Una vita non basta
Come tutte le cose più importanti della nostra
vita, attraversate sempre da un brivido di sofferenza e di sforzo, queste pagine hanno aperto ferite, svegliato emozioni e messo a nudo nostalgie.
Non è mai facile dare parole al dolore, meglio gli
si addice il silenzio, o un balbettìo o un singhiozzo. O un grido. C’è tanto, troppo da esprimere.
Sì, sarebbe meglio il silenzio, ma l’esperienza di
accompagnare mensilmente un gruppo di genitori che hanno subìto la perdita più crudele e atroce, mi ha dato il coraggio di provare a dire, a
trovare per tutto questo parole. Ben sapendo che
non tutto dicono, che non tutto riescono a pronunciare di ciò che c’è nel cuore. Ben sapendo che in fondo a questo cuore straziato alberga
l’inesprimibile.
Eppure il dolore da sempre è parte della vita, è
una sua faccia nascosta, che proviamo a schivare, ma che sappiamo essere in agguato; ed è
strano che non si riesca a dargli una forma di
parole. Succede come per l’amore, dove canzoni, romanzi e poesie ancora non bastano a dirlo, come se ci potesse essere sempre un verso
17

migliore, o più chiaro o più raffinato che possa
finalmente arrivare a squarciare il significato di
questo sentimento. E poter dire: “eccolo! è così,
è proprio questo!”
Non bastano le parole e non basta la creatività
per riuscire ad articolare quell’impasto di emozioni, di sensazioni e di ragione ferita che così
tanto nel profondo ci attanaglia. Il dolore come
l’amore, e come tutto ciò che ci scuote nell’intimo, che ci fa risuonare con il suo semplice e inevitabile accadere chiede di potersi dire, ma rimane sgomento di fronte alla povertà delle parole.
Si affanna a trovare, tra le miriadi di possibilità,
la definizione esatta di quel che si sta provando, scava nel vocabolario per cercare quei termini che sembrano avvicinarsi di più al sentire del
cuore, ma non basta. Non basta mai.
Forse perché il dolore, come l’amore, non parla:
sente. E ci chiede allora di metterci in ascolto,
come si ascolta lo scorrere di un ruscello o un
frullio di ali.
Ho provato ad ascoltare questo dolore. Partendo
dal mio personale dolore ho provato a dire quel
che ho sentito in questi anni provenire dal mio
cuore, a ricamare un abito di parole sulla ferita,
non per nasconderla o per attutirla, ma nel tentativo di darle una forma.
Molto devo al Gruppo Nain: frequentare il dolore può essere una sorgente di una ricchezza ine18

stimabile. Ad ognuno di loro sono grata, perché
hanno smosso terreni e fecondato queste pagine.
Nain è il luogo dell’incontro, luogo di lacrime e
di gioie segrete, luogo di dignità e coraggio. E il
Gruppo è il luogo dove faticosamente, un po’ alla
volta si comprende che quel che fa andare avanti
la vita, anche la vita di colui che ci ha lasciato, è
solo l’amore.
Ma il Gruppo Nain è soprattutto il luogo della
relazione: laddove il dolore può essere non solo
capito ma condiviso, nascono relazioni profonde,
insostituibili, preziose come l’oro.
Sui sorrisi e sulle lacrime di questi genitori, sugli
abbracci e sui loro singhiozzi ho appoggiato queste parole: nella speranza che siano lievi, come lo
scorrere di un ruscello o un frullio di ali.
19