bitemporale ma la valutazione neurologica esclude l’ipotesi di epilessia optando per quella di
disturbo di conversione.
La paziente, quindi, si è sottoposta per cinque mesi ad un percorso psicoterapeutico condotto dallo psichiatra che l’aveva in cura.
M. valuta tale esperienza positivamente, sostiene che quel periodo è servito soprattutto a rivisitare il rapporto con la madre e a ridimensionare i
sentimenti di colpa rispetto al proprio comportamento con il fratello, ed
al tradimento del marito. Tale percorso, volto a “guarire dall’isteria” ha
lasciato però immutato il problema delle crisi.
Nel Luglio 2007, M. prende contatti con un altro specialista che le prescrive farmaci stabilizzatori e antidepressivi. Fa inoltre eseguire un tracciato cerebrale che conferma i segni di sofferenza cortico-bitemporale e
una TAC diretta che rivela un aumento di ampiezza degli spazi liquorali
in sede fronto-parietale. Lo psichiatra sostituisce quindi l’antidepressivo
e lo stabilizzatore dell’umore. Le crisi però continuano, diventando più
frequenti e l’intervallo fra di esse vede la paziente astenica, prostrata ed
apatica.
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A Settembre 2007, M. si ricovera per la prima volta.
Durante il mese di permanenza la paziente non presenta crisi. Viene
dimessa con diagnosi di depressione maggiore con comportamento psicotico.
A distanza di due settimane M. viene nuovamente ricoverata per scompenso psicotico poiché a soli quattro giorni dal rientro a casa le crisi si
sono nuovamente ripresentate. Tali episodi sono caratterizzati da intensa
ansia, angoscia, paura immotivata di vedere “morti e cadaveri”, compulsioni ad urlare, improperi e bestemmie per lei del tutto inusuali. Anche
in questa occasione la sintomatologia si modifica: episodio maniacale con
comportamento psicotico.
Le crisi hanno esordio improvviso nel primo pomeriggio, durano parecchie ore con cadenza quotidiana, in assenza di apparenti fattori scatenanti.
Durante il secondo ricovero la paziente racconta: “Da qualche mese
quando vado a letto e chiudo gli occhi, vedo bare, fiori, celle mortuarie,
bare con mia madre chiusa dentro, io non ci sono mai…”, questi episodi
durano circa cinque minuti. M. afferma che la disturbano un po’, ma poi
riesce ad addormentarsi.
Durante i colloqui sostiene di sentirsi meglio a casa propria che in casa di
cura, nonostante il manifestarsi delle crisi. Percepisce un peggioramento
della propria situazione che va di pari passo al mutare delle proprie crisi.
Teme una ricaduta imminente ”Sono quasi sicura che una volta a casa mi
succederà di nuovo”.
“Sento che più farmaci prendo più sto male, ho paura che il mio disturbo continui sempre”. M. comunica la propria paura delle crisi e dell’incapacità a dominarle; afferma di non riuscire a far dei programmi ed è
pessimista nei confronti del futuro. Manifesta la paura di riprendere il
lavoro poiché è preoccupata che le crisi tornino a manifestarsi. Inoltre
lamenta un’intensa paura della vecchiaia, del decadimento fisico e della
solitudine.
La paziente sostiene di non avere teorie personali riguardo l’insorgenza
del disturbo, né sulla possibile spiegazione dello stesso; sembra adeguarsi pedissequamente alle opinioni e alle diverse e numerose diagnosi formulate. Anche i suoi familiari concordano con le molte e discordanti
cause del disturbo individuate dai medici: isteria, piuttosto che epilessia,
sindrome ansioso depressiva e menopausa.
Conclude i colloqui dicendo: “Sono una donna a cui sembra vada tutto
bene fuori, al lavoro, a casa, con la figlia… ma dentro…”
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DIAGNOSI SECONDO IL DSM-IV
“Il DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder-IV)
dell’American Psychiatric Association (1995), adotta il criterio “descrittivo-sindromico” che, in linea allo “studio puramente descrittivo”, definisce ed ordina le molteplici “espressioni abnormi osservabili nell’uomo”
(Casiraghi, Iraci, Vigano, 2000).
La psicopatologia descrittiva è lo strumento che misura le esperienze, le
cognizioni e i comportamenti abnormi attraverso l’analisi obiettiva e
misurabile dei segni e dei sintomi dell’alterato funzionamento psichico.
(Casiraghi, Iraci, Vigano, 2000).
Dopo aver illustrato le varie angolazioni da cui è stato affrontato tale
caso, aver visionato una videocassetta in cui erano riprese le crisi, e aver
condotto una serie di colloqui, siamo giunti a formulare una diagnosi che
ci è sembrata essere la più attinente al caso. A nostro parere la definizione diagnostica più avvicinabile al caso clinico è quella di Disturbo di
Conversione [F44.x] con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni [F44.5].
Siamo giunti a questa formulazione seguendo le indicazioni del DSM-IV
che individua, per il Disturbo di Conversione, i seguenti criteri diagnostici:
A. Uno o più sintomi o deficit riguardanti funzioni motorie volontarie o
sensitive, che suggeriscono una condizione neurologica o medica
generale.
B. Si valuta che qualche fattore psicologico sia associato con il sintomo
o con il deficit, in quanto l’esordio o l’esacerbazione del sintomo o del
deficit è preceduto da qualche conflitto o altro tipo di fattore stressante.
C. Il sintomo o deficit non è intenzionalmente prodotto o simulato (come
nei Disturbi Fittizi o nella Simulazione).
D. Il sintomo o deficit non può, dopo le appropriate indagini, essere pienamente spiegato con una condizione medica generale, o con gli effetti diretti di una sostanza, o con una esperienza o comportamento culturalmente determinati.
E. Il sintomo o deficit causa disagio clinicamente significativo, o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti, oppure richiede attenzione medica.
F. Il sintomo o deficit non è limitato a dolore o disfunzioni sessuali, non
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si manifesta esclusivamente in corso di Disturbo di Somatizzazione, e
non è meglio spiegabile con qualche altro disturbo mentale.
Codificare sulla base del tipo di sintomo o deficit:
F44.4 Con Sintomi o Deficit Motori: questo sottotipo comprende sintomi come alterazioni della coordinazione o dell’equilibrio, paralisi
o ipostenia localizzate; difficoltà di deglutire o nodo alla gola, afonia e ritenzione urinaria.
F44.5 Con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni: questo sottotipo comprende attacchi epilettiformi o convulsioni con componenti motorie volontarie o sensitive.
F44.6 Con Sintomi o Deficit Sensitivi: questo sottotipo comprende sintomi come la perdita della sensibilità tattile o dolorifica, diplopia,
cecità, sordità e allucinazioni.
F44.7 Con Sintomatologia mista: questo sottotipo viene utilizzato se sono
presenti sintomi di più categorie.
Primo criterio:
I sintomi di conversione riguardano il funzionamento motorio volontario
o sensitivo e per questo motivo vengono definiti “pseudo-neurologici”.
Tra i sintomi motori che possono essere ritrovati nel caso della signora
M., abbiamo individuato quelli inerenti le crisi descritte verbalmente e
dalla videocassetta che si esprimono in contorsioni epilettiformi e convulsioni. Tra i sintomi sensitivi si possono annoverare le allucinazioni visive
ed uditive descritte dalla paziente.
La problematica neurologica è stata esclusa dallo specialista che ha suggerito per primo la diagnosi di Disturbo di Conversione. I risultati degli
esami diagnostici che indicano una sofferenza cortico-bitemporale e l’aumento di ampiezza degli spazi liquorali in sede fronto-parietale, infatti,
non sono stati sufficienti a spiegare la sintomatologia espressa.
Secondo criterio:
Possiamo ipotizzare che lo squilibrio psico-fisico derivante dall’alterazione ormonale indotta dalla menopausa, il clima affettivo in cui M. è vissu-
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ta ed il tradimento compiuto ai danni del secondo marito, possano ritenersi fattori scatenanti di conflitti psichici.
Tali eventi, infatti, sono accaduti anteriormente al prodursi della sintomatologia.
A sostegno di questa tesi, alcune ricerche sembrano sottolineare il fattore protettivo svolto dagli ormoni femminili nei confronti dell’insorgenza
di patologie psichiatriche.
Terzo criterio:
M. sembra aver coscienza di malattia.
A nostro giudizio la paziente non sembra manipolare coscientemente o
aggravare, in maniera pienamente consapevole, la sintomatologia presentata.
Quarto criterio:
Non vi sono evidenze diagnostiche che facciano supporre un’eziologia
congruente ad una condizione medica generale o ad effetti di una sostanza o con esperienze comportamentali culturalmente determinate.
Nonostante l’anamnesi evidenzi il potus, esso non sembra avere un’incidenza decisiva nella manifestazione psicopatologica.
Sebbene nella raccolta anamnestica l’utilizzo dell’alcol appaia probabilmente sminuito dalla paziente stessa, la sua preoccupazione nei confronti della sostanza si è manifestata anche negli episodi allucinatori.
Quinto criterio:
Anche il quinto criterio appare soddisfatto dall’anamnesi della paziente.
La patologia infatti ha causato sia disagio clinicamente significativo sia
menomazione nel funzionamento lavorativo tanto che M. ha dovuto
lasciare il proprio posto di lavoro. Anche l’area familiare ha risentito delle
frequenti crisi della signora; inoltre, la patologia ha richiesto attenzione
medica.
Sesto criterio:
Il sesto criterio è solo in parte soddisfatto poiché non ci sono stati riferiti dolori o disfunzioni sessuali, né una sintomatologia somatica diffusa.
All’opposto, il corteo sintomatologico esibito da M. non pare meglio riconoscibile con un altro disturbo mentale, condizione richiesta dal sesto
criterio.
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In rapporto alle crisi descritte dalla paziente e dalla videocassetta visionata, ci sembra di poter identificare il sottotipo di Disturbo di
Conversione con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni
La complessità del caso trattato ci porta ad evidenziare come le patologie
spesso sconfinino l’una nell’altra e quindi come un sistema descrittivo
spesso sia insufficiente per delineare nettamente un quadro clinico.
Nel caso di M., infatti, oltre ad un Disturbo di Conversione, è possibile
intravedere anche un Disturbo Dissociativo.
A tale proposito il DSM-IV sostiene che:
“Il disturbo di Conversione ha delle caratteristiche in comune con i
disturbi dissociativi. Entrambi i disturbi comportano sintomi che suggeriscono disfunzioni neurologiche e possono anche avere antecedenti in
comune. Se i sintomi di conversione e dissociativi si presentano nello
stesso individuo (il che è comune), dovrebbero essere fatte entrambe le
diagnosi. E’ controverso se le allucinazioni (“pseudo-allucinazioni”) possano essere considerate un sintomo del disturbo di conversione. A differenza delle allucinazioni che si presentano nel contesto di un disturbo
psicotico, le allucinazioni nei disturbi di conversione generalmente si
manifestano con intatta coscienza di malattia ed in assenza di altri sintomi psicotici, spesso coinvolgono più di un’area sensoriale (per esempio
allucinazioni che comprendono componenti visive, uditive e tattili), e
spesso hanno contenuti semplici, fantastici o infantili. Esse sono spesso
cariche di significato psicologico e tendono ad essere descritte dal soggetto come una storia interessante”. (DSM-IV. A.A.V.V., 2004).
LA DIAGNOSI SECONDO LA PSICHIATRIA PSICODINAMICA
La diagnosi psicodinamica si differenzia da quella descrittiva in quanto
tratta i problemi di maturazione intorno ai quali si organizza il carattere
di una persona.
“Non è possibile comprendere la struttura essenziale del carattere di un
essere umano senza valutare due dimensioni distinte e tra loro interagenti: il livello evolutivo dell’organizzazione di personalità e lo stile difensivo
all’interno di quel livello”. La prima dimensione descrive il grado di individuazione o di patologia (psicotico, borderline, nevrotico, “normale”)
della persona; la seconda identifica il tipo di carattere (paranoide, isterico, depressivo, schizoide…) (Mc Williams, 1999).
Riassumiamo in breve le caratteristiche dei livelli maturativi individuati
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in letteratura:
“Chi si trova in una condizione psicotica appare fissato ad un livello fusionale, precedente alla separazione, in cui non riesce a differenziare ciò
che è dentro di sé da ciò che è fuori; chi è in una condizione borderline
è invece fissato su conflittualità diadiche tra fusione totale, che teme
possa cancellare la sua identità, e totale isolamento, equiparato a un
abbandono traumatico; infine chi ha difficoltà nevrotiche, pur avendo
portato a termine il compito di separazione-individuazione, si dibatte in
conflitti tra, per esempio, ciò che desidera e ciò che teme, il cui prototipo è il dramma edipico ” (Mc Williams, 1999).
Nel caso di M., pensiamo di aver individuato un livello maturativo borderline, termine che copre una gamma di sintomi molto ampia, ma che
possiamo utilizzare per definire un tipo di struttura di personalità più
grave nelle sue implicazioni della nevrosi, ma non suscettibile di scompensi psicotici permanenti.
Dopo aver individuato il livello maturativo, abbiamo cercato di identificare il carattere: a nostro parere, i dati provenienti dall’anamnesi sembrerebbero indicare una personalità di tipo istrionico.
Nel suo tentativo di creare un sistema classificatorio di stampo psicodinamico, ma confrontabile al DSM IV, Gabbard ha ipotizzato l’esistenza di
due diverse espressioni dell’isteria.
La prima si innesta su una struttura di personalità nevrotica e prende il
nome di disturbo isterico di personalità, la seconda che affonda le proprie
radici nel livello evolutivo borderline e viene definita disturbo istrionico
di personalità.
A nostro parere il caso della signora M., si riferisce al secondo tipo di
disturbo.
Gabbard individua alcuni elementi patognomici del disturbo istrionico:
A. Emotività florida e generalizzata.
B. Esibizionismo avido con un aspetto esigente, orale, che è “freddo” e
meno partecipe.
C. Impulsività generalizzata.
D. Seduttività cruda, inadeguata e distanziante.
E. Afinalismo e impotenza.
F. Relazioni oggettuali diadiche primitive caratterizzate da adesività,
masochismo e paranoia.
G. L’abbandono da parte di oggetti d’amore induce una profonda ansia di
separazione.
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H. Super-io superficiale con predominanza di difese primitive come la
scissione e l’idealizzazione.
I. Intensi desideri transferali sessualizzati si sviluppano rapidamente e
sono considerati realistici.
Come è possibile vedere, questa modalità diagnostica è molto complessa
e richiede una “comprensione dinamica” del soggetto.
La psichiatria dinamica infatti non consiste solo in una classificazione
descrittiva dei comportamenti manifesti, ma si pone l’obiettivo di comprendere il più possibile come la persona si strutturi e come si relazioni
al proprio mondo esterno ed interno.
Il tipo di comprensione suggerita da Gabbard abbisogna di un arco di
tempo superiore rispetto al DSM-IV per poter vagliare con accuratezza
tutti i criteri. A causa del numero ridotto di colloqui condotti con la
paziente non è stato possibile sviscerare in maniera precisa tutti i fattori
patognomici.
Nella discussione dei criteri ci siamo basati sulle informazioni provenienti dalla raccolta anamnestica, dalla videocassetta e dalle impressioni ed
ipotesi raccolte durante i colloqui.
Per quel che concerne il primo criterio:
L’espressione emotiva ci è parsa non particolarmente florida durante i
colloqui se non in alcuni momenti, a tale proposito riportiamo alcune
crisi di pianto e situazioni di euforia eccessiva rispetto ai contenuti
espressi.
La floridezza dell’emotività è invece ben visibile nelle crisi e nel loro
dipanarsi con modalità espressive esagerate ed angoscianti.
MacKinnon e Michels (1971) sostengono che divenendo intensamente,
ma molto superficialmente emotivo, il paziente può difendersi dagli
affetti più profondi e sinceri che desidera evitare. Un’emotività che diviene un riflesso automatico ed uno stile cognitivo impressionistico e globale serve ad impedire al paziente istrionico di entrare in contatto con qualunque stato o atteggiamento affettivo autentico nei confronti di sé e
degli altri (Gabbard, 2007).
Per quel che concerne il secondo criterio:
Ritroviamo l’esibizionismo nell’ambito delle crisi che sembrano essere
costruite ed inscenate probabilmente allo scopo di ottenere attenzioni e
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sostenere il proprio equilibrio.
Dall’esame della letteratura è emerso che per quanto le crisi possano
essere esagerate in modo drammatico, la persona non le accentua in uno
sforzo cosciente per raggiungere qualche meta chiara, probabilmente
essa non si rende chiaramente conto di recitare. Il linguaggio delle crisi
è probabilmente l’unico linguaggio che M. ha a propria disposizione ed
assume innanzitutto un valore informativo, ma la natura dell’informazione, il suo significato, va incontro ai più disparati fraintendimenti (menopausa-epilessia), la stessa comunicazione, notificata al medico attento ai
disturbi dell’organismo, perde il suo significato informativo per assumerne uno cognitivo.
“In una società che accetta le malattie del corpo, ma molto meno i problemi dell’esistenza, l’unica via praticabile resta quella di esprimere in
termini di malattia somatica i propri problemi personali” (Galimberti,
2006).
Per quel che concerne il terzo criterio:
La difficoltà nel controllo degli impulsi si evince da alcuni episodi anamnestici quali il tentativo di suicidio e l’utilizzo di alcolici.
Il tentativo di suicidio però è stato descritto dalla paziente come una
modalità per attirare l’attenzione su di sé, quindi potrebbe essere annoverato nelle condotte esibizionistiche descritte nel punto precedente.
A proposito dell’impulsività nelle relazioni amorose la letteratura suggerisce l’idea che: “alcuni istrionici più impulsivi, benché portati ad improvvise e quasi esplosive infatuazioni emotive, siano nondimeno inibiti nei
riguardi di un amore più costante e non esplosivo” (Shapiro, 1969).
Rapportando la storia sentimentale della paziente a tale suggerimento, si
potrebbe ipotizzare una difficoltà di M. nella modulazione degli impulsi
a livello sentimentale.
Per quel che concerne il quarto criterio:
L’area della sessualità non è stata indagata sufficientemente per poterci
esprimere riguardo a questo punto. Possediamo informazioni riguardanti la vita sessuale di M.: la paziente sostiene di vivere in maniera serena e
positiva la propria sessualità, ma non sappiamo come essa la concretizzi.
Per quel che concerne il quinto criterio:
Dalle impressioni raccolte durante i colloqui, possiamo ipotizzare che M.
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utilizzi le altre persone come rinforzo di se stessa; questa idea potrebbe
essere suffragata dalla modalità con cui la paziente descrive le proprie
relazioni. Sembrerebbe che le persone vengano inglobate nel proprio
mondo e, dopo aver svolto il loro compito, abbandonate. Tale ipotesi
sembra confermare anche il livello maturativo caratterizzato da una continua ricerca della fusione con l’altro e la successiva fuga nel timore di
esserne inglobato perdendo così la propria identità.
Esempio lampante di questa modalità di gestire le relazioni in maniera
afinalistica è il rapporto che M. intrattiene con i propri compagni.
Il primo marito viene utilizzato per abbandonare la casa dei propri genitori, il secondo è una molla per abbandonare il primo e quando M. non
ne è più soddisfatta viene rimpiazzato dall’amante giustificando il proprio
comportamento con una maggior prestanza fisica del giovane.
E’ possibile intuire che i rapporti di M. non siano finalizzati alla costruzione di una relazione basata sull’intimità e la reciprocità, ma sulla manipolazione che ha come obiettivo la soddisfazione dei propri bisogni. Tale
modalità relazionale viene confermata dalle affermazioni della paziente
che sostiene di aver contratto il secondo matrimonio per paura della solitudine e della vecchiaia.
Per quel che concerne il sesto criterio:
Le relazioni oggettuali di M. sono quasi esclusivamente diadiche.
Tale caratteristica è emersa chiaramente durante i colloqui, infatti la
signora sembrava non avere raggiunto la capacità di mentalizzare una
terza figura oltre a se stessa e al proprio co-attore.
Nella raccolta anamnestica questa modalità è evidente nella descrizione
della propria famiglia. M. descrive in maniera separata il proprio rapporto con la madre e con il padre; la riflessione sul clima familiare generale
è avvenuta su richiesta dell’intervistatore.
Questa difficoltà emerge in maniera evidente soprattutto nella relazione
con il secondo marito e la figlia.
Durante i colloqui queste due figure non erano mai presenti contemporaneamente nella storia raccontata da M., la narrazione si incentrava sul
marito, mentre la figura della figlia si poteva soltanto intuire.
Per quel che concerne il settimo criterio:
Non è stato raccolto nessun elemento per poterlo discutere.
38
Per quel che concerne l’ottavo criterio:
Premesso che il numero di colloqui non è stato sufficiente per potersi
esprimere in modo definitivo sull’assetto difensivo della paziente, pensiamo di poter affermare che il meccanismo difensivo della scissione sia
individuabile in maniera abbastanza netta nella descrizione che M. fa di
se stessa: la paziente infatti si percepisce come “del tutto buona”, sensibile, generosa, intuitiva e fantasiosa; non pensa di avere difetti. Il marito,
dal canto suo, la descrive come chiusa in sé, timida, introversa ed eccessivamente meticolosa.
La polarità negativa “del tutto cattiva”, invece sembra essere custodita
dalla madre e dal primo marito.
Anche i meccanismi di idealizzazione e di svalutazione sono emersi
durante i colloqui.
Il secondo marito, ad esempio, inizialmente descritto come l’uomo perfetto viene poi tradito e svalutato; a questo punto, nel gioco delle parti,
la figura dell’amante assume tinte idealizzate.
Ferenczi (1913) suggerisce che il meccanismo dell’idealizzazione nell’istrionico possa essere un facilitatore nell’attaccamento.
Tale attaccamento con l’oggetto idealizzato porta alla persona istrionica
un’autostima indiretta.
Per quel che concerne il nono criterio:
Non è stato raccolto nessun elemento per poterlo discutere.
Un’ultima caratteristica utile nel tentativo di mettere a fuoco il caso di M.
riguarda lo stile cognitivo emerso durante i colloqui.
Molto spesso le risposte fornite dalla paziente non si concentravano sui
fatti ma sulle impressioni le quali non erano né dettagliate né definite: la
descrizione di se stessa e della madre ne sono un esempio.
Sembrava che M. non fosse in grado di concretizzare le caratteristiche
enunciate: quando le si chiedeva di portare un esempio concreto di cosa
volesse dire “sono buona” ella continuava ad elencare una serie di caratteristiche astratte.
In altre parole la sua cognizione sembra essere globale ed impressionistica.
Altre caratteristiche emerse nettamente durante i colloqui sono state
l’anaffettività, l’imparzialità e l’indifferenza (belle indifférence), con cui
39
M. ha considerato la propria storia personale e i propri sintomi.
In ultima analisi, a differenza della teatralità e dell’ipertrofia sentimentale mostrata nella cassetta, nei colloqui la paziente ha spesso suscitato
l’impressione che i contenuti riportati e le crisi stesse non fossero realmente importanti, che non venissero considerati come qualcosa di sentito in maniera reale, ma subiti, “come se le fossero passati attraverso”.
CONCLUSIONI
Le conclusioni a cui siamo giunti al termine di questo lavoro possono
essere articolate a due livelli.
In prima battuta, l’articolo ha dimostrato che non esiste la psicopatologia
come entità a sé stante, ma che essa prende diverse forme in base all’approccio con cui ci si accosta all’osservazione dei fenomeni studiati.
Quindi, la stessa definizione di malattia mentale deriva da un approccio
teorico; infatti, in altre culture ed in altre epoche le persone che noi consideriamo malate sono state e vengono considerate dei tramiti tra il
mondo terreno e ultraterreno.
I diversi modi con cui l’Uomo si accosta alla Natura sottendono diverse
teorie il cui scopo è organizzare la realtà che le persone interfacciano.
Queste molteplici modalità organizzative pongono l’attenzione su caratteristiche diverse e, in alcuni casi, possono escludere completamente l’osservazione di alcune delle stesse poiché non coerenti con la teoria di riferimento.
In altre parole, approcci teorici diversi portano ad osservazioni diverse e
a diverse conclusioni, quindi nel caso della psichiatria a formulare diagnosi e trattamenti che possono essere sensibilmente differenti.
A riprova di ciò, in questo articolo è stato possibile sia lo studio del caso
M. da due diverse prospettive teoriche, sia l’osservazione di differenti
posizioni diagnostiche e terapeutiche.
Nel campo della psichiatria la molteplicità di punti di vista sull’Uomo ci
riporta alla considerazione, fatta nell’introduzione, che tuttora non esiste
un modello esaustivo del funzionamento umano e quindi, proprio la scarsa definizione dell’oggetto di studio, fa presumere che la risoluzione del
problema concettualizzato in termini di “malattia mentale” sia ancora
lontana.
Il secondo livello di conclusioni, strettamente collegato al precedente,
riguarda il rapporto che intercorre fra epoca storica e tipo di psicopato-
40
logia individuata, e quindi dell’influenza comportata dai cambiamenti
sociali sull’espressione patologica.
Come è emerso dall’excursus sull’isteria, ogni periodo storico condiziona
lo sviluppo e l’espressione di diverse forme di malessere, le quali riflettono i valori, le regole sociali, e la qualità della vita che le influenzano.
Ad esempio, l’epoca vittoriana caratterizzata da rigidità morale ha favorito l’insorgenza di determinati quadri patologici quali fobie, disturbi psicosomatici ecc.., che rimandano all’impossibilità di esprimere liberamente la propria umanità.
Queste forme isteroidi, che dominavano il panorama della malattia mentale ottocentesco, oggi hanno cambiato modalità espressiva (Oriandi,
2001).
Sembrano essere sostituite dai più pervasivi disturbi caratteriali che spesso non si esprimono con una sintomatologia ben definita, bensì con un’insoddisfazione latente; si vedono sempre più persone che lamentano
depressione: non hanno emozioni, si sentono vuote, sono profondamente frustrate e insoddisfatte.
Tali espressioni sembrerebbero indice di un malessere radicato e profondo coperto però da una velatura di normalità; usando le parole di M.:
“Sono una donna a cui sembra vada tutto bene fuori, al lavoro, a casa, con
la figlia… ma dentro…
41
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42
43
Morfologia del
disturbo dislessico
M. Michieletto
Leggere e scrivere sono meccanismi essenziali per la comunicazione, la
comprensione, l'evoluzione e lo sviluppo intellettivo dell'uomo; sono una
tappa fondamentale nella vita di ogni individuo. Quando queste abilità vengono compromesse ci troviamo di fronte ad un disturbo di letto-scrittura
che comporta deficit di apprendimento. Con il termine "dislessia" si designano quelle difficoltà che riguardano la capacità di leggere e scrivere in
modo corretto e fluente; non sono riscontrabili deficit di intelligenza, né
problemi psicologici o sensoriali e non è causata dall'ambiente. In Italia,
la dislessia è poco conosciuta, sebbene l'AID (Associazione Italiana
Dislessia) calcoli che almeno 1.500.000 persone riportino questo disturbo.
Il paziente dislessico presenta difficoltà scolastiche già nei primi anni di
scuola, difficoltà che riguardano la lettura, la scrittura e molte volte
anche l'abilità di calcolo; possono essere presenti inoltre deficit all'organizzazione spazio-temporale. Essa non è infatti un'entità monolitica, ma
multicomponenziale; per questa ragione ogni dislessico presenta un quadro clinico diverso da un altro. Spesso, nel bambino dislessico sono
riscontrabili problemi psicologici, ma questi sono una conseguenza, non
la causa della dislessia.
1. I meccanismi di lettura ipotizzati nel modello a doppio accesso
Per comprendere pienamente che cos'è la dislessia e quali possono essere le turbe che la caratterizzano, ritengo importante soffermarmi su alcune considerazioni relative all'atto del leggere. La lettura è un atto complesso che richiede la partecipazione di meccanismi visivi, uditivi e motori; questo perché leggere non vuol dire solo conoscere i suoni, ma anche
produrli e comprendere il significato delle parole.
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Le teorie sui meccanismi di lettura elaborate in ambito neuropsicologico
permettono di spiegare come, data una parola, si possa arrivare alla comprensione del suo significato.
Nelle teorie chiamate "visive" (Massaro, 1975) si ipotizza un accesso diretto al significato della parola dopo un'analisi preliminare dello stimolo.
Nelle teorie dette "fonologiche" (Gough, 1972 e Rubenstein e Lewis 1971)
si ipotizza invece una trasformazione da un codice visivo ad uno fonologico, prima che avvenga la comprensione. Risultati sperimentali ottenuti da
ricerche su soggetti normali hanno confermato la validità di entrambe le
teorie; per questo motivo sono stati elaborati dei modelli di lettura chiamati "a doppio accesso" secondo i quali il lettore potrebbe riconoscere una
parola presentata visivamente sia sulla base della sua forma che del suo
suono. Proposto per la prima volta, da Coltheart (1978) e poi adottato e
confermato da numerosi ricercatori, questo modello è stato chiamato
anche modello standard. Nel modello si assume l'esistenza di un magazzino di memoria detto Sistema Semantico che permette al lettore di accedere al significato della parola (scopo finale della lettura). Quando si ha accesso al Sistema Semantico è possibile ricavare, oltre al significato, anche altre
informazioni circa la parola scritta (classe grammaticale, pronuncia, ortografia, ecc... ); si ha così l'accesso lessicale della parola.
I primi due stadi di elaborazione vengono denominati "Analisi Visiva" e
"Riconoscimento delle lettere" perché tramite questi due livelli vengono analizzate le caratteristiche visive dello stimolo. Il sistema di "Riconoscimento
delle parole" corrisponde al sistema logogen di Morton (1969). Un logogen è
un meccanismo passivo di categorizzazione; fornisce una risposta (cioè riconosce una parola e ne attiva il significato) solo se viene raggiunta una certa
soglia. La via di lettura che inizia da questo stadio è chiamata via visiva o lessicale; quest'ultima permette il recupero della pronuncia della parola senza
utilizzare le regole di pronuncia, quindi attraverso il lessico mentale e utilizzando solo le caratteristiche visive dello stimolo.
La via visiva si divide in due: una via visiva semantica e una non semantica;
entrambe attivano il "meccanismo di produzione delle parole" che funziona
da logogen di uscita, ossia acquisisce evidenza semantica e attiva la forma
fonologica per poter dar luogo all'articolazione della parola. La via visiva
semantica attiva il significato della parola nel "Sistema semantico"; la via
visiva non semantica connette invece il "Sistema di riconoscimento della
parola" con il "Sistema di produzione della parola", senza passare per il
significato (cioè senza passare per il Sistema semantico).
45
La terza via ipotizzata nel modello a doppio accesso è detta via fonologica; costruisce la forma fonologica delle parole e delle non-parole, a partire dalle lettere che sono state identificate negli stadi precedenti, tramite il meccanismo di "Conversione grafema-fonema". Anche qui l'accesso
al Sistema semantico permette di ricavare il significato della parola, la
comprensione e la sua pronuncia.
L'ultimo stadio, il "Sistema articolatorio", produce la parola o la non-parola
che è stata elaborata negli stadi precedenti.
La via visiva è coinvolta principalmente nella lettura di parole e permette
di leggere le parole irregolari, cioè parole con eccezione di pronuncia. La
via fonologica, invece, si attiva, nel momento in cui il sistema semanticolessicale non può fornire informazioni a chi legge, cioè quando il lettore
deve leggere parole che non conosce.
Questo ci fa capire quant'è importante il buon funzionamento di entrambi
i meccanismi poiché un deficit alla via fonologica non ci permetterebbe di
leggere le non-parole e con un danno alla via visiva non potremmo leggere le parole con eccezioni di pronuncia.
Esistono dati sufficienti per supporre che le due vie interagiscono e si attivano contemporaneamente anche se non è ancora del tutto chiaro il loro
grado di interazione.
La figura illustra il modello standard e i meccanismi implicati nella lettura.
IMPUT VISIVO
Analisi visiva
Riconoscimento
delle lettere
Identificazione
delle lettere
Riconoscimento
visivo delle parole
Sistema
Semantico
Conversione
grafema - fonema
Produzione
delle parole
Sistema articolatorio
- Modello standard di lettura -
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2. Uno sguardo sulla dislessia
Imparare a decifrare un testo scritto e comprenderne il messaggio è uno
degli scopi prefissati dell'apprendimento in ambito scolastico. Il saper
leggere non è solo una necessità che si presenta tra i banchi di scuola, ma
un requisito fondamentale per la realizzazione dell'individuo in una
società alfabetizzata come la nostra. Per questa ragione, sia in campo scolastico che in ambito socio-sanitario, i deficit di lettura e scrittura stanno
acquisendo sempre maggior rilevanza e gli obiettivi rieducativi sorti in
questi ultimi decenni si dimostrano validi mezzi d'aiuto per il miglioramento nelle difficoltà di lettura e di scrittura.
Con il termine dislessia andiamo proprio a definire queste difficoltà di
lettura che possiamo distinguere in evolutive o acquisite. La dislessia
acquisita indica che il soggetto ha perso un'abilità (quella del leggere)
che precedentemente possedeva, in seguito a danno cerebrale; la dislessia evolutiva, invece, si riferisce ad un disturbo della lettura in un individuo che non ha mai imparato a leggere correttamente.
Leggere e scrivere sono atti così semplici e automatici, che risulta difficile comprendere la fatica di un bambino dislessico. Questa difficoltà non
è causata da un deficit di intelligenza, né da problemi ambientali o psicologici, o da disturbi sensoriali o neurologici. Il bambino dislessico può
leggere e scrivere, ma impegnando tutte le sue energie perché non può
farlo in maniera automatica. Questo comporta un rapido affaticamento,
errori nella lettura e nella scrittura (come inversioni di lettere e numeri,
sostituzioni, omissioni, regolarizzazioni), rallentamento, confusione nei
rapporti spaziali e temporali e tutto ciò provoca una comprensione carente e deficitaria.
Dislessia attenzionale
Questo particolare tipo di dislessia è caratterizzato da specifici errori di
lettura causati da problemi attenzionali che alterano il normale processo
di elaborazione.
Shallice e Warrington (1977) documentarono questa sindrome in due
casi; i pazienti riuscivano a leggere le singole lettere e le singole parole in
modo quasi perfetto, tuttavia, si trovavano in difficoltà quando veniva
introdotto più di un elemento dello stesso tipo nel campo visivo.
I soggetti normali sono in grado di filtrare le informazioni non rilevanti
così da poter rivolgere l'attenzione al bersaglio; si ritiene che i soggetti
affetti da dislessia attenzionale abbiano perso la capacità di focalizzare
47
l'attenzione quando viene loro chiesto di stare attenti ad uno stimolo introdotto tra altri stimoli dello stesso tipo.
In una prova effettuata da Shallice e Warrington fu chiesto ai pazienti di
denominare una singola lettera che era affiancata da altre lettere colorate
diversamente; nel denominare le singole lettere separatamente i soggetti
ottennero un punteggio del 91% e del 100% mentre i loro punteggi scesero nella condizione di affiancamento.
Nei casi di dislessia di tipo attenzionale, quindi, i deficit sono imputabili a
difficoltà di focalizzazione dell'attenzione su parti specifiche dello stimolo.
Dislessia superficiale
Le persone che non presentano difficoltà di lettura riescono a pronunciare parole che per loro non hanno alcun significato grazie alle conoscenze
che posseggono circa le regole o le corrispondenze più comuni tra spelling e suono presenti nella lingua del lettore; questo permette loro di leggere parole irregolari.
I primi ricercatori che iniziarono ad occuparsi di dislessia superficiale
furono Marshall e Newcombe che, nel 1973, descrissero due casi in cui
si intravedevano i faticosi tentativi del paziente di leggere per mezzo del
suono. In questo tipo di dislessia troviamo un deficit nel meccanismo di
lettura visiva; il paziente che legge per mezzo del suono ha difficoltà a
leggere parole irregolari che non seguono le comuni regole della pronuncia. Questa sindrome fa supporre che il paziente utilizzi in modo spropositato la via fonologica nella lettura; quest'ultima, infatti, consente di leggere correttamente solo parole regolari. La sintomatologia di pazienti
affetti da dislessia superficiale può essere riassunta in questo modo:
l. Le parole regolari e le non-parole sono lette meglio delle parole irregolari.
2. Comprensione alterata degli omofoni, ossia confusione con parole che
sono diverse ortograficamente ma hanno la medesima pronuncia.
3. Regolarizzazioni, cioè il paziente tende a leggere le parole irregolari
come se fossero regolari.
4. Frequenti errori di accentuazione nella lettura di parole polisillabiche.
5. Errori ortografici (sostituzione, eliminazione e aggiunte di lettera).
Inoltre, ogni paziente che presenta una dislessia superficiale tende ad
avere anche una disgrafia superficiale, ossia è compromessa anche la
48
scrittura. Riferendosi al modello standard di lettura, è possibile riscontrare nella dislessia superficiale una disconnessione fra i primi livelli di analisi dello stimolo e il riconoscimento visivo; questo obbliga il lettore ad
utilizzare la via fonologica nella lettura avendo perso la funzione delle vie
visivo-lessicali.
Dislessia fonologica
La sindrome è stata osservata per la prima volta da Beauvois e Derousnè
(1979). Questo tipo di dislessia si caratterizza per un deficit nella via della
lettura fonologica, mentre rimane intatta la lettura visiva. Ciò significa
che i soggetti affetti da dislessia fonologica sono in grado di leggere usando solo il loro vocabolario visivo; utilizzano immagini visive piuttosto che
immagini uditive. Questa modalità di lettura comporta un'incapacità di
leggere le non-parole, ma una lettura quasi intatta delle parole, errori
visivi nella lettura (gli errori tendono ad essere visivamente simili allo stimolo; es. cane - pane), assenza di errori semantici.
Uno dei primi studi su questo tipo di sindrome fu un caso riportato da
Low (1931); quest'ultimo riscontrò che gli errori del suo paziente tendevano ad essere visibilmente simili, per sembianze visive, allo stimolo ( es:
RUOTA --- VUOTA). Da questo dato Low dedusse che le immagini visive erano le più importanti.
Nel momento in cui la via fonologica risulta danneggiata, il meccanismo
di lettura residuo è quello visivo, quindi, la lettura delle non-parole è gravemente compromessa, mentre, la lettura delle parole rimane intatta.
Non è sempre facile diagnosticare una dislessia di questo tipo perché il
soggetto può disporre di un ampio vocabolario visivo; il deficit si evidenzia solo nel momento in cui si chiede al paziente di leggere delle nonparole.
Dislessia lettera-per-lettera (o spelling dyslexia)
La dislessia lettera-per-lettera è una forma di dislessia senza agrafia, cioè
non presenta disturbi di scrittura; questa sindrome è caratterizzata da
una lettura gravemente compromessa sebbene lo spelling e la scrittura
risultino normali. Il paziente affetto da questa forma di dislessia presenta un quadro sintomatologico particolare: la sua lettura è molto lenta e
questa lentezza dipende soprattutto dalla lunghezza della parola.
L'identificazione delle singole lettere è, in genere, buona. La lettura in
questo tipo di dislessia permette al paziente di fare lo spelling della paro-
49
la e di ricostruirla lettera per lettera; ciò significa che la loro capacità di
riconoscere le singole lettere e di denominarle li aiuta a compitare la
parola. Ovviamente tutto questo avviene molto lentamente.
Il deficit si colloca a livello del sistema visivo, più specificatamente implica una disconnessione tra analisi visiva precoce e sistemi di riconoscimento della parola completa e questo non permette all'informazione in
entrata di accedere al sistema semantico. Perciò, la comprensione della
parola avviene solo dopo il riconoscimento, da parte del soggetto, delle
singole lettere, dopo la ricostruzione dell'intera parola e dopo la sua pronuncia a voce alta.
Tutto questo comporta tempi prolungati di lettura e se l'esposizione dello
stimolo avviene in tempi ristretti la comprensione risulta deficitaria. La
scrittura non viene compromessa in questi pazienti, ma c'è un'incapacità
di rileggere quello che scrivono; inoltre non si riscontra nessuna differenza nella lettura di parole rispetto alla lettura di non-parole.
I casi di pazienti con spelling dyslexia mostrano una variabilità di sintomi: possono portare ad una totale incomprensione della parola stampata,
oppure ad una parziale comprensione dello stimolo se i tempi di esposizione della parola sono abbastanza prolungati da permettere il riconoscimento delle singole lettere e quindi la ricostruzione della parola stessa e
del suo significato.
Dislessia profonda
La dislessia profonda non è riscontrabile fra i disturbi di lettura evolutivi, per cui risulta inclusa all'interno delle dislessie acquisite; il deficit è
causato da una lesione cerebrale che si colloca, generalmente, nelle aree
perisilviane dell'emisfero di sinistra con interessamento fronto-temporoparietale.
I primi ricercatori ad occuparsi di dislessia profonda furono Marshall e
Newcombe (1973) che si accorsero che i pazienti affetti da questa sindrome commettevano errori particolari definiti paralessie semantiche;
queste consistono nella produzione di parole che sono associate allo stimolo presentato, cioè mantengono con esso un legame di significato:
possono, infatti, essere sinonimi o appartenere alla stessa categoria. Il
primo sintomo riscontrabile è l'impossibilità di leggere le non-parole;
quindi il dislessico profondo non utilizza la via fonologica nel processo
di lettura. Nemmeno la via visiva è integra, però, perché sono evidenziabili anche errori nella lettura delle parole. In questa forma di dislessia la
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sintomatologia caratteristica è rappresentata da errori semantici, errori
visivi, morfologici, le parole concrete vengono lette meglio di quelle
astratte, i nomi sono letti meglio degli aggettivi e dei verbi, c'è presenza
di disgrafia e di un deficit a livello della memoria a breve termine.
Una possibile spiegazione circa questa sindrome dislessica può essere
data in termini sia funzionali che neurologici, chiamando in causa la teoria di Morton e Patterson (1980) che interpreta il disturbo assumendo dei
deficit alla ricodificazione fonologica, alla via visiva diretta e al Sistema
semantico. Per una valutazione di tipo funzionale, la teoria di Coltheart
(1980) si presta bene ad un chiarimento in termini neurologici.
Iperlessia
L'iperlessia è caratterizzata dall'incapacità di lettura delle non-parole e
da un deficit di comprensione delle parole che invece vengono lette correttamente; questo dimostra l'esistenza di una via visiva non-semantica.
Un lettore con questa patologia utilizza, nel processo di lettura, la terza
via, definita via visiva non semantica; questa, partendo da un'analisi
visiva, proseguendo con il riconoscimento delle lettere e il riconoscimento visivo della parola (lessico visivo di input), arriva alla produzione della
parola stessa e alla sua pronuncia senza passare per il Sistema
Semantico. Saltando quest'ultimo passaggio, indispensabile per la comprensione dello stimolo, il soggetto non sarà in grado di capire ciò che
legge; quindi si presenterà un quadro sintomatologico caratterizzato da
una buona lettura delle parole, da un deficit nella lettura delle non-parole e una completa incapacità di comprensione.
Se parliamo di iperlessia acquisita, la modalità di lettura non semantica
si osserva soprattutto nei casi di grave ritardo mentale e nei casi di autismo. Nell'iperlessia evolutiva, invece, possiamo osservare che la componente semantica della lettura ha avuto uno sviluppo molto rallentato
rispetto alla lettura fonologica; questo permette il riconoscimento e la
ricodifica fonologica della parola, ma compromette il processo di comprensione.
3. Analisi degli errori di lettura
Per una comprensione più completa della dislessia, ritengo utile analizzare gli errori che caratterizzano i deficit di lettura. Le difficoltà che
incontra un dislessico sono molteplici e possono interessare singole lettere o gruppi di sillabe in differenti modi.
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A) Confusione di suoni semplici:
• Confusione tra consonanti che si presentano graficamente simili:
p e q, b e d, m e n. La confusione, in questo caso, è visiva e riguarda un'analisi superficiale dei segni scritti che possono differire per
orientamento o per un particolare grafico.
• Confusione tra consonanti: f e v, c e g, t e d. In questo caso, si tratta di confusione uditiva tra consonanti che si caratterizzano per
suono simile.
B) Omissione di lettera: il soggetto, per esempio, legge compa al posto di
compra.
C) Difficoltà con i suoni di particolari coppie di lettere: gn, sc, ch. Queste
esitazioni possono essere commesse anche da lettori normali.
D) Inversioni:
• Inversioni di lettera di una stessa sillaba: sosprio per sospiro, pirgione per prigione.
• Inversioni di due sillabe di una parola: rapola per parola, munero
per numero.
E) Trasformazione di una parola:
• Il soggetto legge correttamente solo la parte iniziale della parola e
la completa poi dando un finale di fantasia allo stimolo.
• Il soggetto usa un tempo del verbo differente da quello dato: cominciò per comincia, mangiò per mangia.
• Uso erroneo del genere dei pronomi, aggettivi e articoli: lo per la,
cattivi per cattive.
F) Sostituzione di una parola con un'altra:
• Sostituzioni che rispettano un certo senso (errori semantici): legge
foglia per fiore, tavolo per banco.
• Errori morfologici: quando nell'errore rimane preservata la radice
della parola e ne modifica l'affisso o viceversa.
• Sostituzioni che recano difficoltà alla comprensione perché la parola bersaglio viene sostituita con un'altra parola con la quale non ha
nessun legame semantico, fonologico o visivo.
• Sostituzioni di una sola parola con un'espressione di almeno due
vocaboli: addio diventa ah, dai.
G) Aggiunte di una o più lettere nella parola bersaglio: uscito per uscio,
resta per resa.
H) Confusione con parole omofone non omografe: alpino per al pino,
l'ago per lago.
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I) Difficoltà con la punteggiatura.
L) Pezzi di frasi ricordate, ma significato generale non compreso; dovendosi soffermare troppo a lungo sulle singole parole, il soggetto dislessico perde il significato dell'intera frase.
M) Errori visivi: si verificano quando il lettore nel leggere parole e nonparole commette errori che tendono ad essere visivamente simili allo
stimolo (es. cane - pane).
4. Dislessia e disortografia
Ritengo importante affrontare il problema della disortografia in quanto è
un deficit che si presenta, spesso, accompagnato alla dislessia e considerato da molti come una conseguenza della stessa.
Con il termine disortografia intendo riferirmi a difficoltà di scrittura,
quest'ultima intesa come linguaggio e comunicazione; di solito, i disturbi
disortografici sono di ordine percettivo, motori e di organizzazione spazio-temporale. La stretta relazione che esiste tra dislessia e disortografia
è data dal fatto che "chi scrive legge!" e quindi i due processi di lettura e
scrittura si alternano in una successione strettamente ravvicinata. La
necessità di indagare sulle cause della disortografia ci porta, inevitabilmente, a prendere in considerazione funzioni e capacità quali:
• il linguaggio orale,
• la simbolizzazione,
• l'organizzazione spazio-temporale,
• la discriminazione percettiva, visiva, uditiva.
Il linguaggio orale è uno strumento comunicativo di straordinaria complessità, che il bambino apprende in un tempo relativamente breve.
Dettato dal bisogno di esprimersi, l'individuo impara prima a parlare e
poi a mettere per iscritto, grazie allo sviluppo della capacità di simbolizzazione, ossia la sostituzione della realtà osservata e vissuta con simboli e
segni; nel disortografico troviamo spesso delle compromissioni in questo
campo.
Difficoltà a livello fonetico (assenza o alterazione di alcuni fonemi), infatti, possono compromettere le funzioni a livello del simbolo grafico; è
importante valutare se il bambino è in grado di fare verbalmente l'analisi dei suoni che compongono la parola e di discriminare la sequenza di
questi suoni.
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Le difficoltà di ordine spaziale vengono riscontrate a livello di grafismo
speculare, nelle singole lettere, nella linea di scrittura e nel modo di disporre il foglio; assistiamo, infatti, a inversioni, continui spostamenti del foglio
di lavoro, irregolarità nella forma e nella direzione delle lettere. Difficoltà
nell'organizzazione temporale sono riscontrabili nella lettura. Un altro fondamentale pre-requisito, per ottenere una buona capacità di scrittura, è
un'adeguata discriminazione percettiva - visiva e uditiva; il soggetto con
difficoltà di scrittura presenta errori a livello ortografico che possono essere confusioni di segno per analogia di forme o di suono.
Le maggiori difficoltà che può incontrare un disortografico possono essere
riassunte in una classificazione di questo tipo:
A) Confusione di lettera per somiglianza fonetica: il soggetto scrive d per
t, v per f, b per p, c per g, m per n.
B) Confusione di lettera per somiglianza morfologica: il soggetto scrive a
per o, m per n, b per p, d per q, n per u.
C) Aggiunte di lettera:
• raddoppiamento di consonante: il soggetto scrive libbero per libero.
• ripetizione di sillaba: il soggetto scrive favovola per favola.
• raddoppiamento di lettera in parole che presentano già un raddoppiamento: il soggetto scrive cassafforte per cassaforte.
D) Sostituzioni di vocali e consonanti.
E) Omissioni di lettera: il soggetto può compiere omissioni trasformando
una parola in una non-parola oppure una parola in un'altra parola; es.
caro per carro, fore per fiore.
F) Sostituzioni, aggiunte e omissioni di parole o di sillabe all'interno di
una frase.
G) Alterazione della struttura sintattica.
H) Cattivo uso dei tempi e dei modi dei verbi.
I) Disordine temporale nella descrizione degli eventi.
L) Uso errato della punteggiatura.
M) Errori di fusione: es. l'ago / lago.
L'approccio diagnostico e terapeutico ai soggetti con difficoltà di scrittura
deve essere multifattoriale allo scopo di valutare con precisione il grado di
compromissione delle singole funzioni. La riabilitazione, quindi, verrà
improntata sulla base del tipo di errori sistematicamente presenti nelle
prestazioni del soggetto disortografico.
54
BIBLIOGRAFIA
Bonistalli e il gruppo fiorentino MCE (1974). Prevenzione e trattamento della dislessia. La
Nuova Italia, Firenze.
Brotini M. (1986). Come affrontare le difficoltà di apprendimento: disgrafie, disortografie,
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Camaioni L. (2001). Psicologia dello sviluppo del linguaggio. Il Mulino, Bologna.
Denes F., Umiltà C. (1978). I due cervelli: neuropsicologia dei processi cognitivi. Il Mulino,
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McCarthy R.A., Warrington E.K. (1997). Neuropsicologia cognitiva. Raffaello Cortina
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Sartori G. (1984). La lettura: processi normali e dislessia. Il Mulino, Bologna.
Sartori G. (1998). La valutazione neuropsicologica della dislessia e della disgrafia. Upsel
Editore.
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Competenza presunta
e ignoranza certa /1
ERBE SVEDESI
PICCOLO AMARO SVEDESE
10 g
5g
0,2 g
10 g
10 g
10 g
10 g
10 g
10 g
5g
10 g
di Aloe*
di Mirra
di Zafferano
di foglie di Cassia
di Canfora **
di Rabarbaro radice
di Curcuma radice
di Manna
di Teriaca Veneziana
di Carlina radice
di Angelica radice
Le Erbe Svedesi vanno messe a macerare in un litro e
mezzo di acquavite di grano o frutta a 40° in una bottiglia
dal collo largo, lasciandola per 15 giorni al sole o in
vicinanza di una fonte di calore. Scuoterla ogni giorno,
prima di filtrarla per il travaso in una bottiglia più piccola
ed ancora, ogni volta prima di servirsi del suo contenuto.
Il resto, cioè quello che non è stato travasato nella
bottiglia più piccola, può essere conservato un mese e
mezzo e oltre. Il liquido va travasato in bottiglie piccole
che poi, chiuse ermeticamente, vanno conservate in
frigorifero. Questo elisir può essere conservato per molti
anni. Più riposa, più aumenta il suo effetto.
* Invece dell’Aloe può essere utilizzata la polvere di Assenzio.
** E’ ammesso esclusivamente l’uso della Canfora naturale, cioè quella cinese.
La seguente ricetta fu trovata, dopo la sua morte, fra gli appunti del celebre medico svedese e rettore della facoltà di medicina, Dr. Samst. Il Dr.
Samst era deceduto all'età di 104 anni in seguito ad un incidente mentre
cavalcava. Anche i suoi genitori ed i suoi nonni avevano raggiunto un'età
patriarcale.
Ciò che ora vi dirò suonerà proprio come una favola; invece è accaduto veramente. Da giovane giunsi gravemente ammalata nei pressi di
Lembach nel Mühlviertel. Dopo essere stata espulsa dalla mia patria
nei Sudeti e sistemata in un campo profughi bavarese, mi ero ammalata di tifo addominale, di intossicazione di carne alla quale si aggiunse
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un'epatite e un'occolusione intestinale. Rimasi in ospedale più di sei
mesi. Allorchè mio marito fece venire in Austria me, il bambino e le
nostre due madri, io ero ancora molto debole sulle gambe. Di notte ero
colpita da dolori che trafiggevano il mio corpo come spade. In quei
momenti non riuscivo a stare nè seduta nè coricata e contemporaneamente mi assalivano accessi di vomito e di diarrea. Ero proprio ridotta a
mal partito. Il medico diagnosticò postumi di tifo che spesso si manifestano per lunghi anni dopo la malattia. Un giorno una signora mi portò una
bottiglietta contenente un liquido bruno scuro molto profumato. Aveva
saputo della mia malattia e voleva aiutarmi. Queste Erbe Svedesi avevano liberato anche lei da un male gravissimo. Nella copia che portava con
se di un «Antico Manoscritto» veniva spiegato in 46 punti come queste
gocce avrebbero guarito ogni sorta di infermità. La ricetta, diceva, proveniva dalle opere postume di un celebre medico svedese il quale, come gli
altri membri della famiglia, aveva raggiunto un’età straordinariamente
avanzata. Secondo il punto 43, le gocce di Erbe Svedesi guarivano persino «ulcere pestose e bubboni anche se avevano ormai raggiunto la gola».
In un primo momento riposi le gocce nella farmacia di casa. Non volevo
proprio credere che queste, dall'aspetto così modesto, potessero restituirmi la salute visto che nemmeno il mio medico vi era riuscito. Ma presto mi ricredetti. Ero seduta davanti ad un cesto enorme pieno di pere
più che mature che dovevano essere sistemate senza indugio ed utilizzate, quando mi colpì un nuovo attacco. Poichè mi avevano assicurato che
le gocce potevano essere prese sia per via interna che esterna sotto forma
di impacchi, non esitai ad applicare sulla mia pancia del cotone bagnato
con le gocce coprendolo con un foglio di plastica e, legatomelo addosso
col reggicalze me ne tornai al mio lavoro. Una sensazione meravigliosa di
calore pervase tutto il mio corpo e improvvisamente ebbi l'impressione
come se qualcuno, con un unico gesto della mano, mi liberasse da ogni
male. Vi assicuro che con quest'unico ¢ataplasma portato per tutta la
giornata sotto il reggicalze avevo allontanato tutti i disturbi degli ultimi
mesi. La malattia era come volatilizzata; mai più ebbi neanche un solo
attacco.
Nostro fig1io, che allora aveva sei anni, aggredito da un cane lupo, era
rimasto terribilmente sfigurato. Delle cicatrici ipertrofiche di colore
rosso scuro si formarono in seguito sul suo volto, dal naso alla bocca. Nel
«manoscritto antico» si legge al punto 33 che tutte le cicatrici, le stig-
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mate ed i tagli, anche se di antica data, quando vengano inumidite con
queste gocce per 40 volte scompaiono definitivamente.
Bagnammo quindi ogni sera in questo modo le cicatrici del bambino
prima di metterlo a letto. Presto svanirono completamente, anche quelle
all'interno del naso.
Con queste esperienze alle spalle giunsi a Grieskirchen nel 1953. Durate una visita ad una fattoria incontrai la giovane moglie dell'agricoltore,
madre di due bambini, mentre mungeva le vacche nella stalla. Mi disse
che da settimane era in preda a dolori di capo insopportabili e poichè il
medico temeva un tumore, ella sarebbe dovuta andare a Linz per una
radiografia. Il giorno stesso le inviai mio figlio con una bottiglietta di
Erbe Svedesi affinchè, per mezzo di un impacco, fosse liberata dei dolori almeno di notte. Ero proprio allibita quando alle sette del mattino
seguente trovai l'agricoltore sull'ingresso di casa mia. «Cosa hai mandato
a mia moglie? Dopo l'applicazione del cotone inumidito, i dolori sono
scomparsi in due minuti. Al mattino poi, dal naso si sono liberati verso la
faringe due tappi grossi come mignoli, color mattone.» Infatti si era trattato di una sinusite trascurata che era guarita con l'applicazione di un solo
impacco. La donna ancora oggi giura sulle Erbe Svedesi. Anni fa ebbe
per giunta l’occasione di salvare la figlioietta da una brutta polmonite per
cui non rimane ormai più sfornita delle famose gocce.
Una donna soffriva da diverse settimane di una sinusite purulenta dolorosissima. La respirazione attraverso il naso era diventata impossible.
Delle cure energiche di antibiotici e raggi non erano servite a nulla.
Allora applicò durante la notte gli impacchi di Erbe Svedesi su fronte,
occhi e naso. Sin dopo la prima applicazione percepì un sollievo. Dopo
tre impacchi durante le notti successive si liberarono le vie di respirazione e attraverso il naso uscirono dei grossi tappi di pus.
Conoscevo di vista una giovane signora la quale, dopo la nascita del suo
sesto bambino, sembrava soltanto l'ombra di quella che era stata prima.
Le parlai e venni così a sapere che non riusciva ad ingerire più nulla.
Dovette mandare tutti i suoi figli presso altre famiglie. Le consigliai le
Erbe Svedesi. Circa tre settimane più tardi la rividi che era tornata la fresca e sana signora di prima. Le gocce avevano fatto miracoli. Riusciva
nuovamente a mangiare tutto ed i figli erano tornati da lei. Disse:«È stato
come se da me si fosse staccato un grosso animale» e raccontò inoltre che
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sua madre era stata ricoverata all'ospedale con un piede terribilmente
gonfio e che già da molto tempo camminava soltanto col bastone.
Settantacinque iniezioni non avevano apportato alcun giovamento. Aveva
inviato alla madre il «manoscritto» consigliandole le Erbe Svedesi che
infatti ebbero un effetto rapidissimo. Il piede era tornato normale ed il
bastone era diventato superfluo.
Un giorno ricevetti dalla Germania una lettera con la quale una mia
conoscente mi pregava di occuparmi dal punto di vista psichico di sua
nipote a quell'epoca a Gallspach. Quando la giovane mi venne a trovare
per la prima volta a Grieskirchen, presi un grande spavento. La dovevano sollevare dalla macchina, infilarle due grucce, e il corpo storpio richiedeva, nonostante tutti questi aiuti, oltre un quarto d'ora per raggiungere
il mio appartamento sito al primo piano. Le articolazioni di entrambi i
piedi erano deformate, le dita delle mani irrigidite ed incapaci di reggere qualsiasi cosa. Camminando trascinava i piedi e il torso veniva spinto
in avanti a scossoni. Ero rimasta sulla soglia dell’appartamento e, mentre
premevo le mani al cuore, non riuscivo a dire altro che: «Come ha fatto
una giovane signora come Lei a ridursi in questo stato?» «Nel giro di una
notte», mi rispose, «dopo la nascita del quarto bambino.» D’improvviso,
dunque, questa giovane bella signora si era trovata storpia nel suo letto.
In Germania era stata trascinata da un medico all'altro senza che nessuno riuscisse ad aiutarla. Da quattro anni si recava due volte all'anno a
Gallaspach presso il Dr. Zeileis, il quale era costretto a dirle che poteva soltanto lenire ma non guarire. La visione di questa poveretta mentre prendeva la tazza del caffè con i margini delle mani distorte, mi
accorava profondamente. Le consigliai le Erbe Svedesi che in
Germania a quell'epoca erano in vendita sotto il nome di «Crancampo».
Oggi molte farmacie e drogherie, vendono le Erbe Svedesi secondo la
ricetta sopra riportata. Tutto questo avvenne nel febbraio del 1964. In
settembre dello stesso anno ricevetti una telefonata della giovane signora da Gallspach la quale mi chiedeva di andarla a prendere alla fermata della corriera a Grieskirchen. In un primo momento rimasi piuttosto
perplessa e successivamente proprio stupita quando vidi la giovane
signora tutta sorridente, ancora appoggiata al bastone, scendere dall'autobus. La rigidità e le deformità delle mani erano totalmente sparite
come in gran parte anche le deformazioni ai piedi. Soltanto nella
gamba sinistra erano ancora gonfi il ginocchio e il malleolo. Ma anche
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questo gonfiore entro il 3 agosto 1965, ossia un anno dopo, era completamente scomparso. Allora si recò per l'ultima volta a Gallspach, senza
bastone e perfettamente guarita. Durante la nascita del suo quarto bambino i suoi reni avevano subito un danno che aveva prodotto queste terribili deformazioni nel giro di una sola notte. Ogni giorno aveva aggiunto
per tre volte un cucchiaio di Erbe Svedesi a un po’ d’acqua tiepida, sorseggiandola prima e dopo i pasti. Nonostante le erbe fossero state macerate nell’acquavite, i reni avevano sopportato benissimo l'alcool.
Vorrei riferirVi ancora qualche altra esperienza fatta con l’incredibile
effetto delle Erbe Svedesi. Da mia sorella, che vive in Germania, appresi che una nostra conoscente di Lipsia si trovava da 15 anni inchiodata
ad una sedia a rotelle. Durante la guerra risiedeva a Praga e nel 1945 come volle la sorte di migliaia di tedeschi - era stata rinchiusa nella cantina del suo palazzo e vi era rimasta per settimane intere senza nè paglia
nè altro materiale per giaciglio. In seguito raggiunse Lipsia insieme al
marito. Presto si presentarono gravissime deformazioni alle articolazioni.
Alla fine non le rimase che la sedia a rotelle. Seppi di questa triste sorte
soltanto in occasione della morte improvvisa del marito. Lasciata sola, la
povera donna paralizzata fu sfrattata dall’appartamento, trasferita in una
camera ammobiliata. Non è permesso spedire erbe medicinali o altri prodotti medicamentosi dall'Austria nella Repubblica Democratica Tedesca.
Ero quindi costretta ogni due mesi a spedire le Erbe Svedesi per Lipsia
da una località bavarese di frontiera. Presto ricevetti delle lettere piene
di speranza. L'ammalata ingeriva tre volte al giorno un cucchiaio di Erbe
Svedesi diluito in un po' d'acqua, prima e dopo ogni pasto. Lentamente
le deformazioni diminuirono e le articolazioni si fecero più mobili.
Pregavamo, lei a Lipsia, io a Grieskirchen. Dopo 9 mesi si verificò il fatto
che questa donna, a suo tempo immobile, ora in via di lenta guarigione,
dopo 15 anni di sedia a rotelle, uscisse la prima volta di casa. Recuperava
di giorno in giorno. Tornò a pulire da sola i vetri delle finestre e a svolgere altri lavori domestici che prima erano stati eseguiti da estranei di
buona volontà. Quanto fosse grande la sua fede in Dio durante il periodo
della sua grave infermità è dimostrato dal fatto seguente: durante la sua
degenza la gioia della sua vita era stato un tiglio sul quale si affacciava la
sua finestra. Il rinverdire e la fioritura dell'albero, l'ingiallire delle foglie
ed il divertente andirivieni degli uccellini fra i rami spogli nei mesi invernali erano stati per lei una costante fonte di gaiezza. Ogni giorno ringraziava il Signore per questa grazia.
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Andavamo qualche volta a fare i bagni all'Offensee. A prendere il sole ci
sedevamo spesso in riva al lago su un ciocco di legno. Un giorno trovammo questo ciocco appoggiato ad una recinzione. Accanto ad esso avevo
lasciato la mia borsa da bagno. Prima di tornare a casa mi chinai per infilarvi costumi ed asciugamani. Improvvisamente fu come un fulmine a ciel
sereno. Il pesantissinno ciocco si era abbattutto direttamente sulla mia
gamba. Dal ginocchio in giù tutta la gamba si era colorata di rosso scuro
e viola e in aggiunta si erano formati due nodi grossi come un pugno. Mi
trasportarono alla macchina e poi nella mia camera. Mio marito voleva
chiamare i1 medico di Ebensee, ma io lo pregai di prepararmi un cataplasma di Erbe Svedesi. Dopo circa 1/2 ora riuscii da sola a scendere le
scale per raggiungere la sala da pranzo, e il giorno appresso la gamba era
tornata liscia come prima. Non si vedeva la benchè minima traccia di
un’ecchimosi, anche i grossi nodi erano spariti.
Fu sempre all’Offensee che accadde anche un altro incidente. Una bambina di 4 anni fu punta nel braccio da un calabrone. Il braccio si gonfiò
smisuratamente. Andai a prendere le Erbe Svedesi. Prima ancora che i
genitori e la bambina si fossero rivestiti ero già pronta con l'impacco.
Mentre ci stavamo recando alla macchina applicai il cotone impregnato
sulla zona tumefatta. Arrivati alla macchina, dopo una camminata di circa
tre minuti, la tumefazione era già svanita. Il medico non fu più necessario.
Stavamo cogliendo lamponi quando fui punta nel pollice da un insetto
velenoso. Durante la notte il pollice divenne turgido come un salsicciotto. Mentre facevo la spesa, una donna esclamò spaventata:
«Lei deve andare subito all'ospedale, un'infezione del genere può essere
letale!, La notte successiva applicai un pezzo di cotone imbevuto di gocce
di Erbe Svedesi e puntualmente la mattina dopo il pollice era ritornato
normale.
Un'altra volta mi capitò una disgrazia in lavanderia. Fu quando le lavatrici domestiche non erano ancora provviste del dispositivo di sciacquo. Con
una pinza di legno si estraevano dall'acqua bollente i panni attorcigliati
fra di loro. Io ho l’abitudine di eseguire tutto con rapidità e grande slancio. Le pinze scivolarono e mi si conficcarono con forza straordinaria nell'occhio destro. Stordita dal dolore e per metà cieca barcollai fino al
primo piano. Non appena applicato sopra l'occhio l'impacco imbevuto di
Erbe Svedesi, i terribili dolori si placarono. Dopo un po' di tempo volli
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esaminare i risultati allo specchio. La zona circostante l'occhio dall'alto
verso il basso era livida. Appoggiato sopra l’occhio il cotone imbevuto e
copertolo con un pezzetto di plastica, fasciato il tutto con un fazzoletto
ripiegato, tornai in lavanderia un quarto d'ora dopo l'incidente. Per alcune notti ripetei le stesse operazioni affinchè non potesse svilupparsi nulla
di grave.
Come ogni anno mi trovavo in cura nei bagni Kneipp di Mühllacken,
quando la caposala mi presentò una signora che per i forti dolori stava
entrando nella stanza ripiegata su se stessa. Soffriva di forti coliche biliari e cercava consiglio presso di me. Tutte le medicine non erano servite a
niente ed il medico le raccomandava di farsi operare. La pregai di spogliarsi e le applicai un cataplasma di Erbe Svedesi sulla zona della colecisti. (Per questo tipo di impacco occorre prima spalmare sulla pelle, o
dello strutto di maiale, o della crema di Calendula, per evitare che l'alcool irriti la cute. Si applica un pezzo di cotone imbevuto ma ben strizzato
sulla parte dolente coprendolo e con un altro pezzo di cotone asciutto e
con un foglio di nylon per mantenere il calore; infine si fascia tutto con
un panno. Appena tolto l'impacco bisogna spolverare con un po' di talco
onde evitare arrossamenti e prurito.) Stavo per infilare alla signora il reggicalze sopra il cataplasma, quando ella si raddrizzò esclamando: «Ecco,
sono svaniti, tutti i dolori!» In brevissimo tempo si erano dileguati i suoi
disturbi. Oltre gli impacchi, più tardi prese le gocce anche ad uso interno, ingerendone tre volte al giorno un cucchiaino da dessert diluito in un
po' d'acqua o tisana, e non ebbe più alcuna colica.
Da diversi anni assisto una signora solitaria. Ma inizialmente la comunicazione fra di noi era stata difficile a causa della sua sordità. L'antico
manoscritto dice: «Ristabiliscono anche l'udito perduto».
Quindi le chiesi di inumidire diligentemente il condotto uditivo con
gocce di Erbe Svedesi. Nel detto condotto si introduce l'indice inumidito con le gocce. Ma non bisogna trascurare di immettervi anche un po'
d'olio per evitare il prurito. La signora inumidì contemporaneamente
anche le parti intorno all'orecchio, intorno agli occhi, le tempie e la fronte.
Improvvisamente le tornò l'udito e subito il suo volto riprese l'aspetto
fresco e giovanile di prima. Quando un giorno, mentre stava scendendo
dall'autobus, fu investita da una macchina e scaraventata col viso sulla
strada, furono ancora le Erbe Svedesi a riportare alla normalità quel volto
livido rosso. Il 1 febbraio ha celebrato Il suo 89° compleanno.
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Ora sente di nuovo bene e fra di noi riusciamo a comunicare benissimo.
Spessissimo le persone che seguono le mie conferenze mi riferiscono di
essero riuscite, grazie alle gocce di Erbe Svedesi, ad eliminare il loro
apparecchio acustico avendo recuperato l’udito. Le gocce dunque servono persino contro la sordità ed in tutti i casi, per via interna o esterna, in
cui si presentano dolori. La buona irrorazione sanguina provocata da queste gocce elimina in poco tempo i dolori delle zone ammalate. Pertanto
si consiglia di applicare i cataplasmi di gocce di Erbe Svedesi sull’occipite dell’epilettico. La causa di questi attacchi spesso risale a molto tempo
addietro; forse una caduta sulla testa o uno shock nell'infanzia.
Dopo una conferenza a Gallspach mi si avvicinò un giovane che aveva
subito un pauroso incidente d'auto con doppia frattura della base cranica. Dopo che era guarito dalle ferite, si verificarono ogni giorno vari
attacchi epilettici. Gli consigliai di applicare dei cataplasmi di gocce di
Erbe Svedesi sull'occipite e di ingerire ogni giorno quattro tazze di tisana di Ortica con due cucchiai di gocce di Erbe Svedesi. Nei gravi attacchi epilettici è importante, oltre l’applicazione di impacchi sull’occipite,
ingerire anche tisana di Ortica. Qualche mese più tardi il giovane mi
venne a trovare per raccontarmi che gli attacchi epilettici si erano completamente dileguati.
Con grande successo si curano le meningiti, le ferite alla testa dovute a
colpi e cadute, la balbuzie ed i disturbi della parola mediante cataplasmi
di gocce di Erbe Svedesi sull’occipite. Tali impacchi sono ugualmente
utili contro la borsite. Debbo ripetere però che per tutte queste malattie
gravi occorre prima consultare il medico.
Da lettere che mi sono arrivate apprendo che i cataplasmi di Erbe
Svedesi sugli occhi hanno avuto degli effetti positivi nel distacco della
retina e nella retina porosa. Tutte queste persone stavano per diventare
cieche. Questi cataplasmi vanno applicati ogni giorno per un'ora sugli
occhi chiusi. Ma non si dovrebbe trascurare di applicarli preventivamente anche sugli occhi sani e soprattutto su quelli affaticati e passare inoltre
mattina e sera sulle palpebre le gocce Svedesi spingendole con l'indice
verso gli angoli degli occhi. In questo modo è possibile mantenere una
buona vista fino a tarda età.
Dato che le Erbe Svedesi rappresentano un rimedio così grandioso per la
nostra salute, non dovrebbero mancare in nessuna farmacia domestica.
Non solo dovrebbero essere sempre a portata di mano in piccole botti-
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gliette, ma dovrebbero accompagnarci tutte le volte che viaggiamo.
Spesso ci delude il mangiare fuori casa e ci occorre qualcosa per tonificare lo stomaco e la colecisti, oppure ci si sente fiacchi e storditi, in quei
casi le Erbe Svedesi sono un vero e proprio toccasana. Se ne prende un
sorso diluito con un po' d'acqua, se ne passa un po' esternamente sulle
tempie, la fronte, gli occhi e le zone dietro all’orecchio, e subito si avrà
una sensazione tonificante in tutto il corpo.
Quando ci coglie d'improvviso un raffreddore con tutto il corteo dei sintomi quali spossatezza, fiacca, pesanteza nella fronte e nello stomaco, non
occorre altro che tenere sotto il naso un batuffolo di cotone inumidito di
gocce Svedesi e respirare profondamente. Subito si avverte sollievo nella
zona del naso e della fronte. Se il raffreddore è più avanzato e sono affetti anche i bronchi, conviene aspirare le gocce a bocca aperta. Anche in
questo modo si otterrà un immediato giovamento. Nel periodo delle
influenze se ne prende giornalmente un cucchiaino da dessert, a volte
persino un cucchiaio, con un po' d'acqua tiepida; in questo modo si
diventa immuni contro l'influenza. Ovunque si presentino dolori, ingerite internamente, frizionate esternamente o applicate mediante impacchi,
le Erbe Svedesi che sono la panacea.
Anni fa ebbi una colica renale. Il medico arrivò di corsa. Nel frattempo
applicai sulla zona renale un cataplasma inumidito con gocce di Erbe
Svedesi, e quando si presentò il medico, erano già scomparsi i dolori. Mi
vergognai molto perchè gli avevo fatto perdere del tempo prezioso. Ma
egli voleva soltanto sapere come mai la colica era passata tanto presto.
Quando apprese che era stato l'impacco a giovarmi, disse: «Molto bene,
allora è superflua l'iniezione». Egli stesso infatti era molto d'accordo con
l'uso delle Erbe Svedesi. Quando mi recavo presso il suo studio, diceva
sempre: «A te non prescrivo niente, tu hai le tue Erbe Svedesi!». Fu sempre lui infatti che mi illuminò su molte altre piante medicinali.
Una volta mi venne a trovare una signora anziana che da anni camminava col bastone. Per la gotta e reumatismi era tutta storta; nessuna medicina le giovava ed aveva i nervi a pezzi. Tre volte al giorno ingeriva un
cucchiaino da dessert di gocce Svedesi nell'infuso di Ortica e Coda
cavallina. Dopo tre settimane seppi che camminava nuovamente senza
bastone.
È noto che nel periodo della festa della Candelora avviene il maggior
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numero di funerali. Una cantante del coro in quel periodo ebbe un incidente mentre stava pattinando sul ghiaccio. Poichè eravamo soltanto
pochi nel coro, ne sentimmo molto la mancanza. Dopo la messa la incontrai al centro della cittadina. Le sarebbe stato impossibile arrampicarsi
per le scale ripidissime del coro a causa del suo ginocchio rigido. Poco
tempo dopo la raggiunsi con la mia attrezzatura di impacchi. Da brava
moglie di medico osservava con scetticismo i miei preparativi. Ma presto
se ne ricredette allorchè dopo pochi minuti riuscì senza fatica a piegare
il ginocchio ed il giorno appresso a salire, sempre senza alcuna difficoltà,
le scale ripide del coro. Ma purtroppo mancava un'altra cantante la quale
si era storta un piede durante lo sport invernale. Già si sapeva che era
all'ospedale per una terapia ambulatoriale. A questo punto mi sollecitò
quella appena guarita ad aiutare anche questa col piede distorto. Visto
che si trovava già in cura presso l'ospedale, non lo feci volentieri, ma il
fatto che il giorno appresso sarei probabilmente rimasta sola sul coro
aveva infine una certa importanza. La poveretta era stesa sul divano, col
malleolo gonfio. All’ospedale le avevano consigliato soltanto di appoggiare il piede su di un piano rialzato. I dolori erano forti. Il cataplasma con
le Erbe Svedesi le portò immediato sollievo. Il giorno appresso arrivò sul
coro malgrado le strade fossero coperte di ghiaccio. I dolori erano spariti, il malleolo era tornato normale ed il nostro “Requiem” era salvo.
Durante una visita nel Mühlviertel osservai in trattoria al tavolo di fianco
al mio un avventore che si torceva per i dolori. Aveva avuto altre volte
simili attacchi. Le medicine non servivano. Andai a cercare le mie gocce,
ne versai un cucchiaio in un po’ d’acqua tiepida e gliele offersi. Mentre
stava vuotando il bicchiere, il suo volto riacquistò colore ed egli quasi non
riusciva a credere che i dolori erano svaniti immediatamente. Sei mesi
dopo ritornai nuovamente in quella regione. Avevo già dimenticato l'accaduto, quando un signore mi rivolse la parola per ringraziarmi con molte
effusioni. Era visibilmente ringiovanito. Aveva preparato da sé le Erbe
Svedesi, e le aveva applicate. Tutti i disturbi del pancreas e della gastrite acuta si erano dileguati. Poichè guariscono le malattie del pancreas,
si possono consigliare queste gocce anche ai diabetici. Scompaiono i
nei, le verruche, le macchie, persino l'angioma cavernoso e le cisti delle
ghiandole sebacee, toccandole ripetutamente con le gocce, e così pure
i calli e le emorroidi. Le gocce Svedesi eliminano il ronzio dell'orecchio e 1a paracusia introducendo nell'orecchio un batuffolino di coto-
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ne imbevuto. Rinforzano la memoria se si inumidisce con esse diverse
volte la prima vertebra cervicale, depurano il sangue e ne favoriscono la
circolazione, rimuovono le coliche e l'indigestione, i mal di testa e tutti
i disturbi gastrici e colecistici nonchè le malattie epatiche e renali
(anche se vi fosse controindi¢ato l'alcool). Nelle trombosi e nelle flebiti si spalma uno strato di crema di Calendula prima di applicare l'impacco di Erbe Svedesi. Dopo la guarigione si fanno dei pediluvi di
Ortica per favorire l'irrorazione sanguigna. Le gocce eliminano la pigrizia dell’intestino, le crisi vertiginose e persino le paralisi. In tutte le
malattie esse rappresentano un preziosissimo rimedio. Lo sono anche
contro le malattie cancerose. Contro gli attacchi acuti di dolore si prende un cucchiaio di gocce in un po' d'acqua o in un infuso d'erbe.
Prendendone tre volte al giorno, al mattino, a mezzogiorno e la sera un
cucchiaino da dessert con un po' d'acqua o infuso d'erbe, si preservano
salute e forze fino all'età avanzata. Poichè vengono applicate senza
esclusione contro tutte le malattie, si può parlare del ricupero o del
mantenimento della salute umana. Svegliano gli spiriti ed aumentano le
forze vitali che, con i tempi che corrono, sono tanto necessari.
Mantenete con questo elisir meraviglioso la Vostra salute, la forza lavorativa e l'amore per il Vostro lavoro professionale, per la Vostra famiglia
e per i Vostri simili.
Durante una visita presso una fattoria venni a sapere che il figlio dodicenne del proprietario del fondo era in procinto di essere operato all'orecchio. A causa di un'infezione si era formato un focolaio suppurativo dietro al timpano. Io ero contraria all'operazione dato che in casi più o meno
simili non è raro perdere del tutto l'udito. Prendemmo quindi dei batuffolini di cotone imbevuti di gocce di Erbe Svedesi e li introducemmo nell'orecchio del ragazzo. In tal modo si liberò ogni giorno tanto pus che
presto scomparvero i dolori, nè fu più necessaria l'operazione.
Contro un cacro intestinale - si trattava di una giovane madre di cinque
figli (il medico non le dava più che pochi giorni di vita) consigliai impacchi sulle zone malate dell'intestino e contemporaneamente anche radici
di Calamo che si fanno macerare a freddo duranta la notte (una tazza
d'acqua, un cucchiaino da dessert raso di radici di Calamo) un sorso
rispettivamente prima e dopo ogni pasto e, per la depurazione del sangue, un infuso di Calendula, Achillea e Ortica, mescolate in parti uguali.
Se ne sorseggiano durante la giornata almeno due litri. Oggi questa
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donna sta già talmente bene che se ne può intravvedere la completa guarigione.
Una donna di Heilbronn, Rep. Fed. di Germania, scrive:« Circa dieci
mesi fa mio nipote quarantunenne mi scrisse da Sacramento/California
che egli andava soggetto a gravi emorragie intestinali giornaliere e che
dalla diagnosi medica risultava senza ombra di dubbio l’esistenza di un
cancro intestinale. Pertanto occorrerebbe praticare un ano artificiale. Gli
inviai immediatamente il Suo libro “Farmacia del Signore”, l'Amaro
Svedese, la radice di Calamo ed altre erbe quali la Calendula, l’Achillea
e l'Ortica. Egli seguì puntualmente le prescrizioni della Sua pubblicazione. Dopo un anno mio nipote era totalmente ristabilito. Le gravi emorragie intestinali erano cessate dopo il quarto giorno dall’ingestione delle
erbe. Anche la fiaccheza e la diminuzione del peso si erano ridotte lentamente.
Un uomo di 52 anni veniva curato per asma cardiaca, prendeva otto compresse al giorno, riusciva a dormire soltanto stando seduto e alzava le
braccia ogni volta che faceva un passo per poter respirare pur rantolando
pietosamente. Secondo il mio parere la sua respirazione affannosa non
era dovuta al cuore bensì al fegato. Applicai un cataplasma di Erbe
Svedesi sulla zona epatica. Come terapia interna gli feci bere ogni giorno
una tazza al mattino e una alla sera di infuso di Aglio orsino con un cucchiaino da dessert di gocce Svedesi. Quanto fosse stata esatta la mia teoria si dimostrò sin dalla prima notte. Finalmente riusciva di nuovo a dormire disteso. Da anni non aveva più messo piede fuori casa. Le Erbe
Svedesi e l'infuso di Aglio orsino giovarono talmente che a partire dal
terzo giorno dall’inizio della cura potè fare il giro del suo giardinetto mattina e sera. Ora è sulla via della definitiva guarigione.
Una ferita postoperatoria di difficile cicatrizzazione si chiuse nel giro di
una notte dopo che il malato aveva preso un buon sorso dalla bottiglia
delle Erbe Svedesi. Quest’unico sorso aveva prodotto la cicatrizzazione
della ferita aperta da tre anni che quotidianamente richiedeva ripetute
medicazioni. Mi è stato riferito di altre annose infiammazioni e suppurazioni, spesso conseguenza di interventi chirurgici e di paracentesi, eliminate mediante l'applicazione e l'ingestione di gocce Svedesi.
Una perpetua del Burgenland mi raccontava di sua nipote di 23 anni che
67
soffriva sin dalla nascita di un difetto all'udito. Durante un consulto presso la Clinica Universitaria le era stato dichiarato che un'operazione non
avrebbe apportato alcun miglioramento. La perpetua allora consigliò alla
nipote di provare le Erbe Svedesi, ossia di introdurre le gocce nel condotto uditivo. Tutti furono molto sorpresi allorchè, dopo quest'applicazione durata 15 giorni, la nipote udì normalmente.
Sarebbe peccato se non Vi riportassi, cari lettori, il contenuto di una lettera che mi giunse da Graz nella Stiria:«Per caso, o forse meglio, per divina provvidenza, ho avuto una conversazione nell'autobus con un uomo di
74 anni che non stava più nei panni dalla felicità per avere riacquistato
1'udito in una sola notte mediante le gocce Svedesi, udito che aveva perduto in guerra nel 1944, in seguito ad un grave trauma al capo e al cervello. Tre volte aveva applicato nelle orecchie un batuffolino di cotone
imbevuto di gocce Svedesi.» (Le lettere possono confermare la veridicità
di simili racconti.)
Un signore dell'A1ta Baviera riferisce: «un incidente mi aveva procurato
una ferita al braccio destro. Le gocce Svedesi mi liberarono presto dai
dolori insopportabili. Su un orecchio sordo si verificò quasi un miracolo
dopo soli due trattamenti: dopo quasi 10 anni di sordità udii nuovamente il ticchettio della sveglia!» - Quanti sordomuti potrebbero ancora essere salvati in questo modo! Ma basterebbe anche che uno solo potesse
ricuperare l'udito!
Dopo una delle mie conferenze si fece avanti un’ascoltatrice che da due
anni soffriva di prolasso dello sfintere. I medici avevano dichiarato inguaribile il male. Le Erbe Svedesi insieme alla Borsa del pastore (tritata e
macerata per 10 giorni in buona acquavite tenuta in luogo caldo, e che
guarisce dall'atrofia muscolare e da altre malattie muscolari), quattro
tazze di infuso di Alchemilla e sei sorsi al giorno di tisana di radice di
Calamo rimisero a posto ogni cosa entro pochi giorni.
In un'altra circostanza mi giunse da Vienna una telefonata di voce femminile che diceva: «La ringrazio per le Sue Erbe Svedesi!» e mi raccontò che all'età di dodici anni, durante una gita scolastica in montagna, era
stata colpita accidentalmente al volto dagli scarponi di una compagna
che la precedeva. Ne era derivata una suppurazione della mascella trascinatasi per 40 anni per cui era stato necessario praticare 16 interven-
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ti chirurgici e ripetute punture esplorative. La donna era stata costretta
ad interrompere gli studi, non aveva potuto esercitare la professione desiderata e, costantemente afflitta da dolori alla parte malata, faceva la
governante presso una famiglia. All'età di 52 anni lesse qualcosa sulle
Erbe Svedesi, ne applicò dei cataplasmi sulle parti dolenti della mascella
e fu finalmente liberata da ogni dolore.
Molto spesso mi si chiede se le famose gocce Svedesi possono essere
ingerite anche quando sussiste un severo divieto di alcoolici. Esami di
laboratorio hanno dimostrato che le erbe superano il potere dell'alcool e
sono riconosciute come sostanze medicamentose. Possono quindi essere
ingerite senza alcun timore anche in questi casi. Si inizia allora con un
solo cucchiaino da dessert al giorno applicando ripetutamente degli
impacchi di gocce Svedesi sulla zona del fegato o dei reni (vedi «Modalità
di preparazione» alla fine di questo capitolo).
«ANTICO MANOSCRITTO»
(Copia del Potere Terapeutico delle Erbe Svedesi)
1. Aspirandole o fiutandole ripetutamente, inumidendo con le Erbe Svedesi
la prima vertebra cervicale, applicata una pezzuola bagnata con esse,
scompariranno dolore e vertigini e si rinforzeranno la memoria ed il
cervello.
2. Giovano nell'offuscamento della vista, tolgono il rossore e tutti i dolori persino quando gli occhi sono infiammati, torbidi e annebbiati.
Rimuovono le macchie e la cataratta quando con esse vengono inumiditi gli angoli dell'occhio o quando si applica sulle palpebre degli occhi
chiusi una pezzuola bagnata con esse.
3. Il vaiolo e gli sfoghi di ogni genere, anche le croste nel naso o in qualsiasi parte del corpo guariscono inumidendo le parti spesso e bene.
4. Contro il mal di denti si diluisce un cucchiaio di queste gocce in un po'
d’acqua trattenendole in bocca per qualche tempo oppure inumidendo
il dente dolente con una pezzuola. Il dolore svanirà e il marciume regredirà.
5. Con le gocce s'inumidiscono ripetutamente le vesciche sulla lingua o
altre ferite; la guarigione non tarderà.
6. Quando la gola è arrossata o piagata per cui cibo e bevande causano
dolore alla deglutizione, le gocce andranno ingerite al mattino, a mez-
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zogiorno e alla sera; toglieranno il calore e guariranno la gola.
7. Chi soffre di crampi allo stomaco ne prenda un cucchiaio durante l'attacco.
8. Contro le coliche si prendono tre cucchiai, lentamente uno dopo l'altro;
presto sentirete sollievo.
9. Le gocce annullano l'effetto dei venti nel corpo e rinfrescano il fegato,
eliminano tutte le malattie dello stomaco e quelle intestinali e giovano
contro la stitichezza.
10. Sono anche un ottimo rimedio per lo stomaco quando questo digerisce
male e rifiuta i cibi.
11. Giovano altrettanto contro i dolori alla cistifellea. Un cucchiaio ogni
giorno, mattina e sera; di notte impacchi imbevuti di gocce elimineranno presto tutti i dolori.
12. Contro l'idropisia se ne prenda mattina e sera un cucchiaio nel vino
bianco per la durata di sei settimane.
13. Contro dolori e ronzii all'orecchio si inumidisca con le gocce un batuffolo di cotone da introdurre, nell’orecchio. Gioverà assai e restituirà
persino l'udito perduto.
14. Ad una donna sofferente di dolori uterini se ne dia al mattino per tre
giorni di fila un cucchiaio nel vino rosso; dopo una mezz'ora le si faccia
fare una passeggiata e poi la colazione, ma senza latte. Le gocce non
vanno prese insieme al latte.
15. Prendendone un cucchiaio mattina e sera durante gli ultimi 15 giorni
della gravidanza, il parto sarà facilitato. Per liberare più facilmente la
placenta, si somministri alla puerpera un cucchiaino da dessert ogni due
ore fino a che la placenta non si stacchi senza doglie.
16. Se dopo il parto si verificano infiammazioni alla mammella con l'inizio
dell'allattamento, esse spariranno rapidamente applicando degli impacchi di gocce.
17. Liberano i bambini dalla varicella. Si somministri ai bambini delle
gocce, a seconda dell'età, diluite in un po' d'acqua. Quando le vescicole cominciano a seccarsi, inumidirle ripetutamente con le gocce; non
rimarranno cicatrici.
18. Sono efficaci contro i vermi nei bambini e negli adulti; eliminano persino le tenie, solo che ai bambini occorre somministrarle a seconda dell'età. Legare una pezuola imbevuta di gocce sull'ombellico mantenendola sempre umida.
19. Nell'itterizia spariscono presto tutti i disturbi prendendo un cucchiaio
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di gocce tre volte al giorno ed applicando dei cataplasmi di gocce sul
fegato ingrossato.
20. Sbloccano tutte le emorroidi, guariscono i reni, eliminano dal corpo,
senza altre cure, i liquidi ipocondriaci, tolgono la malinconia e le
depressioni e stimolano l'appetito e la digestione.
21. Aprono anche internamente le emorroidi se le bagnamo ripetutamente e se le rendiamo molli ingerendo le gocce, soprattutto prima di coricarci. Per via esterna si applica un batuffolino di cotone bagnato con le
gocce. Renderà fluido anche il resto del sangue e gioverà contro i bruciori.
22. Se qualcuno è svenuto, gli si apra eventualmente la bocca somministrandogli un cucchiaio di gocce, e il malato ritornerà in sé.
23. Prese per bocca allontaneranno anche il dolore dei crampi sordi fino a
che col tempo non cessino del tutto.
24. Contro la tisi polmonare si prendano ogni giorno a digiuno e per la
durata di sei settimane.
25. Quando una donna perde la sua depurazione mensile o questa sia troppo abbondante, è bene che prenda queste gocce per tre giorni ripetendo l’operazione per venti volte. Il medicamento calmerà quanto è in
eccedenza e rimedierà a quanto è insufficiente.
26. Questo medicamento giova anche contro le perdite bianche.
27. Se qualcuno è affetto dal mal caduco (epilessia), occorre somministrargliene immediatamente. Il malato continui poi a prendere esclusivamente questo medicinale in quanto esso rinforzerà sia i nervi affaticati
che tutto il fisico allontanando ogni malattia.
28. Guariscono le paralisi, scacciano le vertigini e la nausea.
29. Guariscono anche i bruciori del vaiolo e della eresipela.
30. Se qualcuno avesse la febbre, calda o fredda che sia, e fosse molto
debole, gli si dia un cucchiaio, e l'ammalato, se non ha caricato il proprio corpo con altri rimedi, tornerà presto in sé, il suo polso riprenderà
a battere; fosse anche stata altissima la sua febbre, il malato migliorerà
presto.
31. Le gocce guariscono cancro, vaiolo e verruche di vecchia data nonchè
le screpolature delle mani. Se una piaga è vecchia e purulenta o se
presenta delle escrescenze, la si lavi accuratamente con del vino bianco, coprendola poi con una pezza imbevuta di gocce. Esse elimineranno ulcere e dolori nonchè l'escrescenza carnosa, e la ferita inizierà a
guarire.
71
32. Tutte le ferite dovute a colpi o punture guariscono senza complicazioni quando vengono bagnate con le gocce. Immergete una pezza nelle
gocce coprendo con essa le ferite. In brevissimo tempo elimineranno il
dolore prevenendo ogni gangrena o putrefazione e guariranno anche
ferite di vecchia data dovute ad arma da fuoco. Se ci sono buchi iniettate le gocce nella ferita che non occorre necessariamente pulire in precedenza; mediante l'assidua applicazione di una pezza imbevuta, la guarigione avverrà in breve.
33. Fanno scomparire tutte le cicatrici, anche quelle più annose, tutte
le piaghe e tutti i tagli se questi vengono inumiditi con le gocce fino
a 40 volte. Tutte le ferite curate con queste gocce non lasceranno
cicatrici.
34. Esse guariscono completamente tutte le fistole anche se sembrano
inguaribili e indipendente mente dalla loro età.
35. Curano tutte le ferite dà ustioni; che siano prodotte da fuoco, acqua
bollente o grasso, quando queste vengano assiduamente bagnate con le
gocce. Non si formeranno vesciche; il calore ne verrà estratto. Persino
vesciche purulente guariranno totalmente.
36. Le gocce giovano contro tumori e macchie dovuti a urti o colpi.
37. Se qualcuno non riesce a mangiare con appetito, esse restituiranno il
sapore perduto.
38. A chi è molto anemico ridonano il colore quando vengano ingerite al
mattino per un certo periodo di tempo. Esse purificano il sangue formandone del nuovo e ne favoriscono la circolazione.
39. I dolori reumatici scompaiono prendendo le gocce per bocca o applicando sugli arti infiammati delle pezze imbevute con le gocce stesse.
40. Curano mani e piedi congelati anche se piagati. Si consiglia di applicarvi il più spesso possibile delle pezze imbevute soprattutto la notte.
41. Sui calli applicate un batuffolo di cotone imbevuto di gocce inumidendo con esso costantemente il punto dolente. Dopo tre giorni i calli si
staccheranno da soli oppure potranno essere levati senza alcun dolore.
42. Curano anche morsi di cani arrabbiati e di altri animali, prese per
bocca, in quanto distruggono tutti i veleni. Coprite le ferite con un
panno imbevuto.
43. In caso di peste o altre malattie contagiose è opportuno ingerirne ripetutamente durante la giornata poichè curano ulcere pestose e bubboni
anche se insediati nella gola.
44. Chi di notte non dorme bene prenda queste gocce prima di coricarsi.
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Nel caso di insonnia nervosa applichi sul cuore un panno imbevuto di
gocce diluite.
45. Somministrate in quantità di due cucchiai ad un ubriaco, fanno scomparire gli effetti della sbornia.
46. Chi prende queste gocce quotidianamente mattina e sera, non avrà
bisogno di alcun'altra medicina, poichè esse rinforzano il corpo, rinfrescano i nervi ed il sangue, liberano dal tremore mani e piedi. In breve,
allontanano ogni specie di malattia. Il corpo rimarrà ben elastico, il viso
manterrà la sua giovanilità e bellezza.
Importante: Tutti i quantitativi indicati vanno ingeriti diluiti in tisana o
acqua.
I 46 punti dell’«Antico Manoscritto» rivelano il grande e miracoloso potere terapeutico di questo miscuglio di erbe. Si può asserire a ragion veduta che praticamente non vi sia malattia contro la quale queste Erbe
Svedesi non giovino; sono comunque valide come base per qualsiasi cura.
GRANDE AMARO SVEDESE
Nonostante le richieste pervenutemi da diverse parti di ripetere la composizione
del Grande Amaro Svedese non mi sono potuta decidere a dare loro seguito in
quanto tutti i risultati terapeutici citati sono stati raggiunti per mezzo del Piccolo
Amaro Svedese. La ricetta del Grande Amaro Svedese era stata inserita nel libro dal
suo primo editore senza che egli me l’avesse comunicato. Tuttavia sono state
registrate delle applicazioni positive anche col Grande Amaro Svedese.
73
Competenza presunta
e ignoranza certa /2
NOTE PER L’ACCESSO ALLE COMUNITÀ DI MONDO X
Al di là delle circostanze più evidenti non sappiamo per quale precisa
ragione tu ti sia rivolto a noi, possiamo solo immaginare il desiderio di
raggiungere una chiarezza interiore.
L'esperienza che ti proponiamo non si svolge in un contesto terapeutico;
le nostre sono comunità di vita.
Ti offriamo un confronto serio, spassionato, costante; la possibilità di
un'attenta verifica su ciò che realmente può motivare la tua esistenza.
Riprendere in mano la propria capacità di operare le scelte, l'essere
Uomini liberi, non è così facile, come non è facile perseguire le cose che
contano a danno delle piccole abitudini alle quali siamo così attaccati.
Per questo motivo abbiamo rinunciato alle sigarette, agli alcolici, alla
musica; abbiamo preferito la lettura e lo studio, la documentazione diretta sui problemi dell'Uomo e del suo tempo anzichè giornali, TV, mass
media in genere (canali spesso inquinati e condizionati).
Per gestire i tuoi rapporti personali ed affettivi (con patner o convivente)
attenderai di aver ritrovato il tuo equilibrio emotivo e una chiarezza di
orientamento riguardo il tuo futuro.
I tuoi familiari avranno modo di restarti vicino scrivendoti una lettera al
mese in risposta ai tuoi messaggi che potrai inviare loro con la stessa frequenza e li potrai incontrare (indicativamente intorno al quinto mese) in
accordo con la Comunità valutando il momento più opportuno.
Usiamo il telefono per le emergenze, per i rapporti interni e per questioni pratiche, non per contatti personali; potranno essere i tuoi genitori a
chiamare settimanalmente per avere notizie comunicando direttamente
con il responsabile.
Teniamo che da subito si instauri fra noi un rapporto serio, ti invitiamo
quindi a rispettare gli appuntamenti, sia telefonici che di persona,
74
tenendo fede al giorno e all'ora stabiliti per il tuo eventuale ingresso in
Comunità.
Mettici al corrente dei tuoi problemi rispetto alla legge, ci permetterai
così di valutare le nostre possibilità di esserti di aiuto in tal senso.
È molto importante, seppure le nostre maggiori preccupazioni riguardino la tua crescita interiore, che tu ci fornisca un'ampia documentazione
sul tuo stato di salute, in modo da poterti seguire e curare adeguatamente qualora fosse necessario.
Prima dell'ingresso in comunità devi aver fatto le seguenti analisi chimiche:
• Esame emocromocitometrico completo
• Funzionalità epatica - renale - pancreatica
• MARKERS - epatite B - epatite C - epatite Delta;
Se HCV Ab positivo fare anche HCV RNA qualitativo
• VDRL - TPHA- se positivo fare anche FTA IgM e IgG
• Intradermoreazione alla Mantoux
• Ricerca anticorpi HIV - se positivi tipizzazione linfocitaria e HIV1
RNA quantitativo
• Visita dermatologica che escluda la presenza di infezioni cutanee contagiose, condilomi, parassitosi.
• Elettrocardiogramma
• Per le donne Test di gravidanza, visita ginecologica con pap-test
• Lettera del medico curante referente il risultato degli esami e l'idoneità
alla vita comunitaria segnalando condizioni particolari di salute.
Inoltre ricordati che all'ingresso in Comunità dovrai avere con te, oltre ai
risultati delle analisi:
• un documento sanitario (per gli stranieri un'assicurazione per la copertura delle spese sanitarie ordinarie e straordinarie)
• un documento personale valido (per gli stranieri anche un visto della
durata di almeno un anno per cure mediche rilasciato dall'Ambasciata
o Consolato Italiano)
• codice fiscale
75
• una foto tessera recente da portare al prossimo incontro
• indumenti personali cifrati o numerati
• necessario per la toilette personale.
Alfine di favorire la tua crescita personale, umana, in Comunità non
potrai:
• fumare sigarette
• bere alcolici e caffè
• leggere giornali, vedere TV, sentire o fare musica
• mantenere contatti con partner o convivente
• ricevere e spedire più di una lettera al mese ed ai genitori soltanto.
****
Le visite dei familiari, accordate con il responsabile della Comunità, possono avvenire solo dopo 4/5/6 mesi come la tua situazione personale
richiederà.
Fai attenzione:
Il responsabile della Comunità alla quale sei stato destinato è tenuto a
rimandarti indietro nel caso:
1. Tu non abbia con te tutto quanto ti è stato richiesto.
2. Qualora non siano rispettati l'orario ed il giorno stabiliti per l'entrata
in Comunità.
P.S.: Se abbandoni la Comunità senza il consenso dei responsabili non
potrai più esservi riammesso; inoltre non ti verranno dati soldi per il viaggio nè ti sarà fatto il biglietto del treno.
N.B.: Nel caso d'abbandono della Comunità l'interessato è tenuto a portare con sè in quel momento ogni cosa gli appartenga.
Non sono ammesse restituzioni nè richieste posteriori d'effetti d’alcun
genere sia da parte dell’interessato che dei suoi familiari.
Si declina ogni responsabità per quanto dimenticato o volutamente
abbandonato presso la Comunità.
76
Ora nell'attesa di entrare in Comunità:
Lascia sistemate tutte le pratiche notarili varie (vendite, trapassi, deleghe
o altro).
Firma dell’interessato
Firma della famiglia
N.B.: Detto regolamento lo dovrai portare con te presso la Comunità alla
quale sarai destinato debitamente firmato.
77
Problemi in psichiatria
1
L. Covolo
P. i. P.
P. i. P.
U. Dinelli
P. i. P.
U. Dinelli
2
P. i. P.
U. Dinelli
M. Polo
P. i. P.
D. Labozzetta
R. Milani G. Mottola
M. Mascolo
U. Dinelli
3
P. i. P.
G. Sogliani
U. Dinelli
F. De Pieri
P. i. P.
4
F. De Lorenzo
M. Cibin V. Zavan
U. Dinelli
5
P. i. P.
U. Dinelli
M. Mascolo
M. De Vanna M.L. Ronchese
Psichiatria e società
Il camice e le ortiche
Lettera ad una madre
Sorella morte
La scatola nera
Schizofrenia, appuntamento mancato con l'orologio
della vita
Salsominore
Credenze, sette, psicopatologia
Il razionale psichiatrico
La psichiatria divorzia
La psichiatria dell'8 settembre
Il fiore che uccide
Il tramonto sul cervello
Un’alternativa terapeutica nella patologia demenziale
Elogio della follia
Nessun dorma
Psichiatria amarcord
Il cervello ozioso
I passeri della società
La santa anoressia
Elogio della follia
Pietà l'è morta
La vigna del signore
Si nasce o si diventa?
Elogio della follia
Colpo di sole
L’età libera
Memoria e cognitività nel vecchio
Quando scende la notte
78
6
P. i. P.
U. Dinelli
F. De Grandis
Fumeria d’oppio
L’ombra schizofrenica
La parola alata
Elogio della follia
7
G. Moriani
P. i. P.
D. Goldoni G. Moriani
U. Dinelli
Il cervello alla sbarra
Scacco matto al neurone
Una mente per l’ecologia
Una ecologia per la mente
8
U. Dinelli
Un cuore in inverno
9
P. i. P.
E. Aguglia R. D'Aronco
U. Dinelli
E. Burgio
Cassonetto Italia
Trieste tra psicoanalisi, territorio e biologia molecolare
Fuori le prove, dottor Freud!
Lontano da qui, nostalgia mito modernità
10
P.Pietrini A.Gemignani M.Guazzelli
U. Dinelli
E. Burgio
Sulla lateralizzazione emisferica cerebrale
L’altra metà del cielo
Una deplorevole confusione di sentimenti
11
U. Dinelli G. Ronca
G. Tononi
M. Guazzelli
G. Ronca
P. Pietrini
A. Lattanzi
E. Burgio
M.L. Zardini
Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
Per un modello interpretativo della mente
Depressione: arcipelago o continente?
Le scienze di base nello sviluppo della psichiatria
La qualità
Sulla materia della mente
Immaginazione collettiva, contagio e “sistemi esperti”
Dall’ospedale alla famiglia: la psichiatria fatta in casa
12
A. Bertolino D.R. Weinberger
M. Guazzelli I. Guerrini G. Nelli
D. Mainardi
I. Guerrini G. Nelli G. Giovacchini
P. Panicucci
E. Ottavini A. Conte
Fisiopatologia della schizofrenia e sviluppo del cervello
L’alcolismo nella prospettiva psichiatrica
Dissonanza tra evoluzione biologica e culturale
Studio clinico biologico della familiarità nella
dipendenza
Il macrofago uno dei principali attori dell'omeostasi
79
E. Burgio
A. Gobetti
P. Sortino
13
A. De Bartolomeis
R. Massarelli A. Gemignani
M. Guazzelli
P. Pietrini M.L. Furey
G. Moriani
M. Galzigna
U. Dinelli
E. Burgio
E. Canger
14
E. Balaban
M. Guazzelli I. Guerrini
G. Giovacchini
M.C.E. Maschio M.Diomedi F.Placidi
M.Valente M.Zamagni G.L. Gigli
E. Mutani M. Zibetti
G. Moriani
P. Zoffoli
E. Falchi
15
A. Dani S. Berettini F. Scarpa
E. Panicucci
M. Guazzelli M.L. Monosi E. Ricciardi
M. De Vanna M. Carmignani E. Aguglia
C.A. Madrignani
M. Bertani
M. Sarà
U. Dinelli
R. Cammilleri
16
A. Berti
U. Dinelli P. De Marco S. Sartorelli
L. Palagini L. Giuntoli P. Panicucci
P. Ardito M. Guazzelli
L. Rizzi
Tristano, l’arvicola di prateria e “l’errore di Cartesio”
Scasso dei palistorti
La psichiatria da vicino
Plasticità neuronale ed espressione genica
Immagini della mente
Variante visiva della malattia di Alzheimer
Il sapere uncinato
Gli archivi della follia, utilità di un approccio storico
Le colonne d’Ercole
Vita d’artista
Epilessia non è follia
Un nuovo approccio allo studio dell’istinto
Ansia e depressione: punti o linea?
Il trattamento dell’insonnia con antidepressivi
Il fenomeno “kindling” dall’epilessia alla psicopatologia
Psichiatria e potere: il caso sovietico
Il nonsense: un mondo sospeso tra logos e caos
Condizionamento software sull’uomo
Follia e giustizia, l’O.P.G.
Intelligenze naturali, intelligenze artificiali
Etica e ricerca psicofarmacologica
Condotte suicidarie e disturbi mentali
Marginalia
Foucalt e la psicoanalisi
Interazione fra ambiente, citoplasma e genoma
L’anello mancante
Lo psichiatra e le streghe
Sessualità: compromesso tra perversione pulsionale e
norma culturale
Mortalità e attesa di vita come strumento di valutazione gestionale in psichiatria
Trattamento integrato della cronicità psichiatrica
La conoscenza del linguaggio
80
E. Burgio
P. Zoffoli
17
E. Rasore U. Menichini F. Giberti
I. Feinberg M. Guazzelli
Medici, guaritori e ciarlatani
I contraccolpi della deformità fisica
E. Aguglia P. Peressutti A. Riolo
A. Battista F. Franza
P. i. P.
E. Burgio
C. Madrignani
In tema di psichiatria e medicina di base
Modello neurobiologico delle allucinazioni e
del pensiero schizofrenico
I disturbi somatoformi, un approccio complesso
Burn-out e assistenza psichiatrica
La vita secondo Luc Montagnier
Sosia, nostro contemporaneo
De te fabula agitur
18
S.Pallanti L.Quercioli R.Di Rubbo M.Francardi
G.F. Azzone
M. De Vanna F. Bin R. Zaina
I. Almaric
P. Pellegrini M. Zirilli
E. Burgio
U. Dinelli
F. De Grandis
Studio sullo spettro ossessivo-compulsivo
L'etica medica tra scienza, morale e diritto
Psicopatologia e alcool, un inseguimento infinito
Il rasoio diagnostico nell'esordio psicotico
Clozapina e schizofrenia resistente
Il sogno di Jean Diaz
Nuovi saperi crescono
Pillole o parole
19
C.L. Bensch
R. Torta A. Cicolin R. Mutani
C. Di Clemente
U. Dinelli
C. Madrignani
E. Burgio
U. Dinelli
Etologia del gioco
Depressione e sclerosi multipla
Gli stadi del cambiamento nella dipendenza
La psichiatria dei castori
Fra il dire e il fare ovvero “la didattica”
L'incerta identità di Arthur Derwin
La bottega della psichiatria
20
D. Williams
R. Torta A. Cicolin R. Mutani
P. Pellegrini P. Gaibazzi
S. Regazzoni
M. Lejoyeux J. Adès
E. Burgio
U. Dinelli
C. Samonà
Il mio e il loro autismo
Sclerosi multipla: il problema cognitivo
Schizofrenia e sofferenza somatica
Jorge Luis Borges: l'io e l'altro
Il gioco d'azzardo patologico epidemiologia e
biologia
“Siamo tutti in pericolo”
Il cervello e la sua complessità
Fratelli
81
21
S. Pallanti L.Quercioli E. Sogaro
E. Massarelli A. Geminiani
A. Baita A. Pes B.Carpiniello
E. Rasore U. Menichini
U. Dinelli
G. Bernanos
Psico-pato-logia: il fenomeno del daydreaming
Dalla conoscenza alla comprensione della natura
Depressione e qualità soggettiva di vita
La realtà sociale del paziente psichiatrico
Il secolo della psicoanalisi
Diario di un curato di campagna
22
M. Guazzelli P. Panicucci
M. De Vanna
M. Schiavone
I. Gasquet
A. Jeanneau M. Rufo
E. Burgio
U. Dinelli
S. Vassalli
Benzodiazepine tra sospensione e ricaduta
La depressione al femminile
Etica e psichiatria/1
Epidemiologia dei disturbi depressivi
Clinica della depressione nell'adolescente
L'anno prossimo a Lourdes
Sindromi paucisintomatiche e sdifferenziazione cerebrale
Marco e Mattio
23
M. Giacometti
P. Dolso G.L. Gigli
E. Rasore U. Menechini M. Mollica
G. Sciaccaluga F. Gabrielli
M. Polo
E. Burgio
G. Moriani
S. Dionisio M. Guazzelli
P. McGrath
24
D. Susanetti
S. Pallanti L. Quercioli A. Pazzagli
I. Siri E. Badino C. Gambarino R. Torta
P. Pellegrini
G. Moriani
25
M. Guazzelli
G. Giovacchini M. Guazzelli
P. Pietrini
D. Susanetti
P.i.P.
S. Bertoli P. Pellegrini M. Gatti
M. Zirilli
Le emozioni tra cognitivismo e psicoanalisi
Ipersonnia e dintorni
Aspetti psicosomatici della voce
L'etnopsichiatria in Mozambico
Il senso della memoria
La via nazista al salutismo
Odore di sesamo
Follia
Il teatro tragico della mania
Ansia sociale, disturbi di personalità e clozapina
Psiconcologia oggi
Schizofrenia resistente: contributi psicodinamici
Autoingannarsi per sopravvivere?
Dieci inverni dieci primavere
Le basi biologiche del decadimento cognitivo
La mente e il giorno
L'arcipelago della spesa psichiatrica
Costi e redditi in schizofrenia
82
F. Moscato L. Luise U. Menichini E. Rasore
U. Dinelli
E. Burgio
F. Battaglia
S. Vassalli
L'approccio integrato al paziente psicotico
Dieci anni e un libro
In puntuale ritardo
Karl Jaspers
La notte della cometa
26
B. Luban-Plozza
C. Beltrame G. Moriani M. Polo
U. Dinelli
G.M. Raimondi
U. Dinelli
D. Orlandi
E. Da Rotterdam
Balint, tra psicoanalisi e medicina
I frutti puri impazziscono: etnopsichiatria e
dintorni
Tra Kant e Hegel, filogenesi della coscienza
Sulla psichiatria della scelta
La cultura del narcisismo
Elogio della follia
27
G. Pasqualotto
R. Polano
G.M. Raimondi
G. Collot
S. Voltolina
P. Pellegrini R. Baroni D. Pizzo
U. Dinelli
F. Dostoevskij
28
E. Gamba R. Torta
U. Dinelli
A. Giuffrida
S. Parpajola R. Vinciarelli C. Viti
U. Dinelli
R Baroni P. Pellegrini
F. Franza
S. Voltolina
29
P.i.P.
F. Ricciardi M.L. Furey E. Pani
M. Guazzelli P. Pietrini
R. Bonito Oliva
L. Orsi P. Mortara P. Caroppo C. Manzone
R. Mutani
U. Dinelli
Percorsi malinconici tra oriente ed occidente
Prove tecniche di psicoterapia di gruppo con
adolescenti
Oltre l'intelletto Kantiano
La struttura del linguaggio e la comunicazione
Della perduta Medea
Studio retrospettivo sugli utenti
Schizofrenia oggi
L'idiota
Anoressia santa e anoressia nervosa
La ferita della psichiatria
Il corpo pensante
Studio di riabilitazione applicata
Dal lavoro di gruppo al gruppo di lavoro
Studio clinico sulla fobia sociale
Del bambino che gioca
In memoria
Nuove metodologie di esplorazione del cervello
Il sonno della filosofia
Cervelletto e cognitività
Isteria, una bugia?
83
AA. VV.
G. Pontiggia
La febbre gialla
Nati due volte
30
S. Pellegrini
M. Giacometti
S. Martinuc U. Dinelli
D. Merigliano
M. Lovrecic
M. Guazzelli
U. Dinelli
La biologia molecolare nello studio della psicopatologia
Una malattia della volontà, l'abulia
La logica della scoperta scientifica
L'approccio costruttivista all'utilizzo del sogno
Le basi biologiche delle dipendenze
La psicoterapia della Crisi Emozionale
Gerald M. Edelman
31
M. Tocchet
M. Michieletto
A. Bani, M. Miniatti
La pagina
U. Dinelli
Strumenti mediatici e psicopatologia
Morfologia del disturbo dislessico
Suicidio: comunicazionee dissimulazione
Levar la mano su di sè
I maestri della mente, Jerri A. Fodore
32
D. Susanetti
G. Perugi, G. Tusini,
A. Nassimbeni, H.S. Akiskal
U. Dinelli
A. Manelli, F. Fermi
P. Pellegrini
U. Dinelli
G. Berto
Nuvole, tra immaginazione e malinconia
Spettro bipolare e sindromi cliniche associate
La contaminazione giudiziaria della psichiatria
Una storia di riabilitazione
Pet Therapy in psichiatria
I maestri della mente, Michael S. Gazzaniga
Il male oscuro
33
G. Minichiello
M. Giacometti
C. Forcolin
R. Roberti
S. Voltolina
U. Dinelli
G. Flaubert
Dal lazzaretto al manicomio: M. Foucault
Temperamento carattere personalità, un percorso storico
L'impatto del divorzio sui figli
Psichiatria, demenze e bioetica
Di chi ama e fa ciò che vuole
I maestri della mente, Irenaus Eibl-Eibesfeldt
Madame Bovary
34
F. Nicolai
P. Pellegrini
G. Minichiello
C. Viti, S. Parpajola, U. Dinelli
M. Clement, C. Verdot, R. Massarelli
Per un modello neurale del linguaggio
Qualità della vita, dei servizi, delle relazioni
Il dionisiaco giovanile
La linea d'ombra: credenze, superstizioni, esorcismi
L'attività fisica in detenzione
84
Anonimo
F. Battaglia
M. Guazzelli
35
C. Gentili, L. Palagini,
S. Pellegrini, M. Guazzelli
L. Roscioni
E. Ricciardi, C. Gentili,
N.V. Watson, P. Petrini
M. Guazzelli
G. Arina
S. Voltolina
L. Pirandello
Fondazione Ravasi
Di qua e di là del muro
Psicopatologia e fenomenologia jaspersiana
Viaggio nel cervello linguistico
Insonnia e depressione: evidenze per un nuovo
atteggiamento dello pschiatra
Utopia e cura: l'internamento manicomiale
Verso la comprensione delle differenze di genere
Cerami e la sindrome di Tourette
Il governo della follia
Di Leuconoe che ha perso i colori che ha
La signora Frolle il signor Ponza, suo genero
La carta delle direttive anticipate: prove tecniche di
testamento biologico
36
P. Bianco, U. Dinelli
F. Nicolai
A. Battista, U. Dinelli, F. Franza
Per uno statuto di qualità in psichiatria
Parlare e non dire. Dire e non parlare
Valutazione di esito e switching con antipsicotici
37
U. Dinelli
N. Sferco
A. Frasson
G. Bettetini
L. Rossi
QI: Quoziente di Intelligenza o Questione Intrigante
La malleabilità del Quoziente d'Intelligenza
Otto Kernberg: lettura critica
Dal neurone alla rete: i modi della comunicazione
Le componenti degli atteggiamenti interetnici
38
M.S. Angeletti
U. Dinelli
G. Del Puente, F. Pezzoni
Dichiarazione di un re
S. Voltolina
39
M. Cusinato
W. Colesso
M. Guazzelli, C. Gentili
R. Bonito Oliva
A. Frasson
Sintomi in cammino verso la schizofrenia
Il Gene agile
Ataque de nervios, uno studio transculturale
Storia dell'Hopital general (1662) alle origini della
cura morale
Di chi cammina con i piedi per terra e la testa per aria
Lo stato degli studi sull'alcolismo: la frattura tra
ricerca e clinica
La competenza relazionale dei soggetti alcolisti
Identità e riconoscimento: dalla psicologia alle
neuroscienze
Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli
Diagnosi e trattamento dell'alcolismo
La ragion di stato, lo stato che perde la ragione
85
40
M. Mazzonetto, U. Dinelli
P. Pellegrini
j. Attuil
U. Dinelli
S. Voltolina
Ritardo mentale e integrazione
La buona pratica in salute mentale
Il sistema psichiatrico italiano
Elogio alla critica
Di Ione che viene
41
F. Nicolai
A. Giavedoni, F. Molfino,
F. Zappoli Thyron
F. Aquino
U. Dinelli
A. Tabucchi
Noi e l’altro
Un eccesso di somiglianza: riflessioni su un gruppo
di pazienti bulimiche
Alcol e interessi economici: chi detta davvero le regole?
Psicopatologia e sacro
Voci
42-43
F. Agresta
F. Pellegrino
P. Nadin
F. Franza
44
P. Nadin
S. Spensieri, L. Valentini
K. Aquino
G. Bellavitis
U. Dinelli
Un irripetibile incontro culturale
Boris Luban-Plozza e le abilità emotive del medico
Il legame affettivo con i luoghi nella psicologia ambientale dell’invecchiamento
Un quadro osservazionale del trattamento a lungo
termine con aripiprazolo sulla sindrome metabolica
L’invecchiamento e l’attaccamento ai luoghi
La mediazione culturale nel dialogo istituzionale
Come te l’aggià rice?
Il mondo squisitamente umano di “comunicare” al di
là del “verbale”
La casa della follia
Note di uno psichiatra, navigatore nel mare degli
uomini
86
87
Problemi
in psichiatria
Il fine è l’uomo, il principio la terra
Hanno scritto questo numero
M. Cervi,
Psicologo, “Villa Napoleon”, Preganziol (TV)
M. Michieletto,
Operatore psichiatrico di Comunità
P. Nadin,
Psicologo
P. Pellegrini,
Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale, AUSL di Parma
N. Zulian,
Psicologo
4508
Problemi in psichiatria
45 08
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