IL RITO DELLA MESSA - S. Tommaso D`Aquino

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IL RITO DELLA MESSA
"Fate questo in memoria di me"
Nella liturgia nulla è lasciato al caso o all'improvvisazione e tutto assume il tono di una stupenda
sinfonia nella quale presidente, diacono, accoliti, lettori, ministri straordinari, coro e popolo, secondo
i rispettivi compiti, collaborano al suo completo e perfetto svolgimento.
Entrati, tracciamo su di noi il segno di Croce con l’acqua benedetta. L’acqua richiama il nostro
Battesimo e le promesse fatte in quel giorno. Diventa segno di purificazione.
Segue la genuflessione a manifestare il riconoscimento della nostra adorazione e amore di fronte a
Dio.
È importante osservare le varie posizioni del corpo durante la celebrazione. La nostra posizione
eretta indica questa nuova realtà: morti al peccato e risuscitati a vita nuova nel Battesimo. Lo stare
seduti indica la posizione rilassata, comoda, nella quale si può meglio ascoltare un insegnamento.
Stare in ginocchio davanti a Dio indica, come già per la genuflessione, la consapevole debolezza
dell’uomo di fronte al suo Creatore.
Rito d’ingresso
L’altare:
Deriva dal latino ed indica qualcosa che sta in alto a ricordo degli incontri tra l’uomo e
Dio, che sono avvenuti sempre in alto (in montagna, che è il luogo biblico dell’incontro
con Dio); ricorda la tavola dell’olocausto, dove venivano sacrificati gli animali a Jhavè.
Infine, ricorda l’ultima cena, dove non scorre più il sangue degli animali, ma quello di
Gesù.
Bacio dell’altare: Simbolizza l’adesione, la comunione, del diacono e del sacerdote a tutto quanto si
attualizzerà. Sarà solo il sacerdote a poggiare le mani, mentre lo bacia, perché è solo
lui che ha il potere di agire su di esso.
Il segno di croce: Questo gesto ricorda ai fedeli di essere stati redenti nell’anima e nel corpo dalla
croce di Gesù, una croce che però è trinitaria.
Il saluto del celebrante: “Il Signore sia con voi” (a cui si risponde con: “E con il suo spirito”), è il più
bell’augurio che si possa fare ad un cristiano: Dio ponga in te la sua dimora, ti
accompagni, ti animi.
L’atto penitenziale: È un appello alla misericordia (compassione o pietà profonda per l’infelicità
altrui, pietà che muove al perdono).
È introdotto dal sacerdote con le seguenti parole: “Fratelli, per celebrare degnamente i
santi misteri, riconosciamo i nostri peccati”. Si rimane per alcuni istanti in silenzio per
esaminare la propria coscienza (GS 10: la coscienza è il luogo più intimo e sacro dove
l’uomo è solo con Dio) alla luce che viene da Dio.
Segue il Confiteor: “Confesso a Dio onnipotente….. in pensieri, parole ed omissioni
(ricorda il Dt, quando cita la professione di fede del popolo di Israele: Amerai il
Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, la tua anima, la tua forza…..)
Il sacerdote conclude il Confiteor con una formula di assoluzione: “Dio onnipotente
abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna”.
L’assoluzione (deriva da absolvere, che significa sciogliere, slegare) è un potere
conferito da Cristo a Pietro: “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e
tutto ciò che scioglierai sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19); è lo stesso mandato che poi
riceveranno gli apostoli nel giorno della risurrezione (Gv 20,22-23).
Questa assoluzione è un sacramentale (segni, atti, o realtà, che richiamano un
momento sacro, come: le benedizioni, l’uso dell’acqua benedetta, le processioni, le
pratiche di pietà; questi dipendono dalla fede di chi li opera e di chi li riceve) quindi
non è come il sacramento (che è una realtà sacra che opera per il solo fatto di essere
stato celebrato, indipendentemente dalla fede del ministro o dalla risposta di chi li
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riceve). Dicevamo non è come il sacramento della riconciliazione, più che dare il
perdono, essa lo implora.
Al posto del Confiteor si possono usare anche i due versetti seguenti:
Pietà di noi Signore - Contro di te abbiamo peccato.
Mostraci, Signore, la tua misericordia – E donaci la tua salvezza.
Il Kyrie Eleison: Signore pietà.
Il Gloria: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”, che è proclamato o cantato nelle
domeniche, nelle feste, nelle solennità. È un canto di lode degli Angeli che
annunciavano ai pastori di Betlemme la buona notizia della nascita del Salvatore.
La colletta: raccoglie le diverse preghiere dei fedeli che il sacerdote presenta a Dio in
nome di tutta la comunità.
La liturgia della Parola
Prima lettura: È sempre dell’AT, tranne nel Tempo Pasquale.
Salmo:
Sono il canto dell’anima dell’uomo a Dio e sono delle poesie musicali, sono stati scritti
quasi tutti dal re Davide.
Seconda lettura: (solo nei giorni festivi e nelle solennità, di solito non ha nessun legame con le altre
letture ed è presa dalle lettere del NT)
Canto al Vangelo (Alleluia): È la traduzione di Hallelu Jah: Lodate Jhavè e lo si trova solo nei Salmi.
Vangelo:
Il Vangelo può essere proclamato soltanto da color che hanno ricevuto il sacramento
dell’Ordine (Diacono, Sacerdote, Vescovo). Nell’anno A si legge quasi tutto Matteo,
nel B: Marco, nel C: Luca; Nei Tempi Forti: Giovanni.
Il segnarsi con una piccola croce sulla fronte, labbra e petto, indicano che Cristo
crocifisso e risorto deve inserirsi nel profondo dei nostri pensieri, deve esprimersi con
le nostre parole, deve vivere nel nostro cuore.
Il Credo:
L’attuale Credo si è formato nella sua maggior parte nel Concilio di Nicea del 325 e
nel Concilio di Costantinopoli del 381, difatti ancora oggi viene chiamato Simbolo
Niceno-Costantinopolitano. Simbolo deriva dalla parola greca symbolon o dal latino
symbolum ed indica un segno di riconoscimento o un mezzo di identificazione usato
nell’antichità: si trattava di due oggetti o di due pezzi dello stesso oggetto fatti
incastrare come due pezzi di un puzzle, che riuniti, “gettati insieme” (da syn: “insieme”
e bàllein: “gettare”) comprovavano l’appartenenza ad una stessa realtà o patto o
alleanza (tra l’altro il termine diavolo ha la stessa provenienza: dya-bàllein: “gettare
lontano”. Per questo il dyabolum (diavolo) viene chiamato anche il separatore, il
divisore). Per analogia i cristiani si riconoscevano proprio per il loro simbolo.
La preghiera universale o dei fedeli: Proviene dalla liturgia ebraica e si fonda sulla raccomandazione
di Paolo a Timoteo: “Ti raccomando dunque, prima di tutto (si noti la forza
dell’espressione), che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti: per
tutti gli uomini, per i re per tutti quelli che stanno al potere, perché possano trascorrere
una vita calma, tranquilla con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita a
Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla
conoscenza della verità” (1Tm 2,1-4).
In genere l’ordine è più o meno il seguente: per la Chiesa, i suoi pastori, i suoi fedeli,
per le autorità della terra, affinché favoriscano una vera pace nella giustizia, per coloro
che soffrono, per i defunti, per i bisogni particolari dei membri dell’assemblea, per
l’intera assemblea.
Liturgia Eucaristica
Altare, tovaglia e tavolino: l’altare deve essere totalmente sgombro da qualsiasi oggetto, come: ceri,
lampade, fiori, occorrente per l’eucaristia, microfoni, foglietti vari, tovaglie o pezzi di
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plastica, incerate, ecc.., ripeto deve essere totalmente libero. Per la preparazione si
deve usare un tavolino o credenza a parte, che dovrà contenere tutti gli oggetti
occorrenti per la Messa, compreso il Messale. Sulla tovaglia per il sacrificio
eucaristico va disteso un corporale: un quadrato di tela bianca d’un certo spessore: per
assorbire il vino consacrato, se si versasse) sul quale vanno collocati i vasi sacri: i
recipienti che conterranno il Corpo ed il Sangue del Signore durante la Messa o al di
fuori di essa. Questi sono: la patena, di forma circolare e concava, che contiene l’ostia
grande che sarà santificata dal sacerdote; il calice; il ciborio o pisside: che si utilizza
quando bisogna distribuire l’eucaristia a molti fedeli, è di forma sferica ed ha un
coperchio, spesso con sopra una crocetta, in genere viene utilizzato anche per
conservare le ostie consacrate nel tabernacolo; l’ostensorio: che contiene l’Ostia
consacrata, spesso durante le adorazioni eucaristiche.
Presentazione dei doni o processione offertoriale: Nella preparazione dei doni vengono portati
all’altare il pane, il vino e l’acqua. La liturgia non prevede, cosa che purtroppo capita
spesso, e quindi va assolutamente evitato, la presentazione all’altare di: sandali,
bastoni, sai, camici, candele, vangeli, bibbie, ecc., ecc.. quali segni di questo o di
quest’altro.
Già nei primi tempi della Chiesa, i fedeli portavano gli elementi necessari per la Messa,
cioè il pane, il vino e l’acqua (At 2,46: “Ogni giorno tutti insieme frequentavano il
tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore”.
Oggi è il parroco che provvede al loro acquisto e la processione simboleggia la
partecipazione dell’intera assemblea all’acquisto delle offerte ed al sostentamento della
chiesa, dei ministri e dei poveri. A tal proposito le offerte raccolte (anche materiali,
come: alimentari, frutta, olio, o altro) per i ministri e per i poveri vanno portate al
presbiterio, non all’altare. Il significato della processione offertoriale non è solo quello
di portare quanto occorre, ma ha un significato ancora più profondo, che ci porta
proprio al cuore del mistero liturgico: Dio, nella persona del sacerdote, aspetta che
andiamo da Lui; ci ha colmati dei suoi doni e ci ispira ad offrigliene una parte
simbolica, un decima, in riconoscenza dei suoi benefici.
La goccia d’acqua nel calice: Il sacerdote o il diacono, prima di pronunciare la preghiera di
benedizione aggiunge al vino un po’ d’acqua, dicendo sottovoce: “L’acqua unita al
vino sia segno della nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la
nostra natura umana”.
Questa è un’antica usanza ebraica e greca, allora si beveva solo vino allungato con
acqua. Gesù ha fatto la stessa cosa nell’ultima Cena, e per tale motivo anche la Chiesa
continua ad aggiungere un po’ d’acqua al vino, destinato a diventare il sangue di
Cristo.
La lavanda delle mani: Il sacerdote si lava le mani, questo rito esprime il desiderio di purificazione
interiore e mentre un ministro gli versa l’acqua sulle mani, dice: “Lavami, Signore, da
ogni colpa, purificami da ogni peccato” (Sal 50,4).
La preghiera sulle offerte: Dopo aver preparato i doni (pane, vino ed acqua) il sacerdote dice:
“Pregate, fratelli, perché il mio ed il vostro sacrificio sia gradito a Dio onnipotente”, i
fedeli rispondono “Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del
suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa”. Ancora
una
volta
abbiamo l’azione di Dio che ci salva e noi che rispondiamo con una lode alla sua gloria
(alla sua salvezza).
La Preghiera Eucaristica: È composta dal Prefazio (Rendimento di grazie), epiclesi (invocare lo SS
su qualcosa), racconto dell’istituzione, anamnesi (il memoriale), seconda epiclesi,
intercessioni, dossologia (lode o ringraziamento).
È il momento principale e culminante di tutta la celebrazione eucaristica; sappiamo che
eucaristia significa “rendere grazie”, “ringraziamento”. Benedire significa ringraziare
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Dio di tutto ciò che abbiamo e condividerlo con gli altri….. niente è nostro, tutto
proviene da Lui……
Dalla benedizione ebraica all’Eucaristia: gli ebrei, prima di ogni pasto, ringraziavano sempre Dio
con una benedizione (la birkat-ha-mazon è ritenuta la più antica ed importante tra le
benedizioni), e come ogni benedizione prevede tre momenti: lode, rendimento di
grazie, supplica. Gesù ripeterà tutto questo.
Preghiera eucaristica: Inizia con un dialogo tra il sacerdote e l’assemblea, proprio a significare il
carattere comunitario della celebrazione.
“Il Signore sia con voi – E con il tuo spirito” (abbiamo già commentato questa parte
nel Rito d’Ingresso - Saluto del sacerdote)
“In alto i nostri cuori – Sono rivolti al Signore”.
Significa che dobbiamo pensare a Dio sempre. E siccome ciò è impossibile per la
debolezza umana, dobbiamo farlo soprattutto in questo momento solenne.
Prefazio: “È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie a
te, Signore, Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore”.
Ci sono circa 80 prefazi diversi, e tutti iniziano con la parola “Veramente”.
Al termine del prefazio c’è l’introduzione al Sanctus (Santo) come: “E noi, uniti agli
Angeli ed ai Santi, cantiamo l’inno della tua lode”.
Sanctus: Anche questa parte della liturgia proviene dall’Antico Testamento, sono una parte
delle preghiere mattutine degli ebrei e provengono dal libro di Isaia: “Santo, santo ,
santo è il Signore degli eserciti=>Dio dell’universo. Tutta la terra è piena della sua
gloria=>I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Il Signore degli eserciti è il titolo
con cui veniva chiamato Dio nell’AT.
“Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna
nell’alto dei cieli” (Mt 21,9). Questo è lo stesso inno che gli ebrei cantano a Gesù
mentre entra in Gerusalemme il giorno delle Palme.
Epiclesi: Significa “invocazione su”, in questo caso è invocare il Padre affinché mandi il suo
Spirito a santificare il pane ed il vino. Il sacerdote tenendo le mani stese sul pane ed il
vino invoca: “Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica* (o manda il tuo
Spirito a santificare*) questi doni con l’effusione dello Spirito Santo, perché diventino
per noi il Corpo ed il sangue di Gesù Cristo nostro Signore”.
*ci si inginocchia solo a questo momento e fino all’inizio del Mistero della fede.
Il racconto dell’istituzione: Per capire bene il racconto dell’istituzione, ripreso in ogni Messa,
è importante capire il contesto della cena pasquale ebraica. Sia prima dei pasti, che ad
ogni portata, e poi alla fine dei pasti, veniva sempre pronunciata una benedizione a
Dio, da parte di colui che presedeva al banchetto. Difatti anche Gesù, come colui che
presiedeva al banchetto, ripeterà gli stessi gesti, così nell’ultima cena quando viene
servito l’agnello e poi il pane azzimo, Gesù pronuncia una benedizione: “Prese il pane
e rese grazie”, però aggiunge: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”.
Vuol far capire che Lui sarà il vero agnello pasquale. Dopo la cena, ancora una volta
come nella cena pasquale ebraica, anche Gesù eleva un’altra benedizione (prese il
calice e rese grazie), però, come prima, vi aggiunge: “Questo è il calice del mio sangue
per la nuova ed eterna alleanza (Is 53,12), versato per voi e per tutti in remissione dei
peccati (Is 53,4-6.11), fate questo in memoria di me. Fate questo in memoria di me: è
un modo umano per dire che Dio è sempre in alleanza con l’uomo, in modo eterno.
Mistero della fede: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione,
nell’attesa della tua venuta”. Questa professione di fede la troviamo nella 1Cor 11,26,
significa che attendiamo una persona vivente, difatti le prime liturgie cristiane si
concludevano con l’invocazione Marana tha=Vieni Signore Gesù (Ap 22,17.20).
L’anamnesi: “Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo,
Padre, il pane della vita ed il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci
ammessi alla tua presenza e compiere il servizio sacerdotale”.
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Nella nostra cultura il memoriale è un ricordo, una memoria, di un evento passato, a
volte è un monumento ai defunti, invece il memoriale nella cultura ebraica è molto di
più, significa attualizzare un evento, renderlo presente e preparare o anticipare il
futuro. Ogni liturgia attualizza nel presente l’alleanza precedente ed anticipa l’alleanza
perfetta che seguirà alla fine dei tempi. Quindi l’Eucaristia è l’attualizzazione
dell’alleanza con Gesù (fate questo in memoria di me) ed è l’anticipazione della
Parusia (l’ultima venuta di Gesù).
Seconda epiclesi: (Abbiamo già detto che epiclesi significa “invocare su”). “Ti preghiamo
umilmente: per la comunione al Corpo ed al Sangue di Cristo lo Spirito Santo ci
riunisca in un solo corpo”. In pratica si invocano i frutti della comunione al Corpo ed al
Sangue di Cristo sul popolo di Dio radunato in suo nome.
Intercessioni: “Ricordati Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta
nell’amore in unione con il nostro Papa (n), il nostro Vescovo (n) e tutto l’ordine
sacerdotale. Ricordati dei nostri fratelli che si sono addormentati nella speranza della
risurrezione, e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza: ammettili a godere la
luce del tuo volto. Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna,
insieme con la beata Maria, vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i Santi che
in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria”.
Questa preghiera ci ricorda che l’eucaristia è celebrata in comunione con tutta la
Chiesa, sia quella celeste che quella terrestre, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i
suoi membri, vivi e defunti…. nominando tutti coloro che vi appartengono. Vivi,
morti, peccatori, giusti, costituiscono lo stesso Corpo in Gesù.
Dossologia: “Per Cristo, con Cristo, in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello
Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli”.
È la conclusione della preghiera eucaristica, con la glorificazione di Dio in forma
trinitaria. Questa formula, scandita con solennità, proclama con forza la mediazione di
Cristo prende spunto dal Nuovo testamento (Fil 3,12; Rom 16,27; Ef 1,3-4; Col 1,1516; Gv 1,3.16-17).
Riti di comunione
Padre Nostro:È quella che ci riporta Mt 6,9-13, ed è la preghiera per eccellenza dal momento che è
stata insegnata da Gesù stesso ai discepoli. Anche questa preghiera richiama la liturgia
dell’Antico Testamento, già allora per 15 volte Dio viene chiamato Padre, attenzione
non paragonato, ma prende proprio il nome di padre (Dt 32,6; 2Sam 7,14; 1Cr 17,13;
22,10; 28,6; Sal 68,6; 89,27; Is 63,16; 64,7; Ger 3,4.19; 31,9; Ml 1,6; 2,19). Tuttavia
nei 46 libri dell’AT Dio viene chiamato Padre solo 15 volte, nel NT ricorre 170 volte e
per 109 volte lo dice Gesù stesso.
Avendo un unico Padre Nostro diventiamo fratelli di Gesù, difatti il sacerdote esorta a
chiamarlo Padre Nostro dicendo: “Obbedienti alla parola del salvatore e formati al suo
divino insegnamento, osiamo dire”.
La prima parte del “Padre Nostro” riguarda la gloria del Padre celeste, il cui nome si
desidera sia santificato….. Poi ci sono le richieste per noi: per il pane necessario, il
perdono che imploriamo e la forza che sollecitiamo per non cadere nelle tentazioni.
Questa preghiera è il riassunto di tutta la Messa: all’inizio abbiamo chiesto che ci
vengano rimessi i peccati, con l’eucaristia si inserisce in noi Gesù vivo, così abbiamo
la forza per superare le tentazioni e le nostre debolezze. Nel “Padre Nostro” si chiede a
Dio: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” e questo è
una grossa responsabilità, significa che se non rimettiamo i debiti ai nostri debitori, se
non perdoniamo, ci accostiamo all’eucaristia già da peccatori; non possiamo chiedere
la misericordia del Padre se non siamo misericordiosi verso il prossimo; attenzione il
prossimo non è l’amico o il parente o il conoscente che ci stima, ci apprezza, ci vuole
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bene, ma sono coloro che ci sono antipatici, che ci hanno fatto del male, che non ci
capiscono, che non sopportiamo.
Scambio della pace: Prende spunto dalla parola del Signore agli apostoli nell’ultima cena (Gv 14,27).
Il segno della pace, proprio perché segno, va scambiato solo con coloro che sono a
fianco, evitando di muoversi, di spostarsi o di girarsi indietro.
Anche sulla pace c’è da dire qualcosa: “la pace sia con te” non è l’augurio che non vi
siano guerre, che non vi siano incomprensioni, che vi sia appunto pace, ma è qualcosa
di molto più profondo. È la pace di Dio che noi auguriamo, auguriamo all’altro di
avere tutto ciò che c’è in Dio, la sua completezza, che si traduce in ogni bene all’altro,
quindi: nella forza che ci sostiene nei dolori e nella sofferenza, nella sicura speranza
della risurrezione, nel condividere i propri beni ed i propri cuori con gli altri, nel
sacrificarsi per gli altri, nel vivere rimanendo fedeli a Dio anche nei momenti di
disperazione, di povertà….. Insomma, la pace di Dio è avere la forza di fare la sua
volontà, è vivere le sue beatitudini (Mt 5), significa rendere visibile agli altri tutto il
suo amore, non è solo una mancanza di guerra, o vivere felici e contenti….. sarebbe
proprio banale. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la
do a voi” (Gv 14,27). “Se dunque presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo
fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono (Mt 5,23-24).
Agnello di Dio o Agnus Dei: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29), dona a
noi la pace”. È ciò che disse Giovanni il Battista al fiume Giordano indicando Gesù.
Durante questo rito il sacerdote prende l’ostia grande, la spezza e ne mette una
particella (fermentum) nel calice, dicendo sottovoce: “Il Corpo ed il Sangue di Cristo,
uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna” (il gesto si chiama di
commistione o di immissione). Questo stesso gesto ripete il rito antichissimo di
immettere un frammento del pane (fermentum), spezzato dal Papa o dai Vescovi, nel
sacchetto di lino che gli accoliti poi portavano ai sacerdoti delle comunità lontane e che
a loro volta immettevano (il frammento) nel proprio calice; questo in segno di
comunione con l’unica Chiesa.
I primi cristiani avevano un forte senso di comunione con il Papa ed i Vescovi, oggi a
causa della massiccia presenza dei mezzi di informazione, questo senso si è perso
moltissimo, abbiamo anche visto che nella preghiera eucaristica si menziona sempre il
Papa e di Vescovi, proprio per lo stesso motivo. Prima vi era anche il rito di
immergere i pani consacrati nella messa precedente nel vino appena consacrato, come
segno di continuità tra una celebrazione e l’altra, come se non vi fosse più un tempo o
un momento particolare per la celebrazione.
La preghiera del sacerdote prima della comunione: Dopo “l’Agnus Dei” il sacerdote recita sottovoce
una preghiera di preparazione personale alla comunione, che può essere fatta da tutti i
fedeli: “La comunione con il tuo Corpo ed il tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non
diventi per me il giudizio di condanna, ma per la tua misericordia sia rimedio e difesa
dell’anima e del corpo”.
Chi ha una colpa grave non deve comunicarsi se prima non si è ricevuto l’assoluzione
“Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del
corpo e del sangue del Signore. Ciascuno pertanto, esamini se stesso e poi mangi di
questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il
corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cot 11,27-29). Per questo il
sacerdote nella preghiera dice: “La comunione… …non diventi per me giudizio di
condanna”.
Per comunicarsi bisogna essere a digiuno da almeno un’ora, fatta eccezione soltanto
per l’acqua e le medicine (Cod. diritto canonico 919,1).
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Ecco l’Agnello di Dio: Il sacerdote alzando l’ostia grande, che era stata divisa in due e da cui era stato
preso un frammento ed immesso nel calice, dice: “Beati gli invitati alla cena del
Signore” (Ap 19,9).
“Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo” sono le parole di Giovanni il
Battista al fiume Giordano (Gv 1,29.36), che poi sono anche cantate nel Gloria e
nell’Agnus Dei. A cui l’assemblea risponde con: “O Signore, non sono degno di
partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato”, queste sono le
stesse parole che il centurione romano dice a Gesù che lo loda (Mt 8,8).
Comunione: Prima di consumare, con riverenza, il corpo di Cristo, il sacerdote dice sottovoce: “Il
Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna”, poi ripeterà la stessa cosa con il
Sangue di Cristo.
Bisogna dire che i sacerdoti sono gli unici che non “ricevono” il Corpo ed il Sangue di
Cristo in quanto, per il potere che hanno sul corpo sacramentale di Cristo, lo assumono
direttamente, mentre i fedeli non devono farlo (erroneamente a volte capita che i
sacerdoti lascino prendere direttamente la comunione ai fedeli).
Per i fedeli, la comunione sotto le due specie è il modo più completo e significativo di
partecipare al sacrificio eucaristico; anche se sotto una sola specie si riceve il Cristo
tutto intero e il sacramento in tutta la sua verità. Di conseguenza chi riceve la
comunione sotto una sola specie non è privato di nessuna grazia necessaria alla
salvezza.
Non si può ricevere la comunione in un modo qualsiasi! Contegno, dignità, rispetto,
umiltà si impongono. È il Figlio di Dio che viene verso di noi! È il Corpo del Risorto
che sarà deposto nelle nostre mani. È il gesto del cristiano che, sapendosi fragile,
domanda di essere nutrito di questo Pane, grazie al quale potrà vivere secondo il
Vangelo. Il gesto a cui invita Cirillo di Gerusalemme è il gesto del povero che tende
tutto il suo essere verso Colui che gli porterà ogni ricchezza.
Comunione in bocca o nella mano? Il rito più antico, già utilizzato nelle prime comunità era proprio
quello di ricevere la comunione nelle mani; in uno scritto catechetico del 300 troviamo
scritto che i neobattezzati venivano istruiti a stendere le due mani facendo “della mano
sinistra un trono per la mano destra, perché questa deve ricevere il Re”.
“Quando ti avvicini, fa della tua mano sinistra un trono per la destra, poiché questa
riceve il Re dei re e, nel cavo delle mani ricevi il Corpo di Cristo, dicendo “Amen”.
Santifica dunque accuratamente i tuoi occhi mediante il contatto con il corpo santo,
poi prendilo e fa attenzione a non perderne nulla. Ciò che tu dovessi perdere, infatti, è
come se perdessi una delle tue membra. Se ti dessero delle pagliuzze d’oro, non le
prenderesti con la massima cura, facendo attenzione a non perderne nulla e a non
danneggiarle? Non farai dunque assai più attenzione per qualcosa che è ben più
prezioso dell’oro e delle pietre preziose, in modo da non perderne nemmeno una
briciola? Dopo esserti comunicato al Corpo di Cristo, aspettando l’orazione, rendi
grazie a Dio che ti stimò degno di così grandi misteri”. (s. Cirillo di Gerusalemme).
Nell’attuale Rito per la Comunione al n. 3 dice: “Il fedele cha ha ricevuto la comunione
nella mano la porterà alla bocca prima di ritornare al suo posto, mettendosi da parte
solo per lasciare avvicinare colui che lo segue e restando rivolto verso l’altare”. Poi
al n. 6 dice: “Bisogna raccomandare loro di fare attenzione che i frammenti del pane
consacrato non vadano perduti”.
Dopo aver ricevuto la comunione i Principi e Norme per l’uso del Messale Romano
(PNMR) prevedono che si stia in posizione seduta o in ginocchio fino alla preghiera
conclusiva, quindi non si sta in piedi in attesa della chiusura del tabernacolo.
Il diritto canonico al n. 917 stabilisce che: “Il fedele che ha già ricevuto la santa
Eucaristia può riceverla, nello stesso giorno, solamente una seconda volta”.
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Alla fine del rito il sacerdote purifica la patena e il calice, dicendo sottovoce: “Il
sacramento ricevuto con la bocca sia accolto con purezza nel nostro spirito, o Signore,
e il dono a noi fatto nel tempo ci sia rimedio per la vita eterna”.
Ringraziamento (Seduti), Momento di silenzio; nessuno si è addormentato, ma si sta in ascolto del
soffio illuminante dello Spirito Santo che agisce nel nostro cuore.
La preghiera dopo la comunione: Come ogni preghiera di ringraziamento o benedizione, che
abbiamo già visto sono sempre composte di tre parti (lode-ringraziamento-supplica)
come la seguente, che è solo una tra le tantissime: “Ti ringraziamo dei tuoi doni, o
Padre; la forza dello Spirito Santo, che ci ha comunicato in questi sacramenti, rimanga
in noi e trasformi tutta la nostra vita” oppure “La Divina Eucaristia, che abbiamo
offerto e ricevuto, Signore, sia per noi principio di vita nuova, perché, uniti a te
nell’amore, portiamo frutti che rimangano per sempre”.
Rito di conclusione
Saluto al popolo: “Il Signore sia con voi – E con il tuo spirito”. Abbiamo già visto il suo significato
ed il suo senso nel Rito d’ingresso – Saluto del sacerdote.
La benedizione finale. Tutta la Messe e tutte le Messe sono un dire grazie a Dio, un dire-bene, quindi
una benedizione, Paolo ha cantato magnificamente questa Benedizione che troviamo
nella lettera al Efesini: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che
ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli (Ef 1,3).
Anche questo è un rito che proviene dall’Antico Testamento, dove i sacerdoti erano
invitati a benedire l’assemblea al termine della funzione liturgica, anzi prescrive anche
la formula: “Parla ad Aronne ed ai suoi figli e riferisce loro: voi benedirete così gli
Israeliti; direte loro: Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo
volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace.
Così porranno il mio nome sugli Israeliti ed io ti benedirò” (Nm 6,22-27).
È sempre Dio che benedice, questa formula lo dimostra chiaramente, lo stesso accade
quando il sacerdote dice: “Vi benedica Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo”.
Il congedo: “La Messa è finita andate in pace” ci ricorda il vangelo di Matteo: “Andate dunque e
ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito santo” (Mt 28,19), è l’invito per tutti noi a partire per la missione, l’andare in
pace non è la fine di un rito liturgico, ma è l’inizio della nostra testimonianza nel
mondo quotidiano, nella famiglia, nel lavoro, nella stessa Chiesa.
Il bacio dell’altare: Il sacerdote ed il diacono baciano l’altare come all’inizio della Messa. Questo
gesto finale indica che tutto è compiuto, ma insieme tutto comincia, perché la comunità
anche se esce dalla chiesa si reca nei propri luoghi per entrare nella vita del Dio tre
volte santo, che è Amore (Gv 4,7-21).
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