capitolo 14 La canZone d`autore

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Capitolo
14
La canzone d’autore
Per anni la cultura ufficiale, soprattutto in Italia, ha nutrito forti pregiudizi nei confronti
della canzone, considerata, a torto, un genere minore. Ciò si deve all’angustia di vedute
riscontrabile negli ambienti accademici che si ostinano ancora a identificare la cultura subalterna (di cui la canzone è senz’altro figlia) con un genere di cultura inferiore.
Non è che la canzone sia rigorosamente di derivazione popolare. Nel XVI e nel XVII
secolo hanno scritto canzoni alcuni tra i più autorevoli rappresentanti della cultura ufficiale; si trattava comunque di composizioni di carattere profano, prevalentemente riguardanti temi amorosi o comunque non «alti» secondo la cultura del tempo. In alcuni casi la canzone aveva carattere dichiaratamente frivolo e scherzoso e
tanto bastava perché fosse appunto considerata un genere di valore artistico più
modesto e comunque legato ad una fruizione popolare.
Ritornando alle ragioni che (fino a qualche tempo fa) ancora impedivano alla cultura accademica di riconoscere alla canzone il suo valore, bisogna citarne almeno altre due: la
prima, poco condivisibile come quella di cui s’è detto precedentemente, è che alla canzone sono estranee le grandi architetture formali della musica definita colta; la seconda invece è che per lungo tempo, la canzone in Italia è stata rappresentata dalle svenevolezze del festival di Sanremo. Per quanto non mancassero autori di «storie in musica» a ben altri livelli, in Italia è sempre mancato un circuito di diffusione capillare della
canzone d’autore come invece è accaduto in Francia o in alcuni paesi latino-americani,
dove c’è una lunga consuetudine del grosso pubblico con la canzone non commerciale.
Per quanto riguarda la presunta «povertà musicale» della canzone bisogna sgombrare il campo da certi equivoci; la scarna essenzialità della musica in una canzone,
infatti, è il risultato di una sintesi rigorosa, di una scrematura di tutti quegli elementi
che, complicando eccessivamente la forma, metterebbero in ombra il vero protagonista della canzone, vale a dire il testo. Solo a un ascoltatore superficiale può sfuggire il fatto, ovvio, che la musica in una canzone serve ad esaltare il testo senza
prevaricarlo (svolgendo una funzione analoga per certi versi a quella della musica da film) esaltandone il significato e mettendone a nudo la musicalità intrinseca.
Ad ogni modo, dalla felice stagione dei cantautori ad oggi, molte cose sono cambiate e anche in Italia si rileva un’attenzione sempre più rispettosa da parte degli ambienti accademici e della critica ufficiale nei confronti della canzone; una vera e propria rivalutazione che, a volte, finisce col premiare anche personaggi la cui collocazione nell’ambito della canzone d’autore è quanto meno dubbia.
2.La canzone francese
2.1Gli chansonnier
Per ritornare alla canzone d’autore nei paesi di cultura neolatina non si può non
partire dalla canzone francese. Limitandoci, per evidenti limiti di spazio, alla pro-
Capitolo 14
La canzone d’autore
1.Un «genere minore»
149
Parte II
Storia della musica
150
duzione del XX secolo, il primo nome che s’impone alla nostra attenzione è quello
di Aristide Bruant (1851-1925), personaggio che compendia in sé quegli elementi
di socialismo antimilitarista del diciannovesimo secolo, ravvisabili nella splendida
Gloria al 17° del 1907, dove Bruant ricorda l’ammutinamento del reparto dell’esercito che si rifiutò di reprimere un’agitazione contadina, e di forte adesione ideale
al mondo degli emarginati (apaches, gigolettes etc.), di cui cantò la tragica esistenza con una prosa dura e scarna. La sua attività, iniziata nel cabaret Chat Noir, diede vita al filone realistico della canzone francese, anche se i suoi personaggi soffrono di una certa idealizzazione che, in qualche modo ne tradisce l’autenticità, riducendo a un’immagine oleografica e fruibile dalla buona società proprio quel mondo di disperati di cui si sforzava di rappresentare la tragica vicenda. Alla tradizione
del cafè-chantant, sebbene privo di quelle valenze sociali e politiche così presenti
nell’opere di Bruant, si può ricondurre l’esperienza artistica di Maurice Chevalier
(1888-1972), chansonnier e attore di grande raffinatezza.
Tra i grandi interpreti della canzone francese, soprattutto del secondo dopoguerra, è
senz’altro doveroso citare Edith Piaf (1915-1963), che esordì cantando per strada finché non approdò nei bistrot di Montmartre, Gilbert Bécaud (1927) e Juliette Gréco
(1926) vera anima della canzone esistenzialista e interprete di liriche di Sartre, Prévert
e Queneau; in ultimo si dirà di Yves Montand (1921-1991) attore e interprete di rango,
la cui scomparsa recentissima rende più triste e desolato il panorama della canzone.
2.2I cantautori
Negli anni del secondo dopoguerra, il centro propulsore della canzone francese d’autore si era spostato da Montmartre a Saint-Germain-des-Prés, le cui caves assisteranno alla nascita di una figura nuova d’artista: il cantautore. Se Edith Piaf e Juliette Gréco hanno rappresentato l’anima popolare e quella intellettuale della canzone,
saranno proprio i cantautori (Brassens, Brel, Ferré, etc.) a superare questa dicotomia, componendo testi di notevole durezza che fondano la loro efficacia su di una
scrittura il cui sapore «letterario» è innervato da un argot sferzante che riconduce
la canzone sul piano, a lei estremamente congeniale, della quotidianità.
La durezza delle canzoni di Leo Ferré (1916-1993) trova un ideale contrappunto
nella vena dissacrante di Georges Brassens (1921-1981) nella cui opera confluiscono elementi della tradizione satirica del cabaret ed elementi della canzone popolare di tipo narrativo. Il motivo ricorrente di queste canzoni è il disprezzo della
meschinità e della convenzionalità borghese, considerate come il trionfo della grettezza opulenta e soddisfatta di sé, tarpatrice di ogni slancio ideale.
2.3Canzone e impegno politico
Caratteristica della canzone d’autore è quella di restare ben ancorata alla politica
e all’evoluzione sociale, quasi come una sorta di coscienza critica e vigile. Così, nel
1954, anno della caduta di Dien Bien Phu e dell’inizio della guerra d’Algeria, Leo Ferré inserì nelle sue canzoni delle strofe di carattere antimilitare. Ma il vero scandalo
venne da una canzone di Boris Vian (1920-1959), singolare figura di poeta esistenzialista che di notte suonava la cornetta in un’orchestrina di hot-jazz. La canzone in
questione era Il disertore anche se, in quell’anno, Boris Vian incise canzoni ben più
violente; valga per tutte l’esempio di Allegri militari, una cui strofa dice: «È il tango degli allegri militari / di Hiroshima, Buchenwald e altrove/ È il tango dei famosi vado-in-guerra/ È il tango di tutti i beccamorti». Queste canzoni però, schermate
da musiche di carattere farsesco, riuscirono a eludere la censura mentre Il disertore, col suo carattere solenne, venne vietata alla radio perché vi si ravvisava «un insulto agli ex-combattenti di tutte le guerre passate, presenti e future».
Per chiudere questo breve excursus sulla canzone francese si citeranno ancora due
artisti: Georges Moustaki (1934), autore di splendide canzoni come Lo straniero e
Milord, magistralmente interpretata dalla Piaf e il belga Jacques Brel (1929-1978).
I testi delle sue ballate, segnati in origine da una forte ispirazione cattolica, si fecero
via via più amari, disincantati e soprattutto polemici verso quella grettezza e stolidità tipiche della borghesia benpensante. Canzoni come Les bourgeois, Les bigotes,
Les dames patronnesses, costituiscono delle vere e proprie invettive sarcastiche e
dure contro un mondo ben pasciuto e soddisfatto di sé, dalla coscienza narcotizzata
al punto da non saper guardare a null’altro che non sia il proprio piccolo interesse.
3.La canzone italiana
Il seme della canzone francese ha certamente influenzato quella scuola di autori
definita scuola genovese a cui hanno aderito Gino Paoli, nato a Monfalcone in provincia di Gorizia nel 1934 ma cresciuto a Genova, Bruno Lauzi, anche lui genovese d’elezione essendo nato ad Asmara nel 1937, nelle cui canzoni aleggia lo spirito
del cabaret francese, Umberto Bindi nato a Genova nel 1936 e infine Luigi Tenco,
nato a Cassine in provincia di Alessandria nel 1938, e morto suicida a Sanremo nel
1967, autore di delicate e malinconiche canzoni d’amore.
L’elemento che lega tutti questi autori in qualche modo alla canzone francese è di
natura duplice: da un lato la scelta di essere interpreti e autori nello stesso tempo
(ma questa è una caratteristica condivisa da tutti gli esponenti della canzone impegnata), privilegiando la diffusione delle loro opere in circuiti tendenzialmente estranei ai grandi media; dall’altro le tematiche prescelte volte alla descrizione del quotidiano in tutti i suoi aspetti, dall’impegno politico alle riflessioni sull’amore, la libertà, le speranze e le frustrazioni del vivere.
Un discorso a parte merita Fabrizio De André (1940-1999), molto influenzato, agli
inizi della sua carriera, da Brassens o da certa tradizione popolare italiana, ma che si
è dedicato poi a una canzone di contaminazione etnica dove si accostano, in una fusione stimolante e assai suggestiva, modelli espressivi e sonorità di tutta l’area mediterranea. Su questa strada non è stato solo; infatti questo tipo di ricerca sul suono è
pure parte notevole della produzione di Ivano Fossati, ligure anch’egli, nella cui musica il rigore formale e la freschezza dell’invenzione concorrono alla nascita di composizioni dal sapore vagamente arcaico (e arcano) di intensa suggestione emotiva.
3.2L’influsso americano
Le atmosfere francesi e quelle mediterranee però non sono le uniche fonti di ispirazione della canzone d’autore italiana. I cantastorie americani come Bob Dylan
Capitolo 14
La canzone d’autore
3.1La scuola genovese
151
o Joan Baez, a loro volta eredi di quella grande tradizione di musicisti girovaghi
e impegnati sotto il profilo politico e sociale come Woody Guthrie (1912-67) e
Pete Seeger (1919), rappresentano il punto di partenza per autori sensibili e raffinati come Francesco Guccini, nato a Modena nel 1940, e Francesco De Gregori (Roma, 1951). Ancora dalla musica americana, e precisamente dal jazz, nascono autori come Lucio Dalla (1943-2012), autore di brani di successo come Caruso, L’anno che verrà, Attenti al lupo e Paolo Conte (Asti, 1937), chansonnier arguto e raffinato, nella cui musica affiorano tutte le sfumature della dolce malinconia
di certa provincia italiana e la nostalgia di un mondo perduto (ma forse mai esistito), vissuto come dice il titolo di una sua bellissima canzone, «sotto le stelle del
jazz», un mondo i cui piccoli confini sembrano dilatarsi grazie alla magia dei film
americani dell’immediato dopoguerra dove la vita scorreva tra le piccole cose della quotidianità e i grandi slanci dell’avventura in celluloide. Un precursore su questa strada, anche se con intenti dichiaratamente parodistici, fu Fred Buscaglione
(1922-1960), indimenticabile interprete del personaggio del «duro» vittima delle più disparate situazioni.
Parte II
Storia della musica
3.3Il ritorno del menestrello
152
Un personaggio un po’ atipico nel panorama della canzone italiana d’autore è sicuramente Angelo Branduardi (Cuggiono, 1950), le cui musiche sono ispirate in
massima parte a composizioni e moduli espressivi del rinascimento e del primo barocco. Spesso si tratta della trasposizione in musica di celebri testi poetici, come il
cantico delle creature di san Francesco d’Assisi o Confessioni di un malandrino del
poeta russo Sergej Esenin. I temi prescelti rivestono un carattere di atemporalità,
rafforzato dalla forma poetica dei testi che si fa evocatrice di atmosfere fiabesche e
rarefatte. Come si è detto, le canzoni di Branduardi non si legano all’attualità, non
trattano di avvenimenti specifici, ma si richiamano nello spirito alla tradizione lirica dei menestrelli, narrando di amore, morte, disincanti.
3.4La nuova musica napoletana
Un ultimo cenno va dato su quel gruppo di autori-interpreti che, in una logica di
contaminazione formale, «reinventano» la canzone napoletana sposandola alla visceralità della musica afro-americana come Pino Daniele (Napoli, 1955-2015) cui
non è estranea una certa propensione verso gli stilemi della musica mediterranea,
oppure i fratelli Edoardo (Napoli, 1949) ed Eugenio Bennato (Napoli, 1948) dalle vicende artistiche piuttosto divergenti. Il primo, dopo un passato di cantautore
di protesta ispirato ai folk-singer girovaghi americani, è autore, oggi, di una musica dichiaratamente priva di finalità politiche o culturali, che non manca però di un
certo brio. Eugenio invece, dopo gli storici inizi con la Nuova Compagnia di Canto
Popolare (diretta dal compositore-musicologo Roberto De Simone), fondò un altro
gruppo di folk-revival (ovvero il recupero, in un’ottica di rielaborazione, del patrimonio musicale tradizionale) dal nome Musicanova. Dopo un inizio assai promettente però, Eugenio Bennato diede inizio a una serie di sperimentazioni volte a una
semplificazione del discorso musicale, unita a una riverniciatura superficiale di musica rock. Le finalità di quest’operazione appaiono ben chiare e infatti, dopo aver
liquidato definitivamente Musicanova, Eugenio Bennato compone oggi canzonette
di consumo piuttosto orecchiabili.
4.La musica IBERICA
La musica spagnola non si esaurisce nella solarità (a volte tragica) del cante jondo
e del flamenco strumentale. Ed è proprio alla ricchezza del folklore spagnolo che
si richiama uno dei più grandi interpreti della canzone d’autore in Spagna: Paco
Ibáñez. I testi delle sue canzoni, poesie di Federico García Lorca, Miguel Hernandez e il cileno Pablo Neruda, sono rivestiti di melodie scarne e delicate, ispirate
alla musica tradizionale spagnola. Altri autori-interpreti, legati alla canzone politica e d’impegno sociale, sono Victor Manuel e Ana Belén. Tra gli autori della scuola catalana è doveroso segnalare Joan Manuel Serrat e Lluis Llach. Il primo, che
scrive prevalentemente in castigliano, è riconducibile in qualche modo alla canzone francese; le sue composizioni infatti raccontano storie di amori, solitudini o
comunque di vicissitudini quotidiane. Una sua canzone, la splendida Mediterraneo, che esprime la comune sensibilità e la stessa filiazione culturale di tutti i popoli che si bagnano nel Mediterraneo è stata cantata in Italia da Gino Paoli. A differenza di Serrat, Lluis Llach è un autore fortemente impegnato nelle rivendicazioni autonomistiche della Catalogna ed esponente di spicco di quel movimento
detto Nova Cançó catalana attivo più o meno dagli anni ’60. Scrive esclusivamente in catalano e in tutte le sue canzoni traspare un senso di orgoglio e aspirazione all’indipendenza da un governo (quello di Madrid) considerato un vero e proprio usurpatore.
4.2Il fado portoghese
Fatta eccezione per Amalia Rodriguez, splendida interprete del fado, la musica
portoghese in Italia non ha avuto molta fortuna, ad onta della «latinità» comune. Limitandoci ad alcuni rapidi cenni sugli esponenti di maggiore spicco della canzone
d’autore, si citeranno l’angolano Luis Cilia, riscopritore della canzone antica, dalle
liriche rinascimentali alla canzone politica ottocentesca; José Afonso, autore politico ma anche delicato «inventore» di canzoni ispirate alle ballate tradizionali; Janita
Salomé, vulcanico percussionista e studioso della tradizione musicale nordafricana, che ha dato vita a un gustosissimo mélange di musica tradizionale del suo paese
rivitalizzata dai ritmi e colori dell’Africa mediterranea. Al fascino del mare nostrum
non sfugge pure uno dei più interessanti musicisti contemporanei che il Portogallo
esprime: Fausto, il cui bellissimo disco «Por este rio acima» è una raccolta di storie
di marinai, pirati e naufraghi dove il tema dell’appartenenza al mare, destino inevitabile per le genti mediterranee, è cantato con allegra ribalderia e con una ricchezza di soluzioni melodiche davvero inesauribile. Da ultimo, si dirà di Julio Pereira,
moderno maestro di cavaquinho, un piccolo strumento a corde il cui suono pieno e
squillante anima la musica popolare portoghese.
Capitolo 14
La canzone d’autore
4.1La musica spagnola
153
5.La canzone d’autore in Sud America
Parte II
Storia della musica
5.1Una premessa necessaria
154
L’enorme ricchezza e complessità di motivi che costituiscono l’ordito storico, sociale, politico e infine culturale dei vari paesi latino-americani (e al loro interno, i rapporti tra i vari gruppi etnici) si riflettono nella canzone d’autore che si differenzia
sensibilmente da nazione a nazione.
Una caratteristica comune a tutti gli artisti impegnati a dar vita a una canzone che
non esaurisca le sue ragioni nel profitto o nello stare in classifica, è il legame (molto
più intenso che in Europa) tra la riscoperta della tradizione folklorica e la creazione di nuove musiche e testi. Nel caso della canzone d’autore in America Latina,
la musica folklorica rappresenta molto di più che una semplice fonte di ispirazione;
si tratta invece di un vero e proprio antecedente storico, la cui specificità territoriale diventa un elemento di alterità culturale e di denuncia nei confronti dell’egemonia
economica soprattutto di marca statunitense, sofferta da questi paesi. Questo spiega la «quasi identità» in America Latina tra canzone popolare e canzone d’autore e il
fatto che gli artisti «impegnati» interpretino, nel loro repertorio, indifferentemente
brani della tradizione e canzoni di autori contemporanei. Questa significazione politica della musica popolare è del resto assai bene illustrata dalle parole di Jorge Coulon, musicista cileno e componente del gruppo Inti-Illimani: «Il governo Alessandri
segna l’ingresso massiccio in Cile della musica commerciale nord-americana che usava come veicolo le radio (circa 150 nel paese), tutte in mano di proprietari privati,
esponenti tra i più reazionari del latifondo e dell’industria monopolistica cilena (...).
Malgrado questo misero panorama, la lotta per spezzare il cerchio (...) si svolgeva
in tutti i campi.
Violeta Parra, Margot Loyola, il gruppo Concumén, il gruppo Millaray, Victor Jara,
ognuno in misura diversa, cercavano nel cuore del Cile l’anima popolare, la vera musica dei contadini, dei minatori, dei pastori (...)» (1).
La situazione sopra descritta si riferisce al Cile e al vigoroso movimento artistico sviluppatosi alla fine degli anni Sessanta conosciuto come Nueva Canción Chilena, ma si riscontra senza troppe varianti in tutti i paesi latino-americani e in quelli dell’area caraibica.
5.2Musica popolare in Argentina
Prima di dare alcuni brevi cenni sui più illustri rappresentanti della musica argentina di derivazione folklorica o d’autore, sarà bene procedere a un rapido esame delle
forme musicali più diffuse nel grande paese australe e delle loro origini. Se si esclude, per il momento, la musica di Buenos Aires, ovvero il tango, la regione più ricca
di musica (e conseguentemente quella che «presta» il maggior numero di forme ai
compositori, anche di formazione classica) è quella nord-occidentale, dove la presenza della cultura quechwa (il più consistente gruppo etnico andino insieme con
gli aymara) è molto netta.
Le forme musicali creole (cioè nate dall’incontro della musica india e meticcia con
la musica europea) più rappresentative sono la vidala, composizione di carattere
(1) Jeorge Coulon, introduzione a La Nueva Canción Chilena, ieri, oggi, domani, O.N.A.E. Roma (s. d.), pp. 5, 6.
cupo e solenne dove la matrice andina è molto marcata, la chaya (detta anche vidala chayera), poco usata per la canzone d’autore, dal carattere piuttosto vivace e più
adatto alla danza; la zamba in 6/8 (come la maggior parte dei ritmi argentini escluse la huella, in 3/4 e il carnavalito, in 4/4), dal carattere estremamente delicato nasce dalla zamacueca spagnola che si è sdoppiata appunto nella zamba e nella sua
«gemella» molto più irruenta che è la cueca.
Proprio sulla cueca bisognerà soffermarsi un istante, infatti l’area di diffusione di
questo ritmo è molto ampia e comprende paesi come il Cile, dove la cueca assume
un carattere meno sobrio di quella argentina grazie a un rafforzamento degli ultimi due accenti suddivisionali, il Perù, dove è conosciuta con il nome di marinera,
l’Ecuador, dove è presente sotto il nome di albazo e infine la Bolivia dove segue gli
stessi stilemi espressivi che in Argentina.
Un altro ritmo che la canzone d’autore ha mutuato dal folklore è la chacarera, tipica della zona di Santa Fé; per finire si dirà del bailecito, elegante e raffinata espressione del sentire dell’uomo andino.
Tutta la musica del Sud America è il prodotto felicissimo di una sintesi di elementi
culturali di varia provenienza che costituiscono la testimonianza più immeditata ed
efficace delle vicissitudini storiche che hanno determinato lo sviluppo di quei paesi. Così come la musica meticcia delle Ande racconta della conquista spagnola, così
quella brasiliana si porta dentro l’eco della dominazione portoghese e delle grandi
deportazioni di schiavi dall’Africa.
Un impasto affascinante di reminiscenze mediterranee e ritmi africani costituisce
la fonte di ispirazione di autori-interpreti come Chico Buarque de Holanda, i cui
testi rivelano una freschezza che ben asseconda la sua vena compositiva, in cui la
presenza delle architetture classiche non diventa mai un accademismo stucchevole, ma un elemento di esaltazione dei contenuti specifici delle sue composizioni.
Su questa stessa linea si collocano Milton Nascimento, la cui musica possiede una
forza evocatrice di grande suggestione, e il binomio (ormai storico) costituito dal poeta Vinicius de Moraes e Toquinho, anche se quest’ultimo si dedica ormai da anni
a una produzione più commerciale. Tra gli esponenti della bossa nova, una corrente
musicale nata dall’incontro della musica brasiliana con il jazz, oltre al già citato Toquinho si ricorderanno pure i nomi di Baden Powell, Irio de Paula e Caetano Veloso.
5.4La canzone cilena
Nel 1953 Violeta Parra, uno dei personaggi più significativi della cultura latino-americana (le cui prime canzoni sono frutto del suo lavoro di investigazione nel folklore), presentò alla radio i suoi primi lavori.
Per tutti gli anni Sessanta il suo insegnamento e rigore artistico costituirono il maggiore impulso allo sviluppo di una canzone autenticamente popolare e d’autore; nel
1964 il figlio Angel e la figlia Isabel (entrambi interpreti e autori) diedero vita a una
peña, cioè un locale dove si esibivano gli artisti-studenti e dove era possibile far conoscere le opere che la radio ignorava. Le canzoni dell’argentino Atahualpa Yupanqui e di Violeta produssero un enorme interesse (soprattutto negli ambienti uni-
Capitolo 14
La canzone d’autore
5.3La scuola brasiliana
155
Parte II
Storia della musica
156
versitari) rispetto alla canzone popolare. Cominciarono a costituirsi i primi gruppi e a nascere i primi solisti. Molti si sono poi disciolti anche in seguito al trauma
del lungo esilio sofferto e altri hanno conosciuto la prigione o la morte come Víctor Jara. Alla peña dei Parra, si esibirono nel 1966 per la prima volta i Quilapayún,
uno dei gruppi storici della Nueva canción e, assieme agli Inti-Illimani e agli Illapu,
il gruppo di maggior durata.
Nel 1967 nacque il gruppo, famosissimo in Italia per avervi trascorso l’esilio, degli
Inti-Illimani. Il nome di questa formazione, che in lingua quechwa significa «il sole
dell’Illimani» (un ghiacciaio a ridosso del lago Titicaca) è indicativo dei primi interessi musicali del gruppo, volti alla rielaborazione e diffusione dei temi del folklore
andino in quegli anni praticamente sconosciuto a Santiago. Dietro questa scelta si
muovevano motivi di ordine estetico (la ricchezza di timbri e ritmi delle Ande è immensa) e politico; i sei membri del gruppo (oggi sette) ravvisavano infatti nella cultura andina il fulcro per la rifondazione di una cultura autenticamente latinoamericana (al centro del loro discorso musicale si è sempre collocato un certo «panamericanismo» insofferente di ogni chiusura nazionalistica) da contrapporre alla colonizzazione culturale di stampo yankee che in quegli anni, complice la radio, dilagava
in Cile. Tutti questi artisti insieme a molti altri riuscirono a creare assieme alla Juventud Comunista Chilena un’etichetta indipendente, la DICAP (Discoteca del canto popolare), per il cui tramite assicurarono alla nuova produzione di canzoni politicamente e artisticamente impegnate una diffusione fino ad allora soltanto sperata.
6.La chitarra in America latina
Prima della conquista del continente ad opera di spagnoli e portoghesi, gli unici
strumenti diffusi tra le popolazioni sud-americane erano flauti d’osso, d’argilla o
canna, di diverse fogge e dimensioni e percussioni varie. Non esisteva quindi musica armonizzata, eccezion fatta per alcune musiche dell’Ecuador eseguite con il rondador, un flauto di Pan con le canne armonizzate per terze minori.
Gli europei quindi portarono in America liuti, mandole, violini e la vihuela de mano,
l’antenata diretta della chitarra.
Per molto tempo l’uso di questi strumenti rimase confinato tra i conquistadores e i
loro discendenti, a causa del divieto della Chiesa di far circolare la musica tra gli indios giacché avrebbe potuto corromperne gli animi.
Solo agli inizi del XVIII secolo (ma al riguardo è possibile solo avanzare delle ipotesi)
gli strumenti a corda cominciarono a diffondersi tra le popolazioni autoctone, che
presero ad adattarli alla loro sensibilità creando così strumenti come il charango,
una piccola chitarrina la cui cassa armonica a fondo concavo è ricavata da una corazza di armadillo oppure il cuatro (così chiamato dal numero di corde che monta)
diffuso in Venezuela e molti altri. La chitarra, così come la conosciamo, fece la sua
comparsa in America Latina più o meno agli inizi dell’Ottocento e si è diffusa senza
eccezioni in tutto il continente sebbene con diversa fortuna.
6.1I paesi andini
Nei paesi andini la chitarra svolge un ruolo essenzialmente d’accompagnamento, anche
se la varietà e la complessità dei ritmi in uso presso quelle regioni fanno della sua fun-
zione qualcosa di tutt’altro che secondario; a questa consuetudine fanno però da contraltare due eccezioni luminose: la prima riguarda il Perù, dove la chitarra diventa lo
strumento principe sia nella tradizione creola della canzone di Lima (la cui più grande
interprete è stata Chabuca Granda), che nella tradizione meticcia della regione di Ayacucho nel sud del paese, dove la chitarra, anche grazie all’uso di accordature aperte in
maggior sintonia con la scala pentafonica andina, diventa interprete magistrale delle
composizioni di questa zona. Al riguardo è doveroso citare i nomi del Raul García Zárate e Daniel Kirwayo, due dei più validi artisti e sapienti interpreti di questa tradizione.
Scendendo più a sud troviamo il Cile, dove la chitarra è stata completamente assimilata dal folklore contadino, mentre è ancora poco usata dagli indiani Mapuche
che abitano il sud del paese. In Cile però la chitarra non svolge un ruolo solista, bensì funge da strumento armonico-ritmico in funzione di accompagnamento al canto. Qui i nomi da fare sarebbero veramente troppi, soprattutto in relazione al vasto
movimento di recupero e rielaborazione della canzone popolare conosciuto come
Nueva Canción Chilena; basti ricordare per tutti i nomi di Violeta Parra morta suicida nel 1967, di Víctor Jara, ucciso dai fascisti durante il colpo di stato del 1973, e
il complesso vocale e strumentale degli Inti-Illimani.
È in Argentina, invece, che ritroviamo una grande tradizione chitarristica, sia nello
scarno accompagnamento del tango canción degli anni venti, di cui è stato indimenticabile interprete Carlos Gardel, sia in tutta la tradizione meticcia delle zambas,
chacareras e cuecas di cui meravigliosi cantori sono Atahualpa Yupanqui, un musicista di estrazione popolare e Eduardo Falù, compositore di scuola classica che ha
dato vita ad alcune tra le più belle pagine della letteratura chitarristica mondiale.
Sorte più ingrata invece soffre la chitarra in Uruguay, dove il suo uso è limitato all’accompagnamento e in Paraguay, dove è costretta a far da gregario alla ben più preponderante arpa diatonica.
In Brasile la chitarra si sposa perfettamente alle malie del choro (una forma di composizione popolare creola che ha raggiunto vette artistiche supreme con la musica
di Heitor Villa-Lobos) e alla freschezza appena velata di saudade, uno stato d’animo nostalgico e malinconico, della bossa-nova.
6.3Venezuela
In Venezuela la chitarra ritrova la sua funzione ritmico-armonica assieme al già citato cuatro, dato che gli sviluppi melodici dei brani sono essenzialmente affidati
all’arpa diatonica. Non si commetta però l’errore di sottovalutare la sua importanza, giacché la musica venezuelana poggia su delle strutture ritmiche particolarmente complesse che richiedono al chitarrista un notevole impegno; del resto anche qui
musicisti classici come Alirio Díaz e Antonio Lauro hanno conferito allo strumento
uno spessore non comune.
6.4Messico
In tutta la musica folklorica messicana (con la sola esclusione della musica urbana
e delle bande mariachis dove i ruoli dei solisti sono prevalentemente affidati alle
Capitolo 14
La canzone d’autore
6.2Argentina e Brasile
157
Parte II
Storia della musica
trombe e ai violini) la chitarra è presente in maniera considerevole. È inimmaginabile pensare di poter ascoltare un corrido o una ranchera senza la delicatezza delle chitarre; anche se occasionalmente il solista è rappresentato da un violino o una
fisarmonica, la parte del leone nella musica messicana è svolta dalla chitarra, la cui
versatilità le permette di ricoprire tutte le parti di una composizione facendo in
modo che sia la linea melodica che i contrappunti e la parte ritmica si fondano in
un insieme armonioso che non risulta mai monocromo.
158
Test 1
Teoria e armonia
1) Da che cosa è determinato un suono?
❑❑ A)Dalle vibrazioni ritmiche emesse da un solido
❑❑ B)Dalle vibrazioni regolari emesse da un corpo elastico
❑❑ C) Dalle oscillazioni emesse da un oggetto in movimento
❑❑ D)Da un rumore
2) I parametri principali che caratterizzano le vibrazioni sono:
❑❑ A)periodo, intensità e durata
❑❑ B)eco, frequenza e risonanza
❑❑ C) altezza, intensità e timbro
❑❑ D)periodo, frequenza e ampiezza
3) Quali sono i corpi elastici adoperati per produrre un suono?
Parte III
TEST
❑❑ A)Corde, aria, piastre e membrane
❑❑ B)Corde, energia, elettricità e acqua
❑❑ C) Corde e pelli di tamburo
❑❑ D)Aria, piastre, membrane e onde sonore
200
4) Di che cosa necessita un suono per essere trasmesso e recepito dall’orecchio umano?
❑❑ A)Di un altro suono di pari intensità
❑❑ B)Di un amplificatore
❑❑ C) Di un mezzo elastico
❑❑ D)Di energia
5) A quale velocità un suono percorre lo spazio da un corpo vibrante al nostro orecchio?
❑❑ A)Circa 340 metri al secondo
❑❑ B)Circa 20 metri al secondo
❑❑ C) Circa 2 chilometri al secondo
❑❑ D)Circa 1 chilometro e 500 metri al secondo
6) L’altezza è la caratteristica che ci fa distinguere un suono basso da uno
acuto, ed è direttamente proporzionale:
❑❑ A)all’intensità del suono
❑❑ B)al numero di oscillazioni prodotte
❑❑ C) alla sua velocità
❑❑ D)alla frequenza delle vibrazioni
7) Da che cosa dipende l’intensità di un suono?
❑❑ A)Dall’ampiezza delle vibrazioni
❑❑ B)Dal numero di oscillazioni prodotte
❑❑ C) Dal numero di vibrazioni prodotte
❑❑ D)Dalla frequenza delle vibrazioni
8) Che cosa ci permette di distinguere fra il timbro di uno strumento e quello di un altro?
❑❑ A)La diversa intensità dei vari armonici presenti sulle note reali che essi
producono
❑❑ B)La diversa altezza delle frequenze prodotte con le note suonate
❑❑ C) La diversa intensità delle vibrazioni prodotte
❑❑ D)Tutti gli strumenti hanno lo stesso timbro
❑❑ A)Il secondo violino
❑❑ B)Il primo oboe o il primo violino
❑❑ C) Il fagotto
❑❑ D)Il secondo oboe
10)Di che materiale sono i piatti?
❑❑ A)Di ferro
❑❑ B)Di alluminio
❑❑ C) Di bronzo
❑❑ D)Di ottone
11)Quale strumento a percussione può essere udito anche al di sopra di un
fortissimo orchestrale?
❑❑ A)Il timpano
❑❑ B)Il tamburo militare
❑❑ C) La grancassa
❑❑ D)Il triangolo
12)Qual è il significato del termine neuma?
❑❑ A)Nota
❑❑ B)Segno
❑❑ C) Sol
❑❑ D)Linea
13) Gli strumenti a percussione si dividono in due categorie. Quali?
❑❑ A)Tamburi e piatti
❑❑ B)Pelli e piatti
❑❑ C) Quelli da mani e quelli da bacchette
❑❑ D)Quelli a suono determinato e quelli a suono indeterminato
Test 1
Teoria e armonia
9) Prima che un concerto inizi, i musicisti di un’orchestra si accordano su
una nota suonata da uno strumento. Quale?
201
Risposte al Test n. 1
1) Risposta esatta: B
Il suono è dato dalle vibrazioni regolari emesse da un corpo elastico. La caratteristica dei corpi
elastici ad emettere vibrazioni risiede nelle prerogative strutturali del corpo stesso. In pratica
definiremo corpo elastico tutto ciò che in natura, sottoposto ad una forza esterna, possa dar luogo a vibrazioni.
2) Risposta esatta: D
I parametri principali che caratterizzano le vibrazioni sono tre:
— periodo: durata di ogni movimento vibratorio di andata e ritorno;
— frequenza: numero delle vibrazioni prodotte dal corpo elastico nell’unità di tempo;
— ampiezza: spostamento del corpo elastico durante la vibrazione.
Il movimento vibratorio è composto da due punti: i ventri, cioè i punti di massima ampiezza della vibrazione, e i nodi, cioè i punti in cui il movimento vibratorio è nullo.
Parte III
TEST
3) Risposta esatta: A
212
I corpi elastici adoperati per produrre suoni sono: corde, aria, piastre e membrane. Le corde, che
possono essere di minugia, di metallo, di nylon, di seta o di leghe speciali, acquistano elasticità
se messe in tensione tra due punti estremi (nodi). In tali condizioni, se sfregata, percossa o pizzicata, la corda entrerà in vibrazione assumendo la forma di un fuso, facendo avvertire la maggiore perturbazione in prossimità del centro (ventre). L’aria diviene corpo sonoro quando, introdotta in un tubo, con almeno una delle due estremità in comunicazione con l’esterno, determina
fasi alterne di compressione e rarefazione della colonna di aria in esso contenuta. Si avrà un ventre all’estremità dove avviene la compressione e un nodo all’estremità opposta, se quest’ultima
risulta chiusa. Le piastre sono costituite da lamine o sbarre di metallo o di legno, che vengono
messe in vibrazione mediante percussione. Le membrane sono corpi sonori ricavati da pelli di
animali o da materiali sintetici opportunamente tesi.
4) Risposta esatta: C
Come per la produzione, un suono ha bisogno di un mezzo elastico per trasmettersi ed essere recepito dall’orecchio umano. Come, ad esempio, lanciando un sasso in uno stagno si otterranno onde
uguali e concentriche che andranno a smorzarsi nelle regioni più lontane dal punto dell’impatto,
così le vibrazioni emesse da un corpo elastico si diffonderanno nell’aria, con la sola differenza che
nell’aria, come in altri gas, le onde saranno di forma sferica. In sostanza, le vibrazioni emesse da un
corpo elastico vanno ad interessare le molecole più prossime al corpo stesso, in modo da trasmettere a queste ultime la loro stessa vibrazione. Questo fenomeno si ripete, a sua volta, con tutte le
molecole vicine fino alla saturazione dell’ambiente circostante il corpo elastico. Durante la trasmissione di vibrazioni, parte dell’energia trasmessa tra le molecole si perde (sarebbe più opportuno
dire si trasforma); è questa la ragione per cui, man mano che ci allontaniamo da una fonte sonora,
le onde che propagano le vibrazioni si affievoliscono fino a non essere più percepite.
5) Risposta esatta: A
La velocità del suono è strettamente collegata al fenomeno della trasmissione. Come abbiamo visto, il mezzo di propagazione delle vibrazioni emesse da un corpo elastico sono le molecole; è intuibile, quindi, che quanto più risultano vicine tra di loro queste ultime, più veloce sarà la tra-
smissione delle vibrazioni. Nell’aria la velocità del suono risulta di 340 m al secondo, ad una temperatura di 15 gradi; aumentando la temperatura aumenta la pressione, le molecole si avvicinano, nell’aria come negli altri gas, e di conseguenza risulterà aumentata anche la velocità. Di contro, nelle zone di alta montagna, dove l’aria risulta più rarefatta, per la scarsa presenza di molecole, la velocità del suono diminuirà.
6) Risposta esatta: D
L’altezza è direttamente proporzionale alla frequenza delle vibrazioni. L’unità di misura della frequenza è l’Hertz (Hz). L’orecchio umano non percepisce tutti i suoni, o meglio tutte le frequenze
presenti in natura; infatti la gamma delle frequenze udibili dall’orecchio umano va da un minimo di 32 vibrazioni al secondo fino a un massimo di 40.000 vibrazioni. Al di sotto delle 32 vibrazioni abbiamo gli infrasuoni. Al di sopra delle 40.000 vibrazioni abbiamo gli ultrasuoni. Tuttavia
tale limite vale solo per l’orecchio umano, dal momento che è stato dimostrato che gli ultrasuoni fino a 50.000 vibrazioni vengono percepiti dai cani e che i pipistrelli percepiscono ultrasuoni
fino a 140.000 vibrazioni. Nella pratica musicale non ci si serve di tutta la gamma dei suoni percepibili, ma di una gamma di suoni ben più ristretta, che va da un minimo di 64 vibrazioni per i
suoni bassi, a un massimo di 8.000 vibrazioni per i suoni acuti.
L’intensità è quella qualità del suono che ci permette di determinare se il suono percepito è più
o meno forte. Questa caratteristica è legata a più fattori, spesso concomitanti: innanzitutto l’ampiezza delle vibrazioni, ma anche il grado di forza con cui si rimuove il corpo elastico dal suo stato di quiete oppure la distanza di chi ascolta dalla fonte sonora. Quindi, una più o meno ampia
vibrazione produce suoni più forti o più deboli.
8) Risposta esatta: A
Il timbro è quella qualità del suono che ci fa distinguere uno strumento da un altro, una voce da
un’altra anche a parità di altezza e di intensità. Per tutti è facile distinguere fra il suono emesso
da un violino e quello emesso da un flauto. Perché? La risposta introduce uno dei concetti di acustica più interessanti e cioè gli armonici. La frequenza che identifica una nota è soltanto quella
della fondamentale di una serie di altre note che sono simultaneamente presenti sulla nota base.
Queste note sono chiamate armonici (o ipertoni). La ragione per cui gli armonici non sono udibili distintamente è che hanno un’intensità minore rispetto a quella della nota fondamentale. Ma
sono proprio gli armonici a determinare il timbro di una nota. In pratica, ciò che permette di distinguere il timbro di uno strumento da quello di un altro è la diversa intensità dei vari armonici presenti sulle note reali che essi producono. I suoni armonici furono studiati per la prima volta nel XVI secolo dal musicista e matematico veneziano Gioseffo Zarlino, che elaborò in base a un
modello matematico le sue tesi. Egli osservò che la serie dei suoni secondari è sempre uguale per
ogni suono principale e riuscì a classificarli. Gli armonici più importanti di un suono principale
si possono così riassumere: il primo suono armonico risiede all’ottava superiore rispetto al principale, il secondo costituisce una quinta giusta rispetto al secondo e così via. Avremo, dunque,
una quarta giusta, una terza maggiore, una terza minore, una seconda maggiore. Analizzando la
serie dei primi sei armonici prodotta da un solo suono, viene fuori che questi ultimi determinano l’accordo perfetto maggiore. Questa scoperta di Zarlino contribuì non poco alla trasformazione della musica da polifonica e contrappuntistica a verticale ed armonica.
9) Risposta esatta: B
In una sala da concerto, prima che il concerto abbia inizio, è possibile notare un preciso momento in cui i musicisti dell’orchestra accordano i loro strumenti su una nota suonata dall’oboe principale o dal primo violino. Essi hanno intonato i loro strumenti su una nota che ha (o dovrebbe
avere) 440 vibrazioni al secondo. Questa altezza convenzionale fu accettata dalla maggioranza
delle nazioni occidentali in una conferenza internazionale tenutasi nel 1939.
Test 1
Risposte al Test n. 1
7) Risposta esatta: A
213
10) Risposta esatta: D
I piatti sono costituiti da un paio di piatti in ottone, concavi, con una maniglia di pelle al centro.
Si percuotono di solito uno contro l’altro, ma a volte si fa anche uso di un piatto singolo, e in tal
caso lo si percuote con una o due bacchette. Con il termine tecnico «lasciar vibrare» si intende
che i piatti devono essere lasciati in vibrazione fino a quando il suono si estingue; «secco», invece, vuol dire che il suono deve essere interrotto bruscamente.
11)Risposta esatta: D
Il triangolo, strumento di altezza indeterminata, è costituito da una sbarretta cilindrica di acciaio, piegata appunto a forma di triangolo. Il suono viene prodotto colpendo il triangolo con un piccolo batacchio di acciaio.
12) Risposta esatta: B
Parte III
TEST
Fra il VI e il VII secolo, quando il canto liturgico venne riordinato da San Gregorio Magno, la notazione alfabetica fu sostituita da quella neumatica, che utilizzava speciali segni, detti neumi (dal
greco neuo = accenno). Nell’indicazione neumatica, piccole linee, derivate dagli accenti e rivolte
verso l’alto o il basso, venivano disposte sopra e sotto il rigo e collocate sopra le sillabe delle parole del testo da cantare. Questi segni erano tutt’altro che precisi e indicavano in modo soltanto
approssimativo il movimento ascendente o discendente della voce, senza definire gli intervalli
esatti. Erano più che altro un espediente mnemonico per richiamare all’orecchio melodie già conosciute, tant’è vero che gli allievi della schola cantorum dovevano conoscere a memoria tutto il
repertorio dei canti sacri. I principali neumi usati erano: il punctum, la virga, il pes o posatus, la
clivis, lo scandicus, il climacus, il torculus, il porrectus. La notazione neumatica veniva usata per
la musica vocale, mentre per la musica strumentale continuavano ad essere utilizzate di preferenza lettere maiuscole dell’alfabeto latino. Le note iniziavano dal la, perché questo era considerato il suono più grave del sistema perfetto greco.
214
13)Risposta esatta: D
Gli strumenti a percussione si dividono in due categorie: quelli che danno un suono di altezza
definita (a suono determinato) e quelli che danno un suono di altezza indefinita (a suono indeterminato).
14)Risposta esatta: D
Un intervallo è semplicemente la distanza, o la differenza in ordine d’altezza, che passa fra due
note: vuol dire che un intervallo di cinque note è una quinta, di quattro note una quarta e così
via. Si contano entrambe le note di partenza e di arrivo. In un intervallo di otto note da do a do
(un’ottava) il rapporto fra le frequenze dei due do è 1: 2. Per cui se la frequenza del do prescelto
è 256 (come di fatto è il do centrale del pianoforte), la frequenza del do immediatamente superiore sarà 512, e quella del do immediatamente inferiore 128. Suonando contemporaneamente
due do a distanza di un’ottava sul pianoforte, si avrà l’immediata conferma che vi è una speciale
e peculiare relazione fra questi: essi cioè producono gli stessi suoni, ma ad altezze differenti, e la
relazione matematica delle loro frequenze ne spiega la ragione. Non tutti gli intervalli sono uguali, dal momento che può variare la distanza fra le due note che li costituiscono. La sola indicazione «ascendente» o «discendente» non è quindi in grado di definire un intervallo con precisione.
Il metodo in voga oggi per classificare gli intervalli utilizza una doppia indicazione: la prima (numerica: ad esempio, seconda, quinta etc.) ci dice quante sono le note comprese nell’intervallo,
contando, come abbiamo detto, anche la nota di partenza e di arrivo. La seconda indicazione (un
aggettivo, come maggiore, minore, aumentata) ci rivela invece l’esatto numero di toni e semitoni che compongono l’intervallo. Troveremo quindi frasi come: «intervallo di quarta minore» o
«intervallo di quinta maggiore» e così via.
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