Dalla biografia a cura di Bonghi sul sito http://www.classicitaliani.it Alla disarmonia con il padre, un uomo dalla corporatura robusta e dai modi sbrigativi e concreti, corrisponderà nel suo animo una profonda venerazione per la madre, che gli detterà, dopo la morte di lei, le commosse pagine della novella Colloquii con i personaggi (1915). L’amore per la cugina, dapprima non ben visto, è improvvisamente preso sul serio dalla famiglia di lei che pretende, però, che Luigi lasci gli studi e si dedichi al commercio dello zolfo per poter sposare subito Lina. Nel 1886, durante le vacanze, Luigi si reca nelle zolfare di Porto Empedocle e lavora con il padre alla pesa dello zolfo; questa esperienza sarà per lui importantissima e gli fornirà spunti per novelle come Il fumo, Ciàula scopre la Luna e per alcune pagine del romanzo I vecchi e i giovani Alla fine del 1887 parte per Roma per frequentare l’Università della Sapienza dove si iscrive al secondo anno della Facoltà di Lettere, ed ha per professori Nannarelli, Monaci, Occioni, Guidi, Beloch, Dalla Vedova, Labriola, Piccolomini, Cugnoni, Lignana, Bonghi e De Ruggiero. A Roma viene accolto dallo zio Rocco, di cui abbiamo parlato, che abitava al numero 456 di via del Corso; ma dopo qualche mese si trasferisce in una pensioncina di via delle Colonnette, non molto distante dall’abitazione dello zio. Roma lo affascina e ne scrive in modo entusiastico alla sorella Lina, che in quegli anni viveva in Sardegna dopo essersi sposata con l’ingegner Calogero De Carlo e alla madre in tono più pacato ma non meno deciso a stabilirvi per sempre la sua residenza. Vi frequenta i molti teatri, soprattutto il Nazionale, il Valli e il Manzoni, sentendo un eccitamento che penetra nel suo sangue per tutte le vene. Ma prova anche un’amara disillusione, che si incarna proprio nella figura dello zio Rocco mitizzata nella sua fanciullezza: quegli ideali risorgimentali che aveva vissuto da bambino nei racconti della madre e dello zio, non esistono in quella Roma così diversa dai suoi sogni e dalle sue aspettative. Il risultato è la prima raccolta di poesie, intitolata Mal giocondo e pubblicata a Palermo nel 1889 dalla Libreria internazionale L. Pedone Lauriel, in cui sono raccolte poesie pubblicate già negli anni 1887/1888 Lo sfondo delle poesie è Roma, al cui contatto vacillano molti suoi ideali: fuori dall’ambiente, tradizionalmente conservativo e tendenzialmente statico, sul piano morale, della sua infanzia siciliana, si sfaldano fondamentali valori, e nasce la ribellione e la volontà di dire il disgusto di quella società corrotta, vecchia nelle sue strutture e incerta anche nelle forze giovani. (Lucio Lugnani, Pirandello. Letteratura e teatro, La nuova Italia, Firenze 1970, pag.16). V Il paese che un dí sognai, del mondo inesperto e dei mali, su la terra già lungo tempo lo cercai, fidente nel vago imaginar che scorta m’era. Molti paesi visitai deluso, molti da lungi salutai fuggendo, e su i lor tetti, declinante il giorno, con la notte, la pace e il dolce inganno sempre invocai dei sogni e il calmo oblio. Ma per incerte vie, tra sassi e spine, 1 tacito andando nel desio pungente, quanta parte di me viva lasciai! Folle, e sperai; folle, ebbi fede. E solo ai danni miei presiede ora crudele la coscienza che mai, che mai dal suolo in cui giaccio, menzogne pïetose, amor di donna o carità d’amico, a rïalzarmi non varran - piú mai. Né a te, paese dei miei sogni novi, ora piú credo; e tardi, ahimè, compresi che vano era cercarti sotto il sole. Se tristi grue pe ’l ciel fosco passare vedea mesto, tra gli alberi battuti da i primi venti d’autunno, in mente io mi dicea: «Là giú, là giú, lontano, nel bel paese dei miei sogni andranno, ove eterna fiorisce primavera ». E a lui credea n’andassero, portate dal lungo vento, anche le foglie ai rami strappate; a lui le nuvole, e le vaghe da i petti umani illusïon fuggite... Era follia, follia certo; ma dolce. Il mio primo libro fu una raccolta di versi, Mal giocondo, pubblicato prima della mia partenza per la Germania. Lo noto perché han voluto dire che il mio umorismo è provenuto dal mio soggiorno in Germania; e non è vero: in quella prima raccolta di versi più della metà sono del più schietto umorismo, e allora io non sapevo neppure che cosa fosse l’umorismo Il soggiorno romano viene bruscamente interrotto nel 1889; Pirandello ha un contrasto piuttosto acceso con il professor Occioni di Lingua e Letteratura latina, e allora, per evitare una probabile espulsione, su consiglio del professor di filologia romanza Ernesto Monaci, parte per la Germania diretto all’Università di Bonn, con una lettera di presentazione del professore stesso per Foerster. Qualche mese dopo (gennaio 1890) conosce conosce a un ballo mascherato Jenny SchulzLänder; così ne scrive alla sorella Lina: «Ho indossato anch’io un domino e - inorridite - ho anch’io ballato, o per dir meglio saltato, e meglio ancora, pestato i piedi al prossimo mascherato. Fui a dirittura forzato a farlo da una mascherina azzurra da un cappellaccio di paglia spropositato - che mi si attaccò al braccio e non mi 2 lasciò più per tutta la sera. A mezzanotte, ora in cui è costume di tór via le maschere, fui meravigliatissimo di riconoscere nella mia diabolica incognita, una delle bellezze più luminose che io mi abbia mai visto». La conoscenza di Jenny lo porta a lasciare via Neuthor e va a stare a pensione in casa della signora Länder, vedova di un ufficiale morto nella guerra franco-prussiana del 1870, madre della ragazza al n. 37 di Breite Strasse. Il suo secondo volume di poesie, dal titolo Pasqua di Gea, è dedicato proprio a Jenny (Meine liebe, süsse Freundin), di cui si innamora e che rivestirà una parte importante nella sua vita anche sul piano spirituale, in quanto gli rimarrà per sempre dentro l’amarezza di un amore non realizzato, l’unico vero della sua giovinezza. Appena dopo la discussione della sua tesi sui Suoni e sviluppi di suoni nella parlata del circondario di Girgenti, appena ottenuta la laurea, volta le spalle a Bonn e alla Germania con una impazienza e insofferenza che mai, a quanto pare aveva fino allora manifestato: “Non solo io non ho in animo di fermarmi per sempre a Bonn; ma io non vorrò, una volta partito, neanco rivederla più da lontano. Era di Roma che io ti parlavo; e là io conto di fermare la mia stanza per sempre... Io voglio il Sole, io voglio la luce, e qui non si vedono mai né l’uno né l’altra; qui i giorni s’estinguono come tramonti continui”: così scrive alla sorella (e la parola sole la mette con S maiuscola). Più tardi nel 1904, in una poesia intitolata Vecchio avviso, esprimerà meno banale insofferenza nei riguardi del mondo tedesco dirà di una sua inquietudine che è poi quella che per mezzo secolo ha assillato l’Europa intera. E la descrizione di una scena allora non inconsueta in Germania, il concerto domenicale di una banda militare: Questi versi, e più i tre che dicono di una natura spaventata e annientata dal vento di guerra e di morte delle trombe, sono i più veri e i più belli che Pirandello abbia scritto in quel periodo, e si levano come premonizione dolorosa all’alba di un secolo che conoscerà quella insania non improvvisa ma lunga, duratura, filosoficamente articolata. La filosofia detta della vita, i cui termini più facilmente di quanto si dovrebbe vengono impiegati a definire il mondo pirandelliano, si avviava a diventare la filosofia della morte. A noi qui, ora, basta sapere che Pirandello ne ha avuto il presentimento. (L. Sciascia, da La corda pazza) Il biennio tedesco era stato intenso fervido di lavoro: aveva letto i romantici tedeschi, tra cui Tieck, Chamisso, Heine, e Goethe, iniziato la traduzione delle Elegie romane di Goethe (che pubblicherà nel 1896), composto su imitazione delle Romane le Elegie boreali (che pubblicherà nel 1895 con il titolo di Elegie renane) e cominciato a meditare sull’umorismo attraverso lo studio dell’opera di Cecco Angiolieri, sul quale scriverà due saggi, uno dal titolo Un preteso poeta umorista del secolo XIII verrà pubblicato sul numero del 15 febbraio 1896 de La vita italiana e contiene le prime annotazioni sul concetto di umorismo che è il vero fondamento della sua arte e che sarà l’argomento di un apposito e importantissimo saggio, L’Umorismo del 1908, di cui parleremo. Nel 1892, l’anno delle prime novelle (La ricca e Creditor galante) dopo che aveva scritto esclusivamente versi e drammi, a parte Capannetta, comincia a comporre il suo primo romanzo, L’esclusa, il cui titolo fu più volte cambiato (L’infedele, Destinati, Marta Ajala, un nome che rientrerà nel suo destino), fino ad assumere quello definitivo. Il romanzo, concluso nell’estate dell’anno seguente a Monte Cave (poi Monte Cavo) sui colli Albani vicino Roma, che gli era caro anche perché gli ricordava le contrade del Reno presso Bonn e la figura di Jenny Schulz che forse presta un po’ del suo carattere dolce e nel contempo sicuro a Marta Ajala, resterà parecchi anni nel cassetto, finché verrà pubblicato prima a puntate fra il giugno e l’agosto 1901 sul quotidiano romano «La Tribuna» poi in volume nel 1903. Comincia a prendere vita quella folla di personaggi, spesso dolenti, che cercano di avere anch’essi una loro dignità di vita. Sul finire del 1893 sullo stradone che da Porto Empedocle sale verso Agrigento, conosce Maria Antonietta, anche lei di Agrigento, dove era nata nel 1872, figlia di Rosalia Rinaldi e di 3 Calogero Portolano, socio del padre; è un incontro combinato dal padre stesso che spera in un matrimonio tra i due giovani perché in questo modo avrebbe potuto risolvere parecchi problemi economici riguardanti la cava di zolfo che in quegli anni, per una prolungata crisi nel settore, destava non poche preoccupazioni. Fra i due giovani nasce istintivamente un’intesa spontanea, un trepidante sentimento amoroso (Aguirre) che porta subito a un contratto di matrimonio. Luigi parte per Roma da dove scrive quasi quotidianamente lettere alla bella sposa (13 lettere in venti giorni), dai grandi occhi ardenti e un po’ corrucciati, una donna timida e un po’ chiusa, di buona famiglia, che aveva fatto, probabilmente, i suoi studi presso le suore di San Vincenzo dell’Educandato Schifano, dove il 2 luglio 1892 diventa «Figlia di Maria» ed educata da un padre geloso e possessivo, temuto per il suo carattere difficile e tenuto in gran considerazione dai suoi concittadini. Le lettere mettono al corrente la futura sposa sulla ricerca e sui preparativi della casa e “parlano” del suo trasporto passionale per l’arte, per la scrittura e per la letteratura. E naturalmente del suo amore per Antonietta, un amore che fa sparire anche i disturbi neurovegetativi che negli ultimi anni hanno afflitto Luigi. Il matrimonio viene celebrato ad Agrigento il 27 gennaio 1894; dopo una breve luna di miele trascorsa al Kaos e un altrettanto breve viaggio di nozze, i due sposi raggiungono a Roma la casa che Luigi aveva trovato e arredato in via Sistina all’angolo con via del Tritone; l’anno seguente nasce il primo figlio, Stefano, che segna l’inizio della vita familiare di Luigi e di un periodo felice e tranquillo della sua esistenza, mentre Antonietta cercava di far di tutto per essere “una moglie esemplare”. Nel 1896 i due sposi cambiano casa e vanno a vivere in via Vittoria Colonna, nel palazzo Odescalchi, che sarà tanto carico di vicende nella storia della vita di Pirandello, dove nasce la secondogenita, Lietta, nel giugno del 1897. Sono anni sereni, allietati dalla buona salute e da due figli che crescono bene senza causare problemi e da una certa tranquillità economica, aiutati anche dalla presenza assidua e amichevole del dottor Capparoni, il medico di famiglia, che sapeva dare all’occorrenza un consiglio buono a tutti, ad Antonietta su come rinforzare i capelli indeboliti dalle maternità, a Luigi per i suoi disturbi neurovegetativi e a tutti e due su come allevare e curare i disturbi dei bambini. Ma la vita a Roma, lontano da ogni presenza familiare, con il peso del ménage familiare sulle sue spalle, senza consigli, non doveva essere comunque tanto facile per la giovane Antonietta, che col matrimonio si sente gravare addosso il peso della famiglia senza nessuno vicino che le possa dare un consiglio. Sta di fatto che di tanto in tanto comincia a manifestare sintomi di insofferenza e momenti di nervosismo non sempre ben celati, soprattutto quando nel suo appartamento restava sola con i bambini mentre il marito era via, in casa degli amici Màntica o Ugo Fleres o al caffè “Aragno” di via Veneto. In questi anni si avvia intanto anche la “carriera” di scrittore di Pirandello: nel 1896 completa il romanzo Il turno, che verrà pubblicato a Catania nel 1902 dall’editore Niccolò Giannotta: il romanzo rappresenta il predominio del caso sulle vicende umane, un caso, o destino che dir si vuole, che rende imprevedibile ogni avvenimento anche, anzi soprattutto, quando gli uomini credono fermamente di poter dominare, o perlomeno guidare, il corso dei fatti. Alla fine del 1897, insieme con alcuni amici, fonda la rivista settimanale “Ariel”, che avrà vita breve (25 numeri fino al 5 giugno 1898), sul quale pubblica l’atto unico L’epilogo, che verrà poi intitolato La morsa, e alcune novelle (La scelta, Se..., ecc.); nella primavera è chiamato ad occupare la cattedra di Linguistica e Stilistica all’Istituto Superiore Femminile di Magistero. Diventa più intensa la collaborazione a riviste e giornali, come La Critica; la Tavola rotonda, su cui pubblica nel 1895 la prima parte dei Dialoghi tra il Gran Me e il piccolo me e il Marzocco, sul quale escono nel 1900 alcune celebri novelle (Lumie di Sicilia, La paura del sonno). Nel 1901 pubblica la raccolta di poesie Zampogna e a puntate, come abbiamo visto, il romanzo L’esclusa su La Tribuna; l’anno successivo raccoglie in volume alcune novelle che erano già uscite su riviste e giornali e le pubblica col titolo Beffe della morte e della vita (una seconda serie uscirà l’anno seguente) e pubblica il secondo romanzo (Il Turno), dedicato alla moglie Antonietta (la dedica: Buona siesta, Nietta mia). 4 Nel 1903, anno particolarmente difficile e doloroso, arriva dalla Sicilia la tragica notizia dell’allagamento della zolfara di Aragona, nella quale i Pirandello avevano investito i loro averi, compresi quelli della dote della moglie di Luigi. Il dissesto economico costringe Pirandello, dopo un pensiero al suicidio, a riconsiderare su una base diversa il suo approccio con la letteratura, prima tanto disinteressato: ora, in qualunque modo, deve diventare fonte di introiti economici per sostentare la famiglia, visto che il magro stipendio di insegnante non poteva certo bastare al fabbisogno dei familiari e al mantenimento del suo decoro Il fu Mattia Pascal, che viene pubblicato nei fascicoli di aprile, maggio e giugno del 1904 e poi in volume: è il suo primo vero successo non solo in Italia ma anche all’estero, caso singolare per un autore italiano. Nel 1910 con poche varianti viene pubblicato in una seconda edizione nella collana “Biblioteca amena” da Treves e nel 1918 in una terza edizione con numerose varianti; nel 1921 abbiamo l’edizione praticamente definitiva con la casa editrice Bemporad di Firenze (dopo aver lasciato la Treves): è in questa quarta edizione, che lo leggiamo oggi, arricchita da qualche variante e soprattutto dall’appendice Avvertenza sugli scrupoli della fantasia, che accompagnerà sempre le successive edizioni. Sono anni di intenso e quotidiano lavoro: nel 1908 pubblica un volume di saggi dal titolo Arte e scienza e l’importantissimo saggio L’umorismo, che contiene una forte vena polemica con parte della cultura ufficiale, e soprattutto con Benedetto Croce col quale si innesta una diatriba che sarà lunga e spesso anche velenosa; l’anno seguente viene pubblicato a puntate la prima parte del romanzo I vecchi e i giovani, che riportando gli avvenimenti del 1893-1894 ripercorre la storia del fallimento e della repressione dei Fasci siciliani. Nel romanzo sono adombrate le figure del padre Stefano (Stefano Auriti) e della madre Caterina (Caterina Laurentano), come lo scrittore stesso scriverà ai genitori. Sul finire del 1911 sarà addirittura lui a dover lasciare la casa maritale di Roma prendendo in affitto due stanzette ammobiliate: è un momento di profondo sconforto che troviamo puntualmente nelle sue lettere alla sorella Lina. Li divide soprattutto l’incomunicabilità, il muro invalicabile che Antonietta erigerà tra sé e il marito, un po’ per trauma mentale e molto per assoluta diversità di idee e di istinti nei riguardi del coniuge, visto come il titolare di una cultura che sradica (Claudio Toscani: L.P., Il fu Mattia Pascal, a cura di Claudio Toscani, A. Mondadori, Milano 1991, p. XIII). Unico conforto è l’arte, nella quale riesce a sublimare la triste tragedia quotidiana. umorismo I due volumi, insieme a quelli già pubblicati di novelle, romanzi e poesie, serviranno per la nomina a professore ordinario, che avviene con un decreto del 28 novembre 1908 col quale gli viene affidata ufficialmente la cattedra di “Lingua italiana, stilistica e precettistica e studio dei classici, compresi i greci e latini nelle migliori versioni” nel primo biennio dell’Istituto Superiore di Magistero di Roma; ed è una nomina che risolve in parte i suoi problemi economici. Pur pesandogli molto, come abbiamo visto, la professione di insegnante, anche se a quanto pare ebbe notevole successo presso gli allievi per il senso del dovere e per il modo stesso con cui affrontava la storia letteraria e l’analisi dei testi classici, Pirandello abbandonerà la cattedra solo nel 1922. Proprio il 1910, il nove dicembre, segna l’ingresso ufficiale di Pirandello nel teatro, non più come spettatore, ma come autore: al Teatro Metastasio di Roma la Compagnia del «Teatro minimo», diretta dall’amico Nino Martoglio, attore e regista suo conterraneo, mette in scena due atti unici, La morsa (che è un rifacimento de L’epilogo pubblicato su «Ariel» nel 1898) e Lumìe di Sicilia ricavato forse proprio in quell’autunno dalla novella pubblicata sul Marzocco nel 1900. Numerose sono le repliche: La morsa piace di più al pubblico, Lumìe di Sicilia alla critica. Nel frattempo continua a scrivere e pubblicare novelle, che assumeranno il titolo generale di Novelle per un anno. 5 L’anno dopo, contestualmente alla pubblicazione di straordinarie novelle, come La patente e La tragedia di un personaggio (leggere per i Sei personaggi), presso l’editore Quattrini di Firenze esce Suo marito, (che il Treves non poté pubblicare per sue ragioni particolari, e ne fu dolentissimo, scrive nella Lettera autobiografica), romanzo pieno di spunti che saranno sviluppati nel teatro. Nel 1913, il 20 giugno, abbiamo la seconda presenza di una sua opera in teatro: nella Sala Umberto I di Roma la Compagnia del «Teatro per tutti» diretta da Lucio d’Ambra e Achille Vitti (che erano stati i soci presentatori per la sua iscrizione alla Società Italiana degli Autori avvenuta il primo gennaio 1911) rappresenta Il dovere del medico. Fino al 1915 gli anni passano lenti e dolorosi per il continuo aggravarsi della malattia della moglie. Il lavoro che lo assorbe maggiormente è quello di prosatore: Pubblica proprio in questo ultimo anno, da giugno ad agosto, il romanzo Si gira... sulla Nuova Antologia, che uscirà in volume nel 1916 e ristampato infine nel 1925 col titolo attuale di I quaderni di Serafino Gubbio operatore. Il 1915 è uno degli anni più tristi per Pirandello e chiude un periodo della sua vita in cui afferra per intero il significato del sentimento del dolore. Due soprattutto gli avvenimenti che lo hanno caratterizzato: • • il 24 maggio l’Italia entra in guerra e il figlio Stefano, pieno di ideali e tenace interventista parte volontario ma ben presto (il 2 novembre) viene fatto prigioniero e rinchiuso prima nel campo di raccolta di Mauthausen poi (dopo Caporetto) in quello di Plan in Boemia: una prigionia durata praticamente tre anni (fino al novembre 1918), durante i quali c’è un intenso scambio epistolare tra padre e figlio importante sia per i temi trattati che per i sentimenti quotidiani che ci possono gettare un fascio di luce discreto e illuminante non solo per quanto riguarda l’artista Pirandello e i primi anni del suo teatro, ma anche per l’uomo; (leggere ultima parte di Colloqui coi personaggi I) la morte della madre, avvenuta in settembre, una presenza sempre viva nella sua mente anche quando era lontano e la consapevolezza di essere sempre vivo in lei e nel suo pensiero, una presenza forte per per il suo carattere, quasi un riparo per resistere meglio agli attacchi traditori dell’esistenza, lei che sapeva così bene usare la prudenza, che le consigliava di evitare in ogni occasione di prendere di petto le situazioni e di prendere decisioni definitive, e la prudenza non può essere unita che agli affetti più profondi. . (Leggere parte evidenziata Colloquii coi personaggi – II) Le condizioni di salute della moglie diventano molto difficili; dal 1916 non tornerà più nemmeno a Girgenti e Lietta diventa il bersaglio del suo male. Lietta è remissiva, è rassegnata (la sua abnegazione pare quasi incomprensibile in una ragazza della sua età), ma a un certo punto compie un gesto inaspettato che rivela al padre la sua disperazione: tenta il suicidio (Aguirre), ma il colpo di rivoltella non parte, perché la capsula non è esplosa. Presto ritorna una parvenza di serenità, Lietta riacquista una certa forza d’animo che le consente di affrontare i duri momenti degli accessi della malattia: c’è da pensare a Stefano, prigioniero al fronte, a reperire e confezionare pacchi con indumenti, vettovaglie e sigarette. Tutto il teatro pirandelliano nell’ordine cronologico delle prime rappresentazioni italiane n. titolo fonte stesura prima rappresentazione 1910 1 La morsa nel 1897 nov. 1892 6 9 dicembre - Roma, (epilogo in un atto) - titolo originario: L’epilogo ("scene drammatiche”) 2 Lumie di Sicilia uscirà una novella dal titolo “la paura” sullo stesso soggetto Teatro Metastasio, Compagnia del «Teatro minimo» diretta da Nino Martoglio Lumie di Sicilia novella del 1900 1910? 9 dicembre - Roma, Teatro Metastasio, Compagnia del «Teatro minimo» diretta da Nino Martoglio 1913 3 Il dovere medico del «Il gancio» 1902, poi intitolato «Il dovere del medico» 1911 20 giugno - Roma, Sala Umberto I, Compagnia del «Teatro per tutti” diretta da Lucio d’Ambra e Achille Vitti 1915 4 5 Se non così (La ragione degli altri) Cecè «Il nido» 1895 - fine 1895 19 aprile - Milano, Teatro Manzoni, Compagnia stabile milanese diretta da Marco Praga (prim’attrice Irma Gramatica) luglio 1913 14 dicembre - Roma, Teatro Orfeo, Compagnia del «Teatro a sezioni” di Ignazio Mascalchi e Arturo Falconi 1916 6 7 Pensaci, Giacomino! in dialetto siciliano Pensaci, Giacomino! (1910) feb.-mar. 1916 10 luglio - Roma, Teatro Nazionale, Con la compagnia di Angelo Musco Liolà in dialetto agrigentino cap. IV de Il fu Mattia Pascal (1904) - La mosca (1904) agosto settembre 1916 4 novembre - Roma, Teatro Argentina, Compagnia di Angelo Musco, in dialetto siciliano 1917 8 Così è (se vi pare) «La signora Frola e il signor Ponza suo genero» marzo aprile 1917 7 18 giugno - Milano, Teatro Olimpia, Compagnia di Virgilio Talli con la Melato e Betrone (1917) 9 Il berretto sonagli a «La verità» 1912 «Certi obblighi» (1912) agosto 1916 27 giugno - Roma, Teatro Nazionale, Compagnia di Angelo Musco, in dialetto siciliano col titolo ’A birritta cu’ i cincianeddi Prima rappresentazione in italiano: 15 dic. 1923, Teatro Morgana di Roma con la Compagnia di Gastone Monaldi 10 La giara ’A giarra in agrigentino La giara (1909) ottobre? 1916 9 luglio - Roma, Teatro Nazionale, Compagnia di Angelo Musco in dialetto siciliano col titolo ’A giarra 11 Il piacere dell’onestà «Tirocinio» (1905 apr.-mag. 1917 27 novembre - Torino, Teatro Carignano, Compagnia di Ruggero Ruggeri 1918 12 13 Ma non è una cosa seria commedia in tre atti La signora Speranza (1902) Non è una cosa seria (1910) Il giuoco delle parti Quando s’è capito il giuoco (1913) agosto? 1917 febbr.1918 22 novembre - Livorno, Teatro Rossini, Compagnia di Emma Gramatica, con la Gramatica nella parte di Gasparina, Camillo Pilotto in quella di Memmo Speranza e Aristide Arista in quella di Barranco luglio settembre 1918 6 dicembre - Roma, Teatro Quirino, Compagnia di Ruggero Ruggeri, con la prim’attrice Vera Vergani 1919 14 L’innesto commedia in tre atti 15 La patente prima in siciliano poi in italiano - sett. ott. 1917 29 gennaio - Milano, Teatro Manzoni, Compagnia di Virginio Talli La patente 1911 dic. 1917? in it.: dic. 1917 gen. 1918 19 febbraio - Roma, Teatro Argentina, Compagnia del «Teatro Mediterraneo» diretta 8 da Nino Martoglio, in dialetto siciliano col titolo ’A patenti - Torino 23 marzo 1918 al Teatro Alfieri con la compagnia di Angelo Musco 16 L’uomo, la bestia e la virtù Richiamo all’obbligo (1906) gen.-feb. 1919 2 maggio Teatro Compagnia Gandusio Milano, Olimpia, Antonio 1920 17 Tutto per bene Tutto per bene (1906) 1919 1920 2 marzo - Roma, Teatro Quirino, Compagnia di Ruggero Ruggeri 18 Come prima, meglio di prima La veglia 1904 ottobre? 1919 24 marzo Teatro Compagnia Celli-Paoli La Signora Morli, uno e due Stefano Giogli uno e due (1909) La morta e la viva (1910) estate autunno? 1920 12 novembre - Roma, Teatro Argentina, Compagnia di Emma Gramatica 19 Venezia, Goldoni, Ferrero- 1921 20 Sei personaggi in cerca d’autore commedia da fare Personaggi (1906) La tragedia di un personaggio (1911) Colloqui coi personaggi (1915) ottobre 1920 gennaio? 1921 10 maggio Roma, Teatro Valle, Compagnia Dario Niccodemi, interpreti Vera Vergani e Luigi Almirante 1922 - settembre novembre 1921 24 febbraio - Milano, Teatro Manzoni, Compagnia Ruggero Ruggeri 29 settembre - Roma, Teatro Argentina, Compagnia Lamberto Picasso 10 ottobre Teatro compagnia 21 Enrico IV 22 All’uscita mistero profano - aprile 1916 23 L’imbecille L’imbecille (1912) ? 9 - Roma, Quirino, Alfredo Sainati 24 Vestire ignudi gli aprile maggio 1922 - 14 novembre - Roma, Teatro Quirino, Compagnia Maria Melato e Annibale Betrone 1923 25 26 27 L’uomo dal fiore in bocca Caffè notturno (1918) - poi intitolato La morte addosso (1923) ? 21 febbraio - Roma, Teatro degli Indipendenti, Compagnia degli «Indipendenti” diretta da Anton Giulio Bragaglia La vita che ti diedi La camera in attesa (1916) I pensionati della memoria (1914) gennaio febbraio 1923 12 ottobre - Roma, Teatro Quirino, Compagnia Alda Borelli ? 23 novembre - Roma, Teatro Nazionale, Compagnia Raffaello e Garibalda Niccòli (in vernacolo toscano, riduzione di Ferdinando Paolieri) L’altro figlio L’altro figlio (1905) 1924 28 Ciascuno a suo modo da un episodio del romanzo Si gira... aprile maggio? 1923 22 maggio - Milano, Teatro dei Filodrammatici, Compagnia Niccodemi (interpreti Vera Vergani e Luigi Cimara 1925 - La giara 29 Sagra Signore nave La giara del della Il Signore della Nave (1916) trad. 1925 Roma, 30 marzo 1925 estate 1924 4 aprile - Roma, Teatro Odescalchi, Compagnia del «Teatro d’Arte», direzione Luigi Pirandello 1927 30 Diana e la Tuda (La trappola) in «Corriere della Sera», 22 maggio ott. 1925 ago. 1926 10 11 gennaio - Milano, Teatro Eden, Compagnia Pirandello (prima attrice Marta Abba, già rappresentata 1912 31 32 L’amica mogli delle Bellavita nel ’26 in prima assoluta a Zurigo) L’amica delle mogli ( 1894) agosto 1926 28 aprile - Roma, Teatro Argentina, Compagnia Pirandello (prima attrice Marta Abba L’ombra del rimorso (1914) 1926 (prima del 17 ottobre 27 maggio - Milano, Teatro Eden, Compagnia AlmiranteRossone-Tofano 1928 33 34 Scamandro - La colonia trama nel romanzo Suo marito nuova - 19 febraio - Firenze, Teatro dell’Accademia dei Fidenti, interpretazione del Gruppo Accademico, musica di scena di Fernando Liuzzi mag. ’26 giu. ’28 24 marzo - Roma, Teatro Argentina, Compagnia Pirandello (interpreti Marta Abba e Lamberto Picasso 1929 35 36 O di uno o di nessuno O di uno o di nessuno (1912 e 1925) - Lazzaro aprile maggio 1929 4 novembre - Torino, Teatro di Torino, Compagnia AlmiranteRossone-Tofano febbraio aprile? 1928 7 dicembre - Torino, Teatro di Torino, Compagnia Marta Abba; prima rappresentazione assoluta il 9 luglio 1929 al Royal Theater di Huddersfield nella traduzione inglese di C.K. Scott Moncrieff 1930 37 Come vuoi tu mi 38 Questa sera si recita a soggetto - ? 18 febbraio - Milano, Teatro dei Filodrammatici, Compagnia Marta Abba Leonora addio! fine 1928 inizio 1929 14 aprile - Torino, Teatro di Torino, Compagnia appositamente costituita diretta da Guido Salvini 11 (prima rappresentazione assoluta a Koenisberg il 25 gennaio 1930 tradotta in tedesco da Harry Kahn col titolo Heute Abend wird aus dem Stegreif gespielt 1932 39 lug. ago. 1932 - Trovarsi 4 novembre - Napoli, Teatro dei Fiorentini, Compagnia Marta Abba 1933 40 Quando si qualcuno è settembre ottobre 1932 - 7 Novembre – San Remo, Teatro del Casino Municipale, Compagnia Marta Abba (prima rappresentazione assoluta al Teatro dell’Odéon di Buenos Aires il 20 settembre 1933 con traduzione in spagnolo di Homero Guglielmini col titolo Cuando se es alguien) 1934 41 La favola del figlio cambiato Il figlio cambiato (1902) estate 1930 estate 1932 24 marzo - Roma, Teatro Reale dell’Opera, musica di Gian Francesco Malipiero, interpreti Florica Cristoforeanu e Alessio De Paolis, direttore d’orchestra Gino Marinuzzi. Prima rappresentazione solo testo (senza musica): 27 giugno 1949 a Bari al Teatro Piccinni «Piccolo Teatro della città di Bari» 1935 42 Non si sa come Nel gorgo (1913) Cinci (1932) La realtà del sogno (1914) - 12 13 dicembre - Roma, Teatro Argentina, Compagnia Ruggero Ruggeri (fu rappresentata per la prima volta al Teatro Nazionale di Praga il 19 dicembre 1934 con traduzione cèca di Venceslao Jiřina 1936 11 gennaio Trasmissione radiofonica, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche 43 Sogno (ma forse no) dicembre 1928 gennaio 1929 - - 10 dicembre 1937 - Genova, Giardino d’Italia, Filodrammatica del Gruppo Universitario di Genova (prima rappresentazione assoluta al Teatro Nacional di Lisboa il 22 settembre 1931, su traduzione portoghese di Caetano de Abreu Beirão col titolo Sonho (mas talvez não) 1937 44 I giganti della montagna Lo stormo e l’Angelo Centuno (1910) estate 1933 5 giugno – Firenze, Giardino di Boboli (Prato della Meridiana), Complesso artistico diretto da Renato Simoni (interpreti principali: Andreina Pagnani e Memo Benassi) Comincia così una attiva collaborazione, destinata a durare negli anni, con Martoglio e l’attore Angelo Musco. Con quest’ultimo spesso i rapporti saranno difficili, talvolta tempestosi, come ai tempi della rappresentazione di Pensaci, Giacomino!, perchè Pirandello era preoccupato soprattutto dal fatto che Musco, abbandonandosi alla sua irresistibile comicità spesso sfrenata e volgare, trascinava il pubblico nel gioco della farsa, allontanandolo dalla comprensione vera del dramma dei suoi personaggi. Ad un certo punto i rapporti erano diventati veramente tempestosi, tanto che il Pirandello arrivò alla minaccia della rottura completa della loro collaborazione spingendosi fino a ritirargli il permesso di rappresentare le sue opere, ritiro che restò in vigore per qualche mese e che solo l’intervento di amici comuni evitò che diventasse definitivo; la tempestosità di questa relazione rischierà di rompere perfino l’amicizia quasi fraterna che aveva per Martoglio. Proprio questi episodi porteranno in seguito il Pirandello alla realizzazione di una propria compagnia teatrale. Più collaborativi e sereni saranno i rapporti con un altro degli attori importanti dell’epoca, Ruggero Ruggeri, che porterà sulla scena opere importanti già dalla prima fase della produzione teatrale pirandelliana, a partire dal 1917 con Il piacere dell’onestà (che verrà rappresentata a Stoccolma nel 1934 in occasione dei festeggiamenti per la consegna a Pirandello del premio Nobel), 13 una commedia che fa leva soprattutto sul paradosso e sull’anormalità, ma già vi si avverte il conflitto tra realtà e apparenza e tra la vita e le forme: un grande successo, ovunque viene rappresentata, perché mette in risalto le capacità dell’attore principale della compagnia. Sempre nel 1917 viene messa in scena a Milano, tratta dalla famosa novella La signora Frola e il signor Ponza suo genero, Così è (se vi pare) (soffermarsi sul dramma teatrale) dalla compagnia di Virgilio Talli con la Melato e Betrone, reputato da Martoglio il solo capocomico capace di comprenderne l’alto significato: è un grande successo, come scrive lo stesso Pirandello alla sorella Lina, non dico per gli applausi, ma per lo sconcerto e l’intontimento e l’esasperazione e lo sgomento diabolicamente cagionati al pubblico. Pirandello la definisce una parabola ed ha per tema la verità, da tutti affannosamente cercata sin dall’inizio, ma da nessuna nemmeno avvicinata: è il dramma della inconoscibilità prima ancora che della follia: anzi, la follia è la manifestazione esterna di questa inconoscibilità. Una grande Maria Melato (cui la dedicherà con le semplici parole: «A Maria Melato per la sua passione d’arte, fatta d’amore, di dolore, di poesia» e che sarà interprete di altri grandi drammi pirandelliani) impersona la parte della signora Ponza: Il 1918 Sul finire dell’anno Ruggeri porta sulle scene a Roma Il giuoco delle parti, accolta freddamente, riproponendola sia a Genova che a Torino e infine a Milano, dove fra gli spettatori si scatena un’accesa battaglia anche di pugilato fra sostenitori e avversari. Il giuoco delle parti ... degnamente concludeva tutta questa fase delle opere immaginate e composte durante il conflitto. Di uno spirito di guerra, anche se questa non veniva mai nominata, si può dire che era intrisa una commedia di infamie e inganni e ritorsioni affilate, coi suoi personaggi mossi da intenti spietati, tesi com’erano a procurare la morte cruenta dell’antagonista, ma menando le loro trame in una meccanica fatale e in una sorta di inconsapevolezza morale della scelleraggine di quei fini e atti, similmente alla "innocenza" di soldati nel colpire i nemici, pur prevedendo bene, ciascuno di loro, e anzi calcolando l’effetto letale delle azioni. (Queste erano in parte considerazioni estemporanee di Stefano in una delle conversazioni familiari.) Non era possibile trarsi fuori da quella partita per un uomo che si voleva estraneo al consorzio dei propri simili e lo spregiava, e che si era oltretutto svuotato d’ogni passione e reso così anche sentimentalmente invulnerabile? Non bastava, per sguizzarne via, limitarsi a fingere una scrupolosa osservanza della mera formalità esteriore delle loro regole e dei ruoli sociali assegnati a ciascuno? Il personaggio pareva credere che bastasse. Ma l’autore sembrava piuttosto incline a diabolicamente divertirsi (e regalare al pubblico lo spasso) nel contemplare come un uomo siffatto, e nel caso concreto Leone Gala, c’era chi si provava invece a costringerlo ad assimilarsi all’esperienza delle moltitudini. In sostanza, di coloro, tutti, che accettavano il posto dato loro nella società e vi si attenevano non solo formalmente ligi ma fino in fondo, taluno con convinta rassegnazione e talaltro con gusto e animosità, anche se dovevano subirne, magari malvolentieri, conseguenze spiacevoli, e tra queste in qualche caso toccava persino lo scherzo della morte. Cosicché il conclusivo duello fuori scena, col rumore di ferri delle prove d’armi che l’avevano preceduto e l’esibizione degli strumenti chirurgici da posto di medicazione d’immediata retrovia, sotto la parvenza di irridere i tardivi cultori di un retaggio ottocentesco, suonava come richiamo del conflitto feroce che non era un’esplosione momentanea di violenza con i reciproci mortali inganni ma diventava modo connaturato e permanente della vita umana. (Andrea Pirandello, cit. p. 292) Il giuoco delle parti (estraniarsi dalla vita vedi temi)- La commedia presenta un triangolo amoroso: il marito Leone Gala, la moglie Silia che detesta il modo razionale di ragionare del marito che «guarda e capisce tutto punto per punto, ogni mossa, ogni gesto, facendoti prevedere con lo sguardo l’atto che or ora farai»; Guido Venanzi, l’amante della moglie, un personaggio debole che subisce da entrambi. Silia è assillata dal pensiero di liberarsi del marito facendolo uccidere ed 14 elabora un piano: lo spinge a sfidare a duello un giovane e spensierato marchese, celebre spadaccino, dal quale ritiene di essere stata offesa. Leone allora manda Venanzi a sfidarlo: come marito ha fatto il suo dovere, ma il duello dovrà sostenerlo colui che gode di fatto le grazie di Silia e vive con lei. Le condizioni dettate da Venanzi, credendo di porle per Leone e non per sè, sono dure: sfida fino all’ultimo sangue. Alla fine Venanzi deve accettare la parte assegnatagli da destino nel grande gioco della vita: l’esperto marchese lo uccide. Leone ha raggiunto il suo scopo, rovesciando il desiderio della moglie e facendo ricadere su di lei l’angoscia per una morte imprevista che lascia le cose come prima, anzi peggio di prima: ma per lui non è una vendetta che mette allegria. E nel 1918 Pirandello trova anche il titolo generale per le sue opere teatrali: Maschere nude Ai primi di gennaio del 1919 Antonietta viene portata nella casa di salute Villa Giuseppina, sulla via Nomentana (la follia vedi temi): la sua vita non è certamente stata fortunata, anche al di là del fallimento della solfatara che l’ha così scossa nell’intimo: non è riuscita ad accettare l’idea di condividere il marito con l’arte e di allontanarsi da quel quieto vivere che Girgenti le aveva riservato sin dall’infanzia, nella sicurezza di abitudini assimilate da bambina, di un modo di pensare e di esistere in cui si sarebbe sentita protetta: sradicata a Roma le pesa il fardello di prendere decisioni in prima persona, di accollarsi quelle responsabilità che nella casa paterna qualche altro si era sempre assunto per lei, a cominciare dalle piccole cose quotidiane, sostituendo il marito che era assente per lavoro. La follia di Antonietta diventa anche il rifugio per sfuggire alla paura di essere incapace di far fronte a questo cumulo di occupazioni quotidiane che rappresentano il fondo dell’assennatezza e della normalità di una donna, per lo meno all’inizio del Novecento, in cui la normalità era l’obbedienza a regole precostituite e valide per l’intera collettività. In quell’anno 1919, il 2 maggio, dalla Compagnia di Antonio Gandusio viene rappresentata al Teatro Olimpia di Milano L’uomo la bestia e la virtù Nel 1920, lasciando la Treves, per le sue pubblicazioni si mette d’accordo con la società editrice Bemporad di Firenze, un accordo che prevede anche la ristampa di tutto quanto aveva pubblicato fino a quel momento. Tre le prime importanti di questo periodo: Tutto per bene, scritta nel 1919; Come prima, meglio di prima, ricavata dalle novelle La veglia pubblicata sul «Marzocco» del 2 maggio 1904 Vexilla Regis, nel 1897 sulla rivista L’Italia, e rappresentata dalla Compagnia Ferrero-Celli-Paoli al teatro Goldoni di Venezia il 24 marzo; La Signora Morli, uno e due è la terza ’prima’ del 1920, scritta in quello stesso anno forse proprio a Francavilla a Mare, dove era andato insieme a Lietta, che vi trascorre la sua prima vera vacanza, e lavora alla stesura dela discorso celebrativo per gli ottant’anni di Verga che terrà in settembre a Catania. La commedia è tratta dalle novelle La morta e la viva (pubblicata sulla “Rassegna contemporanea” nel novembre 1910) e Stefano Giogli uno e due (su «Il Marzocco» del 18 aprile 1909) e rappresentata per la prima volta a Roma al Teatro Argentina dalla Compagnia di Emma Gramatica Il 1921 è un anno importante per il teatro italiano: il 10 maggio viene messo in scena al Teatro Valle di Roma dalla Compagnia di Dario Niccodemi Sei personaggi in cerca d’autore, la prima commedia della trilogia del cosiddetto «Teatro nel Teatro» (le altre due saranno Ciascuno a suo modo del 1924 e Questa sera si recita a soggetto del 1930). Alla fine del secondo atto gli applausi sembrano assicurare il successo pieno anche se non esaltante; Le chiamate, comunque, in scena tra primo e secondo atto sono una quindicina. Ma del terzo atto gli spettatori non capiscono nulla o quasi, e alla fine si scatena una battaglia con fischi del pubblico e urla: manicomio, manicomio!, e battimani dei sostenitori di Pirandello che, rannicchiato nel fondo di un palco insieme alla figlia Lietta, assiste allo spettacolo ed è quasi costretto a fuggire da un’uscita secondaria, accolto da fischi e lanci di monetine. Ben diverso fu l’esito dello seconda rappresentazione, avvenuta a Milano al Teatro Manzoni il 27 settembre. Nell’occasione scrisse 15 Marco Praga: “Il pubblico del Manzoni ha accolto trionfalmente questa strana commedia ch’è, indubbiamente, un’opera d’arte di una originalità rara”. Da allora il successo dell’opera fu assicurato su tutti i palcoscenici del mondo. Proprio in questo stesso mese di maggio Lietta si fidanza e a metà luglio si sposa nella basilica costantiniana di S. Agnese (come era allora prescritto, il matrimonio avvenne in due giornate, prima con rito civile e poi religioso, il 14 e 16 luglio). La partenza per il viaggio di nozze segnò il primo vero allontanamento da casa e un distacco doloroso da suo padre. Pirandello resta senza una presenza femminile in casa e la partenza di Lietta è un colpo durissimo. Poco dopo Stefano sposa Olinda Labroca, fine musicista, sorella di Mario Labroca che era stato suo compagno di studi al Convitto Nazionale; i due sposi vanno ad abitare in via Pietralata e sarà Olinda a prendere le redini di casa Pirandello che dopo qualche mese viene allietata dalla mascita della primogenita di Stefano, Maria Antonietta, lo stesso nome di sua madre, a dimostrazione di un amore che le dolorose vicende trascorse e la crudele malattia non hanno scalfito. Fra l’ottobre e il novembre 1921 scrive l’Enrico IV, la cui trama di fondo, ma senza il finale, aveva già anticipato in una lettera all’amico Ruggero Ruggeri, per il quale l’aveva pensata e scritta, definendola una delle sue commedie più originali. All’inizio di febbraio la legge agli attori che la metteranno in scena il 24 febbraio al Teatro Manzoni di Milano: è la Compagnia Nazionale diretta da Virgilio Talli, nata dalla fusione della Compagnia di Ruggeri con quella di Alda Borelli. Enrico IV è il primo e incontrastato trionfale successo di Luigi Pirandello, sia a Milano che a Roma Ormai la fama dello scrittore varca i confini dell’Italia: i Sei personaggi in cerca d’autore sono rappresentati in lingua inglese a Londra il 27 febbraio 1922 al Kingsway Theatre dalla Stage Society, e G.B. Shaw, che assiste a una serata, la consiglia a Brock Pemberton che la metterà in scena a New York al Fulton Theatre nel novembre dello stesso anno con ben 127 repliche. Nel 1922, oltre all’Enrico IV, vengono rappresentati ancora tre drammi: il 29 settembre al Teatro Argentina di Roma dalla Compagnia di Lamberto Picasso All’uscita, un atto unico apparso sulla Nuova Antologia nel novembre 1916, che può essere considerato più di altri l’atto di nascita ufficiale del teatro pirandelliano: è un dialogo di morti, insolito e assoluto che si richiama a una totale umiltà e vuol essere l’esplicito messaggio del “mito di una realtà ridotta a pura parvenza”. Il 10 ottobre va in scena al Teatro Quirino di Roma, con la compagnia di Alfredo Sainati L’imbecille, tratto dalla novella omonima pubblicata nel 1912 sul «Corriere della Sera», un dramma in cui l’intensa angoscia della vita e della malattia sono mescolati con la satira politica, condotta con piglio grottesco e triste ironia, che non nasconde una protesta contro certi costumi politici. Il 14 novembre va in scena, sempre al Teatro Quirino di Roma, Vestire gli ignudi, con la Compagnia di Maria Melato e Annibale Betrone. Ancora un suicidio, determinato dalla falsità dei rapporti umani, mancando i quali ciascuno di noi è nudo. Vestire gli ignudi - “Ognuno è un’anima nuda e sente la necessità di rivestirsi di un abito di rispettabilità, di qualità apprezzate dagli altri, per dare un senso alla propria vita e sentirsi concretamente qualcosa Colla data del 1923, ma in effetti nel novembre dell’anno precedente, Adriano Tilgher pubblica l’opera Studi sul teatro contemporaneo con la quale offre la prima interpretazione del teatro pirandelliano, che qualche mese prima era stata anticipata in un pomeriggio mondano a Roma. Il pomeriggio del 12 aprile 1922 la Roma intellettuale ed elegante affollava i locali dalla Galleria Giacomini in piazza Madama. Si inauguravano le Stanze del Libro e, dopo i discorsi ufficiali, Adriano Tilgher avrebbe parlato dell’arte di Luigi Pirandello. Tilgher parlò dell’umorismo e del rapporto tra la filosofia e l’arte di Pirandello, chiarì come nella sua opera 16 fosse presente il «contrasto tra l’eterno fluire della vita e i singoli eventi in cui esso di volta in volta si congella. Guai alle creature che per sé o per gli altri rimangono agganciate e fisse in un singolo fatto della loro vita senza potersene staccare». È da queste idee, affermava Tilgher, che nascono i Sei personaggi e l’Enrico IV. Adriano Tilgher - L’antitesi è perciò la legge fondamentale di quest’arte. L’inversione dei comuni ordinarii abituali rapporti della vita [ ... ] Dualismo della Vita e della Forma o Costruzione; necessità per la Vita di calarsi in una Forma ed impossibilità di esaurirvisi: ecco il motivo fondamentale che sottostà a tutta l’opera di Pirandello e le dà una ferrea unità e organicità di visione. Ciò basta da solo a far comprendere di quanta freschissima attualità sia l’opera di questo nostro scrittore. Tutta la filosofia moderna da Kant in poi sorge sulla base di questa intuizione profonda del dualismo tra la Vita, che è spontaneità assoluta, attività creatrice, slancio perenne di libertà, creazione continua del nuovo e del diverso, e le Forme o Costruzioni o schemi che tendono a rinserrarla in sé, schemi che la Vita, di volta in volta, urtandovi contro, infrange dissolve fluidifica per passare più lontano, creatrice infaticata e perenne. Tutta la storia della filosofia moderna non è che la storia dell’approfondirsi del conquistarsi del chiarificarsi a se medesima di questa intuizione fondamentale. Agli occhi di un artista che di questa intuizione viva - è il caso di Pirandello - la realtà appare nella sua stessa radice profondamente drammatica, e l’essenza del dramma è nella lotta fra la primigenia nudità della vita e gli abiti o maschere di cui gli uomini pretendono, e debbono necessariamente pretendere, di rivestirla. La vita nuda, Maschere nude. I titoli stessi delle opere sono altamente significativi. Se in un primo momento l’analisi tilgheriana piacque al Pirandello, ben presto gi sarebbe però sembrata troppo ristretta e limitativa sia perché troppo si rifaceva alla sua produzione fino al 1922 sia perché chiudeva la sua arte in un ambito dal quale sarebbe stato impossibile uscire. Qualche anno dopo, nel 1927, arriveranno alla polemica e praticamente alla rottura perché Tilgher pensa, e a molti lo fa pensare, di essere stato lo scopritore dell’arte pirandelliana e quasi l’artefice del suo successo. Nel ’28 fra i due scende il silenzio, anche perché Pirandello sceglie un volontario “espatrio”. Fra gennaio e febbraio del 1923, tratta dalle novelle La camera in attesa (pubblicata nel 1916 sulla rivista «La lettura») e I pensionati della memoria (pubblicata sulla rivista «Aprutium» nel 1914) scrive La vita che ti diedi per Eleonora Duse, che nel 1921 era tornata alle scene: ma i mesi passano senza che l’attrice dia una risposta. Intanto trae dalla novella La morte addosso, pubblicata su «La Rassegna italiana» il 15 agosto 1918 col titolo Caffè notturno, l’atto unico, considerato unanimemente fra le migliori opere pirandelliane, L’uomo dal fiore in bocca, che viene messo in scena da Anton Giulio Bragaglia al Teatro degli Indipendenti di Roma dalla Compagnia degli «Indipendenti” diretta da Anton Giulio Bragaglia il 21 febbraio. Subito dopo, parte per Parigi (per la prima volta varca i confini dell’Italia per seguire il suo teatro) dove il 5 aprile assiste alla prima dei Sei personaggi (Six personnages en quête d’auteur), con la traduzione di Benjamin Crémieux, al Théatre de la Comédie des Champs Élisées con la direzione di Georges Pitoëff (attore e regista). A dicembre del 1923 si imbarca sulla nave «Duilio” a Napoli per New York, dove arriva il 20 e assisterà al Fulton Theatre (ribattezzato per l’occasione Pirandello’s Theatre) alle rappresentazioni dei Sei personaggi e di Così è (se vi pare); il viaggio è fatto in compagnia dell’attore Arnold Korpff che metterà in scena l’Enrico IV (The Living Mask). All’arrivo a New 17 York viene ricevuto “da un esercito di giornalisti americani e italiani e di fotografi” (lettera al figlio Stefano). Festose sono le accoglienze degli italiani, e soprattutto della numerosa comunità siciliana: sono due mesi esaltanti. Al ritorno in Italia, in maggio (il 22 o il 23?) assiste al Teatro dei Filodrammatici di Milano, con la Compagnia diretta da Dario Niccodemi e gli interpreti principali Luigi Cimara e Vera Vergani alla prima di Ciascuno a suo modo, il secondo dei «drammi da fare» (della trilogia del teatro nel teatro, una definizione che lo stesso autore adotterà dopo aver messo in scena il terzo dramma, Questa sera si recita a soggetto nel 1930), che ripropone la storia della donna fatale, presente nel romanzo Si gira... . La prima di Ciascuno a suo modo fu preceduta già da polemiche, sollevate sollevate dal feroce avversario di Pirandello, il critico Domenico Lanza, che aveva per le mani la recentissima pubblicazione dell’opera (caso unico nella vita del Nostro Autore la pubblicazione dell’opera prima della rappresentazione) aveva recensito il testo in maniera molto negativa con “quattro colonne di vituperi” come scrisse lo stesso Pirandello in risposta sul Corriere della Sera,. Grande perciò divenne l’attesa. Questa è una parte del messaggio che Luigi Pirandello inviò a Mussolini nel settembre 1924, nel periodo della massima incertezza e della massima debolezza del regime che Mussolini da poco ha cominciato a instaurare e a realizzare dal punto di vista istituzionale. Tre mesi prima (il 10 giugno), Giacomo Matteotti era stato rapito e poi, presumibilmente subito dopo, assassinato da un gruppo di squadristi capitanati dal famigerato fascista fiorentino Amerigo Dumini (detto il Panella). Agli occhi di Pirandello certamente la classe politica italiana, che aveva retto le sorti del Paese dal 1890 in poi, era responsabile di una Grande Guerra che aveva toccato nell’intimo ogni persona, con morti, feriti e prigionieri, distruzioni e miseria nuova aggiunta alla miseria vecchia, e si era dimostrata incapace di risolvere i problemi del paese e ancor peggio, di capire i bisogni e i problemi del paese (pensiamo ad esempio a cosa pensavano i politici del “paese reale”). L’adesione è innanzitutto un atto d’accusa contro quella classe politica che era partita dallo scandalo della Banca Romana. Al contrario, il fascismo si poneva come l’unica formazione in grado di rompere con il passato e di risolvere i problemi, e qualcosa in questa direzione viene pur fatto, se pensiamo ad esempio all’istituzione della “Cassa mutua” e della pensione di vecchiaia che pone la legislazione sociale italiana all’avanguardia fra le nazioni civili e successivamente alla legge di riforma agraria. Ma nel contempo i mali morali del fascismo cominciavano a diventare sempre più evidenti, e i quattro anni trascorsi fuori dall’Italia dal ’28 al ’32 in “volontario esilio” gli faranno capire molte cose. Ma quando capisce, e questo avviene già a partire dal ’27, che l’essenza morale del fascismo è negativa almeno quanto quella della incapacità della vecchia classe politica dirigente, perché non sconfessa la sua adesione? Pirandello di fronte alla vita è nudo come i suoi personaggi, e ciascuno di noi può rivestirlo dei panni che ritiene più giusti: e per noi resta un mistero il suo atteggiamento più intimo. Vien da dire: è difficile conoscerlo! Di fronte alla politica svolge il ruolo passivo dell’osservatore, tanto che il regime non lo mostrerà mai come un fiore all’occhiello, ma in molte occasioni, come nel 1929, gli mette i bastoni fra le ruote impedendo la rappresentazione di Questa sera si recita a soggetto. Alla fine del 1924 si costituisce a Roma davanti al notaio Metello Mencarelli il Teatro d’Arte, da un’idea di Orio Vergani e Stefano Pirandello, fondato da un gruppo di undici personaggi, tra cui figurano anche Massimo Bontempelli e Giuseppe Prezzolini, che per questo verrà definito il «Gruppo degli Undici», che nel ’25 affiderà la direzione artistica sia per la sua ormai grande esperienza che per la sua fama a Luigi Pirandello, che ottiene sovvenzionamenti per i lavori di ristrutturazione del Teatro Odescalchi. Sovvenzionamenti 18 scarsi e che purtroppo arrivano a rilento (c’è perfino una contribuzione autorizzata da Mussolini di 50.000 lire). La direzione artistica della Compagnia del «Teatro d’Arte» costituisce un momento di fondamentale importanza nello svolgimento della poetica teatrale di Pirandello, che non si limita solo a dare delle indicazioni scenografiche contenute nelle didascalie delle opere, ma mette in pratica le sue idee e le sue intuizioni sia sul piano della messa in scena che della recitazione, idee che era venuto affinando assistendo ad alcune rappresentazioni a Parigi e a Berlino, attraverso Antoine e Pitoëff da un lato e dall’altro alla scuola di recitazione russa, che aveva in Stanislavskij la sua massima espressione. Guido Salvini ricorda che nei primi tempi dell’attività del «Teatro d’Arte» Pirandello tenne ai suoi attori delle vere e proprie lezioni sui sistemi di recitazione sperimentati dalla scuola di regìa russa, che ha come centro l’idea che ogni attore deve calarsi nel personaggio, per sentirlo dentro fino a immedesimarsi. Pirandello diceva « calarsi in un personaggio » quasi come in uno scafandro. Si trattava di un termine che, tolto dalla sua genericità e reinserito nel contesto dell’insegnamento registico pirandelliano, raccoglie alcuni importanti risultati dello studio di regole e caratteristiche della regìa europea di quegli anni e si ricollega così, da un lato, al suggerimento della verità, della spontaneità, della «obbedienza» naturalistica dell’attore che voleva Antoine Pitoëff e, dall’altro, all’insegnamento della recitazione, secondo il mitico Stanislavskij, per il quale era essenziale il momento della «identificazione» col personaggio, alla quale si doveva arrivare con tutti i mezzi possibili, razionali e non, al fine di raggiungere quel «cerchio dell’attenzione» nel quale coinvolgere gli spettatori, in cui nulla di estraneo deve interferire. Il 4 aprile al Teatro Odescalchi ha luogo, alla presenza di Mussolini, l’inaugurazione del del Teatro d’Arte con la rappresentazione dell’atto unico Sagra del Signore della nave, ricavato dalla novella Il Signore della nave, pubblicato sulla rivista “Il Convegno” del 30 settembre 1924. La Compagnia scrittura per un anno (dalla Quaresima del 1925 al Carnevale del 1926) la giovane Marta Abba come prima attrice, che debutta con Nostra Dea di Massimo Bontempelli, una «commedia moderna» nella quale l’autore afferma “una di quelle verità quotidiane, che ognuno ha cento volte modo di osservare, e prima le esaspera fino a darle un sorprendente aspetto di paradosso, poi grado a grado ne viene sviluppando le più impensate e divertenti conseguenze. I quattro atti alternano continuamente i toni più diversi della comicità più piena e gioconda alla più tagliente indagine dell’animo umano” (Dal programma di sala della serata). 1910 1 / 1917pan> 1918 2 / 1925span> teatro dell’uomo teatro del personaggio Pirandello al centro della scena 19 realtà, superstizione, uomo, religione La morsa; Lumìe di Sicilia; Il dovere del medico; Se non così; Cecè; Pensaci, Giacomino!; Liolà; La giara; La patente; L’imbecille; Bellavita realtà e apparenza, forme di vita, la vita della forma Così è, (se vi pare); Il berretto a sonagli; Il piacere dell’onestà; Ma non è una cosa seria; Il giuoco delle parti; l’innesto; L’uomo la bestia e la virtù; Tutto per bene; Come prima, meglio di prima; La signora Morli una e due; 1921 3 / 1930 1925 4 / 1931 trilogia teatro teatro del nel teatro della donna e dell’amore la donna (Marta) al centro della scena teatro dei miti il mito: come al di là, come poesia, come eternità 1932 5 / 1936 teatro come vita vita come teatro personaggi vs attori attore vs spettatore personaggi vs regista Sei personaggi in cerca d’autore Ciascuno a suo modo Questa sera si recita a soggetto l’amore, rapporto uomo donna, Marta e Pirandello Diana e la Tuda; O di uno o di nessuno; L’amica delle mogli; Come tu mi vuoi; Trovarsi; Quando si è qualcuno; Non si sa come esistenza e mito sociale maternità e mito religioso poesia come mito La nuova colonia; Lazzaro; I giganti della montagna (La favola del figlio cambiato) In una scena del suo ultimo dramma, Quando si è qualcuno, dove l’ispirazione autobiografica sembra prevalere, Pirandello presenta un anziano poeta al quale la giovane Veroccia rinfaccia il tempo in cui lei, innamoratissima, gli si era offerta tutta: «tutta - e tu lo sai - tu che non hai voluto, vile... non hai avuto il coraggio di prendermi, di prenderti la vita che io t’ho voluta dare - per te che soffrivi di non averne nessuna». È la fine del secondo atto e il poeta, rimasto solo, si mette a parlare con tenerezza infinita a Veroccia, come se fosse ancora presente: «... eri pronta a tutto... E ora mi rinfacci il male che non t’ho fatto... Tu non l’hai compreso questo ritegno in me del pudore d’esser vecchio... e la vergogna dentro, la 20 vergogna allora, come d’una oscenità, di sentirsi, con quell’aspetto di vecchio, il cuore ancora giovine e caldo». Il dramma sembra riflettere situazioni cui le lettere accennano: il non aver voluto e non aver potuto realizzare un grande amore destinato ad ardere senza più spegnersi, insoddisfatto, irraggiungibile, e quasi precipitato in un limbo penoso in seguito a un misterioso episodio traumatico al quale lo scrittore allude come a un evento ben noto a Marta: quella «atroce notte passata a Como» (lettera del 20 agosto 1926). Anni dopo (1929), abbandonato da Marta a Berlino, Pirandello attribuirà la sua miseria a un «sentimento che non c’è più» nel cuore dell’amata. Ma la speranza che quel sentimento possa rinascere non lo lascerà fino all’ultimo giorno. «Papà mio, forse non ti interessa sapere come sono andate e vanno le cose qui: te ne sei allontanato anche materialmente e devi giudicare senza vedere e sapere, da quello che te ne arriva lassù. Così non saprai mai come e perché e con che scopo io scrissi quella lettera. Io sapevo che mi difendevo il mio Papà e non ho veduto altro: la maniera mi fu suggerita come la migliore, l’unica forse. Papetto mio, tu sei l’unica persona che per qualche anno ha reso quasi felice questa mia vita disgraziata. Ma del mio affetto a te ormai non t’importa e quindi non puoi trovarmi scuse. Sono andata a cercarti a Milano per dirti quello che non so più scrivere, ma non m’è riuscito di sapere dov’eri.» Le parole di Lietta sono inutili, come inutile era stata la disperazione per la lontananza del padre. Aveva letto e aveva sentito parlare con poco rispetto di lui: glielo avrà scritto con parole che lo avranno ferito. Lietta avrà mancato di prudenza. Ma non è del tutto colpevole: quella lettera l’hanno incitata a scriverla, soltanto lei può permetterselo, le hanno detto. » Ai primi d’agosto del 1926 Pirandello torna a Roma per pochi giorni; i rapporti tra i figli sono diventati burrascosi. Stefano e Fausto, che vedono Lietta vivere in grande agiatezza mentre Manuel spesso ritarda il pagamento dei loro assegni vogliono chiarimenti: nel villino di via Onofrio Panvinio urla e grida contrassegnano la tragedia di una famiglia disunita. Pirandello si rende conto della tragica situazione finanziaria in cui versa; Lietta e Manuel, sono accusati di sperpero e di appropriazione di somme di denaro e Manuel non ha la possibilità di difendersi e di provare come tutte le sue azioni siano state rivolte a migliorare le condizioni finanziarie della famiglia (la stessa costruzione del villino potrebbe confermare le sue parole, che con l’annesso terreno ha un valore di circa un milione) facendo anche in modo che queste non risentissero delle disperate condizioni in cui versava la compagnia, per le quali Pirandello versa grandi somme e il 4 ottobre 1925 (quasi un anno prima) era arrivato perfino ad inviare un telegramma a Mussolini pregandolo di intervenire tempestivamente per evitare per sè e per la propria famiglia la bancarotta. Manuel e Lietta sono costretti ad abbandonare la casa e restano privi di mezzi finanziari: Pirandello aveva fatto perfino bloccare il loro conto corrente. Vengono ospitati dalla zia Lina a Viareggio finché non raggranellano la somma per pagarsi il viaggio di ritorno in Cile che avverrà l’anno seguente; i rapporti stessi fra i due coniugi diventano difficili, Lietta si sente sola e isolata dalla famiglia e non può ricorrere a nessuno nei momenti più dolorosi. Del doloroso episodio così scrive a Marta Abba il 5 agosto: Cara Marta, posso darti finalmente qualche notizia su quanto si prepara per il venturo anno comico. Ma debbo dirti prima, che non ti ho scritto finora perché la mia casa, il giorno dopo il mio arrivo, è stata purtroppo teatro di scene selvagge tra i miei figli e mio genero. Puoi immaginarti in quale stato d’animo mi trovi. Sono andato giù in pochi giorni, più che in dieci anni. Ma ho ancora tanta forza in me, da riavermi subito, appena passato questo momento di tempesta. Oggi alle 5 l’avvocato finirà d’accertare come stanno le cose, e si deciderà la sistemazione e il modus vivendi di ciascuno. ... 21 Trascorreranno tre lunghi anni prima che possano essere in qualche modo ricuciti i rapporti familiari, anni che non bastano comunque a far superare a Pirandello i suoi problemi finanziari, che, ironia delle liti, solo con la vendita del villino di via Panvinio nel 1929 potranno essere appianati ma le sue finanze non diventeranno mai floride viste le ingenti spese. Lietta ritornerà in Italia nel 1930. Ma le parole di Pirandello saranno amare: così scrive a Marta l’11 maggio mentre si trova a Berlino alle prese con la preparazione di Questa sera si recita a soggetto: Ora sei a Roma, Marta mia. Speriamo che non abbia a prenderti dispiaceri, né col pubblico né con la critica. Ma per quest’ultima ci ho i miei dubbi. Non so se vorrai vedere i miei figli, che ora sono tutti e due a Roma. Regolati come Ti senti e come Ti pare, Marta mia, senza nessun riguardo per me. Io non ho avuto altro da loro che amarezze senza fine, e ancora non mi lasciano in pace. È arrivato l’altro jeri da quell’altra sciagurata che sta in America un telegramma a Roma così concepito: “Pregovi mandarmi quindicimila posta aerea mio viaggio di ritorno, evitare conseguenze irreparabili, avvisare papà”. Naturalmente, mi hanno subito avvisato. Scusami se Ti ho parlato di questo. È per dirti qual è il mio animo verso i miei figli, perché Tu comprenda, che comunque Tu pensi di regolarTi, essi sono una Nel 1925 Marcel L’Herbier gira Il fu Mattia Pascal e chiama a interpretare la parte di protagonista Ivan Mosjoukine, il grande attore russo che prima della Rivoluzione d’ottobre aveva recitato in teatro la parte di Fedja Protasov de Il cadavere vivente di Tolstoj; Mosjoukine in Francia era diventato nel periodo del cinema muto era diventato un divo: «indimenticabile Mattia Pascal: - scrive Leonardo Sciascia in Pirandello dalla A alla Z, nonché tutti i lettori del romanzo che hanno visto il film, forse lo stesso Pirandello non riuscì più a ricordare il suo personaggio se non con la figura, i movimenti e le espressioni di Mosjoukine». Tra il ’25 e il ’26, dopo una gestazione durata quindici anni, esce a puntate sulla Fiera letteraria l’ultimo romanzo, Uno, nessuno e centomila La disintegrazione dell’individuo in tante forme di esistere quante sono quelle che ci danno le persone colle quali veniamo a contatto generano il problema della incomunicabilità e quindi di una condizione esistenziale dominata dalla solitudine. Moscarda cerca di ribaltare questa situazione generale, proponendosi come unico autore e generatore della propria forma di essere, distruggendo subito negli altri le forme che questi si creano. Il suo modo di agire non può che essere considerato folle dagli altri perché non allineato a nessuna delle forme che essi si sono create Alla fine a Moscarda non resta che ritirarsi in un ospizio dopo essersi privato di tutto, per “rinascere attimo per attimo”, come una sorta di rivincita dell’individuo sull’Enrico IV che resterà fisso nella sua follia perché l’unica forma che gli altri gli hanno dato e che lo ha immobilizzato una volta per tutte impedendogli di vivere. Il 20 novembre 1926 viene rappresentata in prima mondiale allo Schauspielhaus di Zurigo tradotta in tedesco da Hans Feist, Diana e la Tuda, la prima di una serie di drammi che l’autore compone ispirati alla sua musa vivente, Marta Abba; l’opera ha una gestazione abbastanza lunga: cominciata durante la tournée a Lipsia nell’estate del 1925, rappresenta il contrasto tra movimento e immobilità, tra mutevolezza e forma. Diana e la Tuda è centrata sul contrasto tra la vita in continua evoluzione e la forma dell’arte che la blocca immortalandola nell’espressione di un attimo fissa per sempre, mentre il vecchio Nono Giuncano, che da anni ha distrutto tutte le sue opere, ammira nella giovane donna la forza vitale, sacrificata alla forma immota e fredda dell’arte. L’opera verrà rappresentata in Italia per la prima volta il 14 gennaio 1927 al Teatro Eden di Milano dalla Compagnia di Pirandello con Marta Abba (leggere parti di Diana e la Tuda). La Compagnia del Teatro d’Arte, che nel frattempo aveva cambiato nome diventando “Compagnia del Teatro Argentina”, con attori protagonisti Lamberto Picasso e ovviamente 22 Marta Abba, alla fine di maggio del 1927 parte da Genova, imbarcata sulla motonave «Re Vittorio», per una lunga tournée nell’America del Sud, toccando prima l’Argentina (debutta il 15 giugno al Teatro Nacional di Buenos Aires dove resterà per un mese), poi l’Uruguay e il Brasile fino al 15 settembre. Tornati in Italia, da Novembre riprendono le rappresentazioni in alcune città italiane. L’anno dopo, il 24 marzo, mette in scena al teatro Argentina di Roma, sempre con la sua compagnia, il «mito» in tre atti La nuova colonia, che appariva come dramma scritto da Silvia Roncella nel romanzo Suo marito, pubblicato da Pirandello nel 1911. Nel gennaio 1928 finisce di comporre il dramma “onirico” Sogno (ma forse no), cominciato nel dicembre dell’anno precedente e pubblicato sulla rivista «La lettura», il supplemento mensile del «Corriere della Sera» nell’ottobre dello stesso anno. La sua prima rappresentazione avverrà a Lisbona in traduzione portoghese Sonho (ma talvez nâo) il 22 settembre 1931 e in Italia dopo la morte dello scrittore il 10 dicembre 1937 al Giardino d’Italia di Genova allestita dalla Filodrammatica fascista del Gruppo Universitario locale. Tra i mesi di febbraio e aprile del 1928 (secondo Alessandro D’Amico) scrive il secondo “mito”, sulla sacralità dell’esistenza, Lazzaro. In quello stesso 1928 il figlio Stefano si sposa con Pompilia D’Aprile, una modella di Anticoli Corrado, dove, come abbiamo visto, aveva trascorso molte villeggiature estive, e nell’anno seguente nascerà il loro primo figlio Pier Luigi. Nell’agosto dello stesso anno la compagnia del Teatro d’Arte di Pirandello, oberata dalle pesanti e irrisolte difficoltà economiche, si scioglie. È un momento di grande amarezza, nel quale si rende conto di essere abbastanza isolato nel panorama del teatro italiano, gestito da poche persone prive di scrupoli. 1928 Bisogna, bisogna andar via per qualche tempo dall’Italia, e non ritornarci se non in condizioni di non aver più bisogno di nessuno, cioè da padroni. Qui è un dilaniarsi continuo, in pubblico e in privato, perché nessuno arrivi a conseguire qualche cosa a cui tutti spudoratamente aspirano. La politica entra da per tutto. La diffamazione, la calunnia, l’intrigo sono le armi di cui tutti si servono. La vita in Italia s’è fatta irrespirabile. Fuori! fuori! lontano! lontano! Pirandello si reca dunque in «volontario espatrio», partendo probabilmente il 9 ottobre da Milano, a Berlino insieme con Marta accompagnata dalla sorella Cele; da metà dicembre vanno ad abitare, sempre in camere contigue, al numero 9 di Hitzingstrasse fino a metà febbraio 1929, quando si trasferiscono all’Hôtel Herkuleshaus in Friedrich-Wilhelmstrasse che diventerà la residenza abituale di Pirandello a Berlino. A Berlino intreccia subito febbrili trattative con agenti tedeschi e americani per entrare nel mondo del cinema, ma le parole sono molte e i fatti nessuno, mentre i mesi passano senza che si approdi a qualche vero contratto. Frequenta molto i teatri, conosce gente nuova, arricchisce le sue conoscenze di nuovi elementi, è interessato fortemente agli spettacoli dei registi espressionisti come Max Reinhardt, Erwin Piscator e Jessner. E per la novità e l’originalità delle soluzioni tecniche adottate lo affascina soprattutto Reinhardt, regista che tra l’altro aveva messo in scena, i Sei personaggi nel ’24. Di questi registi non condivide, però, l’autonomia spregiudicata dal testo scritto e dalle indicazioni dell’autore, arrivando a creare una messa in scena che tendeva a ri-creare il testo al di là di una pur legittima interpretazione registica. Il 13 marzo 1929, dopo cinque mesi di quasi convivenza, Marta abbandona Pirandello a Berlino e fa ritorno in Italia, dove cerca subito di reinserirsi nel mondo teatrale: ma le difficoltà sono tante, anche perché i sei mesi trascorsi lontano l’hanno fatta praticamente uscire dal giro, anche lei oggetto del boicottaggio che da molte parti viene effettuato nei confronti di Pirandello. 23 Il 22 marzo, Pirandello riceve da Mussolini il telegramma col quale gli annunzia la nomina ad Accademico d’Italia: “Sono lieto di parteciparle che Sua Maestà il Re su mia proposta ha nominato la S.V. Accademico d’Italia per la classe delle lettere” (Lettera a Marta Abba del 22/3/1929). Pirandello risponde: “Sopratutto orgoglioso Suo alto riconoscimento ringrazio Eccellenza Vostra grande onore e torno a esprimerLe mia intera profonda devozione.” Il 9 luglio 1929 viene rappresentato in prima assoluta il dramma Lazzaro al Royal Theater di Huddersfield nella traduzione inglese di C.K. Scott Moncrieff e nello stesso anno in prima italiana a Torino, al Teatro di Torino, dalla Compagnia Compagnia Marta Abba il 7 dicembre, destando molte perplessità nella critica contemporanea (ho dato a ’’Sara’’ la parte più importante di tutto il lavoro, l’ho posta in tutti e tre gli atti e al centro dell’azione, sulla scena più grande e più bella col figlio, in preminenza sul figlio stesso) facendo in modo che sia una voce coraggiosa su la vita e la morte, sul Dio dei vivi e il Dio dei morti (proprio il Fascismo e il Vaticano) intesi soprattutto come unità politiche e umane radicate nella vita quotidiana. Lazzaro, comunque, non avrà il successo sperato né al Teatro Torino di Torino dove viene rappresentata il 7 dicembre 1929 dalla Compagnia di Marta Abba con Marta nella parte di Sara, né al Teatro Olimpia di Milano con la Melato nella parte di Sara, nonostante l’accorrere di Pirandello a collaborare alla nuova messa in scena: l’insuccesso non è clamoroso ma è sicuramente penoso e la critica sottolinea con forza gli aspetti più negativi dell’opera rimanendo perplessa per il modo con cui l’ateo Pirandello tratta l’argomento. Pirandello è disperato per il suo amore non corrisposto e in certi momenti gli balena nella mente perfino l’idea del suicidio; i suoi giorni trascorrono in uno stato di depressione e prostrazione psicologica sempre più grave gravi, dovute proprio al silenzio di Marta, che, presa anche com’è dalle pesanti cure per la sua Compagnia, gli scrive troppo poco e definisce le esternazioni amorose e le espressioni della dolorosa sofferenza del suo stato d’animo e del suo amore “totale”, rivolto unicamente a lei escludendo ogni e qualsiasi altro affetto, come “parole inutili”. Ma il suo cuore ha bisogno proprio di quelle “parole inutili”, nelle quali si trova veramente tutta la sua vita, come le scrive l’8 maggio: E io avrei tanta sete di “parole inutili”! Ora che sono alla vigilia di una grande fortuna, ora che forse la porta della ricchezza mi è aperta, vedo tutta la mia miseria. Non ho nulla! Sono in una lontananza, in una solitudine, che fa spavento. E se grido quello che sento, tutto lo spavento di questa lontananza e di questa solitudine, son “parole inutili! “. I-nu-ti-li: devo morire in questa lontananza e in questa solitudine. La Gloria? la Ricchezza? Tu, primo che passi per la via, le vuoi? te le do, te le do per nulla, te le do in cambio della ventura che a te, pover’uomo, può toccare, ritornando a casa, di sentirti dire una “parola inutile”! Il 1930 è indubbiamente caratterizzato dalla messa in scena del terzo «dramma da fare» Questa sera si recita a soggetto, nato dalle considerazioni sul rapporto tra opera scritta e operazione teatrale, tra rispetto del testo e libertà di reinterpretazione sia sul piano della recitazione che su quello della messa in scena. L’opera viene rappresentata per la prima volta, e con grande successo, a Königsberg alla fine di febbraio; e il successo è tale che la recita tiene il palcoscenico per parecchie settimane. Ma quando viene rappresentata a Berlino il successivo 31 maggio al Lessing Theatre con la cattiva regia di Gustav Hartung, al terzo atto alcuni spettatori, sobillati dal nemico Feist e da un gruppo di accesi nazionalisti, insorgono trasformando il teatro in una vera e propria bolgia. Il fallimento di Questa sera si recita a soggetto al Lessing Theater segna una svolta nella sua posizione riguardo all’esilio volontario in terra straniera, ritenendosi osteggiata dalla sua patria: credeva di aver trovato una seconda patria, ma si ritrova con un pugno di mosche in mano. 24 Così ne scrive nella sua lettera a Marta Abba il giorno dopo: Marta mia, dunque, come Ti telegrafai, serata tempestosa. M’è parso di ritornare alla “prima” dei “Sei personaggi” a Roma. Ma la tempesta di quella serata memorabile fu scatenata da nobili passioni, fu l’urto violento dei giovani contro i vecchi; iersera invece fu l’osceno livore d’una masnada d’invertiti che si scatenò aizzata dal Feist, dalla sua famigerata cugina, e da altri del gruppo Reinhardt e da altri avversarii dell’Hartung e del Saltenburg. Questa oscena gente, ostensibilmente, nel foyer del teatro, prima che cominciasse lo spettacolo, ha fatto la prova dei fischietti di cui s’era armata venendo a teatro. Parecchi son corsi in palcoscenico a darne l’annunzio e il panico s’è diffuso tra gli attori. Più di tutti se ne spaventò l’Andersen che faceva la parte di “Rico Verri”. Eroica fu invece la Lennartz che difese e sostenne fino all’ultimo il lavoro, trascinando tutta la sala ad una impetuosa e veemente reazione. Purtroppo il lavoro offriva il fianco ai nemici per la sua pessima iscenatura. Te n’ho parlato jeri. Tutto lo spirito dell’opera era smarrito nell’incomprensione assoluta dell’Hartung, tutto il brio perduto, ogni particolare slegato, guizzante di per sé scompostamente, come un pezzo di serpe staccato. Chi conosceva la commedia per averla letta non sapeva più riconoscerla alla rappresentazione. Ogni senso, ogni valore era scomparso. Tutto è sembrato arbitrario; nessuno, anche per il panico degli attori, capiva più perché tutte quelle scene si susseguivano senza nesso, pazzesche. Pareva un’orchestra in cui, cacciato via il direttore, ogni strumento si fosse messo a sonare per conto suo. E i fischietti del pubblico sonavano dal canto loro, guazzanti in una gioja che non Ti dico. Io, guardando dal palco, mi divertivo un mondo. Alla fine, la reazione della maggior parte del pubblico (più dei tre quarti del teatro) prese il sopravvento, e allora scoppiò un delirio d’applausi, un uragano d’ovazioni; ma solo per me, per me e per la Lennartz che, come Ti dicevo, fu eroica, perché fu l’unica a non smarrirsi, e di questo il pubblico volle rimeritarla. Le chiamate non potei contarle; non finivano più! I malintenzionati, fatto il guasto che volevano, se n’erano andati; e allora si vide com’erano pochi, perché il teatro rimase pieno ed erano tutti in piedi a gridare evviva e a rompersi le mani applaudendo. Come puoi figurarti, non ho provato alcun compiacimento per tutta questa dimostrazione. Il lavoro, per me, era stato ucciso dall’Hartung. Mancandomi il palcoscenico, ero disarmato e sconfitto. Per me aveva vinto chi aveva fischiato; avrei fischiato anch’io, in luogo d’inchinarmi a quegli applausi e a quelle ovazioni, che volevano farmi piacere e m’urtavano. Vedi, Marta mia, che avevo tutta la ragione di sentirmi agitato. Ho presentito la tempesta. Ho pensato anche al Feist; ero stato messo sull’avviso che qualche cosa si preparava contro di me e contro il lavoro. Non ho voluto far nulla per impedirlo, per non scendere al livello di quella sporca gente. Avrei voluto la sicurezza del palcoscenico; e questa mi mancava, per difendermi e andare contro il pubblico, come sono sempre andato. Non mi restava altra arma che la serenità della mia coscienza, e questa l’ho conservata intera, fino all’ultimo, fino a respingere, nel mio intimo, sdegnosamente tutto quel trionfo finale, fatto alla mia persona e non all’opera mia orribilmente ferita e mancata. Questa è Berlino. M’è parso jer sera d’essere in Italia. Non so più ormai dove me ne debba andare. Gli odii m’inseguono da per tutto. Forse è giusto così: che me ne vada dalla vita, così, cacciato dall’odio dei vili trionfanti, dall’incomprensione degli stupidi che son la maggioranza; e in punizione di tanti miei peccati che Tu, spirito veramente eletto, mi hai sempre rimproverati. Berlino 2. VI. 1930: Di questo tanto livore contro me e l’arte mia la mia Marta non deve più soffrire. Io Ti faccio, Marta mia, veramente male, non male alla Tua grandezza, ma male al riconoscimento della tua grandezza. Io dovevo notare l’ingiustizia dell’appunto, ma io stesso ti dico (e già ebbi a dirtelo un’altra volta) che - dato che io sono tanto odiato e inviso a tutti - non so perché 25 - è bene, è bene sì che d’ora in poi mi lasci da parte anche Tu. Per chi si ama come io Ti ama è una gioia anche morire. Ma sono anche giorni drammaticamente dolorosi, come ci attestano le lettere che scrive a Marta: Non voglio affliggerti; ma d’altra parte, se non ho di vivo in me altro che questa disperazione senza rimedio; e tutto il resto, le notizie che potrei darti, le cose che m’avvengono, i casi che mi càpitano, non hanno più per me né senso né valore? La vita mi s’è come spenta, dopo quanto m’hai detto e lasciato intendere chiaramente, e il vuoto più orrendo mi s’è fatto dentro e intorno. Non so quanto potrò durare in questo stato. Sono come un morto che cammina che fa atti tanto per farli, che dice parole tanto per dirle: senza vederne più né lo scopo né la ragione. Oggi o domani mi stancherò di stare in piedi e stramazzerò a terra. Aspetto quest’estremo di stanchezza, se la disperazione, prima, cogliendo qualche momento più atroce, non mi vincerà, armandomi la mano per farla finita. In quei giorni viene proiettato il film La canzone dell’amore, del regista Gennaro Righelli, la cui sceneggiatura è liberamente tratta dalla novella di Pirandello In silenzio, pubblicata per la prima volta nel 1905 in «Novissima», Albo d’arte e lettere: è il primo film sonoro prodotto in Italia col parlato in italiano e riscuote un certo successo inserendosi nel mercato internazionale. Ma è sempre al solito: le esigenze dell’arte e le ragioni dello spirito non son vedute, e son sacrificate alle esteriori comodità della casa. Forse ha ragione chi vede soltanto queste, e noi siamo due poveri pazzi. Io almeno, per conto mio, mi stimo tale: senza più casa, senza più nulla; ho dato a tutti tutto quello che avevo; disposto a dare ancora e sempre tutto quello che ho, nessuno più [mi] vuole, tutti, dovunque vada, mi fanno capire che sono di più, e che è bene che me ne vada e stia lontano. Me ne andrò. Devo morir solo: voltare la faccia al muro e chiudere gli occhi per sempre, se non voglio più vedermi e sentirmi attorno questa disperata solitudine e quest’orrendo abbandono. Ma dove andare? Ricevo, da Torre, il biglietto che Ti accludo. Vado a Parigi perché, a restare in Italia, sarebbe veramente troppo questo strazio d’esser privato dell’unica ragione di vita che ormai mi resta, quella di almeno vederti e sentirti, separato non dalla distanza, ma da un’altra ben più grave ragione, che mi sta facendo morire: il Tuo cessato sentimento per me. Perdonami, Marta mia, questo sfogo che mi è venuto, senza volerlo. Se sapessi com’è gonfio d’amarezza il mio cuore, e in quali condizioni di spirito mi trovo! Non posso più lavorare; non so più che fare! Non ne fo colpa a nessuno; meno che mai a Te! È giusto, è giusto che Tu mi voglia lontano, perché è giusto veramente che io muoia. Troppo ho tardato. E la vita, che non mi doveva riprendere, è ormai tempo che si concluda così. Il suo animo ci è rivelato da una delle rare lettere indirizzate quasi sempre ai tre figli insieme: ecco una lettera del gennaio del 1931: «Ah figli miei che vi siete messi ciascuno per sé nella sua vita, come avete voluto, o era destino che fosse, come posso volervi più io e che altro volete ormai più da me? Io sono condannato a questa atroce solitudine, e affogo in una tristezza senza più riparo né altro scampo, fuori che nella morte. Voi non potete darmi ajuto, né io posso darvene, per il male che tutti staccandoci per forza ci siamo fatti. Né a tornar col pensiero a quando si era tutti insieme, c’è da esser lieti: quanto male anche allora, che ancora duole! Per un disperato è già qualche cosa non aver da rimpiangere, ricordando. Disperato fisso, senza né su né giù di provvisorie altalene.» Pirandello scrive ancora: Nulla ho più di quel che volevo; e così senza più nulla, seguito a vivere per gli altri e non più per me (è una frase contenuta in un’altra lettera che cito più avanti). Possiamo pensare che il desiderio di Luigi sarebbe stato di avere attorno a sé un più sereno mondo affettivo? Possiamo spiegarci così, solo così, l’amarezza di quegli anni? Amarezza che si vede nei ritratti e che si legge nelle sue lettere. La vita gli è rimasta deserta (un’atroce solitudine, ripete a 26 Bontempelli). Non ha nulla di quel che voleva. E così, pur senza nulla, seguita a vivere, a vivere per gli altri, In gennaio viene allestita a New York con grande successo la prima di Come tu mi vuoi (As you desire me) al Maxine Elliott Theatre di Broadway che sarà replicata per ben 142 volte. In febbraio cede i diritti di Come tu mi vuoi per la versione cinematografica alla Metro-GoldwinMayer per la somma di quaranta mila dollari, allora enorme, con la quale Pirandello può cullare il sogno americano di un arricchimento lauto e rapido vendendo i diritti delle sue opere alle case cinematografiche. Soprattutto si aprono orizzonti nuovi di lancio della sua opera nel mondo in traduzione inglese (È un’opera colossale di lanciamento in tutto il mondo. Quello che non è stato mai fatto finora per me, sarà fatto: tutto il corpo delle novelle, dei romanzi, del teatro, tradotto in tutte le lingue e diffuso da per tutto; sviluppati tutti i soggetti capaci di sfruttamento cinematografico.). Da tutta Europa e dall’America numerose sono le richieste di rappresentazione delle sue opere; perfino la Comédie Française si dimostra propensa ad aprirgli le porte, e sarebbe la prima volta per uno scrittore non francese vivente dalla Rivoluzione in poi (prima c’era stato Goldoni). La Società degli Autori Francesi lo elegge membro effettivo, un onore raramente concesso; da Berlino gli arrivano attestati numerosi di stima quasi a dimenticare lo sgarbo della terribile serata della prima rappresentazione di Questa sera si recita a soggetto. In marzo si incontra ancora con Shubert, e questa volta, insieme alla vendita dei diritti de La nuova colonia, cerca di intavolare una trattativa per una tournée americana di una Compagnia italiana con protagonista ovviamente Marta Abba per interpretare soprattutto opere di Pirandello. Per alcuni giorni Pirandello lascia Parigi per recarsi a Roma e nella sede dell’Accademia d’Italia il 3 dicembre tiene una conferenza commemorativa su Giovanni Verga, che il giorno dopo uscirà sulla rivista «Il Tevere». In essa distingue due categorie di scrittori: da un lato Dante Machiavelli Ariosto Manzoni Leopardi Verga ai quali sempre si ritorna con studio e con amore, scrittori costruttori “dallo stile di cose”; dall’altro Petrarca Guicciardini Tasso Monti D’Annunzio, scrittori riadattatori “dallo stile di parole”: Dove non c’è la cosa, ma le parole che la dicono, dove vogliamo esser noi per come la diciamo, c’è, non la creazione, ma la letteratura, e anche, letterariamente, non l’arte ma l’avventura, una bella avventura, che si vuol vivere scrivendola, o che si vuol vivere per scriverla. La conferenza desta clamore per il suo attacco a D’Annunzio che era uno dei fiori all’occhiello del regime fascista e godeva di una grande popolarità non solo per le sue opere (La figlia di Jorio rappresentata ripetutamente in quegli anni, era stata allestita con la regia dello stesso Pirandello) ma anche per le sue azioni e le vicende della sua vita. Il 13 marzo viene ricevuto dal Duce; così il giorno dopo descrive a Marta la sua visita: Ho tardato un giorno a risponderti perché per jeri sera era fissato il mio colloquio col Duce, e, scrivendoti, volevo informarTi dell’esito di esso. Magnifico. Sono stato accolto con la massima cordialità, e trattenuto a parlare di tutto per circa un’ora. Appositamente il colloquio era segnato in fondo alla nota della giornata, perché, essendo l’ultimo, potesse durare più a lungo di tutti gli altri. “Oh Pirandello, finalmente vi si rivede! Godo di trovarvi più fresco e più giovine che mai! Sedete.” Queste sono state le sue prime parole. Notai subito, fin dalla sua prima domanda: “Che contate di fare?” che egli voleva veramente entrare a parlare con me di cose precise e interessanti, e non tenere il discorso sulle generali, parlando del più e del meno, senza alcun vero interesse. E allora presi a dirgli tutto quello che avevo in animo di dirgli - tutto - dall’a alla zeta - mi svuotai sentendo, man mano che parlavo, che tutto ciò che dicevo era giusto, col tono appropriato, altero e sereno, ogni cosa guardata dall’alto, non dettata da un interesse particolare, da un risentimento meschino. Tanto è vero, che mi lasciò parlare e parlare, senza interrompermi mai, se non con brevi esclamazioni di consenso - “è vero” - “è così” - “senza dubbio” - gli occhi acuti e lucidissimi fissi nei miei, e il bel sorriso intelligente sulle labbra, che dava a vedere il godimento di sentirmi parlare così. Tu puoi bene immaginarti, Marta mia, tutte le cose che gli dissi, in un’ora di conversazione; non tralasciai nulla, nulla. Sarebbe lungo esporti tutto per filo e per segno; te lo riferirò a voce al 27 mio prossimo ritorno a Milano. Ti basti per ora sapere che a un certo punto, quando gli parlai del mio progetto dei dieci teatri regionali presentato alla Società degli Autori perché gli fosse rimesso, batté un pugno sul tavolo irosamente, esclamando: “Voi potete ben credere che codesto progetto non mi è stato rimesso! Ne domanderò conto e ragione alla Società degli Autori.” E prese subito l’appunto. Volle esposto da me particolareggiatamente il progetto col più vivo interesse, e alla fine mi disse: “Credo veramente che sia la via più giusta per risolvere la questione del teatro in Italia. Non dubitate, Pirandello, studierò questo vostro progetto e vi saprò dire quello che penso”. Queste furono le sue ultime parole. Io sono uscito dal colloquio molto contento di lui e di me. E ne sarai contenta anche Tu, Marta mia, quando Ti riferirò tutto a voce, punto per punto. [...] Sono pieno di fede e di fervore. Spero veramente che questa mia venuta a Roma porterà frutti da far cambiare le sorti del teatro italiano. Forse farò una scappata a Milano per intendermi con Te, e poi ritornerò qua a Roma dove la mia presenza è utilissima in questo momento. Il 1932 è anche l’anno del film, che ottenne un considerevole successo, As you desire me, (Come tu mi vuoi) girato dalla Metro Goldwin Meyer con la regia di George Fitzmaurice con un cast d’eccezione: Greta Garbo, Melvin Douglas ed Eric von Stroheim L’ultima opera scritta all’estero, elaborata a partire dal 1930, è conclusa verso la fine di maggio, è La favola del figlio cambiato, tre atti in cinque quadri o episodi, condotta avanti come preparazione al mito de I giganti della montagna, ed è imperniata sul tema della maternità, che per Pirandello assume un valore altamente sacro. L’opera diventa un libretto per il Maestro G.F. Malipiero, al quale l’Autore dà ampia facoltà di ritoccare il testo secondo le esigenze musicali e della sua ispirazione, facoltà di cui il musicista non si avvalse; verrà pubblicata nel 1933 e rappresentata per la prima volta a Braunschweig l’anno dopo (1934). La creazione di stadii (il gioco del calcio aveva ormai assunto un’importanza notevolissima e proprio due anni dopo l’Italia diventerà per la prima volta Campione del Mondo vincendo la coppa Rimet) e di cinematografi, la nuova arte che stava avendo un rapidissimo sviluppo tecnico. Pirandello resta come interdetto di fronte alla nuova sconvolgente realtà. Viene assalito da un senso di stanchezza, impazienza e delusione per mille impacci causati sia dai collaboratori che dalla situazione di tensione politica in Italia e all’estero. Le prospettive d’immensi guadagni, che apparivano sicuri pochi mesi prima, non si realizzano. Il lavoro per il teatro nazionale continua, ma nel cuore di Pirandello a poco a poco il dubbio si sostituisce all’entusiasmo: il Maestro incomincia a sospettare che, se il governo stanzierà capitali notevoli per il teatro, la solita «mangiatoia» dei soliti profittatori verrà a distruggere la riforma stessa (Ortolani). Il 1934 è un anno importante, che culmina con l’assegnazione del premio Nobel. Il 13 gennaio c’è la prima mondiale de La favola del figlio cambiato al Landestheater di Brunswick nella traduzione tedesca curata da Hans Redlich col titolo Die Legende vom vertauschten Sohn, musicata dal Maestro G.F. Malipiero, musicista d’avanguardia interessato alla musica atonale particolarmente apprezzata in Germania, al quale l’opera era stata offerta nel 1932. L’opera viene riprenentata a Darmstadt il 3 marzo, ma non viene replicata per un divieto delle autorità. Scrive Roberto Alonge: La Favola contrappone … la felicità delle Terre del sole alle brume del regno del nord del Principe, facilmente identificabile come area di lingua tedesca (i «marinaretti stranieri” del Principe gridano infatti nel terzo quadro: «Trinchevàine! Trinchevàine! / Mit Froilàine! Mit Froilàine!»). Il demente Figlio-di-re rispedito in patria come sovrano dell’imprecisato regno nordico poteva anche essere letto come un’irriverente e delittuosa allusione a Hitler. Per non dire dell’azzeramento dei valori della gerarchia, dell’autorità, della politica in genere, a favore di una irresponsabile regressione nel rassicurante cosmo uterino. Ce n’era abbastanza per spiegare la caduta dell’opera. 28 Arriva subito un ordine espresso di Mussolini che vieta le repliche dell’opera, interpretata dal regime e da maligni articoli critici pubblicati sulla stampa già da molti giorni, come offensiva per la religione e ancor più per la monarchia, che addolora profondamente Pirandello che ancora una volta resta sorpreso di fronte alle decisioni della politica che sono dettate da uno spirito così diverso dallo quello che anima la creazione di un’opera d’arte. Sempre 1934 Convegno Volta di è nominato presidente Come rappresentazione Pirandello dà la preferenza al dramma La figlia di Jorio di Gabriele D’Annunzio, la cui scelta avrebbe rappresentato da un lato una sorta di riappacificazione fra i due scrittori dopo il crudo discorso su Giovanni Verga di Pirandello con la distinzione fra scrittori di parole (D’Annunzio) e scrittori di cose e di una rimozione dei risentimenti dei politici e degli intellettuali che gli erano ostili per la sua polemica antidannunziana, e dall’altro un rimettere in moto i rapporti con il fascismo turbati in qualche misura dalla rappresentazione de La favola del figlio cambiato. Il dramma, con scene e costumi del grande Giorgio De Chirico, fu rappresentato con la regia dello stesso Pirandello al Teatro Argentina. Accanto a Marta Abba (ovviamente invitata a rappresentare la parte di Mila di Codra) recitarono Ruggero Ruggeri (come trent’anni addietro in occasione della Prima assoluta nella parte di Aligi), Giulio Donadio (Lazaro), Teresa Franchini (Candia), Cele Abba, Elena Pantano, Franca Dominici (le tre sorelle), Achille Majeroni (un mietitore) e Gina Graziosi (la vecchia delle erbe). Il 13 dicembre al Teatro Argentina c’è la Prima italiana di Non si sa come con un grande successo sottolineato dal pubblico con ovazioni all’autore che ormai appare vecchio e malato, come annota anche Corrado Alvaro nella sua Prefazione alle Novelle per un anno a proposito degli ultimi mesi della vita del Maestro. Ma il successo non soddisfa Pirandello: È stato uno strazio da parte degli attori, a cominciare sopratutto da Ruggeri, che non ha inteso minimamente né lo spirito né la situazione del protagonista; non ha mai vibrato, non ha mai detto come doveva dire le sue parole. Prima di tutto, non le sapeva! Se il suggeritore non gliele soffiava, non andava avanti! E gli altri, che cani, Marta mia! Sì, il successo ci fu, e grande; ma che vuoi che m’importi del successo, se la mia opera mi è stata uccisa sotto gli occhi sulle tavole del palcoscenico? Il pubblico è stato generoso, e mi ha voluto solo alla fine per farmi un’ovazione interminabile, forse a compensarmi dello strazio che mi era stato inferto. Ci sono stato male due giorni; la stanchezza, la macerazione, mi hanno prostrato, finito. Non Ti dico che cosa è stato per me ricevere le congratulazioni di tutto un popolo dei varii Alfieri, Bodrero, Di Marzio e infiniti altri, alla fine del secondo atto. Quando sono rincasato, avevo la febbre, che m’è durata tutto ieri. Non ho potuto prendere un boccone e son rimasto tutto il giorno a letto. Ah, basta, basta col teatro… Non si sa come, che lo occupa per gran parte dell’estate e viene concluso ai primi di settembre. Il dramma risulta una sapiente combinazione dei temi di ben tre novelle: Nel gorgo (1913), La realtà del sogno (1914) e Cinci (1932) Il 1936 si apre con l’accantonamento del “Progetto per il teatro Nazionale” da parte del Governo, che intende “concentrare tutte le risorse nella costruzione di Cinecittà per produrre film di propaganda per le masse e Pirandello non ne potrà più vederne la realizzazione. Qualche riforma dovrebbe portare a una migliore situazione del Teatro in Italia, ma i risultati sono piuttosto scarsi anche perché i sussidi governativi, distribuiti apparentemente a caso, finiscono nelle tasche di capaci e incapaci e delle solite persone “profittatrici”, che sembrava avessero perso peso politico nelle ultime stagioni 29 Dal 15 al 18 luglio lo troviamo a Venezia per le rappresentazioni goldoniane allestite da Renato Simoni, quindi torna a Roma passando per Milano dove fa visita ai genitori di Marta. Da Roma riparte subito per Anticoli dal figlio Fausto, ma psicologicamente aumenta la stanchezza e la sua irrequietezza: potrebbe essere un momento di serenità, “Ma - scrive il 27 luglio a Marta - il mio animo è in continuo ribollimento, e la pace non è fatta per me. Bisogna che io vada fuggendo, per non sentire questa mia atroce solitudine e il tormento non meno atroce di dover nascondere la mia gioventù sotto questa apparenza di vecchio!”. Pirandello si spegne di polmonite il 10 dicembre alle 8.55. Tra le sue carte si scoprono le sue ultime volontà, scritte su un foglietto ingiallito: “ MIE ULTIME VOLONTÀ DA RISPETTARE ” I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera, non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzii né partecipazioni. II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. IV. Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui. “Arrivò il rappresentante del Governo - scrive Corrado Alvaro - e lesse sbalordito quel mezzo foglio… Lesse e rilesse quel foglio, se lo copiò, e si domandava come avrebbe fatto a presentarlo al Duce. Un grande uomo, un uomo celebre che va via in quel modo, chiudendosi la porta alle spalle, senza un saluto, senza un pensiero, senza un omaggio sovratutto, chiedendo di essere coperto appena di un lenzuolo ma da nessuna uniforme, da nessuna camicia nera come era di rito, andare via come un povero, senza commemorazioni, senza feste. Il rappresentante del Governo era un bravo tipo e umano, ma doveva risponderne al suo capo, e il capo non poteva raggiungere un uomo nella morte; almeno la morte era cosa tutta privata; la sola, allora. Disse: « Se n’è andato sbattendo la porta ». Di fronte alla perplessità di quel funzionario, c’era da misurare una condizione umana, e veniva fatto di invidiare colui che era dileguato a quel modo con la sua morte, rifiutando quegli onori per cui gli artisti vanitosi si compiacciono di contemplarsi perfino nella morte, e senza paura delle vendette che si potevano fare sulla sua memoria. E fu istruttivo, in quelle ventiquattr’ore, sapere che sul tavolo del più potente tra i cittadini si battevano indignati i pugni, che ufficialmente era negato allo scomparso un discorso maggiore di quello consentito a un fatto di cronaca, che uno, autore di un racconto col titolo C’è qualcuno che ride, annunciava il nulla a tutta la gloria e a tutta la potenza, ed era lui che rideva. Pirandello, nel punto supremo del suo destino terreno, affermava di essere libero e solo. Affermò di essere libero soltanto nella morte.” Il giorno dopo, i funerali: un carro senza accompagnamento si avvia verso il cimitero del Verano, dove il 13 il suo corpo verrà cremato e le ceneri conservate per dieci anni, secondo le norme vigenti. “Chi fu incaricato di andarle a rilevare nel deposito del Verano stentò alquanto a ritrovarle” (Giudice, cit. p. 548). Era il 1946; scortate dall’on. Gaspare Ambrosini, deputato all’Assemblea Costituente, che aveva ottenuto le debite autorizzazioni ministeriali, le ceneri giungono ad Agrigento su una littorina appositamente allestita su preghiera dello stesso Ambrosini, 30 dopo che i piloti dell’aereo, concesso dalle Forze armate americane si rifiutarono di prendere il volo, simulando un’avaria, intimorite da una voce che si era sparsa rapidamente: che la volontà di Pirandello di far spargere al vento le proprie ceneri dovesse realizzarsi proprio durante questo volo e per cause accidentali. Le ceneri, conservate in un’anfora greca prediletta da Pirandello stesso, furono conservate per 15 anni prima nel Museo Comunale e poi nella casetta del Kaos, che con Decreto del Presidente della Repubblica dell’8 dicembre 1949 (n. 1170) era diventato «Monumento nazionale». Infine sepolte in una roccia che si trova non lontano dalla casa, ombreggiata dal famoso «pino di Pirandello» 31