Corso di Storia dell’analisi economica Titolare prof. Annamaria Simonazzi Anno Accademico 2013/2014 Canale: tutti Numero di crediti: 6 Tipologia: triennale SSD: SECS-P/01 PRESENTAZIONE DEL CORSO Giunti ormai al terzo anno di corso, gli studenti appaiono in grado di affrontare una trattazione non meramente manualistica di alcuni grandi temi di teoria economica. Come il manuale semplifica e irrigidisce, così la lettura diretta di un classico restituisce ricchezza e spessore alla materia. Nel nostro caso si tratterà di alcune parti della Teoria generale di J. M. Keynes, pubblicata nel 1936: libro più citato che letto, la cui composizione è stata definita dall'autore “una lotta per sfuggire ai modi abituali di pensiero e di espressione”. Rivivere tale lotta è un'esperienza intellettuale che non può non lasciare una traccia profonda nella formazione di un economista. Così come va considerata altamente formativa la possibilità di vagliare autonomamente, attraverso il riscontro testuale, le diverse interpretazioni che dell'opera di Keynes vengono avanzate (a cominciare da quella proposta in questo stesso corso). Proprio per quanto si è appena detto l'opera di Keynes necessita, forse più di altre, di un inquadramento storico-critico. Una parte del corso sarà perciò dedicata a ricostruire le posizioni teoriche cui Keynes si contrappone e che egli indica come “teoria classica”, raccogliendo sotto questa denominazione sia i vecchi “economisti classici”, e segnatamente D. Ricardo (1772-1823), sia gli economisti delle generazioni successive fino ad A. Marshall (1842-1924) e oltre1. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale le grandi innovazioni teoriche keynesiane sono state reinterpretate dagli autori della “sintesi neoclassica” in maniera tale da far dipendere il mancato raggiungimento della piena occupazione dall’insufficiente flessibilità dei salari monetari (una lettura della sua posizione contro la quale Keynes aveva espressamente messo in guardia). Nel caso della flessibilità, il mancato raggiungimento della piena occupazione restava confinato a un caso particolare (il cosiddetto “caso keynesiano”), laddove per Keynes era la propria teoria a essere “generale” (di qui il titolo del libro), mentre la “teoria classica” concentrava indebitamente l'attenzione sul caso particolare della piena occupazione. Fra le teorie del sovrappiù sociale – il filone di pensiero entro cui vanno collocati, oltre a Ricardo, Adam Smith (1723-90) e K. Marx (1818-83), e che è stato ripreso ai giorni nostri da P. Sraffa (1898-1983) – e l'impostazione neoclassica (o marginalista), propria dell'ortodossia pre-keynesiana come anche della teoria oggi dominante (e che permea di sé la stessa analisi di Keynes), vi è una differenza di fondo per quanto riguarda l'individuazione delle forze che determinano la distribuzione del reddito (vedi la nota su Gli economisti classici secondo Marx e secondo Keynes, allegata al presente programma). Per il confronto critico fra le teorie del sovrappiù sociale e il marginalismo si rimanda al corso di STORIA DELL’ANALISI ECONOMICA c.a. (Laurea magistrale). 1 L'ampio consenso di cui ha a lungo goduto la “sintesi neoclassica” si è incrinato nel corso degli anni ’70 del XX secolo. Il contrasto fra la microeconomia neoclassica e l'impostazione dominante sul terreno macroeconomico si è risolto a favore della microeconomia neoclassica. E nella macroeconomia il punto di vista “classico” (nell'accezione di Keynes), corroborato dall'apporto “monetarista”, ha riconquistato apertamente il predominio, portando nuovamente a negare qualsiasi ruolo al principio della domanda effettiva, ossia dell'adeguamento dei risparmi agli investimenti attraverso la variazione del reddito reale. Questo predominio viene contestato da posizioni teoriche eterodosse che in vario modo si rifanno a Keynes, vuoi muovendosi all'interno del paradigma neoclassico, vuoi allontanandosi da esso. Ne risulta un articolato quadro teorico, che il corso si propone, nella sua ultima parte, di indagare. Questa analisi è tanto più urgente in quanto la crisi economica e finanziaria ha riportato in auge le politiche e le teorie keynesiane. Nel ripercorrere criticamente la storia del problema della domanda effettiva, si incontreranno via via: (a) la concezione di Ricardo e di altri economisti dello stesso periodo secondo la quale “la produzione crea la propria domanda” (“legge di Say” nella sua versione originaria) e la discussione fra costoro e gli assertori della possibilità della sovrapproduzione; (b) l'ortodossia pre-keynesiana (“teoria classica” nell'accezione di Keynes), che affida alle variazioni del tasso d'interesse il compito di portare all'equilibrio investimento e risparmio di piena occupazione (“legge di Say” nella sua versione marginalista); (c) la Teoria generale di Keynes, che afferma l'indipendenza dell'investimento dal risparmio di piena occupazione e indica nella variazione del reddito reale il meccanismo capace di adeguare il risparmio all'investimento; con la Teoria generale verrà proposta una presa di contatto diretta, sia pur solo nella forma di un percorso guidato; (d) l’ortodossia postbellica (la “sintesi neoclassica”, di cui si è detto), che riafferma la tendenza dell'investimento ad adeguarsi, di regola, al risparmio di piena occupazione a condizione che i salari monetari e i prezzi siano flessibili; (e) la rottura del consenso formatosi intorno alla “sintesi neoclassica” e gli svolgimenti più recenti (monetarismo, nuova macroeconomia classica, nuova economia keynesiana), limitatamente ad alcuni aspetti. Il nesso stabilito fra risparmio e investimento nell'ortodossia pre-keynesiana, come anche nella sintesi neoclassica e nelle formulazioni successive, presuppone l'esistenza di una funzione degli investimenti elastica rispetto al saggio dell'interesse, che deriva a sua volta dalla curva di domanda del capitale come stock, propria della teoria marginalista. Nella costruzione della funzione del domanda di capitale come stock, e dunque in quella della funzione dell'investimento, si incontrano tuttavia delle difficoltà che non appaiono sormontabili. All'illustrazione delle difficoltà suddette sarà dedicata la parte finale del corso, nella quale si esamineranno anche le conseguenze che possono essere tratte dalla critica della 2 teoria marginalista del capitale e dell'investimento per quanto riguarda il problema della domanda. Il corso si rivolge agli studenti desiderosi di riflettere sulle nozioni di teoria economica acquisite negli anni precedenti, collocandole in una prospettiva storico-critica (non priva, tuttavia, di rilevanza pratica, dalle diverse posizioni teoriche derivando diverse interpretazioni dei fatti e diverse linee d'azione). La novità non sta, insomma, nei contenuti (tranne in alcuni casi), ma nel punto di vista adottato. E una delle “novità” consiste proprio nel ristabilire nella sua integrità il pensiero di un autore, Keynes, su cui troppe “novità” si sono accumulate nel corso del tempo. TESTI CONSIGLIATI AGLI STUDENTI FREQUENTANTI 1. P. Garegnani, Appunti sulla teoria del valore e della distribuzione - Parte introduttiva (Dalle lezioni del prof. P. Garegnani, a cura di A. Campus e T. Cavalieri). Ed. Galileo Galilei. In vendita presso la libreria “Galileo Galilei”, via Corrado Segre, 13. 2. G. Ackley, Teoria macroeconomica, Einaudi, Torino, terza edizione, 1979. Solo le seguenti parti: Cap. 5 - La "legge di Say" etc.; tralasciare gli ultimi due paragrafi. Cap. 6 - Salari, prezzi, occupazione; tralasciare gli ultimi due paragrafi. Cap. 7 - Risparmio, investimento, tasso di interesse; tralasciare l'ultimo paragrafo. Cap. 8 - Riassunto della "teoria classica". Cap. 9 - Ostacoli alla piena occupazione; tralasciare l'appendice. Cap.14 - Il "modello keynesiano" completo; tralasciare i primi tre paragrafi e l'appendice. 3. P. Garegnani, Valore e domanda effettiva, Einaudi, Torino 1981. Parte prima: Note su consumi, investimenti e domanda effettiva (pp. 5-88). AVVERTENZE: (a) Iniziare la lettura dal paragrafo 2 della sezione I (“Ricardo e la ‘legge di Say’”) (pp. 1219). (b) Tralasciare la parte successiva fino all’inizio di p. 29, dove si legge: “Troviamo quindi la domanda di capitale elastica rispetto al saggio di interesse…”. Tale (curva di) domanda è quella costruita negli "Appunti sulla teoria del valore e della distribuzione - Parte introduttiva" sia attraverso la sostituibilità fra i "fattori della produzione", sia attraverso quella fra i beni di consumo. Proseguire la lettura fino all’inizio di p. 31 (passaggio dalla funzione di domanda di capitale alla funzione di domanda di investimenti). Passare poi ai paragrafi 6 e 7 (pp. 34-44) e alla successiva “Nota” (pp. 45-49). 3 (c) Tralasciare il paragrafo 1 della sezione II, il cui tema (la teoria monetaria di Wicksell) è trattato estesamente da Ackley. Leggere la restante parte della sezione II (pp. 59-88). 4. J. M. Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta - e altri scritti, Utet, Torino, 2013. I rinvii contenuti nel saggio di Garegnani sono a una precedente edizione (Utet, 1953). Solo le seguenti parti: Cap. 1 - La "teoria classica" e la Teoria generale Cap. 2 - I due postulati della "teoria classica" Cap. 3 - Funzioni di domanda e offerta aggregate; il principio della domanda effettiva Cap. 4, par. 3 (In particolare: l'unità di salario; se W è l'unità di salario, ossia il salario in moneta per unità di lavoro, e X è una qualsiasi grandezza espressa in moneta, la stessa grandezza espressa in unità di salario è X/W; se L è il numero di unità di lavoro impiegate nell'economia, il monte salari espresso in unità di salario è anch'esso pari a L; il reddito nazionale in unità di salario sarà maggiore di L dell'ammontare dei profitti in unità di salario); Cap. 5 - Il ruolo delle aspettative Cap. 10 - Il moltiplicatore Cap. 11 - L'efficienza marginale del capitale Cap. 12 - Aspettative di lungo periodo; animal spirits; scetticismo di Keynes sull'efficacia della politica monetaria Cap. 13, par. 1, 2 e 3 - "Il tasso di interesse non è il ‘prezzo’ che porta all'equilibrio la domanda di mezzi da investire con la disposizione ad astenersi dal consumo corrente. E' il 'prezzo' che equilibra il desiderio di tenere la ricchezza in forma di moneta con la quantità di moneta disponibile") Cap. 14 - La teoria classica dell'interesse; con particolare attenzione al grafico mediante il quale Keynes cerca di mostrare come la teoria suddetta sia indeterminata Cap. 19 - Flessibilità dei salari monetari Cap. 24 - Come un aumento della propensione al consumo possa favorire l'accumulazione del capitale; eutanasia del rentier; la "filosofia sociale" di Keynes) 5. P. Garegnani, Due vie alla domanda effettiva: un commento a Kregel (disponibile in fotocopia) (pp. 1-18). N. B. Per le posizioni teoriche non coperte dal testo di Ackley gli studenti frequentanti sono invitati a fare riferimento a un testo aggiornato di macroeconomia, come quelli con cui hanno acquistato familiarità negli anni precedenti (per esempio, Mankiw, G.N., e Taylor, M.P., Macroeconomia, Zanichelli, Bologna 2011, usato nel corso di Complementi 4 di economia politica). Ulteriori, brevi, letture potranno essere consigliate nel corso delle lezioni. I collegamenti fra le posizioni in questione e i temi trattati nel corso non formeranno materia d'esame per gli studenti non frequentanti. C) GUIDA ALLA LETTURA DEI TESTI CONSIGLIATI 1) E' consigliabile leggere i testi nell'ordine in cui compaiono nell'elenco. 2) Il saggio di Garegnani Note su consumi, investimenti e domanda effettiva (in Valore e domanda effettiva) ripercorre in chiave critica buona parte dei temi trattati da Ackley. Va tenuto presente che il testo di Ackley è un manuale e quello di Garegnani no: mentre il primo non dà nulla per scontato, altrettanto non può dirsi del secondo. Procedendo nella lettura del saggio di Garegnani, lo studente farà dunque bene a ritornare sulle parti corrispondenti del testo di Ackley per accertarsi di dominare compiutamente la materia. Non va tuttavia dimenticato, neanche per un momento, che l'impostazione teorica che Ackley fa propria (la “sintesi neoclassica”) è quella stessa che Garegnani critica. Consigliare testi che dicono cose diverse e contrastanti significa trattare gli studenti da persone adulte. Sta a loro essere all'altezza della sfida. 3) La sezione II del saggio di Garegnani può essere utilizzata come una guida ragionata alla Teoria generale. La sua lettura, effettuata congiuntamente a quella del testo di Ackley, dovrebbe facilitare enormemente la comprensione della Teoria generale e consentire, inoltre, allo studente di formarsi un'opinione il più possibile autonoma circa le interpretazioni che dei vari aspetti della teoria keynesiana vengono date nei due testi (nonché circa altre interpretazioni con cui egli può venire a contatto in questo come in altri corsi). Lo studente è invitato, in particolare, (1) a tenere presente che quello che Ackley presenta come il "modello keynesiano" è in realtà il "modello" proprio della "sintesi neoclassica" (l'apparato grafico impiegato è perfettamente equivalente, com'è facile verificare, a quello basato sulle curve IS e LM); e (2) a interrogarsi sul grado di corrispondenza fra il "modello" suddetto e l'effettiva posizione di Keynes. 4) Se si è preferito il testo di Ackley a uno degli altri manuali di macroeconomia utilizzati nei corsi di Economia politica è perché esso si presta in modo particolarmente felice ad assolvere i compiti che gli vengono assegnati nel corso, che sono essenzialmente compiti di sostegno alla lettura degli altri testi. Ciò è dovuto soprattutto all'attenzione che Ackley dedica all'ortodossia pre-keynesiana (la "teoria classica") e agli aspetti di continuità fra essa e l'ortodossia post-keynesiana. Il criterio con cui sono stati scelti i capitoli consigliati è non è quello dell'importanza degli argomenti, ma quello della funzionalità al corso. 5 TESTI CONSIGLIATI AGLI STUDENTI NON FREQUENTANTI 1. P. Garegnani, Appunti sulla teoria del valore e della distribuzione - Parte introduttiva. Gli studenti non frequentanti omettano la parte relativa alla costruzione delle curva di domanda del capitale attraverso la sostituibilità dei beni nel consumo (pp. 13-20). 2. J. M. Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta. 3. A. Hansen, Guida allo studio di Keynes, Giannini Editore, Napoli. Ciascun capitolo di quest’opera illustra e commenta un gruppo di capitoli della Teoria generale di Keynes. Leggere le parti corrispondenti ai capitoli della Teoria generale indicati in precedenza, ad eccezione del cap. 7. 4. P. Garegnani, Due vie alla domanda effettiva: un commento a Kregel (disponibile in fotocopia) (pp. 1-18). TUTTI I TESTI SONO REPERIBILI PRESSO LA BIBLIOTECA DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA (6° PIANO) – RACCOLTI (TRANNE QUELLO DI HANSEN) IN UN’APPOSITA CARTELLA. 6 ALLEGATO GLI “ECONOMISTI CLASSICI” SECONDO MARX E SECONDO KEYNES. Il primo capitolo della Teoria generale di Keynes (1936) si apre con le seguenti parole: “Ho intitolato questo libro Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, insistendo sull’aggettivo generale. Lo scopo di tale titolo è di contrapporre il carattere dei miei ragionamenti e delle mie conclusioni a quelli formulati nella stessa materia dalla teoria classica, la quale ha costituito la base della mia formazione scientifica e domina il pensiero economico, sia pratico che teorico, delle sfere dirigenti e degli ambienti accademici della generazione presente e delle precedenti, da cento anni a questa parte. Dimostrerò che i postulati della teoria classica risultano applicabili soltanto a un caso particolare, e non al caso generale, poiché la situazione che essa presuppone è un caso limite delle possibili situazioni di equilibrio”. Il “caso speciale” su cui, secondo Keynes, la teoria “classica” arbitrariamente si concentra è l’equilibrio di piena occupazione. La “teoria generale” di Keynes merita questo nome, a giudizio del suo autore, in quanto essa contempla, accanto all’equilibrio di piena occupazione, tutti gli altri possibili equilibri fra la domanda aggregata e l’offerta aggregata. La posizione criticata da Keynes rappresentava l’ortodossia economica del suo tempo, i cui punti basilari erano i seguenti. La flessibilità dei salari monetari (che si traduce in flessibilità dei salari reali, essendo il livello dei prezzi governato dalla quantità di moneta in circolazione) conduce all’equilibrio il mercato del lavoro. Poiché tale equilibrio si ha nel punto di incontro delle funzioni di domanda e di offerta di lavoro, il concetto di equilibrio coincide con quello di piena occupazione: nella situazione di equilibrio tutti coloro che sono disposti a lavorare al salario reale corrente trovano effettivamente lavoro. Il meccanismo appena descritto presuppone che la produzione corrispondente alla piena occupazione venga assorbita dal mercato. Ciò è assicurato dai movimenti del saggio dell’interesse, che portano all’equilibrio il risparmio e l’investimento – e dunque l’offerta aggregata (consumo più risparmio) e la domanda aggregata (consumo più investimento) – in corrispondenza di qualsiasi livello di produzione. Non esistono dunque ostacoli, dal lato della domanda, al raggiungimento della piena occupazione (“legge di Say”). Ma perché Keynes chiama “classica” questa teoria? Egli giustifica questa scelta lessicale in una nota a pié di pagina: “L’espressione ‘gli economisti classici’ fu inventata da Marx per comprendere Ricardo, James Mill e i loro predecessori, ossia per i fondatori della teoria che è culminata nell’economia ricardiana. Io mi sono abituato, forse scorrettamente, a comprendere nella ‘scuola classica’ i successori di Ricardo, ossia coloro che hanno adottato e perfezionato la teoria dell’economia ricardiana, compresi per esempio J. S. Mill, Marshall, Edgeworth e il professor Pigou”. Sotto la denominazione di “scuola classica” o “economia classica” Keynes raccoglie qui due tradizioni di pensiero – quella che Marx chiama “economia politica classica” e la scuola marginalista (o neoclassica) – fra le quali vi è in realtà una differenza di fondo per quanto riguarda l’individuazione delle forze che determinano la distribuzione del reddito. La posizione degli “economisti classici”, nel senso dato da Marx a questa espressione, può essere descritta, in estrema sintesi, nel seguente modo. Il salario è determinato da circostanze storicosociali. Per ogni dato insieme di metodi di produzione, a ogni salario corrisponde un particolare saggio del profitto. I prezzi “naturali”, o normali, svolgono il ruolo di garantire che il sovrappiù (la differenza fra il prodotto sociale e la parte di esso che va ai lavoratori) si distribuisca fra i capitalisti secondo la norma dell’uniformità del saggio del profitto. I principali esponenti di questa scuola sono ADAM SMITH (1723 – 1790), DAVID RICARDO (1772 – 1823) e KARL MARX (1818 1883). La loro impostazione è stata ripresa nel secolo XX da PIERO SRAFFA (1898 – 1983). Fra gli economisti che si rifanno all’insegnamento di Adam Smith (il quale è in realtà il capostipite di 7 diverse scuole di pensiero) vanno ricordati anche THOMAS R. MALTHUS (1766 -1834) e JEAN BAPTISTE SAY (1767 - 1832), che diede il nome alla “legge di Say”. Secondo la scuola marginalista (o neoclassica) i saggi di remunerazione del lavoro (salario) e del capitale (saggio dell’interesse) sono determinati dall’incontro delle curve di domanda e delle curve di offerta dei suddetti “fattori della produzione”. Tali saggi di remunerazione riflettono la scarsità relativa dei due fattori. Come abbiamo visto a proposito del mercato del lavoro, l’equilibrio sui mercati dei “fattori della produzione” implica, per definizione, la piena occupazione dei “fattori” stessi. Fra i principali esponenti della scuola marginalista vanno annoverati CARL MENGER (1840 – 1921), WILLIAM S. JEVONS (1835 – 1882), LEON WALRAS (1834 – 1910), KNUT WICKSELL (1851 – 1926) e ALFRED MARSHALL (1842 – 1924). Piacque, tuttavia, a Marshall presentarsi come erede di una tradizione che, attraverso J. S. MILL (1806 -1873), risaliva a Ricardo. Ciò contribuisce a spiegare perché Keynes allarghi la definizione di economia “classica” data da Marx fino a ricomprendervi Marshall e ARTHUR C. PIGOU (1877 – 1959), che di Marshall fu, come Keynes, allievo. Come osserva J. A. Schumpeter, “nessun lettore non prevenuto può mancare di rendersi conto... che la costruzione teorica di Marshall... è fondamentalmente la stessa di quella di Jevons, di Menger e specialmente di Walras, ma che le stanze di questa nuova dimora sono state senza necessità riempite di residui ricardiani, che ricevono un’accentuazione del tutto sproporzionata alla loro importanza operativa” (Storia dell’analisi economica, Edizioni Scientifiche Einaudi, Torino 1960, p. 1028). L’interpretazione che faceva di Ricardo un precursore di Marshall fu, tuttavia, assolutamente dominante fino all’edizione dei Works and Correspondence of David Ricardo, curata da P. Sraffa, i cui primi volumi uscirono nel 1951. Senza disconoscere il nesso marginalista fra i saggi di remunerazione dei “fattori della produzione” e la loro scarsità relativa, JOHN M. KEYNES (1883 -1946) ritiene che il saggio di rendimento del capitale sia determinato dal saggio dell’interesse monetario, determinato a sua volta dalla “preferenza per la liquidità” dei detentori di ricchezza e dalla politica della Banca Centrale. La LEGGE DI SAY afferma, nella sua versione originaria, che “la produzione crea la propria domanda”: la produzione aggregata, qualunque sia il suo livello, incontrerà sempre sul mercato una domanda aggregata capace di assorbirla. Nell’ambito dell’impostazione marginalista, in cui l’equilibrio comporta la “piena occupazione” dei “fattori della produzione”, la legge di Say afferma, come abbiamo visto, che non esistono ostacoli dal lato della domanda al raggiungimento della piena occupazione. MALTHUS e MARX criticarono la versione originaria della legge di Say (sostenuta invece da RICARDO). KEYNES ne criticò la versione marginalista. Anche questo contribuisce forse a spiegare perché Keynes abbia trattato congiuntamente, sotto il titolo di “economisti classici”, Ricardo e Marshall: entrambi accettavano la legge di Say. A proprio precursore Keynes elesse invece Malthus, che l’aveva criticata. Quanto a Marx, Keynes ne apprezzò la tesi secondo cui le decisioni di investimento dipendono dal confronto fra l’esborso monetario richiesto per effettuarlo e il rendimento monetario che da esso ci si attende, ma ritenne (erroneamente) che, nonostante ciò, egli restasse, in ultima analisi, un sostenitore della legge di Say. 8