RINASCIMENTO ITALIANO AL MUSEO POLDI PEZZOLI: DIPINTI E SCULTURE DEL MUSÉE JACQUEMART-ANDRÉ DI PARIGI DI ANNALISA ZANNI Il 1881 e il 2002 sono stati due anni molto importanti nella storia dei Musei Jacquemart André di Parigi e Poldi Pezzoli di Milano. Nel 1881 infatti Edouard André e Nélie Jacquemart si sposavano, iniziando una vita di coppia costellata di viaggi, ricerche appassionate di opere d’arte, importanti progetti legati alla loro dimora in Boulevard Haussmann. Nello stesso anno, a Milano, apriva al pubblico, in occasione della prima Esposizione di Belle Arti “italiana”, il Museo Poldi Pezzoli, dono alla città voluto dal nobile collezionista Gian Giacomo Poldi Pezzoli, improvvisamente deceduto due anni prima, nel 1879. Nel luglio 2002 le due case museo e in particolare i presidenti delle due fondazioni che ne sono responsabili, la Fondazione Artistica Poldi Pezzoli e l’Institut de France, hanno ratificato un accordo di parternariato, che prevede una collaborazione scientifica tra le due direzioni artistiche e studi di progetti per la realizzazione di mostre, convegni, cataloghi... Il primo risultato di questa collaborazione speciale, in corso di studio da ormai due anni, è la mostra che viene presentata al Poldi Pezzoli dal 16 ottobre 2002 al 16 marzo 2003, realizzata grazie al fondamentale contributo di Banca Regionale Europea che anche quest’anno, insieme alla Regione Lombardia e a due assicurazioni (Duomo Assicurazioni e Axa Art) ha scelto di sostenere l’iniziativa più importante della casa-museo milanese. L’incontro tra le passioni dei coniugi Jacquemart-André e di Poldi Pezzoli era fatale e sicuramente la conoscenza della casa-museo milanese influenzò e guidò il percorso di ricerca e di mise-en scène della casa della coppia parigina. Le raccolte artistiche del Musée Jacquemart André sono state collezionate da Édouard-André (1833-1894) e da Nélie Jacquemart (1841-1912). Édouard, discendente da una ricca dinastia di banchieri protestanti, giunto al termine della carriera militare e politica, si era dedicato al mondo dell’arte: fu tra i fondatori del Musée des La Banca Regionale Europea sponsor di uno dei più importanti eventi della stagione culturale milanese 2002-2003. Esposte opere di Andrea Mantegna e Gian Lorenzo Bernini. Arts Décoratifs a Parigi e nel 1872 divenne direttore della “Gazette des Beaux-Arts”. Nélie, pittrice di professione, proveniva da una famiglia più modesta, di origine cattolica. I due si conobbero nel 1872, quando Édouard commissionò a Nélie il proprio ritratto. Il loro matrimonio suscitò molte polemiche a Parigi, a causa della differenza di ceto sociale e dell’età avanzata dei due sposi, ma fu un’unione che si rivelò assai forte, fondata principalmente sulla comune passione per l’arte. Monsieur André possedeva già una raccolta di quadri, mobili e oggetti artistici, Due collezionisti alla scoperta dell’Italia Dipinti e sculture dal Museo Jacquemart-André di Parigi orientata principalmente verso il Sei e Settecento francese. Fu Nélie a spingere il marito verso il collezionismo di opere d’arte italiana, in particolare del Rinascimento. A partire dal 1882 i coniugi André effettuarono lunghi viaggi in Italia, per acquistare presso i più importanti antiquari della penisola gli oggetti destinati a comparire nel loro Musée italien, al primo piano della residenza di Boulevard Haussmann. Il progetto che animava i due collezionisti era quello di ricreare e far rivivere, a Parigi, lo splendore dell’arte italiana del Rinascimento italiano. Gli André abitavano le stanze al pianterreno della loro residenza, mentre al primo piano era allestito il Musée italien. Nella prima sala erano esposte le sculture, alcune collocate su basamenti, altre murate sulle pareti, insieme a elementi di decoro architettonico. Nelle altre due sale i dipinti, le statue, gli arredi e gli oggetti di arte decorativa convivevano in un insieme armonioso, che intendeva ricreare la suggestione di un’abitazione italiana del Quattrocento. Questo tipo di ambientazione neorinascimentale, diffusa A sinistra: Andrea Mantegna, Madonna con il Bambino tra San Gerolamo e San Ludovico di Tolosa. A destra: Giovanni Battista Cima da Conegliano, Madonna con il Bambino. negli ultimi due decenni del XIX secolo e nei primi lustri del Novecento, era caratterizzata da un affollamento apparentemente casuale di oggetti diversi: si trattava di un allestimento simile a quello del Salone dorato del Poldi Pezzoli, che fu portato a compimento da Giuseppe Bertini, primo direttore del Museo, in occasione dell’apertura al pubblico del 1881. Dopo la morte del marito, avvenuta nel 1894, Nélie continuò ad accrescere la straordinaria collezione. A partire dal 1902, con l’acquisto della splendida residenza di Chaalis, situata fuori Parigi, dove aveva soggiornato da bambina, Nélie si dedicò alla sistemazione della nuova proprietà, dove allestì parte delle sue raccolte. Nélie decise infine di donare le sue due dimore, quella di Parigi e quella di Chaalis, all’Institut de France, a condizione che ne fossero rispettate l’integrità e la disposizione. Nel 1913, l’anno successivo alla scomparsa della collezionista, il suo desiderio si realizzò, con l’apertura al pubblico del Musée Jacquemart-André. I dipinti e le sculture esposti nella mostra vogliono essere una significativa, seppur parziale, rappresentazione della prestigiosa collezione di arte italiana costituita da Édouard André e Nélie Jacquemart. Le opere provengono sia dal Musée Jacquemart-André di Parigi che da Chaalis, situata all’interno di un parco, a nord della capitale francese: alcune delle opere erano conservate nei depositi e la mostra italiana rappresenta anche l’occasione di conoscere alcuni capolavori “nascosti”. Gli oggetti sono stati selezionati tenendo conto della qualità e dello stato di conservazione, rinunciando a spostare i dipinti su tavola di grandi dimensioni, troppo fragili per affrontare il viaggio da Parigi a Milano. Si è cercato inoltre di privilegiare le opere che hanno un legame diretto con Milano e che possono essere messe idealmente a confronto con i dipinti e le sculture del Museo Poldi Pezzoli. Si è voluto inoltre riunire alle opere della collezione Jacquemart-André la tavola raffigurante Due devoti in preghiera conservata presso la Pinacoteca di Brera. Il dipinto, un tempo ritenuto di Giovanni Antonio Boltraffio e ora attribuito a Bernardino Ferrari, era stato infatti scelto da Nélie Jacquemart per la propria raccolta. La collezionista lo acquistò a Milano nel 1896, e lo cedette l’anno seguente a Brera, su richiesta di Giuseppe Bertini, direttore della pinacoteca braidense, oltre che del Poldi Pezzoli. Le collezioni Poldi Pezzoli e Jacquemart-André furono quindi formate, seppure in momenti diversi, grazie a conoscenze, consigli e opere degli stessi antiquari, cono-scitori e restauratori: a Luigi Cavenaghi, ad esempio, si devono molti interventi “ricostruttivi” di dipinti su tavola del Rinascimento italiano destinati alle due raccolte e ancor oggi caratterizzanti alcune opere di Cima da Conegliano conservate nei due musei. Tra le novità più importanti emerse grazie all’accurato lavoro del comitato scientifico e di tutti gli studiosi che hanno collaborato al catalogo della mostra vi sono senz’altro i due fronti di cassone toscani acquistati da Nélie Jacquemart come opera italiana del XV secolo. Si tratta di due dipinti superbi, di una qualità che raramente è dato riscontrare nella pittura di questi oggetti. Malgrado il non perfetto stato di conservazione, è ancora possibile ammirare due opere di altissima qualità, caratterizzata da una ricchezza e una molteplicità pittoriche straordinarie: cavalieri e soldati in armature preziosissime e riccamente decorate, mera- A sinistra: Mino da Fiesole, Busto di San Giovanni Battista fanciullo. Sotto: Nélie Jacquemart e Édouard André a Carlsbad. Pagina a destra: Bernardo Zenale, San Sebastiano. Gian Lorenzo Bernini, busto di papa Gregorio XV Ludovisi. vigliosi cavalli coperti di finimenti e di gualdrappe di un lusso sfrenato, pose eleganti ma insieme grintose ed energiche, punti di vista continuamente variati, improvvise apparizioni di volti adolescenziali incorniciati da mille riccioli biondi o, negli episodi della battaglia, di facce selvaggiamente urlanti nell’eccitazione del combattimento. Il soggetto è stato identificato come Trionfo di Lucio Emilio Paolo; di conseguenza l’altro raffigura la Battaglia di Pidna, in cui il console romano sconfisse il re macedone Perseo nel 168 a. C. La qualità pittorica ha suggerito a Luciano Bellosi il prestigioso nome di Andrea del Verrocchio, orafo e scultore oltre che pittore, con le cui opere si possono proporre molti confronti. I volti giovanili richiamano alla mente gli angeli del pittore fiorentino e soprattutto l’Arcangelo Raffaele che accompagna Tobiolo nella tavola della National Gallery di Londra (1470 circa); i volti asciutti e scavati, invece, e le stesse pose di tanti cavalieri fanno pensare a versioni in piccolo della statua veneziana del Bartolomeo Colleoni. Un’altra caratteristica saliente dei due dipinti che li indirizza ugualmente verso Verrocchio è il paesaggio “alla fiamminga”, che rivela affinità con il fondo del Battesimo di Cristo degli Uffizi, proprio nella parte riferibile a Leonardo. Il rinascimento toscano è ben rappresentato anche da un bellissimo busto marmoreo che raffigura San Giovanni Battista fanciullo, eseguito dallo scultore Mino da Fiesole intorno al 1470. Fu Donatello a creare il modello del san Giovanni fanciullo, che indossa la pelle di leone, prefigurazione della vita eremitica del santo nel deserto; fino ad allora l’iconografia prevedeva la figura intera del Battista come asceta adulto. Il soggetto fu poi ripreso da molti scultori, tra cui Mino. Dopo esser stato ai propri tempi uno tra i maestri di marmo toscani più amati dalla committenza religiosa e civile, e quindi uno tra i più prolifici, e dopo aver successivamente conosciuto tre secoli di quasi completo oblio, Mino divenne nell’Ottocento uno degli artisti più ricercati perché le sue opere erano considerate la rappresentazione di una bellezza ideale, pensosa e quasi sacra. Infatti, nel corso della sua esperienza fiorentina, Mino da Fiesole aveva dialogato coi migliori colleghi e concittadini della propria generazione - Desiderio da Settignano, Antonio Rossellino, Andrea del Verrocchio, Benedetto da Maiano - partecipando alla costruzione di “quell’elettissima civiltà delle forme” come scrive Francesco Caglioti nella sua scheda scientifica, “che ora l’Europa ottocentesca intendeva rilanciare”. Ben rappresentata nella collezione JacquemartAndré è anche la scuola rinascimentale veneta: prima fra tutte è la Madonna con il Bambino tra San Gerolamo e San Ludovico da Tolosa, eseguita da Andrea Mantegna intorno al 1455, la cui qualità può essere apprezzata, tra l’altro, nella finezza di esecuzione dei dettagli: dalle pagine dorate del volume che sta tra le mani di San Gerolamo al tessuto con cui è realizzato il manto della Madonna. Si noti la passione per i contrasti: il cuscino, come di lacca scura, su cui posano i piedi di Gesù, è appoggiato sulla balaustra di marmo mischio che inquadra, a piano americano, i sacri personaggi. Tanta sontuosa ascesi, tutta dentro i problemi dello stile, non impedisce il gioco naturale delle mani nude, ed intrecciate, di Maria e del suo bambino, che si contrappongono a quelle, in guanti bianchi, dei due maschi adulti. Appartenuta alla collezione bresciana del generale Teodoro Lechi, la tavola rimase nella collezione della famiglia fino al 1887, anno in cui il mercante veneziano Michelangelo Guggenheim la vendette ai coniugi André, con un’incertezza attributiva che è stata definitivamente sciolta da Giovanni Agosti nel 1998, che è anche l’autore cui si devono le precedenti osservazioni. Accanto a Mantegna è esposto uno splendido ritratto maschile di Giorgio Schiavone, allievo, come Mantegna, di Francesco Squarcione tra il 1456 e il 1460, quest’ultima data probabile dell’esecuzione dell’opera. In basso a sinistra: Giorgio Schiavone (Jurai Culinovic), ritratto virile. Sotto: Andrea del Verrocchio, trionfo di Lucio Emilio Paolo e Battaglia di Pidna (?). La scelta del supporto, pergamena incollata su tavola, appare piuttosto singolare, e potrebbe essere posta in relazione con la pratica della miniatura all’interno della bottega squarcionesca. Alla decorazione libraria rimanda anche l’uso dell’ombra su cui si staglia il viso, secondo una tecnica tipica della miniatura padovana. Il profilo dal naso adunco, ritagliato sullo sfondo, rimanda ai ritratti giovanili mantegneschi, quale ad esempio al ritratto maschile oggi conservato al Museo Poldi Pezzoli, cui da ormai dieci anni è stata riconosciuta la paternità mantegnesca. Altrettanto importante e preziosa la tavola di Giovan Battista Cima da Conegliano rappresentante una Madonna con il Bambino, eseguita intorno al 1493. Con l’attribuzione a Giovanni Battista Cima il dipinto fu acquistato da Madame André nel 1887 presso Giuseppe Bertini, allora direttore della Pinacoteca di Brera e del Museo Poldi Pezzoli di Milano, che le scriveva in una lettera del novembre 1887 “...avete avuto fortuna che il Poldi Pezzoli abbia così poco denaro in questo momento, altrimenti vi assicuro che vi avrei rubato il quadro”! Le due figure sono immerse in un paesaggio “moralizzato”, dove il grande albero che appare sulla sinistra suggerisce significati allegorici, in particolare alla Redenzione. Un valore simbolico è stato riconosciuto, come scrive Francesco Fossaluzza, agli stessi gesti compiuti dal Bambino, che cerca lo sguardo della Vergine, assorta in meditazione, e protende la mano per coprirsi con il suo velo. Tale gesto è ritenuto prefigurare quello di Maria al momento della Crocefissione, quando copre i fianchi di Cristo. Anche qui, infatti, il Bambino è rappresentato nudo in braccio alla madre, come avverrà nel momento della Pietà. Sempre al Veneto e all’esecuzione di Lazzaro Bastiani si deve un’altra preziosa tavola che faceva forse parte, assieme ad altre due, della decorazione della cassa con le reliquie di San Paolo I collocata nella chiesa di S. Lorenzo a Venezia. Vi è rappresentato il Giudizio e martirio di san Paolo I di Costantinopoli, che fu eletto vescovo nel 335 e, durante il conflitto con i sostenitori della fede ariana che il santo avversava, fu incarcerato e condannato a morte per strangolamento. Una fresca vena narrativa percorre gli episodi del racconto: dall’animata disputa teologica che assorbe gli ecclesiastici nella scena di apertura, al movimento scomposto del santo che annaspa nel disperato tentativo di sottrarsi alla morte, alla commovente processione di personaggi avvolti in bianche tuniche che, in ginocchio e a piedi scalzi, seguono il feretro del vescovo. Il pittore plasma le vivaci figurette con una pasta pittorica tenera e sensibile alle vibrazioni della luce, che aderisce alle forme in piccoli tocchi e sottili filamenti. Molte le affinità con la pittura di Carpaccio, come nella nave che si staglia sul cielo limpido simile a quella dell’Arrivo di Sant’Orsola a Colonia del 1490, e con quella di Jacopo Bellini, come osserva Lucia Sartor. Oltre alla tavola di Bernardino Ferrari, un’altra presenza lombarda, che testimonia la grande attenzione rivolta a questa produzione artistica dagli André, è senz’altro lo splendido San Sebastiano, attribuito con Sotto: Lazzaro Bastiani, giudizio e martirio di San Paolo I di Costantinopoli. A destra: un interno della mostra. autorevolezza da Stefania Buganza a Bernardo Zenale. Molte le citazioni “all’antica”: le rovine architettoniche sullo sfondo; il soldato, posto a quinta della scena, eroico miles romano; il carnefice di San Sebastiano in primo piano che sembra rielaborare liberamente la posa dell’arotino, come era chiamata nel Cinquecento la statua dello schiavo sciita scorticatore di Marsia; infine il bassorilievo inserito nel muretto dietro al santo, che rappresenta parte di un baccanale, con la figura di una menade sdraiata a destra e a sinistra un corteo di satiri, motivi ricavati con una certa disinvoltura da sarcofagi romani di soggetto dionisiaco. Evidenti le citazioni agli Uomini d’arme di Bramante e lo sfoggio di cultura antiquaria, che si ritrovano in molte opere dell’artista trevigliese, sottolineate da Stefania Buganza. Tra le sculture infine va segnalato uno splendido busto da Gian Lorenzo Bernini: si tratta del ritratto del bolognese Alessandro Ludovisi, papa col nome di Gregorio XV tra il 1621 ed il ’23, che fu il primo ritratto ufficiale di un pontefice commissionato a Bernini. Fu fuso per Scipione Borghese nel 1622, e venne rinettato dalle mani del maestro in persona, come sembrano garantire la qualità della superficie e la prestigiosa destinazione. Esso segue l’iconografia consueta ai busti papali della Controriforma: Gregorio è rappresentato in situazione liturgica, a capo scoperto e con indosso un piviale istoriato con le immagini dei Principi degli Apostoli. Siamo già di fronte ad un ‘ritratto parlante’, anche se la personalità e l’età dell’effigiato spingono Bernini ad utilizzare un registro sottile e sommesso: il taglio del busto (tradizionale, e cioè abbastanza rigidamente conico, per nulla disposto a suggerire il moto delle braccia), il sobrio e geometrizzante ornato del piviale, la posizione della testa (relativamente frontale e statica) guidano lo sguardo a concentrarsi sulle sfumature di espressione del viso. Con un lieve movimento che corruga la fronte ed accentua le pieghe intorno agli occhi, il papa fissa un interlocutore, socchiude le labbra e sta forse per parlare, come suggerisce Tomaso Montanari. La mostra e il catalogo sono a cura di Andrea Di Lorenzo. L’allestimento della mostra, progettato da Pier Luigi Cerri e realizzato grazie a Unifor, valorizza le relazioni stringenti che si sono scelte tra i dipinti e isola le sculture su basamenti di semplicissima linea, ad evocazione della sala delle sculture voluta da Nélie e Edouard André, e insieme consente ai visitatori di godere della visione delle opere nella loro tridimensionalità.