storia dell`analisi economica i - dipartimento di economia e diritto

Corso di Storia dell’analisi economica Titolare prof. Annamaria Simonazzi
Anno Accademico 2014/2015
Canale: tutti
Numero di crediti: 6
Tipologia: triennale
SSD: SECS-P/01
PRESENTAZIONE DEL CORSO
Giunti ormai al terzo anno di corso, gli studenti appaiono in grado di affrontare una
trattazione non meramente manualistica di alcuni grandi temi di teoria economica. Come il manuale
semplifica e irrigidisce, così la lettura diretta di un classico restituisce ricchezza e spessore alla
materia. Nel nostro caso si tratterà di alcune parti della Teoria generale di J. M. Keynes, pubblicata
nel 1936: libro più citato che letto, la cui composizione è stata definita dall'autore “una lotta per
sfuggire ai modi abituali di pensiero e di espressione”. Rivivere tale lotta è un'esperienza
intellettuale che non può non lasciare una traccia profonda nella formazione di un economista. Così
come va considerata altamente formativa la possibilità di vagliare autonomamente, attraverso il
riscontro testuale, le diverse interpretazioni che dell'opera di Keynes vengono avanzate (a
cominciare da quella proposta in questo stesso corso).
Proprio per quanto si è appena detto l'opera di Keynes necessita, forse più di altre, di
un inquadramento storico-critico. Una parte del corso sarà perciò dedicata a ricostruire le
posizioni teoriche cui Keynes si contrappone e che egli indica come “teoria classica”,
raccogliendo sotto questa denominazione sia i vecchi “economisti classici”, e segnatamente
D. Ricardo (1772-1823), sia gli economisti delle generazioni successive fino ad A. Marshall
(1842-1924) e oltre1.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale le grandi innovazioni teoriche
keynesiane sono state reinterpretate dagli autori della “sintesi neoclassica” in maniera tale da
far dipendere il mancato raggiungimento della piena occupazione dall’insufficiente flessibilità
dei salari monetari (una lettura della sua posizione contro la quale Keynes aveva
espressamente messo in guardia). Nel caso della flessibilità, il mancato raggiungimento della
piena occupazione restava confinato a un caso particolare (il cosiddetto “caso keynesiano”),
laddove per Keynes era la propria teoria a essere “generale” (di qui il titolo del libro), mentre
la “teoria classica” concentrava indebitamente l'attenzione sul caso particolare della piena
occupazione.
Fra le teorie del sovrappiù sociale – il filone di pensiero entro cui vanno collocati, oltre a Ricardo,
Adam Smith (1723-90) e K. Marx (1818-83), e che è stato ripreso ai giorni nostri da P. Sraffa
(1898-1983) – e l'impostazione neoclassica (o marginalista), propria dell'ortodossia pre-keynesiana
come anche della teoria oggi dominante (e che permea di sé la stessa analisi di Keynes), vi è una
differenza di fondo per quanto riguarda l'individuazione delle forze che determinano la
distribuzione del reddito (vedi la nota su Gli economisti classici secondo Marx e secondo Keynes,
allegata al presente programma). Per il confronto critico fra le teorie del sovrappiù sociale e il
marginalismo si rimanda al corso di STORIA DELL’ANALISI ECONOMICA c.a. (Laurea
magistrale).
1
L'ampio consenso di cui ha a lungo goduto la “sintesi neoclassica” si è incrinato nel
corso degli anni ’70 del XX secolo. Il contrasto fra la microeconomia neoclassica e
l'impostazione dominante sul terreno macroeconomico si è risolto a favore della
microeconomia neoclassica. E nella macroeconomia il punto di vista “classico”
(nell'accezione di Keynes), corroborato dall'apporto “monetarista”, ha riconquistato
apertamente il predominio, portando nuovamente a negare qualsiasi ruolo al principio della
domanda effettiva, ossia dell'adeguamento dei risparmi agli investimenti attraverso la
variazione del reddito reale. Questo predominio viene contestato da posizioni teoriche
eterodosse che in vario modo si rifanno a Keynes, vuoi muovendosi all'interno del paradigma
neoclassico, vuoi allontanandosi da esso. Ne risulta un articolato quadro teorico, che il corso
si propone, nella sua ultima parte, di indagare. Questa analisi è tanto più urgente in quanto la
crisi economica e finanziaria ha riportato in auge le politiche e le teorie keynesiane.
Nel ripercorrere criticamente la storia del problema della domanda effettiva, si
incontreranno via via:
(a) la concezione di Ricardo e di altri economisti dello stesso periodo secondo la
quale “la produzione crea la propria domanda” (“legge di Say” nella sua versione originaria) e
la discussione fra costoro e gli assertori della possibilità della sovrapproduzione;
(b) l'ortodossia pre-keynesiana (“teoria classica” nell'accezione di Keynes), che
affida alle variazioni del tasso d'interesse il compito di portare all'equilibrio investimento e
risparmio di piena occupazione (“legge di Say” nella sua versione marginalista);
(c) la Teoria generale di Keynes, che afferma l'indipendenza dell'investimento dal
risparmio di piena occupazione e indica nella variazione del reddito reale il meccanismo
capace di adeguare il risparmio all'investimento; con la Teoria generale verrà proposta una
presa di contatto diretta, sia pur solo nella forma di un percorso guidato;
(d) l’ortodossia postbellica (la “sintesi neoclassica”, di cui si è detto), che riafferma
la tendenza dell'investimento ad adeguarsi, di regola, al risparmio di piena occupazione a
condizione che i salari monetari e i prezzi siano flessibili;
(e) la rottura del consenso formatosi intorno alla “sintesi neoclassica” e gli
svolgimenti più recenti (monetarismo, nuova macroeconomia classica, nuova economia
keynesiana), limitatamente ad alcuni aspetti.
Il nesso stabilito fra risparmio e investimento nell'ortodossia pre-keynesiana, come
anche nella sintesi neoclassica e nelle formulazioni successive, presuppone l'esistenza di una
funzione degli investimenti elastica rispetto al saggio dell'interesse, che deriva a sua volta
dalla curva di domanda del capitale come stock, propria della teoria marginalista.
Nella
costruzione della funzione del domanda di capitale come stock, e dunque in quella della
funzione dell'investimento, si incontrano tuttavia delle difficoltà che non appaiono
sormontabili. All'illustrazione delle difficoltà suddette sarà dedicata la parte finale del corso,
nella quale si esamineranno anche le conseguenze che possono essere tratte dalla critica della
2
teoria marginalista del capitale e dell'investimento per quanto riguarda il problema della
domanda.
Il corso si rivolge agli studenti desiderosi di riflettere sulle nozioni di teoria economica
acquisite negli anni precedenti, collocandole in una prospettiva storico-critica (non priva,
tuttavia, di rilevanza pratica, dalle diverse posizioni teoriche derivando diverse interpretazioni
dei fatti e diverse linee d'azione). La novità non sta, insomma, nei contenuti (tranne in alcuni
casi), ma nel punto di vista adottato. E una delle “novità” consiste proprio nel ristabilire nella
sua integrità il pensiero di un autore, Keynes, su cui troppe “novità” si sono accumulate nel
corso del tempo.
TESTI CONSIGLIATI AGLI STUDENTI FREQUENTANTI
1. P. Garegnani, Appunti sulla teoria del valore e della distribuzione - Parte introduttiva
(Dalle lezioni del prof. P. Garegnani, a cura di A. Campus e T. Cavalieri). Ed. Galileo
Galilei. In vendita presso la libreria “Galileo Galilei”, via Corrado Segre, 13.
2. G. Ackley, Teoria macroeconomica, Einaudi, Torino, terza edizione, 1979. Solo le
seguenti parti:
Cap. 5 - La "legge di Say" etc.; tralasciare gli ultimi due paragrafi.
Cap. 6 - Salari, prezzi, occupazione; tralasciare gli ultimi due paragrafi.
Cap. 7 - Risparmio, investimento, tasso di interesse; tralasciare l'ultimo paragrafo.
Cap. 8 - Riassunto della "teoria classica".
Cap. 9 - Ostacoli alla piena occupazione; tralasciare l'appendice.
Cap.14 - Il "modello keynesiano" completo; tralasciare i primi tre paragrafi e
l'appendice.
3. P. Garegnani, Valore e domanda effettiva, Einaudi, Torino 1981. Parte prima: Note su
consumi, investimenti e domanda effettiva (pp. 5-88).
AVVERTENZE:
(a) Iniziare la lettura dal paragrafo 2 della sezione I (“Ricardo e la ‘legge di Say’”) (pp. 1219).
(b) Tralasciare la parte successiva fino all’inizio di p. 29, dove si legge: “Troviamo quindi
la domanda di capitale elastica rispetto al saggio di interesse…”. Tale (curva di) domanda
è quella costruita negli "Appunti sulla teoria del valore e della distribuzione - Parte
introduttiva" sia attraverso la sostituibilità fra i "fattori della produzione", sia attraverso
quella fra i beni di consumo. Proseguire la lettura fino all’inizio di p. 31 (passaggio dalla
funzione di domanda di capitale alla funzione di domanda di investimenti). Passare poi ai
paragrafi 6 e 7 (pp. 34-44) e alla successiva “Nota” (pp. 45-49).
3
(c) Tralasciare il paragrafo 1 della sezione II, il cui tema (la teoria monetaria di Wicksell) è
trattato estesamente da Ackley. Leggere la restante parte della sezione II (pp. 59-88).
4. J. M. Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta - e altri
scritti, Utet, Torino, 2013. I rinvii contenuti nel saggio di Garegnani sono a una precedente
edizione (Utet, 1953).
Solo le seguenti parti:
Cap. 1 - La "teoria classica" e la Teoria generale
Cap. 2 - I due postulati della "teoria classica"
Cap. 3 - Funzioni di domanda e offerta aggregate; il principio della domanda effettiva
Cap. 4, par. 3 (In particolare: l'unità di salario; se W è l'unità di salario, ossia il salario
in moneta per unità di lavoro, e X è una qualsiasi grandezza espressa in moneta, la
stessa grandezza espressa in unità di salario è X/W; se L è il numero di unità di lavoro
impiegate
nell'economia, il monte salari espresso in unità di salario è anch'esso
pari a L; il reddito nazionale in unità di salario sarà maggiore di L dell'ammontare dei
profitti in unità di salario);
Cap. 5 - Il ruolo delle aspettative
Cap. 10 - Il moltiplicatore
Cap. 11 - L'efficienza marginale del capitale
Cap. 12 - Aspettative di lungo periodo; animal spirits; scetticismo di Keynes
sull'efficacia della politica monetaria
Cap. 13, par. 1, 2 e 3 - "Il tasso di interesse non è il ‘prezzo’ che porta all'equilibrio la
domanda di mezzi da investire con la disposizione ad astenersi dal consumo corrente.
E' il 'prezzo' che equilibra il desiderio di tenere la ricchezza in forma di moneta con
la quantità di moneta disponibile")
Cap. 14 - La teoria classica dell'interesse; con particolare attenzione al grafico
mediante il quale Keynes cerca di mostrare come la
teoria
suddetta
sia
indeterminata
Cap. 19 - Flessibilità dei salari monetari
Cap. 24 - Come un aumento della propensione al consumo possa favorire
l'accumulazione del capitale; eutanasia del rentier; la "filosofia sociale" di Keynes)
5. P. Garegnani, Due vie alla domanda effettiva: un commento a Kregel (disponibile in
fotocopia) (pp. 1-18).
N. B. Per le posizioni teoriche non coperte dal testo di Ackley gli studenti frequentanti
sono invitati a fare riferimento a un testo aggiornato di macroeconomia, come quelli con
cui hanno acquistato familiarità negli anni precedenti (per esempio, Mankiw, G.N., e
Taylor, M.P., Macroeconomia, Zanichelli, Bologna 2011, usato nel corso di Complementi
4
di economia politica). Ulteriori, brevi, letture potranno essere consigliate nel corso delle
lezioni. I collegamenti fra le posizioni in questione e i temi trattati nel corso non
formeranno materia d'esame per gli studenti non frequentanti.
C) GUIDA ALLA LETTURA DEI TESTI CONSIGLIATI
1) E' consigliabile leggere i testi nell'ordine in cui compaiono nell'elenco.
2) Il saggio di Garegnani Note su consumi, investimenti e domanda effettiva (in Valore e
domanda effettiva) ripercorre in chiave critica buona parte dei temi trattati da Ackley. Va
tenuto presente che il testo di Ackley è un manuale e quello di Garegnani no: mentre il
primo non dà nulla per scontato, altrettanto non può dirsi del secondo. Procedendo nella
lettura del saggio di Garegnani, lo studente farà dunque bene a ritornare sulle parti
corrispondenti del testo di Ackley per accertarsi di dominare compiutamente la materia.
Non va tuttavia dimenticato, neanche per un momento, che l'impostazione teorica che
Ackley fa propria (la “sintesi neoclassica”) è quella stessa che Garegnani critica.
Consigliare testi che dicono cose diverse e contrastanti significa trattare gli studenti da
persone adulte. Sta a loro essere all'altezza della sfida.
3) La sezione II del saggio di Garegnani può essere utilizzata come una guida ragionata
alla Teoria generale. La sua lettura, effettuata congiuntamente a quella del testo di Ackley,
dovrebbe facilitare enormemente la comprensione della Teoria generale e consentire,
inoltre, allo studente di formarsi un'opinione il più possibile autonoma circa le interpretazioni che dei vari aspetti della teoria keynesiana vengono date nei due testi (nonché circa
altre interpretazioni con cui egli può venire a contatto in questo come in altri corsi). Lo
studente è invitato, in particolare, (1) a tenere presente che quello che Ackley presenta
come il "modello keynesiano" è in realtà il "modello" proprio della "sintesi neoclassica"
(l'apparato grafico impiegato è perfettamente equivalente, com'è facile verificare, a quello
basato sulle curve IS e LM); e (2) a interrogarsi sul grado di corrispondenza fra il
"modello" suddetto e l'effettiva posizione di Keynes.
4) Se si è preferito il testo di Ackley a uno degli altri manuali di macroeconomia utilizzati
nei corsi di Economia politica è perché esso si presta in modo particolarmente felice ad
assolvere i compiti che gli vengono assegnati nel corso, che sono essenzialmente compiti
di sostegno alla lettura degli altri testi. Ciò è dovuto soprattutto all'attenzione che Ackley
dedica all'ortodossia pre-keynesiana (la "teoria classica") e agli aspetti di continuità fra
essa e l'ortodossia post-keynesiana. Il criterio con cui sono stati scelti i capitoli consigliati è
non è quello dell'importanza degli argomenti, ma quello della funzionalità al corso.
5
TESTI CONSIGLIATI AGLI STUDENTI NON FREQUENTANTI
1. P. Garegnani, Appunti sulla teoria del valore e della distribuzione - Parte introduttiva.
Gli studenti non frequentanti omettano la parte relativa alla costruzione delle curva di
domanda del capitale attraverso la sostituibilità dei beni nel consumo (pp. 13-20).
2. J. M. Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta.
3. A. Hansen, Guida allo studio di Keynes, Giannini Editore, Napoli. Ciascun capitolo di
quest’opera illustra e commenta un gruppo di capitoli della Teoria generale di Keynes.
Leggere le parti corrispondenti ai capitoli della Teoria generale indicati in precedenza, ad
eccezione del cap. 7.
4. P. Garegnani, Due vie alla domanda effettiva: un commento a Kregel (disponibile in
fotocopia) (pp. 1-18).
TUTTI
I
TESTI
SONO
REPERIBILI
PRESSO
LA
BIBLIOTECA
DEL
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA (6° PIANO) – RACCOLTI (TRANNE
QUELLO DI HANSEN) IN UN’APPOSITA CARTELLA.
6
ALLEGATO
GLI “ECONOMISTI CLASSICI” SECONDO MARX E SECONDO KEYNES.
Il primo capitolo della Teoria generale di Keynes (1936) si apre con le seguenti parole: “Ho
intitolato questo libro Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, insistendo
sull’aggettivo generale. Lo scopo di tale titolo è di contrapporre il carattere dei miei ragionamenti e
delle mie conclusioni a quelli formulati nella stessa materia dalla teoria classica, la quale ha
costituito la base della mia formazione scientifica e domina il pensiero economico, sia pratico che
teorico, delle sfere dirigenti e degli ambienti accademici della generazione presente e delle
precedenti, da cento anni a questa parte. Dimostrerò che i postulati della teoria classica risultano
applicabili soltanto a un caso particolare, e non al caso generale, poiché la situazione che essa
presuppone è un caso limite delle possibili situazioni di equilibrio”. Il “caso speciale” su cui,
secondo Keynes, la teoria “classica” arbitrariamente si concentra è l’equilibrio di piena
occupazione. La “teoria generale” di Keynes merita questo nome, a giudizio del suo autore, in
quanto essa contempla, accanto all’equilibrio di piena occupazione, tutti gli altri possibili equilibri
fra la domanda aggregata e l’offerta aggregata.
La posizione criticata da Keynes rappresentava l’ortodossia economica del suo tempo, i cui punti
basilari erano i seguenti. La flessibilità dei salari monetari (che si traduce in flessibilità dei salari
reali, essendo il livello dei prezzi governato dalla quantità di moneta in circolazione) conduce
all’equilibrio il mercato del lavoro. Poiché tale equilibrio si ha nel punto di incontro delle funzioni
di domanda e di offerta di lavoro, il concetto di equilibrio coincide con quello di piena occupazione:
nella situazione di equilibrio tutti coloro che sono disposti a lavorare al salario reale corrente
trovano effettivamente lavoro. Il meccanismo appena descritto presuppone che la produzione
corrispondente alla piena occupazione venga assorbita dal mercato. Ciò è assicurato dai movimenti
del saggio dell’interesse, che portano all’equilibrio il risparmio e l’investimento – e dunque l’offerta
aggregata (consumo più risparmio) e la domanda aggregata (consumo più investimento) – in
corrispondenza di qualsiasi livello di produzione. Non esistono dunque ostacoli, dal lato della
domanda, al raggiungimento della piena occupazione (“legge di Say”).
Ma perché Keynes chiama “classica” questa teoria? Egli giustifica questa scelta lessicale in una
nota a pié di pagina: “L’espressione ‘gli economisti classici’ fu inventata da Marx per comprendere
Ricardo, James Mill e i loro predecessori, ossia per i fondatori della teoria che è culminata
nell’economia ricardiana. Io mi sono abituato, forse scorrettamente, a comprendere nella ‘scuola
classica’ i successori di Ricardo, ossia coloro che hanno adottato e perfezionato la teoria
dell’economia ricardiana, compresi per esempio J. S. Mill, Marshall, Edgeworth e il professor
Pigou”. Sotto la denominazione di “scuola classica” o “economia classica” Keynes raccoglie qui
due tradizioni di pensiero – quella che Marx chiama “economia politica classica” e la scuola
marginalista (o neoclassica) – fra le quali vi è in realtà una differenza di fondo per quanto riguarda
l’individuazione delle forze che determinano la distribuzione del reddito.
La posizione degli “economisti classici”, nel senso dato da Marx a questa espressione, può essere
descritta, in estrema sintesi, nel seguente modo. Il salario è determinato da circostanze storicosociali. Per ogni dato insieme di metodi di produzione, a ogni salario corrisponde un particolare
saggio del profitto. I prezzi “naturali”, o normali, svolgono il ruolo di garantire che il sovrappiù (la
differenza fra il prodotto sociale e la parte di esso che va ai lavoratori) si distribuisca fra i capitalisti
secondo la norma dell’uniformità del saggio del profitto. I principali esponenti di questa scuola
sono ADAM SMITH (1723 – 1790), DAVID RICARDO (1772 – 1823) e KARL MARX (1818 1883). La loro impostazione è stata ripresa nel secolo XX da PIERO SRAFFA (1898 – 1983). Fra
gli economisti che si rifanno all’insegnamento di Adam Smith (il quale è in realtà il capostipite di
7
diverse scuole di pensiero) vanno ricordati anche THOMAS R. MALTHUS (1766 -1834) e JEAN
BAPTISTE SAY (1767 - 1832), che diede il nome alla “legge di Say”.
Secondo la scuola marginalista (o neoclassica) i saggi di remunerazione del lavoro (salario) e del
capitale (saggio dell’interesse) sono determinati dall’incontro delle curve di domanda e delle curve
di offerta dei suddetti “fattori della produzione”. Tali saggi di remunerazione riflettono la scarsità
relativa dei due fattori. Come abbiamo visto a proposito del mercato del lavoro, l’equilibrio sui
mercati dei “fattori della produzione” implica, per definizione, la piena occupazione dei “fattori”
stessi. Fra i principali esponenti della scuola marginalista vanno annoverati CARL MENGER (1840
– 1921), WILLIAM S. JEVONS (1835 – 1882), LEON WALRAS (1834 – 1910), KNUT
WICKSELL (1851 – 1926) e ALFRED MARSHALL (1842 – 1924).
Piacque, tuttavia, a Marshall presentarsi come erede di una tradizione che, attraverso J. S. MILL
(1806 -1873), risaliva a Ricardo. Ciò contribuisce a spiegare perché Keynes allarghi la definizione
di economia “classica” data da Marx fino a ricomprendervi Marshall e ARTHUR C. PIGOU (1877
– 1959), che di Marshall fu, come Keynes, allievo. Come osserva J. A. Schumpeter, “nessun lettore
non prevenuto può mancare di rendersi conto... che la costruzione teorica di Marshall... è
fondamentalmente la stessa di quella di Jevons, di Menger e specialmente di Walras, ma che le
stanze di questa nuova dimora sono state senza necessità riempite di residui ricardiani, che ricevono
un’accentuazione del tutto sproporzionata alla loro importanza operativa” (Storia dell’analisi
economica, Edizioni Scientifiche Einaudi, Torino 1960, p. 1028). L’interpretazione che faceva di
Ricardo un precursore di Marshall fu, tuttavia, assolutamente dominante fino all’edizione dei Works
and Correspondence of David Ricardo, curata da P. Sraffa, i cui primi volumi uscirono nel 1951.
Senza disconoscere il nesso marginalista fra i saggi di remunerazione dei “fattori della produzione”
e la loro scarsità relativa, JOHN M. KEYNES (1883 -1946) ritiene che il saggio di rendimento del
capitale sia determinato dal saggio dell’interesse monetario, determinato a sua volta dalla
“preferenza per la liquidità” dei detentori di ricchezza e dalla politica della Banca Centrale.
La LEGGE DI SAY afferma, nella sua versione originaria, che “la produzione crea la propria
domanda”: la produzione aggregata, qualunque sia il suo livello, incontrerà sempre sul mercato una
domanda aggregata capace di assorbirla. Nell’ambito dell’impostazione marginalista, in cui
l’equilibrio comporta la “piena occupazione” dei “fattori della produzione”, la legge di Say afferma,
come abbiamo visto, che non esistono ostacoli dal lato della domanda al raggiungimento della piena
occupazione.
MALTHUS e MARX criticarono la versione originaria della legge di Say (sostenuta invece da
RICARDO). KEYNES ne criticò la versione marginalista.
Anche questo contribuisce forse a spiegare perché Keynes abbia trattato congiuntamente, sotto il
titolo di “economisti classici”, Ricardo e Marshall: entrambi accettavano la legge di Say. A proprio
precursore Keynes elesse invece Malthus, che l’aveva criticata. Quanto a Marx, Keynes ne apprezzò
la tesi secondo cui le decisioni di investimento dipendono dal confronto fra l’esborso monetario
richiesto per effettuarlo e il rendimento monetario che da esso ci si attende, ma ritenne
(erroneamente) che, nonostante ciò, egli restasse, in ultima analisi, un sostenitore della legge di Say.
8