Analgesici contenenti caffeina: più efficaci?

FOGLIO DI INFORMAZIONE PROFESSIONALE PER LA FARMACIA
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Nr. 249
aprile 2014
Analgesici contenenti caffeina: più efficaci?
La caffeina è un alcaloide presente nei semi e nelle foglie di diverse piante (caffè, tè, guaranà, cola,
cacao, mate) dove agisce da insetticida naturale. A volte viene citata con i sinonimi di guaranina e
teina che sono chimicamente identificabili nella stessa molecola. La bevanda ottenuta a caldo per
infusione della polvere di caffè tostato, già nota e apprezzata nel XVI secolo, è diventata lo stimolante
più diffuso e consumato nel mondo. Una tazzina di caffè espresso contiene 80-100mg di caffeina;
nelle altre bevande, il contenuto di caffeina è inferiore: circa 60mg/tazza nel tè, 40mg/tazza nel cacao,
35mg/lattina nelle bibite tipo cola. Le energy drinks contengono mediamente 80mg di caffeina per
lattina.
Già modeste dosi di caffeina, quali quelle contenute in un buon caffè, stimolano l'attività neuronale in
molte aree cerebrali con miglioramento dell'attenzione, della capacità di concentrazione e di
elaborazione delle informazioni. Secondo uno studio recente (Nature Neuroscience, gennaio 2014), la
caffeina avrebbe effetti positivi anche sulla memoria a lungo termine. Oltre a migliorare le funzioni
cognitive, la caffeina aumenta la resistenza alla fatica fisica e intellettuale, la frequenza cardiaca e la
pressione arteriosa. L'incremento degli atti respiratori è invece evidente solo a dosi elevate per via
parenterale e viene sfruttato in clinica nel trattamento dell'apnea del neonato prematuro con una
specialità (Peyona fiale per uso ospedaliero) che rappresenta l'unico medicinale monocomponente a
base di caffeina. La principale applicazione terapeutica della caffeina è in realtà quella di ingrediente
di preparazioni, soprattutto OTC, destinate al trattamento di dolori di varia origine. L'aggiunta di
caffeina (che è priva di un effetto antalgico intrinseco) deriva dal convincimento che sia in grado di
potenziare l'efficacia analgesica di queste associazioni. Tra i meccanismi ipotizzati, vi sono un miglior
assorbimento degli analgesici associati in virtù dell'abbassamento del pH gastrico (la caffeina stimola
la produzione di acido cloridrico) e un loro ridotto metabolismo epatico legato alla riduzione del flusso
ematico a livello del fegato, l'inibizione competitiva nei confronti del neuromodulatore adenosina
(responsabile dei principali effetti psicostimolanti della caffeina) che influenzerebbe alcuni processi di
regolazione nervosa del dolore (mediati da adrenalina e noradrenalina) e l'effetto di elevazione del
tono dell'umore indotto dalla caffeina. Una recente revisione sistematica della Cochrane ha fatto il
punto sull'effetto adiuvante della caffeina, chiarendo la questione in modo definitivo. L'analisi di 19
studi (su un totale di 7.238 pazienti) indica che, indipendentemente dal tipo di dolore (da estrazione
dentale, cefalea o post-parto) e dal tipo di analgesico a cui viene abbinata (paracetamolo, ibuprofene,
diclofenac o acido acetilsalicilico), la caffeina produce un beneficio modesto, ma clinicamente
significativo. L'aggiunta di caffeina a dosi uguali o superiori a 100mg per unità posologica aumenta
del 5%-10% la percentuale di responders: ciò significa che ogni circa 15 persone trattate, una in più
riesce ad ottenere un soddisfacente controllo del dolore. Le uniche specialità che possono avvalersi
delle favorevoli conclusioni degli studi sono il “vecchio” e ormai abbandonato Cafergot (ergotamina
+100mg di caffeina) e il più recente Tachicaf cui va il merito di associare 130mg di caffeina ad una
dose piena, ottimale (1g), di paracetamolo. L'opinione diffusa che il paracetamolo sia poco efficace
come analgesico deriva dal fatto che abitualmente viene impiegato ad una dose insufficiente
(500mg). Tutte le altre preparazioni in commercio (es. Neocibalgina, Neo-Optalidon, Neo-Nevral,
Neonisidina, Saridon) contengono 25mg di caffeina, molto al di sotto dello standard minimo richiesto,
per di più associati a dosi altrettanto basse e inadeguate di analgesici.
Bibliografia essenziale
Derry CJ et al. Caffeine as an analgesic adjuvant for acute pain in adults. Cochrane Database Syst Rev 2012. Issue 3.
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Nuovi anticoagulanti orali e ruolo del farmacista
I nuovi anticoagulanti orali dabigatran (Pradaxa), rivaroxaban (Xarelto) e apixaban (Eliquis) sono
certamente innovativi, ma in realtà non nuovi nel senso stretto del termine perché già da tempo
disponibili nella prevenzione degli eventi tromboembolici negli interventi di artroprotesi di anca e di
ginocchio. La grande attesa nei loro confronti è legata soprattutto alla nuova indicazione che è la
prevenzione dell'ictus nei pazienti con fibrillazione atriale, condizione nella quale da più di 50 anni
vengono impiegati gli antagonisti della vitamina K, warfarin (Coumadin) soprattutto e acenocumarolo
(Sintrom). A differenza del warfarin che agisce a vari livelli della cascata della coagulazione inibendo
la sintesi epatica di vari fattori (II, VII, IX, X), questi farmaci bloccano selettivamente la trombina
(dabigatran) o il fattore X attivato (rivaroxaban e apixapan). Le criticità della terapia con warfarin sono
ben note: la lenta insorgenza dell'effetto anticoagulante (48-72 ore), la variabilità individuale nella
risposta (legata alla variabilità dei livelli plasmatici di vitamina K), la necessità di frequenti
aggiustamenti posologici e continui controlli per mantenere l'INR (tempo di protrombina) tra 2 e 3, le
numerose interazioni con farmaci e alimenti, la difficoltosa sospensione prima di una procedura
chirurgica, il rischio emorragico non trascurabile, soprattutto di emorragie intracraniche (0,44%/anno).
Nella pratica clinica, questi limiti si sono tradotti in un sottoutilizzo del warfarin, in un livello di
anticoagulazione spesso non ottimale e in frequenti interruzioni del trattamento. Le aspettative nei
confronti dei nuovi anticoagulanti orali sono pertanto più che comprensibili perché a fronte di una
efficacia almeno sovrapponibile a quella del warfarin, hanno alcune caratteristiche favorevoli, prima
tra tutte quelle di non richiedere un monitoraggio dell'INR. Presentano inoltre una maggiore
prevedibilità degli effetti farmacodinamici (che consente l'uso di una dose fissa), una maggiore
rapidità d'azione rispetto al warfarin e una durata più breve dell'effetto anticoagulante che consente
un rapido declino del livello del farmaco in caso di emorragia ed evita una terapia “ponte” con eparina
in previsione di un intervento chirurgico. Nonostante questi vantaggi innegabili, anche i NAO hanno
dei punti deboli. In caso di sanguinamento grave manca un antidoto specifico in grado di annullarne
l'effetto terapeutico e se si escludono i sanguinamenti cerebrali, leggermente meno frequenti che col
warfarin, le emorragie gravi, comprese quelle mortali, hanno una frequenza non diversa da quella del
warfarin. E' essenziale, inoltre, non confondere che semplificazione (per l'assenza di monitoraggio
laboratoristico) non significa abbandono della sorveglianza, che va invece intensificata: ad oggi non si
sa infatti in che modo controllare la terapia (si tratta pur sempre di anticoagulanti). Mancando degli
indicatori, come si fa a sapere se il paziente segue le indicazioni ricevute ed è protetto in modo
adeguato? Tutti e tre i NAO hanno una durata d'azione più breve rispetto al warfarin e in caso di
mancata somministrazione il paziente è esposto ad un maggior rischio di trombosi. In questo senso, il
farmacista riveste un ruolo molto importante. Vede il paziente (o chi si prende cura di lui, visto che si
tratta in genere di persone anziane) una volta al mese ed è un punto di osservazione (e di
informazione) privilegiato per verificare che vi sia una corretta aderenza alla terapia e per scoprire
eventuali problemi. Per di più col dabigatran sono necessarie istruzioni supplementari: diversamente
da rivaroxaban e apixaban che richiedono una sola somministrazione, dabigatran va assunto 2 volte
al giorno e con particolari precauzioni. Le capsule, di grosso volume, hanno un rivestimento esterno
in HPMC (idrossi-propil-metil-cellulosa) che racchiude microgranuli di farmaco. Se il paziente apre le
capsule (per facilitarne l'assunzione) e ingerisce direttamente i microgranuli o se il rivestimento
esterno viene danneggiato dallo schiacciamento della capsula sull'ogiva di plastica trasparente, si
aumenta la biodisponibilità del farmaco del 75% con rischio di sovradosaggio. Pertanto, primo, per
estrarre la capsula si deve “sfogliare” la pellicola di alluminio che sta sul retro del blister, secondo, la
capsula non va mai aperta e va ingerita integra, terzo, prima dell'assunzione vanno evitati antiacidi (in
particolare PPI) perché riducono la biodisponibilità di dabigatran sino al 30% e ne diminuiscono i livelli
ematici e l'efficacia anticoagulante.
A cura del dott. M. Miselli
Bibliografia essenziale
Adam SS et al. Comparative effectiveness of warfarin and new anticoagulants for the management of atrial fibrillation and venous
thromboembolism: a systematic review. Ann Int Med 2012;157:796-807. Pradaxa. Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto.
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