PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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DARIO – SPETTACOLO PICASSO
DESNUDO
MILANO - SETTEMBRE 2012
(copertina 1 – copertina 2)
MUSICA
(imm.1)
Su internet, agli inizi di agosto, è apparsa la notizia
che a Milano nel prossimo mese di settembre verrà
allestita una mostra di Picasso proveniente dal Museo
Nazionale Picasso di Parigi. Non è passata una
settimana e agli uffici del Palazzo Reale dove è in
programma l’allestimento sono giunte a valanga la
bellezza di centocinquatamila prenotazioni d’ingresso
alla mostra.
E’ un fatto veramente eccezionale! A mia volta, negli
stessi giorni, è capitato un altro fatto eccezionale per quanto mi riguarda - cioè mi si è proposto di
presentare le duecento e più opere esposte alla mostra
e commentare la storia e la genialità di questo
irripetibile personaggio che è Picasso.
Non è certo un compito da poter svolgere a cuor
sottile: Picasso non è soltanto un artista eccezionale,
è una leggenda. (imm.2): un personaggio fuori norma
che in novant’anni di vita è riuscito a inventarsi un
numero incredibile di vite diverse, come in
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un’enorme favola.
Un lavoro come questo bisogna però sperimentarlo...
e ho pensato proprio a voi, cittadini della mia Milano
perchè mi aiutiate a verificare e capire dove questo
mio discorso funziona e dove no. Naturalmente vi
aiuteremo proiettandovi immagini dipinti, ritratti e
autoritratti di Picasso a volontà. (imm.40)
Aiutateci con la vostra attenzione e con la vostra
fantasia... conosciuta e apprezzata in tutto il pianeta.
(scoppia in una risata)
Dunque andiamo senz’altro a cominciare...
(fig.50)
Come frontespizio alla storia di Pablo Picasso
abbiamo scelto questa sua dichiarazione: “Sono
venuto al mondo nel 1881, in ottobre, e devo dirlo
ero un bimbo molto dotato nella pittura! Ho avuto
difficoltà a farmi conoscere all’inizio, come succede
a ogni giovane che intraprenda il cammino dell’arte.
Poi, sempre con fatica mi sono fatto apprezzare,
quindi più tardi ho compiuto la più importante delle
mie azioni: ho inventato Picasso. (imm.51)
Sono stato fortunato, la sorte mi ha regalato come
primo insegnante di pittura nientemeno che mio
padre, don Josè, professore all’Accademia di Belle
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Arti in Malaga. (imm.60) Ero ancora un ragazzino
quando mio padre rimase letteralmente sconvolto
nello scoprire una mia pittura - di cui lui stesso mi
aveva dettato il tema - un dipinto di fattura talmente
straordinaria da mandarlo in crisi. Nello stesso giorno
mio padre decise di regalarmi la sua tavolozza, le tele
e i colori e da allora non dipinse più.”
“Da subito ho imparato ad amare i grandi pittori
antichi pittori del mio Paese. (imm.69 - (imm.70):
Velazquez, El Greco e Goya (imm.71), quest’ultimo
famoso per la Maja Vestida e la Maja Desnuda. A
proposito di questo stupendo doppio ritratto di donna
io mi sono subito chiesto: ‘Ma perché, dopo aver
dipinto questa sua innamorata dolcemente sdraiata su
una chaise-longue, indossante un abito così raffinato,
Goya l’ha poi spogliata nuda nello stesso
atteggiamento mostrandola così a tutta la città? E’
semplice, Francisco amava questa donna più d’ogni
altra creatura al mondo, quindi l’ha mostrata ignuda
non perché volesse vendicarsi e punirla per essere
stato tradito e abbandonato, proprio come pensano
stupidamente certi eruditi commentatori, ma per farle
un grande dono: (imm.72) denudarla perché ognuno
potesse rendersi conto per intero di quanto fosse
impossibile non perdere la testa per lei’. (indicando
la proiezione) Non capita tutti i giorni di incontrare
Venere in persona!”
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A proposito di opere sublimi Pablo soleva ripetere un
paradossale concetto: “La mediocrità di un pittore la
si misura osservando come faccia propria l’opera di
un grande artista. Quasi sempre il pittore in questione
dichiara di non copiare l’opera del grande maestro
ma di ispirarsi a lui. Ed è qui la stupida banalità,
infatti un pittore di grande qualità – e scusate se io mi
permetto di pensare di essere uno di quelli – non si
limita mai a tradurre l’emozione che gli procura un
grande maestro, ma si prende tutto intero il suo
dipinto: colori, forme, linguaggio, e si porta via anche
la cornice se scopre che è di valore.”
E’ noto che il suo primo periodo pittorico è detto blu
(imm.80 – 80 bis), periodo durante il quale ritrasse
una popolazione ai margini della società: personaggi
del circo, giocolieri e attori di strada. (imm.81) Bimbi
che imparano dalle madri l’arte dell’acrobazia e che
si lanciano rotolando nell’aria con leggerezza ed
eleganza straordinarie (imm.82). Picasso amava
molto lo spettacolo, in particolare il teatro satirico,
come quello proveniente dalla Commedia dell’Arte
(imm.90 – imm. 90 bis). Non a caso il personaggio
che Pablo ha fatto fisicamente e spiritualmente
proprio, è Arlecchino. (imm.91)
Conosciamo decine, anzi centinaia di disegni e suoi
dipinti in cui Picasso si ritrae addobbato di questa
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maschera di servo furbo, spietato e candido insieme
(imm.92) una maschera di cui egli conosce tutti i
paradossi e i lazzi: le giullarate, gli sberleffi, lo
sghignazzo e soprattutto l’insulto al potere. (imm.93imm. 94).
Ho voluto condurre una indagine, e in biblioteche
diverse, a cominciare da questa di Forlì, ho scoperto
che i dipinti, le statue, le incisioni sul tema di
Arlecchino eseguite dal malagueño in 70 anni e più,
sorpassano il numero di 300, (imm. 95 – imm. 96)
un’enormità. Alcuni grandi suoi dipinti in particolare
illustrano canovacci dei comici italiani famosi, come
quello in cui Arlecchino recita la parte del sensale di
matrimoni. La trama è semplice e giocosa. Pantalone,
ricco mercante veneziano, si è pazzamente
innamorato di Isabella, giovane vedova che a sua
volta è innamorata di Flavio, ‘bello figliolo’,
primogenito di Pantalone. Costui quando scopre che
Flavio gli sta portando via la donna amata, impazzito
di gelosia scaccia di casa il giovane contendente
(imm.97), suo figlio, obbligandolo a raggiungere
l’università di Bologna, così l’ha tolto di mezzo.
Arlecchino sta dalla parte dei giovani innamorati e
riesce a far trangugiare immediatamente a Pantalone
una pozione magica. Una volta assunto
quell’intruglio il vecchio mercante si innamorerà
della prima femmina che transiterà davanti ai suoi
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occhi e dimenticherà all’istante Isabella. Ma destino
vuole che davanti a sé appaia non una femmina ma lo
stesso incantatore: Arlecchino!, che accidentalmente
indossa un costume da donna. Pantalone sotto
incantesimo si getta affascinato verso Arlecchino
(imm.98), lo solleva fra le braccia urlando “mia sei,
adorata signora!”. Lo zanni si divincola “còsa ch’el fà
siòr dotor, l’è mato!” “Bella creautura tè vojo
mastecare tutta desnuda”
L’oggetto del desiderio fugge inseguito, inciampa,
rotola
travolto
dall’impeto
dell’appassionato
Pantalone che ad ogni costo lo vuol far suo. L’amato
fuggente si arrampica su un albero (imm. 99) dove
viene raggiunto da Brighella, il servo raziocinante
che cerca di tranquillizzare il violentato e soprattutto
convincerlo di quanto questa metamorfosi da
maschio a femmina debba essere accolta da lui,
Arlecchino, come uno straordinario colpo di fortuna.
“Ma che fortuna?! Me cojòn! L’è fortuna forse farsè
sbusetàr le ciape ‘me na pùtana?” “Arlekin,
vardemose ben in tè iogi. - lo provoca Brighella – Chi
set ti? L’ùltimo dei desperàt! Un strasciùn malarbèto!
Semper in zierca de magnà! Afamà pì d’un càn
randazzo. Catàt a pesciadi d’ogne cùsinier! Biastemà
fin de l’ùltimo servidor. E all’improvìsa, incoe, par
meravigioso incantamento, tèl chì, un Arlekin amà e
sbasùcà, lèca-lèca à la fùlìa. Ma te se rendet cùnto:
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sem arivà a un padròn inamuràt del so’ servidor! Ma
quando mai l’è capitàt al mund?! L’è ‘na meravègia!”
“Eh sì - replica Arlecchino, sconvolto – maravegia
d’un mato! E’ proprio una folìa! Quel lì me vor far el
servissio, cumpagn de ‘na giuvenca, giambe per aria
e cùl al vento, muntà come ‘na cavra!”.
“E ti dighe de no, ma dolzo! Impara a stòparlo come
se fa coi cavròn in calòr ‘sto sacripante! Daghe mièl e
sale in quantità... e ogni tanto un lecadìn! La vostra
ressiproca màtamorfosi, tì vedarà, sè intorsicarà
cumpagn d’un melùn riempiègnì de parsùto e la tua
sarà una vita de fa’ negott con la panza semper
impiegnida de vìn e salàm!”
Arlecchino si convince e si mette alla prova. Danza
con il suo padrone innamorato. (imm.100) Accetta
tenerezze e riceve regalie preziose, manciate di
denaro, collane, bracciali e anelli da odalisca. Isabella
e Flavio si ritrovano a loro volta sconvolti: hanno sì
guadagnato la libertà d’amarsi, ma non possono
accettare quel connubio da incantamento triviale.
Bisogna intervenire facendo bere al vecchio
pretendente una pozione d’antidoto. In che consiste?
Si tratta dello stesso liquido che lo ha incantato:
bevuto una seconda volta, farà tornare Pantalone
normale. Inquadratura su Dario “Sarebbe a dire esclama Isabella - che lo rivedremmo di nuovo
innamorato pazzo di me!?” “No no no! - Brighella la
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rassicura - Niente pagùra, ol retornarà in te la norma,
ma castrà come un vitèlon!”
Ma ecco che all’istante Arlecchino si rifiuta. “No,
ma nianca morto! Non torno indré nemanco se me
cùsinè come n’aròsto sul fògo dei purscei. Cosa ghe
guadagni mì?
Quando l’è comensada sta
màtamorfosi con incatamento, vialtri dòi cigulavi
feliz come doi fringuèli e adès, de bòto, vi feit catàr
de la bona moralità! L’è miga par caso che g’avè
timor de perdeghe l’entrega eredità del vegio
incujunà? E mi? A l’estante dovarìa returnà indrìo a
la miseria de semper, ai pesciadi in te le ciape, senza
respecto de sòrta de ognùn.
No! Mi quel respecto che me sòn guadagnà m’el
voglio mantenir san e tùto insembia a l’amor e à la
degnità. Sigùro, ho descoverto che per un omo, la
degnità l’è tùto, sovratùto ‘ndel particolar mùment
che sè ghe descovre trasfurmat in femena!”.
La compagnia dei comici allontana di forza
Arlecchino che scalcia come un ciuco impazzito.
Intanto si preparano i bicchieri e li si riempiono di
spumante, tutti salvo che per il boccale offerto a
Pantalone che conterrà la solita bevanda con
l’incantesimo. Il mercante innamorato sta per portare
il proprio bicchiere alle labbra ma ecco che
Arlecchino con gesto rapido afferra il boccale e
trangugia il beverone a gran velocità. “Pitosto ‘sta
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malarbèta porsìon me la sgorgolo tüta mi’, capita
quel che capita, no m’importa”.
Beve e quindi spalanca gli occhi e urla: “Maledisiùn!
Non ghe vego più! Orbo son deventà, de entrambi i
ogi!”. Tutti i personaggi della commedia sentendosi
responsabili di quel disastro si fanno in là, sul fondo.
Arlecchino spalanca di nuovo gli occhi e grida: “Ghe
vego! I miei ogi i veghe de novo! Dio che calor che
me sento ‘gnir adoso!”. In quel momento una
deliziosa capretta (imm.101) attraversa la scena e
Arlecchino le va incontro ed esclama: “Maravegiosa
criatura, che te sponti derentro el meo sguardo.
Inamorò col còre tùto in tòchi, me sento devanti a tì!”
Si china verso la tenera capretta, la solleva tenendola
stretta fra le braccia (imm.102) La sbaciucchia con
passione mentre quella bela quasi cantando e
Arlecchino, annodandosela intorno al collo come uno
scialle prezioso esclama: “Ooh, che roba maravegiosa
sentirse inamorò come un cavròn in calòr!”.
BUAAAAAH (imm.103)
Picasso è informato anche del fatto che Arlecchino,
nelle sue infinite metamorfosi, non si limita a recitare
il pagliaccio sguaiato e bugiardo, ma si trasforma
nell’acrobata del medico volante (imm. 104),
nell’avvocato arraffatutto, nel tartufo di Molière e nel
Don Giovanni sciupafemmine (imm.105 – imm.106).
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Egli è cosciente che se mette a confronto la sua
propria vita con quella di Arlecchino, si accorgerà
che la maggior parte delle sue storie con donne
(imm.107) di cui è stato amante, sposo, innamorato
per sempre o per una notte e via, sembrano tratte di
peso dalla Commedia dell’Arte. (imm.108 )
Le ha amate tutte e spesso le ha travestite da
saltimbanchi, danzatrici, ninfe e divinità. (imm.109)
Picasso si trova spesso come davanti alla porta
girevole di un Grand Hotel: entra solo, esce
accoppiato, rientra con un’altra femmina e sorte con
due nuove innamorate.
Eccole: la donna di Maiorca (imm.132), stupenda, la
donna nuda (imm.133) di cui si tace il nome, Olga
Koklova (imm.134) ritratta decine di volte in diversi
atteggiamenti e situazioni, madame Cañals (imm.
135), moglie splendida di un notevole pittore di cui
Picasso si era pazzamente innamorato, innamorato
della moglie, non di lui!, e per finire la signora H.B.
(imm.136) ricchissima... soprattutto di capelli, come
potete vedere!
Ma stiamo attenti a non crearci l’idea di un
personaggio esclusivamente preso per le femmine.
Picasso era anche quello che si dice un uomo
civilmente e socialmente impegnato. “Raccontate
uomini la vostra storia – ripeteva con Savinio
(imm.193) - siate testimoni implacabili del vostro
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tempo, del diritto per ognuno alla libertà, ed ogni
ingiustizia denunciatela fino a sgolarvi”.
Naturalmente entrambi - Picasso e Savinio - nel loro
comportamento davanti ai grandi e spesso orrendi
momenti della storia, non si tirarono mai indietro.
Basti ricordare con che slancio furente e indignato
Picasso dipinse nel 1937 la grande tela dedicata alla
strage di Guernica. (imm.200)
Naturalmente il pittore ha evitato di cadere nella
retorica illustrativa del dramma: non ci sono gli
Stukas dei bombardieri tedeschi in picchiata, né
granate a grappoli né esplosioni, ma una parete di
casa che crolla, piedi di uomini e cavalli che si
muovono correndo, tremende grida di donne che
spalancano le braccia disperate, animali colpiti che
stramazzano, bambini uccisi fra le braccia della
madre, uomini rovesciati al suolo ormai senza vita e
lo slancio di una donna che regge una lampada che
proietta luce fra le tenebre della morte.
Guernica è la pittura che Picasso riuscì a far diventare
memoria di tutte le violenze e i massacri del suo
tempo.
Lo stesso discorso va fatto per la grande tavola di
compensato dipinta per la fucilazione di innocenti
avvenuta in Corea (imm.210) negli anni Cinquanta
per mano di un plotone di esecuzione degli Stati
Uniti, dove le vittime sono rappresentate, donne e
bambini ignudi, proprio come l’innocenza. In quel
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caso l’idea compositiva di Picasso si rifà chiaramente
al massacro, avvenuto all’inizio dell’800 dipinto da
Francisco Goya (imm.210 - imm. 211) che testimonia
la strage della popolazione spagnola da parte
dell’esercito francese.
(imm.212) I fucili posti in primo piano da Picasso
nella sua narrazione sono macchine da guerra da
fantascienza e anche l’atteggiamento meccanico dei
militari americani allude ad un’ammucchiata di robot,
automi della morte, evidentemente privi di ogni
dimensione umana.
(imm.213) Queste due opere, accompagnate dai
conseguenti abbozzi preparatori, furono mostrate al
Palazzo Reale di Milano nel 1953, accolti da una
straripante presenza di pubblico.
Naturalmente sul coinvolgimento umano e civile di
Picasso, in più di un’occasione e con coerenza totale
durante tutta la sua vita, si è tentato da parte dei soliti
pompieri culturali, di svicolare assicurando che
quelle opere del grande maestro dovevano essere lette
come una civile esortazione alla pace, solo alla pace
contro ogni sorta di conflitto. Quelle colombe
(imm.220) che Picasso ha dipinto sospese in un cielo
lugubre durante il periodo della cosiddetta guerra
fredda, secondo alcuni conformisti erano la
dimostrazione che Picasso tendeva a rimanere fuori
dai coinvolgimenti morali di parte. (imm.221)
Insomma, qui i pompieri moderati ribadiscono con
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foga che Pablo, come tutti i grandi artisti, deve essere
visto e catalogato come uomo di pace, estraneo ad
ogni coinvolgimento estremista della politica.
E’ la solita ballata ipocrita di un’arte che deve volare
alta (imm.222) e fuori d’ogni impegno diretto alla
vita sociale e politica. Insomma, procuriamoci tutti
un bel cervello vuoto, privo d’ogni contaminazione di
parte. Il mondo delle idee è pericoloso: crea fanatici
del pensiero. Meglio starsene fuori e vedere ogni
dramma come pupazzi e spaventapasseri che si
agitano sbattendo le braccia mossi dal vento del
nulla.
Siamo nel 1907, Pablo a Parigi, (imm.230), vive
un’esperienza di surrealismo espressionista. E’ quello
il tempo in cui conosce Duchamp, Villon, Braque,
Picabia e molti altri artisti compreso qualche italiano
coi quali, analizzando le composizioni pittoriche di
Cézanne (imm.233) e soprattutto dell’arte africana
(imm.235), sviluppa una specie di frammentazione di
volumi geometrici che vanno componendosi in forme
dinamiche.
Matisse, che non era tenero con i surrealisti,
osservando uno di questi dipinti eseguito da Braque
esclama con una certa ironia: “Bella questa specie di
cubettismo!”. (imm.236)
Venutolo a sapere, Braque e Picasso esclamano quasi
all’unisono: “Grazie Matisse, con questo tuo gioco a
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sfottò ci hai dato una grossa idea, chiameremo questa
nostra pittura cubismo”.
E Duchamp ci mette un carico da undici: “Per
ringraziarti, caro Matisse ti faremo un ritratto tutto
cubetti, cubettini e cubacchi, e mantennero la
promessa, eccola!”. (imm.237)
Ma a parte le frecciate e il sarcasmo, quel movimento
destò uno straordinario interesse, specie presso alcuni
importanti collezionisti. All’inizio però i seguaci del
naturalismo
espressionista
reagirono
con
atteggiamenti di sdegno.
“Ma che è quella, nient’altro che una provocazione
mercantile, tanto per stupire, épater le couille”. Come
dire, per incantare i coglioni!”
Gertrude Stein, (imm.240) bellissima donna, una
delle più colte fra gli innovatori - si dice fosse
l’amante di Picasso, e c’è da crederci poiché il grande
maestro non ha mai scelto come amante una donna
che non fosse almeno affascinante - dicevo: la Stein
dichiarava che con il cubismo (imm.242 – 243)
l’incorniciatura della vita andava a pezzi, e
finalmente colori e composizioni potevano muoversi
liberi oltre la dimensione del quadro, veramente
intelligente!
Pur operando distanti l’uno dall’altro in diversi
atelier, Picasso e Braque riuscivano a realizzare opere
tanto simili che si sarebbero dette composte a quattro
mani dai due artisti. (imm.248)
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Però c’era un inciampo e Duchamp fu il primo ad
accorgersene: quella pittura viveva di un croma
neutro, privo di una luce che proietti ombra e
movimento. (imm.249) “Stiamo dipingendo corpi
senza ragione e anima – affermava - una pittura
estremamente decorativa, elegante, anche raffinata se
volete, ma ogni quadro sembra più un paradossale
armadio con ante sfasciate, illogiche e senza storia.
L’uomo è uscito a prendersi un caffé ma ha perso la
strada e non torna più.”.
(stacco su immagine Dario)
Di lì a qualche anno arrivò la grande guerra che
spazzò via all’istante ogni estetismo astratto e
monocromo.
Poi finì la guerra, ci fu il fascismo e un’altra guerra,
anche quella mondiale. Picasso non si mosse da
Parigi e visse con difficoltà la situazione della
Francia occupata dai nazisti.
Nel ’46, appena finito quell’ultimo conflitto, molti
giovani pittori partirono da Milano per Parigi, per
incontrare e conoscere il grande maestro spagnolo.
Io a quel tempo avevo appena vent’anni e a mia
volta, con alcuni compagni d’Accademia, decidemmo
di andare da lui, in Francia, per sollecitarlo, perché
venisse a Milano.
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Eravamo decisi ed emozionati al tempo, non capita
tutti i giorni di andare a visitare un monumento
vivente.
In coro lo invitavamo a scendere da noi: “Ci fareste
un gran regalo Maestro e sarebbe per ognuno una
straordinaria iniezione di coraggio e fiducia!”.
Picasso si diceva lusingato e prometteva che appena
gli si fosse aperto uno spazio di tempo disponibile, ci
avrebbe accontentati.
Passavano le settimane, i mesi, ma della visita che ci
aspettavamo da Picasso nessuna notizia. Scrivemmo
più di una lettera ma ricevemmo solo laconiche
risposte dai suoi collaboratori: “Abbiate pazienza, fra
poco arriveremo”. Ma noi pazienza non ne avevamo
più, anzi quando si sparse la voce che Roma, in
particolare Cinecittà, era riuscita a convincere Pablo
a raggiungerli di lì a qualche settimana, esplose una
vera e propria bagarre di rabbia indicibile.
Ci fu una riunione nell’Aula Magna di Brera,
(imm.255) mai vista una folla del genere, gente che
s’ammucchiava e sbaccagliava disperata. Morlotti era
fra di noi il più saggio e accorto e disse: “E’ inutile
tutta questa caciara. E’ evidente che Picasso ha
preferito Roma a noi. Forse nel ritorno può darsi che
si fermi a darci un saluto.”. Quella non era acqua
fresca, ma una tanica di benzina buttata sul fuoco,
tant’è che qualcuno fuori di testa propose: “E se lo
andassimo a rapire?” “Sì, il Picasso rapito! - sbottò
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Peverelli – che idea, io mi prenoto per il ruolo di
palo”. Tutti risero più per la stizza che per la battuta.
Parzini rispose seccato: “C’è poco da sfottere, la
soluzione c’è ed è questa lettera che abbiamo
ricevuto dal suo ufficio. Terremo buona solo la busta;
per il contenuto basta riscriverlo da capo,
pressappoco così: (imm.256) cari amici, saprete che
sto per giungere a Roma ma ho pensato che,
transitando da Milano, giacché verrò in treno, potrei
fermarmi per abbracciarvi e stare un poco con voi. Il
giorno che mi andrebbe a pennello, scusate ma un
pittore si scopre sempre, sarebbe l’ultimo fine
settimana di questo mese, fra quindici giorni circa.
Un abbraccio, Pablo”.
Un gruppo fra i convenuti se ne andò a dir poco
schifato: “Ma sono pagliacciate, andiamo!”. Ma i
molti che restarono si diedero un gran da fare per
metter giù la lettera cercando di imitare la scrittura di
Pablo. Poi fotografammo la missiva e la facemmo
circolare fra le varie testate di giornali.
Qualche cronista fanatico dello scoop, fregandosene
di verificare, pubblicò la notizia: “Pablo Picasso
prossimamente a Milano per un vernissage della
mostra di sue incisioni alla nuova Galleria Manzoni”.
La mostra si inaugurava davvero, ma è chiaro che la
notizia della sua venuta era completamente falsa.
Altri giornali hanno ripreso il lancio dell’evento e,
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come se non bastasse, un mercante mai identificato,
aveva confermato, assicurando la visita del Maestro.
A nostra volta abbiamo deciso di cavalcare la tigre
dell’immaginifico: “Lo faremo arrivare qui per
davvero! Picasso sarà a Milano in carne ed ossa!”
La nostra chiave di volta era Otello, (imm.262) un
anziano bidello dell’accademia di Brera, un brianzolo
assistente al calco dell’atelier di Marini: era il sosia di
Pablo sputato. Un uomo sui cinquant’anni, di bassa
statura, ben piazzato con il cranio ornato di pochi
capelli bianchi e la faccia identica a quella del
maestro malagueño. Insomma, una fotocopia vivente!
È deciso: cerchiamo di convincere Otello a prestarsi
al gioco. Risposta: “Mì Picasso?! Ma sì matt?!”
Riuscì a convincerlo Olga, una stupenda allieva di
Manzù: “Se accetti ballerò tutta la sera con te!”
“Affare fatto!”
Per colmo di fortuna, Otello aveva lavorato a
Marsiglia per dieci anni da ragazzo e parlava un
francese quasi perfetto. Diamo la conferma a radio e
giornali: Picasso arriverà con il treno delle 11.30 in
Centrale, via Mentone. Lo faremo arrivare (imm.263)
abbigliato con il suo solito trench bianco e la sua
immancabile valigia, anche lei bianca.
Siamo alla stazione Garibaldi un’ora prima e
facciamo salire il sosia accompagnato da Alik
Cavaliere, Morlotti e Bobo Piccoli, sul treno che va a
Rho. I quattro scendono alla stazione stabilita e
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attendono il rapido da Mentone che fermerà, come di
regola, a quello svincolo di quattro linee.
Alla stazione Centrale, binario dieci, c’è una folla
incredibile: giornalisti, fotografi, cineoperatori,
studenti, artisti, intellettuali… c’è perfino una
bandiera rossa, che sventola… per Picasso!
Ecco il treno, la folla va incontro all’artista.
“Sarà sui primi vagoni o più in fondo?”
Scendono i viaggiatori.
“Avete visto Picasso in qualche vagone?”
“Picasso?!”
Ci guardano come una massa di deficienti.
Sono quasi scesi tutti. Picasso non si vede.
“Eccolo!”
“Sì, è lui. (imm. 265) Si è sporto da un finestrino!”
saluta e poi scompare. È sceso sull’altro marciapiedi.
“Che originale!”
La gente sale sui vagoni per poi ridiscendere dall’alta
parte. È sparito.
“Di sicuro si è infilato in un sottopassaggio!”
I fotografi e i giornalisti si danno a rincorrerlo. Una
voce grida: “Calma, non è fuggito! È che la folla gli
crea panico. Se lo volete incontrare tranquillo, venite
tutti questa sera al salone dei Filodrammatici, a
fianco della Scala. Ci sarà un rinfresco e una
tranquilla conferenza stampa.”
Il salone dei Filodrammatici (imm.268) in restauro
era una specie di impianto scenico che serviva da sala
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prove. Lo stavano ristrutturando perciò era ingombro
di tralicci e centine di sostegno e mancava
assolutamente del soffitto. Insomma, era veramente
un salone all’aperto. Ma quelle strutture a colonnati
funzionavano a meraviglia per sostenere un decor
scenografico davvero sconvolgente. Per arricchirlo
avevamo coinvolto gli allievi di scenografia e
decorazione e i tecnici del Piccolo Teatro. Con un
camion avevamo fatto portare in quel salone scene di
spettacoli fuori repertorio e dal vecchio magazzino
della Scala eravamo riusciti a recuperare enormi
statue in cartapesta e perfino un leone e due cavalli
rampanti. (imm.269) Il montaggio è stato laborioso,
ma eccitante. Si è brigato tutta una notte.
Con un gruppo di attori e qualche sceneggiatore di
film si è poi messa giù una scaletta delle situazioni da
rappresentare.
La sera, i primi ad arrivare sono stati i musicisti del
Santa Tecla (imm.270) e la Lambro Jazz Band. Si
sono sistemati su una specie di palco mentre ancora si
stavano approntando le luci. Tutti commentavano
dell’arrivo di Picasso alla stazione: erano in molti a
non immaginare si trattasse di una beffa!
Gli scenografi e i decoratori, fra di loro mi par di
ricordare ci fosse anche Enrico Baj, stavano intanto
pitturando i cavalli, il drago e le statue in oro e
argento. Fra gli altri eravamo riusciti a ingaggiare il
gruppo di clown del Circo Togni. Finalmente
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comincia ad arrivare la gente. Noi si metteva a posto
le sedie in un ordine davvero caotico. La Lambro
Jazz Band apre con un pezzo famoso, è un blues:
“Tutti i figli di Dio hanno le scarpe”. (canta a ritmo
di blues)
In ritardo stanno entrano anche i camerieri per il
rinfresco.
“Ma chi paga tutta ‘sta roba?” chiedo io.
Mi fanno il nome di due grossi collezionisti.
“Hanno coinvolto anche l’ufficio pubblicitario della
Pirelli!”
Non ci credo... me lo giurano!
C’è più gente del previsto… belle signore in gran
pompa. In molti hanno disertato la prima del Lirico.
Ecco Ghiringhelli, il direttore della Scala ridotta dai
bombardamenti ad un rudere e Schwarz, il principe
dei mercanti d’arte con tutta la sua corte.
Il pubblico non ha ancora preso posto che, sostenute
dalle bande, hanno inizio le entrate comiche
(imm.273): lassù appeso ai tralicci un clown truccato
da imbianchino in tuta, grida: “Aiutooo, sto
cadendo!”. Si lascia scivolare giù per un cavo e
comincia ad oscillare in modo sconnesso. Precipita!
No, si è abbrancato ad una centina. Degli acrobati,
travestiti da pompiere, montano scale che vanno a
pezzi. TUM TUM TUM, uno spettacolo! I Vigili del
Fuoco si salvano aggrappandosi a funi che li fanno
danzare qua e là. Urla di signore spaventate.
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Ora anche la band del Santa Tecla s’è unita alla
Lambro Jazz in un sound frenetico. Le giravolte, gli
scontri e le stcentrate creano scompiglio.
Qualcuno chiede a gran voce: “Scusate ma quando
arriva Picasso?” (imm.275)
“Sarà qui a momenti. Intanto lei balli signora!”
Suona una sirena e si spalanca un portale: dal fondo
entra un vigile in moto che impone silenzio. “Cos’è
‘sto bordello? Siamo pazzi? Avete il permesso per lo
spettacolo? E chi è il capocomico, l’impresario? Si
può sapere cosa ci fate qui?”
“Aspettiamo Pablo Picasso!”
“Pablo viene qua?!”. E il vigile motorizzato manda
un urlo e fa ruggire il motore ROAAAAR!, quindi si
lancia in un carosello a gran velocità ed esce con la
sirena accesa gridando: “Pablo! Pablo! Arriva
Pablo!” ROAAAAR!.
L’orchestra sta andando su di giri. Intanto entrano in
scena cinque imbianchini che pretendono di ultimare
il loro lavoro. (imm.278) Anch’io faccio parte della
squadra di quei clown spennellatori. Andiamo
trascinando un enorme telone sotto il quale
costringiamo il pubblico ad infilarsi come si fa coi
mobili in caso di sbiancamento dei locali. Due
anziane signore chiedono a gran voce: “Ma quando
arriva Picasso?”
“Arriva, arriva!”
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Ora gli imbianchini si lanciano i secchi l’un l’altro,
UAH UAH s’annaffiano con sbroffate di pittura.
Spaventato dalle grida e dai tonfi, il pubblico tira di
qua e di là il gran telone finché, strappo dopo strappo,
non viene ridotto a brandelli.
Qualche coppia danza. (imm.279) E altri chiedono:
“Ma quando arriva Picasso?”. “Arriva, arriva!”
Un altoparlante avverte: “Attenzione, arriva
Picasso!”
L’orchestra suona una marcia trionfale. Petardi
esplodono fra le gambe delle danzanti. Eccolo là! In
mezzo al fumo appare la sagoma di Otello, (imm.279
bis) sempre con il suo trench bianco.
Applausi.
“Ma è proprio lui!”
Otello sta per parlare: “Mes amis, je suis ravì d’être
ici…”, ma si trova avvolto da uno sfumazzo denso e
puzzolente, tossisce.
“Mon dieu, quelle bagarre!”. E quindi all’istante
inizia a parlare in dialetto lombardo stretto: “Ma se
po’ minga respirà in ‘sta fumera e per el calùr peu
che ven fòra. Gh’é de stciopà!” Così dicendo si toglie
il trench e rimane seminudo ma con le mutande. imm.
280
“E’ lui, è proprio Picasso! L’ho visto fotografato in
quella mise un sacco di volte!”
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Picasso riprende a parlare tenendo un microfono
vicino alla bocca: “Me piàse ‘sta Milan l’è proprio
‘na folìa de stciopà! Sun cuntent de ves chi.”
Scoppiano altri petardi e anche un fuoco d’artificio.
Un botto esplode proprio fra le gambe del falso
Picasso della Brianza, che esclama: “Eh no, cassoo!
Me vorsì brusà i cujùni?!” (imm.282)
Alcuni signori scattano a gran voce: “Ma per Dio, è
tutta una presa per il sedere, si son fatti gioco di noi!
Una beffa indegna.”
“Zitti, non si offende un ospite così riguardevole!”
Una splendida signora inzuppata d’acqua colorata
esclama: “Stupendo! Una festa così me la ricorderò
finché campo!” E un vecchio signore esplode a tutta
voce: “Io non so se quello sia o no il vero Pablo, ma
che sia o non sia a me va bene anche così, viva
Pablo!”
E un’ultima voce tonante grida: “Ma quello è Picasso
o no?”
E tutto il coro dei clown (imm. 282 bis) sbotta: “Sì, è
lui, è l’unico Picasso al mondo, gli altri sono tutti
fasulli!” (canta) Che festa!
(copertina 1 – copertina 2)
__________________________________________
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SECONDO TEMPO:
(copertina 1 – copertina 2)
La beffa organizzata a Milano con la messa in scena
della partecipazione del falso Picasso ai
Filodrammatici, di fronte alla Scala, avveniva più di
tre anni prima che si realizzasse al Palazzo Reale la
grande retrospettiva del 1953, (FARE TAVOLA
COLLAGE OPERE PICASSO 290n) cioè
sessant’anni fa, e che proveniva dalla Galleria
Nazionale d’Arte Moderna in Roma, dove furono
presentati 137 dipinti più numerose sculture e opere
grafiche e ceramiche. Per di più a Milano le opere
esposte al Palazzo Reale in quell’occasione erano più
numerose in conseguenza dell’intervento diretto di
Picasso che riuscì a far esporre anche la grande tela
di Guernica che venne spedita per via aerea da New
York; insieme a Guernica era anche presentato il
Massacro in Corea la grande tavola nella quale era
raccontata la fucilazione di un gruppo di innocenti
contadini; a Roma quest’opera non fu presentata,
pare per l’intervento di Giulio Andreotti (TAVOLA
ANDREOTTI DA FARE 295n) che vietò
l’esposizione per non offendere l’alleato americano.
“Sì, abbiamo verificato, ed è proprio certo che fosse
stato proprio lui, il Divo Giulio a mettere in atto quel
veto di alta piaggeria politica. Ma quell’Andreotti lo
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troviamo dappertutto, in ogni tempo, proprio eterno e
puntuale come la morte!”
Ancora a Milano, furono esposti altri quadri che
Picasso aveva fatto arrivare da musei di Mosca e
Barcellona.
Ma perchè? Come mai tanta generosità verso la
nostra città?
Di certo a Milano (FARE TAVOLA300n) rispetto a
Roma, Picasso ne era ben cosciente, si respirava
tutt’altra aria, non era ancora intossicata dallo smog,
sia industriale che politico. Nel dopoguerra la nostra
città godeva di un fermento civile e culturale di
straordinario peso e Picasso ne era bene al corrente.
Un giornale della sera, mi pare si chiamasse Milano
Notte, assicurava inoltre che quando Pablo seppe
della messa in scena dei Filodrammatici (TAVOLA
IMMAGINE PICASSO IN MUTANDE DA
RIELABORARE 305n) con bande, clown e la
presenza di un sosia che lo impersonava fra lo
stupore e il divertimento di tutti i presenti anche
quando avevano scoperto della finzione, aveva
esclamato: (TAVOLA FACCIA DI PICASSO 310n)
“Ma è una messa in scena degna di un Pantagruel,
che spasso! Bisogna proprio che mi decida ad andarci
in questa città, e con una grande esposizione! Gente
con tanto spirito bisogna proprio premiarla!”
Di certo come osservavano cronisti presenti
all’esposizione, grazie alle molte opere aggiunte
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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rispetto all’edizione romana questa di Milano
appariva molto più impegnata, specie sul piano della
denuncia civile; insomma, come dichiarava più di un
visitatore: “E’ un’esposizione proprio di sinistra”.
Guernica, in particolare, aveva assunto per i giovani
artisti del Nord un assoluto valore emblematico,
poiché a Milano si era fatto di Picasso e di questo suo
quadro una vera e propria bandiera del loro impegno
d’avanguardia, in presa diretta con l’attualità storica e
sociale, non più verista e naturalista, e in opposizione
all’astrattismo formalista.
(RIPRESA SU DARIO)
Ma non va dimenticato che Picasso aveva creato con
il linguaggio delle sue opere una forma di realismo
post-cubista inaccettabile che entrava in forte
contrasto con la linea ufficiale del PCI che si era
allineata ai dettami del realismo socialista sovietico
dogmatizzato da Zhdanov e ribadito anche da
Togliatti con un famoso intervento. Questo
atteggiamento crea un forte conflitto fra gli
intellettuali italiani di sinistra che in gran numero
erano per la completa libertà d’espressione e di
pensiero.
Ma ecco che poco prima della mostra di Picasso a
Milano, nel marzo ‘53 si riunisce in Italia il Comitato
Centrale per una cultura libera, moderna, nazionale
che all’istante neutralizza tutte le imposizioni
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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dogmatiche provenienti dall’Unione Sovietica e da
qualche dirigente politico nostrano.
A ‘sto punto Picasso, applaudito da tutto il
movimento democratico di sinistra, viene eletto come
principale punto di riferimento per lo sviluppo di un
nuovo linguaggio dell’arte. Così si rende omaggio al
più grande pittore dei tempi nostri, il “compagno”
Picasso che si era iscritto al Partito Comunista
Francese nel 1944.
In quel tempo stavo terminando l’Accademia, avevo
poco più di vent’anni e più volte mi era capitato di
partecipare a Brera ad un gran numero di dibattiti,
proprio sulla questione dell’autonomia espressiva; se
ne parlava anche in centri di cultura che nascevano
uno appresso all’altro nella città; non si affrontava
solo il tema delle arti figurative ma si coinvolgevano
anche il cinema, la musica e soprattutto il teatro che
aveva nel Piccolo e nella Scala i suoi centri d’azione.
Da tre anni esatti personalmente avevo cominciato ad
occuparmi anche di teatro, (FARE TAVOLA 315n)
in particolare quello satirico e grottesco. Proprio al
Piccolo, con Parenti, Durano e Jacques Lecoq
avevamo formato un gruppo di commedianti con
l’intento di mettere in scena uno spettacolo di azione
totale quindi legato alla pantomima, nella quale
appunto Jacques Lecoq era il nostro maestro. Il tema
doveva essere assolutamente quello dell’attualità,
raccontato con brevi scene, rapide e stilisticamente
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rigorose, dove oltre alle parole, ridotte al minimo
indispensabile, venivano inseriti il mimo appunto, la
danza, il canto e, soprattutto, l’acrobazia. Con noi il
costume era unico, una specie di salopette nera che
veniva indossata anche dalle attrici fra le quali in
primo piano c’era anche Franca.
I temi erano quelli del lavoro, dello sfruttamento e
degli incidenti nei cantieri, la cultura dominante, la
politica, l’input della chiesa in ogni frangente della
società, la questione femminile e la sessualità
nell’amore.
Proprio nel tempo in cui si provava la messa in scena,
ci capitò con la compagnia al completo – eravamo
esattamente tredici più i tecnici e il suggeritore - di
visitare la mostra di Picasso al Palazzo Reale e con
tutto che personalmente conoscevo le immagini
studiate sulle foto dei testi stampati, l’impatto con le
tele originali fu straordinario.
Dopo due ore che si era in visita ai saloni, ci
accorgemmo che avevamo percorso solo un quinto
della mostra. Dovemmo tornare un’altra volta e, in
quell’occasione, ci accorgemmo che molti temi del
nostro spettacolo erano già raccontati sui dipinti di
Picasso e sulle incisioni e sui suoi disegni.
Decidemmo allora di studiare con più attenzione la
sintesi e lo svolgimento gestuale di quelle pitture per
trarne uno stile più incisivo e originale. E’ lì che a
nostra volta scoprimmo il legame che il maestro di
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Guernica aveva con la rappresentazione teatrale, sia
nel modo con cui impostava le composizioni che per
l’uso spregiudicato della prospettiva e dello scorcio,
per non parlare di quello della luce. Di questo nostro
intento di rifarci a Picasso non ne parlammo con
nessuno, ma per meglio realizzarlo acquistammo tutte
le riproduzioni che trattavano di quella mostra e le
immagini di dipinti presenti in vari musei.
Il debutto del nostro spettacolo che aveva per titolo Il
dito nell’occhio (FARE TAVOLA DA COPERTINA
“PUPAZZI”) avvenne alla fine di maggio di quello
stesso anno, proprio al Piccolo Teatro. Strehler e
Grassi, che ne erano i direttori, ci avevano offerto di
recitare su quel palcoscenico per tutto il mese, ma lo
spettacolo ebbe più successo di quanto si sperasse.
Dopo una settimana tutto il mese di maggio risultava
esaurito; quindi Grassi ci allungò il periodo fino a
tutto giugno. Ancora, dopo venti giorni, ci
rinnovarono il contratto fino a tutto agosto. Vennero
a vederci da ogni angolo della Lombardia, facemmo
una breve pausa e recitammo in altri due teatri di
Milano, fra i quali il Carcano e il Puccini. Poi
cominciammo la tournèe, tutto andava come a
Milano, esauriti uno dietro l’altro... quanto la nostra
compagnia dovesse a Picasso e al clima che si era
formato nella città non saprei proprio dimostrarlo ma
di certo noi in quel 1953 siamo partiti proprio con il
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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vento in poppa e con tante vele da sembrare un
bragozzo impazzito.
Per festeggiare tanta fortuna Franca ed io abbiamo
deciso di sposarci e fare un figlio subito! Come si
dice... la fortuna bisogna coltivarla e applaudirla,
sempre!
____________________________________________________________________
L’abbiamo già detto: Picasso aveva una certa
attenzione particolare per la sessualità. (imm.283)
Tutte le storie del teatro, della pittura e dei romanzi
famosi dove apparivano accoppiamenti appassionati e
fuori dal comune, lo coinvolgevano fino alla follia.
(imm.284) Conosceva a memoria la Celestina di
Rojas, capolavoro teatrale del ‘500, ridondante di
prostitute, lenone, amplessi paradossali comprati ed
organizzati come in una kermesse erotica. Queste
vicende lo conducevano a dipingere, disegnare,
incidere giorno e notte. Perfino i Tre Moschettieri
(imm.286) lo sollecitavano a mettere su carta e tela i
famosi spadaccini che duellano tenendo fra le braccia
donne ignude, sventolate come trofei.
Egualmente era coinvolto dal Don Chisciotte
(imm.287 - imm.288) che scambia prostitute con
regine e che nella sua follia, rimane infilzato dalle
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pale di un mulino a vento (imm.289) che lo fa roteare
nell’aria abbracciato alla sua sgualdrina incoronata.
I bordelli (imm.290) l’abbiamo già detto, li
rappresenta ad ogni occasione, con prostitute d’ogni
razza, forma ed età.
Un giorno scopre un dipinto di Ingres, (imm.292) il
famoso pittore neoclassico della fine del Settecento
che dedica un quadro a Raffaello, appassionatamente
abbracciato alla sua modella, la Fornarina. All’istante
Picasso si entusiasma per questa inconsueta storia
d’amore e comincia a leggere cronache fantasiose che
raccontano dei due amanti; (imm.294) sono veri e
propri feuilleton carichi di colpi di scena, tipo la
bravata di Benvenuto Cellini che spara un colpo di
cannone contro Carlo III di Borbone proprio
nell’istante in cui sta attraversando il Tevere sulla sua
carrozza PAM! lo becca con una palla di bronzo e lo
ammazza pure!. O storie come quella di Giovanni da
Gravedona un personaggio un po’ pazzo e
autolesionista che alla maniera di Van Gogh si mozzò
un orecchio per farne dono alla sua amata “Ti piace
cara? L’ho tagliato di fresco per te. Puoi metterci un
orecchino se vuoi!”
(imm. 295 - imm.299) Ma ecco che a Pablo capita fra
le mani anche un altro testo su Raffaello,
completamente originale: le cronache di Giulio
Romano, il più importante fra i suoi aiuti; qualche
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ricercatore assicura invece si tratti di Peplo
fiorentino, altro suo allievo e collaboratore; a parte la
discussa provenienza letteraria Picasso all’istante si
trova
dinanzi
un
Raffaello
assolutamente
imprevedibile: prima di tutto un uomo di coraggio e
determinazione inconsueti che attacca vescovi e
cardinali, principi e baroni accusandoli di ruberie e
intrallazzi ignobili... Che tempi di infame corruzione
erano quelli! Menomale che viviamo in un’altra
epoca, finalmente civile e democratica, con un Papa
vero pastore d’anime. Dicevo che, Raffaello, non
risparmia nemmeno la figura del Pontefice, che
pubblicamente denuncia per aver fatto sradicare le
pietre e i sampietrini della vie principali di Roma, per
servirsene nella costruzione di un proprio palazzo;
Raffaello ci appare quindi come un uomo di grande
correttezza e onestà, che però sorprende ognuno per
l’altra faccia della sua personalità: quella di un
erotismo sfrenato al limite dell’osceno.
Il Maestro di Urbino è uno che sa quanto vale e
pretende che tutti lo apprezzino, (imm.305) a
cominciare proprio dalle ragazze, dalle dame, dalle
modelle, dalle prostitute, che per lui vanno via tutte
di testa. Il cronista che chiameremo l’anonimo infatti
testimonia che quando a Roma, a Carnevale, il carro
sul quale stavano vocianti le ragazze da marito
transitava sotto le finestre del palazzotto di Raffaello,
tutte quelle donne in coro eseguivano una serenata di
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sperticati elogi al giovane pittore, un canto che
diceva:
“Bello figliolo che tu se’, Raffaello,
come te movi appresso a lu Papa
quanno sorte a passaggiare,
tu se’ l’àgnolo Gabriele,
ìllo pare lo tòo camarière.
Dòlze creatura con ‘sto cuòrpo tuo che pare in danza,
(imm.310)
comme me vorrìa rotolar co’ te
panza panza dentro lu vento,
appesa alle labbra tue da non staccarme mai uno
momento:
Raffaello mettime dinta ‘na tua pittura
dove ce sta ‘no retràtto de te tutto intero
così de notte ce se potrebbe cerca’
e infrattati nell’oscuro facce l’amore.
Si nun me voi amà, Raffaello dòlze, canzéllame da la
tua pittura,
méjo morì se non son tua.”
Bella!
E a ‘sto punto Picasso, estasiato, (imm.315) comincia
ad incidere su una lastra la scena degli abbracci fra le
donne ammaliate e il meraviglioso pittore, che viveva
la sua vita con una voracità sconvolgente.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Quando morì Raffello aveva appena trentasette anni.
Si racconta che per il dolore a Roma anche i
sanpietrini si staccarono rotolando fuori dal selciato,
e mezza città urlando piangeva disperata.
Ancora il cronista testimonia che il giovane di Urbino
oltre ad essere uno fra i più grandi maestri del
dipingere e costruttore di palazzi e cattedrali era un
musico finissimo e componeva ballate per le sue
donne servendosi di una viola tonda.(imm.317)
Sollecitato da quell’immagine, Picasso, in un altro
disegno ecco che trasforma la Fornarina in una viola
da gamba con Raffaello che la cinge fra le braccia e
ne trae suoni amorosi.
Pablo legge la cronaca tutta d’un fiato e si butta ad
illustrare come in un grande fumetto le avventure dei
due amanti. L’artista crea immagini in bianco e nero
profondo, situazioni di una storia in cui Raffaello e la
sua donna litigano, (imm.320) lanciando calci e
rovesciandosi l’un l’altro sul letto e per la stanza,
mentre lui continua nello stesso tempo a ritrarla.
(imm.321 – imm. 321 bis)
Ma poi subentra il grottesco ed ecco che da dietro i
tendaggi (imm.322) spunta il viso sconvolto di un
Papa guardone con la sua papalina in testa, tanto per
non dare nell’occhio. Da sotto il letto fa capolino la
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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faccia di Chigi, il banchiere suo mecenate, che si
gode la scena ululando come un bracco in amore.
Ma ecco che a ‘sto punto esplode il dramma per
Raffaello: Chigi, in un impeto di possesso lo ha
letteralmente sequestrato. Pretende che, come da
contratto, il maestro sia presente a tempo pieno
nell’esecuzione delle pitture del suo palazzo, a
cominciare dal Trionfo di Galatea. Ma non aveva
fatto i conti con la strabordante passione che proprio
in quel tempo aveva travolto Raffaello per la
Fornarina.
Di certo i due innamorati erano entrati in una crisi
disperata. La ragazza aveva urlato: “Basta, per te
sono ormai diventata solo una modella, (imm.325)
che a tempo debito si può sbattere sul letto tanto per
rilassarsi un po’ fra una pennellata e l’altra. Io voglio
un amore normale, magari fra l’erba di un prato
anche di notte con il trillar dei grilli”.
Ormai Picasso è diventato parte del testo. Fra una
pagina e l’altra disegna una sequenza surreale,
(imm.327) dove la Fornarina va dondolandosi come
un’acrobata su un’altalena appesa fra gli alberi, e lui
la insegue abbrancato a un rampicante. Cambio di
scena e la Fornarina, sempre nuda, che minaccia il
suo amante: “Sai cosa ti dico: (imm.328) piuttosto
che continuare a fare la bambola a tutto servizio torno
a fare la putt…, pardon... la mondana volante…
(ancora imm.328 - imm.329) e mi faccio pagare! Un
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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giorno con uno, un giorno con l’altro e con te e con i
tuoi colori, pennelli, cartoni e tele ho chiuso!!!”. E
così dicendo esce sbattendo la porta. Ma subito
rientra... s’era dimenticata d’essere completamente
nuda.
Ripresa su Dario?
Raffaello rimasto solo è abbattuto, perdipiù ora è
prigioniero del suo mecenate e spera che
l’arrampicarsi sui ponteggi e stendere colore lo
distragga dal suo dramma, ma quella terapia non
funziona. Se ne accorge anche il Chigi, suo mecenate,
che si rende che dopo la lite con la Fornarina,
Raffaello sta dipingendo sì, ma di malavoglia,
silenzioso e ingrugnito. Il banchiere indaga... anzi
ordina a un suo segretario di indagare. Costui,
ricevuto l’ordine, si avvicina a Raffaello e gli dice:
“Maestro, io devo andare in città, passo dal mercato
grande. Se vi occorresse qualcosa non fate
complimenti… Ve lo procuro in giornata.”.
Raffaello si illumina all’istante: “Avrei una lettera da
consegnare. Qui c’è l’indirizzo, tenete, non parlatene
con nessuno.”.
E il segretario: “Sarò una tomba con le ali…..volevo
dire con i piedi, insomma!”.
Appena l’uomo di fiducia torna, il banchiere lo tira
dentro una stanza e chiede: “Com’è andata?”.
“Il maestro mi ha consegnato una lettera da portare a
una sua signora”.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Il banchiere incalza: “La Fornarina, immagino …”.
“Sì, lei”.
“E non mi dirai che ti sei permesso di aprire la
missiva e di leggertela?!”.
“Signore, io ho imparato tutte le buone maniere da
voi… Certo che l’ho aperta e l’ho letta anche!”.
“Bravo! Così si fa fra signori. Cosa diceva la
lettera?”.
“Il Maestro si dichiarava disperato: ‘Amore mio, tu
sei il mio respiro, senza di te mi sento soffocare,
senza il tuo viso, il corpo tuo, le mie mani vuote
cercano il tuo ventre e i tuoi seni…’”.
“Ma che l’hai imparata a memoria?”.
“No, la conoscevo già, il Maestro l’ha copiata da una
lirica dell’Ariosto! ‘Non so se sto vivendo in un
sogno disperato o in una vita...’”.
“Basta! Basta! Mi vuoi recitare tutto l’Ariosto?!
Dimmi piuttosto... Lei come ha reagito? Eri lì quando
l’ha letta?”.
“Un po’ in disparte ma presente. Non ho capito il suo
commento. Piangeva troppo e singhiozzava. Però ha
scritto una lettera”.
“Un’altra lettera? Per te?”.
“No da consegnare al maestro! L’ha incollata dentro
una busta e ci ha messo pure della lacca”.
“Ma che è, una lettera papale? Quindi non hai potuto
aprirla?”.
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“Perché no? Mi è bastato intingerla nell’acqua
bollente... la lacca si stacca subito, sbirci cosa dice la
lettera e poi riattacchi!”
“Bravo, sei proprio un gentiluomo… E che dice lo
scritto?”.
“Minaccia in quella lettera che si butterà dalla
finestra se lui non torna!”.
“Esagerata: la solita sceneggiata!”.
“Non credo… era smorta come non l’avevo vista
mai.”.
“Ho capito: fai preparare la carrozza e con molto tatto
vai da lei e portamela qua. Possibilmente vestita… Se
si è già buttata dalla finestra… non portarla”.
Detto fatto, non passa manco un’ora che la Fornarina
arriva a palazzo. Entra per il retro, dove sta la
scuderia.
Il banchiere prima sistema la figliola poi va nella
stanza del Trionfo di Galatea, Raffaello è lassù sul
ponteggio alto.
Sale fino a lui e gli dice: “Ascolta, amico mio, hai
una faccia che non mi piace. Prenditi una pausa…
forse la camera che ti ho procurato non è la più
adatta, soprattutto con lo stato d’animo che ti ritrovi.
Vieni… c’è una camera che ho fatto preparare per te
che dà sul pergolato, adornata di fiori appena colti, e
con un letto dove ci si potrebbe far capriole, tanto è
morbido e grande”.
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Prendendolo sotto braccio lo accompagna alla stanza.
Davanti alla porta se ne va e lo lascia solo.
Raffaello spalanca le ante e di fronte a lui nuda in
piedi sul letto c’è Margherita, la Fornarina.
(imm.333) Entrambi all’unisono mandano un grido di
gioia. Aaaahhhh!!! Si lanciano uno nelle braccia
dell’altra, (imm.334 – imm. 335) si rotolano fino a
cadere dal letto… Il resto ce lo racconta ancora
Picasso con i suoi disegni, che ha dedicato a questo
incontro durato due giorni e due notti, salvo le pause
pranzo sotto il pergolato, un’intera suite pittorica con
centinaia di immagini. (imm.337) Picasso s’è lasciato
andare a raccontare amplessi erotici esasperati, da
follia… roba da denuncia immediata! (ancora
imm.337 - imm.338)
Quindi mi spiace ma non ve le possiamo mostrare...
ci sono anche dei ragazzini... Beh, solo qualcuna ma
così… un po’ veloce… sono proibiti i gemiti!
(imm.339) Chiudete gli occhi! E’peccato... (imm.339
- imm.340) Niente commenti per favore! Genitori,
fatevi spiegare i momenti più interessanti dai vostri
ragazzini che sanno tutto!
___________________________________________
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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(stacco su immagine Dario intera + primo piano
Dario sull’altro schermo)
Ci siamo dimenticati di ricordare come Picasso,
durante l’ultima guerra, si ritrovò a vivere situazioni
difficili e pericolose a Parigi. I nazisti che avevano
occupato la Francia controllavano ogni sua azione:
bloccarono anche una sua mostra e perseguitarono i
suoi amici fraterni, sospettati di far parte della
resistenza.
Dalla Spagna alcuni federali franchisti (TAVOLA
FOTO DI FRANCO)insistevano nell’invitare il
Maestro a tornare in patria come del resto erano
riusciti a convincere altri noti pittori e artisti andalusi,
della Galizia e catalani, come per esempio Salvador
Dalì, (TAVOLA DALI’) che accettò le offerte del
regime e ottenne protezione e grandi onori da Franco
in persona; ma Picasso nemmeno rispose a quelle
sollecitazioni, ripeteva ad ognuno che sarebbe tornato
al suo Paese solo dopo la fine della dittatura e la
caduta di Francisco che egli chiamava il boia di
Spagna. (TAVOLA FOTO DI FRANCO)
(PRIMO PIANO DARIO – E INQUADRATURA
INTERA)
Terminato il conflitto la fama di Picasso invase tutto
il pianeta, a cominciare dagli Stati Uniti.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Indubbiamente Pablo era diventato l’icona di se
stesso. Sulla sua vita e le sue opere furono scritti e
stampati migliaia di testi in tutte le lingue del mondo.
Si girarono addirittura dei film con lui che recitava il
proprio personaggio.
Ma fra i numerosi elogi di critici entusiasti della sua
genialità, cominciarono a spuntare anche alcuni
detrattori, ricercatori eruditi che con spietata ferocia
lo descrissero come un satrapo egoista ed erotomane
fino alla follia e soprattutto un egocentrico travolto
dal suo smisurato successo. Quei sòloni facevano
inoltre pesanti ironie sul suo essere un personaggio
pago della propria ricchezza e sul denaro che nelle
aste i collezionisti offrivano per una sua opera: a New
York furono pagati 94 milioni di dollari per una sua
tela con una suonatrice di mandòla (imm.354)
(FOTOGRAFIA TELA IN SCENA) che accompagna
una danzatrice, ma di dove sia finita in realtà
quest’opera non abbiamo documentazione, quindi ci
siamo permessi di ricostruire il dipinto basandoci su
qualche bozzetto originale, sia chiaro è un falso, ma
d’autore! Chi lo vuole acquistare alzi la mano,
approfittatene, questa copia di Picasso la vendiamo
con uno sconto notevole, in cambio di un solo barile
di benzina! No? E’ troppo?! Va bene, andiamo
avanti!
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Nessuno ha mischiato tecniche e ingredienti (TAV.
CON NATURA MORTA) come è riuscito a Picasso,
il quale ha dipinto usando ogni mezzo sia cromatico
che plastico: cartoni spezzati, pezzi di metallo,
chiodi, lamiere traforate, vernici, smalti, colori per
vetro, incisioni, sbruciacchiature, getti di fuoco,
stracci di tessuto, dalla seta alla canapa, cocci di
terracotta. Si può ben dire che è riuscito ad anticipare
l’uso nell’arte figurativa di tutto ciò che abbiamo
visto usare nell’ultimo secolo, perfino l’encausto,
cioè a dire produrre un’opera con un forno infuocato
dietro una parete appena affrescata.
Al tempo in cui venne presentata la mostra a Milano,
il cronista di un giornale conservatore sorprese
Picasso in un grande negozio di elettrodomestici
(FARE TAVOLA) intento ad acquistare oggetti di
grande dimensione: un’enorme graticola, due
grattugie, un colabrodo, una pentola a pressione, uno
sparachiodi, due tritacarne, un potente frullatore, un
frammentore meccanico e una gigantesca pattumiera.
“Servono per una cucina aziendale, immagino?” lo
provoca il giornalista reazionario che l’aveva seguito.
“No, per un’opera d’arte da esporre al Palazzo Reale
di Milano! Se viene a visitarla domani la trova già
montata”.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Picasso la sera stessa si era messo all’opera.
Cominciò con il montaggio a incastro dei vari pezzi,
con un saldatore elettrico li fissò uno all’altro in una
progressione monumentale, alla maniera di un
palazzo futurista, quindi alla base dell’opera scrisse:
Allegoria drammatica di una struttura bancaria al
servizio dei risparmiatori. Cittadini, cascateci prego!
La truffa è aperta.
Ma torniamo a parlare di donne.
Dopo la guerra Picasso ebbe relazioni amorose a dir
poco multiple: prendeva, lasciava, ricuciva, disfava
finché non gli capitò di imbattersi in una giovane
attrice di molto talento, Ametille Frasseneux,
(TAVOLA GIA FATTA) che recitava il comico e il
tragico con la stessa facilità, incantando tutti.
Si innamorò di Pablo ma ad un certo punto scoprì che
quel inarrivabile genio capace di struggenti dolcezze
sapeva all’improvviso trasformarsi in una specie di
Caterpillar delle passioni con irresponsabilità a suo
dire criminale.
Al colmo delle umiliazioni l’attrice lo lasciò su due
piedi e si trovò senza mezzi, (FARE TAVOLA) sola
con un bimbo di pochi anni avuto da Pablo, senza
lavoro in quanto rimasta fuori completamente dal
giro del teatro. Ma non si lasciò abbattere: decise di
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reagire scrivendo la cronaca degli amori di Picasso e
delle sue donne in dieci puntate da pubblicare su un
giornale di notevole tiratura a mezzo fra lo
scandalistico e il satirico.
Riuscì ad ottenere un contratto con quella specie di
feuilleton. Il compenso era notevole. Nel contratto
l’autrice si impegnava a mai fare i nomi reali dei
protagonisti, compreso il suo, salvo quello di Picasso;
ma si doveva indovinare facilmente che i fatti e le
situazioni messi in scena erano del tutto autentici.
Eccovi una delle prime puntate:
‘C’è un vecchio detto che minaccia chi troppo
facilmente gioca con le commedie:
Attento a te, che spudoratamente spesso manipoli
inventando false passioni, soprattutto amori con
figliole, e con troppa leggerezza le metti in scena. Ti
può capitare di vivere un inatteso rovesciamento e da
gabbatore bugiardo ti ritroverai gabbato e sfottuto a
tua volta.
Picasso di certo non conosceva questa massima
spietata. Quando si mise in testa di sedurre Geltrude,
(FARE TAVOLA) la ragazzina dell’Accademia di
Pittura che per caso incontrò a Montmartre, la invitò
nel suo studio; fra l’altro Pablo ne utilizzava ben tre
di atelier solo a Parigi (FARE TAVOLA va sull’altro
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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schermo) nei quali invitava a spogliarsi modelle di
professione e occasionali. Inoltre, proprio in quel
tempo, l’artista si trovava a vivere una relazione
molto seria con Ametille, (FARE TAVOLA) attrice e
pittrice di talento che gli aveva dato da poco un
figlio, il cane non era suo! Picasso, proprio come
nelle pochade all’italiana, (FARE TAVOLA) aveva
scelto un appartamento esattamente situato di fronte
alla casa che divideva da anni con Ametille, l’attrice,
così gli bastava uscire dal suo letto, scendere le scale,
attraversare la strada e risalire per un’altra rampa... ed
eccolo entrare in un altro appartamento per gettarsi su
un nuovo letto fra le braccia di una nuova amante già
calda e appassionata.
Ma ahimé entra in scena il solito impiccione... come
si dice, un amico fidato, il quale parlando con
l’attrice da poco madre le spiffera quello che sa della
nuova tresca con la ragazzina dell’Accademia. Non
solo ma le confida anche che la nuova musa che non
ha ancora diciassette anni molto probabilmente è già
rimasta a sua volta incinta. L’attrice fulminata da
cotanta notizia su sollecitazione del chiacchierone
sbircia dalla finestra, tenendosi nascosta dietro una
tenda e, puntando l’attenzione sull’appartamento di
fronte, scorge una giovane donna che attraversando le
varie stanze si incontra - con chi? - ma con Pablo
Picasso in persona!, che l’abbraccia e se la
sbaciucchia. L’attrice, che sbircia dalla finestra di
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fronte, sviene franando al suolo come fulminata.
(FARE TAVOLA)
Nello stesso istante squilla il telefono, l’impiccione
afferra il ricevitore e risponde:
“Pronto, chi è? - quindi ponendosi discosto a bassa
voce – Pablo! Oh Pablo, è successo un disastro qui!
Qui a casa tua! Vieni subito! Sei nudo?! Ma vestiti e
vieni! Subito, pianta lì la ragazza! E chi se ne frega se
si dispera!”.
L’attrice come nei drammi sconvolgenti ritorna in sé
e quasi immediatamente si lancia verso la finestra,
(TAVOLA DA FARE) per fortuna già spalancata,
con slancio da saltatrice acrobatica con l’intento di
gettarsi nel vuoto ma è bloccata dall’impiccione che
nello scontro si becca una ginocchiata tremenda nel
basso ventre, ululato ed esplosione in lacrime; solo
ora l’infame chiacchierone si rende conto del disastro
che ha combinato e dopo essersi affacciato alla
finestra inventa lì su due piedi che si è sbagliato: “Ma
no, adesso che guardo bene non è una sua amante
quella ma è la figlia!”
“La figlia di chi?”
“Di Pablo! La conosco da un sacco di tempo... come
ho potuto confondermi, disgraziato! Quella figliola
che ha sbaciucchiato non è un’amante ma è Geltrude,
nata da una sua relazione con Marie-Thérèse sedici
anni fa. Per di più, mi viene in mente adesso che
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quella casa in cui si sono pocanzi incontrati, fra
l’altro, non è di Picasso ma del suo gallerista che
gliel’ha prestata solo per oggi!”
L’attrice afferra per le spalle il fabulone e lo scuote:
“Tu mi stai mentendo per salvare il tuo amico
puttaniere! Ma perchè - chiede - Pablo e la fanciulla
si incontrano di nascosto, in una casa prestata dal
gallerista?”
“Per il semplice fatto – gli risponde l’impiccione con
l’aria più sincera di questo mondo – che la madre di
lei non vuole assolutamente che il padre, Pablo, la
incontri e nello stesso tempo lei, la figlia, si è
innamorata follemente del padre e non può fare a
meno di frequentarlo”.
Scena seconda: ecco che in quel momento entra in
scena il grande pittore che ancora non sa nulla
(TAVOLA) di cosa è avvenuto nell’atto precedente e
l’attrice lo accoglie piangendo e ripetendo fra i
singhiozzi: “Non dovevi farmi una cosa simile,
perchè mi hai tenuto nascosto il fatto di tua figlia?!”
“Di che?! - dice Picasso sorpreso – Mia figlia?!”
“Non mentire, ti prego, so già tutto!”
“Ma di cosa sai tutto?”
Ed ecco che prende la parola l’impiccione: “Pablo, è
inutile che tentiamo di nasconderlo, stiamo parlando
di tua figlia Geltrude!”
“Figlia Geltrude?!” chiede stupido Pablo.
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“Ma sì, scusami ma ho dovuto dire la verità ad
Ametille, ti ha visto che la sbaciucchiavi da questa
finestra, là di fronte, nell’appartamento al terzo
piano!”
Picasso balbetta impacciato ma cerca di stare al gioco
e subito, a sua volta, improvvisa: “Sì, hai ragione,
non volevo che tu venissi a sapere di quest’altra mia
figlia, anche perchè è una cosa che mi sconvolge ogni
volta...”
“Perché ti sconvolge?!”
“Perchè la poverina è sorda...”
“Sorda?!”
“Sì sorda e muta. Ed è così penoso il comunicare a
gesti con lei davanti ad estranei!”
“Ah io sarei un’estranea?!”
“Sì insomma... non sei sua parente stretta, non
sapresti cosa dire... dal momento che non ti può
sentire!”
“E tu scusa come fai a comunicare con lei?”
“Ma io ho imparato l’alfabeto dei gesti, il linguaggio
dei segni insomma...”
“Oh, davvero?! E da quando conosci questo
linguaggio?”
“Da sempre, io avevo un fratello sordomuto...”
“Oh che guaio!”
“...quindi in casa si parlava tutti a gesti e articolando
la bocca senza far sortir parola”
“Non lo sapevo, non me ne avevi mai parlato!”
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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“Le cose tristi di una famiglia è meglio non metterle
in giro!”
Proprio nel momento in cui si sente nella stanza
appresso venire il gemito di un bimbo, Ametille
esclama: “Oh mio dio, il mio piccolo, mi ero
dimenticata della poppata!” e rapida se ne va dal
bambino. (TAVOLA)
Si spalanca la porta d’ingresso e fa la sua apparizione
un personaggio inatteso, è il gallerista di Picasso.
“Pablo, cosa sta succedendo?”
“Niente, perchè?”
“Sono stato nell’appartamento qui di fronte, che ti
avevo prestato, e ho trovato una ragazzina seminuda
in lacrime disperata che gridava: ‘Pablo mi ha
lasciata qui da sola, senza neanche darmi una
spiegazione!”
“Disperata?!”
L’impiccione a ‘sto punto entra di nuovo in gioco,
afferra le mani di Jacques Benièrs il gallerista,
spostando a lato Picasso e sibilandogli: “Lascia
parlare me!”
Quindi riprende: “Caro Jacques, ti devo dare una
notizia molto seria, Pablo ne ha combinata una delle
sue, bisogna salvarlo: ha messo incinta una
minorenne!”
“E’ quella che io ho incontrato poco fa
nell’appartamento?!”
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“Sì, è lei!”
“Mio dio! – esclama davvero preoccupato il gallerista
– Cosa succede adesso? Cosa si può fare?”
“Devi stare al gioco... quella figliola per tutti deve
essere la figlia di Pablo”
“La figlia? Avuta con chi?”
“Con la sua prima donna, Marie-Thérèse, sedici anni
fa”
“Ma lei, la ragazzina, sa di dover recitare la parte
della figlia?”
“No, non ancora, oltretutto è difficile comunicare con
lei, dal momento che è sordomuta”
“Davvero?! Non mi sembrava che lo fosse. Quando
l’ho incontrata gridava, parlava con una tale
aggressività...”
“Sì, ogni tanto torna in sè, ma dura poco”
In quel momento rientra nella stanza Ametille,
(TAVOLA) l’attrice, che tiene il bimbo in braccio e
lo allatta. Subito si rivolge a Jacques Benièrs: “Ma tu,
Jacques, lo sapevi che Pablo ha una figlia di
diciassette anni?”
“Come no?!” (Lui indugia un poco)
Pablo entra in battuta e esclama: “Ma certo che lo sa,
le ha fatto anche da padrino al battesimo!”
“E sai anche che è sordomuta?”
“Certo che lo sa!”
“Lascia parlare lui per favore!”
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“Sì, sì, lo so, so tutto della sordomuta...”
E l’attrice di rimando: “E sai anche che è incinta?”
“E’ incinta?! No, questo non lo sapevo, non me l’ha
detto... sai, col fatto che parla a gesti...”
“Come non lo sapevi?! - lo blocca l’impiccione – ti
ho pur detto che aveva una relazione con un suo
amichetto...”
“L’amichetto l’ha messa incinta?!”
“Eh sì!”
“E chi è?!”
“E chi deve essere?! Un sordomuto come lei...”
“Ahm no, questa no! Questa poi è troppo!” esclama il
gallerista.
Il bambino piange di nuovo e la madre dondolandolo:
“Sì, sì, sì, scusami piccolo caro... aspetta che ti do
l’altro seno... prendi, prendi. Aspettatemi un attimo,
devo cambiarlo, torno subito!”
Esce l’attrice madre e dalla porta principale entra la
ragazzina, sempre seminuda, che si copre a malapena
con uno scialle.
Picasso la blocca e dice tutto teso: “Perchè sei qui?!
Ti ho detto che non dovevi mai salire in questa casa!”
“Mi dispiace ma io voglio che tutto sia messo in
chiaro! Voglio parlare con Ametille”
“Non puoi!” esclama l’impiccione.
“Perchè non posso?”
“Perchè sei sordomuta! A meno che non accetti di
parlare con gesti e facendoti intendere muovendo la
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bocca senza proferir parola. E ricordati che tu non sei
l’amica di Pablo, ma sua figlia!”
“Io sono sua figlia?! Ma dico siete tutti impazziti?!”
L’attrice sta rientrando in scena. Pablo blocca la
giovane Geltrude. “State tutti al gioco per carità!”
Ametille scorge la ragazza coperta solo dallo scialle
ed esclama: “Sei la figlia di Pablo! (TAVOLA già
fatta) Oh che piacere conoscerti! Peccato che non mi
riesca di comunicare con te!”
((TAVOLA) E tutti quanti all’unisono cominciano a
muovere le mani, gesticolando e mimando
espressioni incomprensibili; come in una danza
ognuno sorpassa l’altro nella pantomima emettendo
suoni gutturali. Si ode il pianto del bambino che
sovrasta ogni chiacchiericcio. E’ il caos. Fine del
dramma.
Del suo modo di amare e di essere amato abbiamo
già lungamente trattato, fin troppo forse, ma val la
pena di accennare, seppur brevemente, ad un suo
comportamento nei riguardi di Jacqueline, l’ultima
delle sue mogli. (imm 355 – imm. 356)
Si erano sposati in segreto: racconta un suo amico
pittore che mentre Jacqueline e Pablo stavano
provando un passo di flamenco nello studio della loro
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villa in Provenza (imm. 358) la radio diede la notizia
del loro matrimonio segreto. Picasso si levò urlando e
ridendo: “Oddio! Ci hanno scoperti! (ride) Che si fa
ora?! Si festeggia! Champagne prego!”. E così corse
a spalancare un frigorifero, ne cavò una bottiglia e a
gran velocità la stappò con l’uscita fragorosa del
tappo che raggiunse il soffitto schizzando qua e là
come in un gioco di ping-pong. Jacqueline aveva già
procurato i bicchieri e Picasso versava lo spumante
annaffiando tutti gli amici che accorrevano per quel
fracasso!
“Evviva gli sposi!” esclamò la signora.
Jacqueline si tolse velocemente l’abito e rimase
coperta solo della sua lunga sottoveste bianca, molto
trasparente, proprio da novella sposa! (imm.360)
“Evviva la regina!” brindò Picasso.
Il maestro aveva già superato i settant’anni e di colpo
si scopriva completamente legato a questa donna
come un acrobata retto per i piedi dalle sole mani di
Jacqueline che teneva in quel momento in gioco tutta
la sua vita.
Picasso non aveva mai provato una sensazione
simile. (imm. 362) Riusciva a rimanere per ore
seduto o sdraiato accanto a lei a parlare e farsi
coccole. La forza di Jacqueline, oltre che nella
bellezza, stava nell’essere una donna di altissima
cultura e che buttava subito in grottesco ogni
situazione seriosa e magniloquente.
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Può sembrare una facile retorica amorosa ma “con
Jacqueline – confidava Pablo Picasso – mi ritrovo
sempre privo di spazi e tempi vuoti. Ho perso perfino
l’interesse a corteggiare altre femmine e soprattutto
mi capita di non provare più la solita passione
incontenibile nel dipingere tutto quello che mi passa
per la testa... e vi assicuro che il mio cranio
assomiglia sempre più alla Gare du Nord all’ora di
punta.”.
“Quel pomeriggio ero stato a trovare Matisse nel suo
atelier sulla costa in Provenza e l’avevo sorpreso
intento a montare alcune grandi foto su un’ampia
tavola. Erano state eseguite da un famoso
documentarista subacqueo. Matisse, ritagliando e
incollando, ne aveva tratto una composizione di pesci
tropicali in un fondale di coralli. Mi apparve
un’immagine portentosa. ‘Ne farò un enorme dipinto!
- commentò Matisse – ma mi occorreranno parecchi
giorni di lavoro.’
“Tornai a casa - racconta Picasso - a Vauvenargues,
con quelle immagini che galleggiavano nel mio
cervello e nei miei occhi.”
Al mattino Picasso si svegliò che era da poco
spuntato il sole, si era d’estate. Jacqueline era andata
a trovare sua sorella ad Avignone. Sarebbe tornata la
sera, forse. Entrò in cucina e sul grande tavolo di
centro, presso il forno, vide gettati alla rinfusa
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grappoli di pesci straordinari, (imm. 365) era
sicuramente la spesa del cuoco per il grande pranzo
del venerdì. C’era uno zattarone color arancio (è una
specie di branzino delle profondità), pesci azzurri di
grande dimensione che sbattevano ancora la coda
tentando di respirare e un mazzo di anguille, anche
loro ancor vive. Per concludere nel mezzo ci stava un
grosso pesce nero e blu con le branchie gialle.
“Accidenti! – esclamò Picasso – Questo è un dono
stupendo della fortuna! Se mi do da fare riesco a
dipingere quella composizione di pesci prima che ci
riesca Matisse!”
Poi si guardò intorno e urlò: “Per dio! Ma non c’è
nessuno qua? Si lascia il pesce fresco ai quattro venti
senza ghiaccio?!” ma non ebbe alcuna risposta.
Andò nello studio al piano di sopra. Afferrò lo
scatolone dei colori e dei pennelli, si guardò intorno
alla ricerca di una tela grande ma non la trovò. C’era
qualche tavola ma non gli interessava, voleva una tela
di almeno un metro e mezzo per novanta. Scese
nell’atrio del salone, vide appeso al muro centrale il
grande ritratto di Jacqueline, (365 bis), finalmente
una tela!, la staccò e con quella raggiunse di nuovo la
cucina. Stese sul tavolone colori e pennelli, quindi
appoggiò di sguincio il quadro con la stupenda faccia
di Jacqueline che pareva lo guardasse piena di
terrore.
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Stese alcuni colori direttamente su un grande piatto,
quindi cominciò a dipingere coprendo qua e là il viso
della sua donna. (imm. 365 bis su uno schermo sull’altro imm.365) Il pesce arancio gli nascose gli
occhi, gli altri pesci cancellarono capelli, collo e
mani. Spuntarono pesci dipinti per tutta la tela e il
fondo del tavolo bianco ora si era trasformato in
azzurro.
Si staccò di qualche metro per osservarlo meglio,
tornò, capovolse il quadro, lo aggiustò, stese un rosso
fosforescente lungo il ventre di un’anguilla.
“AHAH – rise – voglio vedere la faccia di Matisse
quando scoprirà che gli ho fregato l’idea!”
In quell’istante sentì la voce di Jacqueline che
entrava per il gran portone, rideva con delle sue
amiche. Picasso abbandonò il quadro sul gran tavolo
e scese incontro alla sua donna. Jacqueline stava nel
salone con le sue ospiti e diceva ad alta voce:
“Eppure era qui, sono sicura... chi ha spostato il mio
ritratto?!”( imm.367)
Picasso era entrato e si bloccò all’istante. (imm. 369)
“Non saprei” – disse sottotono.
E Jacqueline: “Volevo farlo vedere alle mie amiche.
Chi l’ha spostato?”
“Io - dichiarò deciso Picasso – me ne sono servito per
una natura morta splendida, ma non preoccuparti
oggi stesso ti rifarò il ritratto. Avevo proprio bisogno
immediato di una tela...” (imm.372)
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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“Cosa?! Hai dipinto sulla mia faccia?! Me l’hai
cancellata?!”
“Ma non ti preoccupare – ripeteva il maestro come un
ragazzino colto in fallo – mezz’ora e il tuo ritratto
sarà qui di nuovo, identico!”
“Noooooo – Jacqueline scoppiò in lacrime – non si
può fare una cosa del genere! Quelli erano i più begli
occhi che ho avuto, e anche il sorriso... è l’unica volta
che l’ho visto riprodotto così somigliante, nessuno mi
aveva né fotografata né dipinta così felice!”
Jacqueline esplose in un grido terrificante, come la
stessero per squarciare.
“Calma! – urlò a sua volta Picasso – si risolve subito,
vieni con me in cucina!”; e quindi disse al cuoco che
finalmente s’era fatto vivo: “Nel mio studio c’è una
grande bottiglia con dell’acquaragia, portala quaggiù!
Dopo un attimo Picasso con un grande pennello stava
stendendo acquaragia leggera mista ad olio sul
quadro dipinto di fresco con i pesci che come per
incanto si scioglievano e colavano sul tavolo grande.
Tutto il colore della natura morta si stava dissolvendo
e sotto si vedeva apparire come su una lastra
fotografica l’immagine di Jacqueline che cresceva di
tono e presenza attimo per attimo. Picasso con un
grande straccio toglieva l’ultima pittura fresca, quindi
come un prestigiatore alla fine dell’esercizio
sollevava il ritratto della sua donna, lo sbatteva in
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aria gridando: “Et le voilà, les jeux sont faits!”
(imm.375)
Jacqueline afferrò il dipinto e scoppiò in lacrime
ridendo. I due si abbracciarono. “Dio! – esclamò
Picasso – che rischio ho corso! Sono sicuro che per la
mia follia ho rischiato di essere non ucciso, ma
abbandonato come un cane lungo la superstrada
d’estate!”
E, cosa mai vista al mondo, abbracciando Jacqueline
Picasso scoppiò in lacrime senza sapersi trattenere.
MUSICA
(copertina 1 – copertina 2)
<<<FINE>>>>