MULTIPLI E DIVISORI Definizione. Dati due interi a e b, si dice che b divide a e si scrive b|a se esiste un numero intero q tale che a = bq. Se b|a, si dice anche che a è un multiplo di b oppure che a è divisibile per b. Se b non divide a, si usa la notazione b 6 |a. ESERCIZIO PER CASA: • 0 è l’unico intero divisibile per ogni altro intero; • 1 e -1 sono gli unici interi che dividono ogni altro intero. • 0 divide solo se stesso. Proposizione Siano a e b due interi entrambi non nulli. Se a|b e b|a, allora b = ±a. Dimostrazione: Supposto che a|b e b|a esistono due interi q e q 0 tali che b = qa e a = q 0b. Da queste relazioni segue che a = q 0b = q 0(qa) = (q 0q)a. Poiché a 6= 0 è necessariamente q 0q = 1 e quindi q = q 0 = 1 oppure q = q 0 = −1. Nel primo caso concludiamo che a = b, mentre nel secondo caso otteniamo che b = −a.2 Def. Siano a, b ∈ Z. Si dice combinazione lineare di a e b ogni numero intero della forma sa + tb con s, t ∈ Z. Proposizione Se c|a e c|b allora c divide ogni combinazione lineare di a e b. Dimostrazione: Consideriamo una combinazione lineare del tipo z = sa + tb. Tesi: c|z Per ipotesi: a = qc e b = q 0c dove q e q 0 sono opportuni interi. Allora sa + tb = s(qc) + t(q 0c) = (sq + tq 0)c con (sq + tq 0) ∈ Z e quindi per definizione c|z. DIVISIONE IN Z Definizione. Si definisce valore assoluto di un numero intero a il mumero intero positivo |a| tale che: a se a ≥ 0 |a| = −a se a < 0. Se a e b sono due interi qualsiasi, allora valgono le seguenti: |a · b| = |a| · |b| |a + b| ≤ |a| + |b|. Teorema (Divisione Euclidea) Siano a e b elementi di Z con b 6= 0. Esistono e sono univocamente determinati due interi q ed r tali che a = bq + r e 0 ≤ r < |b|. Gli interi q ed r sono detti rispettivamnte il quoziente ed il resto della divisione di a per b. DIMOSTRAZIONE DELL’ESISTENZA DEL QUOZIENTE E DEL RESTO Caso a ≥ 0, b ≥ 0: • Se a è multiplo di b allora a = qb con q ∈ N. Il quoziente è q ed il resto è 0. • Se a non è multiplo di b allora sia qb il più grande multiplo di b minore di a: qb < a < (q + 1) b. (∗) Poniamo e quindi r := a − qb > 0. a = qb + r. La prima delle disuguaglianze (*) dà r > 0. La seconda delle disuguaglianze (*) dà: r < b. DIMOSTRAZIONE DELL’ESISTENZA DEL QUOZIENTE E DEL RESTO Caso generale: Sappiamo che |a| = q|b| + r con 0 ≤ r < |b|. Se a ≥ 0: a = q|b| + r con 0 ≤ r < |b|. che possiamo riscrivere a = (±1)qb + r. Il quoziente che si ottiene è ±q a seconda del segno di b. Il resto è r. Se a ≤ 0: −a = q|b| + r con 0 ≤ r < |b|. da cui a = (−q) |b| − r aggiungendo e sottraendo |b|: a = (−q) |b| − |b| + |b| − r. Poniamo e otteniamo: r0 := |b| − r a = (−q − 1) |b| + r 0 a = ±(q + 1) b + r 0 Il resto ottenuto è r 0 = |b| − r. con 0 ≤ r 0 < |b|. REGOLA GENERALE: Il resto della divisione di a per b è: • uguale al resto r della divisione di |a| per |b|, se a ≥ 0 • uguale a |b| − r, se a ≤ 0. Esercizio: Determinare il quoziente ed il resto della divisione di a per b nei seguenti casi: a = −36, b = 5 a = −7, b = 49. MASSIMO COMUN DIVISORE Definizione. Si dice divisore comune di due interi a e b ogni intero c ∈ Z tale che c|a e c|b. Definizione. Siano a e b elementi di Z. Si dice massimo comun divisore di a e b ogni intero d che soddisfi le condizioni seguenti: i) d è divisore comune di a e b: d|a e d|b; ii) Se c è un divisore comune di a e b, allora c|d. In altri termini, un massimo comune divisore è ogni divisore comune di a e b che è multiplo di tutti gli altri divisori comuni. Osservazione. Se a = b = 0 allora l’unico MCD è 0. Per questo motivo, tratteremo il caso in cui a e b non sono entrambi nulli. In tal caso 0 non è mai MCD tra a e b. ESERCIZIO PER CASA: 1) Se b|a, allora b è un massimo comune divisore di a e b. 2) Per ogni a ∈ Z con a 6= 0, a è un MCD tra 0 ed a. 3) Se d è un MCD tra a e b, anche −d lo è. Proposizione Siano a e b interi non entrambi nulli. Allora se d è un MCD tra a e b, allora è anche un MCD tra −a e b. Dimostrazione: Infatti, un qualunque intero c è divisore comune di a e b se e solo se è divisore comune di −a e b. Conseguenza: Nel determinare un MCD tra due interi, li si può sempre supporre entrambi positivi (a meno di sostituirli con i valori assoluti). Questioni: • dati a, b ∈ Z, esiste un loro MCD? • Quanti MCD tra a e b vi sono? Risposta alla seconda domanda: Teorema Siano a e b interi non entrambi nulli e sia d un loro massimo comune divisore. Allora oltre d vi è solo un altro massimo comune divisore tra a e b, che è −d. Dimostrazione: Sia d un MCD tra a e b. È immediato verificare che anche −d è un massimo comune divisore. Si tratta di provare che non ve ne sono altri. Infatti, sia d0 un altro MCD; applicando la proprietà ii) di d: d0|d. D’altra parte, applicando la stessa proprietà di d0: d|d0. Concludiamo che d0 = ±d. Conseguenza: per due qualunque elementi a e b di Z, non entrambi nulli, si può parlare di “un massimo comun divisore” e non “del massimo comun divisore”. Per il “ massimo comun divisore” di a e b si intenderà quello positivo. Il massimo comun divisore positivo verrà denotato con M CD(a, b). Teorema (Esistenza di un massimo comun divisore) Se a e b sono numeri interi non entrambi nulli, esiste un massimo comun divisore di a e b. Inoltre esistono due interi s e t tali che d = sa + tb. (1) Un’espressione del tipo (1) si dice identità di Bézout. Possiamo limitarci al caso a ≥ 0 e b ≥ 0 e alla determinazione del massimo comun divisore positivo. La dimostrazione consiste nell’algoritmo di Euclide, che è basato sui fatti seguenti: A) se b|a allora b = M CD(a, b) B) se b 6 |a, allora M CD(a, b) = M CD(b, r) dove r= resto della divisione di a per b. Dimostrazione di B): si verifica che i divisori comuni di a e b sono tutti e soli i divisori comuni di b e di r. Si eseguono le seguenti divisioni successive: se r 6= 0 : se r1 = 6 0: se ri+1 6= 0 se rn−2 6= 0 : se rn−1 6= 0 : se rn = 6 0: a = bq + r b = rqo + r1 r = r 1 q1 + r2 ... ri = ri+1 qi+1 + ri+2 ... rn−3 = rn−2qn−2 + rn−1 ... rn−2 = rn−1qn−1 + rn rn−1 = rnqn + 0. 0≤r<b 0 ≤ r1 < r 0 ≤ r 2 < r1 0 ≤ ri+2 < ri+1 0 ≤ rn−1 < rn−2 0 ≤ rn < rn−1 La successione termina quando si determina un resto nullo. Notiamo che: • la successione delle divisioni termina dopo un numero finito di passi • • rn = M CD(a, b) dove rn è l’ultimo resto non nullo. Dimostrazione di • Per costruzione: b > r > r 1 > r2 > · · · ovvero r, r1 , . . . è una successione strettamente decrescente di numeri naturali. Dimostrazione di •• M CD(a, b) = M CD(b, r) = M CD(r, r1 ) = · · · = = M CD(ri, ri+1 ) = · · · = M CD(rn−1, rn ) = rn. Dimostrazione dell’identità di Bèzout: Per costruzione r è combinazione lineare di a e b: r = a − qb mentre, stante la seconda divisione, r1 è combinazione lineare di b e di r; segue che anche r1 è combinazione lineare di a e b: r1 = b − rqo = b − (a − qb)qo = −qoa + (qqo + 1)b. In generale, ciascun resto ri, i ≥ 2 è una combinazione lineare dei due resti precedenti ri−1 e ri−2 . Questo comporta che ciascun resto è a sua volta combinazione lineare di a e b. In particolare questo vale per l’ultimo resto non nullo rn = M CD(a, b). Esercizio Determinare il massimo comun divisore d tra 212 e 148 ed una identità di Bézout d = s(212) + t(148), Applicando l’algoritmo, divisioni: 212 148 64 20 s, t ∈ Z. si ottiene la seguente sequenza di 4 = 1 · 148 + = 2 · 64 + = 3 · 20 + = 5·4 + 64 20 4 0 Si ha quindi d = 4 (ultimo resto non nullo). Ricavando ora i resti: 64 = 212 − 148 20 = (148) − 2 · 64 = (148) − 2 · (212 − 148) = 3 · (148) − 2 · (212) 4 = 64 − 3 · 20 = 212 − 148 − 3 (148 − 2 · (212)) = = 7 · 212 + (−10) · 148. e quindi 4 = 7 · (212) + (−10) · 148. che è l’identità voluta (con s = 7 e t = −10.) Esercizio per casa: Determinare d = M CD(300, −368) e due interi s, t tali che d = s · 300 + t(−368). NUMERI PRIMI TRA LORO Def. Due numeri interi a, b ∈ Z si dicono primi tra loro se M CD(a, b) = 1. In tal caso esistono sempre due interi s, t ∈ Z tali che 1 = sa + tb. Proposizione Siano a e b interi non entrambi nulli. Posto d = M CD(a, b), allora gli interi b a e b̄ := ā := d d sono primi tra loro. Dimostrazione: esercizio per casa! Proposizione Siano a, b ∈ Z interi primi tra loro e si supponga che a|bk per un certo k ∈ Z. Allora a|k. Dimostrazione: basta provare che k è combinazione lineare di a e di bk. Infatti per (*), motiplicando per k ambo i membri: k = (sk)a + t(bk). EQUAZIONI DIOFANTEE Dicesi equazione diofantea lineare un’equazione della forma ax + by = c (1) dove i termini noti a, b, c e le incognite x, y sono tutti numeri interi. Una soluzione di (1) è ogni coppia (x0, y0) di numeri interi tale che ax0 + by0 = c. Teorema L’equazione diofantea (1) ha almeno una soluzione se e solo se M CD(a, b)|c. In tal caso, vi sono infinite soluzioni. Precisamente, posto d = M CD(a, b), se (xo, yo) è una soluzione qualsiasi, allora tutte le soluzioni sono b a (xo + t , yo − t ) d d al variare di t ∈ Z. METODO RISOLUTIVO Per risolvere l’equazione ax + by = c (1) nell’ipotesi M CD(a, b)|c, si determina un’indentità di Bézout d = sa + tb per d = M CD(a, b). Supposto ora che c = kd moltiplicando ambo i membri di (*) per k: c = (sk)a + (tk)b e si ottiene la soluzione (sk, tk). (∗) Esempio: Risolvere l’equazione diofantea: 7x + 11y = 3 Applicando l’algoritmo euclideo: 11 7 4 3 = = = = 1·7 1·4 1·3 1·3 +4 + 3 + 1 +0 otteniamo d = M CD(7, 11) = 1 e quindi l’equazione ha soluzioni. Ricaviamo l’identità di Bèzout: 4 = 11 − 7 3 = 7 − 4 = 7 − (11 − 7) = (2)7 − 11 1 = 4 − 3 = (11 − 7) − (2 · 7 − 11) = 2 · 11 − 3 · 7 1 = 2 · 11 − 3 · 7 Dall’identità di Bèzout, moltiplicando per 3: 3 = −9(7) + 6(11) per cui una soluzione è (−9, 6). Tutte le soluzioni sono (−9 + 11t, 6 − 7t) Esercizio: fantea Determinare una soluzione dell’equazione dio14x + 26y = −64 Stablire poi che, se (x, y) è una soluzione con x pari, allora anche y è pari. MINIMO COMUNE MULTIPLO Definizione. Siano a e b elementi di Z. Si dice minimo comune multiplo tra a e b e si denota con mcm(a, b) ogni intero m che soddisfi le condizioni seguenti: i) a|m e b|m; ii) Se c ∈ Z è tale che a|c e b|c, allora m|c. In altri termini un minimo comune multiplo è ogni multiplo comune di a e b che è divisore di tutti gli altri multipli comuni. In modo analogo a quanto fatto per il massimo comun divisore tra interi, sussistono i seguenti risultati: se a e b sono due interi entrambi non nulli, allora: • esiste un minimo comune multiplo di a e b; • esistono esattamente due mcm(a,b), l’uno opposto dell’altro. Quindi anche il tal caso vi è un unico minimo comune multiplo positivo, denotato con mcm(a, b). Siano a, b due numeri interi. La relazione che intercorre tra i numeri M CD(a, b) e mcm(a, b) è la seguente: mcm(a, b) = |a · b| . M CD(a, b) (∗) Quindi: per calcolare mcm(a, b) conviene calcolare prima M CD(a, b) tramite l’algoritmo di Euclide e quindi utilizzare la (*). Dimostrazione della formula (*). Supponiamo al solito che a e b siano entrambi positivi. Posto d = M CD(a, b) e m = abd proviamo che m soddisfa le due proprietà i) e ii) di minimo comune multiplo. Prova di i): è sufficiente osservare che m= Ponendo a b b, m = a d d b a ā = , b̄ = d d possiamo scrivere m = (ā)b = (b̄)a con ā e b̄ entrambi interi. Prova di ii): sia c ∈ Z tale che a|c e b|c. Allora c = ah = bk per opportuni h, k ∈ Z. Segue c = (ād)h = (b̄d)k da cui āh = b̄k. Poichè ā e b̄ sono primi tra loro segue ā|k. Quindi k si può scrivere nella forma k = āt t ∈ Z. Sostituendo in (*): c = bk = bāt = mt. Ciò prova che m|c. (∗) NUMERI PRIMI Definizione Un numero p ∈ Z con p 6= 0, p 6= ±1, si dice primo se, qualunque siano a, b ∈ Z: se p|ab, allora p|a oppure p|b. Definizione Un numero p ∈ Z con p 6= 0, p 6= ±1, si dice irriducibile se i suoi unici divisori sono 1, −1, p e −p. In altri termini, p è irriducibile se per ogni c ∈ Z: se c|p, allora c = ±1 oppure c = ±p. Proposizione Sia p ∈ Z con p 6= 0, p 6= ±1. p è primo se e solo se è irriducibile. Dimostrazione: A) Supponiamo p primo e proviamo che p è irriducible. Sia c ∈ Z tale che c|p. Allora esiste h ∈ Z tale che p = ch. Dalla definizione di numero primo deduciamo che: p|c oppure p|h. Nel primo caso: poichè c|p, deduciamo che c = ±p . (∗) Nel secondo caso: abbiamo p|h e h|p che implica h = ±p. Quindi p = ch = c(±p) e quindi c = ±1. B) Supponiamo che p sia irriducibile e proviamo che è primo. Siano a, b ∈ Z tali che p|ab. Tesi: p|a oppure p|b. Poniamo d = M CD(p, a), d > 0. Essendo d divisore di p, necessariamente d = 1 oppure d = ±p. Se d = ±p, allora p|a. Esaminiamo quindi il caso in cui d = 1. In tal caso p ed a sono primi tra loro, e quindi dalla relazione p|ab segue direttamente che p|b in forza di una proprietà dimostrata in precedenza. Teorema (fondamentale dell’aritmetica) Sia a un numero intero con a 6= 0, a 6= ±1. Allora a è primo oppure può essere scritto come il prodotto di un numero finito di numeri primi (non necessariamente distinti). Tale fattorizzazione è essenzialmente unica nel senso che, se a = p 1 · p2 · · · p s e a = q 1 · q2 · · · q t dove i numeri pi (1 ≤ i ≤ s) e qj (1 ≤ j ≤ t) sono primi, allora s = t ed a meno di riordinare i fattori si ha p1 = ±q1, p2 = ±q2, . . . , ps = ±qs. Corollario: Ogni a ∈ Z, a 6= 0, a 6= ±1 si scrive in modo essenzialmente unico nella forma a = (p1)m1 · (p2 )m2 · · · (ps)ms dove i pi sono primi distinti tra loro e gli mi sono interi positivi. Teorema: Esistono infiniti numeri primi. Supponiamo per assurdo che i numeri primi siano in numero finito; siano essi p1 , p2, . . . , pN . Consideriamo allora il numero a = p1 · p2 · · · pN + 1.(∗) Per il Teorema fondamentale, esiste un primo q che divide a. Poichè q è uno dei pi, è chiaro che q|(p1 · p2 · · · pN ). Allora per (*) si ottiene q|1 il che è una contraddizione. 2 CONGRUENZE Definizione: Fissato un intero n, diciamo che due interi a, b ∈ Z sono congrui modulo n e scriviamo a ≡ b (mod n) o anche a ≡n b se a − b è divisibile per n: n|(a − b). Nota: I casi n = 0 e n = 1 sono banali: 1) a ≡ b (mod 0) ⇐⇒ a = b. 2) La relazione a ≡ b (mod 1) è sempre vera! Osservazione: Per ogni a, b risulta: a ≡ b (mod n) ⇐⇒ a ≡ b (mod (−n)) Quindi possiamo limitarci a considerare il caso n > 0. Proposizione Sia n > 0 e siano a, b in Z. Allora a e b sono congrui modulo n se e solo se i resti delle divisioni di a per n e di b per n coincidono. Dimostrazione. Effettuando le due divisioni si ha a = q 1 n + r 1 0 ≤ r1 < n (∗) b = q2n + r2 0 ≤ r2 < n. (∗∗) Supponiamo dapprima che a ≡ b (mod n). Allora a = b + nh per un opportuno h ∈ Z. Sostituendo nella (*) si ottiene b + nh = q1n + r1 da cui b = (q1 − h) n + r1 Per l’unicità del resto, confrontando con la (**) segue che r2 = r 1 . Viceversa, si assuma che r1 = r2. Sottraendo membro a membro le (*)-(**) segue a − b = (q1 − q2)n e quindi a e b sono congrui modulo n.2 Teorema Ogni intero a è congruo modulo n ad uno ed un solo dei numeri 0, 1, 2, . . . , n − 1 Tale numero è il resto della divisione di a per n. Es: Abbiamo −37 ≡? (mod 12) Def. Sia a ∈ Z. Si dice classe di congruenza modulo n l’insieme di tutti gli interi b che sono congrui ad a mod. n. Tale insieme si denota con [a]n In simboli si scrive [a]n := { b ∈ Z | a ≡ b (mod n) }. Notiamo che il generico elemento di [a]n è un numero della forma a + hn al variare di h ∈ Z. Corollario: Ogni intero a ∈ Z appartiene ad uno ed uno solo dei sottoinsiemi: [0]n, [1]n · · · , [n − 1]n. che coincide con [a]n. Proprietà elementari delle congruenze Sia n un fissato intero positivo. La relazione di congruenza modulo n gode di molte delle proprietà soddisfatte dalla relazione di uguaglianza. Proposizione 1) Per ogni a ∈ Z si ha a ≡ a (mod n); (riflessività) 2) Se a ≡ b (mod n), allora b ≡ a (mod n) (simmetria) 3) Se a ≡ b (mod n) e b ≡ c (mod n), allora a ≡ c (mod n). (transitività). Proposizione Per ogni a, b, c, d ∈ Z, se a ≡ b (mod n) e c ≡ d (mod n) allora risulta: a + c ≡ b + d (mod n) a · c ≡ b · d (mod n). Conseguenza: In un’espressione della forma a1xh1 1 + a2xh2 2 + · · · + ak xhk ≡ b (mod n) dove h1 , . . . , hk ∈ N, è lecito sostituire uno qualsiasi dei numeri xi con uno ad esso congruo mod. n. Esempio: Ogni intero è congruo modulo 3 alla somma delle sue cifre: Ad esempio: 1317 ≡3 (1 + 3 + 1 + 7). Ciò segue dal fatto ovvio che 10 ≡3 1. Infatti, considerato un intero a, e posto: a = ao + a1 · 10 + a2 · 102 + · · · + ak · 10k (a ha k + 1 cifre), allora possiamo scrivere a ≡3 ao + a1 · 10 + a2 · 102 + · · · + ak · 10k e sostituendo 1 al posto di 10: a ≡3 ao + a 1 + a 2 + · · · + a k . Questo fatto fornisce una dimostrazione del criterio di divisibilità per 3: Un numero a ∈ Z è divisibile per 3 se e solo se lo è la somma delle sue cifre. Esercizio per casa: per 5 e per 11. Provare i criteri di divisibilità per 2, LEGGE DI CANCELLAZIONE Notiamo che la proprietà di cancellazione valida in Z: se a · c = b · c e c 6= 0, allora a = b non ha un perfetto analogo se sostituiamo ≡n al posto dell’uguaglianza. Ad esempio nella relazione 3 · 2 ≡ 4 · 2 (mod 2) non è lecito “semplificare il 2” in quanto non è vero che 3 ≡ 4 (mod 2). Bensı̀ si può dimostrare quanto segue: Proposizione: Siano a, b, c ∈ Z. Se a · c ≡ b · c (mod n) ed inoltre M CD(c, n) = 1, allora a ≡ b (mod n). Dimostrazione. Per ipotesi n|(a − b) · c. Ma n e c sono primi tra loro, e quindi per una proprietà vista in precedenza n|(a − b).2 Es. Dalla relazione 148 ≡ 4 (mod 9) otteniamo, “dividendo per 2”: 74 ≡ 2 (mod 9). Questo è corretto perchè M CD(2, 9) = 1. Nel caso in cui M CD(c, n) 6= 1 è possibile semplificare la congruenza ac ≡ bc (mod n) a patto di cambiarne il modulo, utilizzando il risultato seguente: Proposizione: Sia n > 0 e siano a, b, c ∈ Z tali che ac ≡ bc (mod n). Allora si ha a ≡ b (mod n ) d dove d = M CD(c, n).2 Dimostrazione. Dalla congruenza ac ≡ bc (mod n) si deduce subito la seguente: c n c a ≡ b (mod ). d d d c n Ricordiamo ora che M CD( d , d ) = 1 per cui a questa congruenza si può applicare la legge di cancellazione provata in precedenza. Se ne deduce quindi n a ≡ b (mod ).2 d Es. Dalla congruenza 30 ≡ 48 (mod 9) se ne deduce l’altra 5 ≡ 8 (mod 3). Infatti possiamo riscrivere la prima come 6 · 5 ≡ 6 · 8 (mod 9) e quindi semplificare il 6, cambiando però il modulo in 3 = 39 , tenendo conto che M CD(9, 6) = 3. CONGRUENZE LINEARI Una congruenza lineare è un’equazione del tipo ax ≡ b (mod m) dove x è l’incongita e a, b, m sono noti. Attenzione: una congruenza lineare può non avere soluzioni x ∈ Z. Es: Questa congruenza 15x ≡ 4 (mod 3) non ha soluzioni perchè 15 ≡3 0. Teorema: La congruenza lineare: ax ≡ b (mod m) ha soluzioni se e solo se M CD(a, m) | b. In tal caso, posto d := M CD(a, m), vi sono d soluzioni incongrue modulo m: m x0 + h , h = 0, . . . , d − 1 d essendo x0 una soluzione arbitraria. Ogni altra soluzione è congrua ad una di queste modulo n. L’insieme di tutte le soluzioni è m {x0 + h | h ∈ Z} = [xo] md d METODO PER DETERMINARE UNA SOLUZIONE Determinare una soluzione xo della congruenza lineare ax ≡ b (mod m) è equivalente a determinare una soluzione (xo, yo) dell’equazione diofantea: ax + my = b.(∗) Infatti, axo ≡ b (mod m) significa che esiste un intero h tale che axo − b = mh ovvero ax0 − hm = b. Quindi (xo, yo) con yo = −h è soluzione di (*). Esercizio. Risolvere il seguente quesito: su un lato di una strada è previsto un turno di pulizia ogni 26 giorni, per cui è divieto sostare. Se oggi (mercoledı̀) è giorno di divieto, tra quanti giorni non sarà possibile parcheggiare di lunedı̀? Esercizio: Dire se la seguente congruenza 4x ≡ 3 (mod 319) ammette soluzione ed in caso affermativo trovare la più piccola soluzione positiva. Esercizio: Per ciascuna delle seguenti congruenze, determinare un insieme di soluzioni incongrue più grande possibile. 1) 3x ≡ 7 (mod 19) 2) 21x ≡ 18 (mod 12) 3) 8x ≡ 12 (mod 28). Teorema cinese del resto: Il sistema di congruenze a1x ≡ b1 ( mod r1) a2x ≡ b2 ( mod r2) ··· a x ≡ b ( mod r ) k k k con M CD(ai, ri) = 1 e M CD(ri, rj ) = 1, ammette una ed una sola soluzione modulo R = r1 · r2 · · · rk . In altri termini, esso ammette soluzioni e, se xo è una soluzione, allora l’insieme di tutte le soluzioni è [xo]R ESERCIZIO: Risolvere il sistema di congruenze 3x ≡ 2 ( mod 8) 2x ≡ 9 ( mod 15) e determinare la più piccola soluzione positiva. ESERCIZIO: Determinare tutte le soluzioni del sistema 4x ≡ 8 ( mod 6) 3x ≡ 5 ( mod 7) ESERCIZIO per casa: Risolvere il sistema x ≡ 3 ( mod 7) x ≡ 2 ( mod 5) x ≡ 7 ( mod 2) IL PICCOLO TEOREMA DI FERMAT Teorema Sia p > 0 un numero primo e a un intero non divisibile per p. Allora si ha: ap−1 ≡ 1 (mod p). Esercizio: 1)Verificare che 1464 ≡ 1 (mod 3). 2) Stabilire se (−453)32 ≡ 4 (mod 11). IL PRINCIPIO DI INDUZIONE Il principio di induzione è basato su un postulato fondamentale riguardante i numeri naturali: Sia A ⊂ N e un sottoinsieme di A tale che: i) 0 ∈ A; ii) per ogni n ∈ N: se n ∈ A, allora (n + 1) ∈ A. In tali ipotesi A = N. Da questo assioma segue il seguente principio: Sia P (n) un enunciato che ha senso per tutti i numeri naturali maggiori o uguali ad un certo no ∈ N. Se sono soddisfatte le condizioni seguenti: i) P (no) è vero; ii) Per ogni n ≥ no, se P (n) è vero, anche P (n + 1) è vero; allora P (n) è vero per tutti gli n ≥ no. Esempio: Dimostriamo che, per ogni n ≥ 1, la somma dei primi n interi è pari a n(n + 1) . 2 Nota: La ii) si può sostituire con la seguente: ii’) Per ogni n > no, se P (n − 1) è vero, anche P (n) è vero. RICHIAMO: Se n ∈ N, chiamasi fattoriale di n il numero naturale n! cosı̀ definito: n! = 1 se n = 0, 1 n! = n(n − 1)(n − 2) · · · 2 · 1 se n > 1. ESERCIZIO: Provare che, per ogni n ≥ 1 si ha: n X k=1 kk! = (n + 1)! − 1. Esempio: Se X = {x1, . . . , xn} è un insieme con n elementi, (eventualmente vuoto), allora i sottoinsiemi di X sono in numero di 2n. ESERCIZIO per casa: 1) Verificare che, per ogni n ∈ N, n ≥ 1, la somma dei primi n numeri naturali dispari è n2. 2) Dimostrare che per ogni n ≥ 0: n X k=0 (−1)k k 2 = (−1)n · 3) Dimostrare che per ogni n ≥ 1: 2n−1 ≤ n! n(n + 1) . 2 Seconda forma del principio di induzione: Sia P (n) un enunciato che ha senso per tutti i numeri naturali maggiori o uguali ad un certo no ∈ N. Supponiamo soddisfatte le condizioni seguenti: i) P (no) è vero; ii) Per ogni n > no, se P (k) è vero per tutti i numeri k ∈ {no, no + 1, ..., n − 1}, anche P (n) è vero. Allora P (n) è vero per tutti gli n ≥ no. NUMERAZIONE IN BASI DIVERSE Sappiamo che (in base 10) un numero a si scrive nella forma a = a0 + a1 · 10 + a2 · 102 + · · · + ak · 10k e 0 ≤ aj < 10. In generale, assegnato b ≥ 2, ogni numero a ∈ N si può scrivere in modo analogo in base b: TEOREMA: Fissato b ∈ N, b ≥ 2, per ogni a ∈ N si ha a = a 0 + a 1 · b + a 2 · b2 + · · · + a k · bk dove gli ai sono numeri naturali, univocamente determinati, tali che 0 ≤ ai < b. La dimostrazione procede per induzione su a (seconda forma). Per a = 0 ho a = a0 con a0 = 0. Sia a > 0 e supponiamo vero l’asserto per tutti i numeri q < a. Dividendo a per b ho a = a0 + qb, 0 ≤ a0 < b. Per l’ipotesi induttiva applicata a q posso scrivere q = q 0 + q 1 · b + q 2 · b2 + · · · + q k · bk e quindi a = a0 + q0b + q1 · b2 + q2 · b3 + · · · + qk · bk+1 . ESERCIZIO per casa: 1) Scrivere 2000 in base 4 ed in base 2. 2) Effettuare la somma (11001001)2 + (111100)2. Alcune notazioni per gli insiemi • a ∈ A: a è elemento di A, ossia a appartiene all’insieme A. • a 6∈ A: a non è elemento di A, ossia a non appartiene all’insieme A. • ∅: L’insieme vuoto. È l’insieme privo di elementi. Siano A e B due insiemi. • A ⊂ B: A è sottoinsieme di B, o A è contenuto in B. Ogni elemento di A è anche elemento di B. • A = B: Gli insiemi A e B coincidono, ossia essi hanno gli stessi elementi. In altri termini: A ⊂ B e B ⊂ A. • A ∪ B: unione di A e B. È l’insieme A ∪ B = {x | x ∈ A oppure x ∈ B} di tutti gli elementi che appartengono ad A oppure a B (o ad entrambi). • A ∩ B: intersezione di A e B. È l’insieme A ∩ B = {x | x ∈ A e x ∈ B} di tutti gli elementi che appartengono sia ad A che a B. • P(A): Insieme delle parti dell’insieme A. È l’insieme di tutti i sottoinsiemi di A. • Se X è un insieme finito, |X| denota il numero dei suoi elementi, detto cardinalità di X. |X| = 0 ⇐⇒ X = ∅. Coppie ordinate Siano A e B due insiemi. Considerati due elementi a ∈ A e b ∈ B, si dice che (a, b) è la coppia ordinata di prima coordinata (primo elemento) a e seconda coordinata (secondo elemento) b. (a, b) 6= (b, a). Osservato che l’insieme {a, b} costituito dai soli elementi a e b coincide con {b, a}, allora la coppia (a, b) non è l’insieme {a, b}. Due coppie ordinate (a, b) e (a0, b0) sono uguali se e solo se: a = a0 e b = b0 . Attenzione: Non si deve confondere (a, b) con l’insieme {a, b}. Es.: Si considerino gli elementi 1 e −1 dell’insieme Z; allora • (−1, 1) 6= (1, −1) • {−1, 1} = {1, −1}. • La coppia (−1, −1) ha l’elemento −1 sia come prima che come seconda coordinata. Si osservi che l’insieme {−1, −1} è costituito dal solo elemento −1: pertanto {−1, −1} = {−1}. TERNE E N-PLE ORDINATE Se A, B, C sono tre insiemi ed a ∈ A, b ∈ B e c ∈ C, allora (a, b, c) denota la terna ordinata di primo elemento a, secondo elemento b e terzo elemento c. Più in generale, dati n insiemi A1, A2, . . . , An , n ≥ 2, e dati n elementi a1 ∈ A1, a2 ∈ A2, . . . , an ∈ An, allora (a1 , a2, . . . , an ) è la n-pla ordinata di primo elemento a1, secondo elemento a2, . . . , n-esimo elemento an . Il criterio di uguaglianza per n-ple ordinate è il seguente: fissato un intero n ≥ 2, date le n-ple (a1, . . . , an) e (b1, . . . , bn), allora (a1, . . . , an ) = (b1, . . . , bn) se e solo se a1 = b1, a2 = b2, . . . , an = bn. Attenzione: non ha senso confrontare una n-pla con una m-pla se n 6= m. PRODOTTO CARTESIANO DI INSIEMI Definizione: Siano A e B due insiemi. Si dice prodotto cartesiano (o semplicemente prodotto) di A per B l’insieme di tutte le coppie ordinate (a, b) la cui prima coordinata a appartiene ad A e la cui seconda coordinata b appartiene a B. Il prodotto cartesiano di A per B si denota col simbolo A × B. Dunque A × B = {(a, b) | a ∈ A, b ∈ B}. Notazione: Nel caso in cui A = B, il prodotto A × A viene anche denotato con A2. Osserviamo che, per ogni insieme A risulta: A × ∅ = ∅ = ∅ × A. Attenzione: in generale A × B 6= B × A. Es. Siano A = {3, 4, 7} e B = {a, b}. Allora A × B = {(3, a), (3, b), (4, a), (4, b), (7, a), (7, b)} B × A = {(a, 3), (a, 4), (a, 7), (b, 3), (b, 4), (b, 7)} A × A = {(3, 3), (3, 4), (3, 7), (4, 3), (4, 4), (4, 7), (7, 3), (7, 4), (7, 7)} B × B = {(a, a), (a, b), (b, a), (b, b)}. In generale, se A1, A2, . . . , An sono n insiemi n ≥ 2 si definisce il prodotto cartesiano A1 × A 2 × · · · × A n come l’insieme delle n-ple ordinate (a1, a2 , . . . , an ) tali che ai ∈ Ai per ogni i = 1, 2, . . . , n. Dunque A1×A2×· · ·×An = {(a1, a2, . . . , an ) | a1 ∈ A1, . . . , an ∈ An}. Nel caso in cui gli insiemi Ai coincidono tutti col medesimo insieme A, si scrive An = A × A × · · · × A. Es. Sia A = {0, 1}. Allora A2 = {(0, 0), (0, 1), (1, 0), (1, 1)} A3 = {(0, 0, 0), (1, 0, 0), (0, 1, 0), (0, 0, 1), (1, 1, 0), (0, 1, 1), (1, 0, 1), (1, 1, 1)}. Proposizione: Se l’insieme A ha n elementi e B ha m elementi, allora il numero di elementi di A × B è n · m. Quindi Ak contiene nk elementi. Dimostrazione: Per contare tutte le coppie (a, b) osserviamo che a può essere scelto in n modi: per ciascuna scelta, vi sono m possibilità per scegliere b. Definizione: Siano A e B due insiemi. Una relazione o corrispondenza da A a B è un qualsiasi sottoinsieme di A × B. Nel caso in cui A=B, una relazione da A ad A prende il nome di relazione su A. Attenzione: Se A 6= B, una relazione da A a B non è una relazione da B in A! Esempio: Siano A = {1, 2, 5, 7, 8} e B = {a, b, r, s}. Sono relazioni da A in B: {(1, a), (1, s), (5, b), (8, s), (2, r)} da A in B {(2, a), (5, s)} da A in B {(a, 1)} da B in A Non sono invece relazioni, nè da A a B, nè da B in A, gli insiemi: {(a, 1), (8, s), (2, r)} {(2, 5), (7, s)}. Esempio: Si consideri la seguente relazione su N: ≤ = {(n, m) ∈ N × N | ∃t ∈ N tale che m = n + t}. Questa è l’usuale relazione d’ordine su N, con la quale siamo abituati a confrontare tra loro i numeri naturali. Esempio: relazione definita da: Sappiamo che ogni intero n determina su Z la ≡n ≡n = { (a, b) ∈ Z × Z | n|(a − b) }. Esempio: Sia A un insieme e si consideri l’insieme P(A) delle parti di A. Allora su P(A) abbiamo la relazione di inclusione ⊂ definita da: ⊂ = {(X, Y ) ∈ P(A) × P(A) | ∀x ∈ X x ∈ Y }. Sia R una relazione da un insieme A ad un insieme B, cioè R ⊆ A × B. Allora, invece di scrivere (a, b) ∈ R , si usa scrivere a R b. Questa scrittura si legge “a è nella relazione R con b”. Qualora (a, b) 6∈ R , si usa la notazione a 6R b che si legge “a non è in relazione con b.” Es: Sia A = {1, 2, 3, 4, 5}. Allora R = {(1, 1), (1, 3), (4, 5), (2, 3)} è una relazione su A; per tale relazione possiamo scrivere: 1 R 1, 1 R 3, 4 R 5 e 1 6 R 2. Osservazione: Giacchè ogni sottoinsieme R di A × B è una relazione dall’insieme A all’insieme B, non si escludono i casi estremi, ossia: • R = ∅: nessun elemento di A è in relazione con elementi di B; • R = A × B: ogni elemento di A è in relazione con ogni elemento di B. Principali proprietà delle relazioni In Matematica esistono diversi tipi di relazioni che godono di alcune proprietà speciali. Distingueremo in seguito tre classi fondamentali di relazioni: relazioni di equivalenza, di ordine e relazioni funzionali. Definizione: Una relazione R su un insieme A si dice: • riflessiva: se per ogni a ∈ A è a R a; • simmetrica: se per ogni a, b ∈ A da a R b segue che b R a; • transitiva: se per ogni a, b, c ∈ A da a R b e b R c segue che a R c. • antisimmetrica se, per ogni a, b ∈ A con a 6= b, sussiste al più una sola delle relazioni a R b e b R a. Esempio: Sappiamo che, per ogni intero n, la relazione di congruenza ∼ =n su Z è riflessiva, simmetrica e transitiva. Non è antisimmetrica! Esempio: Consideriamo la relazione su Z: R = { (n, n + 1) | n ∈ Z }. Questa relazione non è: transitiva, simmetrica, riflessiva. R è invece antisimmetrica. Esercizio: Posto A = {1, 2, 3, 4}, consideriamo la relazione R su P(A) definita come segue: ∀X, Y ∈ P(A) X R Y ⇐⇒ X ∩ Y = {4}. Di quali delle proprietà fondamentali gode R? RELAZIONI DI EQUIVALENZA Definizione: Sia A un insieme non vuoto. Una relazione su A che sia riflessiva, simmetrica e transitiva si dice relazione di equivalenza su A. Es: Su ogni insieme A, la relazione di uguaglianza = è una relazione di equivalenza. Es: Per ogni n ∈ Z, la relazione di congruenza modulo n è di equivalenza su Z. Es: Consideriamo la relazione R su Q cosı̀ definita: ∀a, b ∈ Q a R b se e solo se ∃n ∈ Z tale che a = 2n · b. Si tratta di una relazione di equivalenza su Q. Per le relazioni di equivalenza, la scrittura a R b si legge spesso “a è equivalente a b” oppure “a e b sono equivalenti”. Classi di equivalenza Sia assegnata una relazione di equivalenza su un insieme non vuoto A. Definizione: Per ogni elemento a ∈ A, si dice classe di equivalenza di a rispetto ad R l’insieme, denotato con [a] R , di tutti gli elementi di A che sono nella relazione R con a: [a] R = { b ∈ A | b R a }. Spesso si sottintende R e si scrive [a] in luogo di [a] R . Osservazione: Per la proprietà riflessiva, [a] R contiene sempre l’elemento a stesso! Teorema: 1) Per ogni a, b ∈ A: a R b se e solo se [a] R = [b] R 2) Per ogni a, b ∈ A: a 6 R b se e solo se [a] R ∩ [b] R = ∅. 3) Ogni elemento di A appartiene ad una sola classe di equivalenza che è [a]. Dimostrazione: 1) Supponiamo che a R b e proviamo che [a] R = [b] R . Infatti, gli insiemi [a] R e [b] R hanno gli stessi elementi per la proprietà transitiva. Viceversa, supponiamo [a] R = [b] R e proviamo che a R b. Infatti, dal fatto che a ∈ [a] R segue per ipotesi che a ∈ [b] R ; pertanto a R b. 2) Chiaramente, se [a] R ∩ [b] R = ∅, allora a e b non sono in relazione per la 2). Viceversa, se a 6 R b, allora non può esistere alcun z ∈ [a] R ∩ [b] R perchè un tale z sarebbe in relazione sia con a che con b, onde a R b per transitività.2 Nota importante: Per la 3) del Teorema, qualunque sia b ∈ [a] R , si ha [a] R = [b] R . Quindi la classe di equivalenza [a] R può essere rappresentata mediante uno qualsiasi dei suoi elementi. Esempio: Torniamo all’esempio della relazione R su Q: ∀a, b ∈ Q a R b se e solo se ∃n ∈ Z tale che a = 2n · b. Allora rispetto ad R abbiamo, ad esempio: 1 [0] = {0}, [1] = { 2k | k ∈ Z } = , [−1] = [−8]. 2 Insieme quoziente Definizione: Siano A un insieme non vuoto ed R una relazione di equivalenza su A. Si dice insieme quoziente di A rispetto ad R , e lo si denota con A/ R l’insieme di tutte le classi di equivalenza di A rispetto ad R , ossia A/ R = { [a] R | a ∈ A }. Osserviamo che A/ R è un sottoinsieme di P(A); in simboli A/ R ⊂ P(A). Ciò perchè ogni classe di equivalenza, per definizione, è un sottoinsieme di A. Notiamo che: ∅ 6∈ A/ R . Le classi di equivalenza sono tutte non vuote! Esempio: Consideriamo la relazione binaria su A = {0, 3, 5, 7, 9, 11, 13} definita nel modo seguente: x R y ⇐⇒ 3 | 2x + y. R è di equivalenza e risulta: [0] = {0, 3, 9} [5] = {5, 11} Quindi [7] = {7, 13} A/ R = {{0, 3, 9}, {5, 11}, {7, 13}}. Esercizio: Date le relazioni binarie R1 ed R2 su Z∗ = {x ∈ Z | x 6= 0} definite da x R1 ⇐⇒ xy = 1 x R2 y ⇐⇒ xy > 0 verificare che soltanto una di esse è una relazione di equivalenza. Determinare il corrispondente insieme quoziente. ESERCIZIO: Verificare che la relazione binaria R sull’insieme Z × Z definita da: (a, b) R (x, y) ⇐⇒ 2a + 3y = 2x + 3b è una relazione d’equivalenza. Determinare tutti gli elementi della classe [(1, 0)]R. Esercizio: Posto X = {{1, 2}, {1, 2, 3}, {1, 2, 4, 5}, {3, 6, 7, 8, 9}}, si consideri la relazione R su X definita da: A R B ⇐⇒ |A ∩ B| ≥ 2. Verificare che è una relazione d’equivalenza e calcolare X/ R . L’insieme Zn Fissato un intero n > 0, l’insieme quoziente Z/ ≡n si denoterò col simbolo Zn . Teorema: L’insieme Zn ha esattamente n elementi. Precisamente: Zn = {[0]n, [1]n, . . . , [n − 1]n}. Dim: Lo sappiamo giò ! PARTIZIONI DI UN INSIEME Definizione: Sia A un insieme non vuoto e sia L un insieme di sottoinsiemi non vuoti di A. L è detto partizione di A se ogni elemento di A appartiene ad uno ed uno solo di questi sottoinsiemi. Gli elementi di una partizione L sono detti blocchi di L. Es: Sia A = {1, 2, · · · , 9, 10}. Considerati i sottoinsiemi X1 = {1, 4, 7, 8},X2 = {2, 3, 5}, X3 = {6, 9} e X4 = {10} allora L = {X1, . . . , X4} è una partizione di A. Teorema: Se R è una relazione di equivalenza su A, allora A/ R è una partizione di A. Dimostrazione: è la 3) del Teorema sulle classi di equivalenza! Teorema (inverso) Ogni partizione L dell’insieme A determina una ed una sola relazione di equivalenza R le cui classi di equivalenza sono i blocchi della partizione stessa, ovvero tale che A/ R = L. Dimostrazione (cenno): Si definisce la relazione in questione ponendo: a R b ⇐⇒ a e b sono nel medesimo blocco di L. Esempio: A = {a, b, c, d}: Data la partizione {{a, b}, {c}, {d}} allora la relazione d’equivalenza corrispondente è R = {(a, a), (b, b), (c, c), (d, d), (a, b), (b, a)}. Esempio: Sia ancora A = {a, b, c, d}. Quante sono tutte le possibili relazioni di equivalenza su A? A questa domanda è più agevole rispondere stabilendo quante sono le partizioni possibili di A. Infatti, i Teoremi precedenti garantiscono che queste sono tante quante sono le prime. Non è difficile elencare tutte le partizioni di A: conviene procedere ordinandole in base al massimo delle cardinalità dei blocchi. Dim. max dei blocchi =1 : C’è una sola partizione L1 con questa proprietà, ed è L1 = {{a}, {b}, {c}, {d}}. Dim. max dei blocchi =2: Le partizioni sono L2 L3 L4 L5 L6 L7 = {{a, b}, {c, d}} = {{a, c}, {b, d}} = {{a, d}, {b, c}} = {{a, b}, {c}, {d}} = {{a, c}, {b}, {d}} = {{a, d}, {b}, {c}} Dim. max dei blocchi =3: in questa categoria rientrano le partizioni L8 = {{a, b, c}, {d}} L9 = {{a, b, d}, {c}} L10 = {{b, c, d}, {a}} L11 = {{a, c, d}, {b}} Dim. max dei blocchi =4: l’unica partizione è L12 = {{a, b, c, d}}. In totale su A vi sono 12 relazioni di equivalenza. Esercizio: Sia A = {a, b, c}. Quali sono le relazioni di equivalenza su A tali che a 6 R b? RELAZIONI FUNZIONALI E APPLICAZIONI Definizione: Siano A e B due insiemi non vuoti e sia f una relazione da A a B. Si dice che f è una relazione funzionale o un’applicazione da A in B se verifica la seguente condizione: ciascun a ∈ A è in relazione con uno ed un solo elemento b ∈ B. In altri termini: ciascun elemento di A compare come primo elemento di una ed una sola coppia di f . In tal caso, dati un elemento x di A e b ∈ B, invece che xf b si scrive b = f (x) oppure f : x 7→ b. Es: Dati A = {1, 2, 3, 4, 5} e B = {5, 6, 7, 9, 11} si consideri la relazione f da A a B: f = {(1, 5), (2, 6), (2, 9), (3, 11), (5, 9)}. Questa relazione non è un’applicazione. Infatti, vi sono le seguenti due eccezioni alla proprietà della definizione: -l’elemento 2 è in relazione con due elementi di B (compare in due coppie); –l’elemento 4 non è in relazione con alcun elemento di B (non compare in alcuna coppia). Invece R = {(1, 5), (2, 6), (3, 11), (5, 9), (4, 9)} è un’applicazione. Attenzione: Il fatto che 4 e 5 corrispondano allo stesso elemento 9 di B non è vietato dalla definizione! Nota importante: Si è soliti definire un’applicazione f : A → B stabilendo una legge che determina, in modo univoco, per ogni x ∈ A chi è f (x). Esempio Possiamo definire un’applicazione f : Z → Z ponendo: ∀x ∈ Z f (x) := 2x In questo caso f altri non è che la relazione f = { (x, 2x) | x ∈ Z }. Abbiamo ad esempio f (−4) = −8, f : 5 7→ 10. Esempio: La legge f : R → R data da 1 x non definisce un’applicazione perchè 0 non ha immagine! Infatti, l’espressione 1/x perde di significato per x = 0. x 7→ Invece, se si sceglie come primo insieme R∗, allora si può definire l’applicazione g : R∗ → R tale che 1 ∀x ∈ R∗ g(x) = . x Definizione: Sia f : A → B un’applicazione. L’insieme A è detto dominio di f , mentre l’insieme B si dice insieme di arrivo. Dato un elemento a ∈ A, l’elemento b = f (a) di B si dice l’immagine di a mediante f , od anche valore assunto da f in a. Se y ∈ B, ogni elemento x di A tale che f (x) = y si dice una preimmagine dell’elemento y. È importante fissare l’attenzione sui seguenti fatti: • assegnato a ∈ A, l’immagine di a tramite f è unica; • un elemento qualsiasi b ∈ B può avere nessuna, una o più preimmagini in A. Esempio: Consideriamo la funzione f : N → Q tale che ∀x ∈ N f (x) = 0. Allora tutti gli interi sono preimmagini di 0. Se x ∈ Q e x 6= 0, allora non esistono preimmagini di x. In generale, una funzione f : A → B si dice costante se esiste un bo ∈ B tale che ∀x ∈ A f (x) = bo. Uguaglianza di applicazioni Siano f : A → B e f 0 : A0 → B 0 due applicazioni. Allora f ed f 0 sono uguali (si scrive come di solito f = f 0) se • A = A0 • B = B0 • f (x) = f 0(x) per ogni x ∈ A. Es: Consideriamo le applicazioni f : Z → N, g : Z → Z tali che per ogni x ∈ Z f (x) = x2 = g(x). Allora f e g sono diverse in quanto hanno insiemi di arrivo diversi. Posto A = {−1, 0, 1}, siano f, g : A → R le due applicazioni definite dalle formule f (x) = −x + 8, g(x) = x3 − 2x + 8 per ogni x ∈ A. Queste funzioni hanno lo stesso dominio e lo stesso insieme di arrivo. Inoltre f (−1) = 9, f (0) = 8, f (1) = 7 g(−1) = 9, g(0) = 8, g(1) = 7 il che garantisce che f = g. Si tratta cioè di due modi di descrivere la relazione: {(−1, 9), (0, 8), (1, 7)}. Quindi: Attenzione: Due applicazioni possono coincidere a prescindere dall’eventuale “formulazione” della legge che descrive l’immagine del generico elemento x del dominio. Definizione: Data un’applicazione f : A → B, si chiama Immagine di f il sottoinsieme di B formato da tutte le immagini f (x) al variare di x ∈ A. In simboli: Im(f ) = { f (x) | x ∈ A }. Applicazioni ingettive, surgettive e bigettive Definizione: Siano A e B insiemi non vuoti. Un’applicazione f : A → B si dice ingettiva o ingezione se o equivalentemente per ogni a, a0 ∈ A, a 6= a0 implica f (a) 6= f (a0). Pertanto un’applicazione è ingettiva se e solo se elementi distinti del dominio hanno immagini distinte. Nota: Equivalentemente, f è ingettiva se ogni elemento di B ha nessuna o al massimo una sola preimmagine in A. Nota importante: La proprietò di cui sopra si può anche formulare: per ogni a, a0 ∈ A, f (a) = f (a0) implica a = a0 Es: Dati A = {1, 2, 3} e B = {4, 5, 7, 9, 10}, l’applicazione f : A → B tale che f (1) = 4, f (2) = 5, f (3) = 10 è ingettiva, mentre l’applicazione g : A → B g(1) = 4, g(2) = 5, g(3) = 4 non è ingettiva avendosi g(1) = g(3). Es: Sia f : N → Z l’applicazione data da f (n) = −n per ogni n ∈ N. f è ingettiva. Infatti, siano n, n0 ∈ N tali che f (n) = f (n0). Allora −n = −n0 da cui deduciamo n = n0 . Es: Sia f : Z → N l’applicazione tale che f (x) = x2 per ogni x ∈ Z. f non è ingettiva. Infatti, ad esempio, risulta f (2) = f (−2). Esercizio: applicazioni tali che Posto A = {0, 1, 2, . . . , 24}, si considerino le f : A → Z25 , g : A → Z25 f (x) = [7x]25 , g(x) = [5x]25. Stabilire se sono o non sono ingettive. Definizione: Un’applicazione f : A → B si dice surgettiva o surgezione se ogni b ∈ B ha almeno una preimmagine in A. elemento a ∈ A tale che f (a) = b. Nota: Una formulazione equivalente di questa condizione è : Im(f ) = B. Es: Dati A = {1, 2, 3} e B = {0, 5}, l’applicazione f : A → B tale che f (1) = 0, f (2) = 0, f (3) = 5 è surgettiva. Nessuna applicazione g : B → A è surgettiva, perchè Im(g) = {g(0), g(5)} può essere costituito da al più due elementi distinti, per cui certamente Im(f ) 6= B. Es: Sia f : N → Z l’applicazione tale che f (n) = −n per ogni x ∈ N. f non è ingettiva. Infatti, ad esempio, non esiste alcun n ∈ N tale che f (n) = 1. Più in generale, la controimmagine f −1 (x) è vuota per tutti gli x ∈ Z tali che x > 0. Es: Se B contiene almeno due elementi, ogni applicazione costante A → B non è surgettiva. Definizione: Un’applicazione si dice bigettiva o bigezione o corrispondenza biunivoca se è contemporaneamente ingettiva e surgettiva. Definizione: Dati due insiemi A e B, si dice che essi sono in corrispondenza biunivoca se esiste una bigezione f : A → B. Es: L’applicazione f : Z → Z definita da f (x) = 4 − x per ogni x ∈ Z è una bigezione. Infatti: f è ingettiva perchè, per ogni x, y ∈ Z se f (x) = f (y) allora 4−x=4−y da cui x = y. f è surgettiva: dato un qualsiasi y ∈ Z esiste x ∈ Z tale che f (x) = y; infatti l’equazione 4−x=y ha l’unica soluzione intera x = 4 − y. Es: L’applicazione f : Q → Q definita da: f (x) = 4 x2 + 1 per ogni x ∈ Q non è bigettiva, anzi non è ingettiva e non è surgettiva. Infatti, per ogni x risulta f (x) = f (−x) per cui f non è ingettiva. Inoltre, osservato che x24+1 è un numero positivo qualunque sia x ∈ Q, certamente f (Q) 6= Q. BIGEZIONE INVERSA Definizione: Sia f : A → B una bigezione. Si chiama inversa di f l’applicazione f −1 : B → A che associa ad ogni y ∈ B la sua unica preimmagine in A. Quindi per ogni y in B: f (f −1 (y)) = y Esempio: f : Q → Q definita da: 3x − 1 per ogni x ∈ Q 2 è una corrisponenza biunivoca. f (x) = Infatti..... L’inversa è data da f −1 (y) = 2y + 1 . 3 Proposizione: Se f : A → B è una bigezione, anche l’inversa lo è e l’inversa di quest’ultima è f . Esempio: Z ed N sono in corrispondenza biunivoca: 0 1 2 3 4 ··· l l l l l 0 −1 1 −2 2 · · · Le bigezioni illustrate si possono esprimere in formule: 2n se n ≥ 0 ∀n ∈ Z f (n) = 2|n| − 1 se n < 0. L’inversa f −1 : N → Z è ∀k ∈ N f −1 (k) = k 2 − k+1 2 se k è pari se k è dispari. Composizione di applicazioni Definizione: Siano A, B e C insiemi non vuoti e siano f : A → B e g : B → C applicazioni. Si dice applicazione composta di f e g e si denota con g ◦ f , l’applicazione g◦f :A→C definita ponendo (g ◦ f )(a) = g(f (a)) per ogni a ∈ A. (∗) Talvolta g ◦ f viene denotata con gf e chiamata applicazione prodotto di f per g. Es: Sia f : N → Z definita da f (x) = 2x per ogni x ∈ N, e sia g : N → Z definita da g(x) = −x2 per ogni x ∈ N. Allora ha senso considerare g ◦ f : Z → Z e risulta (g ◦ f )(x) = g(f (x)) = g(2x) = −(2x)2 = −4x2. Nota: La notazione g ◦ f è corente col fatto che f è la prima applicazione ad essere usata nel calcolare l’immagine di un elemento di A. Es: Consideriamo le applicazioni f : Z → Z definita da f (x) = x2 e g : Z → Z definita da g(x) = 2 per ogni x ∈ Z. In tal caso si possono considerare entrambe le applicazioni composte f ◦ g e g ◦ f . Risulta e (g ◦ f )(x) = g(f (x)) = g(x2) = 2 (f ◦ g)(x) = f (g(x)) = f (2) = (2)2 = 4. Def. Dato un insieme X, la funzione identica di X è l’applicazione iX : X → X definita come segue: ∀x ∈ X iX (x) = x. Nota importante: Se f : X → Y è una bigezione, allora f ◦ f −1 = idY f −1 ◦ f = idX . Teorema.Sia f un’applicazione. Allora sono proprietò equivalenti: a) f è una bigezione; b) Esiste un’applicazione g : Y → X tale che f ◦ g = idY g ◦ f = idX . Inoltre, vera a) ovvero b), risulta g = f −1 . Esercizio: Verificare che f : Q → Q definita da f (x) = 5x − 2 per ogni x ∈ Q è bigettiva e che l’inversa di f è g : Q → Q definita da g(x) = x+2 per ogni x ∈ Q. 5 Proposizione:Siano f : A → B e g : B → C applicazioni. Sussistono le seguenti proprietà: i) Se f e g sono ingettive, anche g ◦ f è ingettiva; ii) Se f e g sono surgettive, anche g ◦ f è surgettiva; iii) Se f e g sono bigettive, anche g ◦ f è bigettiva. Dimostrazione: i) Supposto che f e g siano entrambe ingettive, siano a, b ∈ A e supponiamo che (g ◦ f )(a) = (g ◦ f )(b). Vogliamo dedurne che a = b. Infatti, la relazione precedente implica che g(f (a)) = g(f (b)). Quindi, per l’ingettività di g otteniamo che f (a) = f (b) ed utilizzando l’ingettività di f segue a = b. Poichè ciò vale per arbitrari elementi a, b di A resta verificato che g ◦ f è ingettiva. ii) Supposto che f e g siano entrambe surgettive, si vuol provare che per ogni c ∈ C esiste a ∈ A tale che (g ◦ f )(a) = c. Sia quindi c ∈ C un elemento qualsiasi. Poichè g è surgettiva, esiste b ∈ B tale che g(b) = c. Ora, b ∈ B e anche f è surgettiva, per cui esiste a ∈ A tale che f (a) = b. Allora (g ◦ f )(a) = g(f (a)) = g(b) = c e quindi l’asserto. Proposizione: Siano f : A → B e g : B → C applicazioni. Allora: i) Se g ◦ f è ingettiva, allora f è ingettiva; i) Se g ◦ f è surgettiva, allora g è surgettiva. Dimostrazione: i) Supponiamo che g ◦ f sia ingettiva. Dobbiamo provare che f è ingettiva. Supposto infatti che f (a) = f (b) allora applicando g consegue g(f (a)) = g(f (b)) o il che è lo stesso (g ◦ f )(a) = (g ◦ f )(b). Ora, poichè g ◦ f è ingettiva, da ciò segue a = b. ii) Per ipotesi, g ◦ f sia surgettiva. Dobbiamo dedurne che per ogni c ∈ C esiste b ∈ B tale che g(b) = c. Fissato dunque c ∈ C, in virtù della surgettività di g ◦f , esiste a ∈ A tale che (g ◦ f )(a) = c. Questa uguaglianza si riscrive g(f (a)) = c e quindi l’elemento b = f (a) di B è tale che g(b) = c. 2 APPLICAZIONI TRA INSIEMI FINITI. Siano A e B due insiemi finiti. Teorema: Siano A e B insiemi finiti. Sia B A l’insieme delle applicazioni f : A → B. Allora |B A| = |B||A|. Dimostrazione: Poniamo n := |A|, m := |B| di modo che A = {x1, . . . , xn}, B = {y1, . . . , ym }. Assegnare un’applicazione f : A → B equivale a scegliere, per ogni xi, i = 1, . . . , n un elemento yj ∈ B. Ciascuna scelta può essere fatta in m modi diversi; quindi il numero totale delle applicazioni da A in B è: m · · m} = mn = |B||A|. | ·{z n volte Teorema: Se A è un insieme finito e f : A → A, allora f è ingettiva se e solo se è surgettiva. Dimostrazione: Sia A = {x1, . . . , xn }. Se f è ingettiva, le immagini f (x1), . . . , f (xn) sono tutte diverse, quindi sono n elementi di A. Quindi necessariamente Im(f ) = {f (x1), . . . , f (xn)} = A (∗) ovvero f è surgettiva. Viceversa, se f è surgettiva, vale la (*), quindi gli f (xi) sono n elementi distinti; ciò significa che f è ingettiva. 2 Def. Una bigezione di un insieme finito si dice una permutazione dell’insieme. Teorema: Siano A e B insiemi finiti, con n = |A| ed m = |B|. Il numero i(A, B) delle applicazioni ingettive da A in B è dato da: ( 0 se n > m i(A, B) = m! (m−n)! se n ≤ m. La Dimostrazione procede come nel calcolo di |B A| con la differenza che non si può scegliere due volte lo stesso elemento di B. Corollario: Il numero delle permutazioni di un insieme finito A è pari a n! dove n = |A|. COEFFICIENTI BINOMIALI Teorema: Sia X un insieme finito. Sia n = |X| e sia 0 ≤ k ≤ n. Allora il numero di parti di X aventi cardinalità k è pari a n! n(n − 1) · · · (n − k + 1) n := = . k!(n − k)! k! k Il numero intero n k si chiama coefficiente binomiale. Esempio: Quante sottocomissioni con 3 membri si possono formare da una commissione di 10 persone? Nota: Per ogni n ≥ 1 e 1 ≤ k ≤ n vale la relazione: n−1 n−1 n + = . k−1 k k Questa formula permette di calcolare i coefficienti binomiali mediante il triangolo di Tartaglia. Esercizio: Calcolare il numero delle partizioni di un insieme A con 20 elementi, aventi 5 blocchi tutti formati da 4 elementi. NUMERI DI BELL E DI STIRLING Def: Il mumero di tutte le partizioni con k blocchi di un insieme avente n elementi si denota con S(n, k) e si chiama numero di Stirling di indici n, k. Qui n ≥ 1 e k ≥ 1. Nota: Osserviamo che S(n, 1) = S(n, n) = 1 e S(n, k) = 0 per k > n. Teorema: I numeri di Stirling verificano la relazione ricorsiva: S(n, k) = S(n − 1, k − 1) + k S(n − 1, k). Esempio: Il numero delle relazioni di equivalenza R su {a, b, c, d, e} tali che |A/R| = 3 è pari a S(5, 3) = 25. Def: Il mumero di tutte le partizioni di un insieme avente n ≥ 1 elementi si denota con B(n) e si chiama numero di Bell di indice n. Vale la relazione B(n) = n X S(n, k). k=1 Teorema: I numeri di Bell verificano la relazione di ricorrenza: n X n−1 B(n) = B(n − i). i − 1 i=1 ESERCIZIO: Sia X = {1, . . . , 11}. Calcolare il numero di relazioni di equivalenza su X verificanti le condizioni: 1) 1 R 2 2) Gli elementi che non sono in relazione con 1 sono cinque. NUMERO DELLE APPLICAZIONI SURGETTIVE Siano A e B due insiemi finiti, con n = |A| e |B| = m. Osserviamo che se n < m non esistono applicazioni surgettive f : A → B. Supponiamo quindi n ≥ m. Teorema. Il numero delle applicazioni surgettive da A in B è dato da S(n, m) · m! Dimostrazione: Per costruire una funzione surgettiva f : A → B, si sceglie una partizione {X1, . . . , Xm } di A con m blocchi, e si sceglie una m-pla ordinata di elementi (b1, . . . , bm ) di B. Quindi si definisce f ponendo f (x) = bi se x ∈ Xi per ogni x ∈ A. Esempio: Scriviamo tutte le funzioni surgettive da A = {a, b, c, d} in B = {x, y, z} tali che f (a) = x. Esercizio: Stabilire quante sono le applicazioni surgettive da A = {1, 2, . . . , 6} in B = {0, 1, 2, 3} tali che f (1) 6= f (2). PROPRIETÀ DELLE PERMUTAZIONI Studieremo le permutazioni di In = {1, 2, . . . , n}, n ≥ 1. L’insieme di queste si denota con Sn e si chiama gruppo simmetrico su n oggetti. Una permutazione si denota con una tabella (o matrice) del tipo: 1 2 3 ··· n f (1) f (2) f (3) · · · f (n) Esempio: Ad esempio 1 2 3 4 3 4 2 1 è la permutazione In → In tale che 1 7→ 3, 2 7→ 4, 3 7→ 2, 4 7→ 1. La sua inversa è : 1 2 3 4 . 4 3 1 2 Un classe importante di permutazioni è costituita dalle permutazioni cicliche: Definizione: Una permutazione f ∈ Sn si chiama CICLO di lunghezza s, s ≥ 1, se esistono a1, . . . , as ∈ In tali che f (a1) = a2 f (a2) = a3 . . . . . . f (as−1) = as f (as) = a1 e f (a) = a per tutti gli a ∈ In \ {a1, . . . , as} In tal caso si scrive f = (a1 a2 · · · as). Esempio: Il ciclo di S8 (7 6 4 3) è 1 2 3 4 5 6 7 8 1 2 7 3 5 4 6 8 I cicli di lunghezza 1 coincidono con la permutazione identica I cicli di lunghezza 2 si dicono SCAMBI. Definizione: Due cicli (a1 a2 · · · as) e (b1 b2 · · · bt) di Sn si dicono DISGIUNTI se {a1, . . . , as} ∩ {b1, . . . , bt} = ∅. Nota importante: Due cicli disgiunti commutano, nel senso che se f e g sono cicli disgiunti, allora f ◦ g = g ◦ f. Teorema: Ogni permutazione f ∈ Sn diversa dall’identità o è un ciclo, o si scrive come composizione di un numero finito di cicli a due a due disgiunti di lunghezza ≥ 2. Tale scrittura è unica a meno dell’ordine dei fattori. Corollario: Ogni permutazione di Sn è prodotto di scambi (non in modo unico). DIMOSTRAZIONE: Basta provare che ogni ciclo è prodotto di scambi; infatti se il ciclo è (a1 a2 · · · as) ho: (a1 a2 · · · as) = (a1 as) ◦ (a1 as−1) ◦ · · · ◦ (a1 a2). Esempio: In S6 abbiamo 1 4 3 5 = 1 5 ◦ 1 3 ◦ 1 4 . Esempio: La decomposizione in cicli disgiunti della permutazione di S5: 1 2 3 4 5 f= 3 4 5 2 1 è f= 1 3 5 ◦ 2 4 ed una decomposizione di f in scambi è f= 1 5 ◦ 1 3 ◦ 2 4 . ESERCIZIO: Trovare la decomposizione in cicli disgiunti della permutazione di S8: 1 2 3 4 5 6 7 8 f= 3 5 4 1 6 8 7 2 ed una decomposizione di f in scambi. Ripetere l’esercizio per la permutazione composta f ◦ g dove 1 2 3 4 5 6 7 8 g= 5 4 3 1 6 7 8 2 MONOIDI Sia X un qualsiasi insieme non vuoto. Def. Si chiama operazione interna (o semplicemente operazione) su X ogni applicazione ∗ : X × X → X. Se ∗ è un’operazione su X, la coppia (X, ∗) prende il nome di struttura algebrica. Dati a, b ∈ X, piuttosto che scrivere ∗(a, b) si scrive a ∗ b. Esempio: Sono operazioni interne la somma + ed il prodotto · sugli insiemi numerici N, Z, Q, R. Esempio: Dato un insieme A, consideriamo l’insieme AA di tutte le applicazioni A → A. Allora l’operazione di composizione ◦ è un’operazione su AA. Esempio: P(A): Dato un insieme A, abbiamo le operazioni su ∩ : P(A) × P(A) → P(A) e ∪ : P(A) × P(A) → P(A) Se X = {x1 . . . , xn } è finito, ogni operazione su X si può descrivere mediante una tabella con n2 elementi: e la corrispondente tabella è: ∗ x1 x2 x1 x1 ∗ x 1 x1 ∗ x 2 x2 x2 ∗ x 1 x2 ∗ x 2 ... ··· ··· xn−1 xn−1 ∗ x1 xn−1 ∗ x2 xn xn ∗ x 1 xn ∗ x 2 ··· xn−1 xn · · · x1 ∗ xn−1 x1 ∗ x n · · · x2 ∗ xn−1 x2 ∗ x n ··· ··· ··· · · · xn−1 ∗ xn−1 xn−1 ∗ xn · · · xn ∗ xn−1 xn ∗ x n Ad esempio, la tabella per la struttura algebrica (P({a, b}), ∩) è : ∩ ∅ {a} {b} {a,b} ∅ {a} {b} {a,b} ∅ ∅ ∅ ∅ ∅ {a} ∅ {a} ∅ ∅ {b} {b} ∅ {a} {b} {a,b} Definizione: Un’operazione ∗ : X × X → X si dice associativa se per ogni x, y, z ∈ X risulta x ∗ (y ∗ z) = (x ∗ y) ∗ z. In tal caso la struttura algebrica (X, ∗) si chiama semigruppo. Es: (X, +) e (X, ·) sono semigruppi dove X è uno degli insiemi numerici N, Z, Q, R. Definizione: Si dice che una struttura algebrica è dotata di elemento neutro se esiste un elemento u ∈ X tale che ∀x ∈ X u ∗ x = x = x ∗ u. Proposizione: Se (X, ∗) è dotata di elemento neutro, questo è unico. Dimostrazione: infatti, ammettendo che e ed f siano entrambi neutri, risulta e = e ∗ f = f.2 Esempio: In (P(A), ∩) l’elemento neutro è l’insieme A stesso. In (P(A), ∪) l’elemento neutro è l’insieme vuoto ∅. Esercizio: Verificare che (Z, ∗) con x ∗ y := x + 3y non ha l’elemento neutro. Definizione: Si chiama monoide ogni semigruppo dotato di elemento neutro. (X, +) è un monoide, essendo X è uno degli insiemi numerici N, Z, Q, R. L’elemento neutro è 0. (X, ·) è un monoide, essendo X è uno degli insiemi numerici N, Z, Q, R. L’elemento neutro è 1. Esempio: monoide. Infatti: Per ogni insieme A, la struttura (AA, ◦) è un ◦ è associativa: f ◦ (g ◦ h) = (f ◦ g) ◦ h perchè per ogni a ∈ A: f ◦(g◦h)(a) = f ((g◦h)(a)) = f (g(h(a))) = (f ◦g)(h(a)) = (f ◦g)◦h(a) L’elemento neutro per ◦ è la funzione identica iA. Infatti f ◦ iA = f = i A ◦ f Esempio: Sono monoidi anche (P(A), ∩) e (P(A), ∪). Definizione: Sia (X, ∗) un monoide. Una relazione di equivalenza R su X si dice compatibile con l’operazione ∗ se per ogni a, b, c, d ∈ X, ammesso che aRb e cRd segue che (a ∗ c) R (b ∗ d). Esempio fondamentale: Sappiamo che, per ogni n ∈ N, la relazione di congruenza modulo n su Z è compatibile sia con la somma che con il prodotto. La compatibilitò permette di passare al quoziente A/ R l’operazione: Definizione Sia (X, ∗) un monoide e sia R una relazione di equivalenza su X compatibile con ∗. Si chiama operazione ottenuta per passaggio al quoziente l’operazione ∗ su X/ R cosı̀ definita [a] ∗ [b] := [a ∗ b]. Nota importante: Questa definizione ha senso solo perchè R è compatibile con ∗!! Senza questa ipotesi, la ∗ non si può passare al quoziente. Teorema: Siano (X, ∗) un monoide e R una relazione di equivalenza su X compatibile con ∗. Allora anche (X/ R , ∗) è un monoide. Dimostrazione: è facile verificare che l’operazione sul quoziente è associativa, perchè è definita tramite * che lo è . L’elemento neutro in (X/ R , ∗) è [u] dove u ∈ X è l’elemento neutro del monoide.2 Corollario: Sia n ∈ N, n > 0. Sull’insieme Zn vi sono due strutture di monoide, ottenute per passaggio al quoziente delle operazioni di somma e prodotto di Z. É bene ricordare che: In (Zn, +) l’elemento neutro è [0]n In (Zn, ·) l’elemento neutro è [1]n. Ad esempio, la tabella che rappresenta il monoide (Z4, +) è : + [0] [1] [2] [3] [0] [0] [1] [2] [3] [1] [1] [2] [3] [0] [2] [2] [3] [0] [1] [3] [3] [0] [1] [2] Esercizio per casa: scrivere la tabella di (Z4, ·). Esercizio: Stabilire quali tra le seguenti è una relazione di equivalenza su Z e tra queste quali sono compatibili con la somma in Z e/o col prodotto. 1) a R b ⇐⇒ 2a = b. 2) a R 0b ⇐⇒ ab = 5. 3) a R 00b ⇐⇒ |a| = |b|. ESERCIZIO: Mostrare che (Q, ∗) con l’operazione a ∗ b := a + b − ab è un monoide. ESERCIZIO: Verificare che la relazione R su Z definita da aRb ⇐⇒ ∃m, n ∈ N t.c. 2na = 2mb è una relazione di equivalenza compatibile col prodotto. Definizione: Siano (X, ∗) e (Y, ♦) due monoidi. Un’applicazione f : X → Y si dice un omomorfismo se ∀x, y ∈ X f (x ∗ y) = f (x) ♦f (y) f (1X ) = 1Y dove 1X è l’elemento neutro di X mentre 1Y è l’elemento neutro di Y . Un omomorfismo bigettivo si dice un isomorfismo. Nota: Due monoidi isomorfi rappresentano due “forme” dello stesso oggetto matematico. Esempio: L’applicazione f : (N, +) → (N, ·) definita da f (n) = 2n è un omomorfismo di monoidi. Non è un isomorfismo perchè non è surgettiva. Esercizio: Verificare che l’applicazione f : (Q, +) → (Q, +) definita da 5 f (x) = x 3 è un isomorfismo di monoidi. Definizione: Siano (X, ∗) un monoide e A ⊂ X un sottoinsieme di X. Si dice che A è chiuso per ∗ se per ogni a, b ∈ A è anche a ∗ b ∈ A. Se inoltre l’elemento neutro u di X appartiene ad A, A si dice un sottomonoide. Nota importante: Se A è chiuso, posso considerare l’operazione ∗ come operazione interna ad A (indotta o ereditata dall’operazione di X). Risulta che (A, ∗) è un semigruppo. • Se A è un sottomonoide, allora è esso stesso un monoide per l’operazione indotta su di esso. Esempi: L’insieme dei numeri pari è un sottomonoide di (Z, +) ma è solo chiuso in (Z, ·). L’insieme dei numeri dispari è un sottomonoide di (Z, ·) ma non è neanche chiuso in (Z, +). L’insieme delle applicazioni ingettive di un insieme A in sè è sottomonoide di (AA, ◦). L’insieme delle applicazioni surgettive di un insieme A in sè è sottomonoide di (AA, ◦). Idem per le bigezioni. Caso particolare: (Sn, ◦) è sottomonoide del monoide (AA, ◦) dove A = {1, 2, . . . , n}. GRUPPI Sia (X, ∗) un monoide con elemento neutro u. Def. Un elemento a ∈ X si dice invertibile se esiste un altro elmento x in X tale che a ∗ x = u = x ∗ a. In tal caso x è unico si dice l’inverso di a. Esempio: In (Z, +) tutti gli elementi sono invertibili! Infatti l’inverso di m ∈ Z è −m: m + (−m) = 0 = (−m) + m. In (Z, ·) gli unici elementi invertibili sono +1 e -1 ed entrambi coincidono col proprio inverso. Infatti: ax = 1 è possibile sono se a e x sono entrambi 1 o -1. Def. Si chiama gruppo ogni monoide nel quale tutti gli elementi sono invertibili. Nota importante: Sono gruppi: (X, +) dove X è uno degli insiemi numerici Z, Q, R. (Q∗, ·) e (R∗, ·) dove ∗ indica l’insieme privato di 0. DUE ESEMPI IMPORTANTI 1) (Zn, +) è un gruppo. Infatti, sappiamo già che è un monoide, ottenuto come monoide quoziente di (Z, +) con elemento neutro [0]n. Per ogni elemento [a]n di Zn, l’inverso è dato da [−a]n. Infatti [a]n + [−a]n = [a − a]n = [0]n = [−a]n + [a]n. 2) (Sn, ·) è un gruppo. Sappiamo che è un monoide, con elemento neutro la permutazione identica Id. L’elemento inverso di una permutazione f ∈ Sn è la sua bigezione inversa f −1 perchè, come sappiamo, si ha: f ◦ f −1 = Id = f −1 ◦ f. Attenzione: Il monoide (Zn, ·) non è un gruppo! L’elemento [0]n non è invertibile! Esercizio: Chi è l’inverso di [8]10 in (Z10 , +)? E l’inverso di [45]10? Notazione per i gruppi: Dato un gruppo (G, +) la cui operazione è denotata con notazione additiva, si usano le seguenti convenzioni: L’elemento neutro si denota con 0 L’inverso di a ∈ X si denota con −a. Dato un gruppo (G, ·) la cui operazione è denotata con notazione moltiplicativa, si usano le seguenti convenzioni: L’elemento neutro si denota con 1 L’inverso di a ∈ X si denota con a−1 . Esercizio: Sia (G, ·) un gruppo e sia x ∈ G. Se a1, . . . , an sono elementi distinti di G, allora anche x · a1 , . . . , x · a n sono elementi distinti. Esempio: Il gruppo di Klein è il gruppo con 4 elementi 1, a, b, c la cui operazione · è data dalla tabella · 1 a b c 1 1 a b c a a 1 c b b b c 1 a c c b a 1 Osserviamo che 1 è l’elemento neutro, che a2 = b 2 = c 2 = 1 e che il prodotto di due elementi distinti entrambi diversi da 1 è il rimanente elemento diverso da 1. Questo gruppo è abeliano. Si denota con D4. OMOMORFISMI Def: Siano (G, ·) e (H, ∗) due gruppi. Un omomorfismo di G in H è un’applicazione f : X → Y tale che ∀x, y ∈ X f (x · y) = f (x) ∗ f (y). Un isomorfismo tra G e H è un omomorfismo bigettivo. TeoremaSia f : (G, ·) → (H, ·) un omomorfismo di gruppi. Allora si ha 1) f (1G) = 1H 2) Per ogni x ∈ G si ha f (x−1 ) = f (x)−1 . 1) Segue dall’identitò 1G · 1 G = 1 G applicando f ad ambo i membri. 2) segue dall’identitò x · x−1 = 1G = x−1 · x applicando f ad ambo i membri. Prodotto Diretto di Gruppi Siano (G, ·) e (H, ∗) due gruppi. Il prodotto cartesiano G × H può essere munito in modo naturale di una struttura di gruppo la cui operazione è la seguente: (a, x)(b, y) := (a · b, x ∗ y) ∀a, b ∈ G ∀x, y ∈ H. Questo gruppo si chiama PRODOTTO DIRETTO di G e H. Verifica che è un gruppo: -L’associatività dell’operazione è conseguenza del fatto che · e ∗ sono associative. -L’elemento neutro è (uG , uH ). -L’inverso di (a, x) ∈ G × H è (a−1 , x−1 ). Se G e H sono due gruppi abeliani si usa la notazione G ⊕ H per il loro prodotto diretto. Esempio: L’opposto di ([2]5, [3]7) in Z5 ⊕ Z7 è .... Esercizio: Z2 ⊕ Z2 . Provare che il gruppo di Klein K4 è isomorfo a SOTTOGRUPPI Sia (G, ·) un gruppo. Un sottoinsieme non vuoto H ⊂ G si dice un sottogruppo se: i) H è un sottomonoide; ii) Per ogni x ∈ H risulta x−1 ∈ H. Notiamo che in tal caso, H è esso stesso un gruppo, rispetto all’operazione indotta da G. Esempi: L’insieme dei numeri pari è un sottogruppo di (Z, +) Per stabilire se un sottoinsieme H ⊂ G è un sottogruppo, è utile il seguente criterio: Teorema:Siano (G, ·) un gruppo e H ⊂ G un sottoinsieme non vuoto. Allora H è sottogruppo di G se e solo se per ogni a, b ∈ H risulta a · b−1 ∈ H. Esempio: Verificare che H = {[0]6, [2]6, [4]6} è sottogruppo di (Z6, +). Esempio: Se H e K sono sottogruppi di G, allora anche H ∩ K lo è . Esercizio: Posto G = Z × Z , si consideri l’operazione su G definita come segue: (a, b) ∗ (c, d) := (a + c, (−1)c b + d). 1) Provare che (G, ∗) è un gruppo. 2) Posto H = { (a, 0) | a ∈ Z } e K = { (1, b) | b ∈ Z }, stabilire se H e K sono sottogruppi di (G, ∗). ESERCIZIO: Si consideri il seguente sottoinsieme H di S4: H = {Id, (1 2)(3 4), (13)(24), (1 4)(2 3)}. Verificare che H è un sottogruppo di S4, e individuare tre sottogruppi distinti di H. GRUPPO ALTERNO An Sappiamo che ogni elemento del gruppo simmetrico (Sn◦) si scrive come prodotto di scambi (=cicli di lunghezza 2). Teorema: Le rappresentazioni di ogni f ∈ Sn come prodotto di scambi hanno tutte un numero pari o tutte un numero dispari di fattori. Ad esempio, la permutazione di S7 f = (13)(12)(45)(67) si può anche scrivere f = (13)(12)(67)(23)(45)(32) In entrambi casi ho un numero pari di scambi, ed f non si può scrivere come prodotto di un numero dispari di scambi. Def: Una permutazione f ∈ Sn si dice di classe pari (risp. dispari) se si scrive come prodotto di un numero pari (risp. dispari) trasposizioni. Si pone An := { permutazioni pari di Sn} Teorema: An è sottogruppo di Sn. Dimostrazione: è un esercizio. Il gruppo (An, ◦) si chiama Gruppo Alterno di grado n. Teorema: |An| = n! 2 = |Sn | 2 Dimostrazione: Supponiamo che An = {f1, . . . , fm } e che Sn − An = {permutazioni dispari} ={g1, . . . , gs} Si tratta di provare che m = s. Sia t un qualunque scambio. Allora f1t, · · · , fm t sono m permutazioni dispari distinte. Quindi s ≥ m. D’altra parte g1t, . . . , gst sono s permutazioni pari distinte. Quindi m ≥ s. Concludiamo che s = m2. TEOREMA DI LAGRANGE Sia (G, ·) un gruppo finito e sia n := |G|. n si chiama ordine del gruppo. L’ordine di un gruppo e l’ordine dei suoi sottogruppi sono correlati secondo il seguente risultato: Teorema (Lagrange) Se H è un sottogruppo di G, allora l’ordine di H divide l’ordine di G. Dimostrazione: Poniamo s := |H|. Dobbiamo provare che s|n, ovvero che n è multiplo di s. Posto H = {a1, . . . , as}, per ogni x ∈ G, l’insieme xH = {xa1, . . . , xas} ha s elementi. Gli insiemi xH al variare di x in G costituiscono una partizione di G. Siccome ciascun blocco ha ordine s, segue che |G| = sn.2 Corollario: Se (G, ·) è un gruppo finito il cui ordine è un numero primo, gli unici sottogruppi sono quelli banali {1} e G. POTENZE Sia (G, ·) un gruppo e sia a ∈ G. Per ogni m ∈ N∗ si pone am = a | · a{z· · · a} m volte mentre per m = 0 si pone a0 = 1. Se m ∈ Z con m < 0 allora, per definizione: am = (a−1 )|m| . Teorema:Siano (G, ·) un gruppo, a ∈ G ed n, m numeri interi. Allora am · an = an+m . (am )n = am·n . Proposizione: Siano a, b elementi di un gruppo (G, ·). Se ab = ba, allora risulta (ab)n = an · bn per ogni n ∈ Z. Attenzione: Questa proprietà non è valida se ab 6= ba. Def: Un gruppo si dice abeliano se per ogni a, b ∈ G si ha ab = ba. Esercizio: Sia (G, ·) un gruppo e siano x, y ∈ G tali che x · y = y · x. Provare per induzione su n che xn · y = y · x n per ogni n ∈ N. Nota importante: In un gruppo G la cui operazione è denotata con +, la potenza di un elemento an prende il nome di multiplo secondo n di a e si denota con na. Quindi, cambiando opportunamente: ma = a · · · + a} | + a{z m volte mentre per m = 0 0a = 0. Se m ∈ Z con m < 0 allora, per definizione: ma = |m| (−a). Esempio: Chi è in Z9 il multiplo (−31)[6]9? SOTTOGRUPPO GENERATO DA UN ELEMENTO Siano (G, ·) un gruppo e a ∈ G. Si pone < a >:= { am | m ∈ Z } Cioè < a > è l’insieme di tutte le potenze di a. Proposizione: < a > è un sottogruppo di G. Si chiama sottogruppo generato da a. Dimostrazione: infatti date due potenze ah e ak allora (ah) · (ak )−1 = ah−k quindi < a > soddisfa il criterio enunciato in precedenza per determinare i sottogruppi. Nota: Se a = 1 allora < a >= {1}. Nota: < a > contiene sempre gli elementi 1 ed a. Esempio: In (Z, +) abbiamo < 1 >=< −1 >= Z In (Q∗, ·): < 2 >= {numeri pari }. < −1 >= {1, −1} < 1 >=< 3 >= { 3k | k ∈ Z }. 3 ORDINE DI UN ELEMENTO Siano (G, ·) un gruppo e a ∈ G. Diremo che a ha periodo (o ordine) finito se il sottogruppo < a > è finito. L’ordine di < a > si denota con o(a). Se < a > è infinito (questo può accadere solo se G lo è ), si dice che a ha periodo infinito. Si scrive o(a) = ∞. Quindi, ad esempio in (Q∗, ·) abbiamo o(−1) = 2, mentre o(3) = ∞. Il significato dell’ordine è dato dal seguente teorema: Teorema: 1) Se a ha periodo infinito, allora tutte le potenze di a sono distinte tra loro. 2) Se a ha periodo finito, allora si ha: < a >= {1, a, a2 , . . . , an−1 } dove n = o(a). Inoltre le potenze di a si ripetono secondo il seguente schema: as = at ⇐⇒ s ≡n t. In particolare, n = o(a) è il più piccolo intero positivo tale che an = 1. Nota: In ogni gruppo l’elemento neutro ha periodo 1 ed è l’unico di elemento di periodo 1. Osservazione importante: Se o(a) = n allora l’inverso di a è an−1. Infatti, an−1 · a = an = 1 = an−1 · a. Esempio: Se o(a) = 5 allora a−3 = a2, a18 = a3. Esempio: Calcoliamo o([3]6) in Z6 .... Esercizio: Verificare che se o(a) = n, il periodo di una sua potenza ak è n o(ak ) = . M CD(n, k) ESEMPI In (Zn, +): • Il periodo di [m]n è n M CD(m,n) In (Sn, ◦): • Il periodo di f ∈ Sn è il m.c.m delle lunghezze dei cicli disgiunti in cui f si decompone. In un prodotto diretto G × H: ∀(g, h) ∈ G × H o((g, h)) = m.c.m(o(g), o(h)). Esempio: Calcolare il periodo di a := [10]15 e il sottogruppo generato da a in Z15 . Esercizio: Determinare tutti gli elementi di Z12 aventi periodo 4. Vi sono elementi di periodo 5? Esempio: L’inverso di (2768) in S8 è .... Teorema: Se (G, ·) è finito, allora per ogni a ∈ G l’ordine di a è un divisore dell’ordine di G. Dim: Si tratta di un corollario del Teorema di Lagrange! Teorema di Fermat astratto: Sia (G, ·) un gruppo finito di ordine k. Allora per ogni elemento x di G si ha xk = 1. Dimostrazione: Posto n := o(x), abbiamo che n|k ovvero k ≡n 0 e quindi xk = x0 = 1.2 Esempio: Se |G| è un numero primo p, allora tutti gli elementi diversi da 1 hanno periodo p. Esercizio: Provare che S7 non ha sottogruppi di ordine 11, e determinare due diversi sottogruppi di S7 di ordine 5, determinandone tutti gli elementi. Esercizio: Dimostrare che l’unico elemento di A5 tale che f 7 = Id è la permutazione identica Id. GRUPPI CICLICI Def: Un gruppo (G, ·) si dice ciclico se vi è un elemento a ∈ G tale che G =< a > . In tal caso, a si dice un generatore di G. N.B: Se G è finito, dire che a è generatore significa che o(a) = |G|. In tal caso: G = {1, a, a2 , . . . , an−1 }. Esempi fondamentali: • (Z, +) è ciclico e ha due soli generatori: +1 e -1. • Tutti i gruppi (Zn, +) sono ciclici e ammettono come generatori [1]n e tutte le classi [a]n dove M CD(a, n) = 1. Ciò segue dalla formula per il periodo in Zn. • Ogni gruppo finito G di ordine p con p primo è ciclico: sono generatori tutti gli elementi diversi da 1. • In ogni gruppo G, dato a ∈ G, il sottogruppo < a > è un gruppo ciclico, con generatori a e a−1 . Esempio: fatti, Il gruppo di Klein {1, a, b, c} non è ciclico. Ino(a) = o(b) = o(c) = 2 6= 4. Esempio: Z8 è ciclico con generatori [1]8, [3]8, [5]8 e [7]8. Esercizio: Dire quali dei seguenti gruppi sono ciclici: Z2 ⊕ Z5 , Z 4 ⊕ Z4 . Esercizio: Provare che il sottoinsieme H di S5 H = {Id, (15)(34), (1453), (1354)} è un sottogruppo ciclico di S5. Provare inoltre che il sottoinsieme K = {Id, (1467), (1647), (16)(47), (17)(46)} non è un sottogruppo di S7. FUNZIONE DI EULERO Sia (G, ·) un gruppo ciclico finito di ordine n con generatore a. Dunque G = {1, a, a2, . . . , an−1 } e tutti i generatori sono le potenze ak con M CD(k, n) = 1. n Infatti, ricordiamo che o(ak ) = M CD(n,k) . Quindi il numero dei generatori è il numero degli interi k positivi, minori di n e primi con n. Tale numero si denota con ϕ(n). Resta definita una funzione ϕ : N∗ → N che prende il nome di funzione di Eulero. Es: ϕ(8) = 4. Il calcolo di ϕ(n) può essere agevolato dalle seguenti proprietò della funzione ϕ: Proposizione: 1) Se p è un primo, allora ϕ(pk ) = pk − pk−1 2) Se n = a1 · · · an con gli ai a due a due primi tra loro, allora ϕ(n) = ϕ(a1) · · · ϕ(an). Esempio: Calcoliamo ϕ(18).... Esercizio: Un gruppo G contiene un elemento g di periodo 90. Calcolare il periodo di h = g −82 ed il numero dei generatori di < h >. Esercizio: Determinare tutti i generatori di < f > dove f è la permutazione di S9: f = (246)(93). Quanti sono i generatori di < f 4 >? SOTTOGRUPPI DI GRUPPI CICLICI Il seguente teorema permette facilmente di determinare tutti i sottogruppi di un gruppo ciclico. Teorema: sia (G, ·) un gruppo ciclico. Allora 1) Tutti i sottogruppi di G sono ciclici. 2) Se G è finito, allora per ogni divisore di n = |G| vi è uno ed un solo sottogruppo di G di ordine k. 3) Se G è infinito, ogni sottogruppo di G diverso da {1} è infinito. Esempio: Z5 ha solo due sottogruppi: [0]5 e Z5. Esercizio: Determinare tutti i sottogruppi di Z8. Esercizio: Determinare tutti i sottogruppi di < f > dove f è la permutazione di S6 data da 1 2 3 4 5 6 f= 1 5 4 6 2 3 Omomorfismi G → H con G ciclico Siano G un gruppo ciclico ed H un gruppo qualsiasi. Fissiamo un generatore g di G. Teorema. 1) Se f : G → H è un omomorfismo, allora Im(f ) =< f (g) > . 2) Se G è finito, anche Im(f ) lo è e l’ordine di Im(f ) divide l’ordine di G. Dimostrazione: 2. Per ipotesi G =< g > con g ∈ G, cioè G = {g k | k ∈ Z}; segue Im(f ) = f (G) = f ({g k | k ∈ Z}) = = {f (g k ) | k ∈ Z} = {f (g)k | k ∈ Z} = =< f (g) > . 2) Chiaramente Im(f ) è finito. Posto k = |G| abbiamo: g k = 1G ⇒ f (g k ) = f (1G) ⇒ f (g)k = 1H per cui , per una nota proprietà del periodo di un elemento, k è un multiplo del periodo di f (g).2 COSTRUZIONE DI OMOMORFISMI Siano ancora G =< g > gruppo ciclico e H gruppo qualsiasi. Teorema: 1) Se G è infinito, dato un qualunque elemento y di H esiste uno ed un solo omomorfismo f : G → H tale che f (g) = y. Tutti gli omomorfismi G → H si ottengono in questo modo a partire dalla scelta di un elemento di H. 2) Se G è finito e k := |G|, dato un qualunque elemento y di H il cui periodo è finito e divide k, esiste uno ed un solo omomorfismo f : G → H tale che f (g) = y. (∗) Tutti gli omomorfismi G → H si ottengono in questo modo a partire dalla scelta di un elemento di H il cui periodo divide k. Dimostrazione: In entrambi i casi l’applicazione f si definisce ponendo f (g k ) = y k .2 Nota importante: Se G ed H sono entrambi finiti, l’omomorfismo definito dalla condizione (*) è : surgettivo se e solo se o(y) = |H| ingettivo se e solo se o(y) = |G|. Esempio: Vi sono esattamente 4 omomorfismi Z → K4 dove K4 = {1, a, b, c} è il gruppo di Klein. Essi sono determinati da f1 (1) = 1, f2(1) = a, f3(1) = b, f4(1) = c. Abbiamo, ad esempio: f3(7) = b7 = b e f4(8) = c8 = 1. Nessuno di questi è ingettivo (ovviamente!), e nessuno è surgettivo. Esempio: da Vi sono infiniti omomorfismi fm : Z → Z, dati fm (1) = m al variare di m ∈ Z. Ad esempio, f11 : Z → Z è l’applicazione definita da f11 (n) = n · 11. Poichè gli unici generatori di Z sono 1 e −1, gli unici tra questi ad essere surgettivi sono f1 e f−1 . Tranne f0 che è l’omomorfismo costante di valore 0, gli fm sono tuti ingettivi. Esempio: Vi è un solo omomorfismo Zn → Z che è quello costante f ([a]) = 0 ∀[a] ∈ Zn. Infatti, 0 è l’unico elemento di periodo finito di Z. ESERCIZIO: Determinare l’omomorfismo f : Z → Z3 tale che f (5) = f (2) = [1]3. Dire se f è surgettivo e/o ingettivo, calcolare tutte le preimmagini di [0]3. Esercizio: Stabilire quanti sono gli omomorfismi Z18 → Z12 . Determinare gli omomorfismi surgettivi Z18 → Z9 tali che [6]18 7→ [6]9. Esercizio: Sia H =⊂ S5 il sottogruppo generato da g = (12345). Dato l’omomorfismo f : Z15 → H tale che f ([8]15 ) = g calcolare f ([12]15). CLASSIFICAZIONE DEI GRUPPI CICLICI Teorema: 1) Ogni gruppo ciclico infinito è isomorfo a Z. 2) Ogni gruppo ciclico finito è isomorfo a Zn dove n è l’ordine del gruppo. Dimostrazione: Fissiamo un generatore g di G. Caso 1): un isomorfismo f : Z → G si ottiene considerando l’omomorfismo tale che f (1) = g. Si osservi che: f è ingettivo perchè le potenze g n sono tutte distinte. Caso 2): un isomorfismo f : Zn → G è l’omomorfismo tale che f ([1]n) = g. In entrambi i casi, f è surgettivo perchè g è generatore: Im(f ) =< g >= G.2 Esercizio: Verificare che il gruppo (Aut(Z5), ◦) degli automorfismi di Z5 è isomorfo a Z4. Nota bene: In generale, la composizione di omomorfismi tra gruppi è un omomorfismo e l’inverso di un isomorfismo è ancora un isomorfismo. Quindi per ogni gruppo G, (Aut(G), ◦) è un gruppo! ANELLI Def: Si chiama Anello ogni struttura algebrica (A, +, ·) consistente di un insieme A e di due operazioni su A verificanti le seguenti condizioni: a) (A, +) è un gruppo abeliano. b) (A, ·) è un monoide. c) Valgono le proprietò distributive del prodotto rispetto alla somma: per ogni a, b, c ∈ A (a + b) · c = a · c + b · c c · (a + b) = c · a + c · b. Se (A, +, ·) è un anello, l’elemento neutro del gruppo soggiacente (A, +) si denota con 0 e si chiama zero dell’anello A. L’elemento neutro del monoide (A, ·) si denota con 1 e si chiama unitò dell’anello A. Def: Un anello (A, +, ·) si dice commutativo se l’operazione · è commutativa. Esempi: • Un anello banale è A = {0} dove 0 + 0 := 0, 0 · 0 = 0 (in questo caso 0 = 1 ). • Sono anelli gli insiemi numerici (X, +, ·) dove X = Z, Q, R e +, · sono le usuali operazioni di somma e prodotto. • Per ogni n ∈ N, (Zn, +, ·) è un anello. Qui + e · sono al solito le operazioni ottenute per passaggio al quoziente dalle corrispondenti operazioni di Z. ESEMPIO: ANELLO DEGLI ENDOMORFISMI DI UN GRUPPO ABELIANO Una tipologia importante di anelli è la seguente: sia (G, +) un gruppo abeliano. Denotiamo con End(G) l’insieme degli omomorfismi f : G → G. Questi prendono il nome di endomorfismi del gruppo G. Possiamo dotare End(G) di una struttura di anello, definendo le due operazioni + e · come segue: • La somma di due endomorfismi f e g è definita da f +g :G→G tale che (f + g)(x) := f (x) + g(x) N.B: L’operazione che figura al secondo membro è quella di G! • · è l’operazione ◦ di composizione di applicazioni. Lo zero dell’anello (End(G), +, ·) è l’endomorfismo costante G → G: x 7→ 0 L’unitò è l’automorfismo identico Id : G → G: x 7→ x. Esercizio per casa: Verificare le proprietò distributive!! LEGAME TRA SOMMA E PRODOTTO Sia (A, +, ·) un anello. La proposizione seguente fornisce le relazioni fondamentali tra la somma e il prodotto che si deducono dagli assiomi a), b) e c): Proposizione: 1) Tranne che nel caso banale A = {0}, si ha 0 6= 1. 2) Per ogni a, b ∈ A si ha a · 0 = 0 = 0 · a. a · (−b) = −(a · b) = (−a) · b. 3) Per ogni n ∈ N e a, b ∈ A: (na) · b = n(a · b) = a · (nb). A titolo di esempio, proviamo la prima delle 2): a · 0 = a · (0 + 0) = a · 0 + a · 0 da cui si può semplificare, ottenendo a · 0 = 0. Ciò è possibile perchè (A, +) è un gruppo. ELEMENTI INVERTIBILI Sia (A, +, ·) un anello. Def: Un elemento a ∈ A si dice invertibile o unitario se è invertibile rispetto al prodotto. Ciò significa che esiste a0 ∈ A tale che a · a0 = 1 = a0 · a. In tal caso, a0 è unico e si chiama l’inverso di a; viene denotato con il simbolo a−1 . Esempio: Nell’anello Z gli unici elementi invertibili sono 1 e −1. Negli anelli Q e R sono invertibili tutti gli elementi diversi da zero. Osservazione: Tranne che nell’anello banale {0} si ha: a invertibile ⇒ a 6= 0. Esempio: In Z6, l’elemento [5]6 è invertibile con inverso se stesso. Def: L’insieme di tutti gli elementi unitari si denota con U (A). Proposizione:U (A) è un sottomonoide di (A, ·) e (U (A), ·) è un gruppo. Dimostrazione: L’unitò 1 ∈ U (A) ammettendo se stesso come inverso. Si deve poi verificare che, se a, b ∈ U (A) anche il loro prodotto a · b è invertibile. Infatti ha come inverso b−1 · a−1 . Teorema: Nell’anello Zn, un elemento [a]n è invertibile se e solo se M CD(a, n) = 1. Quindi il gruppo U (Zn) ha ordine ϕ(n). Dimostrazione: L’invertibilitò di [a] si traduce nell’esistenza di [x] ∈ Zn tale che [a] · [x] = [1] cioè , per com’è definito il prodotto in Zn: [ax] = [1] Questa relazione, per il significato di classe di equivalenza, vuol dire ax ≡ 1 mod n. Sappiamo che questa congruenza ha soluzioni se e solo se M CD(a, n) = 1.2 Esempio: Se p è un numero primo, allora tutti gli elementi diversi da zero in Zp sono invertibili. Dunque in questo caso: U (Zp ) = Z∗p . Esercizio: Stabilire se il gruppo U (Z8) è ciclico. IL TEOREMA DI FERMAT-EULERO Come applicazione del Teorema precedente si ottiene il seguente: Teorema (Fermat-Eulero)Siano n ∈ N, n 6= 0 ed a un intero primo con n. Allora aϕ(n) ≡ 1 mod n. Dimostrazione: Se a è primo con n, allora [a]n ∈ U (Zn). D’altra parte sappiamo che il gruppo U (Zn ) ha ordine ϕ(n). Quindi applicando il Teorema di Fermat astratto: ([a]n)ϕ(n) = [1]n. Ma ciò vuol dire esattamente che aϕ(n) ≡ 1 mod n.2 Come caso particolare si ottiene il piccolo Teorema di Fermat: Teorema Sia p > 0 un numero primo e a un intero non divisibile per p. Allora si ha: ap−1 ≡ 1 (mod p). Infatti in questo caso ϕ(p) = p − 1. Corollario:Per ogni primo p e per ogni intero a si ha ap ≡ a mod p. Dimostrazione: Se a è multiplo di p è ovvio essendo a ≡p 0. Altrimenti, si ottiene dal Piccolo Teorema di Fermat moltiplicando ambo i membri per a2. Nota importante: Il piccolo Teorema di Fermat ci dò un modo per calcolare [a]−1 dove [a] ∈ U (Zn ). Infatti otteniamo [a]−1 = [aϕ(n)−1]. Esempio: L’inverso di [9] in Z11 è [99] = [5]. Alternativamente, per trovare [a]−1, si risolve la congruenza ax ≡ 1 mod n. DIVISORI DELLO ZERO Sia (A, +, ·) un anello. Def: Un elemento a ∈ A si dice divisore dello zero se a 6= 0 ed esiste b ∈ A, b 6= 0, tale che a · b = 0 oppure b · a = 0. Esempio: In Z6 abbiamo che [2] è divisore dello zero avendosi [2] · [3] = [0]. Proposizione: Se a ∈ A è divisore dello zero, allora a non è invertibile. Infatti, per ipotesi abbiamo ad esempio a · b = 0 con b 6= 0. Se a fosse invertibile, moltiplicando per a−1 si otterrebbe a−1 · ab = a−1 · 0 e quindi b=0 il che è una contraddizione. Il viceversa non è vero in generale! Ad esempio, in Z, abbiamo che 3 non è invertibile, ma non è divisore dello zero. Nel caso finito però : Teorema:Sia A un anello commutativo e finito. Allora un elemento a 6= 0 è divisore dello zero se e solo se non è invertibile. Quindi in Zn i divisori dello zero sono esattamente le classi [a]n tali che a 6= 0 e M CD(a, n) 6= 1. Proposizione: Un anello (A, +, ·) è privo di divisori dello zero se e soltanto se in esso valgono le seguenti leggi di cancellazione rispetto al prodotto: ax = ay, a 6= 0 ⇒ x = y xa = ya, a 6= 0 ⇒ x = y. Dimostrazione: esercizio per casa! Esercizio: Stabilire che End(Z7) è privo di divisori dello zero. SOTTOANELLI Sia (A, +, ·) un anello e sia S un sottoinsieme non vuoto di A. Def: Diremo che S è un sottoanello di A se i) S è un sottogruppo di (A, +); ii) S è un sottomonoide di (A, ·). In tal caso anche (S, +·) è un anello! (Le proprietò distributive vengono ereditate da A.) Nota importante: Per il criterio di caratterizzazione dei sottogruppi, queste condizioni equivalgono alle seguente: i’) Per ogni a, b ∈ S a − b ∈ S. ii) Per ogni a, b ∈ S, a · b ∈ S; iii) 1 ∈ S. h Esercizio per casa: Verificare che S = { 2k+1 | h, k ∈ Z } è un sottoanello di Q. CORPI E CAMPI Def: Si chiama corpo ogni anello (A, +, ·) nel quale tutti gli elementi diversi da zero sono invertibili. In altri termini, A corpo significa che U (A) = A∗ dove A∗ = { a ∈ A | a 6= 0 }. Un corpo commutativo si chiama campo. Esempi: Sono campi Q ed R. Attenzione: Z non è un campo! Dall’analisi fatta in precedenza sugli elementi invertibili di Zn segue: Teorema:L’anello Zn è un campo se e solo se n è un numero primo. Dimostrazione: infatti, sappiamo che U (Zn) contiene ϕ(n) elementi. Dunque U (Zn) = Z∗n se e solo se ϕ(n) = n − 1 ovvero n è primo.2 Un importante risultato è il seguente: Teorema di Weddeburn:Ogni corpo finito è un campo. Esercizio: Si consideri il sottogruppo ciclico S :=< [4] > di (Z28 , +). Mostrare che S non è sottoanello di Z28 , ma che S è comunque stabile per il prodotto. Provare poi che con le operazioni indotte da Zn, (S, +, ·) è un campo, la cui unitò è diversa da [1]. TEOREMA DELL’ELEMENTO PRIMITIVO Il seguenti risultato è notevole: Teorema:Sia (K, +, ·) un campo. Sia H un sottogruppo finito del gruppo U (K) = K∗. Allora H è ciclico. In particolare: Corollario:Per ogni campo finito K, il gruppo K∗ è ciclico. Quindi per ogni primo p, il gruppo (Z∗p , ·) è un gruppo ciclico. Se K è un campo finito, ogni generatore di K∗ si chiama un elemento primitivo del campo. Attenzione: In generale, U (Zn) può non essere ciclico! Esempio: Un elemento primitivo di Z11 è [2]. Infatti, [2] ha periodo 10 perchè [2]2 = [4], [2]5 = [6]. (ricordarsi che il periodo di un x ∈ Z∗11 può essere solo 1,2,5 o 10) In generale, non si conosce alcuna formula per calcolare un elemento primitivo in Zp . È stato dimostrato che [2] è primitivo nei campi Zp dove p = 4q + 1 q primo . POLINOMI Sia (A, +, ·) un anello commutativo, A 6= {0}. Def: Un polinomio a coefficienti in A è un’espressione della forma p = a 0 + a 1 x + · · · + a n xn dove a0, a1 , . . . , an sono elementi di A e x è un simbolo formale, detto indeterminata. Def: Se p = a0 + a1x + · · · + anxn con an 6= 0, si dice che p ha grado n. Il coefficiente an si chiama coefficiente direttivo di p. Se an = 1, il polinomio si dice monico. Esempio: p = a0 con a0 ∈ A∗ è un polinomio di grado zero. Un tale polinomio si dice costante. Il polinomio p = x + x3 ha grado 3. • Si conviene che lo zero 0 è l’unico polinomio di grado -1. Il grado di un polinomio p si denota con gr(p) oppure con deg(p). L’ANELLO A[X] L’insieme di tutti i polinomi nell’indeterminata x si denota con A[x]. Su A[x] si definiscono le operazioni interne di somma e prodotto, utilizzando le corrispondenti operazioni di A: Def: Dati p = a0 + a1 x + . . . anxn e q = b0 + a1 x + . . . anxn con an 6= 0, con n ≤ m. La somma p + q è il polinomio p+q := (a0 +b0)+(a1+b1) x+· · ·+(an +bn) xn+bn+1 xn+1+· · ·+bm xm . Se m ≤ n, la definizione è analoga. Il prodotto p · q è il polinomio: p·q := (a0b0)+(a0 b1+a1 b0) x+· · ·+( X i+j=k aibj ) xk +· · ·+anbm xn+m. Proposizione: (A[x], +, ·) è un anello commutativo, contenente A come sottoanello, costituito dai polinomi di grado ≤ 0. Proposizione: Siano p, q ∈ A[x]. Allora: i) gr(p + q) ≤ max{gr(p), gr(q)}. ii) . gr(p · q) ≤ gr(p) + gr(q). iii) Se A è privo di divisori dello zero, allora: gr(p · q) = gr(p) + gr(q). In ii) può non valere l’uguaglianza, se A ha divisori dello zero: Ad esempio, con a = 2x3 + 1 e b = 2x in Z4[x] abbiamo p · q = 2x e quindi gr(pq) 6= gr(p) + gr(q). Proposizione: Se A è privo di divisori dello zero, allora a) Anche A[x] è privo di divisori dello zero. b) U (A[x]) = U (A). Dimostraziome: a) Se pq = 0, allora otteniamo per la iii): gr(p) + gr(q) = −1 e quindi uno dei due polinomi ha grado -1, l’altro ha grado zero. Concludiamo che p = 0 oppure q = 0. La dimostrazione di b) è simile.2 DIVISIONE Sia K un campo. Nell’anello K[x] si può sviluppare un’aritmetica simile a quella di Z. Teorema:Siano a, b ∈ K[x] con b 6= 0. Esistono e sono univocamente determinati due polinomi q ed r tali che a = bq + r e gr(r) < gr(b). I polinomi q ed r sono detti rispettivamnte il quoziente ed il resto della divisione di a per b. L’algoritmo per effettuare la divisione è perfettamente analogo a quello che si utilizza in Z. Esempio: Se gr(a) < gr(b), allora q = 0 e r = a. Esempio: Calcolare il quoziente ed il resto della divisione di a = x4 − 2x3 + x − 1 per b = 3x3 − 5 in Q[x]. Ripetere l’esercizio per a = x5 − x2 e b = x − 1. Esercizio: Calcolare in Z5[x] il quoziente ed il resto della divisione di a = x3 + x2 + 3x + 1 per b = x2 − 2. Ripetere l’esercizio considerando i polinomi a = x4 + x2 + 1 e b = 3x3 − 2 di Z7[x]. MASSIMO COMUN DIVISORE Sia K un campo. Definizione. Dati due polinomi a e b in K[x], si dice che b divide a e si scrive b|a se esiste un polinomio q ∈ K[x] tale che a = bq. Se b|a, si dice anche che a è un multiplo di b oppure che a è divisibile per b. Definizione. Siano a e b elementi di K[x]. Si dice massimo comun divisore di a e b ogni polinomio d ∈ K[x] che soddisfi le condizioni seguenti: i) d è divisore comune di a e b: d|a e d|b; ii) Se c è un divisore comune di a e b, allora c|d. Teorema (Esistenza di un massimo comun divisore) Se a e b sono polinomi entrambi non nulli, esiste un massimo comun divisore di a e b. Inoltre esistono due polinomi s, t ∈ K[x] tali che d = sa + tb. Nota importante: L’algoritmo delle divisioni successive è applicabile anche in K[x]! Riguardo l’unicitò del massimo comun divisore si ha: Teorema:Siano a, b ∈ K[x]∗ e sia d un massimo comun divisore tra a e b. Allora tutti e soli i massimi comun divisori sono i polinomi d0 = c · d dove c è una costante non nulla. Conseguenza: Vi è un solo massimo comun divisore monico che si denota con M CD(a, b). Esercizio: Calcolare in Z5[x]: M CD(x6 + 4x5 − 12x + 1, x3 + 4x + 1). Esercizio: Esprimere il M CD(a, b) nella forma sa + tb, essendo a = x3 + x2 + 1 e b = 3x2 + 2x + 2 in Z5[x]. CONGRUENZE Siano K[x] un campo e p ∈ K[x], p 6= 0. Def: Si dice che due polinomi f, g ∈ K[x] sono congrui modulo p e si scrive f ≡ g mod p se p|(f − g). Nota importante: Come nel caso di Z, la condizione f ≡ g mod p è equivalente a r = r0 dove r (risp. r 0) è il resto della divisione di f (risp. di g) per p. Teorema:La relazione di congruenza modulo p è una relazione di equivalenza compatibile con la somma ed il prodotto di K[x]. L’insieme quoziente K[x]/ ≡p si denota con K[x]/(p). Esso ha una struttura di anello, le cui operazioni sono ottenute dalla somma e dal prodotto di K[x] per passaggio al quoziente. Quindi [f ] + [g] := [f + g], [f ] · [g] := [f g]. Lo zero di K[x]/(p) è [0] = { hp | h ∈ K[x] } L’unitò di K[x]/(p) è [1] = { 1 + hp | h ∈ K[x] }. Teorema: Sia p ∈ K[x], p 6= 0. La congruenza af ≡ b mod p nell’incognita f ha soluzioni se e solo se M CD(a, p)|b. Il metodo risolutivo è formalmente identico a quello valido in Z: si utilizza l’identitò di Bezout! Esercizio: Risolvere, se possibile, le congruenze in Q[x]: (x3 − 1) f ≡ (x4 − x3 + x − 1) mod (x2 − 1). ed in Z3[x]: x9f ≡ 1 mod (x2 + 1) (2x + 1) f ≡ x2 + x + 1 mod (x4 + 1). POLINOMI IRRIDUCIBILI Def: Un polinomio a ∈ K[x] di grado n > 0 si dice irriducibile se ammette come divisori solo le costanti e i polinomi ka con k ∈ K∗. Atrimenti a si dice riducibile. Esempio: Ogni polinomio di grado 1 è irriducibile. Esempio: Il polinomio x2 + 1 è irriducibile in R[x]. Invece, lo stesso polinomio in Z2[x] è riducibile: x2 + 1 = (x + 1)(x + 1). Teorema (di fattorizzazione unica): Ogni polinomio non costante f ∈ K[x] può essere scritto come il prodotto di un numero finito di polinomi irriducibli (non necessariamente distinti). Tale fattorizzazione è essenzialmente unica nel senso che, se f = p 1 · p2 · · · p s e f = q 1 · q2 · · · q t dove i polinomi pi (1 ≤ i ≤ s) e qj (1 ≤ j ≤ t) sono irriducibili, allora s = t ed a meno di riordinare i fattori si ha p1 = k 1 · q 1 , p 2 = k 2 · q 2 , . . . , p s = k s · q s dove i ki ∈ K∗ sono costanti. RADICI DI UN POLINOMIO Siano K un campo e p ∈ K[x] un polinomio p = a 0 + a 1 x + · · · + a n xn . Def: La funzione polinomiale di p è l’applicazione K→K tale che: α 7→ a0 + a1α + · · · anαn. Il valore che questa funzione assume in un elemento α ∈ K si denota con p(α). Attenzione: p e la funzione α 7→ p(α) non sono la stessa cosa! Def: Dato p ∈ K[x] e α ∈ K, si dice che α è una radice di p o uno zero di p se p(α) = 0. Esempio: 1 è una radice del polinomio 1 + x3 di Z2 mentre 0 non lo è . √ 2 Esempio: Le radici del polinomio x − 2 di R[x] sono 2 e √ − 2. Teorema (di Ruffini) Siano p ∈ K[x] e α ∈ K. Allora α è una radice di p se e solo se (x − α)|p. Dimostrazione: Se (x − α)|p, allora p = (x − α) · q con q ∈ K[x]. Allora p(α) = (α − α) · q(α) = 0. Viceversa, si assuma che α sia radice di p. Dividendo p per x − α otteniamo p = (x − α) · q + r e gr(r) ≤ 0. Quindi r ∈ K. Segue che 0 = p(α) = r(α) = r e quindi x − α divide p.2 Corollario:Se p ∈ K[x] ha almeno una radice, allora è riducibile. Attenzione: Il viceversa è falso! Il polinomio (x2 + 1)(x2 + 3) di R[x] non ha radici, però è riducibile! Osservazione utile: Un polinomio p ∈ K[x] di grado ≤ 3 è riducibile se e solo se ha almeno una radice. Teorema:Un polinomio di grado d ≥ 0 in K[x] possiede al massimo d radici distinte. Dimostrazione: si fa facilmente per induzione sul grado d, utilizzando il Teorema di Ruffini. Corollario (principio di identitò ) Siano f, g ∈ K[x] di grado ≤ n. Se esistono n + 1 elementi di K tali che f (αi) = g(αi) allora f = g. Infatti, f − g ha grado al massimo n ma ha n + 1 radici, e quindi è il polinomio nullo. Esercizio: Stabilire se il polinomio f = x5 +x2 +1 è riducibile in Z2[x]. RADICI DI POLINOMI IN Q Sia f = a0 + a1x + · · · anxn un polinomio di grado n > 0 di Q[x]. Allo scopo di determinare le radici di f oppure di stabilire se f è irriducibile, si può supporre che i coefficienti ai siano tutti interi. Infatti, mf = g dove g è a coefficienti in Z ed m è il m.c.m dei denominatori dei coefficienti ai. Proposizione: Se z = ab è una radice di f con M CD(a, b) = 1, allora a|a0 e b|an. Questo fatto implica che per cercare le radici di f occorre solo un numero finito di tentativi. Nota: Se f è monico, allora le radici sono tutte in Z. Esercizio: Determinare, se esistono, le radici in Q del polinomio f = x4 − 2x3 + x2 − x + 2 e di g = 3x3 + x − 2. DUE CRITERI DI IRRIDUCIBILITÀ IN Q[X] Teorema di Eisenstein Sia f = a0 + a1x + · · · + anxn un polinomio di grado n > 0 a coefficienti in Z. Se esiste un primo p tale che p|ai per i = 0, . . . , n − 1 e p 6 |an, p2 6 |ao allora f è irriducibile in Q[x]. Esempio: Verificare che 2x5 − 3x4 + 15x2 − 3x + 30 è irriducibile in Q[x]. Attenzione: Il criterio dò solo una condizione sufficiente per l’irriducibilitò ! Ad esempio, x2 + 1 è irriducibile, ma ciò non è conseguenza del teorema. Un altro metodo consiste nel ridursi al problema in qualche campo finito Zn: Teorema: Sia f = a0 + a1x + · · · + anxn un polinomio di grado n > 0 a coefficienti in Z. Sia p un numero primo che non divide an. Se il polinomio f¯ = [a0]+[a1]x+· · ·+[an]xn di Zp [x] è irriducibile, allora f è irriducibile in Q[x]. Esercizio: Stabilire che il polinomio f = x5 + x4 + 2x3 + 3x2 − x + 5 di Q[x] è irriducibile. COSTRUZIONE DI CAMPI Siano K un campo e p ∈ K[x]. Teorema: p è irriducibile se e soltanto se K[x]/(p) è un campo. Dimostrazione: Sappiamo giò che K[x]/(p) è un anello commutativo. Supponiamo p irriducibile. Sappiamo Sia [a] un elemento non nullo di K[x]/(p). Dobbiamo provare che esso è invertibile. Possiamo supporre 0 ≤ deg(a) < deg(p). Allora M CD(a, p) = 1. Quindi la congruenza af ≡ 1 mod p nell’incognita f ∈ K[x] ha sempre una soluzione f . Quindi [f ] è l’inverso di [a]. Pertanto K[x]/(p) è un campo. Viceversa, se K[x]/(p) è un campo, per ogni polinomio non nullo a con deg(a) < deg(p) la congruenza precedente ha soluzione, e quindi M CD(a, p) = 1. Pertanto gli unici divisori di p non costanti sono cp con c ∈ K∗.2 Def:Se p ∈ K[x] è irriducibile, il campo K[x]/(p) si chiama una estensione semplice di K. Un caso rilevante: K = Zp con p > 0 numero primo. Se q ∈ Zp[x] è irriducibile di grado n, l’estensione semplice Zp [x]/(q) è un campo finito con pn elementi. Infatti, le classi di equivalenza distinte [a] sono tante quanti sono i polinomi di Zp[x] di grado < n.2 Perchè si chiama estensione semplice: • Il campo K si può riguardare come sottocampo di K[x]/(p) Ciò si ottiene identificando ogni costante a ∈ K con la corrispondente classe [a] modulo p. • Il polinomio p, visto come polinomio in K[x]/(p) ha sempre almeno una radice, data l’elemento z = [x]. In particolare, p risulta riducibile nell’estensione. Infatti, se p = a0 + a1x + · · · + anxn allora e quindi p ≡ 0 mod p [a0 + a1x + · · · + anxn] = [0] cioè , per come sono definite le operazioni sulle classi: ovvero [a0] + [a1][x] + · · · + [an][x]n = 0 [a0] + [a1]z + · · · + [an]z n = 0. Esercizio: Si consideri il campo C = R[x]/(x2 + 1). Calcolare il periodo dell’elemento i = [x]. Determinare gli elementi del sottogruppo < i > di (C, +) e stabilire se esso è un sottocampo di C. Nota: Questo è il campo dei numeri complessi. Esercizio: Dato il polinomio di Z7 p = x3 + ax2 + 5x + 3 stabilire per quali dei valori a = 4, a = 5 di a ∈ Z7 l’anello Z7/(p) è un campo. In tale campo si calcoli l’inverso di [x + 2]. Per a = 1, stabilire quali tra gli elementi [x] e [x − 2] sono divisori dello zero nell’anello Z7/(p). OMOMORFISMI E ISOMORFISMI Siano (A, +, ·) e (B, +, ·) due anelli. Un omomorfismo da A in B è un’applicazione f : A → B tale che ∀x, y ∈ A f (x + y) = f (x) + f (y). ∀x, y ∈ A f (x · y) = f (x) · f (y). f (1A) = 1B . Un isomorfismo tra A e B è un omomorfismo bigettivo. Se esso esiste , A e B si dicono isomorfi e si scrive A∼ = B. Al solito, se A = B si parla di endomorfismi e di automorfismi. Esempio: L’unico endomorfismo dell’anello Z è l’indentitò : x 7→ x. Infatti, ogni endomorfismo f : Z → Z è determinato da f (1) essendo (Z, +) ciclico con generatore 1..... Esempio: Il campo K[x]/(x) è isomorfo a K. Un isomorfismo è l’applicazione a ∈ K 7→ [a] ∈ K[x]/(x). LA CLASSIFICAZIONE DEI CAMPI FINITI Il Teorema seguente afferma che le estensioni semplici Zp /(q) sono, a meno di isomorfismo, tutti e soli i campi finiti: Teorema: Sia K un campo finito. 1) K ha pn elementi, con p > 0 primo e n > 0. 2) Esiste un polinomio irriducibile q in Zp [x] di grado n, tale che K∼ = Zp [x]/(q). Viceversa, dato un numero della forma pn esiste, a meno di isomorfismo, uno ed un solo campo con pn elementi. Esempio: I campi con n ≤ 16 elementi sono 2 Z2 Z3 3 4 Z2[x]/(x2 + x + 1) 5 Z5 nessuno 6 7 Z7 8 Z2[x]/(x3 + x + 1) 9 Z3[x]/(x2 + 1) 10 nessuno 11 Z11 12 nessuno Z13 13 nessuno 14 15 nessuno 16 Z2[x]/(x4 + x + 1). Esercizio: Verificare che il campo di ordine 8 si può anche rappresentare come Z2[x]/(x3 + x2 + 1). Esecizio: Verificare che [x] è un elemento primitivo del campo Z3[x]/(x2 + x + 2). Esercizio: Sia K un campo con 49 elementi. Stabilire se (K, +) è ciclico e determinare i sottogruppi di K∗ di ordine 3 e di ordine 4. GRAFI Def: Un grafo (finito) è una coppia (V, L) dove V è un insieme finito non vuoto; L è un insieme di sottoinsiemi di V di cardinalitò 2. Gli elementi di V si chiamano vertici, quelli di L si chiamano lati o spigoli. Un grafo G = (V, L) si può rappresentare nel piano mediante un diagramma in cui i vertici sono punti e due vertici a e b sono collegati da un segmento se e solo se {a, b} ∈ L. In tal caso a e b si dicono adiacenti. Esempio: Disegnare il grafo (V = {a, b, c, d}, L = {{a, b}, {a, c}, {a, d}, {b, c}, {b, d}, {c, d}}. Def: Un grado è completo se due qualunque vertici distinti sono adiacenti. Un grafo completo con n lati è di solito denotato con Kn. Un isomorfismo tra due grafi G = (V, L) e G0 = (V 0, L0) è una bigezione f : V → V 0 che conserva l’adiacenza, cioè {a, b} ∈ L ⇒ {f (a), f (b)} ∈ L0. Se G = G0 si parla di automorfismo di G. Gli automorfismi di un grafo formano un sottogruppo del gruppo delle permutazioni dell’insieme dei veritici V . Si denota con Aut(G). GRADO DI UN VERTICE Sia G = (V, L) un grafo. Def: Si chiama grado di un vertice v ∈ V il numero dei vertici ad esso adiacenti. Esso si denota con d(v). Un vertice di grado 0 si dice isolato. Def: Se d(v) è pari (risp. dispari), il vertice v si dice pari (risp. dispari). Lemma delle strette di mano:In ogni grafo vale la formula: X d(v) = 2|L|. v∈V Teorema:Ogni grafo ha un numero pari di vertici dispari. Def: Si dice regolare un grafo in cui tutti i vertici hanno lo stesso grado. CAMMINI E CIRCUITI EULERIANI Sia G = (V, L) un grafo. Def: Un cammnino dal vertice a al vertice b è una sequenza finita di lati a due a due distinti del tipo {{a, a1}, {a1, a2 }, . . . , {an−2 , an−1 }, {an−1, b}}. Un cammino si dice circuito se a = b. Def: Un grafo connesso è un grafo in cui per ogni coppia di vertici vi è un cammino dal primo a secondo. Nota importante: In generale, un grafo che non è connesso può essere spezzato in sottografi connessi, detti componenti connesse. Def: Un cammino (in part. circuito) è Euleriano se consiste di tutti i lati del grafo. Teorema di Eulero: Sia G un grafo privo di vertici isolati. Allora: 1) G contiene almeno un circuito Euleriano se e solo se tutti i vertici hanno grado pari. 2) G contiene un cammino Euleriano se e solo se è connesso e contiene o due o nessun vertice dispari. Esercizio: Si consideri il grafo: 1 6 2 3 4 5 1) Dire se contiene circuiti e/o cammini Euleriani; 2) Classificare il gruppo Aut(G). ALBERI Def: Si chiama albero ogni grafo connesso privo di circuiti. Si chiama foresta un grafo le cui componenti connesse sono alberi. Proposizione:Ogni grafo contiene un albero i cui vertici sono tutti i vertici del grafo. Esso si chiama albero di sostegno. Teorema: Se G è un grafo connesso, con n vertici: G è un albero ⇐⇒ G ha n − 1 lati. Esercizio: Un albero G ha 4 vertici di grado 2, tre vertici di grado 3, due vertici di grado 4 e tutti i restanti di grado 1. Dire quanti vertici ha. Esercizio: Un grafo connesso G = (V, L) ha 6 vertici, di cui tre di grado 2, due di grado 1 ed il rimanente di grado x ∈ N, x ≥ 1. Dire per quale valore di x il grafo G è un albero e se tale albero contiene cammini e/o circuiti euleriani. Esercizio: Disegnare un albero di sostegno del grafo 1 6 2 3 4 5 Esercizio: Si consideri il grafo G = (L, V ) in figura: 1) Dire se G contiene circuiti e/o cammini Euleriani; 2) Determinare un albero di sostegno di G. 3) Classificare il gruppo Aut(G). Esercizio: Un albero G = (L, V ) ha sei vertici, di cui quattro di grado 2. Stabilire se G contiene un cammino Euleriano. Esercizio: Dati i grafi dire se si tratta di grafi isomorfi. Questi grafi contengono circuiti Euleriani?